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L'occhio, la mano, il capo. Un panegirico secentesco per Giovenale Ancina.

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(1)

UN PANEGIRICO SECENTESCO PER GIOVENALE ANCINA

Il fossanese Giovenale Ancina, medico, musicista, poeta, discepolo di san

Filippo Neri, predicatore, collaboratore del Baronio negli Annales

ecclesiasti-ci, fu vescovo di Saluzzo dal marzo del 1603 all’agosto del 1604 in un

momen-to delicatissimo sia per la diocesi, molmomen-to esposta al contatmomen-to con i vicini

prote-stanti, che per il territorio, annesso solo di recente al ducato sabaudo.

1

Proprio il triennio successivo al trattato di Lione, che sancı` il passaggio del

Marchesato di Saluzzo ai Savoia, rappresento` uno snodo strategico per la

dio-cesi e il momento di maggior impegno cattolico contro i riformati della Marca,

con l’azione congiunta dei frati delle missioni cappuccine e gesuitiche e dei

governatori locali.

2

L’Ancina e` studiato dai musicologi e dagli storici. Pochissimo abbiamo

in-vece sulla sua attivita` di letterato.

3

1 Carlo Emanuele I aveva invaso «sotto pretesto di religione» il marchesato di Saluzzo il 29

set-tembre 1588 suscitando pesanti reazioni internazionali soprattuttto da parte della Francia; dopo un susseguirsi di vicende piuttosto complesse, fu col trattato di Lione del gennaio 1601 che il possesso venne confermato ai Savoia in cambio della cessione di importanti territori sabaudi al di la` delle Alpi. Ricostrisce la questione PIERPAOLOMERLIN, Saluzzo, il Piemonte, l’Europa. La politica sabauda dalla

conquista del Marchesato alla pace di Lione, in L’annessione sabauda del Marchesato di Saluzzo, tra dissidenza religiosa e ortodossia cattolica (secc. XVI-XVIII), a cura di Marco Fratini, Torino, Claudia-na, 2004, pp. 15-61. Sull’Ancina si veda PIETRODAMILANO, Dizionario Biografico degli Italiani,

Ro-ma, Istituto della Enciclopedia Italiana, III, 1961, s.v.; SILVIAMOSTACCIO, Il grande libro dei Santi,

diretto da Claudio Leonardi, Andrea Riccardi, Gabriella Zarri, a cura di Elio Guerriero, Dorino Tu-niz, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1998, s.v.; CARLOGASBARRI, Bibliotheca Sanctorum, I, Roma, Citta`

nuova, 1961, cc. 1087-1091.

2 «La repressione del valdismo nel Marchesato riprese non appena fu siglato il trattato di Lione.

Essa fu condotta, come altrove, con l’azione congiunta dei frati delle missioni e dei governatori delle localita` interessate [...] i Saluzzo della Manta e Verzuolo collaborarono alacremente all’iniziativa che ebbe il suo exploit nel triennio 1601-1603 [...] le energie profuse dalle missione cappuccine e gesui-tiche portarono ad una diffusa restaurazione del cattolicesimo in tutto il marchesato di Saluzzo»: BLYTHEALICERAVIOLA, «Per levare ogni tergiversatione a questa gente»: controllo e repressione

del-l’eresia riformata nel Saluzzese ad opera dei governatori sabaudi (1588-1650), in L’annessione sabauda del Marchesato di Saluzzo, cit., pp. 77-78.

3 Si veda Giovenale Ancina e i Filippini nel Piemonte sud-occidentale. Relazioni alla Giornata di

(2)

Gian-Di lui possediamo numerose biografie secentesche: la prima, del 1629, e`

del futuro vescovo di Saluzzo Francesco Agostino Della Chiesa;

4

segue quella

in tre libri del 1657 del somasco Giovanni Francesco Cambiano di Ruffia,

en-trambe stampate a Torino;

5

nel 1661 esce a Napoli (dove l’Ancina aveva

sog-giornato per dieci anni) la Vita dell’oratoriano Carlo Lombardo, che riprende

il testo rimasto inedito del confratello Bernardino Scaraggi;

6

nel 1671 a Roma

si stampa la vita del confratello aretino Giacomo Bacci, gia` biografo di san

Fi-lippo Neri.

7

carlo Comino, «Bollettino della Societa` per gli studi storici archeologici ed artistici della provincia di Cuneo», CXXXV, 2006; nel volume Il Tempio armonico. Giovanni Giovenale Ancina e le musiche devozionali nel contesto internazionale del suo tempo. Atti del Convegno Internazionale, a cura di Car-la Bianco, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 2006, rilevano in particoCar-lare i contributi di MARCOG IU-LIANI, Il Tempio armonico. Storia di un ciclopico progetto edificante e del relativo apparato celebrativo:

fonti, collazioni e contenuti, pp. 3-47 ed ELISABETTACREMA, La poesia del Tempio armonico.

Imita-zione, travestimento, riscrittura, pp. 67-89; inoltre cfr. EAD., Pubblicare i testi musicali: il Tempio

ar-monico di Giovenale Ancina, «Moderna», n. 2, 2008, pp. 117-126; EAD., Le prose di un vescovo

poe-ta: Giovenale Ancina, in Per Franco Brioschi. Saggi di lingua e letteratura italiana, a cura di Claudio Milanini e Silvia Scotti Morgana, Milano, Cisalpino, 2007, pp. 185-195; EAD., Aspetti di petrarchismo

sacro: Il Tempio armonico di Giovenale Ancina, con ampia bibliografia, in Speciale Petrarca: a 700 anni dalla nascita, «Ambra», V, 2005, pp. 19-39; MARIALUISADOGLIO, Su due sonetti di Giovenale

Ancina a Carlo Emanuele I di Savoia, nel volume miscellaneo Mito e letteratura. Studi offerti a Aulo Greco, Roma, Bonacci, 1993, pp. 283-290; EAD., Il Tempio armonico di Giovenale Ancina: dal

Pe-trarca ‘travestito’ alla lauda spirituale alla ‘canzonetta ariosa’, in Literatur ohne Grenzen. Festschrift fu¨r Erika Kanduth, Frankfurt am Main-Berlin-Bern-New York-Paris-Wien, 1993, pp. 99-112.

4 FRANCESCOAGOSTINODELLACHIESA, Della vita del servo di Dio Monsignor Giovenale Ancina

vescovo di Saluzzo [...] Nella quale oltre i fatti, e i costumi di detto Monsig. si vede un compendio delle cose piu` notabili della Citta` di Saluzzo, e la serie de’ suoi Vescovi, Torino, Cavalleris, 1629, dedicata a Vittorio Amedeo I: i capitoli mescolano la vita del santo con notizie su Saluzzo, la sua chiesa, i suoi vescovi. Su questa figura si veda ANDREAMERLOTTI, Le nobilta` piemontesi come problema

storico-po-litico: Francesco Agostino Della Chiesa tra storiografia dinastica e patrizia, in Nobilta` e Stato in Piemonte. I Ferrero d’Ormea fra Quattrocento e Ottocento, Atti del Convegno di Studi, a cura di Andrea Merlotti, Torino, Zamorani, 2003, pp. 19-56; ID., Dall’integrazione all’emarginazione. La nobilta` di Saluzzo e lo

stato sabaudo nel XVII secolo, in L’annessione sabauda del Marchesato di Saluzzo, cit., pp. 89-105.

5 GIOVANNIFRANCESCOCAMBIANO DIRUFFIA, Vita del venerabile servo di Dio Giovenale

Anci-na, allievo di Filippo Neri [...] descritta sotto simbolo di giglio, e divisa in piccoli discorsi, Torino, Ru-stis, 1657. Nella dedicatoria al marchese di Pianezza Filiberto Giacinto Siminane Giovenale e` un «gi-glio che nacque ne’ stati di queste Altezze Reali, crebbe nella Francia, verdeggio` in Torino, biancheggio` in Roma, fiorı` in Napoli, e sparse i suoi soavi odori nella citta` di Saluzzo, ove chino` l’o-doroso capo e morı` [...] giglio che fu carissimo al Gran Carlo Emanuele di gloriosa memoria, onorato da tutta la reale sua figliuolanza, avuto in somma osservanza dalla piissima madre di Sua Eccellenza, e che viene tenuto in riverenza da tutto lo Stato».

6 CARLOLOMBARDO, Della vita di Giovenale Ancina [...] libri cinque, Napoli, Gaffaro, 1661,

de-dicata a Filippo Neri. Nella lettera leggiamo che il confratello Bernardino Scaraggi aveva «fatto rac-colta delle attioni del servo di Dio Giovenale dalla notizia avutane sı` da varie testimonianze di quello fatte da diverse persone, come da’ detti de’ nostri antichi padri, che con essolui praticato avevano e in Roma e in Napoli, e sı` anche da diverse lettere, che si conservano nel nostro archivio, e da molte altre scritture inviategli da Roma dal padre Gio. Matteo Ancina [...]. E posto il tutto in forma di istoria la mando` al medesimo padre in Roma, accioche´ la rivedesse e emendasse»; ma prima di stam-parla il padre Bernardino morı`. Il Lombardo si valse «in gran parte della gia` preparata materia».

(3)

Morto misteriosamente – forse di veleno – l’ultimo di agosto del 1604,

8

nel 1622 l’Ancina fu commemorato solennemente a Saluzzo dal francescano

Angelico Salvio da Scalenghe;

9

nel 1638 un gesuita del calibro di Luigi

Giu-glaris gli dedico` Il nuovo Trimegisto, in cui lo chiama «confessore,

predicato-re, lettore» e dove ben ne sottolinea l’attivita` letteraria, del tutto trascurata dai

biografi.

10

Quella che vorrei indagare e` una lettura tardo sabauda dell’Ancina, e

sof-fermarmi sull’orazione del confratello chierese Francesco Amedeo Ormea

pronunciata a Fossano, nella chiesa della Congregazione dell’Oratorio l’ultimo

di agosto 1664, cioe` nell’anniversario della morte, e stampata nella raccolta

delle Orazioni panegiriche del 1667.

11

Molto stimato a corte e molto legato alla duchessa Cristina e al favorito

Filippo San Martino di Aglie`, l’Ormea permane una figura lasciata in ombra

dagli studiosi: predicatore di successo e panegirista funebre in capite dopo la

morte del Tesauro, scrisse I gigli sfioriti per il funerale a Carmagnola di

Cri-stina e Francesca d’Orle´ans del 1664 e Il parallelo per la morte di Filippo San

beatificazione e da altre scritture autentiche, Roma, Mancini, 1671. Una biografia latina e` il De vita del confratello Antonio Bianchini, Romae, Typis S. Congregationis De propaganda fide, 1870.

8 Cfr. CARLOLOVERA DICASTIGLIONE, Il misterioso avvelenatore del beato Giovanni Giovenale

Ancina chi fu?, «Bollettino della Societa` per gli studi storici archeologici ed artistici della provincia di Cuneo», VI, 4, 1934, pp. 7-30.

9 ORATIONE/NELL’ANNIVERSARIO/SOLENNE/DI MONSIGNOR/GIOVENALE ANCINA/VESCOVO DI SALVZZO, / Composta da FrateANGELICO SALVIOdi Scalenghe, Min. Osser. Predicatore Generale della

Provincia di S. Tomaso Apostolo, e recitata nella Cathedrale d’essa Citta` l’vltimo d’Agosto 1622. / DE-DICATA ALLA CITTA DI FOSSANO/IN TORINO, / Appresso li Fratelli Cavalleris, MDCXXII.

10 IL NVOVO TRIMEGISTO/PANEGIRICO/AL GLORIOSO/SERVO DI DIO/ Monsignor /GIO. GIOVENA-LE ANCINA/ Vescovo di Saluzzo. / Detto nel Duomo dell’istessa Citta` alli 5 di Settembre 1638 / Dal P.

Luigi Giuglaris della Compagnia di GIESV, / E dedicato dal Sig. Giacomino Armano Canonico, e Pre-cettore della Cathedrale di Saluzzo. /ALL’ILLVSTRISS.ET ECCELLENTISS.SIG. /MICHEL’ANTONIO SALVZZO/

Sig. della Manta, Conte di Verzolo, Cavaglier dell’Ordine, Governatore, & Luogotenente Generale di S. A. R. nel Marchesato di Saluzzo /IN TORINO, MDCXXXVIII / Per Gio. Battista Zavatta & Gio.

Gu-glielmo Tisma: a p. 16 leggiamo: «Non sapesti mai fingere, pur non lasciasti per questo d’esser poe-ta»; poi sulla scorta del Catalogo de’ scrittori piemontesi di Francesco Agostino Della Chiesa, sono citati «due libri a gloria della Real Casa Savoia e dell’Accademia di Mondovı`» (cioe` il De Academia Subalpina), gli inni composti ad istanza di san Carlo e dell’arcivescovo di Napoli, la «Naumachia in eroico al tempo della guerra navale», la Rusticatio Parthenopaea, la Penitenza, le lodi di Maria Mad-dalena, il funerale di Pio V, il Tempio armonico, le Decadi delle osservazioni divine, le lodi di Maria, i volumi di orazioni, vari libri di sermoni e lettere. Sul Giuglaris rimando a MARIALUISADOGLIO,

Let-teratura e retorica da Tesauro a Gioffredo, in Storia di Torino, vol. 4, La citta` fra crisi e ripresa (1630-1730), a cura di Giuseppe Ricuperati, Torino, Einaudi, 2002, pp. 582-590; sulla sua attivita` di pre-dicatore si veda GUIDOLAURENTI, «Padre de’ lumi non mi lasciare nelle tenebre». La predicazione

qua-resimale negli Avanzi preziosi di Luigi Giuglaris, in Predicare nel Seicento, a cura di Maria Luisa Do-glio e Carlo Delcorno, Bologna, Il Mulino, 2011, pp. 195-220.

11 FRANCESCOAMEDEOORMEA,ORATIONI PANEGIRICHE[...]DEDICATE/ALLALTEZZA REALE DI/ CARLO EMANVELE II. / Duca di Savoia, Re` di Cipri, &c. /IN TORINOappresso Bartolomeo Zavatta

MDCLXVII. Cfr. CARL’ANTONIOVILLAROSA, Memorie degli scrittori filippini, o siano della

(4)

Martino d’Aglie` (1667); compose inoltre e recito` l’orazione (oggi perduta) per

il funerale torinese di Carlo Emanuele II nel 1675.

12

Il panegirico per Giovenale Ancina, dall’emblematico titolo Il pastore, va

letto in parallelo alle numerose vite citate, con le quali condivide l’obiettivo di

promuovere la canonizzazione del vescovo di Saluzzo.

13

Il processo di beatificazione era in verita` iniziato prestissimo, nel 1619, per

intervento del successore monsignor Giovanni Battista Ottavio Viale de’

Cal-cagni, che si era fatto postulatore della causa. La morte misteriosa e forse

vio-lenta poneva il problema se Giovenale andasse canonizzato come martire, cioe`

se fosse morto per la fede, o solo come confessore. Ma le cose andarono per le

lunghe, soprattutto dopo le restrizioni in materia di santi imposte dalle

dispo-sizioni introdotte da Urbano VIII nel 1625, poi confermate col breve Coelestis

Hierusalem cives del 1634, che prevedevano la proibizione, sotto pene

gravis-sime, di prestare qualsiasi forma di culto pubblico o privato – immagini e

tom-be compresi – e di stampare le vite di uomini «sanctitate seu martyrii fama

celebres [...] sine recognitione atque approbatione» della Congregazione dei

Beati, senza cioe` che fossero conclusi i processi di canonizzazione; si dovevano

12 Destinato all’orazione periferica di Carmagnola, nei Gigli sfioriti cerco` di contrapporsi,

nep-pure tanto velatamente, a Tesauro, a cui erano stati commissionati l’apparato funebre in Duomo e l’orazione principale e che era stato l’inventore dell’impresa del diamante di Cristina: «il diamante ogn’atto d’eroica fortezza comprende fuori che la finale generosita` nella morte figurata ne’ gigli» (p. 15). Cfr. Del funerale celebrato nel Duomo di Torino [...] Racconto del P. Giulio Vasco della Com-pagnia di Giesu`, Torino, Zavatta, p. 106: il 4 novembre «rinnovaronsi con solennita`, maggiore anche di prima, le funzioni funebri, e di nuovo raunossi la Cappella Reale. Finita la messa [...] il padre Francesco Amedeo Ormea [...] recito` l’orazione funebre». Sulle esequie di Carlo Emanuele II mi permetto di rinviare a LUISELLAGIACHINO,MAGNIFICENTIA OPVS EIVS. I funerali di Carlo Emanuele

II di Savoia, «Studi Secenteschi», LIII, 2012, pp. 1-46. Esplicitamente in polemica col Diamante e` anche un passo degli Spettacoli divini, panegirico del 1666 in cui l’Ormea celebra la Sindone: a p. 291 commenta la visione di Giovanni, cap. IV, dove Dio appare «per la meta` colorito con le vi-vezze del sardio, e per l’altra con i colori del giaspe»: le due pietre facevano parte del pettorale del Sommo Sacerdote: la prima, il diaspro, corrispondeva alla creazione; la sesta, il sardio, alla resurre-zione; la resurrezione e` superiore per dignita` alla creazione. C’e` analogia tra Sindone e sardio: nasce l’uno nel cuore dei sassi, l’altra nelle viscere del sepolcro; il sardio e` chiamato carnerina per il suo colore, cioe` adam in ebraico, la Sindone e` fatta di sangue; il sardio non perde lucentezza; il sardio rallegra l’animo di chi lo porta e intimorisce le fiere; il sardio insomma e` figura della resurrezione di Cristo. Per celebrare i duchi di San Martino di Aglie` aveva scritto Il monachesimo illustrato da S. Guglielmo abbate divionese, su san Guglielmo da Volpiano, considerato antenato della famiglia (Torino, Zavatta, 1673), con dedica a Carlo Ludovico San Martino di San Germano, nipote di Filip-po: cfr. Diana trionfatrice, Arte di corte nel Piemonte del Seicento, a cura di Michela Di Macco e Ser-gio Romano, Torino, Allemandi, 1989, scheda p. 55, n. 61. Scrisse anche lo Specchio dell’anima fatto a riflessi delle Virtu` di S. Filippo Neri, 1701.

13 Cfr. L. GIUGLARIS, Il nuovo Trimegisto, cit., p. 37: «t’assicuro io che, resa che sia la pace

al-l’Italia, non avera` Saluzzo cosa piu` a cuore che vederti in Vaticano posto tra’ santi, e, liberata la de-vozione de’ popoli, ergere al nome tuo tempi e altari. Verra`, verra` pure un giorno in cui piu` non si taccian ne’ pergami le maraviglie, che di te corrono per le bocche de’ popoli; si potranno una volta con piu` autorita` e minor scrupolo publicare le grazie, che da Dio ricevesti. Non sia mai che permet-ta la Chiesa [...] che sepolpermet-ta resti la memoria d’un uomo che per lei spese, doppo i sudori, anche il sangue».

(5)

inoltre attendere 50 anni dalla morte del candidato prima di cominciare le

procedure di canonizzazione.

14

Questa e` la ragione per cui le biografie

secen-tesche dell’Ancina sono precedute da una Protestatio, in cui vengono

ricorda-te le disposizioni papali.

Nel ’700 Prospero Lambertini (futuro Benedetto XIV) riprese in mano il

processo, che si concluse con la smentita della morte per avvelenamento

del-l’Ancina. Giovenale sara` beatificato solo molto tardi, da papa Leone XIII

Pec-ci il 9 febbraio 1890.

15

Che l’Ormea intenda caldeggiare la canonizzazione del vescovo di

Saluz-zo emerge soprattutto qualora si consideri l’organigramma accortamente

studiato della raccolta delle orazioni panegiriche, dedicate a Carlo Emanuele

II: a parte Gli spettacoli divini, incentrato sulla Sindone, I gigli sfioriti per

Cristina e Francesca, Il ministro di Stato, per la morte di Giovan Giacomo

Truchi, e Il figlio della grazia, per la nascita di Vittorio Amedeo II, il volume

assume le sembianze di un vero e proprio pantheon di santi ‘cittadini’ e

pro-tettori del ducato sabaudo: nel Savio amante, panegirico incentrato sul

bino-mio Amore-Sapienza, l’Ormea celebra l’amatissimo padre nello spirito san

Filippo Neri, beato fin dal 1615 e fatto santo nel 1622 da Gregorio XV

Lu-dovisi.

16

14 La Congregazione dei Riti era stata istituita dalla riforma sistina della curia del 1588; nel 1602

Clemente VIII creo` la Congregazione dei Beati: cfr. GIOVANNIPAPA, La sacra Congregazione dei riti

nel primo periodo di attivita` (1588-1634), in Miscellanea in occasione del IV centenario della Congre-gazione per le cause dei santi, Citta` del Vaticano, Guerra, 1988, pp. 13-52; ID., Le cause di

canoniz-zazione nel primo periodo della Congregazione dei riti, Citta` del Vaticano, Urbaniana University Press, 2001. Del 13 marzo 1625 e` il Decretum confermato il 2 ottobre: cfr. MIGUELGOTOR, I beati del papa. Santita`, Inquisizione, obbedienza in eta` moderna, Firenze, Olschki, 2002, cap. Il controllo inquisi-toriale: la fase urbaniana (1625-1642), pp. 285-334: «Il decreto del sacro tribunale di Roma del 1625 costituı` l’inizio ufficiale del controllo inquisitoriale sull’elaborazione dei modelli di santita` ca-nonizzata e pose fine al dibattito svoltosi nel ventennio precedente in merito ai culti da prestare ai beati moderni» (p. 287).

15 Cfr. MARIAFRANCAMELLANO, Il processo per la beatificazione di Giovanni Giovenale Ancina

e il cardinale Prospero Lambertini, «Bollettino della Societa` per gli studi storici archeologici ed arti-stici della provincia di Cuneo», 2006, pp. 55-98; PAOLOCOZZO, La geografia celeste dei duchi di

Sa-voia. Religione, devozioni, sacralita` in uno Stato di eta` moderna (secoli XVI-XVII), Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 254-255. Sugli aspetti giuridici della canonizzazione si veda GIUSEPPEDALLATORRE,

Pro-cesso di beatificazione e canonizzazione, in Enciclopedia del Diritto, Milano, Giuffre`, 1987, XXXVI, pp. 932-943.

16 Il titolo deriva dal fatto che la scienza e la carita`, cioe` l’amore sacro, sono «indivise sorelle»

perche´ «l’Amore disgiunto dalla Sapienza e` cecita`, e la Sapienza senza l’Amore e` precipizio». Sulla canonizzazione di Filippo Neri si veda GOTOR, I beati del papa, cit., pp. 48-57 e 224-231. Il piu`

com-pleto ed esemplare pantheon di santi sabaudi e` in PASQUALECODRETO DASOSPELLO, Ghirlanda di

alcuni principi beati della Real casa di Savoia, Torino, Niella, 1653-1655: Umberto, Amedeo (Il poli-tico celeste), Margherita di Savoia Acaia, Ludovica, figlia del beato Amedeo IX e vedova di Ugone di Chalon (L’arco baleno); suor Maria (La fragranza dell’amaranto: il panegirico e` di Antonio Agostino Codreto da Sospello), Isabella di Savoia Este, Francesca Caterina (Spreggio del mondo), le tre figlie di Carlo Emanuele I.

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Il trono di sole del 1663 rende onore al futuro beato Amedeo IX di Savoia,

sposo di Jolanda di Savoia e padre della beata Ludovica, spirato e sepolto a

Vercelli nel 1472, il cui processo di canonizzazione si aprı` poco dopo la morte

ma si chiuse soltanto il 3 marzo 1677 sotto papa Innocenzo XI Odescalchi,

che fisso` la festa il 30 marzo. Partendo dall’apparizione a Torino (riferita da

tutti i biografi) del duca sfolgorante su un trono di sole nel momento stesso

del trapasso a Vercelli, il panegirico mostra come «di tanto avvantaggia il

tro-no di Amedeo quello di Salomone, santo fra’ duchi in terra, e duca, anzi re fra’

santi in cielo, quanto il primo supera con la virtu` la non lodevole vita e la

dub-biosa morte del secondo, oltre che era da man terrena architettato quello, e

questo da man celeste».

17

Nell’Arca del Testamento, ancora del 1663, e` celebrato Sant’Antonio da

Padova, santo di lunghissimo corso (dal 1232): «all’urna della manna, alla

ver-ga di Aaronne, al libro e alle tavole della Legge» corrispondono «i copiosi

do-ni, la smisurata potenza e il profondo sapere e la santita` di vita del prodigioso

dottore».

18

Nella Pace (1666) e` la volta di San Francesco di Sales, il piu` grande santo

della Savoia, nominato vescovo nello stesso giorno di Giovenale, di cui fu

amico, e come lui impegnato in terra d’eresia, beato dal 1662 e santo tre anni

dopo.

19

17 ORMEA, Orazioni panegiriche, cit., p. 100; e` il panegirico piu` lungo della raccolta, pp. 98-178,

pronunciato «nell’aprirsi della nuova Chiesa all’Insigne Hospedale della Carita` di Torino» nel 1663. Vastissima e` la pubblicistica sabauda intorno ad Amedeo IX: per limitarmi al solo Seicento si pos-sono citare il Compendio della vita, et miracoli et gratie piu` notabili del Beato Amedeo terzo duca di Sauoia. Raccolto dalle scritture dell’Archivio della Chiesa di Vercelli, da diuersi historici, & da gli scritti del fu sig. Francesco Ranzo, Modena, Verdi, 1612; la Historia del Beato Amadeo terzo duca di Sauoia del canonico lateranense Pietro Francesco Maleto, Torino, Seghino, 1613; il Ragionamento in lode del beato Amedeo di Sauoia del padre Costantino Testi, Torino, Cavalleris, 1619; il ragionamento Della Santa Sindone del Nostro Signore Giesu` Christo et del Beato Amedeo III duca di Savoia stampato nella Terza parte dei ragionamenti sopra la Santa Sindone di Camillo Balliani, Torino, Pizzamiglio, 1624, pp. 539-578; La face luminosa ed’ ardente di Filippo Picinelli, Vercelli, Marta, 1643; Il politico celeste. Vita e maravigliosi successi del B. Amadeo di Savoia, nella Ghirlanda di alcuni prencipi beati di Real casa di Savoia, di Pasquale Codreto da Sospello, Torino, Niella, 1653-1655, pp. 81-182; La chi-mera reale panegirico sacro nella prima officiatura del Beato Amedeo di Sauoia splendidamente solen-nizata dal reuerendissimo Capitolo della Cattedrale di Vercelli il dı´8 Aprile 1682 di Giovan Francesco Cerri, Vercelli, Marta, 1682; la Vita e virtu` del Beato Amedeo Terzo dvca di Savoia di Carlo Giuseppe Morozzo, Torino, Zavatta, 1686; Il principe santo. Panegirico in lode del beato Amedeo nono [...] re-citato nel duomo di Vercelli, la quaresima dell’anno 1699 [...] del carmelitano Giuseppe Maurizio Cat-taneo da Mantova, Parma, Rosati, 1699.

18 L’arca del Testamento, p. 181.

19 Il panegirico fu recitato a Torino durante le feste per la canonizzazione. Esiste un’incisione in

rame, fatta nel 1701 da Giulio Cesare Rampin, che raffigura i santi patroni della citta` in adorazione del Santissimo Sacramento (l’ostia del miracolo del 1453) e della Sindone: Amedeo IX, Giovanni Battista, Solutore, Avventore, Ottavio, Filippo Neri, Domenico, Antonio da Padova, Paolo, Ignazio di Loyola, Francesco Saverio (aggiunto il 9 dicembre 1667 dal consiglio comunale): l’immagine e` ri-prodotta in Un giardino per la preghiera: immagini devote a Torino nel Sei e Settecento. Catalogo della

(7)

Nel Voto (1666) abbiamo santa Teresa d’Avila, beata nel 1614 e

canoniz-zata nel 1622 da papa Ludovisi.

20

Ecco dunque che nella raccolta i due santi sabaudi, Amedeo IX e

Giove-nale, spiccano in quanto ancora in attesa di canonizzazione.

Nel panegirico dell’Ormea l’Ancina viene celebrato sotto la specie del

pa-store, ossia del vescovo perfetto, secondo una struttura simmetrica, impostata

sui tre aspetti e attributi della dignita` episcopale: la «pastorale vigilanza»,

esemplificata dall’occhio; l’«infaticabile attivita` nelle opre», esemplificata dalla

mano, perche´ Giovenale «se nella vigilanza fu Argo, nell’oprare fu Briareo»; la

carita` e «l’ardentissimo zelo delle anime», esemplificata dal capo. Questo

per-che´ il vero fulcro generativo del panegirico si trova sul letto funebre del

vesco-vo di Saluzzo, ed e` l’episodio miracoloso, narrato da tutti i biografi e su cui

torneremo, che vede Giovenale dopo morto «nell’atto d’aprire gl’occhi»

alza-re «parimenti la mano» benedicente e muovealza-re la testa, dando segni palesi di

essere risuscitato. La filigrana, taciuta dall’Ormea, di questa scena, e` pero` uno

dei piu` famosi miracoli compiuti da san Filippo Neri, quello del principe

Pao-lo Massimo.

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La resurrezione di Giovenale fu dunque come quella del

prin-cipe Paolo, cioe` come quella di Lazzaro, temporanea. Il tema della

resurrezio-ne e` del resto uno dei piu` cari all’autore delle Orazioni paresurrezio-negiriche (la

resurrezione di Lazzaro, paragonata a quella di Gesu`, occupa tutta la prima

parte degli Spettacoli divini sulla Sindone del 1666).

In apertura l’Ormea discetta sul titolo di pastore, di cui e` costellata la

sto-ria d’Israele: i re, i profeti, i capi dell’esercito, Abele, Mose`, Giuseppe, Davide

custodivano le pecore; ma non solo la storia sacra, anche quella pagana:

Ta-merlano, Ciro, Romolo. Del resto «la quarta parte del fiammeggiante Zodiaco

e` occupata da segni tolti in prestito dalle greggie», a partire dall’«innocente

montone». Cristo stesso volle per se´ l’appellativo di pastore, appellativo che

contiene:

mostra, a cura di Rosanna Roccia. Saggio introduttivo di Andreina Griseri, Torino, Archivio storico della citta` di Torino, 1995, tav. 18: ne parla PIERGIORGIOLONGO, La vita religiosa nel XVII secolo, in

Storia di Torino, vol. 4, La citta` fra crisi e ripresa (1630-1730), cit., pp. 704-705.

20 Il voto e` a sua volta costruito come un pantheon: l’Ormea parla dei cinque canonizzati da

papa Ludovisi: Filippo Neri, Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Isidoro l’agricoltore e Teresa. La cerimonia in San Pietro e` immortalata nell’incisione a bulino di Mattheus Greuter, Il Gran Teatro della Canonizzazione dei Ss. Isidoro, Teresa d’Avila, Ignazio di Loyola, Francesco Saverio e Filippo Ne-ri: cfr. La regola e la fama. San Filippo Neri e l’arte. Catalogo della Mostra, Milano, Electa, 1995, pp. 450-451. I cinque sono ritratti insieme anche in un quadro di Luis Trista´n de Escamilla. Cfr. Relation des principales ce´re´monies obserue´es a` Rome, a` la canonization des saincts, ceste presente an-ne´e mil six cens vingt-deux. Faicte en italien par vn pe`re de la Compagnie de Iesus. Et traduite en fran-c¸ois par vn autre pere du mesme ordre, Paris, Cramoisy, 1622.

21 Cfr. La regola e la Fama, cit., pp. 440-441. Nell’incisione a bulino del Greuter e` la prima

scena in alto a sinistra. Il miracolo e` tra quella accreditati nella Relactio facta in concistoro secreto co-ram S. D. N. Gregorio papa XV.

(8)

la semplicita` de’ costumi, la retiratezza dell’animo, l’assiduita` nelle fatiche, la tenerezza

nel compatire, la pace del cuore, ma sopra il tutto la vigilanza nel custodire, l’attivita`

nell’operare, il zelo e amore delle anime, che saranno le tre parti del mio discorso.

22

L’Ormea si immerge poi in un lungo excursus sull’occhio, «picciol globo

[...] d’immensa virtu`», e, come si evince dall’«eminenza del sito», «compendio

e abbreviatura e del mondo e dell’uomo», nel quale la natura ha collocato

«tutto lo sforzo del suo ingegnoso potere»:

in esso tu vedi il cristallino de’ cieli, i rapidi fulgori del fuoco, la viva luce dei pianeti,

la transparenza dell’aria, l’umidezza dell’acque, la densita` della terra, il florido

degl’u-mori, lo spiritoso de’ spiriti, il delicato delle arterie, il sottile de’ nervi, la tenuita` delle

membrane.

23

La vigilanza di Giovenale e` in primo luogo da declinarsi in senso letterale

come atto del vegliare e vista acutissima. Nella potenza visiva superava

sant’A-gostino, Tiberio, Augusto, Attila e Carlo Magno, a cui la provvidenza divina

aveva «infuso negli occhi l’imperiale maesta`». Lince, Argo, aquila, come

De-mostene, Giacobbe e san Girolamo dormiva solo quattro ore per notte.

24

Ma quanto e` piu` necessario l’occhio nel corpo mistico della Chiesa che nel

corpo fisico dell’uomo! Nella Chiesa, infatti

mancando le pupille alla sposa di Cristo perdon l’anime e la vita e il regno dei cieli.

[...] Sono il capo i dottori [...] il cuore sono i martiri [...] son braccia i confessori [...]

son lingua gli apostoli e predicatori [...] li religiosi son piedi [...] e son occhio i pastori

[...].

25

La vista di Giovenale soprattutto teneva a bada gli eretici, «lupi cervieri di

acuta vista nel male e ciechi nel bene»:

22 Il pastore, p. 218: «talche l’innocenza, sola bellezza dell’anima, e la luce del sole, anima e

bel-lezza dell’universo, furon condotte nel mondo dalle pecore e da’ pastori». FRAANGELICOSALVIO, Oratione nell’anniversario solenne, cit., p. 10 scrive che «il vescovo e` come un pastore: ora Ezechiele profeta al cap. 34 dice ch’il pastore ha questi segni: ricerca, visita, libera, aiuta, congrega, introduce, pasce e fa riposare».

23 Il pastore, p. 219: «atomo transparente [...] animata stella delle faccie, anzi lucidissimo sole

[...] impreziabil gioiello del corpo e unica gioia de’ volti [...] sagittario e saetta che fere i cuori [...] spirito della belta` e bellezza di spirito», che «rubbando il tutto a tutti senza togliere cosa veruna, nel rubbare prontissimo e nelli furti innocente, mentre preda custodisce da’ predatori». L’occhio «non ama l’impurita` e ogni neo paga e cancella con un fiume di pianto [...]. In somma e` lo scrigno del-l’anima, l’arsenale degli amanti, occulta fiamma e palese lumiera [...] l’occhio nelle divine carte e` ad-dimandato cuore [...]».

24 Ivi, pp. 223-224; a p. 229 l’Ormea aggiunge «l’acume oculare» di Marc’Antonio Sabellico e

dello Scaligero, che vedevano anche di notte.

(9)

se lasciavano delle infernali pedate alcun vestigio, sicuri d’illetarghire i mal cauti che

le premessero, come l’orme del lupo immobiliscono il passeggiere, Giovenale, non

te-mendo di soporarsi, le calpestava per cancellarle, le seguiva per giongere con simil

traccia a’ covacciuoli de’ nascosti nemici; e se le pietre sole sono a’ lupi di tema, onde

battute gl’abbattono, Giovenale si trasformo` in quel Sasso, che, figurando il pastore,

ruotava incessantemente sett’occhi.

26

Gli occhi severi, con cui «castigava zelante», sembravano lo sguardo di

Dio descritto nell’Apocalisse «tamquam flamma ignis»; gli occhi

compassione-voli, con cui compativa benigno, erano quelli della colomba del Cantico.

27

Ma la «perspicacia e finezza di vista» di Giovenale hanno raggiunto l’acme

nel gia` ricordato miracolo, annunciato da numerosi prodigi, come due comete

apparse in cielo e la torre di Saluzzo dirupata, «non avendo potuto le tenebre

della morte oscurargli il bel giorno della vita».

Attendete, ch’io vuo` ridirvi successo in altro vescovo non seguito [...].

Giaceva Giovenale nel cataletto, circondato dai fedeli in lacrime,

quan-d’ecco

aprı` all’improvviso gl’occhi il defunto, alzo` la destra e mosse il capo, dando segni

pa-lesi d’esser risuscitato da morte. O fatto degno d’avere il mondo e il cielo per scena!

28

26 Ivi, pp. 224-225.

27 Ivi, p. 225: «e il pastorale parea instellato d’immortale pupilla, come gia` il scettro d’Egitto [...]

e se devo dir tutto in un motto per le varie virtu` ch’essercitava vegghiando, la di lui vita mi pare il carro di Ezechiele, condotto da quattro differenti animali, in questo solo simili, ch’eran tutti pupille».

28 Ivi, p. 226: «Forsi quel notturno lampo di vita ne’ giorni dell’infuocato agosto predicava la

carita` di Giovenale». L’episodio e` riferito con maggiori dettagli da DELLACHIESA, Vita, cit., pp.

42-43: «essendo attorniato da quelli di sua famiglia e da una infinita` di poveri, circa le quattro ore di notte [...] fu veduto aprire gl’occhi e allargare il destro braccio [...] il suo cadavero, benche´ per forza ed effetto del veleno fosse nella morte rimasto livido, divenne pero` dopo le vinti ore dal ponto della morte candido e talmente morbido che parevano le membra d’uomo dormiente, oltre che spirava un certo che di santita`, e particolarmente la faccia, che pareva risplendente [...]»; CAMBIANO DIRUFFIA,

Vita, cit., p. 625: «Dio permise che il benedetto prelato in un subito aprisse gli occhi e verso di loro stendesse il braccio destro [...] e vi corse tanta gente, che con tovaglie calde fregavano la faccia, altre con aceto rosato e acque odorose tentavano di confortare i polsi, sperando di ravvivare il sagro cor-po, il quale era restato doppo morte cosı` bello, che quella bellezza da tutti fu stimata miracolosa [...]»; LOMBARDO, Vita, cit., pp. 136-138: venti ore dopo la morte «stando il suo benedetto cadavero

in chiesa su ’l cataletto, in un tratto se gli aprirono gli occhi, quali stavano belli e chiari qual d’uomo vivente, e per molta diligenza che si fosse fatta non si poterono piu` chiudere [...] il suo corpo, quale per forza del veleno stava tutto annerito, divenne bianchissimo [...] le mani che prima erano magre [...] se gli videro piene, come se acquistata avessero nuova carne» (testimone oculare il medico Mat-teo Aurelio); inoltre «fu visto alzar la testa e allargar il braccio destro, che tenea su ’l petto, quasi volesse mirando consolarli»; BACCI, Vita, cit., pp. 155-157: «Erano gia` scorse venti ore, da che egli

era spirato, ed ecco [...] videro tutti che il sant’uomo alzo` all’improvviso la testa, aprı` gli occhi, i quali erano chiari e spiritosi come se fosse stato vivo, stese e alzo` il braccio destro quasi che volesse bene-dirli; nel principio moveva e girava gli occhi, aprendogli e serrandogli spesse volte, e guardava tutti

(10)

L’Ormea avverte che su «cio` che pretendesse Iddio notificare con tal

por-tento sia libero a ciascuno idearsi quel che li piace». Tuttavia snocciola molte

ipotesi sul significato del risveglio del vescovo dal sonno della morte:

forsi con tale sparpagliamento di palpebre ci dimostro` che, se ben pianto qual morto,

regnava con tutto questo tra vivi [...] essendo gionto al Regno de’ sempiterni chiarori

[...] rallumo` le spente faci per darcene l’infallibile prova [...] forsi lo splendore delle

lucenti pupille fu contrasegno dell’amore alla purita` e dell’odio che portava alle

ric-chezze e agl’onori [...]. Adunque possiamo dire ch’essendo gionto al regno de’

sem-piterni chiarori [...] rallumo` le spente faci per darcene l’infallibile prova [...].

Del resto l’occhio e` «eloquente senza lingua, facondo senza discorso, parla

senza voci, e parla sı` chiaro che le sue voci son raggi» – e qui troviamo la

pri-ma delle tre digressioni sull’eloquenza gestuale del corpo:

l’occhio dimesso e` il carattere dell’umilta`, l’arcigno dell’ira, l’elevato della superbia, il

vago dell’incostanza, e cosı` l’aperto apertamente dimostra la vigilanza [...] chi negara`

che l’occhio patente nel mortal sonno di Giovenale sia stato patentissimo argomento

della di lui pastorale vigilanza, essendo questa il primo e il principale impiego de’ veri

e non mercenarij pastori?

29

L’Ancina, insomma

addormentato e desto, vivo insieme e defunto, superstite alla sua morte e erede delle

sue glorie, ferı` la morte feritrice co ’l guardo; tuolse a’ lupi affamati la speranza di

lacerargli il caro gregge mentre dormiva, e a guisa di sole, che sepulto nell’onde

riflet-te i suoi bagliori negli astri, e rende il cielo piu` vigilanriflet-te quando perde l’occhio e la

luce, tramonto` senza cadere, morı` senza morire, fuggı` dal mondo e non lo perse di

vista.

30

Salendo nel climax il panegirista afferma, con la cautela di premettere che

si tratta di qualcosa «che da giurati testimonii e` stato deposto, benche´ non

an-cora autorizzato dal Vaticano», che Giovenale «giovevole in vita e dopo

mor-te, scorno delle Parche, pupilla del Piemonmor-te, espero della Chiesa, fanale de’

intorno con non so che di pio e misericordioso sembiante, come soleva in vita, avendo la faccia bella e ritornata al suo naturale colore; poco dopo fermo` gli occhi, tenendoli aperti e vivaci [...] Procurarono piu` volte di racchiuderli gli occhi, e non fu mai possibile [...] il corpo suo [...] per lo veleno preso di-venuto nero in un tratto, quando fu per aprir gli occhi si fece bianco e candido come alabastro».

29 Il pastore, p. 228. Sulla ‘favella visibile’ nel Seicento rimando al trattato del Bonifaccio, uscito

nel 1616, studiato da PAOLACASELLA, Un dotto e curioso trattato del primo Seicento: L’arte de’ cenni

di Giovanni Bonifaccio, «Studi Secenteschi», XXXIV, 1993, pp. 331-407, con ricca bibliografia. Sul corpo come «pagina sempre apparecchiata a ricever nuovi caratteri, e cancellarli» cfr. Tesauro nel Cannocchiale aristotelico, Torino, Zavatta, p. 24.

(11)

fedeli, luce del mondo», era dotato di capacita` profetiche «essendo molto

cre-dibile che la sua mente non fosse meno illustrata delle risplendenti pupille».

31

Viene poi fatta memoria della sua reticenza ad accettare la tiara vescovile,

quando, resistendo a Carlo Emanuele e a Clemente VIII, «fuggı`, si nascose,

si rinselvo`» come Mose`, come sant’Ambrogio. In realta` Carlo Emanuele I,

che voleva l’Ancina vescovo di Vercelli o di Mondovı` e non di Saluzzo, fu

co-stretto ad accettare la decisione di Clemente VIII e Giovenale, dopo la

consa-crazione episcopale (26 agosto 1601) dovette attendere diversi mesi a Fossano

prima di poter entrare a Saluzzo, perche´ il duca pretendeva che gli prestasse

giuramento.

Poiche´ Giovenale, come si e` detto, gia` morto sul cataletto, «nell’atto

d’a-prire gl’occhi alzo` parimenti la mano», la seconda parte del panegirico, del

tutto speculare alla prima, e` incentrata sulla mano, emblema dell’«infaticabile

attivita` nelle opre». Ed ecco di nuovo l’Ormea ricorrere alla retorica del corpo

attraverso un breve compendio dell’arte dei cenni della mano, «organo

de-gl’organi» che «serve d’indice e di maestra e senza lingua parla agl’occhi e alla

mente»: «aprirla e distenderla sopra le teste altrui [...] dinota l’iniziamento

agli altari»; alzarla verso il Cielo e` «vera protesta di supplicazione e preghiera.

La mano sparsa figura la magnificenza; la mano sporta e inclinata dona segno

d’aiuto [...] generalmente considerata rappresenta un assoluto comando e cosı`

il generale e independente dominio» divino sul mondo, come nel salmo In

ma-no tua, Domine, omnes fines terrae. Per indicare «la molteplicita` delle opere

intraprese e terminate da famosissimi eroi» si dipinge una mano elevata e

di-stesa, «delle sofferte fatiche commentario e registro».

32

Giacche´ l’«infaticabile attivita` nelle opre» dell’Ancina si dispiego`

soprat-tutto contro gli eretici «o convertiti, o debellati, o instrutti nelle catoliche

ve-rita`» e a sostegno della vera fede, l’Ormea tratteggia prima di tutto lo stato

fosco di una diocesi senza vescovo da cinque anni prima dell’arrivo di

Giove-nale, appestata dalla «petulanza degli eretici», che infestavano e infettavano la

«bella Marca», paragonata alla Gerusalemme delle Lamentazioni di Geremia

avendo «gionte alle gramaglie della deplorabile vedovezza le tenebre

d’innu-merevoli errori»:

31 Ivi, p. 230: mentre predicava a Fossano nel giorno dell’Annunziata, molti «videro scendergli

sopra il capo in bianco trono di luce la Santissima Vergine e il Bambino». L’immagine del trono di luce e` al cuore del panegirico per Amedeo IX di Savoia. Cfr. FRAANGELICOSALVIO, Oratione

nel-l’anniversario solenne, cit., p. 9: «Iuvenalis dicitur a iuvando perche´ giovo` a tutti e benefico` sempre tutti, e percio` fu sı` amato da tutti che, se fusse il tempo de’ Sciti che seppellivano col morto tutti coloro che l’amavano in vita, quando morse questo prelato molti si sarebbon sepolti seco». Cfr. la Vita del Bacci, libro IV, cap. I, Giovenale predice le cose future, pp. 283-293.

32 Il pastore, pp. 231-232. Nel Savio amante e` invece molto utilizzata la metafora del piede.

(12)

priva di capo e di senno, di pastore e di pascolo, smunta, distrutta intisichiva senza

rimedio [...] agitata dalle furie delle smoderate passioni. Cure senza curati, curati

sen-za dottrina, costumi sensen-za regola, regola senz’osservansen-za, solennita` sensen-za concorso,

concorso senza pieta`, coscienze senza stimoli, stimoli senza l’emenda [...] gia` le piazze

erano publico teatro alle dannate concioni e anfiteatri a quelle bestie. [...] O tempi

ingiuriosi a’ tempii e agli altari! O anni famosi per i danni della catolica fede! O lustri

illustri solo per le sfrenate scelleratezze de’ calvinisti! In questa selva entro`

l’infatica-bile Giovenale [...].

33

Il santo pastore diede nuovo impulso all’applicazione dei decreti

tridenti-ni, all’istruzione del clero, alle processioni pubbliche, alla devozione mariana,

al culto del Santissimo Sacramento, alla pratica delle Quarantore. Come scrive

Paolo Cozzo, fu proprio un «insieme di spirito riformatore e di pieta` barocca,

di ortodossia cattolica e di spirito antiereticale a segnare il breve ma intenso

episcopato di Giovenale Ancina», «in medio luporum pastor intrepidus»,

de-scritto con toni assolutamente eroici, epici dall’Ormea:

O giorno felice dell’arrivo di Giovenale, ben degno di avere per introito della

messa il solenne Laetare. Fatico`, corse, sudo`, e il suo correre per la desolata diocesi

[...] impedı` le scorrerie degli eretici [...] corresse la servile liberta` degli ecclesiastici

con il Sinodo, li disordini con gli Ordini, i fatti scandalosi con editti efficaci; freno`

i popoli con la visita, con le prediche, con i catechismi; torno` tosto le diroccate chiese

al loro essere, alle chiese gli altari, agl’altari i sacerdoti, a’ sacerdoti lo splendore.

34

33 Il pastore, pp. 232-234: «la` catolici vinti dall’essempio, o convinti dalle prediche; qui

sacer-doti intimoriti con le censure, o censurati con gl’anatemi; la` potenti umiliati con le dolci correzzioni paterne, o percossi dalla severita` del meritato castigo; liti sopite, chiese fabricate, poveri soccorsi, ol-tramontani proveduti, zitelle difese, orfani sostenuti [...]» (p. 232). Cfr. GIUGLARIS, Il nuovo

Trime-gisto, cit., p. 31: «Rimeriti Dio in eterno al glorioso Carlo Emanuele la sollecitudine che si prese di provedere alle sue citta` tali vescovi quali furono un Giovenale e un Francesco di Sales». Cfr. DELLA

CHIESA, Vita, cit., cap. VII, Come il servo di Dio fece in Roma fondare uno Ospizio per gl’eretici

con-vertiti, pp. 17-18. Sull’opera di recupero delle valli ‘infette’, affidata a Cappuccini e Gesuiti gia` da Carlo Emanuele I si vedano i due lavori di CHIARAPOVERO, Le missioni cappuccine nelle valli del

mar-chesato da Saluzzo nel XVII secolo, in L’annessione sabauda del Marmar-chesato di Saluzzo, cit., pp. 215-245 e Missioni in terra di frontiera. La Controriforma nelle Valli del Pinerolese (secoli XVI-XVIII), Roma, Istituto Storico dei Cappuccini, 2006, in particolare il cap. La politica religiosa sabauda nelle Valli 1630-1715, pp. 97-138. Sulla diocesi e` ancora utilissimo CARLOFEDELESAVIO, Saluzzo, Marche-sato e Diocesi nel secolo XVII (1601-1635), Saluzzo, Lobetti-Bodoni, 1915, in particolare pp. 95-147. Sulla cerimonia di ingresso a Saluzzo dell’Ancina abbiamo la descrizione di Delfino Muletti in un documento edito da MARIOBALBIS– ETTOREDAO, Le visite pastorali del beato Giovenale Ancina alla

diocesi di Saluzzo (1603), «Bollettino della Societa` per gli studi storici archeologici ed artistici della provincia di Cuneo», LXXXIII, 2, 1980, pp. 5-23.

34 Il pastore, pp. 234-235. PAOLOCOZZO, I vescovi della transizione. La diocesi di Saluzzo e la

politica ecclesiastica sabauda tra Cinque e Seicento, in L’annessione sabauda del Marchesato di Saluzzo, cit., pp. 211-212: «anche il programma di rigida opposizione all’eresia che il vescovo aveva impostato [...] dovette fare i conti con le tante scaltrezze del ‘‘realismo’’ sabaudo nei confronti dei riformati». Cfr. MARIAFRANCAMELLANO, Alcuni documenti sull’episcopato di Giovanni Giovenale Ancina

(13)

Giovenale pareva un angelo, i popoli piu` che uomini, la citta` un paradiso!

L’Ormea non puo` entrare nei dettagli sui miracoli compiuti, stante la

proi-bizione ecclesistica in materia, ma puo` affermare che il maggior miracolo di

questo vescovo e` stato l’aver santificato la sua diocesi e corretto i costumi e

gli errori del suo gregge.

O destra dunque degna di non mai putrefarsi!

Quanto poi al terzo aspetto della dignita` episcopale, la carita` e lo zelo

del-le anime, esso e` chiaramente significato dal gesto di Giovenadel-le di «muovere

dopo morte il sacro capo». L’Ormea cita il Cantico V, 11 in cui la Chiesa

par-lando di Cristo esclama «caput eius aurum optimum» (in ebraico «rosho

ke-tem paz» zp sxb Xar) per mettere in relazione, attraverso la Septuaginta, che

traduce «aurum kephas», il capo con Cefas, cioe` Pietro, il pastore. Per

l’inter-pretazione di nuovo l’oratore ricorre all’arte dei cenni, giacche´ «il muover

del-la testa [...] simboleggia tenerezza e affetto, intendendosi simil moto per del-

laco-nico motto di tenerissima compassione».

35

Il gelo della morte non ha dunque smorzato le fiamme ardentissime della

carita` e dello zelo di Giovenale, che ha finito di vivere ma non di amare il suo

gregge.

36

Numerosi sono stati gli esempi di pastori che hanno amato il loro

gregge: Carlomanno, figlio di Carlo Martello, re di Francia, che custodiva le

pecore nelle campagne di Monte Cassino dopo il suo ritiro a vita monastica;

Giacobbe, «fenice degli amanti», che con la cura del gregge ottenne in sposa

l’amata Rachele; Davide. Segno supremo della carita` del pastore e` dare la vita

per le pecore, come fecero alcuni vescovi martiri: Tommaso Becket, ucciso

nella cattedrale di Canterbury; Stanislao di Cracovia, assassinato mentre

dice-va la messa; Dionigi di Parigi e Cipriano di Cartagine, che furono decapitati;

Policarpo di Smirne. Dal martirio di questi vescovi al martirio di Giovenale

Ancina il passo e` breve.

37

Il prete che ha somministrato il veleno «nel mese

Cuneo», LXXIII, 2, 1975, pp. 5-25; SILVIAMOSTACCIO, L’oratoriano Giovenale Ancina vescovo di

Saluzzo e la riforma del clero, in Per il Cinquecento religioso italiano. Clero cultura societa`, Atti a cura di Maurizio Sangalli, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 2003, vol. I, pp. 255-263.

35 Il pastore, p. 238. Cfr.ARLA ARLASXM, V, 11 «jeuakg+ at+sot& vqtri*om jaiua*|»; Ioannes, I,

42 «tu vocaberis Cephas, quod interpretatur Petrus».

36 Segno concreto dell’ardore di carita` e` stato anche «partirsi da Roma per Saluzzo ne’ tempi

del pericoloso calore contraponendo fuoco a fuoco».

37 Il Bacci, che insiste molto sul desiderio di martirio del vescovo di Saluzzo, riporta questi versi

di Giovenale: «Venga dunque il martire / conforme al mio desire, / struggami ferro e fuoco / e que-sto ancor sia poco». E aggiunge: «Fu pero` consolato da Dio queque-sto generoso desiderio di Giovenale con una morte veramente preziosa e degna del titolo di martirio nel cospetto del Signore» (Vita, pp. 145-147) e conclude: «fu Giovenale avvelenato e di veleno morı`, e in conseguenza essendo morto pro virtute, pro iustitia, pro pietate, pro Christo, e` senza dubbio martire» (p. 155).

(14)

di agosto, al caldo dell’apostolico zelo» e` chiamato parricida, aspide, cerasta,

basilisco orrendo. Ovviamente la morte per veleno, associata all’amaro calice

bevuto da Gesu`, e` considerata peggiore di qualunque altra morte patita dai

martiri antichi perche´ l’avvelenato e` «Parca del suo corpo, carnefice delle

sue membra»; quindi l’Ancina porta in cielo non solo la corona di gigli, come

vergine, ma quella di rose come martire, come dimostra la venerazione

tribu-tatagli «nell’occulto dell’animo» da chi l’ha conosciuto. Verra` ad ogni modo il

giorno in cui potra` ricevere il titolo di beato e Fossano veder accresciuta la sua

gloria, a patto che la citta` si impegni strenuamente per la gloria del suo

vesco-vo, come gia` hanno fatto Saluzzo, Napoli e Roma. Fossano vivra` allora sicura

all’ombra di due Serafini: il primo Giovenale, vescovo di Narni, protettore di

Fossano, riverito come padre, e il secondo Giovenale Ancina, figlio.

38

Il panegirico si chiude con Giovenale stesso che parla ai fossanesi,

«pusil-lus grex», perche´ lo adorino nei modi finora permessi dalla Chiesa, non con

ritratti o con statue, ma venerandone un ritratto interiore a cui conformarsi.

In questo modo

sara` cotesta mia culla a voi chiesa, a me Campidiglio, al cielo di gloria, a Fossano di

protezione.

L

UISELLA

G

IACHINO

38 GIUGLARIS, Il nuovo Trimegisto, cit., p. 23 elogia Fossano «che´ se vi fu chi felice ti disse per

aver in deposito un Giovenale, da che d’un secondo in tutto simile al primo arricchita ti veggo, piu` che felice t’intitolo». Su Giovenale vescovo di Narni e protettore di Fossano il Tesauro scrisse nel 1626 il panegirico I mostri, che si legge in Panegirici et ragionamenti, Torino, Zavatta, 1659-1660, vol. II, pp. 261-280.

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