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“Il procedimento deliberativo extra assembleare”

Nel documento Le decisioni extra assembleari nella S.r.l. (pagine 108-179)

1.La fase preliminare: l’iniziativa.

In base a quanto esposto nei precedenti capitoli, capiamo quanto diversi e peculiari siano i meccanismi alla base di una decisione presa al di fuori dell’assemblea, e quanto diversa può essere la posizione dei singoli soci.

Come ampiamente accennato, l’atto costitutivo può prevedere l’adozione di una od entrambe le procedure non collegiali, limitandone, in aggiunta, l’utilizzo a particolari materie.

Le forme di partecipazione alla decisione possono essere, quindi, assai variegate e tutto ciò si osserva soprattutto se si compie un’analisi circa gli interessi diversi, ma posti sullo stesso piano, che sono in gioco: snellezza procedurale, partecipazione al voto ed al dibattito, ponderatezza e regolarità delle decisioni.

Questa stessa varietà, tuttavia, deve anche offrire una sufficiente tutela all’interesse individuale, in ossequio al fondamentale principio della rilevanza centrale del socio nella vita sociale.

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Il problema principale, che si coglie analizzando il dettato normativo, è che la legge, introducendo queste significative novità, non fornisce alcuna indicazione circa le modalità attraverso cui debbano realizzarsi queste metodologie extra assembleari; questa può essere sicuramente una scelta voluta dal legislatore, allo scopo di lasciare la maggior libertà possibile all’autonomia statutaria, nel solo rispetto dei limiti fissati dalla normativa stessa.

Ma tale scelta, come più volte sottolineato, rende però necessaria una puntuale regolamentazione nell’atto costitutivo, che individui e disciplini gli aspetti logistici ed operativi del procedimento decisionale.

L’art. 2479, comma 3°, a tal proposito, stabilisce in modo chiaro che, nel caso in cui l’atto costitutivo consenta l’utilizzo di tecniche extra assembleari, dai documenti sottoscritti dai soci dovranno risultare con chiarezza l’argomento oggetto della decisione ed il consenso alla stessa: la prestazione del consenso alla delibera non collegiale è un atto a forma vincolata, e questo lo si capisce anche dalla disposizione dell’art. 2478 n.2, che conferma la natura documentale delle decisioni.

Inoltre, in base al dettato dell’art. 2479, comma 5°, c.c., sussiste la necessità di informare della procedura tutti gli aventi diritto al voto, in ossequio al principio che attribuisce ad ogni socio il diritto di partecipare alle decisioni.

Quindi due sono i requisiti essenziali e necessari per intraprendere un procedimento decisionale non collegiale:

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l’informazione ai soci e la forma scritta dei documenti da essi sottoscritti od approvati.

La volontà della maggioranza dovrà poi essere espressa per iscritto e riportata nel libro delle decisioni dei soci, ai sensi dell’art. 2478, n.2, c.c., essendo nulle e non solo annullabili, le decisioni adottate in assenza assoluta d’informazione. I requisiti minimi richiesti dall’art.2479 comma 3°, nell’ambito della fase pre – assembleare, sostituiscono la disciplina della convocazione, mentre, nell’ambito della fase post – assembleare, fanno le veci della verbalizzazione delle delibere: nel primo caso, si consente ai soci di essere informati sull’avvio del procedimento e sugli argomenti che ne costituiscono l’oggetto, mentre nel secondo, si consente, a tutti coloro che possono accedere al libro delle decisioni dei soci, di apprendere il contenuto della disposizione adottata con tale procedura.

Il rispetto di tali requisiti sanciti dall’art.2479 commi 3° e 5° è necessario per evitare limitazioni nell’esercizio del diritto di voto, e per evitare che si concretizzi la fattispecie della “assenza assoluta di informazione”, in presenza della quale, come visto, le decisioni sono impugnabili da chiunque vi abbia interesse, entro tre anni dalla trascrizione, secondo quanto disposto dall’art. 2479 – ter, comma 3°. Ma, per giungere ad una decisione legalmente valida, occorrerà anche una verifica preventiva che accerti l’identità e la legittimazione di coloro che siano destinatari dell’atto d’iniziativa non collegiale; ed una successiva circa

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la legittimazione di coloro che abbiano manifestato il consenso per iscritto, la correttezza e la congruità delle dichiarazioni di volontà ed infine il risultato della loro raccolta.

Sarà, naturalmente, compito dell’atto costitutivo individuare il soggetto a cui è attribuita tale importante competenza.

Nell’analisi del procedimento deliberativo extra assembleare, partiamo ovviamente dalla legittimazione ad avviarlo, tenendo presente che tal procedimento non richiede una “convocazione” iniziale, né alcun altro atto dotato di particolari forme o modalità di comunicazione, per cui possiamo affermare che non presenta un vero e proprio “inizio” codificato o procedimentalizzato.

Nonostante ciò, esso trae origine da un atto d’impulso da parte di uno dei soggetti coinvolti nella decisione: su tal punto, però, la legge nulla dispone e, in caso di mancanza di norme convenzionali presenti nell’atto costitutivo, occorre stabilire chi siano realmente i soggetti legittimati ad avviare il procedimento.

Al riguardo, sono state sostenute varie interpretazioni: secondo alcuni la legittimazione è attribuita a ciascun socio singolarmente77; secondo altri spetta a ciascun

amministratore o a quei soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale, desumendo ciò dall’art 2479,

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co.1, c.c., nella parte in cui conferisce a tali soggetti il diritto di sottoporre ai soci le materie su cui decidere78; secondo

altri autori si debba guardare, per la legittimazione, alle clausole statutarie adottate nel caso concreto e che stabiliscano quali soggetti siano competenti a convocare l’assemblea79; sino alla tesi più restrittiva che circoscrive

siffatta legittimazione alla “competenza esclusiva degli amministratori, intesi nella loro collegialità e non singolarmente”80.

Ma, aldilà di tali ricostruzioni, vi è da dubitare che possa addirittura parlarsi di legittimazione ad avviare il procedimento, se solo si consideri il fatto che le decisioni extra assembleari dei soci non devono seguire, secondo il modello legale, alcun procedimento prefissato: esse devono intendersi validamente assunte se, previa informazione di tutti i soci, converga la volontà dei soci portatori della maggioranza del capitale sociale su di una medesima

78 G.Laurini, Manuale Breve della SRL e delle operazioni straordinarie, cit.,

CEDAM,Padova, 2004, p.66 a parere del quale vi sarebbe inoltre un diritto dei soci che rappresentano almeno il decimo del capitale sociale di chiedere agli amministratori di attivare il procedimento, in applicazione analogica dell’art. 2367 c.c..

79 O.Cagnasso, Le decisioni degli amministratori e dei soci di s.r.l. adottate

mediante consultazione scritta o consenso espresso per iscritto, una semplificazione?, in Società 2005, cit., p.176

80C.A. Busi, Le decisioni non assembleari dei soci nella s.r.l., 2005, cit., p. 368.

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decisione, rientrante nella competenza dei soci stessi, e che questa sia espressa, con chiarezza, in forma scritta.

Non sembrano quindi assumere rilevanza le modalità e il procedimento con cui si giunge al risultato, ma solo “il risultato in sé”, purchè siano rispettati i minimi requisiti stabiliti dal legislatore81.

Se riteniamo ciò vero, si dovrebbe affermare che non sia nemmeno configurabile una “legittimazione” ad attivare il procedimento decisionale della consultazione scritta o del consenso espresso per iscritto, posto che l’iniziativa di qualsiasi soggetto deve ritenersi idonea a produrre il risultato finale: ciò vale quindi per tutti i soci singolarmente considerati, nonché per gli amministratori e per i sindaci, se nominati, anch’essi non necessariamente in forma collegiale, ma singolarmente.

Possiamo anche estendere a soggetti terzi, senza alcun limite, la possibilità di dare l’avvio ad una decisione non assembleare, potendo ciò dipendere dalle circostanze di fatto in cui si trova la società in un determinato momento, e sempre che siano rispettati gli elementi minimi ed essenziali

81Contra G. Guizzi, Le decisioni dei soci: profili tipologici, cit., p.1011, a parere del quale l’intervento propulsivo dell’organo amministrativo rappresenta invece “il primo elemento costitutivo del procedimento, in assenza del quale neppure si può riconoscere valore sociale ai consensi espressi dai soci rappresentanti la maggioranza”. Tale tesi è stata sottoposta a serrata critica da A. Mirone, Le decisioni dei soci nella s.r.l., cit., p.492 ss., di cui si condividono le conclusioni, ma non i giudizi in termini di “petizione di principio” e di “vera e propria tautologia”.

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richiesti dall’art. 2479 c.c.: in tal senso non sembra potersi escludere, ad esempio, che nel momento in cui i soci intendano o debbano procedere alla nomina di un amministratore, di un sindaco o del revisore, giunga ad essi la proposta di nomina da parte dello stesso soggetto interessato, con l’indicazione di tutti gli elementi dell’eventuale decisione dei soci (durata, compenso, ecc..), e che, sulla base di tale iniziativa, i soci aderiscano per iscritto a tale proposta di decisione; in tal caso non vi sono motivi per ritenere che la decisione si sia validamente perfezionata e che, nei fatti, l’avvio del procedimento sia consistito nella proposta di decisione proveniente dal terzo, sempre che, lo si ripete, siano stati informati tutti i soggetti a ciò legittimati, sia stata consentita, nei fatti, la possibilità di opposizione da parte degli amministratori e dei soci, sia stata formulata con chiarezza la proposta di decisione e il consenso dei soci sia stato espresso per iscritto.

Ma tale affermazione di principio deve adattarsi a ciascuna ipotesi concreta, posto che vi sono decisioni che presuppongono un’attività riservata all’organo amministrativo, per esempio in ordine all’approvazione del bilancio, che sicuramente deve essere preventivamente redatto dagli amministratori e sottoposto all’approvazione dei soci: ma si tratta tuttavia solo dì un presupposto di fatto, necessario per l’assunzione della decisione, e non già di un “atto di impulso” quale elemento essenziale del procedimento decisionale, necessario affinché possa

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configurarsi una decisione non assembleare, la quale in realtà potrebbe perfezionarsi, anche in tal caso, in forza del consenso scritto senza un “avvio” da parte degli amministratori.

Non si vedono infatti ragioni per negare l’ammissibilità (e la qualificazione in termini di decisione sociale ai sensi dell’art. 2479 c.c.) di una decisione assunta dai soci, dopo che gli amministratori hanno depositato il bilancio e convocato l’assemblea per la relativa approvazione, su iniziativa di uno dei soci stessi, mediante sottoscrizione di un testo scritto, riportante l’approvazione del bilancio e la destinazione degli utili, fatto circolare tra i soci, dopo averne informato gli amministratori.

Altre riflessioni possono essere effettuate in riferimento alla legittimazione di sottoporre ai soci una decisione, gestoria, su un argomento non rientrante nelle competenze dei medesimi, come circoscritte dalla legge o dallo statuto: solo a tale riguardo si può infatti individuare un vero e proprio diritto ed una corrispondente legittimazione in capo a determinati soggetti, e tutto ciò lo si deve limitare ai singoli amministratori e ai soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale, nonché eventualmente agli altri soggetti indicati all’uopo dall’atto costitutivo.

Per quanto riguarda le due tecniche alternative, in base a quanto affermato ed alle differenze tra tali metodi, nella consultazione scritta, il potere d’iniziativa può essere attribuito a ciascun socio o amministratore, oppure al

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consiglio d’amministrazione o al suo presidente; in assenza di precise indicazioni normative, com’è assodato, i soci godono di ampia autonomia statutaria.

Si richiede la stesura di un formale atto d’impulso, contenente la proposta, il quale dovrà essere comunicato ai destinatari, previa verifica della legittimità del ricorso a tale tecnica e del rispetto dei limiti posti al suo utilizzo.

Occorre ricordare come, nella consultazione scritta, sia possibile una comunicazione contemporanea o successiva dell’atto d’iniziativa a tutti i soci; diventa necessario, all’uopo, fissare dei termini per non compromettere la regolarità della procedura.

Di conseguenza, in caso di diffusione simultanea, vanno previsti un termine minimo prima del quale non sia possibile esprimere una volontà, al fine di consentire una eventuale consultazione informale, ed anche un termine ultimo oltre il quale, per contro, non sarà più possibile esprimere un consenso.

In caso di comunicazione successiva, resta sempre opportuno fissare un termine massimo per l’espressione del voto.

Per quanto riguarda la tecnica del consenso fornito per iscritto, non si richiede la presentazione di un formale atto d’iniziativa; quindi, in questo caso, si può ritenere che non vi sia un problema di legittimazione attiva: di conseguenza, le decisioni possono essere assunte anche sulla base di una

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iniziativa proveniente da soci titolari di una quota inferiore ad un terzo del capitale sociale.

La serietà di questa proposta è tutelata dalla previsione di un quorum, quale quello indicato nell’art. 2479 ult.co. , che respingerà ogni proposta che non raggiunga il consenso di una maggioranza che rappresenti almeno la metà del capitale sociale, sgravando la maggioranza e gli amministratori da eventuali oneri, in caso di valutazione negativa di una certa proposta.

Per quanto concerne le modalità di comunicazione, nel caso in cui lo statuto consenta la consultazione scritta, dovrà provvedere anche ad individuare i soggetti legittimati ad attivare la procedura e le modalità per realizzare l’informativa.

Deve essere stabilito, in concreto, su quali supporti possa essere scritta, cioè cartaceo o digitale, e il sistema per mezzo del quale dovrà essere successivamente diffusa ai soci: telefax, a mano, posta elettronica, posta ordinaria e così via. Qualunque sia il metodo di comunicazione, esso deve essere tale da consentire prova dell’avvenuta trasmissione e dell’avvenuta conoscenza da parte del destinatario, al suo indirizzo fisico, virtuale o telefonico, a seconda del sistema adottato.

La stessa disciplina viene applicata alle modalità attraverso cui ogni socio dovrà comunicare la propria decisione alla società, al soggetto promotore dell’iniziativa e ai soci.

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Nel consenso per iscritto, e sempre in riferimento alle modalità comunicative, invece, manca la fase della consultazione preliminare; anche in questo caso sono necessarie norme affini a quelle previste per la prima tecnica extra assembleare, che disciplinino le modalità di redazione e trasmissione dei consensi, il loro afflusso alla società, il computo e la verifica dei risultati, la proclamazione e la verbalizzazione del risultato.

Indipendentemente dalla tecnica decisionale prescelta, possiamo notare come la normativa in materia di comunicazione è incentrata sul rispetto dei due requisiti formali essenziali: la forma scritta, per cui debbano essere facilmente individuabili l’oggetto della decisione e il consenso alla stessa, e la tutela del diritto di ogni socio a partecipare alle decisioni stesse.

Proprio osservando il secondo requisito, la partecipazione di tutti i soci, bisogna generalmente analizzare quali siano i soggetti coinvolti nel procedimento.

Il legislatore afferma che ogni socio ha diritto di partecipare alle decisioni.

Oltre al socio sembra aver diritto di partecipare alle decisioni, ove risultino tali dal libro dei soci, il sequestratario, il creditore pignoratizio e l’usufruttuario, che hanno diritto di voto, così come il rappresentante comune dei comproprietari o degli usufruttuari in caso di usufrutto congiunto.

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L’individuazione dei soci legittimati a partecipare alle decisioni in forma non assembleare è effettuata con riferimento alle risultanze del libro dei soci alla data dell’inizio della procedura; qualora nel frattempo intervengano mutamenti nella compagine sociale, il nuovo socio potrà sottoscrivere la decisione in luogo del socio cedente allegando estratto autentico del libro soci ovvero attestazione degli amministratori da cui risulti la sua regolare iscrizione in detto libro.

Naturalmente, nel caso in cui la quota sia stata alienata con successivi contratti a più persone, ha diritto di partecipare alla decisione chi, in buona fede, abbia iscritto per primo il trasferimento nel registro delle imprese, anche se eventualmente abbia chiesto l’iscrizione nel libro dei soci successivamente ad altro acquirente.

Un problema si pone per il caso di recesso o di esclusione del socio, di cui agli artt. 2473 e 2473-bis; qui si discute circa il momento nel quale cessa il vincolo sociale e quindi l’esercizio dei relativi diritti.

Secondo parte della dottrina è con la dichiarazione del recesso che si conclude il rapporto sociale, salva la condizione risolutiva costituta dalla revoca della deliberazione che lo aveva legittimato, ovvero della deliberazione di scioglimento della società.

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Farebbe propendere per tale ricostruzione la natura recettizia della dichiarazione di recesso e la sua intrinseca funzione di sciogliere il socio dalla società82.

In tal senso sembra andare anche la previsione dell’art.2473, quinto comma, c.c., dove è previsto che il recesso, ove già esercitato, “è privo di efficacia”, se, entro novanta giorni, la società revochi la delibera che lo legittima ovvero se sia deliberato lo scioglimento della società stessa. Tale ricostruzione comporta il venir meno, in capo al socio recedente, del diritto di intervento alle assemblee che, medio tempore, venissero convocate, compresa quella per l’approvazione del bilancio, la revoca della deliberazione che ha legittimato il recesso o lo scioglimento della società. Ne conseguirebbe che, nel caso di revoca della delibera che ha legittimato il recesso, le delibere nel frattempo assunte produrrebbero effetti vincolanti per il socio senza che egli abbia potuto partecipare alle relative assemblee e votare. La soluzione, però, non appare condivisibile.

All’opposto, secondo altra dottrina, si dovrebbe ritenere che il recedente conservi lo stato di socio e pertanto debba “essere ritenuto legittimato in quello spatium temporis, proprio perché ancora interessato e coinvolto dall’attività assembleare ad esercitare i diritti sociali”83.

82V. Sandulli, op. cit., 231.

83V. Carmignani, Art. 2437-bis, in A.a.V.v., La riforma delle società a cura di Sandulli e Santoro, Vo. 2, Tomo II, Torino, 2003, 895.

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La seconda ricostruzione però “desta non poche perplessità, soprattutto perché getta nell’incertezza l’efficacia e la sorte delle delibere assunte con il voto favorevole del socio recedente, successivamente estromesso dalla società”84 (in esito alla precedente dichiarazione di recesso).

In realtà, sembra che il socio recedente abdichi con efficacia immediata alla totale pienezza dei propri diritti sociali, ma rimanga comunque “socio in parte quiescente” della società.

Di tale congelamento si trova un chiaro indice tanto per le s.p.a., nell’art. 2347-bis, quinto comma, c.c., che prevede che le azioni per le quali è esercitato il diritto di recesso non possano essere cedute e debbano essere depositate presso la sede sociale; quanto per le s.r.l., nell’art. 2473, quarto comma, c.c., laddove si prevede che il rimborso della partecipazione del socio receduto possa avvenire anche mediante acquisto da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni oppure da parte di un terzo collegialmente individuato dai soci medesimi. Sembra che, in tale ultima ipotesi, la cessione della partecipazione dal socio receduto al subentrante si perfezionerà al momento della cessione medesima.

Qualora si aderisca alla ricostruzione, qui ritenuta preferibile, del mantenimento della qualità di socio in capo

84D’Andrea, Recesso del socio nelle società per azioni, la nuova disciplina e qualche riflessione, in A.a.V.v., La riforma del diritto societario a cura di Lanzi e Franceschini,, Milano, 2004, 65.

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al recedente, resta da verificare per quanto tempo e con quali diritti il socio rimanga “socio in parte quiescente” della società.

La questione è complicata dal fatto che, mentre per le s.p.a. il legislatore detta un termine pari a novanta giorni, entro il quale la società può revocare la delibera che legittima il recesso ovvero deliberare lo scioglimento della società, in tal modo paralizzando le conseguenze del recesso, per la s.r.l. non è previsto alcun termine.

Non sembra, pertanto, applicabile per analogia, la ricostruzione dottrinale, pensata per la s.p.a., secondo cui l’estromissione dalla società sarebbe sottoposta ad un termine iniziale decorrente dal novantesimo giorno dalla dichiarazione di recesso, oltre che alla condizione della mancata revoca della deliberazione che legittima il recesso stesso85.

Nella disciplina della s.r.l. l’unico termine rinvenibile è quello di centottanta giorni dalla comunicazione del recesso, termine entro il quale deve essere liquidata al socio la sua partecipazione.

Il decorso di tale termine sembra l’unico “termine normativo” identificante il possibile momento di uscita del socio recedente dalla società.

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Resta da verificare, comunque, se il socio possa partecipare alle decisioni che, medio tempore, vengano avviate con modalità assembleari o extra-assembleari.

Sembra si debba distinguere a seconda che la decisione da adottare riguardi la revoca della decisione che ha legittimato il recesso o altra diversa decisione.

Nel primo caso sembra si possa ragionare nel senso che al socio recedente spetti il diritto di partecipare alla decisione: il dialogo tra socio, che ha dichiarato la propria volontà di recesso, e la società sembra, infatti, essere un valore positivo da tutelare.

Nel documento Le decisioni extra assembleari nella S.r.l. (pagine 108-179)

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