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Il consumatore medio

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Academic year: 2021

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CRISTINA PONCIBÒ

Il consumatore medio

in Contratto e Impresa / Europa, 2007, n. 2, p. 734 - 757

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Il consumatore nell’acquis normativo comunitario. – 3. La figura del consumatore e l’integrazione del mercato unico. – 4. Il consumatore medio nella giurisprudenza comunitaria. – 5. Una nozione irrealistica. – 6. Riflessioni conclusive.

1. – La nozione di consumatore medio è centrale nel sistema previsto dalla Dir. CE 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno (1). La direttiva si applica alle pratiche commerciali sleali che hanno lo scopo di

influenzare le decisioni di natura commerciale dei consumatori in relazione ad un certo prodotto (2). L’allegato I (“Lista Nera”) contiene l’elenco dei comportamenti commerciali

sleali vietati in ogni circostanza nell’Unione Europea, includendo, tra l’altro, i sistemi di vendita piramidale, la pubblicità propagandistica e quella realizzata con prodotti “civetta”. Le previsioni della direttiva non riguardano le pratiche commerciali tra le imprese e non pregiudicano l’applicazione del diritto contrattuale, in particolare delle norme sulla formazione, validità e efficacia del contratto e delle disposizioni comunitarie o nazionali relative agli aspetti sanitari e di sicurezza dei prodotti (3).

Il provvedimento in esame introduce la nozione di consumatore medio “(...) che è normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, tenendo conto di fattori

(1) Dir. CE 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 11 maggio 2005, relativa alle

pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio (“direttiva sulle pratiche commerciali sleali”), in G.U.C.E., L 149, 11 giugno 2005. La direttiva segue il Libro verde sulla Protezione dei consumatori nell’Unione europea, 11 giugno 2002, COM (2002) 289 def.

(2) S

TUYCK, TERRYN e VAN DYCK, Confidence Through Fairness? The new directive on unfair

business-to-consumer commercial practices in the internal market, in Comm. Market Law Rev., 2006, pp. 107-152; COLLINS, The Unfair Commercial Practices Directive, in Eur. Rev. Contract Law, 2005, pp. 417-441; DAVIS, Locating the Average Consumer: his Judicial Origins, Intellectual Influences and Current Role

in European Trade Mark Law, in Intell. Prop. Quart., 2005, pp. 183-203;PONCIBO’eINCARDONA, The EU

Unfair Commercial Practices Directive: A Faltering First Step, in London Law Review, 2005, pp. 317- 337; BROGGIATO,La Direttiva n. 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali, in Dir. banca e merc. fin., 2006, pp. 21-26; BARTOLOMUCCI, La proposta di direttiva sulle pratiche commerciali sleali: note ad una prima

lettura, in Contratti, 2006, pp. 954-960.

(2)

sociali, culturali e linguistici e, soprattutto, dell’esistenza di gruppi di consumatori particolarmente vulnerabili per età, malattia o istruzione” (considerando 18). Il considerando 18 chiarisce, inoltre, che: “(...) la nozione di consumatore medio non è statistica. Gli organi giurisdizionali e le autorità nazionali dovranno esercitare la loro facoltà di giudizio tenendo conto della giurisprudenza della Corte di giustizia per determinare la reazione tipica del consumatore medio nella fattispecie”.

In forza di tale previsione, una pratica commerciale è ritenuta sleale, e di conseguenza vietata, se essa falsa o si presume che possa falsare in modo rilevante il comportamento economico del consumatore medio al quale essa è diretta o del membro medio del gruppo, qualora la pratica commerciale sia diretta ad un particolare gruppo di consumatori (art. 5.2, lettera b).

La nozione di consumatore medio, che assurge a criterio di valutazione della liceità delle pratiche commerciali delle imprese, è frutto di un processo di astrazione, dal momento che i consumatori europei non sono affatto omogenei per gusti, abitudini e preferenze.

La scelta di applicare l’“average consumer test” non è priva di conseguenze: il consumatore, le cui “capacità” siano inferiori alla media assunta a criterio di valutazione dalla direttiva, rischia di rimanere privo di tutela rispetto alle pratiche commerciali sleali che falsano il suo comportamento economico. Viceversa, se una pratica commerciale è vietata perchè lesiva degli interessi del consumatore medio, può accadere che il consumatore più attento della media venga privato di una pratica commerciale che potrebbe essere per lui informativa e utile.

La Dir. CE 2005/29/CE non si ferma alla nozione di consumatore medio: essa vieta anche le pratiche commerciali che possono influenzare il comportamento del consumatore che risulti particolarmente vulnerabile a causa di una infermità mentale e fisica, dell’età o della sua ingenuità (art. 5.3). In tal modo, il provvedimento in esame dovrebbe assicurare una particolare protezione ai gruppi di consumatori più deboli, derogando al parametro di cui all’art. 5.2, lettera b, ed introducendo una seconda ed altrettanto vaga nozione: quella di “consumatore vulnerabile” (“vulnerable consumer”).

In questo scritto mi propongo di ricostruire l’immagine del consumatore che emerge nel diritto comunitario e, segnatamente, nell’acquis normativo e nella giurisprudenza comunitaria. La concezione del consumatore come di un soggetto “adeguatamente

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informato e ragionevolmente attento” - che è alla base della nozione di consumatore medio della direttiva - trae inizialmente origine dalla giurisprudenza comunitaria relativa alla liberalizzazione dello scambio delle merci e dei servizi e trova un espresso riconoscimento nelle sentenze relative alla tutela dei marchi e delle denominazioni dei prodotti.

Tale indagine pone in luce il legame tra l’immagine del consumatore medio ed il processo di integrazione del mercato unico: la nozione in esame nasce per perseguire questo obiettivo, dal momento che essa contribuisce all’armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori (4). Ci si domanda, in

particolare, se la direttiva, introducendo il criterio in esame, abbia sufficientemente considerato le eterogenee qualità dei consumatori e, quindi, se essa sia in grado di garantire un’adeguata tutela ai consumatori particolarmente svantaggiati; oppure se questo parametro non vada inteso primariamente come uno strumento di “integrazione” del mercato unico, anche a condizione di imporre conseguenze negative su alcune categorie di consumatori.

Una corretta interpretazione del provvedimento in esame non dovrebbe condurre ad un abbassamento dell’attuale “soglia” di tutela: il diritto comunitario e la giurisprudenza della Corte di giustizia hanno eccezionalmente manifestato una certa consapevolezza circa la vulnerabilità di alcuni gruppi di consumatori rispetto ad altri anche in deroga al processo di integrazione del mercato unico.

Sulla scorta di tale esperienza, è possibile ritenere che i giudici comunitari e, soprattutto, i giudici nazionali potranno derogare al parametro del consumatore medio allorché l’applicazione di tale criterio dovesse produrre conseguenze inaccettabili per la tutela dei consumatori che risultino essere, a diverso titolo, particolarmente svantaggiati.

2. – Il Tratt. CE, nella sua forma originale, contiene solo alcuni riferimenti, anche se marginali, al consumatore. Solo con l’entrata in vigore il 1° novembre 1993 del Trattato

(4) J

OERGES, The Market without the State? The Economic Constitution of the European Community

and the Rebirth of Regulatory Politics, European Integration online Papers, vol. 1, n. 19/1997, consultato il 6 febbraio 2007 al sito http://eiop.or.at/eiop/texte/1997-019a.htm;POIARES MADURO, Reforming the Market

of the State? Article 30 and the European Constitution: Economic Freedom and Political Rights, in Eur. Law

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sull’Unione Europea (“Trattato di Maastricht”), la Comunità Europea si è vista attribuire un’esplicita, anche se limitata, competenza normativa sulla tutela del consumatore (5).

Il diritto europeo dei consumatori trae origine dagli articoli 94 e 95 Trattato CE (rispettivamente ex 100 e 100a), ossia da due previsioni che hanno come scopo principale l’armonizzazione delle misure normative e regolamentari degli Stati membri (6). La

diversità delle normative nazionali di tutela del consumatore è stata ritenuta un ostacolo alla creazione del mercato unico e tali misure sono state oggetto di un processo di armonizzazione a livello comunitario ai sensi degli articoli 94 e 95 Tratt. CE. Questo processo ha avuto l’effetto di allocare a livello comunitario (spesso con l’adozione di principi minimi e generalmente non esclusivi) la competenza a determinare il contenuto della normativa per la tutela del consumatore.

A titolo esemplificativo, si possono indicare le direttive sui “contratti del consumatore”, ossia: la Dir. CE 90/314/CEE sui viaggi, le vacanze ed i circuiti “tutto compreso” (7), la Dir. CE 93/13/CEE sulle clausole abusive nei contratti dei consumatori

(8), la Dir. CE 85/577/CEE relativa ai contratti negoziati fuori dei locali commerciali (9), la

Dir. CE 87/102/CEE concernente il credito del consumatore (10), la Dir. CE 99/44/CEE su

taluni aspetti della vendita e delle garanzie nei beni di consumo (11) e la Dir. CE

2002/65/CE sulla commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori (12). I suddetti provvedimenti – nonché la Dir. CE 87/102/CEE relativa ai contratti di credito al

(5) Attualmente, la norma di riferimento è l’art. 153.3, lettera b, Tratt. CE, nel testo risultante dalla

versione consolidata, in G.U.C.E., C 321, 29 dicembre 2006.

(6) Articoli 94 e 95, Tratt. CE., nel testo risultante dalla versione consolidata, in G.U.C.E, serie C 321,

29 dicembre 2006.

(7) Dir. CE 90/314/CEE del Consiglio, del 13 giugno 1990, concernente i viaggi, le vacanze ed i

circuiti “tutto compreso”, in G.U.C.E, L 158, 23 giugno 1990.

(8) Dir. CE 93/13/CEE del Consiglio, 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, in G.U.C.E., L 095, 21 aprile 1993.

(9) Dir. CE 85/577/CEE del Consiglio, 20 dicembre 1985 per la tutela dei consumatori in caso di

contratti negoziati fuori dei locali commerciali, in G.U.C.E., L 372, 31 dicembre 1985.

(10) Dir. CE 87/102/CEE del Consiglio, 22 dicembre 1986 relativa al ravvicinamento delle

disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo, in G.U.C.E., L 042, 12 febbraio 1987.

(11) Dir. CE 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 25 maggio 1999, su taluni aspetti

della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, in G.U.C.E., L 171, 7 luglio 1999.

(12) Dir. CE 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 23 settembre 2002, concernente la

commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori e che modifica la direttiva 90/619/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE e 98/27/CE, in G.U.C.E., L 271, 9 ottobre 2002.

(5)

consumo (13), la Dir. CE 94/47/CE sulla multiproprietà (14) e la Dir. CE 97/7/CE sui

contratti negoziati a distanza (15) – indicano espressamente il soggetto a cui essi sono diretti

(il consumatore) attraverso alcune formule definitorie poste all’inizio del testo normativo

(16).

Il processo di armonizzazione ha coinvolto anche la responsabilità non-contrattuale attraverso l’adozione della Dir. CE 85/374/CEE che armonizza la normativa nazionale relativa alla responsabilità per danno da prodotti difettosi (17) e l’ambito del diritto

pubblico, o più precisamente del diritto amministrativo, ponendo alcuni principi comuni a livello comunitario in relazione alla sicurezza dei prodotti ed alla pubblicità ingannevole e comparativa (18).

Il diritto comunitario dei consumatori è scaturito dal processo di costruzione del mercato unico e tale legame ha determinato l’immagine del consumatore ivi delineata (19).

A conferma di questa affermazione, si può ricordare che l’acquis normativo in esame riserva una attenzione marginale ad altri aspetti della protezione del consumatore inteso come “cittadino” (20). Indubbiamente, gli obiettivi della protezione del consumatore e

dell’instaurazione del mercato unico hanno un buon grado di complementarietà: il consumatore ottiene dei benefici dall’aumento della scelta tra i diversi prodotti, dalla

(13) Dir. CE 87/102/CEE del Consiglio, 22 dicembre 1986, relativa al ravvicinamento delle

disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo, in G.U.C.E., L 42, 12 febbraio 1987.

(14) Dir. CE 94/47/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 26 ottobre 1994, concernente la tutela

dell'acquirente per taluni aspetti dei contratti relativi all'acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili, in G.U.C.E., L 280, 29 ottobre 1994.

(15) Dir. CE 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 20 maggio 1997 riguardante la

protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, in G.U.C.E., L 144, 4 giugno 1997. (16) Z

ENO-ZENCOVICH, Il diritto europeo dei contratti (verso la distinzione fra “contratti

commerciali” e “contratti dei “consumatori”), in Giur. it., 1993, IV, p. 69 ss.

(17) Dir. CE 85/374/CEE del Consiglio del 25 luglio 1985 relativa al ravvicinamento delle disposizioni

legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, in G.U.C.E., L 210, 7 agosto 1985.

(18) Dir. CE 2001/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 3 dicembre 2001, relativa alla

sicurezza generale dei prodotti, in G.U.C.E., L 011, 15 gennaio 2002; Dir. CE 84/450/CEE del Consiglio, 10 settembre 1984 relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità ingannevole, in G.U.C.E, L 250, 19 settembre 1984; Dir. CE 97/55/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, 6 ottobre 1997 che modifica la direttiva 84/450/CEE relativa alla pubblicità ingannevole al fine di includervi la pubblicità comparativa, in G.U.C.E, L 290, 23 ottobre 1997.

(19) EVERSON, Legal Constructions of the Consumer, in TRENTMANN (a cura di), The making of the consumer, knowledge, power and identity in the modern world, Berg-Oxford-New York, 2006, pp. 99-121.

(20) S

TUDY GROUP ON SOCIAL JUSTICE IN EUROPEAN PRIVATE LAW, Social justice in European Contract

Law: A Manifesto, in Eur. Law Journal, 2004, pp. 653-674; SCHARPF, The European Social Model: Coping

with Diversity, in Journal of Common Market Studies, 2002, pp. 645-670; WILHELMSSON, Consumer Law

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concorrenza tra i medesimi e dalle economie di scala nella produzione che si traducono – o almeno dovrebbero tradursi – in prezzi più bassi per i prodotti. Tuttavia, un mercato unico più ampio, e quindi più complesso, presenta maggiori rischi ed introduce nuovi problemi per il consumatore finale che è chiamato tanto ad informarsi quanto a decidere in modo autonomo tra una vasta gamma di prodotti.

Uno degli aspetti salienti del suddetto acquis normativo consiste nella sua natura frammentaria: il diritto europeo dei consumatori non è frutto di un programma sistematico, bensì di un insieme piuttosto complesso, e in parte confuso, di influenze provenienti dal progetto di creare un mercato unico comunitario, un fine perseguito a partire dagli anni ’70 del secolo scorso attraverso l’introduzione di norme comuni agli Stati membri.

L’armonizzazione implica l’adozione da parte della Comunità della funzione di promuovere delle regole comuni e tale processo ha prodotto, come effetto incidentale, una nuova regolazione, o più esattamente una re-regolamentazione, nel senso che la Comunità non sempre ha agito da regolatore in prima istanza, ma piuttosto ha cancellato, modificato o riformulato le norme nazionali pre-esistenti. La scelta circa il contenuto della norma comunitaria al fine di re-regolamentare la disciplina degli Stati membri spetta alla Comunità e la qualità della re-regolamentazione stabilita a livello comunitario è costituzionalmente rilevante, dal momento che tale processo coinvolge il rapporto tra l’integrazione del mercato ed il quadro normativo e regolamentare degli Stati membri (artt. 95 e 153.2, lettera b, Tratt. CE) (21).

La ricostruzione dell’immagine del consumatore presuppone perciò l’esame del frammentario acquis normativo comunitario; alcuni principi propri di questa disciplina, quali ad esempio la necessità di fornire una informazione adeguata al cliente finale ed il rispetto per l’autonomia delle parti, sono stati oggetto di studio da parte della dottrina (22).

Tali principi riflettono la percezione del fatto che i fallimenti del mercato privano il

(21) Tratt. CE, nel testo risultante dalla versione consolidata, in G.U.C.E., C 321, 29 dicembre 2006.

(22) S

TUYCK, European Consumer Law after the Treaty of Amsterdam: Consumer Policy in or beyond

the Internal Market?, in Comm. Market Law Rev., 2000, p. 367; GRUNDMANN, European Contract Law(s) of

What Colour?, in Eur. Rev. Contract Law, 2005, p. 184; WEATHERILL, EU Consumer Law and Policy, Cheltenham, Elgar, 2005;JOERGES, Europeanisation as Process: Thoughts on the Europeanisation of Private

Law, in Eur. Public Law, 2005, p. 63; MICKLITZ, De la Nécessité d’une Nouvelle Conception pour le

Développement du Droit de la Consommation dans la Communauté Européenne, in CALAIS-AULOY (a cura di), Liber amicorum Jean Calais-Auloy, Études de droit de la consommation, Paris, Dalloz, 2004 ;REICH e MICKLITZ, Europäisches Verbraucherrecht, Baden-Baden, 2003; HOWELLS eWILHELMSSON, EC Consumer

Law: has it come of age?, in Eur. Law Review, 2003, p. 370; GRUNDMANN, Information, Party Autonomy

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consumatore di un luogo efficiente in cui operare ed un mercato non trasparente suggerisce una risposta normativa che promuova l’obbligo per i produttori di fornire certe informazioni. Tale impostazione segue un modello di tutela che è divenuto uno dei più comuni nella politica comunitaria di tutela degli interessi economici del consumatore (23).

In alcuni provvedimenti, la Comunità sembra presupporre che il consumatore sia capace di tutelarsi nel mercato, elaborando le informazioni obbligatoriamente offerte dai produttori e, ove opportuno, esercitando il diritto di recesso nei termini e con le modalità stabilite per legge; per esemplificare si può ricordare il disposto della Dir. CE 85/577/CEE relativa ai contratti negoziati dai consumatori fuori dai locali commerciali (24). Il preambolo

della direttiva sottolinea che, nei contratti conclusi fuori dai locali commerciali, il consumatore, essendo vittima dell’effetto “sorpresa”, non è preparato a fronteggiare “l’assalto” del professionista (25); nonostante ciò, il provvedimento non vieta totalmente la

pratica in questione, ma si limita a regolamentarla alla luce del pericolo che il consumatore sia influenzabile in virtù della sorpresa e delle particolari condizioni di tale operazione commerciale. Analogamente, la Dir. CE 2005/29/CE non vieta tutte le pratiche commerciali, ma solo alcune (“Lista Nera”) e regolamenta le altre alla luce della medesima immagine del consumatore “attento e informato”.

Procedendo nell’esame, occorre sottolineare che alcune direttive presentano delle differenze di dettaglio tra loro poiché esse non fissano un unico e chiaro termine di ripensamento per il consumatore, ma termini differenti a seconda della fattispecie (26).

Siffatte differenze sono criticabili in quanto esse derivano, con buona probabilità, da una certa disattenzione nell’elaborazione delle norme e tale disattenzione, oltre a non giovare

(23) HOWELLS, JANSSEN eSCHULZE (a cura di), Information Rights and Obligations: a Challenge for Party Autonomy and Transactional Fairness, Aldershot, 2005; KERBER,GRUNDMANN e WEATHERILL (a cura di), Party Autonomy and the Role of Information in the Internal Market, Berlin, 2002; WEATHERILL, The

Role of the Informed Consumer in European Community Law and Policy, in Consumer Law Journal, 1994, pp. 49-69; ID.,The Evolution of European Consumer Law and Policy: From Well-Informed Consumer to Confident Consumer? in MICKLITZ (a cura di), Rechtseinheit oder Rechtsvielfalt in Europa? Rolle und

Funktion des erbraucherrechts in der EG und den MOE-Staaten, Baden-Baden, 1996.

(24) Dir. CE 85/577/CEE del Consiglio del 20 dicembre 1985 per la tutela dei consumatori in caso di

contratti negoziati fuori dei locali commerciali, in G.U.C.E., L 372, 31 dicembre 1985.

(25) “Considerando che la caratteristica dei contratti conclusi fuori dai locali commerciali del

commerciante è che, di regola, il commerciante prende l'iniziativa delle trattative, il consumatore è impreparato di fronte a queste trattative e si trova preso di sorpresa”.

(26) R

EKAITI eVAN DEN BERGH, Cooling-off periods in the Consumer Laws of the EC Member States:

a Comparative Law and Economics Approach, in Journal of Consumer Policy, 2001, p. 371; VOGENAUER e WEATHERILL (a cura di), The Harmonisation of European Contract Law: Implications for European Private

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alla coerenza ed alla sistematicità dell’acquis comunitario (27), appare quantomeno

pericolosa poiché la diffusione delle informazioni da parte dei produttori e il diritto di recesso dopo il periodo di ripensamento sono elementi fondamentali per assicurare una tutela effettiva.

Altre direttive sembrano invece più incentrate sulla volontà di salvaguardare la parte economicamente più debole e, conseguentemente, sulla necessità di vietare alcune pratiche commerciali. A riguardo si possono citare tanto la Dir. CE 84/450/CEE (28) che vieta, in

linea generale, la pubblicità ingannevole, quanto la Dir. CE 93/13/CEE che vieta le clausole abusive nei contratti del consumatore: entrambe regolano non solo la forma, ma anche il contenuto dell’operazione tra le parti, svolgendo in tal modo un ruolo primario all’interno del diritto europeo dei contratti (29). Così, il preambolo alla Dir. CE 93/13/CEE

laddove si asserisce che “chi acquista beni e servizi deve essere protetto contro l’abuso di potere da parte del venditore o grossista, in particolare contro i comuni contratti unilaterali o l’esclusione sleale dei diritti essenziali nei contratti” (30). Nella sentenza Océano Grupo

Editorial SA c. Rocío Murciano Quintero la Corte di giustizia ha chiarito che il sistema di tutela della Dir. CE 93/13/CEE è fondato sull’idea che il consumatore si trova in una situazione di inferiorità rispetto al professionista: tale inferiorità, che si manifesta sia rispetto al potere nelle trattative sia rispetto al diverso grado di informazione delle parti, induce il consumatore ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista senza incidere in alcun modo sul contenuto delle stesse (31).

In questo caso, l’immagine del consumatore propria dell’acquis comunitario è quella di un consumatore-vittima dello squilibrio di potere economico strutturale nel mercato, i cui interessi devono essere protetti con una specifica regolamentazione come nel caso delle clausole abusive.

(27) COMM.CE, Libro Verde “Revisione dell’acquis relativo ai consumatori”, 8 febbraio 2007, COM (2006) 744 finale.

(28) Dir. CE 84/450/CEE del Consiglio, 10 settembre 1984 relativa al ravvicinamento delle

disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità ingannevole, in G.U.C.E., L 250, 19 settembre 1984.

(29) NEBBIA, Unfair Contract Terms in European Law, A Study in Comparative and EC Law, Hart,

London, 2006; ID., Law as Tradition and the Europeanization of Contract Law: a Case Study, in Yearbook

of European Law, 2004, p. 363.

(30) Dir. CE 93/13/CEE del Consiglio, 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti

stipulati con i consumatori, in G.U.C.E., L 095, 21 aprile 1993.

(31) Corte CE, 27 giugno 2000, cause riunite da 240/98 a 244/98, Océano Grupo Editorial SA c. Rocío Murciano Quintero, in Racc., 2000, p. I-4941, par. 25.

(9)

Alla luce dell’esame sin qui condotto emergono diverse concezioni del consumatore che è inteso ora come un attore del mercato, informato sulle caratteristiche dei prodotti e consapevole delle proprie scelte, ora come una potenziale vittima dello squilibrio di potere economico. L’acquis comunitario non presenta una nozione omogenea del consumatore e ciò risulta essere particolarmente evidente ove si consideri che il sistema include anche specifiche misure volte a tutelare gli interessi dei gruppi dei consumatori vulnerabili, quali, per esempio, i minori menzionati nella Dir. CE 97/7/CE relativa ai contratti a distanza dei consumatori (32).

Tale disomogeneità ha trovato un riconoscimento nell’art. 5.3 della direttiva in esame che ammette espressamente che i consumatori vulnerabili possono formare un gruppo definito, con caratteristiche specifiche, e che tale gruppo può godere di una specifica tutela. Nell’interpretare il disposto del suddetto articolo sarà utile, ove non necessario, ricordare l’acquis relativo alla protezione di alcune categorie particolarmente deboli di consumatori e la relativa interpretazione giurisprudenziale.

L’immagine di consumatore propria del quadro normativo comunitario è quella di un soggetto non particolarmente informato, attento o razionale nelle sue scelte, ma di un uomo medio che può essere vittima del mercato il cui andamento deve essere, talvolta, corretto con specifiche misure normative.

3. – La figura del consumatore come di un soggetto “ragionevolmente informato, cauto e attento” emerge principalmente dalla giurisprudenza comunitaria relativa alla liberalizzazione dello scambio dei beni.

L’integrazione economica dei mercati nazionali richiede un meccanismo per controllare e, quando è opportuno, per proibire le regolamentazioni nazionali che ostacolano il libero scambio dei beni e dei servizi. Alcune previsioni fondamentali del Tratt. CE convergono nel restringere le misure nazionali che potrebbero avere un effetto negativo nello scambio commerciale intra-comunitario: i provvedimenti comunitari adottati su tali basi sono denominati “negativi” in quanto il loro principale effetto consiste

(32) Dir. CE 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 1997 riguardante la

protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, in G.U.C.E., L 144, 4 giugno 1997.

Considerando 10: “La presente direttiva (...) deve garantire un alto livello di tutela degli obiettivi di interesse generale, come la protezione dei minori e della dignità umana, la tutela del consumatore e della sanità pubblica”.

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nel vietare le misure normative e regolamentari nazionali che siano in conflitto con il processo di integrazione del mercato (33).

L’art. 28 Tratt. CE costituisce la norma fondamentale in materia di liberalizzazione dello scambio delle merci all’interno del mercato unico (34). La sua applicazione nell’area

dei beni trova un parallelo per i servizi nell’art. 49 Tratt. CE che è stato analogamente interpretato dalla giurisprudenza comunitaria come uno strumento di controllo delle misure nazionali che impediscono ai fornitori di offrire liberamente i propri servizi all’interno del mercato unico (35).

Nell’interpretazione della Corte di giustizia l’art. 28 Tratt. CE vieta tutte le regole commerciali messe in atto dagli Stati membri atte ad ostacolare, direttamente o indirettamente, effettivamente o potenzialmente, il commercio intra-comunitario. In forza di tale lettura, esso introduce un rigoroso controllo sulle misure nazionali che sono di ostacolo a tale obiettivo.

Detto articolo è suscettibile di un ristretto numero di eccezioni: gli artt. 30 e 46 del Tratt. CE ammettono, ad esempio, l’esistenza di alcune barriere commerciali tra gli Stati membri sulla scorta di motivazioni legate alla moralità pubblica, all’ordine pubblico, alla sicurezza ed alla salute pubblica. La giurisprudenza comunitaria ha confermato l’applicabilità di questo limitato numero di eccezioni, facendo salvo il principio fondamentale della liberalizzazione dello scambio delle merci ed allineandosi nel perseguire le finalità dell’art. 28 Tratt. CE.

Ai nostri fini, rilevano le sentenze nelle quali si controverte della possibilità di fare salve alcune misure regolamentari nazionali relative alla tutela dei consumatori, derogando al processo di liberalizzazione: tali decisioni mostrano implicitamente l’immagine del consumatore accolta dai giudici comunitari e confermano il carattere funzionale di tale nozione rispetto alla creazione del mercato unico.

La nota decisione Rewe-Zentral Ag. c. Bundesmonopolverwaltung Fuer Branntwein concerneva la commercializzazione di un liquore francese al mirtillo nero, il Cassis de

(33) J

OERGES, The Market without the State?, cit.; POIARES MADURO, op. cit.

(34) Tratt. CE, nel testo risultante dalla versione consolidata, in G.U.C.E., C 321, 29 dicembre 2006.

(35) Art. 49.1 Tratt. CE: “Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione

dei servizi all'interno della Comunità sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione”.

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Dijon (36): la normativa tecnica tedesca imponeva delle restrizioni nella messa in

commercio di bevande definite come “liquorose”, ma contenenti un tasso alcolico basso e comunque inferiore a quello ivi indicato. Tale norma ostacolava l’ingresso dei liquori prodotti in Francia nel mercato tedesco perché le regole tecniche francesi erano diverse e ammettevano che la denominazione “liquore” potesse essere riconosciuta anche a bevande con un tasso alcolico più basso di quello previsto dalle regole tedesche. Secondo la ricorrente, la regolamentazione tedesca creava una barriera al libero commercio di questi prodotti tra gli Stati membri, mentre, per le autorità tedesche, essa rispondeva alle aspettative dei consumatori che si attendevano determinate caratteristiche dai prodotti indicati come liquori (i.e. un elevato tasso alcolico). La Corte di giustizia ha ritenuto che la disciplina tedesca non aveva lo scopo di tutelare il consumatore ed ha stabilito che tali regole finivano semplicemente per negare al consumatore tedesco la possibilità di provare un prodotto fabbricato secondo una diversa tradizione nazionale. La sentenza ha confermato l’applicabilità dell’art. 28 Tratt. CE nei confronti delle regole tecniche tedesche e ciò in quanto tali regole sono state considerate discriminatorie sulla base della diversa provenienza dei prodotti in questione.

Analogamente, la decisione Walter Rau Lebenmitelwerke c. De Smedt P.V.B.A. ha sancito che una normativa belga, in base alla quale la margarina deve essere messa sul mercato sotto forma di tavolette cubiche, non è compatibile con l’art. 28 Tratt. CE (37). Per

le autorità del Belgio si trattava di un provvedimento a tutela del consumatore in quanto la forma cubica rendeva la margarina facilmente identificabile sugli scaffali come un prodotto diverso dal burro. Diversamente, per i giudici comunitari tale considerazione non poteva prevalere sull’interesse del consumatore verso un mercato unico ed una maggiore scelta tra i prodotti: la norma in esame impediva l’importazione in Belgio della margarina commercializzata in forme diverse negli altri Stati membri, tanto che la margarina costava di più in Belgio che negli Stati vicini e che la libertà di scelta del consumatore risultava essere ostacolata. La sentenza, pur non escludendo totalmente la possibilità di specifiche iniziative nazionali di tutela del consumatore, concludeva che la normativa belga era troppo restrittiva, posto che i consumatori avrebbero potuto essere efficacemente protetti

(36) Corte CE, 20 febbraio 1979, causa C-120/78, Rewe-Zentral Ag c. Bundesmonopolverwaltung Fuer Branntwein, in Racc., 1979, p. I-649.

(37) Corte CE, 10 novembre 1982, causa C-261/81, Walter Rau Lebenmitelwerke c. De Smedt P.V.B.A., in Racc., 1982, p. I-3961.

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attraverso altre misure (es. con l’adozione di una particolare etichetta per individuare questo prodotto).

L’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 28 Tratt. CE ha fornito un forte impulso al mercato unico, la cui realizzazione presuppone il mutuo riconoscimento, seppure non automatico, delle legislazioni nazionali, in forza del quale se un prodotto è adatto per un mercato nazionale, allora esso dovrebbe essere considerato “adatto” ai mercati degli altri Stati membri. In questo contesto, i prodotti che soddisfano il mercato del paese d’origine possono essere esclusi dal mercato dello Stato verso il quale essi sono esportati solo al ricorrere di motivi ben determinati ed eccezionali.

Le decisioni qui ricordate toccano due aspetti che sono importanti per fare emergere l’immagine del consumatore propria della giurisprudenza comunitaria (38). Da una parte,

l’applicazione dell’art. 28 Tratt. CE è in linea con l’interesse del consumatore ad un mercato unico ed alla maggiore possibilità di scelta tra i prodotti. Dall’altra, nel caso Cassis de Dijon, la normativa tedesca è stata qualificata davanti alla Corte di giustizia come “una misura nazionale di tutela del consumatore”. Perciò, i giudici comunitari sono stati chiamati a determinare quale fosse “l’interesse del consumatore” o meglio a stabilire se tale interesse era maggiormente protetto dall’art. 28 Tratt. CE o dalla normativa nazionale in questione. In tal caso, la decisione era abbastanza prevedibile poiché la normativa tedesca introduceva un metodo assai discutibile per tutelare del consumatore e, soprattutto, era evidente che la disciplina controversa aveva come fine principale quello di difendere gli interessi dei produttori tedeschi.

In altre fattispecie non è stato altrettanto facile trovare un equilibrio tra la libertà del consumatore di scegliere i prodotti in un mercato unico più ampio e competitivo, da un lato, e la tutela dei suoi interessi assicurata da una serie di norme e regolamenti adottati dai singoli Stati membri, dall’altro. La necessità di trovare un equilibrio tra questi due obiettivi impone, infatti, il difficile compito di definire quali siano le priorità nella protezione degli interessi del consumatore (39).

L’immagine del consumatore informato, attento e cauto è emersa proprio nella giurisprudenza che ha ad oggetto il bilanciamento di questi due interessi: per tale ragione,

(38) Corte CE, 20 febbraio 1979, cit.

(39) BOURGOIGNIE e TRUBEK, Consumer Law, Common Markets and Federalism in Europe and the United States, Integration through Law, Europe and the American Federal Experience, Berlin-New York, 1987.

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l’esame di tali sentenze consente di delineare l’immagine del consumatore che informa il diritto comunitario.

Oggetto della sentenza Schutzverband gegen Unwesen in der Wirtschaft c. Yves Rocher GmbH era una normativa tedesca che proibiva i messaggi pubblicitari nei quali i prezzi dei prodotti erano oggetto di una comparazione diretta. La normativa in questione faceva salvi solo i messaggi pubblicitari dove la comparazione dei prezzi era posta in secondo piano rispetto agli altri contenuti (40). La ricorrente Yves Rocher faceva notare che

tale previsione inibiva la sua capacità di costruire una strategia pubblicitaria comune per il mercato unico, in quanto la disciplina contestata le impediva di utilizzare in Germania la medesima tipologia di messaggi impiegata negli altri Stati membri. Per la Corte di giustizia, la normativa in questione impediva i messaggi pubblicitari che, in virtù del carattere comparativo, potevano sembrare, anche se veri, più aggressivi e ciò ostacolava il commercio intra-comunitario e, soprattutto, la piena informazione del consumatore rispetto alle caratteristiche del prodotto. Alla luce di queste considerazioni, la decisione ha sancito la contrarietà di questa norma rispetto alle previsioni di diritto comunitario qualificando il consumatore come “un soggetto ben informato, capace di elaborare le informazioni ricevute, e di agire in modo conseguente”.

Altrettanto interessante è il caso Verband Sozialer Wettbewerb e V c. Clinique

Laboratoires SNC (41). Una normativa tedesca proibiva l’uso della denominazione

“Clinique” per i prodotti cosmetici per non ingenerare confusione circa le capacità medicinali dei medesimi (“Klinik” è la parola tedesca per indicare un ospedale). In base alla conclusione dei giudici, questa norma aveva l’effetto di ostacolare il commercio dei prodotti recanti la dicitura “Clinique” nel territorio tedesco e non trovava una valida giustificazione in relazione alla protezione del consumatore: difficilmente, infatti, un consumatore avrebbe potuto essere indotto in confusione a causa dell’uso del termine “Clinique”. Anche in questo caso il modello di riferimento è stato quello di un individuo adeguatamente informato e razionale, un cittadino del mercato che non potrebbe facilmente cadere in errore davanti ad una denominazione come quella oggetto della controversia.

(40) Corte CE, 18 maggio 1993, causa C-126/91, Schutzverband gegen Unwesen in der Wirtschaft c. Yves Rocher GmbH, in Racc., 1993, p. I-2361.

(41) Corte CE, 2 febbraio 1994, causa C-315/92, Verband Sozialer Wettbewerb EV c. Clinique Laboratoires SNA e Estée Lauder Cosmetics, in Racc., 1994, p. I-317.

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Questa immagine del consumatore è stata apertamente accolta e sviluppata anche nella decisione “Mars” (42). Durante una campagna pubblicitaria la società Mars aveva apposto una particolare dicitura (“+10%”) per pubblicizzare il fatto che le barrette di cioccolato erano più larghe di circa il 10% rispetto alla consueta dimensione. Tale informazione rispondeva al vero ma la dicitura posta sull’involucro delle barrette copriva una superficie maggiore del 10% del prodotto e tale fatto era stato oggetto di un ricorso davanti ai giudici tedeschi: per i ricorrenti tale etichetta avrebbe potuto ingannare i consumatori sulla grandezza della barretta di cioccolato. La vicenda approdava davanti ai giudici comunitari secondo cui i consumatori, essendo ragionevolmente informati e prudenti, sono consapevoli che non c’è necessariamente un legame tra un avviso pubblicitario e la quantità di prodotto.

A partire dal caso Cassis de Dijon il giudice comunitario ha cercato di porre l’autonomia regolamentare degli Stati membri sotto il controllo esercitato dal diritto del commercio intra-comunitario, insistendo sul fatto che qualunque intervento pubblico nel mercato nazionale deve avere una giustificazione nel diritto comunitario. L’orientamento della Corte di giustizia ha rappresentato una opportunità per superare alcune espressioni obsolete e scarsamente rappresentative del potere normativo nazionale capaci di ostacolare il processo di integrazione del mercato unico. Spesso, le normative controverse sono risultate essere “indifendibili” da parte delle stesse autorità nazionali che le avevano dapprima approvate: nella sentenza Mars, il governo tedesco non è stato in grado di presentare una difesa convincente sulla necessità di aumentare la soglia di tutela del consumatore tedesco rispetto a quella che è ritenuta sufficiente in altri Stati membri dell’Unione Europea. Ed il fatto che la Germania volesse affermare la propria libertà di avere norme più restrittive di quelle in vigore negli Stati membri non costituisce evidentemente una valida ragione a favore di tali provvedimenti.

Nelle sentenze qui considerate, il criterio del consumatore “attento ed informato” assurge ad elemento per valutare la compatibilità di una certa normativa nazionale con la previsione di cui all’art. 28 Tratt. CE. E’ chiaro che questo orientamento ha l’intento di salvaguardare l’integrazione del mercato contro il rischio che una normativa nazionale possa ostacolarne il processo di convergenza in virtù della asserita necessità di proteggere

(42) Corte CE, 6 luglio 1995, causa C-470/93, Verein Gegen Unseren in Handel und Gewerbe Köln e V c. Mars GmbH, in Racc., 1995, p. I-1923.

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un ristretto gruppo di consumatori che siano particolarmente sprovveduti. A tale impostazione si può obiettare che le scelte della Corte di giustizia sono dettate dalla volontà di fare prevalere il principio della libertà economica nel mercato unico, rispetto ad altri, spesso di natura sociale.

4. – I primi espliciti riferimenti alla nozione di “consumatore medio” sono comparsi in alcune decisioni concernenti la confusione tra i marchi e le denominazioni dei prodotti.

Nella decisione Gut Springenheide la controversia verteva sulla compatibilità con il diritto comunitario di una indicazione apposta sugli imballaggi delle uova commercializzate da Gut Springenheide e di un foglietto informativo inserito negli stessi imballaggi (43). Il giudice comunitario è stato chiamato a stabilire se tale indicazione era

ingannevole con riferimento alle disposizioni del Trattato CE e del diritto derivato. Al fine di svolgere tale indagine, la Corte di giustizia ha preso in considerazione la (presunta) aspettativa di un consumatore medio che si assume essere normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto (44). Tale espressione rende evidente l’implicito

collegamento con la giurisprudenza discussa nel paragrafo precedente.

L’orientamento espresso in Gut Springenheide ha trovato applicazione anche nella giurisprudenza comunitaria successiva (45) e in particolare nel caso Commissione c. Spagna del 2003 (46). I giudici comunitari sono stati chiamati a pronunciarsi sulla legittimità della

normativa spagnola sul contenuto minimo di cloro previsto per i prodotti per candeggiare; secondo la Spagna, i consumatori si aspettano che una candeggina contenga una quantità minima di cloro così come indicato nella normativa controversa. Pertanto, essi sarebbero stati disorientati dalla presenza nel mercato spagnolo di candeggine importate da altri Stati membri con un contenuto di cloro inferiore al valore minimo previsto dalla norma

(43) Corte CE, 16 luglio 1998, causa C-210/96, Gut Springenheide GmbH e Rudolf Tusky c.

Oberkreisdirektor des Kreises Steinfurt - Amt für Lebensmittelüberwachung, in Racc., 1998, p. I-4657. (44) J

OERGES, What is left of the European Economic Constitution? A melancholic eulogy, in Eur. Law

Rev., 2005, pp. 461-489; POIARES MADURO, op. cit., pp. 55-82.

(45) Trib. CE, 14 dicembre 2006, cause T-81/03, T-82/03 e T-103/03, Mast-Jägermeister AG c. Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), in G.U.C.E., C 331, 30 dicembre 2006; Trib. CE, 19 ottobre 2006, cause riunite da T-350/04 a T-352/04, Bitburger Brauerei Th.

Simon GmbH c. Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), in G.U.C.E., C 310, 16 dicembre 2006; Trib. CE, 17 ottobre 2006, causa T-483/04, Armour Pharmaceutical Co.

c. Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), ivi.

(46)Corte CE, 6 novembre 2003, causa C-358/01, Commissione delle CE c. Regno di Spagna, in

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nazionale. Queste argomentazioni ricordano quelle discusse in Cassis de Dijon sulle aspettative dei consumatori tedeschi rispetto al tasso alcolico dei liquori ed anche in questo caso tali argomenti sono stati recisamente respinti dalla Corte di giustizia. Per i giudici comunitari il consumatore di riferimento è il consumatore medio che è “ragionevolmente ben informato, attento e cauto” ed un simile soggetto non può certo essere disorientato dalla presenza nel mercato di candeggine con un diverso tasso di cloro (47).

Si può concludere che, per il giudice comunitario, il “consumatore medio” trae un maggiore beneficio dall’accresciuta libertà di scelta tra i prodotti nel mercato unico piuttosto che dalla presenza di alcune specifiche normative nazionali ?

Tale conclusione non è pienamente convincente perché la Corte di giustizia ha mostrato un atteggiamento altalenante nel bilanciare il principio della libertà economica nel mercato unico e quello del rispetto dell’autonomia degli Stati membri nel fissare una più alta soglia di protezione per i consumatori.

Indubbiamente, il primo principio prevale nella decisione Royale Belge SA c.

Georges Ochoa e Stratégie Finance SPRL (48). Nel caso di specie, il giudice comunitario si

è trovato a dover ponderare il fine dell’integrazione del mercato unico con il principio della “giustizia contrattuale” tra le parti. Oggetto di esame era la conformità di una norma belga - che prevedeva l’obbligo di fornire una serie di informazioni ai consumatori anteriormente alla conclusione dei contratti di assicurazione sulla vita - con quanto previsto dall’art. 31.3 della direttiva 92/96/CEE (“terza direttiva assicurazione vita”) (49). La previsione contestata prevede che: “la proposta di un contratto - ovvero, ove manchi la proposta, la polizza - deve: (...) b) informare il contraente che la risoluzione, la riduzione o il riscatto di un contratto di assicurazione sulla vita in vigore, effettuati allo scopo di sottoscrivere un

(47) Paragrafo 53 della decisione Commissione delle CE c. Regno di Spagna: “Risulta dalla

giurisprudenza della Corte che il «consumatore di riferimento» è un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto (v., per quanto riguarda i prodotti alimentari, sentenza 16 luglio 1998, causa C-210/96, Gut Springenheide e Tusky, in Racc., p. I-4657, punto 31). Tale criterio, basato sul principio di proporzionalità, si applica anche nell’ambito della commercializzazione di prodotti cosmetici quando un errore sulle caratteristiche del prodotto non può compromettere la sanità pubblica (sentenze 13 gennaio 2000, causa C-220/98, Estée Lauder, in Racc., p. I-117, punto 28, e 24 ottobre 2002, causa C-99/01,

Linhart e Biffl, in Racc., p. I-9375, punto 31)”.

(48) Corte CE, 5 marzo 2002, causa C-386/00, Axa Royale Belge SA c. Georges Ochoa e Stratégie Finance SPRL, in Racc., 2002, p. I-2209.

(49) Cfr. Dir. CE 2002/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2002, relativa

alla vigilanza supplementare sugli enti creditizi, sulle imprese di assicurazione e sulle imprese di investimento appartenenti ad un conglomerato finanziario e che modifica le direttive 73/239/CEE, 79/267/CEE, 92/49/CEE, 92/96/CEE, 93/6/CEE e 93/22/CEE del Consiglio e le direttive 98/78/CE e 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, in G.U.C.E., L 35, 11 febbraio 2003.

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altro contratto di assicurazione sulla vita, sono generalmente pregiudizievoli per l’assicurato” (paragrafo 6 della decisione). Per il governo belga, la norma era utile per informare il consumatore e quindi essa contribuiva alla tutela dei suoi interessi di fronte alla ampia gamma dei prodotti offerti dalle società di assicurazioni. Diversamente, secondo la decisione, la norma controversa non induceva il consumatore a confrontare tra loro i servizi assicurativi all’interno del mercato unico, bensì essa lo incoraggiava a mantenere il contratto di assicurazione in forza con il proprio assicuratore, favorendo in tal modo gli assicuratori operanti nel territorio nazionale. Sulla scorta di tali considerazioni, la norma belga, nonostante il suo carattere informativo e, dunque, protettivo degli interessi dei consumatori, è stata ritenuta in contrasto con l’art. 31.3 della Dir. CE 92/96/CEE (50).

Contrariamente a ciò che è avvenuto in Axa Royale Belge SA, alcune normative nazionali restrittive del commercio intra-comunitario hanno finito per prevalere rispetto alle esigenze proprie del processo di liberalizzazione del mercato unico (51).

Così, la recente decisione A-Punkt Schmuckhandels GmbH c. Claudia Schmidt (52)

verte sul rapporto tra gli artt. 28 e 30 Tratt. CEE ed una disposizione austriaca che vieta la vendita porta a porta di gioielli in argento (53). Secondo i giudici comunitari, la tutela dei

consumatori può giustificare il divieto di vendere e raccogliere ordini di tali prodotti mediante la vendita porta a porta: la vendita porta a porta si presenta come una pratica particolarmente pericolosa per il consumatore in quanto essa comporta una certa scarsità delle informazioni, l’impossibilità di comparare i prezzi dei gioielli ed una certa pressione psicologica all’acquisto legata alla particolare ubicazione della transazione.

Alla luce della suddetta sentenza, la preoccupazione che l’utilizzo del parametro del consumatore medio possa abbassare il livello di tutela per avvantaggiare il processo di

(50) PACE, Costituzione Europea e autonomia contrattuale. Indicazioni e appunti, in Riv. dir. civ., 2006, pp. 1-12.

(51) Corte CE, 16 maggio 1989, causa C-382/87, R. Buet et Sarl Educational Business Services c. Pubblico Ministero, in Racc., 1989, p. I-1235; Corte CE, C-1 e C-176 /90, Aragonesa de Publicidad Exterior

SA e Publivía SAE c. Departamento de Sanidad y Seguridad Social de la Generalitat de Cataluña, in Racc., 1991, p. I-4151.

(52) Corte CE, 26 febbraio 2006, causa C-441/04, A-Punkt Schmuckhandels GmbH c. Claudia Schmidt, in G.U.C.E., C 131, 3 giugno 2006. In senso contrario: Corte CE, 18 maggio 1993, causa C-126/91,

Schutzverband gegen Unwesen in der Wirtschaft c. Yves Rocher GmbH, in Racc., 1993, p. I-2361.

(53) L’art. 57, paragrafo 1, del codice austriaco delle professioni artigianali, commerciali e industriali

(Gewerbeordnung, BGBl, 194/1994, in prosieguo: la «GewO») vieta la vendita, nonché la raccolta di ordinazioni a domicilio di talune merci, segnatamente di gioielli in argento.

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liberalizzazione finisce per apparire eccessiva e ciò in ragione della capacità dei giudici comunitari di bilanciare gli interessi in gioco nel singolo caso.

A tale riguardo, è sufficiente ricordare quanto è accaduto nella controversia Estée

Lauder Cosmetics GmbH & Co. OHG c. Lancaster Group GmbH (54). Il giudice nazionale

domandava alla Corte di giustizia se gli articoli 30 e 36 del Tratt. CE e il disposto della Dir. CE 76/768/CEE ostavano ad una normativa nazionale che vietava l’importazione e la commercializzazione di un prodotto cosmetico che recava - nella propria denominazione - il termine “lifting” (55). Tale dicitura avrebbe potuto ingannare i consumatori sulla durata

degli effetti del prodotto? Secondo i giudici comunitari, per rispondere a tale quesito è necessario verificare se i consumatori tedeschi possono essere indotti in confusione in virtù di fattori sociali, culturali o linguistici ed ancora se le condizioni di utilizzazione del prodotto non siano di per sé sufficienti ad escludere fraintendimenti sulla sua durata. Ebbene, se un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, non dovrebbe attendersi effetti duraturi da una crema nella cui denominazione figura il termine “lifting”, spetta al giudice nazionale verificare, tenuto conto di tutti gli elementi pertinenti, se tale sia il caso nella fattispecie. A tale fine, il giudice nazionale può disporre una perizia o un sondaggio di opinione per ottenere chiarimenti sul carattere eventualmente ingannevole di una dicitura pubblicitaria e per determinare, conformemente al suo diritto nazionale, la percentuale di consumatori indotti in errore. Sulla scorta di tali valutazioni, il giudice può decidere ponderatamente il caso in questione. La sentenza Estée Lauder Cosmetics esemplifica come il criterio del “consumatore medio” debba essere “concretizzato” attraverso le necessarie indagini statistiche o perizie e come tale operazione possa contribuire ad evitare il pericolo di un abbassamento della soglia di tutela in nome del processo di integrazione del mercato unico.

5. – Dopo aver considerato la genesi del “consumatore medio” nel quadro del processo di liberalizzazione dello scambio delle merci ed il suo accoglimento nella Dir. CE 2005/29/CE, è possibile svolgere alcune considerazioni sulla “qualità” di tale nozione.

(54) Corte CE, 13 gennaio 2000, causa C-220/98, Estée Lauder Cosmetics GmbH & Co. OHG c. Lancaster Group GmbH., in Racc., 2000, p. I-117.

(55) Dir. CE 76/768/CEE del Consiglio, del 27 luglio 1976, concernente il ravvicinamento delle

(19)

Innanzitutto, la nozione in esame è scarsamente aderente alla realtà: è lecito dubitare che un consumatore sia in grado di assorbire tutte le informazioni che gli vengono offerte prima, durante e dopo il momento dell’acquisto, di valutarle e di agire razionalmente sulla base dei dati a sua disposizione (56).

Il diritto comunitario dei consumatori, con la direttiva in esame, sembra imporre un modello di consumatore “consapevole” e “razionale” che suscita immediatamente qualche domanda: siamo capaci di agire in modo consapevole e razionale senza essere influenzati da fattori esterni (es. la pubblicità)? Davanti ad un prodotto/servizio ponderiamo la sua effettiva utilità e le varie alternative o ci lasciamo cogliere da un impulso momentaneo all’acquisto (dettato da fattori contingenti come l’umore)?

Lo studio del comportamento del consumatore riguarda i processi che avvengono quando individui o gruppi di individui selezionano, acquistano, usano o dispongono di prodotti, servizi, idee o esperienze che soddisfano i loro bisogni o desideri (57).

Determinanti in tal senso sono stati gli studi sul comportamento umano delle scienze cognitive in forza dei quali l’essere umano è soggetto ad una serie di errori tanto nell’interpretare le informazioni che gli pervengono dall’esterno, quanto nell’assumere le proprie decisioni alla luce dei dati a disposizione (58). Questi studi rilevano, tra l’altro, i problemi legati all’attenzione e le difficoltà della memoria, dal momento che la capacità degli individui di archiviare informazioni è limitata e ancor più è limitata la capacità di recuperare le informazioni archiviate in precedenza. Analogo approfondimento è dedicato alla “comprensione delle informazioni” non essendo sempre facile organizzare, riassumere e usare i dati così da focalizzare le connessioni causali tra gli eventi e le caratteristiche fondamentali dell’ambiente in cui ci troviamo ad operare.

L’approccio cognitivo considera l’azione dell’individuo in relazione all’acquisizione delle informazioni ma anche nel processo decisionale, rilevando la presenza di elementi

(56) J

ACOBY, Is it rational to assume consumer rationality? Some psychological perspectives on

rational choice theory, in Roger Williams University Law Review, 2000, pp. 81-161.

(57) DALLI e ROMANI, Il comportamento del consumatore. Teoria e applicazioni di marketing, Milano,

2004. Lo studio del comportamento del consumatore è da alcuni decenni una vera e propria disciplina scientifica, caratterizzata da un sofisticato apparato concettuale e da una cospicua messe di risultati empirici.

(58) K

AHNEMAN e TVERSKY, Prospect theory: An analysis of decision under risk, in Econometrica, 1979, pp. 263-91;KAHNEMAN,SLOVIC eTVERSKY (a cura di), Judgment Under Uncertainty: Heuristics and

Biases, Cambridge University Press, 1982; KAHNEMAN eTVERSKY, Judgment under Uncertainty: Heuristics

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irrazionali nelle decisioni e l’influenza delle emozioni, dei sentimenti e dei fattori sociali sulle scelte degli esseri umani (59).

Alla luce di questi studi, il consumatore non si avvantaggia necessariamente di una maggiore libertà di scelta poiché egli non è in grado di “recepire” le informazioni relative ai prodotti, anzi un eccesso in tal senso rischia di essere controproducente favorendo la selezione casuale delle informazioni o, peggio, inducendo una certa confusione (60).

Il medesimo soggetto è, poi, suscettibile di errori e di condizionamenti nel momento di vagliare le informazioni ricevute e di assumere una decisione razionale sulla base dei dati disponibili (61). Il consumatore agisce spesso sulla base di valori simbolici – estetici, di

status, di immagine – che non sono riducibili a schemi di calcolo razionale e che ricadono nella sfera dell’irrazionale dell’individuo.

Queste riflessioni rendono evidente il legame, che andrebbe approfondito, tra la costruzione delle norme giuridiche e le conoscenze relative alle molteplici cause del comportamento umano (62). Esse consentono di concludere che il modello del consumatore

“adeguatamente informato e razionale” - per quanto funzionale per l’armonizzazione delle norme nazionali e per l’integrazione dei mercati - è difficilmente rinvenibile nella realtà. Gli studi cognitivi in questo ambito possono essere addotti a sostegno delle perplessità della dottrina nei confronti di una simile sopravvalutazione delle capacità del consumatore rispetto ai pericoli che derivano da un mercato ampio e competitivo (63).

6. – La Dir. CE 2005/29/CE ha fatto propria l’immagine del consumatore medio della giurisprudenza sopra considerata e ciò induce a chiedersi quale sarà l’incidenza del nuovo parametro sul livello di tutela dei consumatori.

In un simile quadro, i giudici nazionali sono chiamati ad esercitare la propria giurisdizione per stabilire quale possa essere la reazione del consumatore medio in relazione alla singola fattispecie: come si evince chiaramente nella citata sentenza Estée

(59) K

AHNEMAN,SLOVIC eTVERSKY, (a cura di), Judgment Under Uncertainty: Heuristics and Biases, cit.

(60) MALHOTRA, Information Load and Consumer Decision Making, in Journal of Consumer Research, 1982, pp. 419-430; JACOBY, Perspectives on Information Overload, ivi, 1984, pp. 432-435.

(61) H

ANSON eKYSAR, Taking behavioralism seriously: the problem of market manipulation, in New

York University Law Review, 1999, pp. 630-749.

(62) JONES e GOLDSMITH, Law and Behavioral Biology, in Columbia Law Review, 2005, pp. 405-502.

(63) INCARDONA ePONCIBÒ, The average consumer, the unfair commercial practices directive and the cognitive revolution, in Journal of Consumer Policy, 2007, pp. 21-38.

(21)

Lauder Cosmetics, detto parametro dovrà essere soggetto ad un processo di “concretizzazione”: una simile operazione è necessaria per evitare che una “meccanica applicazione” del criterio finisca per tradursi in una lesione i diritti dei consumatori meno avveduti.

Il sistema di valutazione della direttiva rende perciò indispensabile lo svolgimento di ricerche empiriche per accertare se un certo gruppo di consumatori sia vulnerabile ad una certa pratica commerciale e, in caso affermativo, in quale misura. Ciò anche se è difficile rilevare empiricamente le caratteristiche di tali gruppi di persone e, soprattutto, trarne delle conseguenze in relazione al loro (possibile) comportamento (64).

La previsione di cui all’art. 5.3 della Dir. CE 2005/29/CE – introducendo la figura del “consumatore vulnerabile” – dovrebbe concorrere a tale scopo: tale norma vieta le pratiche commerciali che possono falsare, in misura rilevante, il comportamento economico di quei gruppi di consumatori che siano particolarmente vulnerabili per età, infermità fisica o mentale o ingenuità. In tal caso, la pratica commerciale è valutata con riferimento ad un “gruppo vulnerabile” di consumatori e, segnatamente, a quanto è lecito attendersi da parte di un membro “medio” del gruppo in questione (65).

E’ interessante notare che il provvedimento in esame non riguarda i requisiti giuridici dei prodotti che rientrano nella sfera del buon gusto e della decenza proprio perché simili valutazioni possono differire notevolmente da uno Stato membro ad un altro a causa di diversità culturali. La clausola in esame introduce perciò una sorta di “limite culturale” che consente, ad esempio, di tenere conto del fatto che la vendita di prodotti fuori dei locali commerciali e, più in dettaglio, la vendita nei luoghi pubblici è percepita diversamente dai consumatori in base ai luoghi dove tale pratica effettuata. In tale ambito, gli Stati membri mantengono la loro competenza nel bandire quelle pratiche commerciali che risultino essere contrarie al buon gusto e alla decenza. Quale interpretazione si può dare ad una lettura congiunta delle due nozioni?

(64) La necessità di ricorrere a studi empirici per chiarire tali aspetti è sollevata da S

TUYCK,TERRYN e VAN DYCK, op. cit., pp. 121-122.

(65) Il considerando 19 della Dir. CE 2005/29/CE rende esplicite le modalità per valutare una pratica

commerciale rispetto al consumatore vulnerabile: “qualora talune caratteristiche, quali età, infermità fisica o mentale o ingenuità, rendano un gruppo di consumatori particolarmente vulnerabile ad una pratica commerciale o al prodotto a cui essa si riferisce, e il comportamento economico soltanto di siffatti consumatori sia suscettibile di essere distorto da tale pratica, in un modo che il professionista può ragionevolmente prevedere, occorre far sì che essi siano adeguatamente tutelati valutando la pratica nell'ottica del membro medio di detto gruppo”.

(22)

Il meccanismo ivi previsto è un tentativo di conciliare la grande diversità che caratterizza il comportamento dei consumatori negli Stati membri con la necessità di trovare un criterio di regolamentazione comune per il mercato unico. In altre parole, si tratta di una nozione creata artificiosamente a sostegno dell’armonizzazione del mercato unico e che segue l’orientamento inizialmente emerso nella giurisprudenza sulla liberalizzazione dello scambio dei beni nel mercato unico.

Ai giudici nazionali rimane la possibilità di dimostrare che il parametro del consumatore medio non è applicabile rispetto ad una specifica normativa in considerazione delle caratteristiche della singola fattispecie e, soprattutto, in ragione della pericolosità di talune pratiche per i gruppi di consumatori particolarmente svantaggiati.

Una corretta interpretazione del sistema qui considerato implica di tenere in considerazione altre possibili situazioni di svantaggio in cui possono trovarsi particolari gruppi di consumatori senza limitarsi a quelle espressamente indicate nel testo normativo. Detto obiettivo potrebbe essere realizzato attraverso una lettura estensiva del termine “ingenuità” ovvero dell’inciso “in un modo che il professionista può ragionevolmente prevedere” (art. 5.3 Dir. CE 2005/29/CE).

Allo stato non vi sono elementi per stabilire se la giurisprudenza accoglierà l’interpretazione qui proposta e, precisamente, se la medesima troverà applicazione nel bilanciare efficacemente gli obiettivi comunitari con altre finalità, quale, in particolare, la protezione dei consumatori meno avveduti. Inoltre, non è chiaro se i consumatori che hanno una scarsa istruzione, un basso salario, o particolari caratteristiche linguistiche, religiose ed etniche, potranno essere considerati dai giudici come un gruppo “vulnerabile” posto che il provvedimento in esame indica espressamente solo l’età, l’infermità e l’ingenuità quali criteri di “vulnerabilità”.

Nell’applicare l’“average consumer test” si potrà tenere conto delle sentenze nelle quali le parti hanno sostenuto la necessità di proteggere il consumatore – come parte debole di un contratto con il professionista – talvolta anche a scapito del processo di armonizzazione del mercato unico (66). Tale interpretazione dovrebbe consentire alle corti

nazionali sia di applicare un parametro comune sia, ove opportuno, di derogare a tale

(66) Corte CE, 27 giugno 2000, cause riunite da C-240/98 a C-244/98, Océano Grupo Editorial SA c. Roció Murciano Quintero (C-240/98) e Salvat Editores SA c. José M. Sánchez Alcón Prades (C-241/98),

José Luis Copano Badillo (C-242/98), Mohammed Berroane (C-243/98) e Emilio Viñas Feliú (C-244/98), in

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criterio vista la diversità delle condizioni dei consumatori negli Stati membri e all’interno dei medesimi (basti pensare all’esistenza di aree particolarmente depresse all’interno dei singoli paesi).

La creazione del mercato unico consta certamente di un processo di “integrazione negativa” posto che l’armonizzazione delle normative nazionali ha l’effetto di de-regolamentare i mercati nazionali attraverso l’eliminazione delle regole divergenti (67). Allo

stesso tempo, tale processo implica un momento di “integrazione positiva” volto ad instaurare, a livello comunitario, un regime regolamentare comune; ed è in questo momento che si determinano i contenuti delle nozioni e dei criteri comuni all’interno dell’Unione Europea.

In questo scritto, ho cercato di analizzare lo sviluppo del diritto comunitario del consumatore, i cui interessi non erano espressamente menzionati nel Tratt. CE nel quadro del processo di integrazione negativa e positiva del mercato europeo (68) .

La costruzione legale della figura del consumatore medio contribuisce al processo di integrazione negativa delle normative nazionali che sono di ostacolo al libero scambio delle merci: tali norme potranno essere vietate allorché esse risultino superflue per la tutela degli interessi di un soggetto che si presume essere adeguatamente informato e razionale. In tal senso, si può concludere che la nozione di consumatore medio è funzionale a tale obiettivo e che proprio tale aspetto ne costituisce, pur tuttavia, il principale limite: quella in esame è una finzione legale necessaria alla Comunità ma che presenta talvolta il pericolo di un abbassamento del livello di tutela degli interessi dei consumatori. Tale pericolo potrà essere scongiurato solo attraverso una corretta interpretazione giudiziale del sistema introdotto dalla direttiva che sia capace di mediare le esigenze legate all’ideale comunitario con la necessità di tutelare efficacemente i soggetti più deboli presenti nel mercato unico.

(67) J

OERGES, What is left of the European Economic Constitution? A melancholic eulogy, cit., pp. 461-489; POIARES MADURO, op. cit., pp. 55-82.

(68) SCHARPF, Balancing Positive and Negative Integration: The Regulatory Options for Europe,

MPIfG Working Paper 97/8, novembre 1997, consultato in data 6 maggio 2007 al sito

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