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Le decisioni extra assembleari nella S.r.l.

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Alla mia famiglia,

con infinita riconoscenza

per la pazienza e la dedizione.

G.P.

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CAPITOLO I

“Dal codice del 1942 alla riforma del 2003”

1.La rilevanza del socio e l’autonomia statutaria:

confronto con le s.p.a.

La riforma del diritto societario, e in particolare della società a responsabilità limitata, come tutte le novità normative, prende origine da una insoddisfazione nei confronti della disciplina previgente, una volta preso atto della sua inadeguatezza rispetto all’evolversi delle varie esigenze nel corso del tempo.

Una novità, rispetto al momento storico in cui entrò in vigore il codice civile, è rappresentata dal grande sviluppo dell’istituto della s.r.l. a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, rispetto alla s.p.a. e rispetto alle società di persone. Il punto di partenza da cui iniziare il rinnovamento della disciplina fu individuato nel maggior margine di derogabilità, almeno potenziale, insito nel modello legale della s.r.l. rispetto alla s.p.a., cui la disciplina precedente operava un rinvio sistematico.

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Risultò che gli argomenti a sostegno dell’inderogabilità del modello corporativo – capitalistico, caratteristico della s.p.a., non potevano applicarsi ancora oggi alla s.r.l.1.

Occorreva quindi conferire una nuova fisionomia all’istituto della s.r.l., caratterizzato da proprie peculiarità e con la capacità di attingere ad elementi sia del modello capitalistico, cui fa riferimento per la disciplina dei rapporti esterni, sia del modello delle società di persone, cui si ispira, invece, per la disciplina dei rapporti interni: ad oggi potremmo definirlo, per tal motivo, un modello intermedio tra i due2.

Nei rapporti esterni, permane il principio della responsabilità limitata, secondo cui i soci rispondono delle obbligazioni sociali nei limiti del proprio conferimento (art. 2462); nei rapporti interni, i diritti soggettivi dei soci costituiscono un elemento non essenziale del contratto sociale, e da ciò ne deriva l’impossibilità di disporne al di fuori di un procedimento collegiale (art.2479 comma 2°). Un altro importante elemento di differenziazione della s.r.l. rispetto alla s.p.a. risiede nell’importanza che viene data al principio della rilevanza del socio e dei rapporti contrattuali tra i soci.

1 ZANARONE, Introduzione alla nuova società a responsabilità limitata,

in Società 2003, 62

2 Le nuove società di capitali e cooperative, in GALGANO, GENGHINI, Il

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Contemporaneamente all’azione di distacco del tipo s.r.l. da quello s.p.a., viene infatti conferita una nuova e molto ampia autonomia statutaria che consente ai soci di modellare il funzionamento della società nel modo che questi ritengono più idoneo ai loro interessi e alle esigenze pratiche nello svolgimento dell’attività societaria: diventa così possibile la distinzione tra i procedimenti assembleare ed extra assembleare.

Il problema che doveva essere risolto con la nuova disciplina, era quello di realizzare un vero e proprio bilanciamento tra l’attribuzione della personalità giuridica ad un gruppo di soci, che potessero godere della responsabilità patrimoniale limitata, e l’esigenza di disporre di un nucleo di norme imperative ed inderogabili3.

La soluzione fu individuata nella prevalenza dell’atto costitutivo rispetto alla disciplina del codice civile: in molti casi, infatti, essa attribuisce in primis allo statuto societario la facoltà di regolare la materia, riservando alle norme del codice un ruolo “sussidiario”4.

L’elaborazione preparatoria del codice civile del 1942 voleva, invece, evitare tale impostazione, delineando un modello di società “a garanzia limitata”, come era stata definita nei progetti di codice di commercio “Vivante” del

3 SALANITRO, Profili sistematici della s.r.l, Giuffré, Milano, 2005, 67

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MARCIANO, I processi decisionali dei soci e le modifiche statutarie nella srl (tecniche di verbalizzazione), in BORTOLUZZI, La riforma delle società: aspetti applicativi, UTET, Torino, 2004, XVIII, 68.

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1922 e “D’Amelio” del 1925; tale modello aveva un’impostazione moto personalistica e venne disatteso sia dal successivo progetto “Asquini” del 1940, sia dal codice civile stesso nella sua stesura definitiva.

Nel 1966 fu presentata una proposta di riforma delle società di capitali, elaborata dalla Commissione “De Gregorio”, che rappresenta, in un periodo successivo all’entrata in vigore del codice, l’unico tentativo di procedere ad un ammodernamento della disciplina sulla s.r.l., fino all’emanazione del d.lgs. 06\2003, di cui ci occuperemo in seguito.

Questa proposta è importante perché, in forma embrionale, ammetteva la possibilità di deliberare senza assemblea: l’art. 55 prevedeva, infatti, come ammissibile un complesso di dichiarazioni scritte, tra loro concordanti e provenienti da tutti i soci, nel rispetto di un intervallo massimo di due mesi tra due dichiarazioni.

Si prevedeva inoltre che l’esistenza ed il contenuto delle dichiarazioni dovessero essere verbalizzate nel libro delle adunanze e delle deliberazioni dell’assemblea, a cura degli amministratori: fu proposta una tecnica molto simile alla raccolta del consenso per iscritto.

La Legge delega chiedeva alla c.d. “Commissione Vietti”, costituita ad hoc per procedere alla riforma, di creare le basi per sviluppare la competitività delle imprese, senza stravolgere i principi cardine del diritto societario italiano.

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Tale obiettivo non poteva essere raggiunto se non predisponendo adeguati sistemi di tutela dei soci, invogliando gli investimenti dei creditori sociali, garantendo un adeguato livello di fiducia ed incentivando la partecipazione alla vita societaria.

Nella relazione che illustrava lo schema di decreto legislativo, viene evidenziata con chiarezza, ad esempio, l’importanza di attribuire, ai soci, una competenza generale su ogni materia, anche gestoria, da parte degli amministratori o di un numero di soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale.

Un’altra novità importante colta dalla relazione “Vietti” riguarda l’inidoneità delle partecipazioni di s.r.l. ad essere rappresentate da azioni o ad essere oggetto di sollecitazione all’investimento, perché questo rende estranea la figura del socio assenteista e inattivo, come già si evince dalla disciplina sulle s.p.a.: data la natura del tipo societario in questione, infatti, è essenziale una figura di socio che sia il più partecipe ed attivo possibile.

Un secondo, importantissimo, documento utile per comprendere le finalità e gli obiettivi della riforma è la relazione “Mirone”.

Questo documento delinea, in maniera precisa, quali siano stati i presupposti che abbiano condotto allo sviluppo di una riforma dei tipi societari e quali linee siano state seguite per soddisfare le esigenze di rinnovamento.

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Per fare un esempio, la Relazione prende atto come la prassi abbia comportato una netta cesura tra lo schema legale e la sua applicazione, ricorrendo troppo frequentemente al modello azionario e relegando la s.r.l. ad un ruolo marginale, in contrasto con quelle che erano le attese del legislatore del 1942.

L’obiettivo era quello di valorizzare l’istituto della s.r.l. stessa, sia rispetto alla s.p.a. sia rispetto alle società di persone, perché si voleva conseguire l’obiettivo di allargare il beneficio della responsabilità limitata al maggior numero possibile d’imprese.

Ma la prima causa che ha impedito il conseguimento di questo fine, è stata l’eccessiva assimilazione della disciplina del tipo s.r.l. a quello azionario, conferendole una struttura rigida, onerosa e poco rispondente alle nuove esigenze economiche5.

Sempre secondo tale Relazione, questo processo di ristrutturazione deve tener conto che la s.r.l. non può ricorrere al mercato dei capitali di rischio e che essa è formata da “soci imprenditori” e non solo da meri risparmiatori.

Questo comporta che tale società, impossibilitata a sfruttare fonti di finanziamento esterne e fondata su compagini sociali ristrette (anche a base familiare), non debba

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rispettare i medesimi obblighi imposti alle s.p.a. in materia di organizzazione, controllo, ecc. .

Da qui deriva la differenza basilare nell’organizzazione dei due tipi societari: la s.p.a. è maggiormente ancorata ad un criterio d’inderogabilità normativa, mentre nella s.r.l. l’autonomia statutaria assume un ruolo chiave.

Ed in riferimento alla s.r.l., la Relazione prevede un riposizionamento tra le società di persone, da cui attinge la maggior autonomia organizzativa, e le società per azioni non quotate, da cui trae spunto per la maggior imperatività delle norme a tutela dei terzi6.

Dopo aver analizzato tali Progetti, arriviamo al vero apice della riforma, rappresentato dalla legge delega 3 ottobre 2001, n. 366, che rappresenta il documento più importante per comprendere la portata ed il significato della riforma del diritto societario, in quanto delinea i principi fondamentali ed i criteri direttivi a cui venne poi data attuazione nel d.lgs.06\2003.

In particolare, l’art. 3 della suddetta legge pone la rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali tra i soci come principi fondamentali, cui il legislatore deve ispirarsi, per creare un complesso di norme autonomo ed organico, anche a carattere suppletivo, per la s.r.l. .

L’obiettivo di questa impostazione è quello di offrire agli operatori economici uno strumento elastico e finalizzato a

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soddisfare esigenze particolarmente sentite nella sfera delle piccole e medie imprese7.

Tutte le principali novità introdotte, richiedono una scelta specifica da parte dell’autonomia privata, e pertanto si può affermare che la legge delega conferisce uno spazio ben più ampio nella s.r.l. (rispetto alla s.p.a.) sia all’autonomia contrattuale che a quella statutaria; facendo attenzione, in quanto si tratta di due concetti distinti: la prima rappresenta la facoltà dei soci di introdurre determinate clausole, che possano imporre l’unanimità ed in tal modo il socio perviene ad esprimere non tanto un voto, quanto un consenso contrattuale, che formalmente resta una dichiarazione di volontà, ma non più connessa al valore della partecipazione, bensì alla persona del socio stesso, valorizzandone al massimo la nuova posizione centrale; la seconda, invece, riguarda la facoltà di introdurre clausole che legittimino l’adozione, a maggioranza, di decisioni che incidano su posizioni ed interessi individuali, fatto salvo il diritto di recesso.

L’art. 3 della legge delega individua in maniera chiara e puntuale gli obiettivi della riforma:

- Libertà di forme organizzative;

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Relazione al D.lgs. 6/2003 “riforma organica della disciplina delle società di capitali e cooperative in attuazione della legge delega 366/01", in Società 2003, 147.

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- Semplificazione delle procedure decisionali e di valutazione dei conferimenti;

- Ampia autonomia statutaria, riguardo ai procedimenti decisionali, agli strumenti di tutela dei soci, tra cui il diritto di recesso, alla disciplina del contenuto e del trasferimento delle partecipazioni. Nello stesso tempo, vengono posti anche limiti a tale autonomia statutaria, rivolti a garantire tutela della certezza nei rapporti sociali, dell’affidamento di terzi e di creditori e dell’effettiva formazione del capitale sociale8.

In definitiva, attribuire alla s.r.l. una maggior elasticità funzionale, significa anche liberarne la disciplina da obblighi di adottare una struttura che preveda una rigida procedimentalizzazione decisionale e una ripartizione troppo rigorosa delle competenze tra i vari organi sociali. La relazione Mirone, dopo aver precisato che la s.r.l. è caratterizzata dalla presenza di soci “imprenditori”, coinvolti nella gestione e nello svolgimento delle attività sociali, definisce questi come “soggetti che investono capitali propri nella società, con l’intento di gestire personalmente l’impresa o di influire direttamente sulla sua gestione”: si tratta di un modo esauriente di descrivere la funzione centrale assunta dal socio nella società.

8 Le nuove società di capitali e cooperative, in GALGANO, GENGHINI,

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Tale funzione si esplica, innanzitutto, dal punto di vista dell’insieme dei soci, che ora è inteso come categoria, a cui attribuire un maggior peso decisionale nei confronti di altri organi sociali e specialmente nei confronti dell’organo amministrativo.

Tutto ciò significa che queste nuove funzioni devono essere disciplinate valorizzando la fonte contrattuale rispetto a quella legale, sia in senso formale che sostanziale9.

In senso formale perché all’autonomia privata non servono autorizzazioni per disciplinare una materia, indipendentemente dal fatto che sia o meno già regolata dalla legge, a meno che non si tratti di norme imperative. In senso sostanziale, in quanto emerge l’esigenza che, trattandosi di rapporti interni, la legislazione non sia invadente e si limiti a disporre, al massimo, norme dispositive, riconoscendo sempre l’ampiezza dell’autonomia statutaria.

Comunque sia strutturata l’organizzazione interna, quindi, la competenza per le decisioni che riguardano gli aspetti vitali dell’attività sociale è attribuita a coloro che vi hanno investito del capitale; appare quindi naturale riconoscere a tali soggetti il diritto di esercitare un maggior controllo sul proprio investimento, anche nei casi in cui venga riconosciuta un maggior potere agli amministratori.

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E dare rilevanza ai rapporti contrattuali tra i soci è un modo per sostenere che la vita della s.r.l. può svolgersi secondo modalità contrattuali analoghe a quelle in base a cui vengono adottate le decisioni nella società di persone, le quali risultano sostitutive di quelle deliberative: infatti, mentre la deliberazione è espressiva del principio maggioritario tipico dell’assemblea, indipendentemente dalla presenza di posizioni dissenzienti, il contratto è un negozio giuridico che si forma con la convergenza degli interessi di tutte le parti coinvolte10.

Ma questo carattere di centralità del socio si realizza anche quando la figura del singolo socio, ora individuata in sè e non più intesa come categoria, venga contrapposta alla stessa collettività dei soci, intesa come minoranza contrapposta alla maggioranza.

Questa importanza nei confronti della massa sociale è importante, sotto due piani distinti.

In primo luogo, occorre osservare come vi siano casi in cui la collettività non possa operare, senza il consenso del singolo socio: l’art. 2468, comma 4°, c.c., disciplina, ad esempio, i diritti particolari attribuibili a taluni soci in materia di amministrazione e ripartizione degli utili: essi

10MIRONE, Le decisioni dei soci nella srl: profili procedimentali, in ABBADESSA, Il nuovo diritto delle società: liber amicorum G.F. Campobasso, vol. III Controlli, bilancio, modificazioni dello statuto, srl, gruppi di società, UTET, Torino, 2007, XIX, 507.

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non sono modificabili se non per consenso unanime, salva diversa pattuizione statutaria.

In secondo luogo, il socio è rilevante nei confronti della collettività sociale anche in quei casi in cui, sebbene quest’ultima non necessiti del suo consenso per la decisione, egli vanti delle pretese in riferimento alla decisione stessa.

Prendiamo come esempi: il diritto stesso di concorrere alla formazione della decisione, esprimendo il proprio voto; il diritto di sottoporre determinati argomenti all’assemblea; il diritto di opporsi alla rinuncia od alla transazione dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori.

La rilevanza del socio nei confronti della collettività sociale emerge anche nella tutela del diritto all’informazione, ai sensi dell’art.2476 c.c.: la sua partecipazione personale e le dimensioni, normalmente ridotte, della compagine sociale, rendono possibile un esercizio di tale diritto in modo diffuso, anche riguardo a singole operazioni.

Come detto, l’indisponibilità dei diritti soggettivi del socio rappresenta un limite posto all’autonomia statutaria, che non può incidere su materie disciplinate da norme inderogabili, e nemmeno sui diritti soggettivi del singolo associato, senza un’espressa previsione dello statuto, ai sensi dell’art.2468 comma 4° c.c.

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Poiché è possibile effettuare una distinzione tra diritti soggettivi tangibili ed intangibili, lo statuto deve riporre un’attenzione particolare nell’agevolare tale ripartizione. Il diritto soggettivo va considerato come una posizione soggettiva del socio e perciò è pieno, cioè intangibile, senza il consenso dello stesso socio, nei seguenti casi:

- Diritti patrimoniali ed amministrativi, configurabili dallo statuto come diritti affievoliti o condizionati, ai sensi dell’art. 2468 comma 3° c.c.

- Il diritto di recesso, intangibile ove tassativamente previsto ex lege, altrimenti affievolibile

- Il diritto di prelazione, quando derivi da una cessione,

ex art. 2469 comma 1°, c.c.

- Ogni caso in cui l’atto costitutivo preveda che una disposizione possa essere modificata solo con il consenso di tutti i soci, ex art. 2479 comma 6° c.c. Le posizioni soggettive subordinate all’autonomia statutaria e, quindi, intaccabili con decisione dei soci, sono i diritti patrimoniali ed amministrativi, quali il diritto di voto o il diritto agli utili, che risultino affievoliti per previsione statutaria.

Un’ulteriore distinzione riguarda alcuni diritti potestativi, condizionati e a termine: tali possono essere, ancora, il diritto di recesso e di prelazione, il diritto di impugnare la decisione sociale o il diritto di esperire l’azione di responsabilità verso gli amministratori.

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In generale, il potere di comprimere i diritti soggettivi dei soci è attribuito allo statuto, e non all’assemblea, come prevede l’art.2479 c.c., disponendo una riserva a favore dello statuto stesso sia nel primo che nel secondo comma. In sede di redazione dello stesso statuto, quindi, sarà opportuno porre attenzione nello specificare alcuni aspetti importanti, quali la definizione dei diritti del socio, facendo espresso riferimento all’art. 2468 comma 3°. c.c.; l’eventualità di una cessione della partecipazione, dovendosi stabilire se la conseguenza debba essere l’estinzione dei diritti del socio o la loro circolazione, considerando che nessuna norma sottrae la materia alla disponibilità statutaria; l’individuazione di quelle posizioni soggettive e quelle norme che tutelano il socio e l’integrità della società, che sono comunque indisponibili, e tra di esse possiamo elencare:

- Il diritto all’esatta esecuzione dei conferimenti; - Il diritto al recesso, almeno in astratto;

- Il diritto d’informazione ed ispezione, nonché di controllo legale dei conti;

- L’azione di risarcimento dei danni, che diviene disponibile nel momento in cui si concretizza in un diritto potestativo d’agire;

- Il diritto a tenere i libri sociali;

- Il diritto di predisporre il bilancio e di presentarlo per l’approvazione;

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- Il divieto di sollecitazione all’investimento ed emissione di titoli di debito;

- Il divieto d’incorporazione della partecipazione in titoli;

- Il divieto per la società di acquistare, o accettare in garanzia, partecipazioni proprie;

- Tutte le forme e le procedure per ogni modifica statutaria.

La rilevanza centrale del socio e l’ampia autonomia statutaria sono, quindi, i due principi alla base della riforma, i quali, però, sono suscettibili anche di entrare in conflitto. Il potenziale contrasto tra i due principi è talora evidenziato espressamente11, talora implicitamente, essendo desumibile dalla considerazione della rilevanza come limite alla possibilità per i soci di scegliere una disciplina diversa da quella legale12.

Viceversa, i due principi vengono, da altri, ricondotti ad un piano sostanzialmente unitario, e la rilevanza centrale del

11 DEMURO, L'art. 2479, comma 1°, c.c.: spazi e limiti dell'autonomia

statutaria, in Riv. dir.civ., 2009, II, 403 ivi 414, osservando che, in virtù di tale contrasto, la legge delega non pare essere di aiuto per quanto riguarda l'individuazione delle norme inderogabili.

12Vedi ad esempio MARTORANO, Irregolarità di gestione e strumenti di

tutela nella s.r.l., in Riv. dir. impr., 2005, 367 ivi 377, ritenendo che la regolamentazione statutaria delle modalità di svolgimento del diritto di controllo attenui la rilevanza centrale del socio in favore dell'autonomia statutaria. In tal modo, come detto nel testo, si afferma un sostanziale contrasto tra i due principi.

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socio è considerata come elemento di rafforzamento e conferma dell'autonomia statutaria, non come suo possibile limite.

Questo inquadramento è proposto ora sottolineando che il principio in esame valorizza il naturale “protagonismo” dei soci nella s.r.l., ed in quanto tali, perfettamente in grado di disciplinare l'assetto interno dei loro rapporti nel modo ad essi più congeniale, ora evidenziando il fine comune di questi due principi generali, che è la sostanziale eliminazione dei vincoli alla libertà dei soci non derivanti da esigenze di tutela dei terzi13.

L'esame del ruolo della rilevanza centrale del socio come parametro interpretativo della disciplina legale può utilmente partire proprio da quest'ultimo aspetto, analizzando quindi la correlazione spesso intravista tra tale principio e le regole poste dal legislatore in materia di diritti dei soci.

Il collegamento dei “poteri di voice” con la rilevanza centrale del socio, da cui si desumono l'inammissibilità di modifiche statutarie alla disciplina legale e l'indisponibilità di tali poteri, si fonda essenzialmente su tre diversi argomenti.

13 RESCIO, La nuova disciplina della s.r.l.: l'autonomia statutaria e le

decisioni dei soci, in La riforma del diritto societario, a cura di Di Cagno, Bari, 2004, 169, considerando il rilievo dell'autonomia statutaria come conseguenza del rilievo dei rapporti contrattuali tra i soci.

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Primo, la rilevanza centrale del socio è considerata limite di origine tipologica all'autonomia statutaria, rappresentando gli istituti ad essa correlati elementi caratterizzanti la s.r.l., e in quanto tali non suscettibili di essere diversamente disciplinati dall'autonomia dei soci.

In una seconda prospettiva, essa è, invece, considerata in chiave di protezione dei soci, e, la necessità di garantire a costoro un livello minimo di tutela, implica l'esclusione dell'ammissibilità di interventi dell'autonomia statutaria volti a comprimere alcune prerogative dei soci stessi. Terzo, essa pare fungere, in sostanza, da criterio interpretativo della disciplina legale restrittivo dell'autonomia statutaria, volto a precludere soluzioni che modifichino in senso peggiorativo l'assetto legale dei poteri e dei diritti dei soci.

È diffusa in dottrina l'attribuzione di un rilievo tipologico al principio della rilevanza centrale del socio, da cui discende l'intangibilità delle prerogative spettanti ai soci secondo la disciplina legale e riconducibili al principio in esame. Autorevole dottrina ha, invece, in un primo momento, richiamato sotto tale profilo un insieme più ampio di norme. Un'analisi critica dell'inquadramento che attribuisce rilievo al principio della rilevanza centrale del socio presuppone l'esame di due aspetti, logicamente correlati: in primo luogo, se sia ancora possibile, dopo la riforma del 2003, riconoscere alla s.r.l. un'identità tipologica; in secondo luogo, se tale identità possa essere rintracciata nel principio

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di rilevanza centrale del socio, il quale a sua volta si traduce in quelli che comunemente si definiscono poteri di voice: diritto di controllo, legittimazione all'azione di responsabilità, diritto di avocazione delle decisioni gestorie, legittimazione all'impugnazione delle decisioni.

Il primo quesito è di assai incerta soluzione.

Trova più di un sostenitore la tesi che nega alla base l'esistenza di un tipo s.r.l. a seguito della riforma, che avrebbe lasciato il posto ad un “modello”.

Non mancano posizioni più sfumate, incerte, che mirano a mettere in luce come in un contesto di così marcata autonomia statutaria sia difficile riscontrare elementi essenziali per l'identificazione di tal tipo.

La maggior parte degli autori tende, comunque, a riconoscere l'esistenza di tratti caratterizzanti tale tipo societario e ad identificarli variamente.

Per cui, pur con la cautela necessaria in ragione della complessità del tema affrontato, non pare potersi escludere in radice l'esistenza di requisiti tipologici caratterizzanti la s.r.l.

Dall'esame delle indicazioni fornite dalla dottrina, si può, però, forse dare una risposta al secondo quesito (se l’identità

tipologica possa essere rintracciata nel principio di rilevanza centrale del socio): pare infatti che, nel tratteggiare gli elementi immancabili di una società a responsabilità limitata, la dottrina si sia per lo più soffermata su aspetti ben diversi dai poteri di voice dei soci

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e peraltro non sempre collegati con il principio di rilevanza della persona del socio.

Tali non sono, infatti, la necessaria limitazione della responsabilità del socio né il carattere chiuso della società, ossia il divieto di ricorrere al mercato dei capitali di rischio, che ricorrono con maggior frequenza tra i caratteri indicati come indefettibili.

A conclusioni analoghe si arriva anche considerando quelli che solo da alcuni sono reputati elementi essenziali per la configurabilità di una s.r.l., come ad esempio il carattere non standardizzato delle partecipazioni14, che può essere

posto in relazione con la centralità del socio, ma non con i poteri a questo spettanti.

La sostanziale estraneità dei citati diritti di voice rispetto agli elementi tipologicamente rilevanti pare del resto confermata anche alla luce del criterio indicato per individuare gli elementi essenziali, che devono essere tali da distinguere il tipo rispetto agli altri.

Non è un caso che parte della dottrina abbia espressamente negato la portata tipologica del principio della rilevanza centrale del socio, da attuare sfruttando gli ampi spazi

14 ZANARONE, Il ruolo del tipo societario dopo la riforma, cit., 87 nota

91, FORTUNATO, I principi ispiratori della riforma delle società di capitali, cit., 734, ove riferimento al “carattere oggettivizzato o soggettivizzato della partecipazione”, CAGNASSO, Introduzione alla disciplina della società a responsabilità limitata, cit., 899, sottolineando nella s.r.l. la mancanza delle azioni.

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lasciati all'autonomia statutaria, che è rafforzata, non sminuita, da tale principio.

Alla rilevanza centrale del socio non viene pertanto, almeno espressamente, assegnato rilievo tipologico, ma, per così dire, funzionale, e si esclude la possibilità di dettare una disciplina diversa, in virtù della necessità di accordare una certa protezione ai soci.

I sostenitori di questa opinione non chiariscono se questi limiti alla derogabilità della disciplina legale sono intesi in senso assoluto, a prescindere quindi dall'esistenza di un eventuale consenso unanime dei soci sulla modifica, o solo in modo da escludere che la maggioranza possa modificare la disciplina in senso peggiorativo per la minoranza.

Viceversa, dato che l'art. 2476, 5° comma, ammette espressamente una diversa disposizione dell'atto costitutivo, si potrebbe dubitare della necessità di un consenso unanime per introdurre una disciplina che comprima i diritti della minoranza.

Ma sorgono alcune perplessità.

A tale ricostruzione paiono potersi opporre due ordini di obiezioni: in primo luogo, è sostanzialmente assodata la qualificazione del socio di s.r.l. come imprenditore, in quanto tale in grado di autotutelarsi15.

15ZANARONE, Della società a responsabilità limitata, cit., 85,

D'AMBROSIO, La nuova società a responsabilità limitata tra società di persone e società di capitali, in Dir. fall., 2003, I, 392 ivi 399, DI AMATO, Art. 2476, cit., 200 nota 7, PERRINO, Il controllo individuale del socio di

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In secondo luogo, ragionando in termini generali di efficienza delle società, non si può non considerare che la nuova disciplina dei poteri spettanti al singolo socio, soprattutto per quanto attiene al diritto di controllo e alla legittimazione all'azione di responsabilità, comporta dei pesanti rischi di abuso, i quali sembrano il necessario aspetto negativo della positiva contrattazione in società. In ogni caso, anche a voler ammettere che questi rischi debbano essere sopportati per permettere la citata possibilità di negoziazione, e che questa sia da considerare comunque necessaria in termini di efficienza, l'impianto complessivo della riforma della s.r.l. pare porre un'ulteriore questione.

Non si può, infatti, dare per scontato che l'efficienza della società sia ancora un valore assoluto, da considerare sottratto al volere dei soci.

Il primato della loro volontà sull'esigenza di efficiente funzionamento della società pare, infatti, caratterizzare alcuni importanti aspetti dell'organizzazione della s.r.l. . Si consideri, ad esempio, che, secondo l'orientamento prevalente, dovrebbe essere ormai ammessa la previsione dell'unanimità per le decisioni dei soci16, che di certo in

società di capitali, cit., 657; analogamente, sottolineano che i soci di s.r.l. dovrebbero essere in grado di trattare su un piano di parità le proprie posizioni.

16 ZANARONE, Della società a responsabilità limitata, cit., 1362 ss.,

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concreto potrebbe tradursi in un ostacolo al funzionamento della società.

In base a quanto detto non si può reputare ormai superato il generale principio di efficienza dell'agire societario, ma si può probabilmente concludere, almeno, che tale principio non dovrebbe giocare un ruolo decisivo ed esclusivo nella delimitazione degli spazi di libertà contrattuale dei soci. In ogni caso, in molte ipotesi la necessaria unanimità dei consensi dei soci in merito a modifiche da apportare alla disciplina legale, altrimenti operante, pare la soluzione preferibile, in grado di contemperare l'esigenza di centralità del socio (e la sua tutela) con gli altri principi generali sanciti dalla legge delega, ossia l'autonomia statutaria, la libertà di forme organizzative, e la centralità dei rapporti contrattuali tra i soci, come già chiaramente evidenziato in dottrina17.

Si può ritenere pacifico che i principi generali dettati nella legge delega svolgano una funzione interpretativa della disciplina di attuazione.

In ogni caso, anche ammettendo un possibile contrasto tra i diversi principi generali, si è comunque potuta raggiungere

commentato delle S.R.L., Torino, 2006, 440, osservando che la “facilità deliberativa” può essere diminuita in sede statutaria.

17In merito al diritto di controllo, ma con un'argomentazione che pare poter

essere utilizzata anche in relazione a fattispecie ulteriori, ABRIANI, Controllo individuale del socio e autonomia contrattuale nella società a responsabilità limitata, cit., 180.

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un'analoga conclusione, sia pur con specifico riferimento al problema della derogabilità dell'art. 2479, 1° comma, in senso peggiorativo per le prerogative della minoranza, disconoscendo al principio della rilevanza centrale del socio una effettiva portata limitativa dell'autonomia statutaria. All'approccio ora esaminato si preferisce quello, opposto, che ammette la possibilità che l'ampia autonomia statutaria porti ad un netto ridimensionamento della centralità del socio all'interno della società, e alla scelta di assetti più simili a quelli di una società per azioni, salvo il divieto di incorporare in azioni le partecipazioni, e salvo il rispetto degli altri limiti all'autonomia espressamente formulati dal legislatore, come già accennato.

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2.Le funzioni della collegialità.

Il limite comune alle impostazioni più tradizionali sta nella tendenza ad individuare una ragione unitaria del fenomeno collegiale e quindi a ricercare, per la collegialità, una funzione unica e totalizzante, quantomeno nell’ambito delle realtà associative cui la legge attribuisce la personalità giuridica.

Tutto ciò aumenta le difficoltà di individuare con esattezza la consistenza del procedimento collegiale stesso: cioè di quali fasi o momenti si componga e se essi siano tutti essenziali.

Se infatti dottrina e giurisprudenza parlano di “collegialità” nel senso principale di “contestualità”, dando prevalente rilievo al momento della riunione dei partecipanti, il procedimento deliberativo del collegio si articola, come è noto, in varie fasi, secondo una progressione regolata da un sistema di norme anche piuttosto complesso18.

18 In questo senso, A. Venditti, Collegialità e maggioranza, cit., p.56 ss, in

ROSSI, Il voto extra assembleare nelle società di capitali, Giuffrè, Milano, 1997, il quale, nella ricerca degli elementi costitutivi del collegio al fine di identificare la ricorrenza della fattispecie, ricerca condotta anche sulla base dei risultati della dottrina canonistica e degli studi di diritto processuale ed amministrativo, li individua nel complesso della fasi di convocazione, riunione, deliberazione. Anzi nella ricostruzione di una figura universale di collegio, l’autore ritiene che solo alcune fasi possano dirsi essenziali. Non la discussione, che può mancare nei collegi imperfetti, né la riunione, data la possibilità di deliberazioni collegiali non assembleari (op.cit., p60, nota6).

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Già dal codice di commercio del 1882, particolarmente evidente era la tendenza, nelle decisioni giurisprudenziali, a ricondurre e a spiegare la disciplina dell’attività deliberativa nel quadro delle teorie relative al funzionamento degli enti collettivi capaci di compiere atti e negozi giuridici e di vedersi imputati diritti e doveri: si definiva l’assemblea come organo sociale, il solo autorizzato ad esprimere la volontà della società persona giuridica19.

Vengono, quindi, giudicate invalide le deliberazioni inficiate da “semplici vizi di forma relativi a convocazione, riunione, discussione e votazione”.

Va segnalato che da una parte il tipo di invalidità viene inquadrato ora come nullità ora come annullabilità, dall’altro in alcune pronunce il rigore con cui si tende a sanzionare la violazione di quelle norme risulta temperato dal ricorso ad una sorta di prova di resistenza6 che sembra avvicinarsi più ad un giudizio di annullamento che ad un accertamento di nullità, o all’applicazione di un principio di economia degli atti per cui il raggiungimento dello scopo sana il vizio occorso (come è immaginabile il vizio in questi casi attiene alla regolare convocazione dei soci e le

19 Così Trib. Roma, 15 marzo 1905, Golzio c. Banco Italiano Gestioni, in

V.Angeloni-G. Azzariti, Giuriprudenza sul codice di commercio, dir. da U. Navarrini, Milano 1918 vol. I, p. 587, nonché Trib. Milano 1 febbraio 1906, Lomazzi c. Società cooperativa ambrosiana, in Riv. Dir. Comm., 1906, p. 456.

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fattispecie sono quelle in cui l’avviso risulta comunicato anche se al di fuori delle formalità previste dalla legge)20.

La giurisprudenza valorizzerà spesso la distinzione tra volontà sociale e volontà dei soci, giudicando invalida la deliberazione unanime approvata anche da tutti gli amministratori al di fuori di una regolare assemblea nonché quella adottata dall’unico azionista senza il rispetto delle forme del procedimento assembleare21.

Ma proprio al procedimento in questione sia le elaborazioni dei due codici di commercio, sia gli scritti dei primi commentatori dell’epoca, non presentano valutazioni riguardo alla riunione assembleare in termini di elemento costitutivo necessario dell’attività deliberativa della società. L’unico profilo di inderogabilità certo della disciplina dell’assemblea prevista dal codice di commercio del 1882 riguardava la norma che imponeva la sua convocazione annuale: per il resto era ampiamente derogabile dagli statuti (anche a proposito dell’attribuzione e dell’esercizio del diritto di voto).

E tale obbligatorietà della convocazione annuale viene imposta con l’intento di impedire che gli amministratori, evitando o procrastinando la riunione, possano sottrarsi alla

20Cass. Torino, 14 maggio 1985, Mazza c. Società Anonima Cassa Ass. dei Redditi Ipot, in Dir. comm., 1985, XIII, p.704 e App. Milano, 27 settembre 1899, Società L’Unione italiana, in V. Angeloni-G. Azzariti, op. cit., p. 590. 21App. Roma, 25 maggio 1937, Rizzi c. Federici, in Riv. Dir. Comm., 1938, II, p.40.

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sorveglianza e all’intervento dei soci22, e rendersi attori di

episodi di abuso, mala gestio, frode.

In tal contesto è di vitale importanza garantire la possibilità e l’efficacia dell’intervento dei soci, da realizzarsi attraverso l’attività assembleare che, quindi, deve svolgersi nel modo più rigoroso: in giurisprudenza tale impostazione è chiaramente espressa in una sentenza del 1916, in cui la Corte, nel motivare la declaratoria di nullità di una delibera assembleare adottata in assenza di alcuni soci non convocati, dopo aver richiamato l’essenzialità dell’assemblea in quanto organo principale dell’ente, che solo può esprimere la volontà collettiva, indica le ragioni sostanziali del rispetto delle norme che regolano il funzionamento del collegio affermando che quel procedimento è “ essenziale al reggimento della società; reggimento, se così può dirsi, di natura prettamente democratica, che la legge ha voluto, nell’interesse della società, e anche del pubblico, a impedire le oligarchie, gli accentramenti eccessivi, la sopraffazione nell’interesse di pochi dei legittimi dei più…”23

In dottrina tutto ciò si manifesta in modo chiaro negli scritti di Cesare Vivante, nella cui impostazione si ha il recepimento dei postulati fondamentali della c.d. teoria

22Cfr. Relazione Mancini, in M. Galdi, op.cit., p.355.

23Cass. Torino, 17 marzo 1916, Bormioli c. Società Artistica Vetraria di Altore, in Foro it., 1916, I, c. 799 ss.

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organica24, cioè la necessità del rispetto del procedimento

collegiale come condizione di esistenza dell’ente persona giuridica e come unico strumento di formazione della volontà collettiva, prodotta dall’assemblea, organo supremo della società.

Il procedimento collegiale, in tale visione, è anche la condizione imprescindibile dell’operatività della regola maggioritaria attraverso cui la maggioranza può vincolare la minoranza alle proprie decisioni, ma solo a condizione che tutti i membri del gruppo siano stati legittimamente chiamati a deliberare.

La “funzione partecipativa” che viene così attribuita alla collegialità nelle società di capitali, si lega ad una esigenza, quella appunto di partecipazione a fini di intervento e controllo nella conduzione dell’impresa, che nasce prima e si colloca in parte all’esterno della disciplina del procedimento collegiale in senso stretto.

Si crea così un necessario collegamento tra regola di maggioranza e procedimento collegiale, il quale viene ad operare al di fuori del tradizionale ambito degli organi delle persone giuridiche e risulta elemento strutturale dell’atto deliberativo stesso, forma procedimentale dell’atto collegiale.

È elemento strutturale e costitutivo dell’atto e quindi necessario poichè consente di imputare il suo risultato,

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anche se deliberato a maggioranza, all’intera collettività; ma allo stesso tempo soddisfa precisi interessi sostanziali garantendo, attraverso il dibattito e l’incontro delle volontà e tendenze individuali, l’effettivo coinvolgimento di tutti i membri del gruppo alla decisione25.

In tale ottica la fase della convocazione è giudicata sempre

necessaria, è adempimento fondamentale ed

imprescindibile perchè tutti i membri del gruppo siano posti in grado di partecipare all’attività deliberativa, mentre la fase della riunione può considerarsi momento solo eventuale visto che l’ordinamento conosce deliberazioni collegiali non assembleari26.

Tra le nuove norme che si presentano col codice civile del 1942 compaiono, così, quelle che, nel regolare l’attività deliberativa delle società cooperative, consentono il voto per corrispondenza e la riunione in assemblee separate e che integrano una sicura deviazione dal modello tradizionale del procedimento collegiale, composto di tutte le sue fasi. La collegialità rimane struttura inderogabile in quella impostazione, propugnata da F. Galgano, che le attribuisce come funzione principale quella di garantire “con la

25A. Venditti, op. ult. cit. p. 50 ss.

26 A. Venditti, op. ult. cit., p.60, nota 66. L’esempio è quello delle deliberazioni dei collegi arbitrali, atti collegiali ma non assembleari. L’autore giudica elementi costanti del procedimento collegiale le norme sulla convocazione, sui quozienti, sul voto e sulla documentazione della deliberazione, ma non la disciplina dell’assemblea come insieme di formalità imposte dalla legge per la regolarità della riunione.

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discussione e il confronto delle opinioni, l’interesse precipuo ad una oculata gestione dell’impresa”27.

Il rispetto del procedimento assembleare soddisfa quindi una esigenza di “ponderazione” delle decisioni al fine della migliore realizzazione di un interesse superiore a quello dei soci deliberanti ed anche indipendentemente dal collegamento con il regime della responsabilità limitata: tale interesse alla corretta gestione è evidentemente indisponibile e pertanto quel procedimento è assolutamente inderogabile.

Ma una assemblea raggiunge tale obiettivo se la sua disciplina presenta dei meccanismi normativi tesi ad incentivare la partecipazione personale dei soci e a promuovere formule “democratiche” di governo della società; c’è bisogno altresì che ci siano condizioni oggettive tali da rendere l’intervento personale del socio agevole e non troppo oneroso.

Tuttavia la disciplina organizzativa delle società di capitali non sempre assicura che tali condizioni si realizzino; e ciò lo capiamo dalla disciplina della assemblea ordinaria di s.p.a. in seconda convocazione che, già nel codice di commercio del 1882 e poi nel codice civile (art. 2369, 3° co.), consente di deliberare qualunque sia il numero degli intervenuti.

27 G.Grippo, Deliberazione e collegialità nella società per azioni, Milano,

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Oggi, poi, la previsione del voto per corrispondenza nelle società privatizzate, introdotto dall’Art. 5, l. 474/94, e il riconoscimento, anche se indiretto, della legittimità di massima dei sindacati di voto, ridimensionano drasticamente la rilevanza del dibattito assembleare.

Voto per corrispondenza che, nelle società cooperative, non ha natura di istituto eccezionale e che, sempre secondo il Galgano, sembra compatibile con la personalità giuridica, pur essendo una forma di collegialità attenuata, che si sostanzia comunque in un procedimento in grado di garantire l’informazione di tutti i soci e il loro diritto di partecipare alla decisione sebbene nella forma di consultazione extra assembleare.

L’intento di favorire la partecipazione dei soci numerosi e spesso lontani dalla sede della società o dal luogo della riunione è la ragione con cui viene comunemente spiegata la previsione di questo particolare modo di votazione. Ritornando al tema iniziale delle funzioni proprie della collegialità (oltre la funzione partecipativa), alcuni autori hanno ritenuto di poter individuare e attribuire al procedimento collegiale una pluralità di funzioni: l’indagine ha avuto ad oggetto prevalentemente la ricerca della ratio delle regole di funzionamento dell’organo amministrativo nelle società di capitali, con l’obiettivo di verificare soprattutto la legittimità di clausole di amministrazione disgiunta.

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Al procedimento collegiale del Consiglio di amministrazione è stata attribuita ora una funzione di coordinamento di più volontà, al fine di garantire l’unità e la coerenza dell’operato degli amministratori28, e quindi una

funzione in sostanza compositoria (che in questo senso debba intendersi la funzione di garantire la coerenza e “l’affiatamento” degli amministratori)29, ora la funzione di

indurre una corretta gestione mediante l’attivazione del sistema di responsabilità solidale dei membri del consiglio 93, ora la funzione di soddisfare esigenze di efficienza e di correttezza nell’amministrazione della società.

“La funzione compositoria” svolta dalla collegialità viene intesa come funzione di composizione di interessi contrastanti e pertanto si esplica soprattutto in contesti caratterizzati dalla presenza di interessi in conflitto; ma si è constatato, tuttavia, che essa si svolge anche quando si tratti più semplicemente di coordinare opinioni diverse o comunque l’ attività di un gruppo composto da membri titolari di uguali poteri, i quali, anche perseguendo interessi omogenei, possono avere diversità di vedute.

È evidente che tal tipo di funzione della collegialità è proponibile solo per i collegi in cui sia consentito ai

28G. Zanarone, La clausola di amministrazione disgiuntiva nella società a responsabilità limitata, in Riv. soc., 1979, p. 90 ss.; F. Chiomenti, Il principio della collegialità dell’amministrazione pluripersonale nella società per azioni, in Riv. dir. comm., 1982, I, p.319 ss.

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partecipanti di determinare in sede assembleare il contenuto della deliberazione; di proporre, cioè, emendamenti aggiunti al testo originario della proposta messa ai voti e di deliberare su materie collegate, mentre è evidente che se i membri del gruppo fossero chiamati solo ad esprimere un “Si” o un “No” su una proposta rigida e immodificabile, la funzione compositoria, così descritta, in questi casi non opererebbe.

In riferimento alle proposte presentate in assemblea, e tenuto conto di quanto osservato, possiamo affermare che, per la presenza di determinate norme in materia, nel nostro sistema, in regime normale, e quindi in assenza della previsione del voto per corrispondenza, la proposta presentata in assemblea sia, nei limiti delle materie indicate nell’ordine del giorno, suscettibile di essere modificata; inoltre si può riscontrare come, qualora il voto per corrispondenza sia ammesso e venga esercitato, il problema della modifica o integrazione della proposta possa ricevere varie soluzioni, caratterizzate da una diversa valorizzazione degli interessi coinvolti: quello alla libertà ed efficienza decisionale della società e quello dei soci alla effettività della loro volontà così manifestata, interesse che si è visto essere strumentale alla realizzazione di obiettivi di efficienza e corretta amministrazione.

Per quanto riguarda, invece, “la funzione ponderatoria”, si è cercato di capire che cosa debba intendersi per

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ponderazione delle decisioni, che possa realizzarsi mediante una riunione assembleare.

In un primo senso, infatti, essa può intendersi come “ponderazione individuale”, che consiste nel procedimento valutativo personale dei dati e degli elementi inerenti all’ oggetto della decisione: in tali termini la ponderazione, come valutazione migliore, consapevole e informata per operare la scelta del voto, dipende dalla quantità e qualità delle informazioni messe a disposizione dei membri del gruppo, dalla loro attendibilità e completezza.

La ponderazione cui si fa normalmente riferimento pare invece che debba intendersi come “ponderazione collettiva”: è in tale accezione che la dottrina parla di funzione ponderatoria svolta dal metodo collegiale, come attitudine a promuovere decisioni più oculate nella scelta della soluzione da adottare a seguito della acquisizione delle opinioni dei partecipanti, anche dissenzienti.

Nelle società di capitali questa impostazione presuppone che l’interesse sociale, come interesse comune dei soci, possa operare, nelle loro decisioni, come limite positivo, come obiettivo che orienti e condizioni le decisioni dei singoli.

Se, invece, si considera, secondo l’opinione dominante, l’interesse sociale come limite solo negativo, con la sola funzione di inibire le decisioni dei soci con esso

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incompatibili30, è evidente che esso non possa operare come

interesse precostituito che i soci, nel corso della riunione assembleare, debbano decidere in quali termini e modi realizzare.

Ma, comunque, la possibilità di rendere solo eventuale la partecipazione personale alle assemblee e, la stessa mancanza per il socio di un obbligo di partecipare alla discussione, fanno in modo che la funzione di ponderazione sia un dato possibile, ma non necessario e quindi un elemento accessorio e non essenziale nella ricostruzione delle finalità della disciplina: le norme che la esprimono non possono quindi essere dotate, con sicurezza, di forza imperativa.

La disciplina del procedimento collegiale contempla diverse norme volte a garantire ai soci il conseguimento di un’adeguata informazione sulle vicende della società. Principalmente si vuole soddisfare l’interesse ad acquisire elementi di giudizio sufficienti ad una consapevole espressione del voto.

“La funzione informativa” del procedimento collegiale si realizza, pertanto, soprattutto nella fase preparatoria al voto, in quanto riferita alle informazioni necessarie alla espressione del voto stesso; ed essa trova svolgimento anzitutto nelle norme in materia di convocazione, in particolare quelle relative all’ordine del giorno.

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Se le norme sulla convocazione non saranno osservate, le delibere eventualmente adottate quando la riunione non sia totalitaria saranno invalide, anche se approvate con le maggioranze richieste, poiché gli obiettivi della disciplina, che possono individuarsi nella garanzia di un’adeguata informazione sull’attività deliberativa nonché nella esigenza di consentire e favorire la partecipazione ad essa di tutti i soci, sono in questo caso prioritari rispetto alle esigenze di funzionalità e di “facilità deliberativa” della società; il problema se anche in ipotesi di vizio della convocazione debba applicarsi la regola generale della prova di resistenza si è posto, in particolare, nel caso in cui la convocazione sia mancata nei confronti solo di alcuni soci: poiché nel caso in cui il vizio della convocazione sia generale e la maggioranza dei soci si presenti all’ assemblea dichiarandosi informata, comunque, in base al disposto dell’art.2366 c.c., non si potrà validamente deliberare, nemmeno a maggioranza, non si capisce come si possa applicare un diverso regime alla situazione, del tutto analoga dal punto di vista sostanziale a quella prima richiamata, in cui la convocazione sia stata effettuata solo nei confronti della maggioranza dei soci.

La disposizione contenuta nell’art.2366 c.c., dimostra che l’obiettivo della norma non è quello di garantire la discussione, e, quindi, che essa non è espressione della funzione ponderatoria, poiché non c’è nessun nesso tra i vizi della convocazione e la richiesta di un allargamento del

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dibattito talmente esteso da giustificare la richiesta del quorum totalitario31.

Mentre in dottrina è ancora discusso se la violazione di tali norme sia una ipotesi di mera annullabilità, trattandosi di vizio procedimentale, o di inesistenza o nullità, come ha spesso ritenuto la giurisprudenza, la legge 4/4/1994 sulle privatizzazioni, agli artt. 4 e 5, ha sanzionato con la nullità la violazione delle norme in materia di ordine del giorno. Del diritto del socio all’informazione, come diritto di richiedere ed ottenere dagli amministratori dati ulteriori e chiarimenti sull’oggetto del decidere, si è a lungo discusso, in particolare per definire l’ambito e i limiti oltre i quali è consentito agli amministratori di opporre un rifiuto: tali limiti vengono, in linea generale, individuati, da un lato, nel collegamento tra l’informazione richiesta e i temi da trattare, dall’altro, nel diritto della società alla riservatezza, che legittima il diniego dell’informazione qualora la divulgazione di certe notizie possa procurare un danno alla società32.

Per concludere, abbiamo visto come le funzioni svolte dall’organo assembleare possono quindi raggrupparsi in tre

31E. Di Bello, Nullità, per inesistenza di assemblea, di una deliberazione non preceduta dalla convocazione di tutti i soci, in Dir. e giur., 1958, p. 800 ss.

32M. Casella, L’informazione in assemblea, in L’informazione societaria, cit., p.635 ss. Ivi a p. 646 ss.

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categorie: le funzioni di gestione in senso lato, quelle di gestione in senso stretto e quelle di controllo.

Non può escludersi che più funzioni possano essere compresenti nell’attività che l’assemblea svolge in ciascuna occasione, deliberando su uno degli oggetti già segnalati. La distinzione tra delibere in cui l’assemblea svolge funzioni di gestione e delibere in cui svolge funzioni di controllo è stata proposta essenzialmente con riguardo ad una caratteristica peculiare dell’attività deliberativa in ciascuna delle occasioni richiamate. Quando l’assemblea delibera in materia di gestione in senso lato, da intendersi come comprensiva di tutte le attività di programmazione e di organizzazione, è infatti più probabile che si renda necessario mettere in discussione le modalità concrete di attuazione, o valutare alcuni aspetti specifici anche di tipo quantitativo, o si debba formulare una scelta tra diverse, anche predefinite, opzioni per realizzare l’operazione. Ma questa esigenza si presenta quando, a maggior ragione, l’assemblea sia chiamata a deliberare su materie di gestione in senso stretto, ai sensi dell’art. 2364, n. 4, c.c., con un intervento non limitato ad una mera attività di approvazione o ratifica.

Viceversa, quando la società svolge un’attività di controllo, questa necessità può ritenersi esclusa: ciò accade soprattutto nelle delibere di nomina e revoca degli amministratori 56, o nelle delibere in cui l’assemblea debba solo esprimere

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un’autorizzazione, anticipata o successiva, ad un determinata operazione.

Ora, se, come si è visto, il voto extra assembleare appare poco congeniale alle materie in cui può rendersi necessaria la modifica della proposta nel corso della riunione, viceversa, per le deliberazioni in cui l’assemblea svolge esclusivamente funzioni di controllo sull’operato degli amministratori o su singole operazioni, tal voto può non solo essere privo di inconvenienti, ma anche risultare lo strumento più appropriato allo svolgimento di quelle funzioni.

A sostegno di ciò, possiamo concludere che il collegamento tra alcune forme di voto extra assembleare (voto per corrispondenza e voto per delega) e lo svolgimento dell’attività di sorveglianza da parte dei soci, va oltre il dato empirico: esso appartiene alla stessa ratio della disciplina e, come si è osservato, rappresenta uno dei motivi della loro introduzione nell’ordinamento.

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3.La formazione extra assembleare della volontà sociale.

Dovremmo adesso analizzare quali sono state le principali novità riguardanti le decisioni dei soci nelle s.r.l., focalizzando l’attenzione sull’introduzione di tecniche deliberative che non erano mai state codificate in precedenza, nel diritto delle società.

La stessa relazione ministeriale al d.lgs. 06/2003 pone l’accento su questo elemento di novità, osservandosi che, anche in tutti quei casi in cui sia sancita l’inderogabilità della competenza dei soci, non necessariamente il tipo societario richiede l’adozione del metodo collegiale.

Sia in dottrina che in giurisprudenza, tali procedure vengono individuate attraverso le forme della “consultazione scritta” e del “consenso prestato per iscritto”, che sono previste dall’ art. 2479, comma 3°, c.c. e si caratterizzano per l’assenza della fase della riunione, la quale è invece tipica del metodo collegiale.

L’autonomia statutaria concessa dalla nuova normativa consente una certa personalizzazione di queste tecniche: ne consegue una potenziale molteplicità di tecniche deliberative, che possono essere previste dallo statuto della società, a partire dalle previsioni contenute nella nuova formulazione dell’art. 2479, comma 3°, c.c.

Questa pluralità di soluzioni adottabili in base alle esigenze specifiche della società, è il risultato della valutazione

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comparativa di interessi importanti, come il diritto ineliminabile di ogni socio di partecipare alle decisioni, la ponderatezza di queste ultime, la regolarità del confronto interno e la snellezza delle procedure.

La consultazione scritta e il consenso espresso per iscritto hanno la funzione principale di consentire una deprocedimentalizzazione della decisione stessa, con lo scopo di snellire l’attività sociale in seguito al fisiologico sviluppo delle relazioni tra i soci, nel rigido rispetto, però, dei principi della forma scritta e del principio di partecipazione.

Assicurare la dovuta rilevanza a questi due principi è infatti necessario, se si vuole pervenire ad una decisione regolare, stante la mancanza della possibilità di un confronto diretto, come avviene in ogni caso in cui si proceda attraverso il metodo assembleare.

Di conseguenza, non solamente deve essere rispettato il diritto individuale ed ineliminabile di ogni socio a partecipare al procedimento deliberativo, ma deve anche risultare con chiarezza, dai documenti sottoscritti dagli stessi soci, l’argomento oggetto della decisione e il consenso prestato alla medesima.

Ad integrazione di questi principi, si richiede, inoltre, che la volontà della maggioranza rivesta la forma scritta e venga riportata nel libro delle decisioni dei soci, ai sensi dell’art. 2478, n. 2, c.c.: tutte misure che consentono di realizzare

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una sorta di pubblicità interna e di soddisfare le ineliminabili esigenze di certezza.

Il nuovo ordinamento societario pone comunque dei limiti alla derogabilità al metodo assembleare: vi sono non pochi casi in cui la legge richiede che la decisione venga adottata mediante deliberazione assembleare.

L’adozione delle tecniche in oggetto può essere estesa, oltre che alle decisioni dei soci, anche a quelle degli amministratori: in entrambi i casi, la raccolta del consenso deve essere estesa a tutti i legittimati.

In base a quanto delineato, il principio di collegialità può essere, allora, inteso in senso pieno o forte, oppure debole o attenuato.

Dal primo punto di vista si presuppone l’unità spaziale e temporale nella formazione della volontà collettiva, soluzione che permette un confronto contestuale tra i soggetti legittimati; dal secondo, deve essere comunque possibile un confronto tra i medesimi soggetti, indipendentemente dall’unità spazio temporale.

Pertanto, con un’apposita clausola da inserire nell’atto costitutivo, i soci possono avvalersi della versione attenuata del principio di collegialità, purché venga prevista la possibilità di un confronto tra i legittimati.

Il ricorso a tale strumento rappresenta un’opzione che deve essere valutata sulla base di diversi fattori: le caratteristiche della società, le sue dimensioni, le esigenze di funzionalità, i rapporti tra i soci.

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Questi ultimi, nella redazione dell’atto costitutivo, devono considerare tutti questi elementi e determinare regole di funzionamento che rispecchino le caratteristiche del modello societario prescelto.

In questo modo, automaticamente si delineerà la scelta tra i due modelli di amministrazione offerti dall’ordinamento, cioè quello proprio delle società di capitali, addotto come sistema legale, alternativamente a quello proprio delle società di persone, il quale deve essere espressamente previsto nell’atto costitutivo.

In riferimento a ciò si ritiene opportuno ricordare il punto di vista di autorevole dottrina33, in cui le decisioni dei soci sono sempre considerate come procedimenti collegiali: la distinzione tra il metodo assembleare e quello extra assembleare, secondo tale fonte, è solo formale, riguarda, cioè solo le diverse modalità di documentazione e di formazione della volontà collegiale.

Queste differenze si concretizzano in una riduzione delle garanzie formali e procedimentali per gli eventuali soci dissenzienti, a favore di una maggiore snellezza procedurale, fermo restando che la normativa prevede anche dispositivi di tutela contro possibili vizi dell’iter deliberativo.

33Le nuove società di capitali e cooperative, in GALGANO, GENGHINI, ibidem, 155 ss.

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L’art.2479, 4° comma, c.c. contiene la previsione della facoltà di avvalersi di tecniche extra assembleari ove sia previsto dall’atto costituivo, mantenendo invece il metodo assembleare in altri casi espressamente previsti.

Dal testo in questione risulta evidente un’altra significativa innovazione nella disciplina della s.r.l., rispetto a quella previgente: viene meno ogni riferimento alle assemblee, ordinaria e straordinaria.

Nella disciplina antecedente la riforma, la legge sanciva la distribuzione delle competenze tra questi due tipi di assemblee.

Per gli atti costitutivi redatti prima della riforma, si pone quindi un problema di innovazione: nel caso non vengano revisionati, si continuerà col metodo collegiale, dovendosi prevedere una indicazione statutaria specifica per le decisioni individuali.

Ma dove reperire le regole di voto?

Il senso pratico potrebbe suggerire di applicare, per le decisioni su materie che, nella normativa previgente, erano di competenza dell’assemblea straordinaria, i quorum che erano stati stabiliti per la stessa assemblea straordinaria, ma la questione viene risolta diversamente, richiedendo, per l’adozione, un quorum pari alla maggioranza del capitale sociale34.

34BUSANI, La riforma delle società e dei bilanci: le nuove regole per spa

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Una reminiscenza dell’antica distinzione tra assemblea ordinaria e straordinaria, in effetti, la si può comunque individuare nella previsione di un quorum deliberativo maggiore rispetto alle altre delibere assembleari (almeno la metà del capitale sociale presente, anziché la maggioranza assoluta dei soci presenti,vale a dire quello previsto per le decisioni extra assembleari) per le materie ex art.2479 comma 2° n.4 e 5; in aggiunta, si richiede anche che tali delibere risultino da verbale redatto da notaio.

Lo stesso art 2479 c.c. individua le materie che sono di competenza decisionale dei soci; anche nel caso in cui essa sia inderogabile, non è comunque necessario che tutte le decisioni vengano adottate col metodo assembleare.

L’autonomia statutaria può prevedere che alle medesime decisioni si possa pervenire attraverso le tecniche della consultazione scritta o del consenso per iscritto, ponendo come primo limite, rappresentato dall’esigenza di certezza, che le decisioni rivestano la forma scritta, come chiaramente stabilito nel comma 3°.

Un secondo limite viene previsto nel comma successivo, dove si prevede che il metodo collegiale debba comunque essere utilizzato per le decisioni che possano alterare sensibilmente la struttura sociale e la posizione dei soci.

operativi con norme correlate, suggerimenti pratici, esempi di nuove clausole statutarie, Il Sole 24ore, Milano 2003; 104.

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In base a tale schema normativo e secondo quanto stabilito dal comma 2°, le materie riservate alla competenza dei soci sono:

1) L’approvazione del bilancio e la distribuzione degli utili; 2) La nomina degli amministratori;

3) La nomina dei sindaci, del presidente del collegio sindacale, o del revisore, quando previste;

4) Le modificazioni dell’atto costitutivo;

5) La decisione di compiere operazioni che comportino una modifica sostanziale dell’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modifica dei diritti dei soci.

Per le prime tre competenze, è consentito l’utilizzo delle tecniche deliberative extra assembleari.

Per le ultime due competenze, al contrario, è utilizzabile il solo metodo assembleare, ex 2479 bis c.c. .

Ai sensi del comma 4°, si fa salva ogni ipotesi in cui la convocazione dell’organo collegiale sia richiesta da un numero di soci che rappresenti almeno un terzo del capitale sociale.

In alternativa alla forma scritta, come verrà analizzato in seguito, si attribuisce uguale validità ai documenti, richiesti in base all’art. 2479 comma 4°, c.c., che siano formati e sottoscritti in forma elettronica digitale.

Qualunque sia la veste, cartacea o informatica, il requisito formale è funzionale a soddisfare la previsione normativa

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