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Deaths and migration. An ethnographic, visual, filmic research

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Academic year: 2021

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TESI DI DOTTORATO

XXX CICLO - SCIENZE SOCIALI

Curriculum: Migrazioni e processi interculturali Università degli Studi di Genova

MORTI NELLE MIGRAZIONI

Una ricerca etnografica, visuale, filmica

Ottavia Salvador

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3 INDICE

INTRODUZIONE 4

NOTA METODOLOGICA 38

IMAGINES MORTIS 53

OGNI ANIMA MUORE 122

IL CADAVERE DELL’UOMO 146

BIBLIOGRAFIA 154

RASSEGNA STAMPA 171

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«Il muro che ci separa da questo triste regno delle tenebre si rivela, all’improvviso, un mero fondale di cartapesta». Rosa Luxemburg

INTRODUZIONE

In questo momento molte persone, uomini, donne, minori, stanno aspettando di partire dalle coste libiche per raggiungere l’Europa e si stanno chiedendo se vivranno o moriranno; un uomo anziano sta navigando dalla Turchia verso un’isola greca, forse so-pravvivrà alla traversata, forse no; uno come lui, in fuga dalla Bir-mania, guarda il golfo del Bengala sperando di poterlo attraversare; una donna sta camminando dal Messico verso il confine degli Stati Uniti e passerà, senza accorgersene, tra gli scheletri di altre persone che stavano emigrando come lei; un giovane sta cercando di na-scondersi dentro un tir che partirà dal porto di Patrasso; uno come lui è stato gettato in mare mentre cercava di raggiungere la costa yemenita; un altro aspetta a Calais, da un riparo di fortuna, la notte giusta per tentare di attraversare il canale della Manica: ci riuscirà?

Moltitudini di persone, in tutto il mondo, sono sepolte in ci-miteri e fosse comuni, scomparse agli occhi dei propri familiari nelle migrazioni. Non di rado, capita di leggere analisi microfisiche del loro ‘destino’ come se fosse necessario trovare, in qualche ruota dell’ingranaggio ‘fatale’, la determinazione della tragedia: è finito il carburante di una barca partita dalla Tunisia, il mare l’ha trascinata alla deriva; il peso dei passeggeri, mal distribuito ha sbilanciato un’imbarcazione salpata dal Senegal e diretta alle isole Canarie; una scarica elettrica ha folgorato un uomo che, per raggiungere la

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cia, si era nascosto sul tetto di un treno partito da Ventimiglia. Det-tagli che s’interrogherebbero anche nel caso di un qualsiasi altro in-cidente, come quello di un aereo di linea precipitato per un’avaria al motore, se non fosse che la sostanza sociologica dei diversi fatti so-ciali implicati in questi incidenti mortali, appare subito nella sua di-versità. È evidente, e retorico, affermare che i passeggeri di quell’aereo non si trovano nella stessa condizione sociale dei pas-seggeri di quell’imbarcazione precaria che sta ‘incidentalmente’ af-fondando a largo delle coste libiche. Provando, per un attimo, ad as-sumere uno sguardo straniato, come se si potesse vederli per la prima volta nella loro mera natura di accadimenti, immaginandoli entrambi, l’incidente aereo e il naufragio dell’imbarcazione, svol-gersi come delle sequenze mute, ci si potrebbe chiedere, per un istante: che cosa li rende diversi? Tradurre queste immagini silen-ziose, rientrando con gli occhi dentro la realtà conosciuta, significa raccontare due storie differenti ed entrare in quella sostanza socio-logica che le distingue, interrogandola.

I passeggeri dell’aereo di linea erano cittadini di diversi Stati, partiti da un aeroporto, con un regolare titolo di viaggio, dei passa-porti/visti grazie ai quali avevano ‘diritto’ a emigrare da un luogo a un altro. Presumibilmente, da morti, sono stati ritrovati, riconosciuti dai familiari e sepolti con un nome e cognome; molto probabil-mente il ricordo della loro vita ha goduto di uno spazio mediatico solitamente intitolato «chi erano» corredato da fotografie, notizie biografiche, dichiarazioni di familiari e conoscenti. Un processo giudiziario ha determinato le dinamiche dell’incidente e, nel caso, le responsabilità individuali che hanno causato la tragedia; i familiari sono stati risarciti con un contributo economico proporzionale, se-condo le stime assicurative in vigore, al valore della vita del parente morto. L’altra storia racconta, invece, di cittadini di diversi Stati,

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muniti o meno, per diverse ragioni, di un certificato d’identità; par-titi con un’imbarcazione precaria dalla quale i cosiddetti ‘traffi-canti’ hanno ricavato il massimo grado di profitto; con un titolo di viaggio concordato oralmente, pagato a quest’ultimi a un prezzo elevato con il quale non avevano il ‘diritto’, ma la possibilità, a ri-schio della propria vita, di emigrare da un luogo a un altro. I loro corpi, da morti, hanno avuto un destino diverso rispetto a quelli pre-cipitati con l’aereo: alcuni, se ritrovati, sono stati sepolti con un numero che li contrassegna in attesa che qualcuno li vada a cercare; pochi sono stati identificati, riconosciuti dai familiari, sepolti con il proprio nome e cognome; nel caso si fosse trattato di un naufragio di grandi proporzioni avvenuto in prossimità delle coste di uno Stato, qualche forma di shock collettivo avrebbe, forse, mobilitato i media, spinto dei rappresentati politici a rilasciare delle dichiara-zioni durante le esequie che avrebbero probabilmente assunto qual-che sfumatura pubblica. I corpi non ritrovati a seguito del naufragio, sono entrati nelle lunghissime liste degli scomparsi che difficil-mente continueranno a godere, per un tempo prolungato, della pro-cedura definita: ricerca dei dispersi; nessuno spazio mediatico inti-tolato «chi erano» è stato a loro dedicato, i familiari e gli amici sono stati impossibilitati a rilasciare qualsiasi dichiarazione perché non identificati, irraggiungibili, e, spesso, senza risorse materiali per in-traprendere qualsiasi tipo di azione al fine di conoscere la verità dei fatti; in alcuni casi un processo giudiziario ha cercato il ‘trafficante’ o la ‘rete di trafficanti’ che ha organizzato il viaggio o fatto luce sulle responsabilità di chi avrebbe potuto operare un salvataggio; i risarcimenti sul valore della vita non pervengono, di norma, nem-meno come ipotesi.

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Rosa Luxemburg raccontando, nel 1912, della morte di molti ‘poveri’ che avevano mangiato del cibo avariato in un dormitorio di Berlino, scriveva:

«Dopo tutto, il ciambellano di Winterfeldt a chi doveva esprimere le con-doglianze dell’imperatrice? Non poteva certo portare i saluti di Sua Maestà ai pezzi di cadaveri disposti sul bancone dell’autopsia. E i parenti in lutto? Chi li conosce? Chi li rintraccia nelle bettole, nei brefotrofi, nei quartieri di prostitute o nelle fabbriche e nelle cave? […] La divisione di classe allunga i suoi tentacoli fin all’assurdo, fin al delitto, fin alla morte. […] Di quando in quando un inci-dente, uno scoppio di grisou li spazza via sotto terra a dozzine e centinaia – un breve resoconto giornalistico, una cifra tonda annuncia la disgrazia e dopo pochi giorni sono dimenticati. […] Ogni giorno muoiono, crollando per la fame e il freddo, decine di vagabondi, tutti li ignorano e di essi troviamo traccia solo nel resoconto della polizia. Ma il carattere di massa del fenomeno ha questa volta su-scitato a Berlino un grande scalpore. […] Generalmente un cadavere è una cosa muta, insignificante. Ma vi sono cadaveri che parlano più forte delle trombe e splendono più delle fiaccole. Il 18 marzo 1848, dopo la lotta sulle barricate, gli operai berlinesi sollevarono i cadaveri dei caduti, li portarono davanti al castello reale e costrinsero il dispotismo a scoprirsi il capo davanti alle vittime. Ora con-viene alzare in alto i cadaveri dei senzatetto intossicati di Berlino1».

Non si può dire che i 33.7612 morti per migrazione contati ne-gli ultimi vent’anni nell’area mediterranea, con una stima approssi-mata in difetto, abbiano suscitato un moto rivoluzionario3, anche se hanno dato il proprio corpo a diverse forme di mobilitazione

1 Basso L. (a cura di), Rosa Luxemburg, Milano, Mondadori, 1977, pp. 44-50. 2 La stima approssimata più recente in OIM/UN Migration Agency, Four Decades of Cross-Mediterranean Undocumented Migration to Europe. A Review

of the Evidence, IOM, 2017 [Link:

http://publications.iom.int/system/files/pdf/four_decades_of_cross_mediterranean .pdf].

3 L’impatto di determinate morti nel provocare lo scoppio di movimenti rivoluzionari meriterebbe una ricerca.

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ciale4 e, restano, se sottratti a un oblio senza appello, come quei morti dei quali Césaire scriveva in una lettera a Thorez: «No, né le riabilitazioni postume né i funerali di Stato, nemmeno i discorsi uf-ficiali, possono vincerli. Non sono quel tipo di fantasmi che si pos-sono allontanare con una frase meccanica. Ora, il loro volto, appare in filigrana nella sostanza stessa del sistema5».

Le parole di Luxemburg su quei corpi anonimi, potenziali re-venants di rivoluzioni future, non diversi da quelli di cui scriveva Hugo6, ci portano già al cuore della questione, dentro alla stratifica-zione sociale, a quella geometria di diseguaglianze dove si scorgono quei corpi che rivelano, con la propria vita/morte, quel ‘valore’, so-cialmente costruito, che è loro attribuito; trovandosi, un giorno, a vestirlo come un abito su misura o, al peggio, come un sudario.

I morti dei quali scrive Luxemburg sono lavoratori poveri ai quali non può arrivare il messaggio dell’imperatrice; costretti a es-sere ‘vagabondi’ per necessità, deceduti a causa della mancanza di risorse economiche che li ha esposti al rischio di quel particolare tipo di decesso; non commemorabili nella propria singolarità e ap-partenenza familiare perché privati di una storia a causa del proprio status.

4 Alcuni studi hanno affrontato questo tema, tra gli altri, Rygiel K., Dying to live: migrant deaths and citizenship politics along European borders: transgressions, disruptions, and mobilizations, Citizenship Studies, 20:5, 545-560, 2016; Stierl M., Contestations in death - the role of grief in migration struggles, Citizenship Studies, 2016, Vol. 20, No. 2, 173-191; Ataç, I., Rygiel K., Stierl M., The Contentious Politics of Refugee and Migrant Protest and Solidarity Movements: Remaking Citizenship from the Margins, Citizenship Studies, 2016, 20 (5): 1–18; Squire, V., Desert ‘Trash’: Posthumanism, Border Struggles, and Humanitarian Politics, 2014, Political Geography, 39: 11–21.

5 Dalla lettera di Césaire A. a Thorez M., Parigi, 24 ottobre 1956 [Link :

https://humanite.fr/node/488777].

6 «Quest’uomo non era più per me un uomo, era lo spettro della miseria, l’apparizione brusca, difforme, lugubre, in pieno giorno, in pieno sole, di una rivoluzione ancora immersa nell’oscurità, ma che viene». Da Hugo V., Choses vues [Link : https://fr.wikisource.org/wiki/Page:Hugo_-_%C5%92uvres_compl%C3%A8tes,_Impr._nat.,_Choses_vues,_tome_I.djvu/15 5].

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Sulla scia delle correlazioni che si possono trovare tra queste morti e le morti per migrazione ci si può continuare a chiedere, an-cora retoricamente, entrando dentro le linee di stratificazione so-ciale che si sono cristallizzate in determinati spazi e tempi: perché i passeggeri di quell’imbarcazione naufragata a largo delle coste libi-che non potevano viaggiare in un altro modo, ‘legale’ e sicuro? Qual è la mobilità consentita ai loro passaporti e quali sono le con-dizioni che hanno determinato il mancato ottenimento di un ‘rego-lare’ visto? Qual è il valore economico dei visti a seconda dello Stato al quale si chiede accesso e come cambia in base allo Stato di provenienza dal quale lo si chiede? Quali sono i rapporti storica-mente determinati tra gli Stati di partenza e arrivo, e quali regole governano la mobilità delle persone? Come si stratifica la possibi-lità di non essere vulnerabili nella propria mobipossibi-lità? Come cam-biano le traiettorie della mobilità se si hanno o meno delle risorse economiche? Come si arriva in quel preciso attimo nel quale, emi-grando, si rischia la propria vita per salvarla? Perché la vita di un ‘italiano’ che precipita con un aereo è meritevole del trafiletto gior-nalistico «chi era» e, invece, quella di un ‘somalo’ che naufraga nel mar Mediterraneo, non lo è? Quali rapporti di forza e condizioni materiali definiscono questo ‘valore’? Butler si chiedeva, a questo proposito: «Quali vite sono degne di lutto e quali non lo sono? […] Quali vite sono già considerate non-vite, o solo parzialmente vi-venti, o già morte e perdute, ancora prima di qualsiasi esplicita di-struzione o abbandono?7».

Dentro questa lista di domande che potrebbe ampliarsi e di-ventare ancora più dettagliata, comprendendo anche una prospettiva storica, si scorgono due processi intrinsecamente legati che attraver-sano in modo esemplare le morti per migrazione: la costruzione

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dello status di emigrato-immigrato, in tutte le sue possibili declina-zioni, e la deprivazione di risorse materiali, dentro a tutti i possibili meccanismi di stratificazione sociale. Questi due fili impigliano la vita/morte di chi migra dentro delle traiettorie-storie con dettagli coincidenti.

Un medico scappa dalla Siria con la propria famiglia a causa della guerra, non riesce a ottenere un visto per avere il ‘diritto’ di viaggiare, in nessun modo e nonostante le proprie risorse economi-che. Arriva in Libia e, a un certo punto del percorso, come molte altre persone, si trova di fronte a una sola alternativa, contattare dei ‘trafficanti’ per cercare di raggiungere l’Europa, per poi richiedere lo status di rifugiato. L’imbarcazione nella quale viaggia con la propria famiglia, naufraga nel mar Mediterraneo, non viene inten-zionalmente soccorsa in modo tempestivo8, i suoi due figli più pic-coli muoiono, mentre lui e il resto della famiglia vengono salvati in extremis e portati in Italia. Nel tentativo di attraversare il confine serbo-croato, una famiglia di origine afghana, viene fermata dalla polizia croata e obbligata a ritornare in Serbia. Non possono fare altro che seguire i binari ferroviari, di notte, per raggiungere la città più vicina, Sid. Mentre camminano, nel buio, lungo i binari, un treno merci investe la bambina più piccola, di sei anni. Il corpo della bambina, ferito a morte, viene portato via da un’ambulanza, negando alla madre la possibilità di seguirlo. La famiglia viene, in-vece, portata a Belgrado dalla polizia serba che, dopo quattro giorni, comunica loro ufficialmente il decesso della bambina. I familiari chiedono di seppellirla a Belgrado, ma non gli viene concesso, viene sepolta in un cimitero cristiano a Sid. Per eseguire il rito

8 Gatti F., Naufragio dei bambini. Nuove verità sulla strage, L’Espresso, 13 settembre 2017

[Link: http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/09/13/news/indagine-negli-abissi-1.309437].

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sulmano di lavaggio del corpo vengono date loro solo quattro botti-glie di acqua9. A Pordenone, tre ventenni di origine afghana sono stati sgomberati da un piccolo edificio abbandonato che hanno oc-cupato da qualche giorno. Il sindaco della città non ha concesso alla Croce Rossa di allestire un dormitorio sul territorio comunale per prestare aiuto a diversi emigrati-immigrati che dormono all’addiaccio, non accolti dal sistema di accoglienza istituzionaliz-zata, per evitare che il dormitorio possa diventare un fattore ‘attrat-tivo’ per altri e sottolineando che la città si fa già carico di un’accoglienza ‘straordinaria’10. Uno dei tre ventenni, dopo lo sgombero, cammina verso una strada trafficata, si distende a terra, copre il proprio corpo con una coperta e aspetta di morire. L’investimento è evitato, mentre il giovane giace disteso a terra come un morto. Un automobilista spazientito dall’ingorgo che si è creato, lo trascina a forza a lato della strada. Arriva la polizia che fa salire il giovane in macchina mentre lui, con un accendino, tenta di darsi fuoco. I poliziotti lo fermano, lo portano fuori dalla macchina, lo immobilizzano a terra e ammanettano11. Quell’uomo ha perso due figli in un naufragio nel mar Mediterraneo; quella famiglia, una figlia-sorella, nel tentativo di attraversare i confini; quel giovane ha mimato-tentato due volte il suicidio, in una strada del nord-est ita-liano e appare, nel video che lo riprende, pubblicato da un giornale locale, come un qualsiasi corpo naufragato, morto, coperto da un telo, in una spiaggia del Mediterraneo.

9 Ullah A., The tragic death of a six-year-old refugee in Serbia, Aljazeera, 6 dicembre 2017 [Link: http://www.aljazeera.com/news/2017/12/tragic-death-year-refugee-serbia-171206120406637.html].

10 Marconi F., Pordenone i migranti dormono al gelo, L’Espresso, 29 novembre 2017 [Link: http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/11/28/news/a-pordenone-i-migranti-dormono-al-gelo-al-sindaco-va-bene-cosi-1.315074].

11 Boltin D., Pordenone, si stende in strada e cerca di darsi fuoco, Messaggero

Veneto, 08 dicembre 2017 [Link:

http://messaggeroveneto.gelocal.it/pordenone/cronaca/2017/12/08/news/si-stende-in-strada-e-cerca-di-darsi-fuoco-1.16213199].

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Fotogramma del video dove si vede il giovane di origine afghana disteso a terra, pubblicato da: Messaggero Veneto.

Si possono raccontare innumerevoli storie come queste, creando una sequenza esemplare della consumazione mortale dei corpi, segnata dai due processi interrelati che saranno il filo con-duttore di tutte le riflessioni a seguire e matrici della loro comples-sità: la costruzione dello status di emigrato-immigrato e la depriva-zione di risorse materiali.

Sayad scriveva:

«L’immigrato (e con lui l’emigrato) è uno scandalo per tutto l’ordine poli-tico. […] L’immigrato mette in pericolo l’ordine nazionale costringendolo a sare ciò che è impensabile, a pensare ciò che non è o ciò che non deve essere pen-sato per poter essere; costringendo a svelare il suo carattere arbitrario (nel senso in cui la linguistica intende il temine; non necessario), a smascherarne i presup-posti; costringendo a rivelare la verità della sua istituzione e a portare alla luce le regole del suo funzionamento. […] La doppia esclusione che fa l’immigrato e l’emigrato – esclusione di diritto nel caso dell’immigrato ed esclusione di fatto nel caso dell’emigrato – equivale a un rifiuto, e a una negazione del diritto alla vita, in ciò che l’identità civile (o civica) contiene in sé: l’identità personale che è uno dei suoi effetti. […] Non essere il nazionale dell’ordine nazionale nel quale l’immigrazione porta a vivere e non vivere (in ragione dell’emigrazione) nell’ordine nazionale di cui si è il nazionale – è essere privati e privarsi del diritto

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fondamentale, il diritto del nazionale, il diritto di avere dei diritti, il diritto di ap-partenere a un corpo politico, di avere un posto, una residenza, una vera legitti-mità, cioè il diritto di potere dare senso e ragione alla propria azione, alle proprie parole, alla propria esistenza: è il diritto di potere avere una storia, un passato e un avvenire e la possibilità di appropriarsi di questo passato e di questo futuro, la possibilità di dominare questa storia12».

Questo scandalo che è l’emigrato-immigrato, lo rende ‘sacro’ nel significato attribuitogli da Agamben: «Quando i suoi diritti non sono più diritti del cittadino, allora l’uomo è veramente sacro, nel senso che questo termine ha nel diritto romano arcaico: votato alla morte13». Seguire i passi di chi è «votato alla morte» porta vicino e lontano da quei decessi avvenuti nell’attraversamento di confini, sia perché i confini sono esternalizzati14 dal loro spazio fisico inteso in

senso stretto, sia perché sono polimorfi15 e dotati di tentacoli che

af-ferrano i corpi anche dove è meno immediato pensarli, con modalità più o meno visibili.

Una fotografia di Tillmans cattura un’immagine dell’oceano Atlantico, turbato, scosso dalle creste delle onde, alla quale l’autore ha dato il titolo: «The State We’re In». Un’allegoria che rende l’immagine di quel mare sovrapponibile a un ritaglio del mar Me-diterraneo, turbato dalla stessa presa d’atto.

Se il mar Mediterraneo è lo Stato in cui siamo, allora la so-stanza politica di quel mare consuma tutti quei corpi che sono por-tati dentro lo stesso campo di forze che li vota alla morte, anche

12 Sayad A., Stato, nazione ed immigrazione: l'ordine nazionale alla prova dell'immigrazione, in Avallone G., Torre S. (a cura di), Abdelmalek Sayad: per una teoria post-coloniale delle migrazioni, Catania, Il Carrubo, 2013, pp. 72-73. 13 Agamben G., Al di là dei diritti dell’uomo, in Agamben G., Mezzi senza fine. Note sulla politica, Torino, Bollati Boringhieri, 1996, p. 26.

14 Ruhrmann, H., FitzGerald, D., The externalization of Europe’s borders in the

refugee crisis, 2015-2016, 2017 [Link:

https://cloudfront.escholarship.org/dist/prd/content/qt2bb8x619/qt2bb8x619.pdf]. 15 Burridge A., Gill N., Kocher A., Martin L., Polymorphic borders. Territory, Politics, Governance 5:3, pp. 239-251, 2017.

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trove, come in una lunga marcia bachmaniana16: chi non cade nel mar Mediterraneo, cadrà forse dopo, stremato, sotto il sole di luglio nei campi tra Nardò e Avetrana17, nell’acqua del canal Grande a Ve-nezia, mentre qualcuno gli urla: «Africa!18»; o scappando da un centro di salute mentale a Messina, per ritornare dentro quel mare che aveva attraversato, sopravvivendo?19 Weil scriveva: «La forza è ciò che rende chi vuole le sia sottomesso una cosa. Quando si eser-cita fino in fondo, essa fa dell’uomo una cosa nel senso più letterale della parola, poiché lo trasforma in un cadavere20». Se un’effige si potesse apporre a quell’ordine politico che esercita la sua forza tra-sformando i corpi in cose, come nella «cosa Sómogyi21», il cada-vere di un compagno di Levi ad Auschwitz; essa reciterebbe, forse, le parole della repubblica di Salò pasoliniana: «Nessuno sulla terra sa che voi siete qui. Per tutto quanto riguarda il mondo, voi siete già morti22».

Scriveva Razac, nella sua storia politica del filo spinato:

16 Bachman R., La lunga marcia, Milano, Mondadori, 1985. Un romanzo distopico che racconta di una lunga marcia nella quale i partecipanti devono mantenere un’andatura di 6 chilometri orari senza mai fermarsi pena un numero di ammonizioni dopo le quali vengono uccisi.

17 Cuomo F., Avitabile S., Muore mentre lavora nei campi. Era senza contratto: tre indagati, Corriere del Mezzogiorno, 20 luglio 2015 [Link:

http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/lecce/cronaca/15_luglio_20/malore- mentre-lavora-campi-muore-bracciante-agricolo-immigrato-3b770e42-2f05-11e5-b8be-a5ee2e212ebc.shtml?refresh_ce-cp].

18 Mion C., Venezia, si è ucciso per il permesso negato, La Nuova Venezia, 24

gennaio 2017 [Link:

http://nuovavenezia.gelocal.it/venezia/cronaca/2017/01/24/news/si-e-ucciso-per-il-permesso-negato-1.14764421]; Video amatoriale nel quale si sente una voce gridare “Africa!” [Link: www.youtube.com/watch?v=jgrP0iZJejM&t=11s]; Bona D.T., Mort à Venise, Libération, 31 gennaio 2017 [Link :

http://www.liberation.fr/debats/2017/01/31/mort-a-venise_1545339].

19 Redazione, Fugge dal Mandalari e si getta in mare, è disperso, Normanno, 23 marzo 2016 [Link: http://normanno.com/cronaca/53356/].

20 Weil S., La Grecia e le istituzioni pre-cristiane, Milano, Rusconi, 1974, p. 11. 21 «L’infame tumulto di membra stecchite, la cosa Sómogyi» da Levi P., Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 2004, p. 271.

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«Ci sono quelli che oltrepassano la barriera protettiva di filo spinato e vanno a morire, quelli che dietro, nel bene e nel male, continuano a vivere. Per alcuni significa godere e faticare, per altri vivere o morire […] è lì dove gli uo-mini si disgregano per diventare morti in attesa. […] E quelli che non possono entrare da nessuna parte vagano in una no man’s land sociale e spaziale. A loro non resta che l’esterno, il fuori che può essere ovunque. […] Si produce il rove-sciamento del far vivere biopolitico in un discreto lasciar morire, sociale o reale e perché no, un giorno, in un far morire altrettanto discreto23».

Wolfgang Tillmans, The State We’re In, A, 2015.

Steinbeck, nel 1936, in un’inchiesta commissionatagli dal San Francisco News sulla condizione dei braccianti agricoli immigrati in California, racconta di una famiglia lì emigrata dall’Oklahoma durante la Grande Depressione e colpita dalla perdita del maggiore dei figli. L’autore ricostruisce la cronistoria esemplare del decesso, rendendo visibile il processo materiale che lo ha determinato: la precarietà esistenziale, giuridica, lavorativa, abitativa ascritta allo status di emigrati-immigrati stagionali, ‘non-residenti’; la correla-zione tra tale precarietà, la deprivacorrela-zione di risorse materiali e il peggioramento delle condizioni di salute; infine, il trattamento dif-ferenziale riservato ai ‘non-residenti’ nell’accesso ai sussidi e ad adeguate cure mediche.

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Il corpo morto del giovane è ‘liquidato’ dalla contea che, con un gesto ‘caritatevole’ lo seppellisce gratis, mentre il padre posa so-pra la tomba del figlio una corona di fiori che ha comso-prato ven-dendo l’ultimo bene rimastogli, residuo simbolico della mobilità: un furgone. Scrive Steinbeck:

«La famiglia si è spostata nella contea di Kern per la vendemmia e si è si-stemata nell’accampamento abusivo alla periferia di Bakersfield. A quel punto il padre si è slogato una caviglia e la bambina ha preso il morbillo. […] Il ragazzo quindicenne era in quel momento l’unico della famiglia a guadagnare qualcosa. Quello di dodici anni ha preso un attrezzo di ottone in un cortile e ha cercato di venderlo. È stato arrestato e trascinato davanti al tribunale dei minori, ma è stato rilasciato sotto la custodia del padre. Il padre è andato dal campo abusivo fino a Bakersfield con la caviglia slogata, perché la benzina del furgone era finita e lui non osava investire i soldi rimasti per comprarne dell’altra. La camminata ha ag-gravato la distorsione, costringendolo nuovamente al riposo. La bambina a quel punto era guarita dal morbillo, ma i suoi occhi non erano stati curati e la sua vista è peggiorata. Il padre a quel punto ha fatto domanda per il sussidio e ha scoperto di non essere idoneo perché non aveva ottenuto la residenza com’era necessario. Le risorse erano finite. I vicini dell’accampamento abusivo hanno dato alla fami-glia un po’ di cibo. […] In quel periodo il ragazzo quindicenne è tornato a casa dai campi con un dolore al fianco. Aveva la febbre e soffriva molto. […] L’ospedale era affollato, il personale impegnato a tempo pieno con i residenti della zona. Il problema, descritto come un dolore allo stomaco, non è stato preso sul serio. […] Il ragazzo è morto il giorno dopo di peritonite. I soldi erano finiti. La contea lo ha seppellito gratis. Il padre ha venduto il furgone per trenta dollari e ha comprato una corona da due dollari per il funerale24».

Adan, un tredicenne affetto da distrofia muscolare, costretto in una sedia a rotelle, è scappato con la sua famiglia da Kirkuk, riu-scendo ad arrivare in Svezia nel 2015, dove dopo due anni di attesa gli è stata negata, nel febbraio 2017, la protezione internazionale.

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La famiglia, per non essere espulsa e rimpatriata in Iraq, attraversa i confini in treno, sino ad arrivare a Bolzano, dormendo la prima notte sotto un ponte25 e chiedendo aiuto, il giorno successivo, a un’associazione locale. Mentre attendono di fare richiesta di prote-zione internazionale in Italia, Adan viene ricoverato in ospedale con problemi di respirazione e dolori diffusi nel corpo; la sua famiglia, quella notte, si ritaglia dei ricoveri di fortuna dentro l’edificio ospe-daliero. Qualcuno segnala la sua storia e quella della sua famiglia ai servizi sociali istituzionali che però negano la possibilità di una presa in carico, in ragione delle regole stabilite da una circolare26, secondo una valutazione giuridica illegittima, ma legittimata so-cialmente27. Il giovane viene dimesso dall’ospedale, nei giorni successivi, il nucleo familiare è costretto ad accamparsi nel parco della stazione in assenza di altro ricovero. Le associazioni di vo-lontariato che si stanno occupando di loro, riescono a pagare delle notti in albergo alla famiglia, ma quelli disponibili non sono dotati di un ascensore, per questo motivo Adan e suo padre dormono di-verse notti: sul pavimento di un centro giovanile e su quello di una chiesa evangelica. Un giorno, dopo aver formalizzato la richiesta di protezione internazionale, nel tragitto dalla Questura alla mensa della Caritas, il ragazzo cade dalla sedia a rotelle a causa di una

25 Ratti M., Bolzano in piazza contro la morte di Adan, Osservatorio Diritti, 16 ottobre 2017 [Link: https://www.osservatoriodiritti.it/2017/10/16/bolzano-adan-diritti-migranti-immigrazione/].

26 Circolare del 27/09/2016 di Critelli, «Accoglienza temporanea di persone

appartenenti a categorie “vulnerabili”» [Link:

https://www.salto.bz/sites/default/files/atoms/files/accoglienza_vulnerabili_3_10_ 2016.pdf]. Sulla sempre più diffusa applicazione di circolari amministrative in materia di immigrazione: Gjergji I., Circolari amministrative e immigrazione, Milano, Franco Angeli, 2013.

27 Sulla costruzione sociale della legittimazione di determinate modalità di ‘governance’ delle migrazioni e sulla loro ‘formalizzazione’, segnalo l’intervento di Gjergji I. al Tribunale Permanente dei Popoli, Palermo, 18 dicembre 2017, La governance delle frontiere e delle migrazioni, in Europa e in Italia: analisi della

“forma” che contiene il disumano [Link:

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riera architettonica e viene di nuovo ricoverato in ospedale. Con la caduta le sue condizioni di salute già precarie e segnate dalla vulne-rabilità alla quale era stato esposto nei giorni precedenti, si aggra-vano e muore28.

Si coglie immediatamente la verosimiglianza tra la storia rac-contata da Steinbeck e quella di Adan. Ambedue, pur svoltesi lon-tano dai confini degli Stati, ne riflettono la sostanza politica, nel modo in cui questa consuma lentamente i corpi, provocando loro la morte o ‘lasciandoli’ morire dentro una spirale di eventi concate-nati. Questa presa d’atto è il fondamento metodologico del taglio che si propone questa ricerca: le morti per migrazione, queste as-senze che parlano in modo così chiaro dell’ordine politico, si de-vono cercare anche dove è meno verosimile pensarle. Sino ad arri-vare a interrogare quelle morti ‘ordinarie’, magari di persone con un regolare permesso di soggiorno a breve o lungo termine, che vivono da anni in Italia, per vedere se vi si trova ancora qualcosa di singo-lare che riguarda quella predestinazione alla morte che lo status di emigrato-immigrato e la deprivazione di risorse materiali, conti-nuano a determinare. Penetrando fino al fondo di questa intuizione, si dovrebbero cercare anche le ‘morti coscienti’, scandagliando le storie silenziose di chi ha vissuto un percorso migratorio sperimen-tando le più varie forme di tortura. Come, per esempio, la storia di quel giovane di origine russa, ricoverato in un ospedale svedese come centinaia di altri minori29, in uno stato di coma autoindotto definito uppgivenhetssyndrom ovvero ‘sindrome della

28 Fatti riportati da SOS Bozen.

[Link: https://www.facebook.com/SOSBozen/posts/1443059762478954]. 29 Aviv R., The trauma of facing deportation, The New Yorker, 3 aprile 2017. [Link: https://www.newyorker.com/magazine/2017/04/03/the-trauma-of-facing-deportation].

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zione30’, a seguito della minaccia di rimpatrio in uno Stato dal quale era scappato con la propria famiglia. Dopo cinque mesi il giovane si ‘risveglia’ e racconta così, a una giornalista, dello stato emotivo nel quale viveva:

«Durante i suoi mesi a letto, ha detto, si sentiva come dentro una scatola di vetro con pareti fragili, nel profondo oceano. Se avesse parlato o si fosse mosso, pensava, si sarebbe creata una vibrazione che avrebbe frantumato il vetro. “L’acqua sarebbe entrata e mi avrebbe ucciso”, ha detto. […] “Il vetro non era reale. E adesso, ho capito che non era reale per niente. Ma, a quel tempo, era molto difficile, perché ogni movimento avrebbe potuto uccidermi. Vivevo lì”31».

Si può dire che il suo mare, il mare dal quale è sopravvissuto alla morte era lo Stato nel quale era immerso e dal quale si proteg-geva con un gesto estremo di auto-tutela, chiudendosi, assente, dentro una fragile teca di vetro. Quello Stato che, constatata la sin-drome del giovane, revoca il rimpatrio dell’intero nucleo familiare perché quel corpo, volente o nolente, gli ha gettato, con la propria sofferenza, un guanto di sfida politico.

Racconta un uomo di origine tunisina espulso dall’Italia: «Avevamo due poliziotti ciascuno al fianco che ci stringevano e nessuno di noi è un criminale. […] Abbiamo capito quando la porta dell’aereo si è aperta, eravamo in Tunisia. Io sono morto allora32».

30 Sallin K., Lagercrantz H., Evers K., Engström I., Hjern A., Petrovic P., Resignation Syndrome: Catatonia? Culture-Bound?, Frontiers in Behavioral Neuroscience, 2016; 10:7; Bodegard G., Pervasive loss of function in asylum-seeking children in Sweden, Acta Paediatr, 2005;94(12):1706-1707; Ascher H., Hjern A., From apathy to activity: experiences of refugee children with severe withdrawal syndrome, in: Overland G., Guribye E, Lie B., (a cura di), Nordic Work With Traumatised Refugees: Do We Really Care. Newcastle upon Tyne: Cambridge Scholars Publishing; 2014, 102-118.

31 Aviv R., The trauma of facing deportation, The New Yorker, 3 aprile 2017. [Link: https://www.newyorker.com/magazine/2017/04/03/the-trauma-of-facing-deportation].

32 Quirico D., Esodo: storia del nuovo millennio, Vicenza, Neri Pozza, 2016, Kindle Edition, p. 50,1.

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Un rifugiato siriano che ha perso tutta la propria famiglia durante una traversata del mar Egeo dice, davanti alle telecamere di una te-levisione: «Io sono solo a me non importa più se vivo o se muoio33». Darwish avrebbe aggiunto: «Non ho più patria, non ho più un corpo. Il bombardamento continua sui cantici di lode e sui dialoghi dei morti, discorsi che scorrono nel sangue come luce che infiamma domande gelide34». E Suleiman: «Non ho una terra per dire che vivo in esilio, vivo nel post-mortem, vita quotidiana, morte quotidiana35». È una morte cosciente anche quella di quel ventenne afghano che spera di finire la propria vita tra il via vai di macchine a Pordenone e sembra rotolare in una discesa come il corpo di Mou-chette nel finale del film di Bresson36, fermato da un ramoscello, poi da qualcuno che potrebbe salvarlo, ma non lo fa, cadendo, in-fine, dentro quel fiume dove finisce chi non è più degno di lutto37. Dentro quel campo di forze che riduce o annienta la possibilità di essere, si trova quel soldato che torna dalla Germania, a guerra fi-nita, e dice a sua madre: «Madre vieni, dimmi, sono tuo figlio o un morto?38»; si vedono quelle persone alla ricerca di una ‘terra felice’ la cui anima provata dagli ostacoli «si è dissolta da tempo, [e] per loro è lo stesso vivere o morire39»; ma anche chi, detenuto nell’hotspot di Moria, in Grecia, racconta: «Le persone qui stanno morendo silenziosamente dentro. […] Ogni volta che mi rado adesso, penso di tagliarmi la gola con il rasoio40»; e chi, dal centro

33 Un servizio del TG3 del quale ho perso il riferimento.

34 Darwish M., Una memoria per l'oblio, Milano, Jouvence, 2012, p. 40. 35 Suleiman E., The Arab Dream, Palestina/Francia, 1998.

36 Bresson R., Mouchette, Francia, 1967.

37 Butler J., A chi spetta una buona vita?, Roma, Nottetempo, 2013.

38 Pasolini P.P., La nuova gioventù. Poesie friulane (1941-1974), Torino, Einaudi, 2002, p. 126.

39 Platonov A., Ricerca di una terra felice, Milano, Club degli Editori, 1968, p. 76.

40 Horner W., 'We are silently dying': Refugees in Greek camp slip into despair,

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d’identificazione ed espulsione (CIE) di Ponte Galeria, mostrando alle telecamere i punti di sutura di una lesione autoinflittasi sul braccio, dice: «È uscito troppo sangue, mi hanno detto ‘vai all’ospedale’, ho detto io non voglio andare all’ospedale, voglio morire qui41».

A questo punto del discorso riemerge con forza una delle do-mande poste in precedenza: come si stratifica il diritto alla vita? Pur cambiando le lenti di osservazione, allontanandosi dalla stretta contemporaneità, si ritrova questa stessa domanda, a fine ottocento, mentre si scorge l’immagine di un’imbarcazione precaria colma di emigrati-immigrati italiani diretti in America. Diversi protestano di essere stretti «come in un alveare», denunciando che «è morto un giovane di cinque anni, [e] ce ne sono altri otto ammalati grave-mente. [C’è] chi piange, chi si lamenta, spose con i figli in braccio che vogliono gettarsi nell’acqua e annegarsi, dicono, se si parte si muore tutti prima di arrivare in America42».

De Amicis, nel diario etnografico del suo viaggio transocea-nico tra Europa e America, nello stesso periodo, racconta la morte di un emigrato-immigrato piemontese avvenuta a bordo della nave:

«Aveva avuto un’agonia disperata. Il prete non era riuscito a fargli accettar la morte con rassegnazione. Negli sguardi che girava sugli astanti, e intorno, su quello strano ospedale, si vedeva un’angoscia immensa, uno sgomento di fan-ciullo di dover morire là, in mezzo all’oceano, e di non aver sepoltura. […]

http://www.middleeasteye.net/news/despair-greek-refugee-camp-after-spate-deaths-spurs-authorities-action-1761930130].

41 Redazione, Ponte Galeria, scabbia e tentati suicidi al centro per immigrati, Il

Fatto Quotidiano, 10 febbraio 2015 [Link:

https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/02/10/roma-scabbia-e-tentati-suicidi-al-centro-per-immigrati-di-ponte-galeria/338834/].

42 Franzina E., Merica! Merica! 1876-1902. Emigrazione e colonizzazione nelle lettere dei contadini veneti e friulani, Torino, Einaudi, 1980.

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Morto, era rimasto col viso contratto in un’espressione di spavento, e ancora inondato di lacrime43».

Se il suo viso era una maschera tragica e diventarono ma-schere tragiche anche i volti degli altri emigrati-immigrati spaven-tati di quella fine e di poter fare la stessa fine, un passeggero marsi-gliese di ‘prima classe’ «parlava con accento enfatico della poesia di essere sepolti nell’oceano, di andare a dormire in quella solitu-dine infinita, e diceva: - ‘J’amerais ça, moi!’44». Quell’oceano, come il mar Mediterraneo di oggi e come gli altri luoghi dove il suo fluido penetra la sostanza delle cose, diventa l’allegoria della divi-sione di classe tra chi muore dannandosi e chi può permettersi il lusso della sepoltura poetica, ma anche un cimitero simbolico nel quale le storie ritessono la propria Storia comune.

Si potrebbe continuare l’esplorazione di questa Storia cam-minando nelle strade di Tallhula, in Lousiana, dove è appena avve-nuto il linciaggio collettivo45, a sfondo razzista, di cinque emigrati-immigrati di origine siciliana; o nei valichi alpini tra l’Italia e la Francia dove sono stati ritrovati i cadaveri di alcuni italiani46 che cercavano di attraversare il confine clandestinamente, in quegli

43 Edmondo De Amicis, Sull'Oceano, Genova-Ivrea, HERO-DOTE, 1983, p. 178.

44 Edmondo De Amicis, Ibid., 1983.

45 Deaglio E., Storia vera e terribile tra Sicilia e America, Palermo, Sellerio, 2015.

46 «Essi vengono nottetempo accompagnati sino al confine da una guida di Bardonecchia e poi si arrangiano a scendere naturalmente, dato l’inadeguato equipaggiamento, specie se incontrano cattivo tempo, spesse volte non riescono a proseguire e muoiono sull’alto versante francese, due o tre al mese almeno lasciano la vita in questo modo. Le stesse cose me le avevano dette la sera innanzi i due francesi della centrale di Fontaine, anzi sono quasi sempre essi che ritrovano i morti». Da Rinauro S., Percorsi dell'emigrazione italiana negli anni della ricostruzione: morire a Dien Bien Phu da emigrante clandestino, Altreitalie, Luglio-Dicembre, 2005, pp. 4-48; Rinauro S., Il cammino della speranza. L'emigrazione clandestina degli italiani nel secondo dopoguerra, Torino, Einaudi, 2009.

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stessi sentieri percorsi, ancora oggi47, da altri ‘camminatori della speranza48’ che continuano a morire. Si potrebbe immaginare di en-trare con i soccorritori nella miniera di Marcinelle49, per ricercare i

residui carbonizzati degli emigrati-immigrati morti lavorando nelle viscere della terra e chiedersi: perché proprio loro erano lì, a ri-schiare la vita, in quel modo? Un operaio italiano, sopravvissuto alla tragedia, risponde: «Il governo belga scriveva in Italia: man-dami un tot di persone, e il governo italiano mandava carne da ma-cello, De Gasperi aveva fatto un contratto e chi moriva e chi cam-pava era più fortunato50». Nel cantiere di Mattmark51 le domande da porsi non sono diverse e raccontano, ancora, la riduzione del corpo a merce, quantità trascurabile: «Nel commentare il controllo della burocrazia sulle migrazioni interne, Luigi Einaudi, chiamava il bu-rocrate un ‘commissario di merce viva migrante’52».

Sono gli stessi corpi che si trovano oggi negli hub dove ven-gono ‘smistati’ gli emigrati-immigrati; negli hotspot dove venven-gono detenuti i sopravvissuti alla morte per migrazione in attesa che il loro destino sia deciso; nelle stanze dove si vende, a prezzo strac-ciato, la ‘merce viva migrante’ ridotta a schiavitù53; negli autotreni dove quella ‘carne viva’ viene stipata per essere portata da un cen-tro di detenzione libico all’alcen-tro, ma anche in un cencen-tro di acco-glienza italiano per richiedenti asilo dal quale si esce per

47 Tanguy D., A Briançon, les migrants perdus dans l'enfer blanc, La Provence, 16 dicembre 2017 [Link: http://www.laprovence.com/article/societe/4756657/a-briancon-les-migrants-perdus-dans-lenfer-blanc.html].

48 Germi P., Il cammino della speranza, Italia, 1950.

49 Di Stefano P., La catastròfa: Marcinelle, Palermo, Sellerio, 2011. 50 Da una testimonianza raccolta da Di Stefano P., op.cit, 2011, p. 78.

51 Ricciardi T., Morire a Mattmark. L'ultima tragedia dell'emigrazione italiana, Roma, Donzelli, 2015.

52 Ianni C., Il sangue degli emigranti, Roma, Edizioni di Comunità, 1965. 53 Elbagir N., Razek R., Platt A., Jones B. People for sale. Where lives are auctioned for $ 400, CNN, 14 novembre 2017 [Link:

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tuirsi54; e in quella scena che racconterò in seguito che si può ve-dere, ogni tanto, nei magazzini degli aeroporti dove le bare con i corpi degli emigrati-immigrati attendono tra le merci di essere cari-cate su degli aerei cargo e rimpatriate nei luoghi di origine, per es-sere sepolte.

Emigrati-immigrati trasportati da un centro di detenzione a Sabratha, Libia, Reuters / H. Amara.

Negli ultimi vent’anni, si sono sviluppati due filoni di studio che, nella letteratura scientifica, ma non solo, hanno indagato sepa-ratamente le morti per migrazione e le morti nell’immigrazione. Le morti per migrazione vengono solitamente intese, in senso stretto, pensando a chi perde la vita nell’attraversamento di confini; le morti nell’immigrazione, invece, si riferiscono ai decessi di chi ha vissuto un’esperienza migratoria ed è morto in un contesto di immi-grazione, senza che sia stato questo, almeno apparentemente, a de-terminarne la privazione della vita.

54 Spagnolo C., Otranto, giro di prostituzione minorile vicino ai centri per i migranti: aperta un’inchiesta, La Repubblica, 20 novembre 2017 [Link:

http://bari.repubblica.it/cronaca/2017/11/20/news/otranto_giro_di_prostituzione_ minorile_nel_centro_di_accgolienza_per_i_migranti_-181587347/?refresh_ce].

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Il primo filone di studi attinge, spesso, a una cornice teorica che prende spunto dalle riflessioni sulla biopolitica di Foucault55 e, quindi, dal lavoro del potere sui corpi; da quelle di Arendt56 sulla costruzione burocratica dell’esclusione; dalle teorizzazioni di Agamben57 sulla «nuda vita» e sullo «stato di eccezione»; e dal con-cetto di necropolitica di Mbembe58 che esplora l’esercizio estremo della sovranità, tramite il potere di ‘fare’ o ‘lasciare’ morire.

Una delle questioni chiave intorno alla quale questo filone di studi indaga la morte per migrazione, intesa in senso stretto, è quella del confine, inteso come spazio fisico dove si condensa, in modo esemplare, ciò che sono gli Stati, ‘colti sul fatto’, mentre con gesti poco astratti59 esercitano il proprio potere sulla vita/morte dei corpi che migrano. Questi studi si sono concentrati prevalentemente sui confini dove si sono verificate più morti per migrazione. In par-ticolare, quello tra il Messico e gli USA60, quelli liquidi del mar

55 Foucault M., Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979), Milano, Feltrinelli, 2005; Foucault M., La volontà di sapere, Milano, Feltrinelli, 1978.

56 Arendt H., Le origini del totalitarismo, Torino, Einaudi, 2009.

57 Agamben G., Mezzi senza fine. Note sulla politica, Torino, Bollati Boringhieri, 1996; Agamben G., Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Torino, Einaudi, 2005.

58 Mbembe A., Necropolitics, Public Culture 15(1): 11-40, 2003; Mbembe A., Necropolitica, Verona, Ombre Corte, 2016.

59 La riflessione sulla ‘teologia’ dello Stato di Bourdieu P., Sullo Stato. Corso al Collège de France Vol.1 (1989-1990), Milano, Feltrinelli, 2013.

60 Tra gli altri: Doty RL., Bare life: Border-crossing deaths and spaces of moral alibi, Environment and Planning D: Society and Space 29(4): 599–612, 2011; De León J., The Land of Open Graves: Living and Dying on the Migrant Trail, Oakland, CA: University of California Press, 2015; Nevins J., Dying for a Cup of Coffee? Migrant Deaths in the US-Mexico Border Region in a Neoliberal Age, Geopolitics, 12:2, 228-247, 2007; Panizo, L., Cuerpos desaparecidos. La ubicación ritual de la muerte desatendida, Cap: La muerte desatendida. In Hidalgo C. (a cura di), Etnografías de muerte. Rituales, desapariciones, VIH/SIDA, y resignación de la vida, Buenos Aires: CLACSO-Ciccus Editorial, 2009; Martínez D.E., Reineke R.C., Rubio-Goldsmith R., and Parks B.O., Structural Violence and Migrant Deaths in Southern Arizona: Data from the Pima County Office of the Medical Examiner, 1990–2013, 2 Journal on Migration and Human Security (2014) pp. 257–286; Fleischman J.M.; Kendel A.E; Eggers C.C.; and Fulginiti L.C., Undocumented Border Crosser Deaths in Arizona:

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Mediterraneo61 e le diverse frontiere dell’Europa62; alcuni fornendo uno sguardo globale63. Dentro alla medesima prospettiva, sono state create, negli ultimi anni, diverse banche dati64 delle morti per migrazione, alcune delle quali hanno ricompreso, nel conteggio, le morti avvenute lungo tutta l’estensione delle rotte migratorie. La Expanding Intrastate Collaborative Efforts in Identification, Journal of Forensic Sciences, 2017.

61 Tra gli altri: AA.VV., Dossier. I morti nel Mediterraneo, inTRASformaZIONE, Rivista di Storia delle Idee, 5:1, 2016, pp.32-182; Kovras I. and Robins S., Death as border: Managing missing migrant and unidentified bodies at the EU’s Mediterranean frontier, Political Geography 55: 40–49, 2016; Fargues P., Bonfanti S., When the best option is a leaky boat : why migrants risk their lives crossing the Mediterranean and what Europe is doing about it, Migration Policy Center, Policy Briefs, 2014/05; Follis K., Responsibility, Emergency, Blame: Reporting on Migrant Deaths on the Mediterranean in the Council of Europe, Journal of Human Rights Vol. 14, Iss. 1, 2015; Albahari M., Crimes of Peace. Mediterranean Migrations at the World’s deadliest Border, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2015.

62 Kobelinsky C., Le Courant S., (a cura di), La mort aux frontiers de l’Europe: retrouver, identifier, commémorer, Neuvy-en-Champagne, Éditions le passeger clandestin, 2017.

63 Brian T., Lczko F., Fatal Journeys. Tracking Lives Lost during Migration, IOM, 2014; OIM (a cura di), Fatal Journeys. Vol 2. Identification and Tracing of Dead and Missing Migrants, OIM, 2016; OIM (a cura di), Fatal Journeys. Vol. 3. Part I. e II., Improving Data on Missing Migrants, 2017; Weber l., Pickering S., Globalization and Borders. Death at the Global Frontier, Palgrave Macmillan, 2011; Squire V., Governing migration through death in Europe and the US: Identification, burial and the crisis of modern humanism, European Journal of International Relations, 1-20, 2016; Eschbach K., Hagan J., Rodriguez N., Hernandez-Leon; Stanley B., Death at the border. International Migration Review, Vol. 33, No.2, Summer 1999, 430-454.

64 Banca dati Missing Migrants, OIM [Link: https://missingmigrants.iom.int/] ricerca Human costs of Border Control, University of Amsterdam, Netherlands Organisation for Scientific Research [Link: http://www.borderdeaths.org]; campagna The Fatal Policies of Fortress Europe di UNITED [Link:

http://www.unitedagainstracism.org/wp-content/uploads/2017/06/UNITEDListOfDeathsActual.pdf]; monitoraggio di Watch the Med. [Link: http://watchthemed.net/index.php/reports#]; Banca dati di Migrants Files, [Link: http://www.themigrantsfiles.com/];

Database di Fortress Europe [Link: http://fortresseurope.blogspot.it/p/la-strage.html]; lista di morti curata da UNITED, alla quale ha dato ampia diffusione il giornale tedesco Der Tagesspiegel

[Link: www.tagesspiegel.de/downloads/20560202/3/listeentireberlinccbanu.pdf]; per una panoramica sul ‘conteggio’ delle morti, Heller C., Pécoud A., Counting migrants’ deaths at the border: from civil society counter-statistics to (inter)governmental recuperation, Working paper, International Migration Institute network, 15 gennaio 2018 [Link: https://www.imi- n.org/publications/counting-migrants2019-deaths-at-the-border-from-civil-society-counter-statistics-to-inter-governmental-recuperation].

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rilevazione quantitativa di queste morti non era stata operata prima, a conferma della loro invisibilità politica e irrilevanza sociale che ne rende difficoltosa, a tutt’oggi, la ricerca65. Ma allo stesso tempo, una rinnovata attenzione è rivolta alla questione degli ‘scomparsi’ per migrazione, tema di vitale importanza per i loro familiari che solo alcune ricerche66, fino a ora, hanno cercato per sondarne gli abissi67.

Diverse indagini giornalistiche hanno ricostruito delle ‘trage-die della migrazione’, tra questi, le inchieste di Leogrande sul nau-fragio della Katër i Radës68 e sul naufragio del 3 ottobre 2013 a largo delle coste di Lampedusa69; i resoconti di Del Grande sul

65 Last T., Mirto G., Ulusoy O., Urquijo I., Harte J., Bami N., Pérez M., Delgado F.M., Tapella A., Michalaki A., Michalitsi E., Latsoudi E., Tselepi N., Chatziprokopiou M., Spijkerboer T., Deaths at the borders database: evidence of deceased migrants’ bodies found along the southern external borders of the European Union, Journal of Ethnic and Migration Studies, 2017.

66 Tra gli altri: in riferimento al naufragio del 3 ottobre 2013 a largo delle coste di Lampedusa, Leogrande A., La frontiera, Milano, Feltrinelli, 2015; in riferimento al naufragio della Katër i Radës, Leogrande A., Il naufragio. Morte nel Mediterraneo, Milano, Feltrinelli, 2011 e il suo reportage su Radio Tre Rai, Il naufragio della Katër i Radës, Wikiradio del 28 marzo 2016; tra i familiari di scomparsi più ‘visibili’, le madri tunisine degli scomparsi nel mar Mediterraneo, alcuni riferimenti in: Sossi F., Donne fotografie tra i fantasmi del Mediterraneo, DEP, luglio 2015, pp.184-204.

[Link: www.unive.it/media/allegato/dep/n28-2015/16_Sossi.pdf]; Palmas L., Dopo la primavera araba. Visioni tunisine sulle migrazioni, Mondi Migranti, 2, 2016; intorno alla mobilitazione delle madri tunisine degli scomparsi/morti nel Mediterraneo si è diffusa una (relativa) attenzione mediatica, diversi articoli sono reperibili in rete; recentemente alcune inchieste giornalistiche hanno indagato alcune storie di rifugiati siriani scomparsi nella migrazione, con un’attenzione ai familiari degli scomparsi, tra gli altri: Fjellberg A., The Wetsuitman,

[Link: https://www.dagbladet.no/spesial/vatdraktmysteriet/eng/]; Hadad E. H., When Time Stopped At Sea, Al Jazeera, 2015.

[Link: http://www.aljazeera.com/programmes/witness/2017/03/time-stopped-sea-170319065317387.html].

67 «Un naufragio è solo apparentemente un fatto collettivo. Lo è solo nel racconto storico dell’evento o nella sua percezione giornalistica. Un naufragio è invece la somma di tanti abissi individuali, privati, ognuno dei quali è incommensurabile», scriveva Leogrande A., Il naufragio, Milano, Feltrinelli, p. 180.

68 Leogrande A., Il naufragio. Morte nel Mediterraneo, Milano, Feltrinelli, 2011. 69 Leogrande A., La frontiera, Milano, Feltrinelli, 2015.

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«mare di mezzo70», al quale si deve anche uno dei primi tentativi di creare una banca-dati delle morti per migrazione nel mar Mediter-raneo71; le inchieste di Gatti sul «naufragio dei bambini72» e sulle rotte migratorie lungo le quali si muore73; l’inchiesta di Bellu sui «fantasmi di Portopalo74».

Recentemente, con una prospettiva innovativa e multidiscipli-nare definita «forensic oceanography» due ricercatori, Heller e Pez-zani, hanno indagato le morti per migrazione dovute alla militariz-zazione dei confini e alle politiche migratorie. Attraverso un caso-studio hanno ricostruito le ‘tracce liquide’ di una left-to-die boat75, dimostrando come la morte dei passeggeri, che gli autori hanno de-finito ‘death by rescue’, fosse stata la conseguenza diretta di una se-rie di mancati interventi di soccorso, illegittimi ma legittimati socialmente76. In un recente rapporto dal titolo «Blaming the re-scuers77» hanno, inoltre, evidenziato la correlazione tra le morti nel

70 Del Grande G., Il mare di mezzo. Al tempo dei respingimenti, Modena, Infinito Edizioni, 2010; e i materiali reperibili nel suo blog, Fortress Europe. [Link:

http://fortresseurope.blogspot.it/]

71 Database di Fortress Europe [Link: http://fortresseurope.blogspot.it/p/la-strage.html].

72 Gatti F., inchiesta sul «naufragio dei bambini» da L’Espresso: «Stiamo morendo, per favore»: le telefonate del naufragio dei bambini, 09 maggio 2017 [Link: http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/05/09/news/cosi-annega-un-profugo-tutte-le-telefonate-del-naufragio-dei-bambini-1.301045]; Naufragio dei bambini, la comandante e i tre ufficiali indagati per omicidio, 23 maggio 2017 [Link: http://espresso.repubblica.it/inchieste/2017/05/23/news/naufragio-dei-bambini-la-comandante-e-i-tre-ufficiali-indagati-per-omicidio-1.302398]; Naufragio dei bambini, nuove verità sulla strage, 13 settembre 2017 [Link:

http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/09/13/news/indagine-negli-abissi-1.309437];

73 Gatti F., Bilal. Viaggiare, lavorare, morire da clandestini, Milano, Rizzoli, 2008.

74 Bellu G.M., I fantasmi di Portopalo, Milano, Mondadori, 2017.

75 Heller C. and Pezzani L., Forensic oceanography: Left-To-Die boat case, 2012 [Link: http://www.forensic-architecture.org/case/left-die-boat/].

76 Rimando ancora all’intervento di Gjergji I. al Tribunale Permanente dei

Popoli, Palermo, 18 dicembre 2017 [Link:

https://www.radioradicale.it/scheda/528594?i=3794164].

77 Heller C. and Pezzani L., Blaming the rescuers. Criminalising solidarity, re-enforcing deterrence, 2017 [Link: https://blamingtherescuers.org/].

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mar Mediterraneo e le politiche migratorie di deterrenza preventiva e non-intervento; le operazioni di criminalizzazione dei salvatori di vite e il vacuum creatosi, di conseguenza, nel sistema di Search and Rescue (SAR)78.

Navigando in questi campi di forze si vede come la stratifica-zione del diritto alla vita abbia determinato tutele differenziali a se-conda delle categorie di persone che attraversano i confini, oltre ad aver creato un alone di opacità intorno ai meccanismi che, concre-tamente, governano la mobilità79 di alcuni insiemi di persone. Si po-trebbe rievocare quella sequenza muta che, all’inizio di questa in-troduzione accostava, retoricamente, l’incidente aereo al naufragio di un’imbarcazione di emigrati-immigrati, constatando dentro la materialità dei processi che «i viaggiatori ‘legali’ beneficiano di tu-tele estese e positive [nell’accezione giuridica di questo termine] che salvaguardano il loro diritto alla vita, mentre le vite dei viag-giatori ‘irregolari’ sono ‘protette’ prima di tutto combattendo la mi-grazione ‘irregolare’ [stessa] e, alla peggio, dalle operazioni di ri-cerca e soccorso. Il diritto degli Stati a escludere gli stranieri dai loro territori comporta l’esclusione dei viaggiatori ‘irregolari’ dalle loro più importanti tutele derivanti dal diritto alla vita80».

L’autore di questa analisi titola il suo saggio con un’espressione tratta da un testo di Bauman81: «Vite di scarto»,

78 Al quale si potrebbero aggiungere le evoluzioni del fenomeno più recenti, a seguito dell’ultimo accordo (secretato) tra Italia e Libia e delle nuove operazioni di esternalizzazione del controllo delle frontiere della UE in diversi Stati africani attraversati da rotte migratorie.

79 Tra i testi più recenti che indagano la ‘governance’ della mobilità, con alcuni brevi focus sulla correlazione tra gli accordi bilaterali e le morti nella migrazione, Gjergji I., Sulla governance delle migrazioni. Sociologia dell’underworld del comando globale, Milano, Franco Angeli, 2016.

80 Spijkerboer T., Wasted Lives. Borders and the Right to Life of People Crossing Them, Nordic Journal of International Law, 2017(1).

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sulla quale si potrebbero aprire delle digressioni82, per esplorare quale immaginario si sia costruito per rappresentare le vite de-pri-vate dalle risorse materiali e dalla vita stessa, costrette a essere come in quel detto latino: «Homo sine pecunia est imago mortis».

Anche un recente rapporto83 della UN General Assembly documenta come le mass casualities nella migrazione avvengano dentro una cornice giuridica stratificata che determina una «arbitra-ria deprivazione della vita» e un «quasi-generalizzato regime d’impunità, aggravato dall’assenza di dati precisi su morti e scom-parsi, […] di indagini su questi omicidi». In un contesto nel quale le morti per migrazione sono conseguenza anche dall’uso «eccessivo della forza o risultato di politiche e pratiche di deterrenza che au-mentano il rischio di morte. Altre violazioni del diritto alla vita de-rivano da politiche extraterritoriali che contribuiscono alla depriva-zione arbitraria della vita, e dall'incapacità di prevenire [queste] morti prevenibili e prevedibili84». Il risvolto del «diritto alla vita» stratificato è un «diritto dei morti», e dei loro familiari, altrettanto stratificato come dimostra lo stato dell’arte85 di quella che si può definire una ‘scuola italiana’ nel trattamento della morte per

82 Nella conclusione del film di Buñuel, Los Olvidados, il corpo morto del ‘ragazzo di vita’ protagonista della narrazione viene gettato nella spazzatura; nel finale del romanzo Uomini sotto il sole di Kanafani due emigrati-immigrati palestinesi cercano di attraversare i confini per arrivare in Kuwait, nascosti da un passeur nella cisterna di un furgone. Quando muoiono, al passaggio di confine, soffocati nella cisterna, il passeur si libera dei loro corpi rovesciandoli sopra un cumulo di spazzatura. In Tunisia i corpi degli emigrati morti, alcune volte «sono caricati nei camion municipali della spazzatura e portati direttamente in una terra abbandonata a cinque miglia da Zarzis» da: Reidy E., The Secret Mass Graves of the Refugee Crisis, Medium, 21 ottobre 2015.

[Link: https://medium.com/ghostboat/the-secret-mass-graves-of-the-refugee-crisis-32341df89414).

83 Rapporto di Callamard A., per l’assemblea generale delle Nazioni Unite, dal titolo Unlawful death of refugees and migrants

[Link: https://reliefweb.int/sites/reliefweb.int/files/resources/N1725806.pdf]. 84 Ibid., Unlawful death of refugees and migrants.

85 Cattaneo C., D’Amico M., I diritti annegati. I morti senza nome del Mediterraneo, Milano, Franco Angeli, 2016.

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zione, anche per quanto attiene all’implementazione di procedure per il riconoscimento dei corpi senza nome, grazie al lavoro avan-guardistico di un medico legale, Cattaneo86, e del laboratorio LABA-NOF di Milano, convenzionato con il ministero dell’Interno italiano che ha recentemente nominato un commissario straordinario per le persone scomparse87.

Dopo questo excursus, il filo del discorso ritorna alla neces-sità di definire meglio come si contestualizza questa ricerca dentro il panorama teorico esistente; scegliendo un taglio metodologico che si propone di cercare le morti per migrazione e i processi di si-gnificazione che esse custodiscono, dove è meno verosimile pen-sarli, guardando dentro la stratificazione sociale del diritto alla vita. Per questo lo sguardo si sposta, per comprenderlo, verso il secondo filone di studi, quello che riguarda la morte nell’immigrazione. Un filone che ha indagato i decessi in contesti di immigrazione eviden-ziando, soprattutto: il carattere di invisibilità delle morti degli emi-grati-immigrati e dei relativi rituali funebri88; il trattamento sociale

86 Carmilli A., L’Italia fa scuola nell’identificazione dei migranti morti nel Mediterraneo, Internazionale, 22 novembre 2016.

[Link: https://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2016/11/22/morti-migranti-mediterraneo-identificazione]; Cattaneo C., D. Porta, D. De Angelis, D. Gibelli, P. Poppa, M. Grandi, Unidentified bodies and human remains: An Italian glimpse through a European problem, in Forensic Science Interna-tional, 195, 2010, pp. 167; Cattaneo C., S.. Ritz-Timme, H.. W.. Schutz, E. Waite, H. Boormann, M. Grandi, H. J. Kaatsch, Unidentified cadavers and human remains in The EU, in In J Legal Med, N1-N3, 2000, pp. 113(3);

Cattaneo C., M. Tidball Binz, L. Penados, J. Prieto, O. Finegan, M. Grandi, The forgotten tragedy of unidentified dead in the Mediterranean, in Forensic Science International, 250, 2015, pp. e1-2; Cattaneo C., Morti senza nome. Una patologa forense racconta, Milano, Mondadori, 2006.

87 Commissario straordinario per le persone scomparse, Ministero dell’Interno [Link: http://www.interno.gov.it/it/ministero/commissario-straordinario-governo-persone-scomparse].

88 Tra gli altri: Saraiva C., Frangella S., Rodrigues I. (a cura di), Movimentos, Espítitos e Rituais - Gestão da Morte em cenários Transnacionais, 2016; Loperfido M.S., La morte altrove. Il migrante al termine del viaggio, Roma, Aracne, 2013, pp. 157-209; Catania RT., Making immigrants visible in Lampedusa: Pope Francis, migration and the state, Italian Studies 70(4): 465– 486, 2015.

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della morte nei contesti d’immigrazione ed emigrazione, la scelta del luogo di sepoltura, gli ostacoli che si frappongono alla pratica del lutto89; il vissuto dei familiari, le trasformazioni delle loro condizioni materiali a seguito del decesso di un congiunto e la ge-stione transnazionale della morte90.

89 Tra gli altri: Viafora C., Marin F., Morire altrove, la buona morte in un contesto interculturale, Milano, Franco Angeli, 2014; Franceschi Z.A., Gli immigrati marocchini e la morte. Pratiche rituali e tensioni utopiche, in Destro A. (a cura di), Antropologia dello spazio. Luoghi e riti dei vivi e dei morti, Bologna, Pàtron Editore, 2002, pp. 153-195; Gusman A. (a cura di), Gli altri addii. Morte e ritualità funebri nelle comunità immigrate del Piemonte, Torino, Fondazione Fabretti, 2010; Aggoun A., Les musulmans face à la mort en France, Paris, Vuibert, 2006 ; Aggoun A., La mort, nouvel ancrage dans le réel in Espace familial, exil et retours d’exil, Hommes & Migrations, Retours d’en France, n°1236, Mars-Avril 2002, pp. 11-12; Attias-Donfut, Wolff Francois-Charles, Le lieu d’enterrement des personnes nées hors de France, Population, 2005/5 Vol. 60, p. 813-836; Balkan O., Until death do us depart: the necropolitical work of Turkish funeral funds in Germany, in: Suleiman Y (ed.) Muslims in the UK and Europe, Cambridge: Cambridge University Press, pp. 19–28, 2015; Burkhalter S., Négociations autour du cimetière musulman en Suisse: Un exemple de recomposition religieuseen situation d'immigration, Archives de sciences sociales des religions, 46e Année, No. 113 (Jan. - Mar., 2001), pp.133-148, EHESS; Fantuzzi A., Morire all’estero: vivere e rappresentare la morte nella comunità degli immigrati italiani del Canton Vaud, Svizzera in Altreitalie, Rivista internazionale di studi sulle migrazioni italiane nel mondo, 36-37, 2008, pp. 35-49; Lastage F., Raulin A., La mort en migration, Revue Européenne des Migrations Internationales, vol. 28 – n. 3, 2012; Venhorst C., Venbrux E., Quartier T., Re-imagining Islamic Death Rituals in a Small Town Context in the Netherlands Ritual Transfer and Ritual Fantasy, Jaarboek voor liturgieonderzoek 27 (2011) 169-187; Manca M. C., Le cerimonie funebri come riti di passaggio. Eterno fluire: diversità religiose in area fiorentina, Milano, Franco Angeli, 2005. 90 Tra gli altri: Gardner K., Death of a migrant: transnational death rituals and gender among British Sylhetis, in Global Networks 2, 3 (2002) 191–204, Blackwell Publishers Ltd & Global Networks Partnership; Gardner K., The Final Journey: Death, Ritual and Return to the Desh, in Gardner K., Age, Narrative and Migration. The Life Course and Life Histories of Bengali Elders in London, Oxford-New York, Berg, 2002, pp. 191-208; Arraràs A.S., Rituals funeraris transnacionals entre Catalunya i el Senegal, in Revista Catalana de Sociologia, núm. 28 (de-sembre 2012), p. 61-69; Baptiste K. W., Diaspora: Death without a landascape, Mortality, Vol.15, No.4, November 2010; Bravo V., Coping with dying and deaths at home: how undocumented migrants in the United States experience the process of transnational grieving, Mortality, 2016; Mapril J., Aqui ninguém reza por ele! Trânsitos fúnebres entre o Bangladesh e Portugal, Horizontes Antropologicos, Porto Alegre, ano 15, n. 31, p. 219-239, jan./jun. 2009; Mazzucato V., Kabki M., Smith L., Transnational Migration and the Economy of Funerals: Changing Practices in Ghana, Development and Change 37(5): 1047–1072 (2006), Oxford, Institute of Social Studies 2006; Petit A., Des funérailles de l'entre-deux Rituels funéraires des migrants Manjak en France,

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Chaïb, al quale si deve il primo ampio studio91 sulla relazione simbolica e materiale tra l’emigrazione-immigrazione e la morte, ha elaborato una metodologia di ricerca alla quale si riferisce anche questo lavoro, teso a cercare la «funzione specchio92» della morte, sulle migrazioni e sullo Stato. È nell’emigrato-immigrato «che non parla più, ma tutto in lui, il suo corpo, la sua storia, le sue relazioni, sono testimoni di ciò che fu la sua esistenza93» che si trova, secondo Chaïb, il «dono della non evidenza94». «Basta aspettare che la clessidra della vita si esaurisca, per guardare e ascoltare oltre il si-lenzio della morte. [...] Una volta morto, la parola dell'immigrato ritorna con tocchi impressionisti95».

Chaïb scelse di esplorare il silenzio delle morti avvenute in un contesto migratorio consultando principalmente le tracce narrative che intorno a esse si costruiscono a livello burocratico, ma anche lavorando in un’agenzia funebre per seguire, in modo multisituato, alcuni rimpatri di salme di emigrati-immigrati nei luoghi di origine. Sayad, nella sua prefazione al libro di Chaïb, sintetizza diverse que-stioni chiave che riguardano il carattere rivelatore della morte nell’immigrazione definendola un «momento di verità96». Come fa notare Fedyuk, muovendosi dentro questa stessa prospettiva: «La Archives de sciences sociales des religions, 131-132 | juillet - décembre 2005; Lastage F., Entre Mexique et États-Unis : la chaîne entrepreneuriale de la mort des migrants, Revue Européenne des Migrations Internationales, vol. 28 – n. 3, 2012, pp. 71-88.

91 Chaïb Y., L’Émigré et la mort. La mort musulmane en France, La Calade, Aix-en-Provence, Edisud, 2000.

92 Prendendo ispirazione da Chaïb opero una traslazione alla morte della ‘funzione specchio’ attribuita alle migrazioni. «Le migrazioni svolgono una straordinaria ‘funzione specchio’, sono cioé rivelatrici delle più profonde contraddizioni di una società, della sua organizzazione politica e delle sue relazioni con le altre società» da Palidda S., Introduzione, in Sayad A., La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, Milano, Cortina, 2002, p. 10.

93 Chaïb Y., op.cit., p. 19. 94 Chaïb Y., op.cit., p. 24. 95 Chaïb Y., op.cit., p. 19.

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