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Crisis Management. Il caso dieselgate Volkswagen

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Academic year: 2021

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Università degli studi di Pisa

Dipartimento di Economia e Management

Corso di laure in Marketing e Ricerche di mercato

Tesi di laurea

Crisis Management.

Il caso dieselgate Volkswagen

Relatore

Candidato

Dott.ssa Antonella Angelini Francesco Fresi

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3 INDICE

INTRODUZIONE

Parte I

CAPITOLO 1: FONDAMENTI TEORICI pg.8

1.1 Crisis Management and Crisis Communication pg.8

1.2 La reputazione pg.13

1.3 Prevenzione e Gestione della Crisi pg.16

CAPITOLO 2: CRISIS MANAGEMENT NEL MONDO DEI SOCIAL MEDIA pg.19 2.1 Perché è importante gestire e gestire bene la crisi sui social media? pg.19

2.2 La comunicazione al tempo del web 2.0 pg.21

2.2.1 Word of mouth and elettronic word of mouth pg.21

2.2.2 Il ruolo della comunicazione nel crisis management pg.22

2.3 Online reputation pg.23

2.3.1 Analysis del sentiment pg.27

CAPITOLO 3: IL GRUPPO VW pg.30

3.1 La nascita del Brand pg.30

3.2 Il Caso Volkswagen: lo scandalo dieselgate pg.31

3.2.1 Le conseguenze della crisi pg.35

3.3 Storia di una ristrutturazione di successo pg.41

3.4 Il nuovo caso Volkswagen: lo scalpore arrecato dai test su scimmie

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CAPITOLO 4: COME È STATA GESTITA LA CRISI pg.45

4.1 La gestione della crisi pg.45

4.2 Lo scandalo gestito sui social pg.46

4.3 Gli errori commessi pg.53

Parte II

CAPITOLO 5: REPUTATION INDEX, COSA È E COME SI CALCOLA pg.56

5.1 Definizione pg.56

5.2 Come si calcola il reputation index? pg.59

5.3 Dati e performance aziende studiate a livello globale pg.69

5.4 Dati e performance aziende studiate a livello locale pg.80

CAPITOLO 6: CONCLUSIONI pg.82

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA pg.86

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INTRODUZIONE

Lo scopo di questa tesi è stato quello di analizzare il tema del crisis management, in particolare focalizzando l’attenzione sulle attività che le imprese interessate da tale situazione possono mettere in atto al fine di non vedere danneggiata la propria reputazione

e immagine.

In primo luogo, il lavoro ha preso in esame la definizione di crisis management. Infatti, ci

sono varie definizioni date da diversi studiosi, ognuno dei quali ha posto enfasi su

determinati aspetti della tematica considerata ritenuti di particolare rilevanza e criticità. Ad

esempio, Luigi Norsa (2002) sostiene che crisi è ogni situazione o evento che richieda una

immediata azione per evitare un potenziale impatto negativo su una organizzazione o sui

suoi interlocutori. Secondo Pearson and Claire (1998) quando si parla di organizational

crisis si sta considerando una situazione molto ambigua dove cause ed effetti sono spesso

sconosciuti; nonostante abbia una bassa probabilità di verificarsi, presenta una grande minaccia per la sopravvivenza stessa dell’azienda; il tempo concesso per rispondere agli eventi critici è sempre limitato; spesso è un evento inaspettato che coglie di sorpresa gli stessi membri dell’organizzazione; ed infine è sicuramente una situazione che può creare dilemmi riguardo decisioni da prendere che potranno provocare dei cambiamenti in meglio

o anche, purtroppo, in peggio

Timothy Coombs (2007) sostiene che la crisi è la percezione di un evento non prevedibile

che mette in pericolo le aspettative degli stakeholder e che può seriamente compromettere la capacità operativa di un’organizzazione con conseguenze negative sulla stessa.

In aggiunta è importante essere a conoscenza che la crisi può originarsi in qualsiasi fase dell’attività aziendale e soprattutto ogni azienda può vivere una crisi di immagine, per le più svariate ragioni: scandalo manageriale, campagna di comunicazione sbagliata ecc.

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poche ore da una notizia negativa o da un video o un’immagine sconveniente si può danneggiare la reputazione costruita in tanti anni dall’azienda.

Perciò, in ultimo, ma non per questo meno banale bisogna saper distinguere una crisi da un

falso allarme e conoscere quali sono le sue caratteristiche principali.

Una crisi è tale quando una situazione negativa e grave arriva al grande pubblico. Sono quindi i media e l’opinione pubblica che decidono quali problemi diventeranno crisi per un’azienda mettendone in discussione l’organizzazione stessa e la fiducia che si è disposti a concedere.

Dopo aver introdotto e chiarito i suddetti aspetti collegati alle attività di crisis management,

la tesi andrà ad esaminare un caso aziendale specifico, quello di Volkswagen, considerando

nello specifico il recente scandalo denominato “dieselgate” riguardante la falsificazione dei

test di emissione delle vetture diesel del marchio tedesco vendute in Europa e in America.

Questo scandalo ha causato alla Volkswagen una perdita di fatturato e di reputazione nonostante il pronto intervento dell’azienda per fronteggiare la situazione.

In questa Tesi è stato analizzato il problema da entrambi i punti di vista, aggiungendo

anche le ripercussioni che si sono manifestate attraverso i social; inoltre è stata esaminata la

gestione e gli errori commessi dal gruppo VW nel fronteggiare la crisi.

Dal punto di vista empirico invece è stata indagata la correlazione esistente tra la reputazione e la performance dell’azienda, ed è stato osservato se questa crisi ha provocato dei danni nella scelta del consumatore. Le informazioni utilizzate per sviluppare quest’ultima parte della tesi sono state reperite dal sito web ufficiale della casa automobilistica, i siti principali delle principali concorrenti esaminate

www.Fordmotor.com, www.daimler.com, www.Toyotagroup.com, www.bmw.com e da altri siti specializzati quali www.reputationinstitute.com, www.morningstar.com e www.evaluation.com; e da interviste condotte a quattro concessionarie (Volkswagen, Seat, Skoda e Audi e BMW)

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8 Capitolo 1

FONDAMENTI TEORICI

1.1 Crisis management e Crisis communication

Il crisis management è il processo attraverso il quale una qualunque organizzazione

fronteggia un evento che rischia di danneggiarla. Il crisis communication è invece l’insieme delle attività di comunicazione di un’organizzazione al momento in cui la crisi si manifesta. La crisis communication però è una funzione compresa all’interno della

disciplina del crisis management. Il crisis management infatti è un processo di medio/lungo

periodo, che comprende tutte le attività da porre in atto prima, durante e dopo un evento critico al fine di proteggere l’organizzazione ed evitare eventi critici.

Tale disciplina è composta da tre fasi principali, denominate le 3 R: Research, ossia la fase

precrisi; Response, la fase di gestione durante la crisi; ed infine Recovery, la fase post-crisi.

a- Research: la corretta gestione di una situazione di crisi incomincia molto prima che si

verifichi un evento negativo. Tutte le aziende possono essere colpite da una crisi e

quindi è importante che non siano impreparate. Il primo passo da compiere consiste nel

costituire un crisis team, la cui funzione principale è quella di prevenire e gestire gli eventi negativi che potrebbero colpire l’organizzazione. Il team include esperti dei vari settori presenti in azienda oltre ai membri fissi, tra cui il Ceo, il vicepresidente, i

responsabili finanziari, i legali, la logistica e l’ufficio stampa.

Talvolta capita che oltre al personale interno i vertici dell’azienda chiedano soccorso ad una “squadra speciale” esterna specializzata e a un comitato che conosce la cultura e le leggi di quello Stato e che abbia le competenze per gestire la specifica situazione.

Il responsabile della comunicazione e dei public affairs è uno degli elementi più importanti del team poiché l’aspetto comunicativo è fondamentale per la gestione ottimale di una crisi. In ogni crisis team inoltre deve essere individuato un portavoce,

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che in caso di crisi avrà il compito di interfacciarsi con i giornalisti e diventerà l’autentico volto dell’azienda, dal momento che a volte un coinvolgimento del CEO amplificherebbe la situazione provocandone un inutile peggioramento.

Il primo compito del crisis team sta nell’individuare le aree vulnerabili dell’organizzazione in modo che agisca per tempo e riesca a placare la crisi evitabile. Successivamente si valuta l’impatto che apporterebbe questo accadimento negativo, sia

in termini economici, sia a livello di reputazione e di immagine, qualora colpisse le aree vulnerabili dell’organizzazione. Infine, il team deve calcolare la probabilità che l’evento negativo colpisca una delle aree indicate, in modo da individuare dove è più urgente intervenire.

Il secondo compito del comitato di crisi è quello di monitorare i segnali deboli che

spesso anticipano e avvisano l’avvenire di un evento negativo. Questa è un’attività

fondamentale, poiché consente di evitare l’emergenza e i costi connessi qualora l’organizzazione riuscisse a percepire le prime avvisaglie della crisi. Una volta terminati gli interventi di prevenzione, il crisis team procede alla stesura del piano di

crisi, ossia la raccolta delle procedure attraverso cui operare, degli strumenti di

comunicazione da utilizzare e della documentazione di cui fornirsi durante la situazione

di crisi, la cui funzione è proprio quella di guidare l’organizzazione e prenderne il

controllo nel più breve tempo possibile evitando così la destabilizzazione che potrebbe

incorrere se si viene colpiti da eventi negativi. L’ultimo stadio di preparazione alla crisi

che il comitato deve superare è la fase di simulazione, o addestramento. Gestire una crisi è qualcosa che si può imparare solo attraverso l’esperienza; per questo dal momento che la crisi è un qualcosa di non ordinario si inscenano delle simulazioni di

crisi dove si addestra l’organizzazione dell’azienda ad affrontare una situazione di crisi.

b- Response La prontezza e la pertinenza della risposta diventano fondamentale, perché

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limitarne i danni. Non appena si captano le avvisaglie di una crisi si avverte il dirigente responsabile della propria area il quale fa scattare il protocollo d’ingaggio. La rapidità d’azione è fondamentale: tutte le operazioni è bene vengano compiute nei primi 180 minuti successivi allo scoppio della crisi. Il dirigente responsabile dell’area colpita

informa entro non più di 15 minuti della crisi che si è manifestata il coordinatore del

crisis team; questi, poi, sempre telefonicamente avvisa il presidente e il vicepresidente dell’azienda. Se la crisi non è particolarmente rilevante, viene archiviato un dossier e predisposto un report riepilogativo. Se è invece rilevante, il coordinatore del crisis team

con il presidente o portavoce fanno scattare le procedure anticrisi entro i primi 60

minuti dal riconoscimento della crisi. I membri del crisis team recuperano il kit

completo per gestire la crisi e il coordinatore entro i primi 180 minuti dall’avvio delle

procedure di crisi presiede la prima riunione del team, nel caso non sia possibile

effettuare la riunione di persona si terrà una conference call con tutti i dirigenti.

Nonostante il crisis management dipenda dalla capacità di gestione strategica dell’azienda, il fattore comunicativo è un elemento importante che assume un valore determinante per le chances di successo finale. Il portavoce, l’ufficio stampa e il Ceo devono essere addestrati a comunicare correttamente con l’esterno. Il portavoce dell’organizzazione, in particolare, diventa l’elemento indispensabile per dimostrare l’interesse che l’azienda prova per gli eventi accaduti e per le persone coinvolte. Deve essere designato in anticipo in base alle sue capacità di media relation e comunicazione

face-to-face. A seconda della gravità dell’evento che colpisce l’azienda potrebbe essere

il leader a prendere il ruolo di portavoce; in ogni caso, quindi, il Ceo dell’impresa deve

essere sempre pronto a scendere in campo in prima persona qualora la situazione lo

richieda, poiché lui solo può rappresentare l’anima dell’organizzazione. Per rispondere

in maniera efficace ad una situazione critica occorre utilizzare i corretti canali di comunicazione. L’impresa, si dovrà avvalere soprattutto dell’ufficio stampa, anche se,

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oggi giorno non è più sufficiente e quindi bisogna predisporre una sezione apposita sul

sito web ufficiale, una pagina a sé sui vari social e aggiornare le eventuali pagine.

Quindi oltre al comunicato stampa, che deve essere breve, notiziabile, completo,

adeguato e verificabile e all’aggiornamento del sito aziendale, nel quale l’organizzazione deve disporre di contenuti già pronti e altri preimpostati pronti all’uso in situazioni di crisi; dovrà infine attivare una comunicazione agevolata con i propri

stakeholder, attraverso sms ed e-mail.

c- Recovery Quando la crisi finisce, la prima azione che il leader dell’organizzazione

ha il dovere di compiere è quella di dichiarare a tutti gli interlocutori il momento in cui

una crisi si può considerare terminata. Non è sempre facile individuarne il momento

preciso, inoltre in casi di crisi gestita male ci possono essere residui negativi per un

lungo periodo. Al termine della crisi l’azienda non sarà mai nella stessa condizione in

cui era prima del disfacimento. Il leader deve avere piena certezza che la crisi sia

conclusa prima di dichiararne il termine, per cui è necessario che il crisis team effettui un’analisi approfondita per accertarsi che l’evento negativo sia davvero trascorso. Sbagliare la tempistica avrebbe conseguenze pessime quindi è vitale non voltare pagina

troppo presto. Tuttavia, non conviene mantenere per troppo tempo i meccanismi

realizzati ad hoc per gestire la crisi. Una volta che l’azienda torna alla normalità, il

leader dovrà ringraziare tutti gli interlocutori dell’impresa per la pazienza e la fiducia riposta nell’azienda. Di solito le persone ricordano meglio la prima e l’ultima notizia che sentono su un argomento: quindi se è importante essere i primi ad informare sullo

scoppio della crisi, è altrettanto importante dichiarare la fine della crisi stessa,

ricapitolando cosa è successo, la situazione attuale e spiegare come sono stati risolti i

problemi. Una crisi comporta sempre dei danni a livello economico e di reputazione. Per recuperare queste perdite, l’impresa deve predisporre un programma di rilancio immediato. Per prima cosa si presenta una nuova campagna di comunicazione per

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trasmettere ai vari interlocutori i valori e la missione dell’organizzazione. Dopodiché,

per fare in modo che sia efficace si deve assicurare un budget da destinare al rilancio

pari almeno al danno causato dalla crisi. Per completare la fase di recupero è importante

effettuare la stima finale del danno subito e rimborsare i soggetti penalizzati dalla crisi,

dimostrando da subito un atteggiamento di solidarietà e vicinanza nei confronti delle

vittime, così da non intaccarne la reputazione. Per evitare di alimentare la crisi trascorsa

è opportuno non divulgare eccessivamente la ricerca dei colpevoli e cercare piuttosto di

mantenere tutti gli impegni presi e fornire le informazioni promesse. L’evento negativo

però oltre a generare un certo numero di danni per l’azienda, può anche offrire molte opportunità all’organizzazione. L’impresa deve trarre dalla crisi un’esperienza formativa e di crescita. A questo punto il crisis team effettuerà una rivisitazione e

valutazione delle azioni di management e comunicazione compiute, analizzerà la

rassegna stampa per capire come sono stati descritti i fatti e gli eventuali commenti e

verranno aggiornati gli strumenti atti alla prevenzione e preparazione di una crisi futura.

Precisamente è opportuno che il comitato si riunisca per redigere un report

riepilogativo, dove annotare tutti gli aspetti sia positivi che negativi emersi dalla

gestione della crisi appena conclusasi. In questo modo si potrà conservare una traccia all’interno dell’impresa che potrà essere utilizzata per affrontare gli eventi futuri come guida o come monito.

(Poma Vecchiato La guida del Sole 24 Ore al crisis management. Come comunicare la crisi

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13 1.2 La reputazione

“Ci vogliono 20 anni per costruire una reputazione: bastano 5 minuti per rovinarla”. (Warren Buffet)

Come già accennato l’avvento della crisi rappresenta una grande minaccia per la reputazione dell’azienda.

La reputazione delle aziende è il loro biglietto da visita, permette di ampliare e conoscere

acquirenti e venditori al fine di individuare la scelta più adatta per le esigenze dei

consumatori.

La reputazione si costruisce nel tempo attraverso l’interazione con tutti gli stakeholder, e solo questi ultimi possono conferirla all’azienda in diretta conseguenza dei suoi comportamenti. La reputazione quindi non è una caratteristica dell’impresa bensì qualcosa che le viene attribuito dall’esterno. A causa della sua natura intangibile, sociale e psicologica e dell’ambiente molto dinamico che circonda l’azienda sono necessari molto tempo e molti sforzi per riuscire a costruire una reputazione positiva, la quale può però

essere distrutta molto rapidamente.

La reputazione in 7 prospettive:

1. In termini contabili è un asset intangibile misurabile che stabilisce la differenza tra il valore delle risorse tangibili dell’impresa (certificate nei bilanci) e il valore effettivo di mercato.

2. In termini economici è l’insieme di tutti quei segnali, percepiti dagli stakeholder, che le organizzazioni utilizzano per costruire un vantaggio competitivo e comunicare, così, la

propria forza.

3. In termini di marketing sfrutta a proprio vantaggio il punto di vista dei consumatori o

utenti finali.

4. In termini psicologici è un sistema di significati che gli individui usano per focalizzare le impressioni sull’organizzazione;

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5. In chiave organizzativa è un’interpretazione cognitiva dell’impresa da parte del pubblico interno, influendo sulle motivazioni del management e dei lavoratori e sul modo in cui essi si relazionano con l’esterno.

6. In termini sociologici è un indicatore di legittimità, un insieme di valutazioni della performance di un’impresa, in relazione alle aspettative e alle norme della società, in un ambiente sociale condiviso.

7. In chiave strategica garantisce un vantaggio competitivo in grado di tenere distanti i competitori e proteggere l’organizzazione dall’ingresso nel mercato di nuovi concorrenti. La reputazione è vantaggio competitivo, per il fondatore del Reputation Institute, l’organismo più autorevole in ambito internazionale sul tema della reputazione l’interesse degli studi attuali sulla reputazione dipende principalmente dall’influenza che questa esercita sulla competitività dell’impresa, intesa come capacità generativa di un vantaggio nei confronti della concorrenza e potenziale di attrazione di nuovi clienti e di fidelizzazione

di quelli esistenti.

Il termine reputazione, spesso, viene usato al singolare ma in realtà è un costrutto

multidimensionale che riflette una pluralità di metri di giudizio dei diversi interlocutori

(Cavazza, 2005). Non esiste cioè una sola reputazione, ma essa si diversifica a seconda dei

portatori di interesse cui si riferisce, ognuno ha infatti diverse esigenze, diversi interessi e

diversi criteri di giudizio.

Sono 3 i componenti necessari per costruire una buona reputazione:

1. I segni esterni di cui si avvale la comunicazione, con il suo stile, le sue gerarchie, le sue

espressioni: Comunicazione intenzionale ed esplicita

2. Le reti di relazione che diffondono in modo spontaneo e non controllato opinioni,

informazioni, conoscenze: comunicazione interattiva.

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Figura n.1 – I tre componenti principali della reputazione

(http://www.facoltaspes.unimi.it/files/_ITA_/COM/APPROFONDIMENTO_CORSO_RP_S U_REPUTAZIONE.pdf)

Avere una reputazione positiva può avere effetti su più piani:

1. instaurazione di relazioni durature e profittevoli con il cliente, che dimostrerà maggior

propensione all’acquisto;

2. miglioramento delle relazioni tra produttori, fornitori, grossisti; dei rapporti con i media,

comunità locali e istituzioni. Una buona reputazione dell'azienda impressiona

positivamente tutti gli stakeholder, e rappresenta un vantaggio competitivo;

3. innalzamento del posizionamento verso il target identitario nella logica di aumentare

l'interesse verso gli influencer, modificando positivamente la percezione nell'audience. “Secondo il noto economista George Stigler la reputazione sarebbe una forma di economizzazione del pensare, ed il suo valore si fonderebbe, di base, sulla ignoranza e sulla

necessità di velocizzare le scelte, senza nessuna implicazione morale o etica”.

Reputazione

significati

provenienti

dalle reti di

relazione

comportamenti

e fatti

osservabili

comunicazione

intenzionale ed

esplicita

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(Luigi Norsa Crisis Managemente, Come gestire la crisi aziendale).

(http://www.facoltaspes.unimi.it/files/_ITA_/COM/APPROFONDIMENTO_CORSO_RP_S U_REPUTAZIONE.pdf)

1.3 Prevenzione e Gestione della crisi

Come agire quando esplode la crisi?

Prevenire è meglio che curare?

Prevenire e definire la crisi:

Ogni azienda può subire una crisi imprevista, in qualunque momento e per qualunque

motivo; quindi oltre alla prevenzione è bene avere sempre pronto un piano di intervento,

con degli step ben precisi da seguire. Dopodiché organizzare una squadra dove ciascuno ha

un ruolo determinato e sa cosa fare e cosa dire.

Per mettere a punto una strategia che funziona, bisognerebbe attuare delle azioni

preliminari:

1. Definire se si tratta di una crisi interna o esterna ai social network

2. Definire una soglia di “crisi” per la tua azienda

3. Fare delle simulazioni di potenziali “crisi”

A questo punto ci si può dedicare alla messa a punto di una strategia generica o di più

strategie dettagliate, in grado di rispondere a diversi tipi di crisi. Ad esempio, il modo di

gestire la crisi sarà diverso a seconda che dipenda da fattori interni ai social network o

dipendenti da una crisi esterna.

Intervenire nelle prime 24 ore:

È importantissimo essere reattivi nelle primissime ore e quindi attivare subito un processo

di crisis monitoring che analizzi gli aspetti più lesivi e rilevanti ai quali rispondere nell’immediato.

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17 Non censurare i commenti negativi:

Rimuovere o richiedere l’eliminazione dei commenti negativi non è una soluzione, poiché più si cerca di nascondere qualcosa, più ci sarà qualcuno che farà in modo che se ne

continui a parlare.

Approfondire l’analisi:

Dopo aver individuato dove si è innescata la crisi, effettuare un’analisi completa sul

web per verificare se, dove e come è stato ripreso il contenuto negativo.

Monitorazione continua h24:

Per rilevare nuovi eventuali aspetti critici emersi e al contempo studiare tutti i dettagli dell’accaduto.

Attivare un alert quotidiano:

Ricevere un avviso in tempo reale all’emergere di nuove occorrenze critiche

Gestire le reazioni degli utenti

Dopo l’intervento osservare le reazioni degli utenti per valutare se sia il caso di proseguire. Si ha inoltre a disposizione una piattaforma per tracciare tutti i provvedimenti e gestire i

feedback.

Monitorare il comportamento degli influencer

I soggetti che sono considerati molto influenti dal Web sono i primi da tenere d’occhio,

perchè sono in grado di diffondere più di chiunque altro una notizia. Questi riescono a

raggiungere il maggior numero di persone possibili e influenzare le loro opinioni

innescando un processo virale potenzialmente infinito.

Sguinzagliare i propri evangelist:

Qualora i tuoi fan parlano male di te e della tua azienda con commenti pubblici sui social

network, è necessario trovare qualcuno che sia disposto, controcorrente, a parlare bene

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Gli evangelist sono generalmente clienti soddisfatti e brand lover che, se sollecitati, sono

disposti a recensire positivamente il marchio.

Il nostro consiglio è di usare questa strategia in un momento “freddo” di gestione della crisi, per cominciare a ricostruire un’immagine positiva del brand. Ogni azienda ha i suoi evangelist, bisogna solo scoprire chi sono e come sfruttare al meglio il loro potere.

Armarsi di pazienza, empatia e simpatia:

Gestire una crisi richiede un’elevata dose di buonsenso. È molto frequente ormai sfogare la

propria frustrazione sui social network ed è facile imbattersi in un cliente insoddisfatto, l’importante è sapere come tenerlo a bada per evitare di scatenare un putiferio.

Fare customer care richiede pazienza, per aiutare il tuo cliente anche quando è impensabile;

empatia per immedesimarsi in lui e provare a capire il suo problema; e infine una buona

dose di simpatia per rispondere a tono, poiché l’ironia è indispensabile per smorzare la

tensione.

Chiedere scusa:

Scusarsi è il modo migliore per riappacificare gli animi e risolvere una crisi nel miglior

modo possibile. Anche i grandi possono sbagliare e saper riconoscere i propri errori non è

indice di debolezza ma di forza.

Trasformare l’errore in opportunità:

L’azienda che sa gestire la crisi con prontezza, trasparenza e capacità acquisisce anche un potenziale creativo, nato dall’azione di successo in una situazione imprevista.

Un caso critico può diventare lo spunto per una invenzione, che altrimenti non sarebbe mai

nata.

(https://www.reputazioneonline.it/servizi-per-le-aziende-crisis-management)

(https://www.emmemedia.com/whiteboard/9777/crisis-management--come-uscire-indenni-dalla-bufera.htm)

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19 Capitolo 2

Crisis Management nel mondo dei social media

2.1 Perché è importante gestire e gestire bene la crisi sui social media?

Per capire perché bisogna gestire bene la crisi sui social per prima cosa è importante

conoscerli. “I social media fanno riferimento al concetto di stile Web 2.0 e consistono in

attività, pratiche e comportamenti tra le comunità di persone che vanno online per

condividere contenuti, informazioni, esperienze e per dialogare tra di loro, con i brand e con le aziende”. I social media (social network, blog, community, canali video ecc.), si collocano come influenzatori di brand image e di brand awareness, ossia immagine e

notorietà di una marca, e soprattutto giocano un ruolo chiave nei processi di decisione e di acquisto. L’esperienza acquisita nella Rete, tramite la sommatoria delle recensioni, il posizionamento nei motori di ricerca e le informazioni reperite attraverso forum, community, blog e social media, potrà condizionare l’immagine e la reputazione di un’organizzazione. Dal momento che i feedback, le recensioni e i commenti del Web stanno sempre più assumendo maggiore considerazione, l’azienda che non dovesse gestire

bene una crisi si potrebbe ritrovare con una reputazione distrutta. Il risultato sarà che un

nuovo potenziale cliente, facendo una ricerca sul Web attraverso parole chiave, trovi immediatamente tutto ciò che riguarda l’azienda, di positivo o negativo. Se questo avrà un peso, e lo avrà dato il cambiamento delle abitudini a favore dei nuovi media, potrebbe, sulla

base di ciò che leggerà, tralasciare l’intenzione di acquistare quel determinato prodotto o

non acquistarlo e rivolgersi alla concorrenza. Quindi il fatto che le persone ricercano

informazioni su internet prima di procedere all’acquisto, può essere indicato come un dato

di fatto e di conseguenza la battaglia della reputazione, soprattutto in concomitanza di una

crisi, va combattuta online e in modo energico ed efficace. Nel Web le notizie corrono

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chiunque le ricerchi, non si può occultare nulla e il bacino di utenza è così ampio che all’azienda non rimane altro che comportarsi bene e mettere in piedi un processo di crisis management per gestire efficacemente e velocemente eventuali crisis.

Il 55% delle imprese sostiene che la crescita e lo sviluppo della comunicazione digitale

abbia aumentato la difficoltà nel gestire le crisi aziendali, ma quanto i social media

influenzano il successo della gestione in caso di crisi?

La gestione di una crisi aziendale è sempre più complicata a causa della forza e influenza

che hanno ottenuto i social in questi ultimi anni. Nel 2011 la Burson-Marstellers, una

società di consulenza di comunicazione e relazioni pubbliche globale, in collaborazione con

la Penn Schoen Berland (PSB), ha pubblicato uno studio sulla preparazione alle situazioni

di crisi da parte delle imprese, indagando in particolare sull’influenza dei social media sul

crisis management.

Riportiamo in elenco alcuni risultati della ricerca:

Solo il 59% dei business decision maker ha dovuto gestire una crisi

Solo il 54% delle aziende intervistate hanno implementato un piano di crisi, mentre

il 46% risultano completamente impreparate;

Il 40% degli intervistati ritiene che al giorno d’oggi è molto più difficile prepararsi ad una

crisi rispetto al passato, a causa della potente evoluzione della comunicazione digitale;

Il 55% delle imprese ritiene che la crescita e lo sviluppo della comunicazione digitale abbia

aumentato la difficoltà nel gestire le crisi;

L’81% dei rispondenti ritiene che i social media influenzano fortemente la reputazione dell’azienda sul web;

Il 66% dei business decision maker dichiara che l’attenzione ai social media ha

determinato un notevole aumento dei costi di gestione della crisi;

Tuttavia, se una crisi è gestita efficacemente, il 55% degli intervistati crede che i social

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(http://www.ninjamarketing.it/2012/07/03/gestione-della-crisi-e-social-media/)

2.2 La comunicazione al tempo del Web

I consumatori sono cambiati e con essi il loro ruolo. I consumatori non accettano più di

recepire la comunicazione che le aziende fanno, ma vogliono contribuire al processo

comunicativo rendendolo un percorso bidirezionale. Internet rende possibile questo

cambiamento mettendo a disposizione degli utenti molti mezzi che abbattano qualsiasi tipo

di barriera geografica, temporale, psicologica. Nello scenario tradizionale la comunicazione aziendale era preponderante, per forza e diffusione, rispetto all’interconnessione dell’audience. Nello scenario digitale dominato dalle reti sociali e dalle interconnessioni tra individui, questo rapporto di forza viene rovesciato, infatti anche il più piccolo e lontano

dei consumatori può diventare, in qualsiasi momento, una minaccia se le sue idee sono

condivise dal pubblico di internet. Cade perciò quello che possiamo definire il mito della

grande azienda e del piccolo consumatore.

2.2.1 Word of mouth and elettronic word of mouth

Le persone sentono il bisogno di condividere con gli altri le proprie esperienze

contribuendo in buona parte alla creazione della reputazione aziendale. È per questo che è

così importante il Word of Mouth ossia il diffondersi, attraverso una rete sociale, di

informazioni e/o consigli tra consumatori” (Wikipedia). Questo diffondersi può diventare

tanto più vantaggioso o svantaggioso quanto più le persone sono in contatto fra loro,

ovviamente nel mondo virtuale e gli effetti di questo fenomeno sono sorprendenti. In

questo caso si parla di eWOM ossia elettronic word of mouth. Il WOM viene considerato

come il canale, il mezzo di trasmissione, che letteralmente si traduce come passaparola, che

evolve dalla sfera limitata della comunicazione verbale a una dimensione globale della

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che l’esperienza del consumatore sia stata positiva o negativa. Altra condizione che potrebbe scatenare l’eWOM può essere il desiderio di aiutare gli altri consumatori nelle loro decisioni di acquisto o salvare gli altri da un’esperienza negativa (Thurau et al., 2004). Ma, qualunque sia il sentimento che spinge le persone, “questa tipologia di comunicazione può contenere racconti di esperienze, con il prodotto o con l’azienda, sia positive che negative” ed è quindi ovvio che l’azienda dovrà essere interessata allo sviluppo di questo meccanismo, ma soprattutto al contenuto dei feedback presenti in esso, per far sì che

avvenga il passaggio da un eWOM negativo ad uno positivo o che sia possibile la continuità nel mantenimento dell’ottima reputazione o che, semplicemente, possano essere tenuti sotto controllo con continuità il bisogno e i desideri del proprio mercato. “L’eWOM rappresenta un punto di forza per i consumatori rispetto all’azienda, anzi un vero e proprio passaggio di potere dall’azienda al consumatore, soprattutto in quei casi dove le critiche sono apportate e condivise da molti clienti contemporaneamente.

(http://tesi.eprints.luiss.it/9605/1/lanaro_francesca_romana-tesi-2013.pdf)

2.2.2 Il ruolo della comunicazione nel crisis management

L’utilizzo di una comunicazione chiara ed efficace rappresenta il punto focale per superare una situazione di crisi e mantenere una buona reputazione.

Riportiamo le cinque caratteristiche fondamentali della comunicazione in caso di crisi:

Coerente e centralizzata, a questo scopo è fondamentale individuare un membro del

Crisis Management Team che si preoccupi di relazionarsi con i diretti interessati e i media;

Chiara, è infatti controproducente palesare atteggiamenti che sminuiscono la situazione di

crisi, al contrario è fondamentale riportare i fatti e le conseguenze in maniera trasparente e

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23

Rapida e precisa, in questo modo si riesce ad evitare la divulgazione di notizie false o

incomplete che rischierebbero di complicare la situazione già delicata e difficile da

governare;

Aggiornata, così il pubblico di riferimento si potrà rendere conto autonomamente degli

sviluppi e dei progressi nella gestione della crisi;

Condivisa, cioè rivolta alla collettività sia a livello interno che esterno all’azienda;

Per concludere è possibile affermare che se si vuole uscire indenni da una situazione

critica, mantenendo alta la propria reputazione, si deve agire in maniera diretta e repentina. Dopo aver superato una crisi è necessario che l’impresa verifichi ex post quanto realizzato ed ottenuto, esaminando tutte le cause che hanno provocato momenti di tensione, in modo

da evitare di ricadere nuovamente negli stessi errori.

(http://www.ninjamarketing.it/2012/07/03/gestione-della-crisi-e-social-media)

2.3 Online Reputation

L’online reputation è la considerazione dell’azienda manifestata in rete dai clienti. “La web reputation è l’attività di raccolta e monitoraggio di tutto quello che viene detto online riguardo a un determinato brand, prodotto, servizio, progetto o evento” (Wikipedia). L’ online reputation è quindi importante perché permette di osservare e monitorare le

conversazioni online che avvengono quotidianamente intorno al brand, poiché queste possono influenzare la reputazione dell’azienda (e quindi la sua immagine).

Di questi tempi è il web che ci dice chi siamo. La reputazione deriva dal modo in cui si

compare sui motori di ricerca. Soprattutto per le imprese la Rete non è qualcosa con cui

puoi non avere a che fare. Esistono tre tipi di reputazione: la reputazione mnemonica,

(24)

24

Reputazione mnemonica: percezione che si ha di un’azienda, determinata dal ricordo che

si conserva nella mente di prodotti e servizi da essa in passato offerti, quindi dal grado di

apprezzamento che si ha avuto per questi ultimi;

Reputazione analitica: determinata dall’attenzione prestata alle caratteristiche concrete di

un prodotto o servizio di cui si sta valutando l’acquisto, così come di un candidato per un impiego di cui si sta valutando l’assunzione;

Reputazione percettiva: ovvero l’immagine di qualcosa o qualcuno che ci si profila

attraverso rapide indagini sui motori di ricerca.

La Brand Reputation è la reputazione del marchio di un’azienda e il suo

relativo apprezzamento da parte dei consumatori. I giudizi dei clienti sono importanti, poiché un’attività gode di ottima reputazione se i consumatori soddisfatti effettuano una pubblicità e un passaparola positivo, generando come conseguenza un aumento di clienti.

Su Internet è possibile trovare qualsiasi informazione e opinione sui vari marchi; è per

questo importante mantenere alto il livello della propria immagine, realizzando un sito che

illustri tutto quello che si fa e che si è nei minimi dettagli. Un sito ben posizionato su

Google apparirà agli occhi di un utente come migliore rispetto agli altri competitor del

settore.

In aggiunta a ciò è bene focalizzarsi sulle opinioni dei consumatori che si diffondono

attraverso siti, blog e social network. È indispensabile interagire con i clienti, rispondendo

anche a eventuali proteste, che possono scoppiare sul Web, sempre in modo cortese. Al giorno d’oggi, la gente si affida ad Internet per ogni cosa, chiedendo consigli e opinioni, per questo è importante curare sia la Brand Awareness che la Brand Reputation. Questi due fattori permettono di aumentare la visibilità e la stima dei clienti verso l’azienda.

Il brand awareness è un parametro che indica quanto il nostro brand e i suoi prodotti o

(25)

25

azienda è quello di essere il primo brand a cui i consumatori pensano quando iniziano il

processo di acquisto di un certo bene o servizio.

Oltre all’opzione migliore vi possono essere diversi altri livelli di notorietà di marca.

Secondo David Aaker, la marca è “un set di attività (o passività) collegate ad un segno

distintivo (marchio, nome, logo) che si aggiungono (o sottraggono) al valore generato da un

prodotto o servizio”

Proprio Aaker ha elaborato la Piramide della Brand awareness che ci mostra i diversi

livelli che essa può raggiungere:

Secondo la teorizzazione di Aaker, la Brand awareness per ogni tipologia di prodotto o

servizio si evolve da una prima assenza di conoscenza della marca (Unaware brand), verso

un riconoscimento della marca (Brand recognition) che deve essere però richiamata alla memoria con domande del tipo “Conosci la marca X?”, per poi passare ad un richiamo spontaneo della marca (Brand recall), ossia uno stato in cui il consumatore associa la marca

ad una certa categoria di prodotti o servizi spontaneamente, senza aver bisogno di essere sollecitato da stimoli esterni. L’apice della Brand awareness, che però non è raggiungibile

(26)

26

da tutti i brand per tutti i consumatori, è il Top of mind, ossia quando i consumatori

pensano subito al brand in questione appena cominciano un processo di acquisto di un certo

bene o servizio.

Ora vediamo un po’ di dati statistici su quant’è importante la reputazione online per un

brand, e le ripercussioni, sia positive che negative, che può comportare per un qualsiasi

business.

• Circa il 25% del valore sul mercato di un’azienda dipende dalla sua reputazione.

• Gli utenti web si fidano delle recensioni online 12 volte di più delle descrizioni dei

prodotti.

• Solo il 15% degli amministratori delegati ha implementato una strategia che cerca

di sviluppare la reputation aziendale.

• I potenziali clienti si fidano molto delle stelle di valutazione (per un prodotto, per

un servizio, ma anche per un business).

Il 94% dei potenziali clienti si affiderebbe a un business valutato 4 stelle.

Il 57% dei potenziali clienti si affiderebbe a un business valutato 3 stelle.

Solo il 12% dei potenziali clienti si affiderebbe a un business valutato soltanto 2 stelle.

• Il 92% dei consumatori online legge le recensioni di un brand.

• Il 91% dei consumatori va a cercare online un brand da cui intende fare un acquisto.

• L’80% degli utenti web scrive consigli di acquisto sui social network.

• L’80% degli utenti web dichiara di aver cambiato la propria intenzione di acquisto dopo aver letto una recensione online.

• Il 67% degli utenti web dichiara che non acquisterebbe da un business che ha 1-3

recensioni negative.

• Avere oltre 50 recensioni aumenta le vendite di un e-commerce del 4,6%.

• 84% dei dipendenti che cerca un nuovo lavoro vorrebbe andare a lavorare in

(27)

27

• Il 40% dei consumatori si forma un’opinione (giusta o sbagliata che sia) su di un business dopo aver letto da 1 a 3 recensioni su di esso.

(http://comunicaresulweb.com/web-marketing/online-reputation-azienda/) (http://www.altoadigeinnovazione.it/reputazione-online/)

(https://www.atman.it/abc-dei-social-media/che-cose-la-brand-awareness/)

2.3.1 Analysis Sentiment

Un altro tipo di analysis che ci permette di valutare il grado di apprezzamento di un’azienda da parte del cliente, è l’analysis sentiment.

Si tratta di un’analisi qualitativa delle conversazioni in rete che mira a comprendere la propensione degli utenti nei confronti di un particolare brand, prodotto, servizio.

Più semplicemente consiste nel ricavare un giudizio su una frase, indicando il sentiment

verso il brand positivo, negativo o neutro.

È inoltre un metodo di analisi semantica che raccoglie in tempo reale le reazioni degli

utenti e i trend su un marchio, argomento o evento.

L’analisi è possibile attraverso la raccolta dei dati dai social network e da diverse piattaforme (Facebook, Twitter, LinkedIn, Youtube, siti di

annunci, recensioni, blog & forum, testate giornalistiche online) e, prendendo in

considerazione una o più porzioni di testo (ad es. il nome di un brand, di una persona, o un argomento), ne determina il tono e ne quantifica l’opinione positiva o negativa.

Cogliere i punti di forza e di debolezza di un’azienda può considerarsi l’attività più importante di oggi se si vuole essere competitivi nel proprio mercato ed evitare di incorrere

in crisi di reputation management, che possono poi danneggiare quanto costruito in anni di

(28)

28

L’analysis del sentiment ci permette di:

Analizzare la reputazione online: possono crearsi situazioni in cui anche un solo cliente

insoddisfatto può dar vita ad una maratona di insoddisfazioni in rete verso il brand.

Comprendere la percezione online del brand: i commenti che gli utenti fanno in rete si

diffondono rapidamente, alimentando dei contenuti che verranno poi condivisi e

segneranno in qualche modo il brand in questione.

Misurare il ritorno delle attività di (social media) marketing: in seguito alle attività sui

social media come Facebook e Twitter, può essere difficile tenere traccia di tutte le opinioni a riguardo e, tanto più, ricavare una visione d’insieme sul tono delle conversazioni.

In seguito all’analisi approfondita del sentimento in rete, si può fornire un’analisi completa delle opinioni che vengono reperite in rete riguardo ad un brand. I tool e i report consentono di:

• Monitorare la brand perception

• Indagare le preferenze dei consumatori

• Valutare le performance rispetto ai competitor • Scoprire i trend emergenti

• Analizzare l’impatto delle campagne di comunicazione social • Identificare gli influencer di uno specifico settore di interesse • Gestire crisi reputazionali

Perché è utile fare l’analysis del sentiment?

• Essa consente di avere dati completi e attendibili, praticamente con l’aiuto di

algoritmi.

• Chi si occupa di Social Crisis Management può ottenere elementi concreti sui quali

(29)

29

• L’analisi della reputazione online sostituisce di fatto modalità di rilevazione del sentiment attraverso focus group o sondaggi per monitorare il gradimento di beni e

servizi. Tali attività, svolte a campione, sono assai meno attendibili nei risultati,

rispetto al monitoraggio del web.

(https://www.gigasweb.it/blog/sentiment-analysis-brand/)

(http://www.bytekmarketing.it/sentiment-analysis-gestire-la-brand-reputation-tool-piu-innovativi/)

(30)

30 Capitolo 3:

Il Gruppo Volkswagen

3.1 La nascita del brand.

La Volkswagen è la casa automobilistica più amata dagli italiani. Il vocabolo in tedesco

significa vettura del popolo. La sua storia inizia negli anni 30 quando Hitler volle far

realizzare un'automobile che potesse essere in grado di motorizzare il popolo tedesco di

classe meno abbiente. L'incarico venne affidato all'ingegnere Ferdinand Porsche, col diktat

di creare un'auto compatta, economica, semplice e robusta, facile da costruire in grande

serie ed economicamente accessibile. L’automobile doveva costare al massimo 10 volte lo

stipendio di un operaio e consumare 7 litri di benzina ogni 100 km.

Dopo alcuni prototipi l’auto del popolo fece il suo debutto nel 1939 e da quel momento non si fermò più diventando uno dei maggiori produttori di automobili e veicoli commerciali

nel mondo e sicuramente il maggiore in Europa.

( http://www.rubeca.it/Articolo/I/rif000003/1155/STORIA-DELLA-VOLKSWAGEN-La-casa-automobilistica-pi-amata-dagli-italiani)

(31)

31 3.2 Il caso Volkswagen

In questa tesi ho scelto di trattare un caso aziendale per riuscire a dare un aspetto più

pratico rispetto alla parte teorica e descrittiva illustrata nei precedenti capitoli.

L’azienda Volkswagen nel 2015 è rimasta coinvolta in uno scandalo mondiale legato alle sue automobili diesel. La casa automobilistica tedesca è stata accusata dagli Stati Uniti di

aver messo sul mercato auto con sistemi che truccano i risultati di laboratorio sulle

emissioni di sostanze inquinanti; tutto questo per far sembrare i risultati dei test anti-smog

entro i limiti consentiti dalla legge americana. Le macchine interessate sono circa mezzo

milione in America, e arrivano a 11 milioni in tutto il mondo. La scoperta dell’inganno

messo in atto dalla società tedesca risale al 2009, ma la sua diffusione è avvenuta all’improvviso nel settembre 2015, provocando un crollo del titolo in borsa (24 miliardi di euro in due giorni) e il rischio di una multa da 18 miliardi di dollari che fece tremare l’azienda. A Wolfsburg sede legale e amministrativa dell’azienda si riunirono tutti i membri della presidenza del consiglio di sorveglianza e l’allora amministratore delegato

Martin Winterkorn si dimise dal suo incarico, pur ribadendo la sua estraneità ai fatti,

lasciando il posto a Mattias Muller. In tutto il mondo si bloccò la vendita dei modelli Euro

5. Secondo gli analisti i costi tecnici ammontarono a circa 20 miliardi di dollari.

Per la prima volta da 15 anni a questa parte, la casa automobilistica tedesca nel terzo

trimestre del 2015 andò in rosso con una perdita netta di 1,67 miliardi di euro, dovuta al dieselgate, a fronte dell’utile di 2,971 miliardi di euro dell’anno precedente. Diversamente non venne colpito il fatturato, che raggiunse i 213 miliardi, con una crescita del +5,4

percento e vi fu un aumento dei dipendenti, che arrivarono oltre i 610 mila, con un aumento

del 3%. Anche la liquidità è passata dai 17,6 ai 24,5 miliardi e nessuno dei brand che fanno

capo alla casa automobilistica ha sofferto dello scandalo del dieselgate, a dimostrazione

della solida reputazione che il colosso di Wolfsburg ha saputo costruire negli anni. Nelle

(32)

32

valore a Francoforte e la relativa capitalizzazione incassò una perdita con quella dei più

solidi gruppi del settore.

Non solo la casa di Wolfsburg è andata a picco, ma il crollo ha riguardato anche i principali

brand europei del settore, su tutti Bmw, Fiat e Peugeot.

Il titolo alla fine della settimana chiuse alla borsa di Francoforte a 137 euro, prima del caso

emissioni, l'azione valeva 167 euro.

Previdero inoltre un 2016 nero per i costi legali legati allo scandalo sulle emissioni, perciò

nel terzo trimestre misero da parte 6,7 miliardi di euro di riserve per coprire i costi iniziali

(33)

33

Il marchio Volkswagen faticava a recuperare la fiducia dei clienti e decise di accantonare

altri 400 milioni.

Nel terzo trimestre del 2016 Volkswagen chiude in utile, ma le vendite del marchio tedesco

soffrono ancora per lo scandalo dieselgate. Dopo aver chiuso un accordo con la giustizia

americana, patteggiando una multa da 14,7 miliardi di dollari, la casa di Wolfsburg ha

presentato i conti dei primi nove mesi dell'anno con un utile ante oneri finanziari (Ebit) di

8,65 miliardi di euro. Il dato è superiore ai 3,34 miliardi del 2015, quando però pesavano le

riserve miliardarie messe da parte per affrontare il dieselgate appena scoppiato. Secondo la

Dpa, le conseguenze dello scandalo continuarono a farsi sentire anche nell’anno

successivo, dal momento che i risultati del 2016 sono lontani da quelli dell'anno precedente

allo scandalo, il 2014, quando nello stesso arco di tempo Volkswagen aveva fatto registrare

utili per 9,4 miliardi di euro. Nel gruppo compreso da Audi, Skoda e Seat appare in

sofferenza soprattutto il marchio Volkswagen, infatti nel terzo trimestre 2016 l'utile per le

autovetture con logo Vw è stato di 363 milioni di euro, contro gli 801 milioni del terzo

trimestre 2015.

Il nuovo C.E.O di Volkswagen Matthias Mueller ha quindi voluto sottolineare come il

gruppo fosse "nella completa capacità di azione, nonostante le attuali sofferenze".

Il fatturato del gruppo infatti nel 2016 è cresciuto del 2% raggiungendo il livello record di

217,3 miliardi di euro, anche se il marchio principale Volkswagen lotta ancora con le

conseguenze del dieselgate. Anche senza i costi del dieselgate e altri fattori straordinari, il

risultato operativo del 2016 è sceso dell'11,1% a 1,9 miliardi di euro. Diminuirono anche i

guadagni dei top-manager del Cda, scesi dai 63 milioni di euro del 2015 ai 39,5 milioni del

2016.

Volkswagen previse per il 2017 un fatturato in rialzo del 4% rispetto ai 217,3 miliardi di

euro del 2016, con vendite che avrebbero ecceduto i livelli del 2016, quando nonostante lo

(34)

34

primo produttore mondiale.

L'utile pre-tasse è atteso al 6-7% delle vendite e Volkswagen ha fatto sapere di aver sanato

finora quattro milioni di auto colpite dallo scandalo-emissioni. Per quanto riguarda i

risultati dei singoli marchi del gruppo per il quarto trimestre 2016 notiamo che Volkswagen

segna un utile operativo di 625 milioni (contro la perdita di 127 milioni di un anno prima),

Porsche di un miliardo contro 858 milioni, mentre Audi scende a 928 milioni da 1,1

miliardi.

Volkswagen propose ai suoi azionisti un dividendo in netto rialzo, pari a 2 euro per i titoli

ordinari e 2,06 euro per le azioni privilegiate. La strategia attuata fu quella di puntare a

rendere redditizio il marchio principale, prevedendo un taglio annuale dei costi di 3,7

miliardi di euro l'anno fino al 2020, con alcuni tagli ai posti di lavoro. Il 2016 non si può

considerare l’anno orribile che era stato pronosticato, anzi nonostante la situazione in cui

versava Volkswagen fu un anno di successo.

E le cose continuarono piuttosto bene anche nel 2017, si affermarono infatti circa 10.7

milioni di esemplari venduti, aggiudicandosi e confermando così il primo posto di vetture

vendute. Volkswagen ha anche generato il maggior numero di introiti nel gruppo, con circa

6 milioni di unità vendute.

Un risultato che fa registrare nuovamente la sconfitta di Toyota, in questa speciale

classifica, con vendite stimate attorno ai 10.35 milioni di vetture nel 2017 per la casa

produttrice giapponese.

Il fatturato dovrebbe ora superare quota 220 miliardi di euro, battendo il proprio record

conseguito lo scorso anno di 217 miliardi di euro. Potrebbe aver influito ed essere stata decisiva un’eventuale maggiore apertura al mercato cinese.

Memoria corta dei consumatori o bravura dell’azienda, ultimamente molto impegnata nella produzione e promozione della mobilità sostenibile.

(35)

35 (http://www.glistatigenerali.com/imprese_inquinamento/volkswagen-truffa-scandalo-emissioni/) (https://www.wired.it/attualita/ambiente/2015/09/23/tutto-caso-volkswagen/) (http://www.liberoquotidiano.it/news/economia/11902239/Bilancio-2016-Volkswagen-reagisce-bene-dieselgate-vendite-in-crescita.html) (http://www.repubblica.it/economia/finanza/2016/10/27/news/vw_dieselgate-150689645/) (http://www.repubblica.it/economia/finanza/2017/03/14/news/volkswagen_bene_i_ricavi_d el_gruppo_ma_il_marchio_sconta_ancora_il_dieselgate-160518286/)

3.2.1 Le conseguenze della crisi

Abbiamo già visto nei paragrafi precedenti che Volkswagen era e, nonostante la crisi,

continua a essere una delle più grandi multinazionali del mondo.

(36)

36

Oltre ai vari capitali persi ritirando dal mercato le varie vetture, dalle multe inflitte e dai crolli in borsa, c’è un’altra grossa perdita che non è stata ancora considerata; le dimensioni gigantesche della truffa infatti fanno perdere a Volkswagen un bene molto più prezioso, la

sua reputazione.

Volkswagen ha perso la faccia, si è bruciata l’immagine, perché l’azienda basata sulla qualità, l’efficienza, la fiducia, si è lasciata travolgere da uno scandalo sia materiale che immateriale; materiale, perché queste automobili truccate hanno inquinato il mondo intero, più di quanto abbia inquinato l’intera industria di un paese avanzato in un anno. Immateriale invece perché si tratta del capitale che l’industria, che dà lavoro a seicentomila

persone nel mondo intero, ha perso nel giro di qualche settimana.

È difficile valutare la perdita di reputazione perché non può essere misurata con gli stessi

strumenti con cui normalmente misuriamo le perdite economiche. Ma queste ferite all’immagine possono essere più gravi persino delle ferite economiche, specialmente quelle avvenute sul Web.

Questo perché Internet è ovunque, le notizie viaggiano in tempo reale e tutti possono

partecipare attivamente attraverso i contenuti creati dagli utenti, quali commenti, post,

articoli, i cosiddetti (user generated content).

Cerchiamo di capire perché queste ferite possono essere così gravi, e vediamo qualche

esempio.

Nei seguenti grafici presi da google Trends possiamo vedere l’interesse mostrato dagli

utenti su Google e nei vari social. Nel grafico 1 notiamo ad esempio come il termine

Volkswagen abbia registrato un picco in corrispondenza con lo scoppio dello scandalo, arrivando a rilevare il doppio delle ricerche rispetto all’anno precedente.

(37)

37

Grafico 1

Nel grafico 2 invece il sistema registra un’impennata delle ricerche correlate. I termini di ricerca più associati alla parola Volkswagen sono stati “scandalo” e “borsa”.

Grafico 2

(38)

38

Sempre da Google Trends notiamo che lo scandalo sui controlli “truccati” ai gas di scarico di milioni di autovetture della casa di Wolfsburg in tutto il mondo ha generato un flusso

importante di notizie, post e tweet sul Web, che hanno contribuito a far colare a picco la

Web Reputation della casa automobilistica.

Nella settimana in cui è uscita la notizia delle emissioni taroccate

dalla Volkswagen su Google sono state pubblicate una media di circa 56.300.000 notizie al

giorno riguardanti la vicenda.

Su Twitter, nello stesso mese dell’evento negativo la parola Volkswagen scandal ha generato oltre 950 mila tweet; il picco di messaggi sul dieselgate si è registrato il 21

settembre con il tema che è rimasto nella classifica italiana degli argomenti più discussi per

circa 8 ore, risultando così il secondo topic trend. Il post che la fan page italiana ha

pubblicato per informare i clienti ha ricevuto 1200 commenti. Ancora più discusso il tema in Germania, il 23 settembre l’Abgaswerte (Valore dei gas di scarico) è stato il secondo argomento più discusso nella Twitter tedesca, il giorno prima è stato #dieselgate a manipolare l’attenzione degli utenti tedeschi come principale argomento su Twitter. Il sentiment della maggior parte di questi messaggi è stato fortemente negativo e il

(39)

39

zipavelo@zipavelo

Come diceva lo spot, #Volkswagen c'è da fidarsi...poco.

07:04 - 23 set 2015

lulzhub@lulzhub

(40)

40

Su Facebook, invece, durante i giorni della bufera è stato postato un solo messaggio nel

quale era presente un comunicato con cui la casa tedesca provava a rassicurare i suoi

clienti. Questo post è stato apprezzato dagli utenti che hanno rilasciato 700 commenti molti dei quali di sostegno verso l’azienda automobilistica. Il post in questione ha ottenuto 2918 mi piace e 1110 condivisioni, riuscendo così ad arginare, almeno in parte, il “crollo d’immagine”.

Sul Web sono principalmente due i settori che hanno una certa popolarità, quelli dedicati all’ecologia e quelli dedicati alle autovetture. Maggiore è la popolarità di un settore, maggiore è la probabilità che lo scandalo sia più catastrofico. Volkswagen rientra in

entrambi i settori e i motori di ricerca sono i primi strumenti utilizzati per cercare

informazioni, prestazioni e opinioni. Volkswagen infatti a giugno 2015 aveva concluso una

partnership con Google per la promozione dell’applicazione mobile SmileDrive, un social

network dedicato a chi viaggia in auto.

Per riparare al danno d’immagine causato dallo scandalo colpito, una delle iniziative attuate da Volkswagen è stata una campagna d’informazione dove trasmetteva l’impegno costante per l’ambiente e la tutela delle persone.

(https://www.corrierecomunicazioni.it/digital-economy/volkswagen-perdere-la-reputazione-online-costa-caro/) (http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-09-24/caso-volkswagen-e-social-media-si-scateno-tempesta-170943.shtml?uuid=ACI4f13) (https://www.corrierecomunicazioni.it/digital-economy/volkswagen-i-danni-del-dieselgate-crolla-la-web-reputation/) (http://www.lettera43.it/it/articoli/cronaca/2015/09/23/i-social-network-si-scatenano-contro-la-volkswagen/156238/)

(41)

41 3.3 Storia di una ristrutturazione di successo.

Subito dopo lo scandalo denunciato dalle autorità americane, gli esperti stimavano un

danno di 80 miliardi di dollari, il prezzo delle azioni si dimezzò e si pensava che l’azienda

fallisse.

Nessuno aveva previsto che ci sarebbe stata questa svolta, infatti Volkswagen ha superato

Toyota e General Motors in termini di volumi di vendita, e sta anche aumentando la sua

redditività, puntando sulle nuove tecnologie più dei concorrenti.

Il nuovo CEO Muller ha dichiarato che entro il 2025 investiranno 20 miliardi di euro nell’elettrificazione e 14 nella tecnologia di mobilità condivisa e guida autonoma.

Sembra proprio che invece di piegare la casa automobilistica questo scandalo l’abbia costretta a operare quei cambiamenti da tempo necessari, salvandola.

Ovviamente la crisi è stata un grosso problema ed è costata cara, ma alla fine ha portato ad

affrontare più rapidamente le questioni che prima non venivano nemmeno prese in

considerazione.

I danni provocati dallo scandalo ammontano a 25 miliardi di dollari e le vetture ritirate dal

mercato sono state 11 milioni, ma il gruppo anziché mettere mano alle sue riserve di

liquidità ha pagato quasi i due terzi del risarcimento e delle sanzioni incrementando il suo

cash flow e la propria redditività.

Inoltre le riserve di Volkswagen nonostante i debiti sono aumentate da 21,5 miliardi di euro

del 2015 a 25,4 miliardi a fine 2017 e questo è stato possibile attraverso dei tagli ai costi,

semplificando il processo di costruzione delle auto riducendo gli optional, per esempio il

numero dei modelli di volanti per la Golf è sceso da 117 a 43 annullando quasi totalmente

le spese amministrative e mettendo a punto dei modelli di costruzione ad hoc per i vari

mercati. Queste migliorie a livello di efficienza hanno innalzato i margini, arrecato un

(42)

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Per combattere lo scandalo e far fronte ai costi del dieselgate si pensava fosse necessario

vendere parte delle azioni, invece la loro tattica è stata quella di produrre liquidità necessaria per pagare le sanzioni rendendo così l’azienda molto più redditizia.

Altra mossa è stata quella di tagliare i costi e ridurre la spesa. Nel 2015 la spesa ammontava al 6,8% delle vendite, nel 2017 è stata del 5,9% e quest’ anno addirittura sarà solo del 4,8%. La prossima sfida di Volkswagen ora è quella di mantenere la stessa disciplina nell’investimento per l’elettrificazione.

Il marchio Volkswagen ha più che raddoppiato la redditività passando dal 2% nella prima

metà del 2016 al 4,5% del 2017; la missione è quella di arrivare al 6% entro il 2025

preventivando anche la perdita di denaro dovuta alle auto elettriche.

Nonostante Winterkorn avesse ammontato un guadagno di più di 50 miliardi di euro negli

anni operativi dal 2011 al 2015, gli utili operativi non erano variati di molto perché si erano

ridotti i margini dal 12 al 6%.

Questa svolta viene addossata a Muller, il CEO susseguitosi a Winterkorn, perché ha

attuato delle misure per rinnovare il modello di leadership aziendale intraprendendo un

notevole processo di rinnovamento.

Ovviamente il merito non è da attribuire solo a lui, ci sono altre figure che hanno giocato

un ruolo fondamentale, però uno dei motivi è il fatto che gli operai non dovessero più

eseguire gli ordini senza questionare, introducendo così una ventata di democrazia e

rendendo ogni marchio autonomo decentrando il processo decisionale.

Muller ha inoltre incoraggiato i progetti nel settore tecnologico, attuando partnership con la

start up Aurora e il produttore di chip Nvidia.

Nel 2016 ha investito nell’app Gett (il servizio taxi che mette in collegamento diretto passeggeri e autisti) e lanciato MOIA il suo brand di mobilità urbana; insomma ha reso Volkswagen un’azienda chiusa e poco incline a qualsiasi forma di collaborazione molto più aperta e disponibile.

(43)

43

(http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2018-01-20/volkswagen-storia-una-ristrutturazione-successo-165634.shtml?uuid=AEBhx9lD)

3.4 Il nuovo caso Volkswagen: lo scalpore arrecato dai test su scimmie e umani

Due anni dopo il dieselgate, il grande scandalo del software applicato ai motori diesel per

alterarne la misurazione delle emissioni e farle rientrare entro i livelli consentiti,

Volkswagen, si trova coinvolta assieme a Bmw e Mercedes nei test dell'Eugt (European

Research Group on Environment and Health in the Transport Sector), un organismo di

ricerca finanziato dalle seguenti case automobilistiche per aver effettuato test sui gas di

scarico dei motori diesel usando come cavie scimmie ed esseri umani.

Il primo caso riguarda test condotti negli Usa nel 2014 su dieci scimmie, piazzate davanti ai

cartoni animati mentre erano in un ambiente con aria inquinata dai gas di scarico di una

vettura diesel.

Secondo quanto emerso, le scimmie sono state rinchiuse in una specie di vetrina,

tranquillizzate con la proiezione di cartoni animati, e sottoposte a gas di scarico per 4 ore.

Le scimmie essendo animali che hanno bisogno di muoversi molto, il solo fatto di

costringerle a sedere davanti a uno schermo è una tortura, il gas di scarico inoltre le espone

a vari possibili problemi di salute. (Klaus Kronaus, numero uno dell'associazione

anti-cavie)

Il secondo caso concerne l'istituto ospedaliero di Aquisgrana, nell'ovest della Germania,

che su disposizioni dell'Eugt avrebbe fatto inalare diossido di azoto (NO2) per tre ore al

giorno per un totale di 4 settimane a un campione di 25 persone in buona salute.

Dopo le polemiche e le critiche relative al presunto uso di esseri umani e scimmie come

cavie per i test sugli effetti delle emissioni dei gas di scarico dei motori diesel, mentre Bmw

e Mercedes fanno muro, la Volkswagen ha annunciato la sospensione del suo responsabile

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