• Non ci sono risultati.

Edizione e commento delle lettere di G. B. Casti

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Edizione e commento delle lettere di G. B. Casti"

Copied!
786
0
0

Testo completo

(1)

U

NIVERSITÀ DEGLI

S

TUDI DI

G

ENOVA

S

CUOLA DI

S

CIENZE

U

MANISTICHE

Dottorato di ricerca in Letterature e Culture classiche e moderne

Curriculum:

Letteratura italiana. Tradizione testuale e interpretazioni

Tesi di Dottorato

Edizione e commento delle lettere di G. B. Casti

T

UTOR

: Prof. Alberto Beniscelli C

ANDIDATO

: Francesco Sorrenti

(2)

S

OMMARIO INTRODUZIONE……….………..….……...p. I NOTA AL TESTO………... p. LX LETTERE……….……….………. p. 1 APPARATO POSITIVO………..……….…..p.655 INCIPITARIO……….p.691 BIBLIOGRAFIA………..p.701

(3)

I

INTRODUZIONE

Questo potrebbe almeno per ora farvi ritrattare della vostra parola, che mi piccò assai, che non vi sarà chi mi soffrirà per l’avvenire. Voi mi fate assai torto. Non credo che mi dobbiate mettere nel numero di quelli che colle loro importunità, sfacciataggini, impertinenze o altra, o cattiva o indiscreta, condotta si mettono in istato o di non esser sofferti o d’esser sofferti per compiacenza. Mi protesto che, se domanderò niente a nessuno, non me lo diano. Purtroppo a me conviene e converrà soffrire gli altri. Fate, di grazia, miglior concetto dei vostri veri e buoni amici, e persuadetevi che il can.co Casti, e per la sua onestà e per i suoi talenti, è, e sarà sempre, incapace di fare una cattiva figura, in qualunque luogo egli sia1.

Con queste piccate parole, in risposta alle non meglio precisate insinuazioni di Giambattista Luciani, suo interlocutore e referente da Roma, Giovan Battista Casti (1724-1803) sembra, in qualche modo preconizzare quella sfortuna critica, inaugurata dal tanto abusato sonetto pariniano Un prete brutto, vecchio e puzzolente2, che, salvo rare eccezioni, si protrarrà fino grosso modo alla metà del Novecento. È infatti in questo periodo che i lavori di Ettore Bonora, Gabriele Muresu, Antonino Fallico, Luciana Pedroia e quelli recentissimi di Alessandro Metlica, hanno in parte sciolto i nodi che avviluppavano la produzione letteraria dell’abate, risollevandone così le sorti nella «borsa» dei “classici” ed emancipando il poeta dalla categoria degli «eccentrici», isolati e depennati da ogni canone letterario3. Se il mercato librario aveva fin da subito premiato le opere dell’abate, il giudizio dei contemporanei, in primis quello foscoliano, ha inconsciamente fatto in modo di scindere l’autore delle tanto vituperate Novelle galanti, del poco politicamente corretto Poema Tartaro e dei pericolosi Animali parlanti con il librettista vieppiù apprezzato nella sua ventennale attività. Non è un caso infatti che nelle casse dei libri sequestrati alle dogane o nelle ispezioni presso i librai o nelle varie liste degli Indici degli stati italiani non compaiano mai i drammi per musica4. Da non dimenticare inoltre, come già aveva fatto brillantemente notare Benedetto Croce, la discrasia tra i giudizi degli italiani e quelli degli stranieri5.

Il rilancio degli studi su Casti, una tra le figure più controverse e dibattute del panorama settecentesco, ha colmato le ancora persistenti lacune critiche che derivavano dal limitativo giudizio - per usare un eufemismo - dei principali intellettuali dell’Ottocento e del primo Novecento, spiazzati dalla capacità di Casti di destreggiarsi, in maniera originale e anticonformistica, nei molti generi della tradizione letteraria italiana. La sua produzione spazia infatti dalle satire latine recitate in Arcadia, alle istanze parodico-educative inserite nel genere novellistico, alla pratica del melodramma e la conseguente partecipazione al dibattito attorno al coevo teatro musicale, giungendo, con Gli animali parlanti, a una nuova interpretazione del genere favolistico inteso non come semplice evasione o espressione di trita e quotidiana moralità, ma come ricercato strumento di incisiva satira. La scrittura dell’abate, sinonimo di una fertilissima e multiforme attività, ha portato certo a esiti non di rado discontinui e velleitari, ma che rappresentano la volontà dell’autore di perseguire un ideale di letterato

1 Dalla lettera del 16 aprile 1766 (16).

2 Il sonetto veniva giudicato talmente pesante e quasi ingiustificato da essere censurato nell’edizione toscana delle Opere: il

censore Giovanni Fabrini lo descriveva infatti come «laidissimo e sparso di una bile da trivio che ributta» al pari de La ventola e de Il parafoco (cfr. A. De Rubertis, Studi sulla censura in Toscana, Pisa, Nistri-Lischi, 1936, p. 280). Il componimento è comunque importante in quanto rappresenta, allo stato attuale, l’unica diretta testimonianza dell’incontro tra i due poeti, avvenuto a Milano tra il 1782 e il 1783.

3 Cfr. S. Verdino, Questioni di teoria critica, Napoli, Guida, 2007, pp. 63-69. Lungi dall’attribuire a Casti l’etichetta di “classico”

(se non inteso quale tipico esponente della produzione settecentesca), l’alterno andamento della sua fortuna critica è paragonabile a quello descritto da Verdino per alcuni dei principali poeti italiani moderni. In merito alla singolare discrasia tra fortuna editoriale e sfortuna critica di Casti vd. PALAZZOLO 2001.

4 Per la fortuna critica e editoriale si rimanda principalmente, salvo alcune aggiunte che verranno man mano riportate, a

FALLICO 1976, FALLICO 1984b e a PALAZZOLO 2001.

(4)

II

vivamente coinvolto nelle questioni del tempo, risoluto nell’astenersi dal paludato esercizio degli schemi di moda e da ogni tipo di politica culturale, come testimoniato dalle vicissitudini affrontate nel corso della sua movimentata esistenza.

Nel testo che segue si è voluto mettere in luce gli aspetti più importanti emersi da una lettura più approfondita delle carte, nonché dalla loro risistemazione e datazione. Si è proceduto con un taglio biografico, soffermandosi in particolar modo sulle prime fasi della vita del poeta, le quali erano rimaste ancora lacunose, tentando di capire cosa avesse portato un abate della remota provincia pontificia ad assurgere al ruolo di poeta cesareo in, sostanzialmente, trent’anni di attività. Intervallati sono due excursus, uno sulla nuova cronologia del Tartaro, l’altro sulla questione odeporica mai prima approfondita, al di là della nota Relazione del mio viaggio a Costantinopoli. In conclusione, si propone una rapida disamina degli ultimi drammi, alla luce della terza e contrastata esperienza viennese6.

Da Montefiascone e Roma (1736-1764): i passaggi tra la corte papale e l’Arcadia moreniana

Si parta ab ovo. La data di nascita di Casti il 29 agosto 1724 ad Acquapendente non va messa in discussione, nonostante spesso nelle lettere l’abate millanti la sua reale età, aumentando i suoi anni, e Montefiascone venga indicata come «patria»7. Nulla di rilevante è emerso dai parziali controlli presso la biblioteca del seminario Barbarigo e tra le carte della Curia vescovile, data anche una certa difficoltà nell’accedere alle strutture8. Si dovrà pertanto cercare di prestare maggiore attenzione a quelle notizie e a quei passaggi che, seppur noti, o comunque notificati, non sono mai stati oggetto di attenzione da parte della critica precedente, a partire dalla nomina di Casti a canonico attraverso una bolla di Benedetto XIV, di cui più oltre.

6 Per la biografia dell’abate si faccia riferimento, salvo eventuali imprecisioni che verranno chiarite man mano nel

commento alle lettere, a NIGRO 1979, MURESU 1973 e FALLICO 1984b.

7 I primi biografi retrodatavano la nascita tra il 1720 e il 1722, che sarebbe peraltro avvenuta a Prato (vd. anche la

testimonianza di Cesare Lucchesini in SFORZA 1886, p. 463). Se non bastasse il relativo atto, ritrovato e notificato nel 1887 (T. Ruspantini, Giambattista Casti, Tipografia del Seminario, poi in G.B. Casti, Gli animali parlanti, Roma, per Edoardo Perino, 1893, p. 5, poi FALLICO 1984b, pp. 119-120), sul quale qualcuno ha dubitato, considerando la possibilità che si trattasse di un omonimo, data la diffusione del cognome nella zona (SINDONA 1925, pp. 7-10; BENAGLIA SANGIORGI 1944, pp. 1-3, ma ancora GIBELLINI 2016, p. 6), ulteriore prova è rappresentata dalla relazione di Mario Maffei (1752), conservata in ADV, Visite pastorali, Maffei, c. 51r (poi parzialmente riprodotta da FALLICO 1984b, p. 121). In essa si fa infatti riferimento a «Dominus Joannes Baptista Casti Faliscus Canonicus numerarius annorum 28». Altra conferma si trova nel registro delle visite pastorali da parte del vescovo Giustiniani del 1755, nel quale si legge «Dominus Joannes Baptista Casti faliscus, canonicus annorum 31» (ADV, Visite pastorali, Giustiniani, c. 33v). Sulla querelle, evidenzia i passi incriminati (ma non tutti) in cui Casti contraffà la sua età ARCE MENÉNDEZ 2000. Nel commento alle lettere si provvederà a segnalare tutti i riferimenti che suggeriscono informazioni in merito. Inoltre si è a lungo discusso su quali legami avesse effettivamente avuto Casti con Acquapendente, dato che il padre, Francesco Antonio, era nato a Montefiascone nel 1698, così come gli altri nove fratelli, tra cui Carlo Faustino (1686), colui che rinuncerà nel 1747 al canonicato a favore di Giovan Battista. L’intera famiglia si era trasferita nella cittadina acquesana in seguito alla nomina di Carlo a rettore della parrocchia di Sant’Angelo del Mercato, avvenuta prima del 1713. Francesco Antonio aveva sposato Francesca Pegna, originaria di Orbetello la quale, oltre a Giambattista, aveva dato alla luce ad Acquapendente anche i fratelli Ilario Perseo Antonio (1725) e Mariano Domenico Nicola (1727), morto dopo pochi giorni. Quando Carlo fu poi trasferito alla cattedrale falisca di Santa Margherita, tra il 1725 e il 1726, la famiglia aveva fatto ritorno a Montefiascone, dove erano nati gli altri fratelli di Casti. La campanilistica battaglia tra Acquapendente e Montefiascone nell’accaparramento dei natali del poeta è esemplificabile nel botta e risposta tra LISE 1972-1987 e VOLPINI-SCOPONI 1975 (vd. anche lettera 2, nota 4).

8 Solo di recente l’archivio del seminario è stato acquisito dal centro di documentazione diocesano viterbese (CEDIDO):

sono riuscito solamente ad avere qualche scansione dei documenti già noti, senza poter di persona condurre adeguate indagini, che cercherò in un futuro prossimo di intraprendere. Non reputo in ogni caso che possano emergere dati consistenti: il merito di aver portato alla luce quei documenti che, seppur esigui, sono stati fondamentali per tratteggiare con qualche certezza la giovinezza di Casti si deve allo sconosciuto Bruno Governatori, che discusse con Umberto Bosco una tesi intitolata Sviluppo della critica su G. B. Casti, alla Sapienza di Roma (a.a. 1968-1969), oggi irrintracciabile, nonostante i numerosi tentativi di reperimento presso la biblioteca Monteverdi. Chi è riuscito a leggerla è stato Antonio Fallico.

(5)

III

Il seminario falisco, fondato nel 1690 dal vescovo veneziano Marcantonio Barbarigo, nonostante le ben note difficoltà nelle quali versava lo stato Pontificio intorno alla prima metà del Settecento, rappresentava un discreto centro di formazione culturale, dotato di una fornita biblioteca e di una produttiva tipografia9, con un bacino di iscritti che non si limitava agli studenti montefiasconesi e della diocesi, ma che annoverava anche molti stranieri, soprattutto inglesi10. Numerosi erano gli oratori rappresentati in occasione della festa di San Bartolomeo, titolare della chiesa del seminario, un tempo parrocchia, prima che il titolo venisse trasferito alla cattedrale di Santa Margherita11.

La notizia più rilevante è che lo stesso Prospero Lambertini, il futuro Benedetto XIV, ai tempi dell’arcivescovato di Bologna, era solito, portandosi a Roma, sostare a Montefiascone per incontrare l’amico Pompeo Aldrovandi, vescovo della cittadina falisca dal 1734 al 1752. È pertanto probabile che durante una delle tante permanenze il futuro Benedetto XIV avesse fatto la conoscenza del giovane convittore Casti, iscritto al seminario il 29 ottobre 173612. Smentita dai documenti la notizia, circolante tra i primi biografi, che l’abate avesse ottenuto incarichi di insegnamento già all’età di sedici anni, è noto che era stato un valente latinista, allievo di tal Bartolomeo Betti di Valentano, del quale è rimasta conservata manoscritta una cospicua produzione latina, contenente satire, elegie, esametri, liriche ed epigrammi, tipologie di componimenti rintracciabili nella successiva rimeria latina castiana, sia edita che inedita, alla quale si accennerà più avanti. L’abate rimaneva al Barbarigo fino all’aprile del 1744, quando le operazioni della Guerra di successione austriaca avevano esacerbato la già complicata depressione economica e demografica dello stato Pontificio13. Il seminario, in carenza di iscritti dopo la morte del vescovo Sebastiano Pompeo Bonaventura (1734), aveva dovuto subire le malversazioni delle soldatesche austriache e spagnole: si era resa pertanto necessaria la sua chiusura temporanea fino al luglio 1747. In questo lasso di tempo perdiamo le tracce di Casti, con ogni probabilità trasferitosi a Roma per adempiere a qualche incarico curiale minore14.

9 In realtà la fondazione risale al 1766, quando il vescovo Paluzzo Albertoni Altieri, per ottemperare alle direttive del

Concilio tridentino che da tempo sottolineavano la necessità della presenza di un istituto di formazione religiosa per il clero in ogni diocesi, aveva deciso di edificare un piccolo seminario, accogliendovi cinque alunni sotto la direzione di un Prefetto. Barbarigo, formatosi presso la biblioteca del seminario di Padova, aveva compreso pertanto l’importanza di dotare il centro di una notevole raccolta libraria, che potesse garantire una fruttuosa frequentazione ai coscritti. Sulla storia della biblioteca e per un regesto dei volumi ivi contenuti vd. G. Breccola, La biblioteca del Seminario Barbarigo di Montefiascone: problemi di conservazione, ipotesi di valorizzazione, in Le Biblioteche dei seminari delle antiche diocesi di Viterbo, di Tuscania, di Montefiascone, di Acquapendente, di Bagnoregio e del Seminario regionale della Quercia: problemi di conservazione, ipotesi di valorizzazione, a cura di Luciano Osbat, Viterbo, CEDIDO, 2009, pp. 18-30; Id., La biblioteca del Seminario Barbarigo di Montefiascone, «Biblioteca e società», XVIII, 3-4, 1999, pp. 1-20. Sulla storia della tipografia si faccia riferimento a G. Breccola, La Tipografia del Seminario di Montefiascone, «Biblioteca e società», XVI, 1-2, 1997, pp. 1-16.

10 Come ricorda FRANCHI 1997, p. 3, Montefiascone era il «focolaio del cattolicesimo inglese», citando quale esempio

l’abate Richard Howard. Nel 1719 si svolsero inoltre le nozze tra Giacomo Francesco Edoardo Stuart, figlio del deposto Giacomo II d’Inghilterra, nella cittadina falisca dopo il ritorno dalla Spagna, e la principessa Maria Clementina Sobieska.

11 Cfr. FRANCHI 1997. Nel 1728 venne proposto il dramma di Michele Giuseppe Morei Il sacrificio di Jefte, rappresentato

due anni prima nel Seminario Romano (cfr. BARAGETTI 2012, p. 86).

12 BERGAMASCHI 1919, p. 479, citando il fondo dell’archivio del seminario Barbarigo Saldo a conti e dozzine.

13 Cfr. VENTURI 1969-1990, I, pp. 7 e sgg. Nei confronti del conflitto Benedetto XIV assunse un atteggiamento attendista,

rinunciando alla difesa militare, dato il pessimo stato delle casse pontificie. Anche dopo il decisivo scontro di Velletri, le truppe napoletane e spagnole continuarono a occupare la zona tra Viterbo e Bolsena almeno fino al 1745.

14 Cfr. FALLICO 1984b, senza pero citare la fonte, dichiara che l’abate esercitava «il difficile mestiere di generalis cubicularius».

Questa definizione rimane piuttosto ambigua: il professor Mario Rosa, che ringrazio, mi suggeriva l’ipotesi che si potesse trattare di un incarico legato all’ufficio della camera privata del pontefice; o che la terminologia si riferisse al più noto lemma di "Maggiordomo di S.S.", carica occupata da un ecclesiastico, con responsabilità su tutta la "camera" e l’"anticamera" del papa. Un’altra esperta di storia ecclesiastica, la professoressa Maria Pia Donato, suggeriva di effettuare adeguate ricerche nella segreteria dei brevi nell’Archivio Segreto Vaticano. Uno spoglio sia di MORONI 1840-1861 che del «Diario ordinario» non ha dato riscontri.

(6)

IV

Il 9 novembre 1747 Benedetto XIV nominava Casti canonico numerario della cattedrale di Santa Margherita, a seguito della rinuncia dello zio Carlo Faustino15.

La situazione del seminario, anche dopo che fu terminato il conflitto, rimaneva alquanto critica, a causa delle decisioni poco felici adottate dal vescovo Aldrovandi: tendente a progetti molto audaci e dispendiosi di ristrutturazione di edifici della diocesi16, questi aveva inoltre stabilito che i due vicari generali potessero risiedere nel seminario, assumendone la carica di rettori. Oltre al conseguente tenore di vita, che strideva con le regole seminariali, i due ufficiali erano soliti ospitare numerosi forestieri, le cui spese gravavano sulle casse dell’istituto. Per di più alcuni locali erano stati adibiti ad aule di tribunale, dato che i vicari si erano arrogati competenze in materia civile e penale, con conseguente andirivieni di «curiali, rei, birri e donne»17. Il papa aveva deciso pertanto di porre rimedio al declino della struttura e aveva incaricato Benedetto Passionei, nipote del più noto Domenico, in qualità di visitatore apostolico, di relazionare sulla situazione del Barbarigo. Passionei, già convittore e compagno di Casti, emanava un decreto, nel quale si provvedeva all’allontanamento dei forestieri e all’istituzione di un vice-rettore, nonché il divieto ai rettori di accumulare anche la carica di vicari generali. Riformava inoltre il corpo docente, affidando a Casti la cattedra di umanità nel marzo 1752, nonostante fosse a conoscenza della condotta non proprio mirabile e dell’insofferenza dell’amico nei confronti dell’ambiente seminariale. Il poeta manteneva l’incarico fino al dicembre dello stesso anno, quando il vicario e amministratore pro tempore della diocesi falisca, monsignor Mario Maffei, riformava nuovamente, dietro ordine papale e dopo un’attenta ispezione, il corpo docenti il 6 dicembre 1752: Casti veniva sostituito dal pordenonese Andrea Bassani (1718-1759), educato nel seminario di Padova e autore di due enchiridii riguardanti alcuni trattati liturgici di Benedetto XIV18.

Si perdono nuovamente qui le tracce di Casti, tornato probabilmente a Roma. Priva di testimonianze è la diceria, messa in circolo da Giovanni Rosini e accettata dai vecchi biografi, che vede l’abate accompagnare Vittoria Cherubini, moglie del marchese Giuseppe Lepri, a Parigi19. È noto per certo che nel 1755 Casti era ancora a Montefiascone20. Morto Bassani, il 10 febbraio 1759, il nuovo vescovo Saverio Giustiniani, insidiatosi nel 1754, nominò Casti professore di retorica21, anche se i viaggi romani non si sarebbero interrotti22. Il poeta poi abbandonava definitivamente Montefiascone tra la seconda metà del 1762 e il settembre dell’anno successivo, con la conseguente rinuncia al

15 Cfr. ADV, Bullarium ab a. 1736 ad a. 1762, cc. 139r-141r. Nel testo in latino (di difficile lettura), oltre a venire riconosciute

le qualità morali e di studio, si obbligava Casti ad acquisire entro l’anno successivo l’ordine sacerdotale, pena la perdita della prebenda di circa cento scudi, derivante dall’esercizio del canonicato. Si evince dalla testimonianza di Maffei (cfr. supra, nota 7) che Casti abbia poi confermato il titolo, dato che viene ancora additato quale «canonicus».

16 Sul poco contatto colla realtà si esprime anche lo stesso papa Lambertini scrivendo al cardinale De Tencin, in occasione

della morte del vescovo e del suo testamento: «Noi ci schernimmo dal vederlo, essendo già informati delle sue idee grandiose, e tendenti all’eternità, ed essendo le nostre limitate e corte» (cfr. MORELLI 1984, II, p. 448).

17Cfr. ADV, Visite pastorali, Passionei, 1752, poi in BERGAMASCHI 1919, p. 478.

18 De sacrificio missae (1745) e De festis d.n. Jesu Christi beatae Mariae Virginis (1748); i rispettivi compendi di Bassani risalgono

al 1747 e al 1756 (cfr. Dizionario biografico friulano, a c. di G. Nazzi, Basaldella di Campoformido, Ribis, 1997, p. 52). I testi esemplificavano le linee guida proprie della «regolata devozione» di stampo muratoriano perseguita da Lambertini, ovvero la lotta al consumismo legato alla celebrazione delle messe, come perseguito, per l’appunto, nel Della regolata divozione de’ cristiani (1747) del Muratori (cfr. ROSA 1999, pp. 191-192).

19 Cfr. TRIBOLATI 1889, p. 96. Sul marchese Lepri e la consorte vd. lettere 14 e 16, note 6 e 2. L’ipotesi poteva essere

avvalorata dalla variante «in passato», in FICARI 1921 e FALLICO 1984, in riferimento al passaggio senese nel 1764 (vd. lettera 3), rigettata e corretta «in passando» per le motivazioni riportate nella nota 12 della Nota al testo.

20 Vd. supra, nota 7.

21 È conservata una testimonianza autografa del 3 settembre 1759, nella quale Casti si cita in qualità di «rethorice preceptor»

(ADV, fascicolo Sacre Ordinazioni, 1753-1767, c. 1, poi in FALLICO 1984b, p. 122). L’abate continuò comunque a celebrare messe, come dimostra un biglietto autografo conservato a nella Biblioteca civica di Torino, Raccolta di autografi Luigi Nomis di Cossilla, mazzo 8, fasc. 6, sottofasc. 3 (29 gennaio 1759) e il regesto conservato in BCL (vd. lettera 5, nota 5).

(7)

V

canonicato a favore del fratello Gasparo Luigi23. Non è chiaro se la partenza dalla cittadina falisca fosse dovuta a un’ingiunzione di allontanamento da parte del vescovo Giustiniani o piuttosto dettata da una libera scelta di vita, magari ingolosito da qualche opportunità romana procuratagli dal concittadino e primo corrispondente epistolare Giambattista Luciani.

L’ipotesi facilior, vista la mancanza documentaria, farebbe propendere per la seconda ipotesi, già sostenuta da Muresu, e suffragata dal rapporto col Giustiniani e il nipote Paride24. I contatti con la nobile famiglia di origine genovese non devono essere giudicati casuali, se si pensa che proprio I tre Giulj verranno dedicati a Cecilia Mahony (o Mahon, 1740-1780), consorte di Benedetto Giustiniani (1735-1793), quinto principe di Bassano, al cui servizio operava un altro illustre convittore falisco, il librettista Giuseppe Petrosellini, nipote di Domenico Ottavio e cofondatore dell’accademia dei Quirini25. E non sembra azzardato poter prospettare una collaborazione dell’abate col compaesano, se si vuol prestare fede al fatto che Lo sposo burlato, considerato la prima fatica teatrale del nostro, veniva messo in scena, con la musica di Paisiello, per la prima volta non a Pietroburgo nel 1778, ma al teatro Valle di Roma nel 1769, con musiche di Niccolò Piccinni, in un periodo in cui il compositore collaborava stabilmente con Petrosellini26. D’altronde l’abate dimostra di essere addentro anche alla vita teatrale della città, come testimoniano i riferimenti al teatro d’Alibert nella lettera 18.

I risultati delle letture svolte tra il seminario e Roma si ritrovano nelle tre accademie degli anni 1759-1761, ovvero esercitazioni latine, sia in prosa che in versi, che il maestro Casti sottoponeva ai propri studenti. Una produzione certo non mirabile, limitata a «non più che dignitose esercitazioni

23 Vd. lettera 2. Cadono così le ipotesi dei principali biografi, i quali retrodatavano l’evento a qualche anno prima (cfr. VAN

DEN BERGH 1961, tra il 1761 e il 1762; MURESU 1973 (nel 1761); NIGRO 1979, tra il 1760 e il 1761). Tuttavia, un dato emerso dall’epistolario, finora mai preso in considerazione, sembrerebbe testimoniare il fatto che il canonicato fosse stato trasferito al fratello pro tempore: in una lettera dell’8 dicembre 1794, Angelo Serponti, uno dei tanti aristocratici milanesi in contatto con Casti, comunicava all’abate che, avendo incontrato a Firenze il vescovo di Montefiascone e discutendo in merito al canonicato (all’epoca Jean-Siffrein Maury), questi stava richiamando «tutte le pecore sparse al suo ovile» (cfr. FALLICO 1984, p. 799). In merito all’utilizzo dell’apposizione «canonico» vd. lettera 1, nota 8. Altra indicazione cronologica relativa al trasferimento romano viene da una delle satire castiane pubblicate negli Arcadum Carmina del 1768 (di cui oltre), dedicata alla celebrazione del trattato di Hubertusburg, che mise fine alla guerra dei Sette anni tra il 10 e il 15 febbraio 1763.

24 Vd. lettera 4, nota 11. Secondo BERGAMASCHI 1919, Casti fu allontanato nuovamente per via della sua condotta (p.

509). Il suo incarico venne affidato a Paolo Lucini, ricordato per alcune accademie dedicate agli Optica di Newton, pubblicate poi a Parma nel 1793 (Opticae iuxta Newtonianas leges a Paullo Lucinio Mediolanensi Latinis versibus expositae libri quattuor). Un altro elemento che fa propendere per l’allontanamento volontario proviene da una Laudatio funebris del professore di Sacra Scrittura Giannangelo Meconi per la morte di Benedetto Bonelli (1787), nella quale si denota un certo rammarico per la partenza di Casti, facendo leva sul «vivo desiderio» che «fosse rimasto più a lungo» nel seminario (cfr. PATRIZI 1990, p. 184) Anche nel Vitae illustrium professorum seminarii et collegii Faliscodunensis del convittore Giuseppe Sartini (1844), seppur si dica che nel seminario, prima dell’intervento del cardinale Maffei, le «literae» si trovavano «malo quodam fato squalore ac sordibus obrutae» (p. 50), si ricorda però «Castius» assieme a Bassani e Lucini come una delle eccellenze dell’istituto (p. 60). Curiosa è l’esistenza di una visione, simile a quella con protagonista Metastasio (vd. infra, nota 156), scritta da Francesco Parroccini (cfr. BERGAMASCHI 1919, pp. 510-511). Sugli incommoda falischi vd. lettera 2, nota 4.

25 Cfr. L. Mattei, Petrosellini, Giuseppe, in DBI, LXXXII, 2015.

26 Lo sposo burlato. Intermezzo in musica a quattro voci da rappresentarsi nel Teatro alla Valle dell’illustriss. Signore Capranica nel carnevale

dell’anno 1769. Il nome di Casti apparirebbe solo nell’edizione Puccinelli del libretto. Il riferimento era già stato segnalato in I. Mamczars, Les intermèdes comiques italiens au XVIII siècle en France et in Italie, Paris, 1972, p. 413, testo peraltro citato nella bibliografia di FALLICO 1984b, ma del tutto ignorato. Il libretto è attribuito a Casti anche in SARTORI 1990-1994, III, p. 269 e ID., I suppl., p. 249, che riconduce a Casti anche le riprese a Dresda, Genova e Vienna nel 1770, a Praga nel 1775 e nel teatro degli Esterhazy nel 1776. Se si vuol dar credito a questa possibilità, si spiegherebbe meglio così la reticenza di Casti in merito all’intermezzo quando, nella lettera, dichiara di aver inaugurato la sua vena drammaturgica nel 1784 col Re Teodoro a Venezia, tenendo anche conto dell’antecedente viennese de La calamita de’ cuori (vd. dopo). Da notare però che l’intermezzo rappresentato a Pietroburgo era a cinque voci, tra cui la Bonafini, come riporta il manoscritto in BNF 1626 (cfr. MURESU 1982). La questione dei “due Burlati” è ancora aperta: rimando al recente studio di E. Pantini, La lingua e il pugnale: Lo sposo burlato di Niccolò Piccinni, in «Lo sposo burlato» da Piccinni a Dittersdorff: un’opera buffa in Europa, a c. E. Pantini, C. Faverzani, M. Marconi, Lucca, LIM, 2018, nel quale la studiosa sostiene che la paternità dell’opera spetterebbe a Giulio Cesare Cordara (1704-1785).

(8)

VI

didattiche», ma i cui versi verranno non a caso inseriti nella raccolta degli Arcadum Carmina del 1768. I testi sono già stati analizzati parzialmente nei pregevoli lavori di Maurizio Campanelli, dal quale si attende un’antologia latina d’Arcadia27. Si cita solo il testo contenente il dialogo al quale prendono parte Crispo, forestiero che si unisce per la prima volta alla discussione di una fittizia accademia, Barullo, empirista sostenitore dei filosofi moderni, e Pitoleone, nelle vesti di aristotelico, che incarna il Simplicio galileiano e algarottiano. L’argomento della discussione, ad un certo punto, si incentra sui modelli astronomici, e vede i personaggi prendere due diverse posizioni: Crispo si allinea al pensiero di Tyco Brahe (1546-1601), studioso danese che aveva dimostrato la validità del sistema tolemaico sulla base dei calcoli copernicani, mentre Barullo esprime la sua cieca fiducia non solo in Newton, Leibniz, Franklin, ma anche in Cartesio, il quale, sebbene il suo sistema dei vortici fosse stato ampiamente superato, viene ancora comunque considerato quale padre del pensiero moderno. Questi temi compariranno nuovamente nei Tre Giulj, denotando un certo interesse dell’abate per questo genere di argomenti scientifici, e in particolare una predisposizione a occuparsi di questioni che erano ancora di forte attualità nel campo precipuo, come a breve si vedrà.

Digressione sulla prima attività castiana. Riflessioni sul contesto romano, l’ambiente curiale e la ricezione del libertinismo.

È necessario ora fare una breve digressione, anche se pressoché confinata al campo delle ipotesi, in merito all’ambiente romano che Casti, in qualità di ecclesiastico minore, si trovò a frequentare. Un quadro certo abbozzato ma, salvo una rapida scorsa da parte di Muresu, mai delineato e preso in considerazione dalla critica. Gli elementi certi sono pochi ma significativi: due cenni “personali” su Benedetto XIV - uno dei quali da far risalire al 175428 - che farebbero presupporre un contatto quotidiano; la frequentazione del Collegio Clementino29; il fatto che nella dedicatoria a I tre Giulj (1762) l’abate giustifichi il tempo dedicato alla scrittura affermando che la sua raccolta poetica non gli abbia fatto «tralasciare gli impieghi e le occupazioni necessarie», in chiaro riferimento non all’attività seminariale (anche se, come dimostrato dalla lettera 1, la data della dedicatoria pare fittizia) ma piuttosto a qualche incarico nell’Urbe.

Intanto si ricordi brevemente come il pontificato di Prospero Lambertini (1740-1758) avesse inaugurato una fase di notevole fervore culturale, realizzando ciò che l’anziano predecessore Clemente XII aveva in parte annunciato: soprattutto i primi anni furono caratterizzati da uno slancio volto a rinvigorire le strutture e le istituzioni ecclesiastiche30, senza dimenticare il rinnovamento culturale e artistico dettato dal magistero winckelmanniano, esemplificato dall’attività del nuovo «Giornale de’ Letterati»31. Questo nuovo periodo, che aveva portato all’elezione di un pontefice non esponente di grandi famiglia italiane, dai tempi della Controriforma, è stato giustamente considerato come un momento fondamentale per la storia della Chiesa, salutato con entusiasmo, in ultimo ancora da

27 Per il non semplice quadro filologico di questi testi e dei rapporti tra la raccolta arcadica e le esercitazioni seminariali

rimando a CAMPANELLI 2014, 2015 e 2017. Per un inquadramento generale sulla produzione latina nel corso del Settecento vd. M. Campanelli-A. Ottaviani, Settecento latino I, «Ellisse», II, pp. 99-134.

28 Vd. lettere 32 e 102, note 9 e 7.

29 Vd. lettera 4. Elemento che, seppur noto già da FICARI 1921, non è mai stato preso in considerazione.

30 Un esempio è la riforma degli insegnamenti della Sapienza, con l’inserimento della fisica sperimentale e la relativa

apertura agli aspetti finalistici e provvidenziali del newtonianesimo, recuperando così l’attività di Celestino Galiani. Per questo argomento rimando al fondamentale studio di V. Ferrone, Scienza natura religione: mondo newtoniano e cultura italiana nel primo Settecento, Napoli, Jovene, 1982.

31 Cfr. M. P. Donato, Gli "strumenti" della politica di Benedetto XIV: il «Giornale dei Letterati» (1742-1759), in Dall'erudizione alla

politica. Giornali, giornalisti ed editori a Roma tra XVII e XX secolo, a c. di M. Caffiero e G. Monsagrati, Milano, Franco Angeli, 1997, pp. 39-61.

(9)

VII

Venturi32, e identificato come prima importante tappa di quella Aufklärung cattolica manifestatasi pienamente tra gli anni Settanta e Ottanta33.

Come noto, l’evento capitale di questo nuovo corso è rappresentato dall’inaugurazione delle quattro accademie: dei Concili (in realtà poi rifondata), di Storia ecclesiastica, di Storia romana e di Liturgia34. Queste istituzioni costituivano, perlomeno nella fase iniziale, delle vere e proprie eccellenze, con associati di altissimo profilo, adeguati alle finalità che i nuovi consorzi si proponevano di raggiungere; era previsto inoltre un limite alle iscrizioni e un preciso calendario di sedute. Il nuovo afflato aveva ottenuto pure l’approvazione del Muratori, vicino alla linea lambertiniana, come già accennato in precedenza: il modenese raccomandava tuttavia di impedire l’accesso alle accademie alla «gente dappoco, la quale si facesse fare il latino da altri per comparir dotto con poca fatica»35. Osservazione che la dice lunga sulla situazione educativa pontificia.

Col passare degli anni queste accademie allargarono le loro maglie a una partecipazione meno controllata, trasformandosi sostanzialmente in luoghi di promozione dei giovani destinati alla carriera curiale, fornendo loro l’opportunità di mettersi in gioco e fare mostra delle proprie qualità. Non sarebbe pertanto azzardato ipotizzare una partecipazione di Casti a una di queste accademie, magari ricoprendo qualche incarico minore, vista la fama degli studiosi e valenti ecclesiastici che appaiono nei regesti36. Anche perché, è bene ricordarlo, questi consorzi svolgevano una precisa funzione diplomatica, soprattutto dopo la guerra di Successione austriaca e il Giubileo dell’anno 1750, in quanto punto di incontro e dialogo. In particolare, l’accademia dei Concili aveva sede in Propaganda Fide, nell’omonimo palazzo prospicente Piazza di Spagna, organo di formazione giovanile di Benedetto XIV e al quale Casti nell’epistolario sembra alludere con una certa confidenza37. Il consesso di Storia ecclesiastica, invece, si riuniva alla Vallicella o Chiesa Nuova, sede degli oratoriani, altro luogo indubbiamente frequentato dall’abate, in virtù dei contatti con Giuseppe Barbieri, personalità già molto apprezzata dallo stesso pontefice38. A questo proposito è interessante notare che il noto erudito Giuseppe Bianchini (1704-1764), formatosi a Montefiascone e successivamente anch’egli oratoriano, era segretario dell’accademia dal 174839.

Anche Giuseppe Garampi, futuro nunzio a Vienna e vescovo di Montefiascone dal 1776 al 179240, faceva parte dell’Accademia ecclesiastica; il religioso aveva confutato la storia della papessa Giovanna nel De nummo argenteo Benedicti III (1749), libro che, a questo punto, non è azzardato considerare quale

32 Cfr. VENTURI 1969-1990, I, pp. 98 e sgg.; e ancora di questo avviso, nello specifico caso delle frequentazioni romane di

Casti, FALLICO 1984b.

33 Cfr. ROSA 1999, pp. 149 e sgg. Sulla fase di «alleanza» tra potere papale, accademie e giornalismo da Clemente XIV a

Pio VI, faccio riferimento agli studi di Marina Caffiero, in particolare ad Accademie e autorappresentazione dei gruppi intellettuali a Roma alla fine del Settecento, in BOUTIER-MARIN-ROMANO 2005, pp. 277-292, dove si considera quale “anno zero” il 1772, in cui si datano la fondazione delle «Efemeridi letterarie» e l’inizio del custodiato arcadico di Gioacchino Pizzi. Ma si pensi alla personalità di uno dei fondatori, Giacinto Cerutti (1735-1792), bandito dal Piemonte per una truffa ordita ai danni del senatore romano Abbondio Rezzonico, nipote di Clemente XIII, e dipinto con tinte “libertine” da Casanova (cfr. NACINOVICH 2003, pp. 23-24).

34 Cfr. DONATO 2000; EAD., Le due accademie dei Concili a Roma, in BOUTIER-MARIN-ROMANO 2005, pp. 243-255. 35 Lettera a Giovanni Gaetano Bottari citata da DONATO 2000, p. 89.

36 Cfr. Notizia delle Accademie erette in Roma per ordine della Santità di N.S. Papa Benedetto decimo quarto, Roma, per Giuseppe

Collini, 1740, dove ovviamente non compare il nome di Casti, così come nel Diario ordinario di questo periodo. Un controllo più approfondito sarebbe da condurre in BAV, Segnature Ferrajoli V, 6172, contenente i regesti degli anni 1744, 46-48, 50-52, 54 e 56 e in BNRM, 34.9.A.27/12, (1755).

37 Vd. lettera 31, nota 8.

38 «Benedetto XIV lo ebbe in somma reputazione», ricordando le frequentazioni oratoriane del Lambertini a Bologna (cfr.

C.A. marchese di Villarosa, Memorie degli scrittori filippini, Napoli, Stamperia reale, 1837, p. 29). Vd. lettere 1 e 2.

39 Cfr. S. Rotta, Bianchini, Giuseppe, in DBI, X, 1968. Per il passaggio nel seminario Barbarigo cfr. PATRIZI 1990, pp.

170-171.

(10)

VIII

una delle fonti dell’omonima, seppur tarda, novella castiana. Infatti, il taglio marcatamente erudito di alcune ottave rimanda a molti elementi testuali che esulano dall’antecedente boccacciano del De mulieribus claris, non confinabile pertanto alla dimensione delle tipiche polemiche illuministiche contro il potere temporale della Chiesa41. Inoltre la novella, nella seconda e terza parte, si focalizza sugli amori segreti tra la papessa e il «prelatin» Baldel, personale cameriere, e sul clima della corte romana, descrivendo pratiche e situazioni che sembrano supporre un’esperienza diretta, tenendo conto del massiccio autobiografismo col quale Casti infarcisce le sue opere: l’allusione allo «stil consueto», quando l’abate descrive le pratiche del Gran Cerimoniere, o quel «come si suole» riferito all’udienza concessa dal maggiordomo papale al primo amore di Giovanna, Fulda, portano in questa direzione.

Anche un’altra novella, L’origine di Roma, divisa in due parti, pare riflettere (e satiricamente rovesciare) lo scopo principale che l’Accademia Ecclesiastica si poneva, ovvero la riaffermazione della visione provvidenziale della storia e la legittimazione del potere temporale; così come la vuota retoricità di molte dissertazioni dell’Accademia di Storia romana, anch’essa impegnata a ribadire la primarietà della Roma cristiana sulla Roma pagana. Più in generale, Casti parrebbe aver preso di mira il clima riformistico devozionale e le sue contraddizioni, al di là dei classici riferimenti delle lumières42. Queste ipotesi potrebbero apparire avventate, ma in parte spiegherebbero il credito di cui Casti riuscì a godere, in questo variegato universo di preti e abati frequentatori della corte papalina.

In ultimo, per quanto concerne il riferimento al Collegio Clementino, controllato dai somaschi, l’assenza di studi soddisfacenti non permette di addentrarsi nella questione43. All’interno dell’istituzione, destinata, come l’accademia Ecclesiastica, alla frequentazione solamente da parte dei nobili44, è tuttavia noto che una certa fruibilità caratterizzasse le adunanze letterarie e le rappresentazioni drammatiche che vi si tenevano, soprattutto in occasione di ricorrenze religiose o visite ufficiali da parte di reali europei, come quelle della regina Cristina di Svezia e, nel 1769, di Giuseppe II. Il Collegio era sede della Stravagante, una delle prime colonie di filiazione conventuale d’Arcadia, risalente al 1765 (detta anche Accademia di Lettere e d’Arti Cavalleresche)45. Intorno alla metà del secolo il Collegio, rispecchiando una tendenza più generale, apriva le sue ragunanze a una dimensione mondanizzante, con una marcata presenza femminile. Di notevole rilievo era anche l’annesso teatro, dedito in particolare al genere dell’oratorio46.

41 Composta quasi certamente dopo il viaggio in Grecia nel 1789, data la descrizione di Atene e, più in generale, il clima di

decadenza della regione che si ravvisano sia nella Relazione che nella lettera 149. Sugli aspetti eruditi della novella cfr. MURESU 1973, p. 293. Il testo non è stato molto studiato: qualche riferimento in BENAGLIA SANGIORGI 1944, pp. 110-113. Alcuni passaggi sono analizzati nelle note dell’edizione parigina (cfr. CASTI 1804, II, pp. 437-440). In ogni caso, sulla questione della veridicità o meno della storia, Casti tiene a precisare di attenersi ai fatti, conscio del fatto che «un gran numer d’eruditi / sul punto di Giovanna è miscredente, […] / Con chi Giovanna creda una chimera / io qui non vo’ star mica a far contrasti. / Vegga se falsa sia la storia o vera / chi per le man ha della chiesa i fasti, / citai nella più autentica maniera / autori e fatti, e ciò mi par che basti (ott. 47-48). Sull’influenza della novella nel sonetto del Belli La papessa Giuvanna cfr. GIBELLINI 2013, pp. 141-143. Anche l’ott. 60, nella quale il popolo romano si chiede esplicitamente «Cosa fa il papa?» per contrastare le esondazioni del Tevere potrebbe aver ispirato il celebre sonetto romanesco.

42 Cfr. MURESU 1973, passim; su questo tema, interessanti analisi e confronto tra la novella, il Catilina e il Lucio Quinzio

Cincinnato di Giovanni Pindemonte sono stati affrontati da FIDO 2012. Casti peraltro dimostra perlomeno di avere basilari nozioni archeologiche nella novella Il lotto, dove si descrivono con minuzia alcuni monumenti romani, attingendo a un notevole bagaglio erudito (cfr. STEFANINI 1977, pp. 166-167).

43 Vd. lettera 4, nota 12.

44 Cfr. GIUNTELLA 1971, p. 118, come d’altronde si evince dai regesti dei convittori pubblicati in DONNINO 1899 e

ZAMBARELLI 1936. Nell’istituto si formarono lo stesso Benedetto XIV e Domenico Passionei.

45 Cfr. PALTRINIERI 1795, pp. 26, 81; DONNINO 1899, pp. 12-13; ZAMBARELLI 1936, pp. 128-134; MONTALTO 1939, pp.

23 e sgg.

(11)

IX

Di particolare interesse è l’amicizia instauratasi tra Casti e il già citato Benedetto Passionei (1719-1787), principalmente in virtù del fatto che i forti legami tra lo zio Domenico e il nipote avrebbero potuto favorire un contatto tra l’abate falisco e il potente cardinale, nel 1741 probibliotecario della Vaticana in affiancamento al segretario di Stato Silvio Valenti Gonzaga e dal 1755 bibliotecario a tutti gli effetti. Benedetto fu educato al Collegio Clementino, per poi passare al Barbarigo; a Padova studiò legge, laureandosi nel 1742. Tornato a Roma nel 1744, Benedetto XIV lo nominò prelato domestico, poi protonotario apostolico. Frequentatore della biblioteca dello zio nel palazzo della Consulta, si assumerà poi l’incarico di redigere il catalogo delle collezioni di Domenico conservate presso la tenuta di Camaldoli.47 Anche in questo caso una funzione importante potrebbe essere stata giocata sempre da Benedetto XIV, il quale a Roma, già attento conoscitore delle più importanti raccolte libresche bolognesi, comprese l’importanza dello sviluppo dei consessi formati da prelati letterati: frequentatore delle biblioteche di Silvio Valenti Gonzaga e di Filippo Maria Monti, segretario di Propaganda Fide, non era un caso se papa Lambertini avesse reclutato i principali esponenti delle nuove accademie pontificie tra gli ecclesiastici che si erano formati presso archivi o biblioteche48.

Uno dei più importanti libertini, anche in virtù del forte legame che aveva instaurato con un altro pirronista per eccellenza, il principe Eugenio di Savoia, conosciuto nel 1709 durante le discussioni al trattato di Utrecht, l’«abate magnetico» Domenico Passionei era sicuramente un individuo dalla spiccata personalità, che aveva creato spesso imbarazzi alla Santa Sede e che aveva costruito con Benedetto XIV un rapporto contraddittorio. Amico di Ludovico Antonio Muratori e principale fautore del progetto della “Repubblica delle lettere”, famoso per la sua ricchezza e la sua vita lussuosa e brillante, mezzi con i quali riusciva ad accaparrarsi il sostegno e la simpatia di politici e diplomatici, il cardinale era stato uno dei fautori della moda salottiera, che proprio intorno alla metà del Settecento cominciava pian piano a imporsi e a liberarsi della taccia di mera esterofilia. A Roma, nel corso del 1760, aveva accolto un altro libertino, Casanova, il quale, nel corso dell’Histoire, narra degli incontri col cardinale, descrivendolo come desideroso di rivelare tutte le sue perplessità in merito al nuovo papa Clemente XIII (a quel Conclave, Passionei aveva ottenuto diciotto voti, non sufficienti per essere eletto)49. Sembra lecito quasi intravedere una somiglianza, almeno per quanto riguarda la personalità, tra Passionei e Casti: entrambi provenienti dalle propaggini dello Stato Pontificio, già a fine Seicento coinvolto in un fenomeno di decadimento economico e sociale, accompagnato dalle ormai stantie realtà politico-amministrative locali, anche a Fossombrone, un po’ come a Montefiascone, regnava una vita statica e retrograda. Entrambi furono additati dai detrattori quali moderni «Sardanapalo»: da uno dei delegati al congresso di Utrecht Passionei veniva descritto quale «mercurio che s’accomoda al genio d’ognuno, buono co’ buoni, co’ non buoni non buono, libertino con li libertini, del quale numero è certo il principe, di maniera che il scandalo è pubblico»50. Anche il contemporaneo storico Casimir Freschot ritraeva il Passionei (e qui il calembour con il suo cognome appare scontato) «passioné pour tout ce qu’il y a de belles au monde, tant est grand l’empressement qu’ll témoigne de se rendre agréable au beau sexe», e intento a scegliere «la plus jeune et la plus belle des dames por sa reine», alimentando così le voci che volevano il cardinale in procinto di abbandonare la carriera ecclesiastica51.

Anche i rapporti che il libertino aveva sviluppato con papa Lambertini erano ambigui: questi riconosceva nel Passionei una vasta conoscenza e riponeva il lui massima fiducia, tanto da affidargli il

47 Cfr. SERRAI 2004, pp. 215-218. 48 Cfr. DI CARLO 2000.

49 Cfr. CASANOVA 1983, II, p. 143.

50 Cfr. A. Caracciolo, Domenico Passionei, tra Roma e la repubblica delle Lettere, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1968, p.

124.

(12)

X

ruolo di sovraintendente d’Arcadia dal 22 giugno al 6 luglio 1743, durante il passaggio di consegne tra Lorenzini e Morei52; ma allo stesso tempo Benedetto XIV, nel segreto delle carte, ne lamentava le limitate capacità logiche ed elaborative, descrivendolo come chi «cammina sopra le nuvole»53. I motivi di contrasto si basavano in particolar modo sulle eccessive aperture del cardinale per la cultura francese, come peraltro dimostra il deciso appello presso lo stesso pontefice e il segretario di Stato Querini Gonzaga contro la messa all’Indice dell’Esprit des lois (1755)54.

Da ricordare infatti come Benedetto XIV si fosse adoperato per una revisione dell’Indice, designando quale prefetto il segretario di Stato Querini Gonzaga55. Con la bolla Sollicita ac provida (9 luglio 1753) si dava intanto la possibilità all’autore cattolico, nel caso di uno scritto ambiguo, di ripensare alla propria opera attraverso varie fasi di censura, spingendo così, più che a una politica fortemente repressiva, a quella dell’autocorrezione. Si trattava sicuramente di una svolta (salutata in termini più entusiastici da Rosa e meno da altri studiosi, come Delpiano)56. Inoltre venivano ripartite le funzioni dei due concili adibiti alla censura: all’Inquisizione spettava elaborare un giudizio su di un testo, mentre l’Indice si occupava delle disposizioni da applicare a quei libri già considerati proibiti. Va da se che l’istituto aveva voce anche nelle eventuali concessioni di licenze o patenti, prerogative di cui Casti si era avvalso per ottenere testi proibiti tramite le conoscenze dell’amico Gaimbattista Luciani57. Alla bolla del 1753 era seguita una nuova edizione dell’Indice, risalente al 23 dicembre 1757, contenente gli autori proibiti, ordinati alfabeticamente: se vi era stata un’apertura verso i volumi legati al copernicanesimo, altri testi rimanevano condannati, come il Dialogo sopra i massimi sistemi e le opere di Bayle e Locke. Bersagliato era anche Voltaire, già inserito nel 1752 per le Lettres philosophique e le Œuvres nell’edizione di Dresda, con la Pucelle e la sua produzione storica antiprovvidenzialistica, su tutte l’Histoire des croisades. Un atteggiamento d’altronde proseguito poi dal successore Clemente XIII, come dimostra la minuziosa analisi e condanna dei volumi dell’Encyclopédie, in particolare a opera di revisori gesuiti, o dell’Émilie di Rousseau (1762) e Dei delitti e delle pene (1766).

Tornando a papa Lambertini, è da sottolineare il fatto che la fondazione delle quattro accademie si poneva l’obiettivo di salvaguardare la società ecclesiastica da quella mondanità che stava attanagliando il mondo laico, qualificata quale corruttela e decadenza dei costumi. In più di un’occasione il pontefice lamentava nelle sue lettere al de Tencin la necessità che Roma dovesse fare a meno di quell’imperante «libertinaggio» che man mano, a causa soprattutto della presenza straniera, stava invadendo la città58. Verrebbe pertanto da domandarsi perché Benedetto XIV avesse proprio affidato a Casti degli incarichi curiali, se davvero la sua condotta fosse stata fin da subito smodata. Ciò non toglie che l’abate partecipasse attivamente alla prima diffusione dei salons romani, ancora, intorno alla metà del secolo, allo stato embrionale, vicini al modello di sociabilità importato dai vari stranieri che soggiornavano a Roma. Casti aveva avuto modo di presiedere alle prime adunanze di Giuliana Falconieri Santacroce, noto consesso filofrancese, come dimostrano alcune lettere toscane e il passaggio romano, nel 1787,

52 Cfr. DONATO 2000, p. 108.

53 Giudizio espresso in una lettera del 21 luglio 56 al cardinale de Tencin (cfr. SERRAI 2004, pp. 63-65). 54 Cfr. ROSA 1969, pp. 93-94.

55 Sull’argomento DI CARLO 2000, pp. 84-108; DELPIANO 2007, pp. 56 e sgg.

56 Se apparentemente sembrerebbe una politica orientata alla tolleranza, l’autocorrezione in realtà costringeva gli

intellettuali a includere l’autorità ecclesiastica nel ripensamento dell’opera, una sorta di controllo dal di dentro.

57 Vd. lettera 18, nota 13. Per la diffusione dei libri a Roma rimando anche agli studi di Maria Iolanda Palazzolo, in

particolare Il commercio del libro a Roma nel Settecento, in Editoria e istituzioni a Roma tra Settecento e Ottocento: saggi e documenti, Roma, Archivio Guido Izzi, 1994, pp. 11-27.

58 «[…] non avendo Roma, nello stato in cui è, bisogno di libertinaggio» (lettera del 12 dicembre 1753, in MORELLI 1984,

III, pp. 98-99); «non essendovi qui assolutamente bisogno d’incentivo al libertinaggio e nell’operare e nel credere» (lettera del 16 gennaio 1754, in MORELLI 1984, III, p. 110). Queste osservazioni anticipano le critiche che, a partire dall’affermazione dei primi salotti nel corso degli anni ’60, animavano il dibattito sull’associazionismo laico (cfr. DONATO 2004, pp. 189-190).

(13)

XI

presso il cardinale de Bernis59, storico amante della nobildonna, giunto però a Roma solo nel 1769. In precedenza il duca di Choiseul, ambasciatore dal 1753 al 1757 e uno dei rappresentanti di quel «libertinaggio» tanto osteggiato dal papa, elencava diversi appuntamenti fissi ai quali dava il nome di salotto, pur sottolineando che si trattassero di serate alla «mode italienne, c’est à dire une grande conversation une fois toutes les semaines»60. Non risaliva invece a questo periodo l’amicizia con l’allora procuratore generale spagnolo José Nicolás D’Azara, curatore con Bodoni dell’edizione delle Opere di Mengs e compagno di Casti nelle sue ultime fasi di vita tra la Toscana e Parigi - il diplomatico era stato infatti a Roma solamente a partire dal 176561. Ciò non esclude, tuttavia, che l’abate avesse a che fare con gli ambienti spagnoli, come dimostrano le lettere a Pietro Cernitori. Per il paese iberico Casti nutrirà sempre un certo fascino, questione che strideva con il panorama italiano, se si pensa alle ostilità di un Bettinelli o alle recrudescenze che gli ambienti italiani dimostreranno contro gli esuli gesuiti provenienti proprio dalla Spagna62.

Casti aveva maturato qualche simpatia giansenista, che emerge qua e là nella sua produzione, già solo per la violenta ritrosia nei confronti dei gesuiti, come dimostrano alcuni passaggi nelle lettere e un sonetto dedicato alla soppressione dell’ordine63. Lungi dal presente contributo definire quale fosse la vera accezione di questo movimento, rimandando agli studi capisaldi di Ernesto Codignola e Enrico Dammig, il giansenismo sarebbe più assimilabile a un fiume carsico che spunta di tanto in tanto64. Senza lanciarsi in voli pindarici, ci si attiene alle conoscenze assodate che Casti aveva intrattenuto, tenendo conto della più o meno velata connivenza che Benedetto XIV mantenne con i seguaci del movimento. Fermo restando che quella di Casti non fu ovviamente un’adesione completa, ma probabilmente una frequentazione di ambienti legati ai giansenisti.

Rapsodicamente, in primis troviamo Domenico Passionei, additato tra i capi del movimento da Dammig, del quale sottolinea la profonda vena antigesuitica65. Altro esponente è il cardinale Neri Maria Corsini, nipote di Clemente XII, a capo del circolo giansenizzante «dell’Archetto» nei pressi di Porta Settignano; così come il lontano pronipote cardinale Andrea Corsini (1735-1795), uno dei più fieri sostenitori della messa al bando della Compagnia del 1773, fratello di quel Lorenzo Corsini che a

59 Vd. lettera 120, nota 2.

60 Cfr. DONATO 2004, p. 195. Gli scritti memorialistici del francese sono pubblicati in Choiseul a Rome: 1754-1757. Lettres

et mémoires inédits, a c. di M. Boutry, Paris, Lévy, 1895: in essi si trova traccia della vita nei primi salotti romani. Mancano in ogni caso studi sistematici sui salotti romani del Settecento che esulino dal mero chiacchiericcio di SILVAGNI 1884 e BANDINI 1914.

61 Come riportato in alcune biografie ottocentesche. José Nicolás de Azara (1730-1804), dal 1784 ambasciatore di Spagna

e uomo di fiducia del Consejo Extraordinario per la soppressione dei Gesuiti (vd. lettera 26, nota 5). Prova abbastanza stringente del fatto che Casti non conobbe il diplomatico a Roma emerge dalla lettera 257 a Paolo Greppi (16 marzo 1798): «Sento che aspettate costì Azara. Quest’Azara lo voglio assolutamente vedere». Su Azara vd. C. Corona Baratech, José Nicolás de Azara. Un Embajador español en Roma, Zaragoza, Institución Fernando el Católico, 1948.

62 Cfr. GUASTI 2006. Non è un caso che l’abate, nell’appunto autografo con ogni probabilità indirizzato a Calzabigi (vd.

Nota al testo), contesti all’amico la diffusa «odiosità» gratuita nei confronti dell’Arteaga e del popolo spagnolo in generale nella Risposta di Santigliano: «Mostrare dispregio di un’intera nazione qual è la Spagna è cosa talvolta odiosa. La nazione spagnola, quantunque priva di molti pregi, ha paesaggi comuni ad altre nazioni» (FALLICO 1984, p. 1145; cfr. TUFANO 2002-2003, pp. 86-87).

63 Per la bolla d’abolizione de’ Gesuiti eseguita il 16 agosto 1773, sonetto, in PIERMATTEI 1902, p. 43.

64 Come ricorda lo stesso DAMMIG 1945, pp. 24-26, ad un certo punto la convergenza olistica tra giansenismo, illuminismo

e giurisdizionalismo rende difficile discernere le differenti basi da cui questi movimenti nascevano. Cfr. anche ROSA 1999. Fervente sostenitore del giansenismo castiano è SINDONA 1924, pp. 123-125: secondo il critico, ne Gli animali parlanti emerge chiaramente l’idea d’una «riforma radicale nella Chiesa» che non può non essere propria a un «seguace del giansenismo». Sulla stessa linea VAN DER BERGH, pp. 107-108. Questione rigettata fermamente da MURESU 1973, pp. 72-73.

65 Cfr. DAMMIG 1945, pp. 54-63; CODIGNOLA 1947, pp. 181-215; SERRAI 2004, pp. 116-123. Un quadro generale sulle

esperienze eretiche romane nel corso del Settecento in A. M. Isastia, Massoneria e sette segrete nello Stato Pontificio, in CAZZANIGA 2006, pp. 484-512.

(14)

XII

Firenze ospiterà a più riprese Casti66. La Chiesa Nuova si presentava come un altro fervente centro di ritrovo dei riformisti romani, legati in particolar modo al circolo di Giovanni Gaetano Bottari (1689-1775), trait d’union tra la Toscana e lo Stato pontificio, in contatto col già citato Giuseppe Bianchini67. Successivamente veniva a farne parte Andrea Micheli, segretario del cardinale Fantuzzi e organizzatore di numerosi colloqui a tema giansenistico: una testimonianza di un anonimo oratoriano riportava che tra gli assertori di Micheli vi fossero anche «prelati che non contavano nulla alla Corte»68. Anche Giuseppe Barbieri era legato a simpatie gianseniste: era stato incaricato da papa Lambertini della traduzione e diffusione della Bibbia in volgare, ed aveva emanato un decreto in merito, il 13 giugno 1757, per mezzo della Congregazione dell’Indice (istanza che proveniva dallo stesso Bottari)69. Altra personalità conosciuta da Casti era il genovese Gerolamo Luigi Francesco Durazzo (1739-1809), citato in tre occasioni nelle lettere, già inserito nel sodalizio di Bottari70. È sicuramente un discorso complesso, che andrebbe la pena di essere ampliato: Casti propugnava un qualche cambiamento all’interno della dottrina ecclesiastica, visto anche il sostanziale appoggio alle riforme giuseppine degli anni Ottanta.

L’adesione all’Arcadia e la stesura de I tre Giulij (1762)

A orientare le scelte di Casti e a influire probabilmente nella sua adesione all’Arcadia era stato il semisconosciuto Giambattista Luciani, segretario di Saverio Canale (1695-1773), dal 1760 tesoriere di papa Rezzonico, e personaggio ben inserito nel sistema statale papalino, in particolare, come già detto, nella Congregazione dell’Indice. La collaborazione col Canale è da far risalire però anteriormente al 1755, anno della pubblicazione della Raccolta di varj componimenti poetici per le nozze del Signor Conte Paolo Canale con la Signora Contessa Vittoria Carleni; nella silloge, imbastita da Luciani e dedicata allo stesso Canale, sono presenti alcuni sonetti di arcadi, quali Golt e Brogi - nonché uno di Leopoldo Trapassi - a riprova dei legami esistenti tra il canonico e l’accademia. Un Luciani compare tra gli allievi destinati a recitare alcuni componimenti latini di Casti nelle esercitazioni seminariali del 1759-1761. È però improbabile che si tratti della stessa persona, visto il ruolo di pigmalione incarnato dall’amico e la reverenza che emerge dall’epistolario71.

Ma l’importanza dell’amicizia tra Casti e il concittadino risiedeva nella pubblicazione de I tre Giulj, raccolta di duecento sonetti in endecasillabi tronchi, successivamente rimaneggiata e ampliata72: come

66 Vd. lettera 16, nota 6 (cfr. DAMMIG 1945, pp. 228-232; DONATO 2000, p. 106).

67 Cfr. DAMMIG 1945, pp. 195-196. Per Bottari, il quale diresse l’allestimento della quarta edizione del dizionario della

Crusca, rimando a NICOLETTI 1988, pp. 775-777.

68 Ivi, p. 208. 69 Ivi, pp. 91-92. 70 Vd. lettera 7, nota 7.

71 Ulteriore testimonianza si trova in M. J. Cryan, Travels to Tuscany and northern Lazio, Vetralla, Ghaleb, 2004, p. 141: durante

il soggiorno a Montefiascone di Henry Benedict Stuart, il 18 ottobre 1776, il cardinale era stato ospitato proprio da Luciani, «secretary of various treasures in Rome». In ogni caso, la famiglia Luciani è annoverata quale famiglia nobile originaria di Acquapendente (cfr. CROLLALANZA 1965, II, p. 27). Da ricordare Alessandro Basili Luciani, professore di Belle Lettere nel seminario intorno alla metà dell’800 che, in un discorso accademico, imputò la componente libertina di Casti alla corruzione presente nell’istituzione falisca ai tempi dell’ingresso del poeta (cfr. BERGAMASCHI 1919, pp. 479-480).

72 I tre Giulj, o sieno sonetti di Niceste Abideno P. A. sopra l’importunità di un creditore di tre giulj, dedicati a Sua Eccellenza la signora D.

Cecilia Mahony Giustiniani, principessa di Bassano e duchessa di Corbara, Roma, stamperia del Bernabò e Lazzarini, 1762. Sul dubbio però che le stampe, nello stesso anno, fossero state due vd. lettera 1, nota 4. Casti cercherà, già nel 1763, di rimettere mano alla silloge («Io dunque desidererei di farne una nuova edizione accrescendone il numero a trecento, poiché già ne ho in ordine sopra ottanta tratti per la maggior parte da motivi filosofici e da altra erudizione», vd. lettera 2, nota 2), anche per difendersi dalle prime edizioni pirata in circolazione. Come testimoniato in METASTASIO 1943-1954, V, 12 marzo 1778, p. 496 (il poeta cesareo parla di libro «accresciuto e corretto») Casti aveva fatto ristampare l’opera a Vienna presso la stamperia di Ghulen, s.d., edizione contenente solo cento sonetti, quaranta dei quali inediti; inoltre, la «Gazzetta

(15)

XIII

emerge dalla lettera 1, Luciani aveva patrocinato la princeps. Lungi dall’attribuire eccessiva importanza all’opera, a mio parere più interessante delle successive Poesie liriche, pare tuttavia limitante relegarla a mero «radotage»73: non è difatti un caso se un lettore attento come Giuseppe Baretti ne riconosceva qualche merito nel Discours sur Shakespeare et sur Monsieur de Voltaire, e se il volume era presente in biblioteca Leopardi74.

Guida all’esegesi della raccolta è la dedicatoria del 25 marzo 1762, dove Casti precisa che il motivo ispiratore (il poeta vessato dalle persistenti richieste dell’anonimo creditore, al quale si allude col nome di Crisofilo, per la restituzione di tre giuli), seppur veniale, era nato «dal vero». La questione viene evidenziata anche nel corso della lettera 1, nella quale l’abate invita Barbieri al massimo riserbo sull’identità dell’assillante conoscente, aderendo ai dettami giovenaliani sull’anonimato del soggetto satirizzato75. Si tratta dunque di una componente di autobiografismo sempre ben rintracciabile in molta produzione castiana, in particolar modo nei tardi melodrammi. Per difendere la «tenuità del soggetto» l’abate non esita a riallacciarsi agli illustri predecessori quali Omero76, Policrate, Luciano fino a giungere ai contemporanei Boileau e Pope. Casti poi prosegue in quello che pare un vero e proprio manifesto di poetica:

Ond’io procurai in queste mie poesie spargere di tratto in tratto alcune erudizioni, e riflessioni filosofiche, acciò a me stesso ed a’ Leggitori di giocondo ed erudito intrattenimento risultar potessero, sapendo io bene quanto sciocca e ridicolosa sia la persuasione di chi tutto il vezzo di vaga e graziosa poesia in altro consister non crede che nel mentovare, sovente anche male a proposito, l’erbetta e l’agnelletta, la quadrella e la pastorella77.

“Et in Arcadia ego”, si potrebbe allora recitare parafrasando l’interpretazione che Giorgio III diede a un ammutolito dottor Johnson di fronte all’ultimo dipinto di Reynolds e alla famosa epigrafe che

universale», n. 28, 8 aprile 1775, p. 219, riportava che i sonetti erano stati presentati e apprezzati dall’imperatore. Districandosi tra le molteplici edizioni ottocentesche, settantadue nuovi sonetti, come riporta FALLICO 1984b, p. 123 (ma alcuni di essi, a dire il vero, già presenti nella sopraccitata edizione viennese), saranno inseriti per la prima volta in G. B. Casti, Poesie inedite, Montefiascone, Tipografia del seminario, 1843, e in seguito più volte riprodotti (tre dei quali, legati al vino falisco Est Est Est, spacciati per inediti da CASTI 1995, pp. 294-295). I sonetti, tra correzioni autografe e manoscritti, sono presenti alla rinfusa in BNF 1628, cc. 270r-302v. Ma, vista anche la massiccia presenza di stampe («De’ miei Tre giulj ne sono state fatte più di dieci edizioni», vd. lettera 272), sarebbe opportuna un’edizione critica della raccolta.

73 Cfr. MURESU 1973, p. 43, al quale si deve tuttavia l’unica lettura degna di nota dell’opera. Cfr. anche A. E. Vitolo, La

medicina e i medici in alcuni sonetti dell'abate Casti, «Castalia», I, 1950, pp. 1-5, dove si riconosce alla silloge «serietà d’intenti e concezione scientifica». Per i rapporti tra arti medica e poesia nel Settecento cfr. CRISTIANI 2001.

74 Baretti polemizza con Voltaire in merito all’estrema facilità che avrebbero avuto gli italiani per trovare parole rima grazie

al troncamento: il piemontese rispondeva dimostrando che «des mots tronqués on s’en fert dans le Ariettes d’Opera, et dans le petites Chansones. Partout ailleurs il feroit ridicule de s’en servir, si on en excepte les Sonnets burlesques, où on les emploit quelque fois pour faire parade d’esprit, comme a fait dernièrement l’Abbé Casti à Rome» (cfr. G. Baretti, Opere, a c. di F. Fido, Milano, Rizzoli, 1967, p. 871). Questa osservazione del piemontese renderebbe pertanto plausibile l’attribuzione castiana che FALLICO 1984b, p. 180, stabilisce per il capitolo A me non men che a te, pubblicato su «La frusta letteraria», xv, 1° maggio 1764, pp. 472-478, la cui premessa è datata Montefiascone, 17 marzo 1764, anche se non abbiamo elementi sufficienti per sostenere un ritorno di Casti nella cittadina falisca dopo l’abbandono definitivo l’anno precedente. Per quanto riguarda la presenza de I tre Giulj a Recanati vd. lettera 2, nota 2: la lettura di Leopardi dovrebbe far ripensare i rapporti con Casti, e più in generale con la lirica settecentesca, al di là della nota influenza de Gli animali parlanti sui Paralipomeni, le osservazioni sull’utilizzo della sestina nella traduzione della Batrachiomachia, e i legami tra l’operetta incompiuta Asinaio ed Asino o l’Aponósi e l’omonimo apologo castiano, presente anch’esso nella biblioteca di Recanati (Cfr. M. C. Dejob, Les "Animaux parlants" de Casti et les "Paralipomènes" de Leopardi, «Revue des cours et des conférences», VI, 1898, pp. 226-235; W. Binni, Leopardi e la poesia del secondo Settecento, in «La Rassegna della Letteratura Italiana», n. 66, 1962, pp. 389-435, poi in Id., La protesta di Leopardi, Firenze, Sansoni, 1982, pp.; BENISCELLI 2013, pp. 828-830; 891-897).

75 «Generalmente pregherei il cavaliere ad essere alquanto riguardoso nel frizzo, per essere in queste parti molto cogniti sì

il debitore che il creditore» (vd. lettera 1).

76 «Poiché d’Ulisse il nome immortalò / E le gesta che in Frigia Achille fe’ / De’ Sorci e delle Rane alfin cantò» (CASTI

1762, sonetto II, p. 2).

Riferimenti

Documenti correlati

Così come Thoreau quando afferma che lo studioso che ha solamente armi letterarie è incompleto, che egli deve infatti “imparare” la lingua della natura, ma

Alla luce di ciò, al fine dunque di una più consapevole lettura del testo del commentario, l’edizione è preceduta da un’ampia introduzione, ripartita in

che la responsabilità di trasmettere la fede ai loro figli. La famiglia deve continuare ad essere il luogo nel quale si insegna a cogliere le ragioni e la bellezza della

Durante i numerosi sopralluoghi effettuati sia in occasione dei rilievi della rete che durante alcuni eventi meteorici, oltre che dalla verifica della rete con il metodo

1) Per ulteriori dettagli in merito alle tempistiche definite dalla normativa è possibile consultare le FAQ Ecobonus disponibili in area pubblica e riservata del sito Fineco 2) La

della Sezione Manoscritti della Biblioteca'Joppi' di Udine), Koen Vermeir (kuven Universiry), Massimo Zini (Conservatore della Biblioteca dellAccademia e dell'I- stituto

L’associazione tra aplotipi HLA e malattie au- toimmuni (spondilite anchilosante, altre malattie reumatiche) è nota, ma non esiste alcuno studio scientifico che dimostri

2006) secondo cui la costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia ha per presupposto che due fondi, appartenenti in origine allo stesso proprietario, siano