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Il ruolo della sensibilità alla colpa nel disturbo ossessivo-compulsivo

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Academic year: 2021

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SOMMARIO

1. IL DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO

1.1 CARATTERISTICHE CLINICHE E INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO……….…..5

1.2 SOTTOTIPI CLINICI ………....12

1.3 EPIDEMIOLOGIA, PREVALENZA, ESORDIO E FATTORI PRECIPITANTI………...15

1.4 DECORSO, COMPLICANZE E PROGNOSI………...16

1.5 COMORBIDITÀ E DIAGNOSI DIFFERENZIALE………..…..17

1.6 EZIOLOGIA………...….19

1.6.1 IPOTESI NEURO-BIOLOGICHE 1.6.2 IPOTESI PSICOLOGICHE 2. MODELLO COGNITIVO DEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO 2.1 IL MODELLO COGNITIVO……….……….22

2.2 LA RESPONSABILITÀ IPERTROFICA………...24

2.3 TIMORE DI COLPA PER IRRESPOBSABILITÀ NEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO....28

2.4 IL COSTRUTTO DELLA GUILT SENSITIVITY………...33

2.5 IPOTESI DI RICERCA……...………..………….……….…...36

3.GLI STUDI SPERIMENTALI 3.1 IL PRIMO STUDIO……….37 3.1.1 METODO………..37 3.1.1.1 PARTECIPANTI 3.1.1.2 STRUMENTI DI MISURA 3.1.1.3 PROCEDURA 3.1.2 RISULTATI………...41

3.1.2.1 RIDUZIONE DEGLI ITEM, STRUTTURA FATTORIALE E AFFIDABILITÀ 3.1.2.2 VALIDITÀ DI COSTRUTTO 3.1.3 DISCUSSIONE DEL PRIMO STUDIO……….46

3.2 IL SECONDO STUDIO………....48

3.2.1 METODO………..48 3.2.1.1 PARTECIPANTI

3.2.1.2 STRUMENTI DI MISURA 3.2.1.3 PROCEDURA

(2)

3.2.2 RISULTATI……….……….52 3.2.2.1 CORRELAZIONI

3.2.2.3 ANALISI DI REGRESSIONE LINEARE GERARCHICA

3.2.3 DISCUSSIONE DEL SECONDO STUDIO……….…56

4.BIBLIOGRAFIA………..59

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ABSTRACT

Nel disturbo ossessivo-compulsivo si ha una maggiore tendenza a sentirsi responsabili e a provare colpa percependola in modo più minaccioso, ma alcuni studi suggeriscono che i pazienti DOC non abbiano tanto un’alta propensione a provare colpa (colpa di tratto), quanto piuttosto un’elevata sensibilità alla colpa, intesa come una sensazione che tale emozione sia insopportabile, e quindi debba essere ad ogni costo evitata.

Dal momento che non esiste in letteratura uno strumento che misuri il costrutto della sensibilità alla colpa, il primo scopo di questo lavoro è stato quello di costruirne uno da utilizzare in ambito clinico e di ricerca, il Guilt Sensitivity Questionnaire (GSQ), testandone le proprietà psicometriche su un ampio campione non clinico italiano. Il secondo scopo di questo studio è stato quello di esplorare il ruolo predittivo della sensibilità alla colpa, così come misurata dal GSQ, rispetto alle varie tipologie di sintomi in un campione clinico eterogeneo di pazienti DOC.

Nel primo studio sono stati somministrati cinque questionari self-report ad un largo campione non clinico (N=473) tratto dalla popolazione generale, per valutare le proprietà psicometriche del GSQ. I risultati dell’analisi fattoriale esplorativa e dell’analisi degli item hanno confermato che il GSQ è una scala unidimensionale affidabile che valuta la sensibilità alla colpa, e che può essere utilizzata in ambito clinico e di ricerca in cui tale costrutto è di interesse. Nonostante alcuni limiti dello studio, i risultati supportano l'adeguata validità discriminante della scala e mostrano come la sensibilità alla colpa e la propensione alla colpa siano due costrutti nettamente distinti.

Nel secondo studio sono stati somministrati cinque questionari ad un piccolo campione (N=32) clinico eterogeneo, per esplorare le relazioni esistenti tra la sensibilità alla colpa e i sintomi DOC, controllando i livelli di ansia e depressione nonché le credenze cognitive tipicamente associate al DOC stesso.

Le analisi di correlazione e di regressione gerarchica condotte hanno confermato le aspettative, mostrando come la sensibilità alla colpa sia un predittore unico e altamente significativo dei sintomi DOC, in particolare con il timore di essere responsabili per danni o sciagure.

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Nonostante alcune limitazioni, il presente studio ha identificato delle relazioni che potrebbero beneficiare di un’ulteriore valutazione e potrebbero avere importanti implicazioni per la prevenzione e il trattamento del DOC, ove siano implicate le preoccupazioni di essere responsabili di danni o sciagure e i relativi rituali di controllo.

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1.

I

L DISTURBO OSSESSIVO

-

COMPULSIVO

1.1 CARATTERISTICHE CLINICHE E INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO Nella vita quotidiana sono frequenti pensieri persistenti e ricorrenti, ma facilmente neutralizzabili e poco disturbanti. Allo stesso modo, possono essere presenti comportamenti ritualistici, che spesso caratterizzano lo sviluppo in modo transitorio e che, in alcuni casi, possono persistere nell’età adulta (Rachman & De Silva, 1978). Tuttavia, “il disturbo ossessivo-compulsivo differisce dalle normali preoccupazioni e ritualità dello sviluppo poiché le sue manifestazioni sono eccessive o persistono oltre gli appropriati periodi evolutivi” (DSM-5; APA, 2013), differenziandosi non tanto qualitativamente quanto piuttosto quantitativamente per intensità, frequenza e persistenza, dai normali fenomeni quotidiani. Possiamo parlare di disturbo ossessivo-compulsivo solo se tutto questo provoca marcato disagio e compromette il normale ritmo delle attività quotidiane, le relazioni sociali, la qualità della vita affettiva, scolastica o lavorativa, costringendo il paziente nei casi più gravi a ritirarsi da ogni impegno e attività sia ludica sia costruttiva (Melli, 2011).

I sintomi caratteristici del DOC sono la presenza di ossessioni e/o compulsioni. In circa l’80% dei casi i pazienti presentano entrambe le manifestazioni, mentre in meno del 20% se ne riscontra solamente una (Melli, 2011).

Le ossessioni (dal latino obsidēre, assediare) consistono in sintomi psichici pervasivi, sperimentati esclusivamente a livello mentale e pertanto non obiettivabili. Si tratta di pensieri, immagini o impulsi ricorrenti e persistenti, percepiti dal soggetto come

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intrusivi e inappropriati, che causano ansia e disagio marcati. Il paziente le vive in maniera egodistonica in quanto si presentano come in contrasto con i propri valori e le proprie convinzioni, ed egli, pur riconoscendone il contenuto mentale come inappropriato, non riesce a controllarlo, né a neutralizzarlo o a contrastarlo. Le ossessioni differiscono dalle preoccupazioni, in quanto queste ultime riguardano eventi negativi di vita quotidiana, che è ragionevole temere che accadano, mentre le ossessioni è difficile che riguardino rischi oggettivi e appaiono eccessive nei contenuti, prive di una base razionale e insensate. Tuttavia, l’individuo riconosce l’origine interna di questi pensieri ossessivi, non vivendoli come inserzioni del pensiero altrui (come accade in alcuni disturbi psichiatrici di natura delirante) ma come prodotti della propria mente, e ciò evidenzia la presenza di una buona capacità di critica degli stessi. Le ossessioni cliniche, inoltre, si caratterizzano per l’essere persistenti e per non diminuire di intensità, generando nel soggetto emozioni sgradevoli, quali ansia, paura, dubbi, disagio, disgusto o sensazione di non aver fatto le cose nel modo giusto (NJRE; Not Just Right Experience). L’individuo cerca di ignorare, sopprimere o neutralizzare tali pensieri o impulsi intrusivi con altri pensieri o azioni (le compulsioni), ma non riesce in alcun modo a evitarli o controllarli sperimentando così, un senso di oppressione che si attenua soltanto nel momento in cui cedono all’impulso alimentato dall’ossessione, mettendo in atto la compulsione. Ciò innescherà un circolo vizioso, causando un forte disagio individuale e conseguenze negative in ambito relazionale, lavorativo, e più in generale sociale.

Il contenuto specifico delle ossessioni può assumere varie forme, ma è tuttavia possibile individuare delle tematiche ricorrenti,, tanto che recentemente sono state

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identificate quattro dimensioni principali di preoccupazioni ossessive (Abramowitz et al., 2010):

1. Preoccupazioni di contaminazione: sensazione di essersi “contaminati” entrando in contatto più o meno direttamente con luoghi, persone, oggetti, ecc., ritenuti sporchi. Talvolta il disagio può essere provocato dalla semplice sensazione disgustante di essersi sporcato, mentre altre volte è determinato dalla paura che la contaminazione possa portare a conseguenze negative per la salute propria o altrui.

2. Preoccupazioni relative alla possibilità di essere responsabile, a causa di un mancato controllo su determinate azioni, di danni, lesioni, incidenti o sciagure, a sé o ad altri, spesso accompagnati da sentimenti di colpa (ad es.: dubbio di aver chiuso correttamente il gas, che non si estingue nonostante i ripetuti controlli).

3. Pensieri inaccettabili: ad esempio a contenuto violento, immorale o sessuale. Preoccupazioni di poter fare, o desiderare, qualcosa di imbarazzante, sconveniente o terribile.

4. Preoccupazioni di simmetria e completezza: sono ossessioni relative al bisogno di ordine e simmetria (ad es.: il bisogno di verificare che gli oggetti siano posti in un dato ordine), spesso accompagnate da pensiero magico.

Le compulsioni (dal latino compellĕre, costringere) sono comportamenti ripetitivi obiettivabili overt (come lavarsi le mani, riordinare, controllare) o atti mentali non obiettivabili covert (come contare, ripetere formule, pregare), che il soggetto si sente obbligato a mettere in atto in risposta all’ansia e al disagio determinati

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dall’ossessione, secondo regole da applicare rigidamente. Le compulsioni sono eccessive e non connesse in modo realistico all’evento temuto (Kaplan, Benjamin & Grebb, 2000).

Le compulsioni più frequenti sono riconducibili a comportamenti di:

- Lavaggio e pulizia: in risposta alla ossessione di contaminazione;

- Controllo: in risposta al dubbio di non aver fatto le cose nel modo corretto (NJRE: Not Just Right Experience);

- Riordino: in risposta al bisogno di ordine e simmetria;

- Conteggio: in risposta a timori superstiziosi che possa accadere qualcosa di brutto se non si seguono delle specifiche regole mentali.

Le compulsioni possono essere interpretate come un caso particolare di evitamento; costituiscono un rinforzo negativo di sottrazione dello stato di disagio, che diviene fattore di mantenimento del disturbo, innescando un vero e proprio circolo vizioso. I rituali compulsivi assorbono molto tempo (più di un’ora al giorno), anche perché ogni interruzione nell’esecuzione implica che si ripeta da capo l’intera azione, e la sensazione di aver fatto abbastanza matura con estrema lentezza o in alcuni casi non matura affatto. Ne consegue un “lavorìo” mentale continuo, che costituisce il nucleo psicopatologico di questo disturbo. Spesso i soggetti invischiano i familiari e gli amici nella rete dei propri rituali, attraverso costanti richieste di rassicurazione alle proprie preoccupazioni, creando conflittualità tali da portare disagi relazionali, logoramento dei rapporti parentali e rottura di matrimoni e convivenze. Le persone affette da DOC, inoltre, tendono a mettere in atto una serie di evitamenti nei confronti di tutte le situazioni che innescano pensieri ossessivi, nel tentativo di controllarli e non essere costretti a compiere i rituali (Melli, 2011).

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La gravità della sintomatologia DOC è determinata da alcune caratteristiche importanti (Cassano, 2006):

- La resistenza, cioè la capacità di lottare contro l’ossessione e di resistere alle compulsioni, che può variare nello stesso paziente nel tempo e a seconda dell’ambiente in cui si trova.

- L’interferenza, cioè la capacità di adattarsi e convivere con i propri sintomi. - Il grado di insight, cioè la consapevolezza del proprio disturbo e

dell’irragionevolezza dei propri sintomi. Tra i pazienti DOC vi è ampia variabilità di insight; da individuo a individuo e all’interno della stessa persona, in diversi momenti o situazioni.

A tale proposito il DSM-5 (APA, 2013) ha inserito nei criteri diagnostici del disturbo una specificazione riguardante l’insight, che varia lungo un continuum da buono a scarso a totalmente assente con convinzioni deliranti.

Il criterio che consente di distinguere il DOC da occasionali pensieri intrusivi o rituali ripetitivi comuni nella popolazione generale è la presenza di un disagio clinicamente significativo o una compromissione del funzionamento personale e socio-lavorativo.

I criteri diagnostici per il DOC secondo il DSM-5 vengono riportati in tabella. Criteri diagnostici

A. Presenza di ossessioni, compulsioni, o entrambi Le ossessioni sono definite da 1) e 2):

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momento nel corso del disturbo, come intrusivi e indesiderati e che nella maggior parte degli individui causano ansia e disagio marcati.

2) Il soggetto tenta di ignorare o di sopprimere tali pensieri, impulsi o immagini, o di neutralizzarli con altri pensieri o azioni (cioè mettendo in atto una compulsione)

Le compulsioni sono definite da 1) e 2):

1) Comportamenti ripetitivi (per es. lavarsi le mani, riordinare, controllare) o azioni mentali (per es. pregare, contare, ripetere parole mentalmente) che il soggetto si sente obbligato a mettere in atto in risposta a un’ossessione o secondo regole che devono essere applicate rigidamente.

2) I comportamenti o le azioni mentali sono volti a prevenire o ridurre l’ansia o il disagio o a prevenire alcuni eventi o situazioni temuti, tuttavia, questi comportamenti o azioni mentali non sono collegati in modo realistico con ciò che sono designati a neutralizzare o a prevenire, oppure sono chiaramente eccessivi.

Nota: I bambini piccoli possono non essere in grado di articolare le ragioni di questi comportamenti o azioni mentali.

B. Le ossessioni o compulsioni fanno consumare tempo (per es. più di un’ora al giorno) o causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.

C. I sintomi ossessivo-compulsivi non sono attribuibili agli effetti fisiologici di una sostanza (per es. una droga, un farmaco) o a un’altra condizione medica. D. Il disturbo non è meglio giustificato dai sintomi di un altro disturbo mentale

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(per es. eccessive preoccupazioni, come nel disturbo d’ansia generalizzata; preoccupazioni legate all’aspetto, come nel disturbo di dimorfismo corporeo; difficoltà nel gettare via o separarsi dai propri averi, come nel disturbo da accumulo; strappamento di peli, come nella tricotillomania; stuzzicamento della pelle, come nel disturbo da escoriazione; stereotipie, come nel disturbo da movimento stereotipato; comportamento alimentare ritualizzato, come nei disturbi alimentari; preoccupazione per sostanze o per il gioco d’azzardo, come nei disturbi correlati a sostanze e nei disturbi da addiction; preoccupazioni legate all’avere una malattia, come nel disturbo da ansia di malattia; impulsi o fantasie sessuali, come nei disturbi parafilici; impulsi, come nei disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta; ruminazioni relative al senso di colpa, come nel disturbo depressivo maggiore; pensieri intrusivi o preoccupazioni deliranti, come nei disturbi dello spettro della schizofrenia e altri disturbi psicotici; oppure pattern di comportamenti ripetitivi, come nel disturbo dello spettro dell’autismo).

Specificare se:

- Con insight buono o sufficiente: L’individuo riconosce che le convinzioni del disturbo ossessivo-compulsivo sono decisamente o probabilmente non vere, o che esse possono essere o possono non essere vere.

- Con insight scarso: L’individuo pensa che le convinzioni del disturbo ossessivo-compulsivo siano probabilmente vere.

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sicuro che le convinzioni del disturbo ossessivo-compulsivo siano vere. Specificare se:

- Correlato a tic: L’individuo ha una storia attuale o passata di disturbo da tic

1.2 SOTTOTIPI CLINICI

Il DOC è un disturbo eterogeneo e diverse sono state le proposte per la sua sottotipizzazione. Una delle prime classificazioni, proposta da Eisen e Rasmussen nel 1990, si basava sul tipo di compulsione prevalente e prevedeva cinque principali categorie: washers, checkers, ossessioni pure, lentezza ossessiva primaria e pazienti con rituali misti. Successivamente, nel 1999, David Mataix-Cols e collaboratori ne individuarono cinque classi: 1) ossessioni di simmetria e compulsioni di ripetizione, conteggio, ordine; 2) ossessioni e compulsioni di accumulo; 3) ossessioni di contaminazione e compulsioni di lavaggio; 4) ossessioni aggressive e compulsioni di controllo; 5) ossessioni sessuali/religiose e relative compulsioni. Una recente classificazione, centrata sulle ossessioni, è quella precedentemente citata di Abramowitz e collaboratori (2010). In generale, basandosi sulla tipologia di compulsioni, è possibile distinguere sette tipologie di DOC, ma occorre comunque tener conto che si possono sviluppare quadri polisintomatici (Melli, 2011).

- Disturbi da contaminazione (washers/cleaning): ossessioni riguardanti il timore dello sporco (rupofobia) e della contaminazione da parte di germi, accompagnati da esasperati rituali, ripetuti e particolareggiati, di “decontaminazione”, di lavaggio di sé e di disinfezione dell’ambiente (ablutomania). Chi ne è affetto è tormentato dall’insistente preoccupazione di

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potersi sporcare o contaminare entrando in contatto con sostanze di vario tipo, quali escrementi, secrezioni corporee, sangue, siringhe, sporcizia, sostanze chimiche, saponi, solventi ecc. Perciò la persona si sente costretta a evitare svariati luoghi (bagni e giardini pubblici, supermercati, cabine telefoniche, autobus ecc.), al fine di evitare di provare la sensazione di contaminazione. Se, invece, entra in contatto (o semplicemente pensa di essere entrata in contatto) con una delle costanze contaminanti, attua le compulsioni spesso coinvolgendo anche i familiari, costringendoli a evitare i luoghi contaminati e a lavarsi più del necessario. La contaminazione può essere intesa anche in senso sociale (derivante da un barbone o da un tossicodipendente) o metafisico (il male, il diavolo, la negatività), oppure può essere slegata dal timore di contrarre una malattia e fare, invece, riferimento esclusivamente al senso di disgusto e di “contaminazione morale”.

- Disturbi da controllo (checkers): ossessioni dubitative di non aver eseguito piccole incombenze quotidiane, come aver chiuso il gas, fino alla paura di poter causare danni materiali, fisici o emotivi in modo involontario per distrazione o leggerezza, come investire qualcuno con la macchina. Le compulsioni consistono in comportamenti di controllo e ricontrollo del proprio operato, legati al dubbio ossessivo di aver fatto qualcosa di male e non ricordarlo (colpa da commissione) o di non aver fatto il possibile per prevenire qualunque eventuale catastrofe (colpa da omissione). Ad esempio i pazienti attuano ripetuti controlli per essere sicuri di aver chiuso il gas, le porte, le finestre, la cassetta della posta, i fari della macchina, di non aver

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investito involontariamente qualcuno, di non avere tracce di sangue addosso, ecc. Questo tipo di rituali coinvolge spesso i familiari che divengono oggetto di ripetute richieste di rassicurazione, o ai quali viene chiesto di fare controlli al posto della persona stessa (Eisen & Rasmussen, 1990).

- Disturbi da ordine e simmetria (orders): ossessioni riguardanti la necessità di ordine e simmetria relativa a oggetti (fogli, piatti, cd, etc.) o alla propria persona (la posizione di un orologio o la pettinatura dei capelli). Questi soggetti non tollerano che gli oggetti siano posti in disordine o in modo asimmetrico, perché ciò crea in loro la sgradevole sensazione di mancanza di armonia e logicità. Le compulsioni consistono nel riordinare, allineare, contare secondo una sequenza logica gli oggetti, o in rituali di messa in ordine allo specchio, che possono durare anche ore a causa delle ripetizioni e dei conteggi (Baer, 1994; Mataix-Cols et al., 1999).

- Disturbi magico/superstiziosi (repeaters e thinking ritualizes): ossessioni che il compiere o meno determinati gesti, pronunciare certi numeri, compiere certe azioni un certo numero di volte o in un certo modo, vedere o meno certe cose, numeri e colori, possa influire sull’esito positivo o negativo degli eventi che accadono a se stessi o alla loro famiglia (Eisen & Rasmussen, 1990; Mataix-Cols et al., 1999). Questo pensiero superstizioso esasperato costringe il soggetto all’evitamento di situazioni e alla messa in atto di rituali come ripetere un certo numero di volte l’azione che stava compiendo mentre ha

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visto o sentito cose o parole associate ala negatività/sfortuna. I rituali possono, alle volte, essere anche soltanto mentali, come contare o pregare.

- Ossessioni pure (Worriers/Pure obsessionals): pensieri, impulsi, immagini relativi a scene in cui i soggetti attuano comportamenti indesiderati, insensati, inaccettabili, sconvenienti o socialmente pericolosi, a contenuto aggressivo, religioso, sociale o sessuale. Tra questi ad esempio: il timore di fare del male a se stesso o agli altri, la presenza di immagini violente o terrificanti, il timore di pronunciare frasi oscene o insulti, bestemmiare, fare cose imbarazzanti, paura di essere responsabile di eventi terribili come incendi o furti, dubbio o terrore di poter essere omosessuale, oppure perversi o pedofili. L’ansia si genera conseguentemente al credere che il fatto stesso di avere una ossessione dica qualcosa sulla natura dell’individuo (ad es., “temo di essere un pedofilo, allora sono un pedofilo”), ed è spesso seguita dal dialogo interno finalizzato alla rassicurazione.

1.3 EPIDEMIOLOGIA, PREVALENZA, ESORDIO E FATTORI PRECIPITANTI La prevalenza del DOC è compresa tra l’1.19% e il 2.25% (Weissman, Bland, Canino, & Greenwald, 1994). Il disturbo può comparire nell’infanzia, nell’adolescenza e nell’età adulta: in età evolutiva è osservabile un rapporto maschi-femmine di 2:1, mentre nell’età adulta il DOC colpisce le donne in percentuale uguale o leggermente superiore rispetto agli uomini (Kaplan et al., 2000). Per quanto riguarda l’età di esordio, è più comune nella prima età adulta: solitamente i primi sintomi compaiono prima dei 25 anni e l’esordio è in genere precoce negli uomini

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(6-15 anni) e più tardivo nelle donne (20-29 anni); sono rari i casi in cui i primi sintomi si manifestano dopo i 40 anni (DSM-5; APA, 2013). L’esordio è insidioso, subdolo e graduale, tanto che i pazienti non riescono a ricordare con esattezza quando si sono presentati i primi sintomi. Più raramente è acuto, con sintomi improvvisi e sembra legato a un’infezione da streptococco in età pediatrica (Swedo et al., 1998), a traumi cranici (Laplane, 1994) o al post-partum (Sichel, Choen, Rosenbaum, & Discroll, 1993). Quest’ultimo pare essere l’unico fattore di rischio significativamente correlato all’esordio acuto del DOC nella popolazione femminile (Maina, Vaschetto, Ziero, Di Lorenzo, & Bogetto, 2001), ma ci sono evidenze anche a sostegno del ruolo dell’aborto spontaneo (Geller et al., 2001). Rientrano tra i fattori di rischio temperamentali i sintomi internalizzanti, l’emotività negativa e l’inibizione comportamentale in età infantile (DSM-5; APA, 2013). Importanti fattori precipitanti sono anche eventi psicosociali stressanti come le difficoltà matrimoniali, le malattie o la morte dei familiari, le frustrazioni e il lavoro eccessivo.

1.4 DECORSO, COMPLICANZE E PROGNOSI

Il DOC può avere un decorso episodico (nel 25% dei casi) o cronico (nel 75% dei casi). Il primo si caratterizza per l’alternanza di periodi in cui sono presenti i sintomi (circa un anno) e periodi di remissione totale (da mesi ad anni) (Bogetto, Maina, & Albert, 2000), ed è una forma che prevale nel sesso femminile, ha un esordio tardivo (>25 anni), riguarda soprattutto sintomi ossessivi, risponde piuttosto bene alle terapie ed è inoltre, spesso associata a depressione primaria. Il DOC a decorso cronico invece può essere fluttuante (alternanza di miglioramenti e peggioramenti dei sintomi, che non scompaiono mai nel tempo), stabile (sintomi stabili nel tempo) o

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ingravescente (il più comune e grave, dove dopo un esordio graduale dei sintomi si assiste a periodi di peggioramento e di stabilità alternati). Questo tipo di DOC è prevalente nei maschi ed è caratterizzato da sintomi compulsivi, da un esordio precoce (<25 anni), da una peggiore risposta al trattamento e dall’associazione con depressione secondaria. Oltre alla depressione vi possono essere altre complicanze quali tic, abuso di alcol e di sostanze psicoattive che sono al contempo, altri indicatori di prognosi sfavorevole, insieme all’esordio precoce, all’andamento cronico ingravescente e allo scarso insight (Cassano , 2006).

1.5 COMORBIDITÀ E DIAGNOSI DIFFERENZIALE

Comorbidità e diagnosi differenziale sono problematiche centrali nel DOC, come confermato da studi epidemiologici e clinici (Tükel, Polat, Osìzdemir, Aksut, Turksoy, 2002). Il DOC si trova in comorbidità con i disturbi d’Ansia nel 76% dei casi, con il disturbo depressivo, nel 63% dei casi con il disturbo bipolare e dal 23% al 32% dei casi con il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità (DSM-5; APA, 2013). Fino al 30% degli individui affetti da DOC ha anche un disturbo da tic nel corso della vita e nei bambini è possibile osservare una triade composta da DOC, disturbo da tic e ADHD (DSM-5; APA, 2013).

Per garantire una adeguata diagnosi differenziale è importante distinguere i quadri in base a specifici elementi.

Disturbi d’ansia: la tendenza all’ipervalutazione del rischio accomuna il DOC al disturbo di Panico e al disturbo d’Ansia Generalizzato; la dubitatività e l’insicurezza alla fobia sociale; l’intrusività delle immagini e l’impossibilità di

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resistervi al disturbo Post-Traumatico da Stress. Tuttavia è necessaria una diagnosi differenziale in quanto, mentre nei disturbi d’Ansia i pensieri ricorrenti riguardano solitamente aspetti legati alla vita reale, le ossessioni del DOC hanno contenuti bizzarri, irrazionali o di natura magica e non coinvolgono aspetti realistici. Inoltre nelle fobie, gli stimoli fobici sono solitamente più circoscritti e più facilmente evitabili, senza la presenza di rituali compulsivi.

Disturbo Depressivo Maggiore: in questo nelle ruminazioni i pensieri sono solitamente congruenti all’umore e non necessariamente sono vissuti come intrusivi o angoscianti e non si accompagnano a compulsioni.

Altri disturbi dello spettro ossessivo-compulsivo: nella Tricotillomania il comportamento compulsivo è limitato allo strapparsi peli in assenza di ossessioni e nel disturbo da Dismorfismo Corporeo le ossessioni e le compulsioni sono limitate alle preoccupazioni relative all’aspetto fisico.

Disturbi Alimentari: le ossessioni e le compulsioni si limitano a preoccupazioni relative al peso e al cibo.

Tic e movimenti stereotipati: questi due elementi sono tipicamente meno complessi delle compulsioni e non hanno l’obiettivo di neutralizzare un’ossessione.

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Disturbi psicotici: nonostante alcuni soggetti con DOC abbiamo scarso insight o convinzioni deliranti, non presentano altre caratteristiche dei disturbi psicotici.

Altri comportamenti simil-compulsivi: il gioco patologico e l’uso di sostanze sono comportamenti descritti come “compulsivi” ma, contrariamente a quanto accade nel DOC dove il soggetto attua con fatica e sofferenza le compulsioni, qui il paziente trae piacere dall’attività.

Disturbo Ossessivo-compulsivo di personalità: rappresenta un pattern duraturo di eccessivo perfezionismo e controllo rigido e non è caratterizzato da pensieri, immagini o impulsi intrusivi, o da comportamenti ripetitivi messi in atto in risposta a queste intrusioni.

1.6 EZIOLOGIA

Pur non potendo individuare un singolo modello eziopatogenetico scientificamente dimostrato alla base del DOC, negli ultimi anni sono state elaborate numerose ipotesi di tipo neuro-biologico e psicologico (psicodinamico, cognitivo e comportamentale) (Melli, 2011).

1.6.1 Ipotesi neuro-biologiche

Studi su famiglie e su gemelli hanno dimostrato un’alta prevalenza familiare di questo disturbo (Pauls, Alsobrook, Goodman, Rasmussen, & Leckman, 1995), altri studi si sono invece concentrati sulla modalità di trasmissione genetica (Nestadt et al., 2000) ed altri, infine, sui polimorfismi genetici specifici che

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causerebbero alterazioni in altrettanto specifici sistemi neurotrasmettitoriali (Camarena et al., 2001; Mundo, Richter, Sam, Macciardi, & Kennedy, 2000). Una delle ipotesi patogenetica più accreditata sostiene che la sintomatologia del DOC sia correlata alla disregolazione del sistema neurotrasmettitoriale serotoninergico, e in parte anche di quello dopaminergico, che causerebbe una diminuzione della serotonina in specifiche aree cerebrali, in particolare nel circuito fronto-striatale. Questo è confermato dal miglioramento della sintomatologia ossessivo-compulsiva successivamente alla somministrazione dei farmaci inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI). Uno studio di Baxter e colleghi (2000) ha utilizzato la PET per dimostrare come nella testa del nucleo caudato di pazienti con DOC si riscontrino livelli metabolici più alti rispetto ai soggetti normali. Tali livelli si riducono con la somministrazione di SSRI e con la psicoterapia, di cui è stata dimostrata l’efficacia a livello biologico. Vi sono altre strutture cerebrali coinvolte nella genesi del DOC: gli altri gangli della base e la corteccia orbito-frontale. Quest’ultima, che sappiamo svolgere un ruolo nella valutazione delle conseguenze comportamentali e nella regolazione emotiva, con un’importante funzione inibitoria delle risposte emotive e comportamentali, sembra essere iperattivata nel DOC; si parla infatti di “iperfrontalità”, che innesca un costante ed eccessivo allarme anche davanti a stimoli innocui, unito a controllo e rigidità sproporzionati rispetto alle situazioni.

1.6.2 Ipotesi psicologiche

La prima ipotesi psicologica è stata quella psicoanalitica. Freud sosteneva che i sintomi della “nevrosi ossessiva” rappresentavano delle risposte difensive nei

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confronti di impulsi inconsci inaccettabili per l’individuo. In particolare si parlava di una regressione alla fase anale dello sviluppo in cui il bambino sperimenta impulsi aggressivi e ostili nei confronti delle figure genitoriali e mette in atto comportamenti ossessivi e compulsivi per controllare tali impulsi. I meccanismi di difesa dell’Io impiegati dai pazienti DOC mirano quindi a tenere sommersi impulsi sadico-anali inconsci. Anche se tale ipotesi è considerata poco plausibile, Freud aveva già individuato modalità di pensiero tipiche del paziente DOC oggi considerate valide: la difesa dei pensieri inaccettabili, l’eccessiva importanza attribuita al pensiero e il timore di danneggiare gli altri.

In ottica comportamentale, il problema centrale del DOC è rappresentato dalle compulsioni e dagli evitamenti. Questi agiscono, attraverso meccanismi di condizionamento operante, come rinforzi negativi dell’associazione condizionata tra gli stimoli ansiogeni e la risposta d’ansia stessa. Il comportamento superstizioso riduce l’ansia e questo porta all’aumento della frequenza di attuazione dei rituali, alla loro cronicizzazione e generalizzazione e al rafforzamento dell’iniziale associazione stimolo-risposta (Franceschina, Sanavio, & Sica, 2004). Le compulsioni divengono, quindi, fattori di mantenimento del disturbo stesso, al pari dell’evitamento tipico delle fobie. La prospettiva cognitiva integra quella comportamentale focalizzandosi sui meccanismi che differenziano le normali intrusioni mentali dalle ossessioni patologiche.

(22)

2.

M

ODELLO COGNITIVO DEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO

2.1 IL MODELLO COGNITIVO

Secondo i modelli cognitivi in generale, l’individuo persegue degli scopi e si comporta in base ad un proprio sistema di credenze, cioè un sistema di regole mentali costruito dalla persona per creare le condizioni necessarie per soddisfare lo scopo. Si tratta di convinzioni rigide e assolutistiche del tipo “Se…allora…” che hanno il fine di tenere disattivati gli schemi negativi del sé, degli altri e del mondo, che l’individuo si è formato nella storia di vita in base ad eventi traumatici o rilevanti. Queste convinzioni irrazionali portano alla formulazione di pensieri automatici caratterizzati da distorsioni cognitive che sono responsabili della genesi delle emozioni negative. Secondo Rachman (1997), le ossessioni sono fenomeni comuni che tendono a scomparire da soli nella maggior parte delle persone, a meno che non vengano valutati come pericolosi per l’individuo. La loro persistenza causa ansia, depressione e messa in atto di strategie inefficaci per gestire i pensieri intrusivi e ridurre l’ansia (ad es., soppressione del pensiero e comportamenti compulsivi) che paradossalmente intensificano la frequenza e l’impatto delle intrusioni (Clark & Beck, 2010; Salkovskis, 1985) generando l’instaurarsi di un circolo vizioso che si autoalimenta e porta al disturbo vero e proprio.

Secondo la teoria cognitiva classica delle ossessioni patologiche (Rachman & Hodgson, 1980) l’aspetto fondamentale nel determinare l’insorgenza delle ossessioni è la valutazione iniziale (appraisal) che l’individuo effettua su pensieri, immagini o impulsi intrusivi spontanei e naturali. Se tale valutazione si mostra troppo rigida e prevede una interpretazione erronea, di minaccia, di tali fenomeni basata sul proprio

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sistema di credenze e convinzioni, si innescano pensieri automatici negativi (PAN) sulle intrusioni stesse, con le conseguenti risposte ansiose intense e i relativi comportamenti compulsivi volti a regolarle.

Sono state quindi effettuate ricerche volte all’identificazione delle credenze rilevanti nel DOC che hanno permesso lo sviluppo di un modello cognitivo-comportamentale completo del disturbo che unisce tale attenzione per i fenomeni cognitivi alle classiche formulazioni della teoria dell’apprendimento, stimolando così ulteriori ricerche (Sica, Novara, & Sanavio, 2002a; 2002b).

Nel 1997 il gruppo di ricerca internazionale “Obsessive Compulsive Cognition Working Group” ha individuato e definito le sei credenze disfunzionali (beliefs) ritenute rilevanti nell’influenzare i pensieri automatici negativi (PAN) e quindi la trasformazione di normali pensieri intrusivi occasionali in ossessioni patologiche:

- “Responsabilità ipertrofica”: eccessivo senso di responsabilità dell’individuo, che si sente in dovere di prevenire ogni possibile danno a sé o agli altri perché altrimenti se ne considera il colpevole nell’averlo determinato sia in caso di omissione, che di incapacità o impossibilità.

- “Eccessiva importanza dei propri pensieri”: assunzione secondo la quale la semplice presenza o formulazione di un pensiero ha implicazioni sul piano reale. Fanno parte di questo dominio fenomeni tipici quali il “pensiero magico” e la fusione “pensiero-azione” (pensare una cosa equivale a farla) e “pensiero-evento” (pensare ad un evento equivale a farlo accadere).

- “Eccessiva preoccupazione riguardo al controllo dei propri pensieri”: necessità di controllare la propria attività mentale effettuando un monitoraggio frequente di pensieri o immagini mentali, e sviluppando un

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senso di responsabilità per l’eventuale presenza di contenuti indesiderati e la percezione di un obbligo nell’allontanarli.

- “Sovrastima della minaccia”: sovrastima sistematica della probabilità che un certo evento negativo si verifichi, e della gravità delle sue conseguenze. - “Intolleranza dell’incertezza”: necessità di raggiungere una certezza del

100% con una scarsa fiducia nelle proprie capacità di far fronte ad una situazione nuova, ambigua o incerta.

- “Perfezionismo”: convinzione che possa esistere una soluzione perfetta per ogni problema e che soluzioni imperfette non siano accettabili e possano avere conseguenze catastrofiche.

Studi successivi hanno raggruppato le sei credenze in tre dimensioni: Sovrastima della minaccia/Responsabilità ipertrofica; Eccessiva importanza attribuita ai propri pensieri/Necessità di controllare i propri pensieri; Intolleranza dell’incertezza/Perfezionismo (OCCWG, 2005).

2.2 LA RESPONSABILITÀ IPERTROFICA

Nel DOC l’attività ossessiva è preceduta e accompagnata dall’ansia che si collega alla previsione di un danno a sé stessi o a terzi. Osservazioni cliniche e risultati empirici hanno dimostrato che l’ansia persiste non solo finché permane l’incombenza della minaccia, ma anche finché il soggetto percepisce una propria responsabilità. Lopatka e Rachman (1995) e Shafran (1997) hanno dimostrato che è possibile ottenere una diminuzione dell’ansia spostando la percezione di responsabilità per il risultato dal soggetto allo sperimentatore. Altresì, in presenza di una persistente

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minaccia di danno, la rimozione di responsabilità percepita è una condizione sufficiente per la riduzione dell’ansia in pazienti ossessivi.

La tesi che in particolare la responsabilità ipertrofica giochi un ruolo fondamentale nel DOC è quindi ormai ampiamente accettata (Freeston, Ladouceur, Gagnon, & Thibodeau, 1993; Ladouceur, Leger, Rheaume, & Dube, 1996; Rachman, 1993, 1997, 1998, 2002; Salkovskis, 1985, 1996; Salkovskis & Forrester, 2002). Ad esempio, Salkovskis e colleghi (2000) e Mancini, D’Olimpo e D’Ercole (2001) hanno dimostrato, utilizzando un apposito questionario, come il senso di responsabilità sia un buon predittore di ossessioni e compulsioni. Altri studi si sono occupati di dimostrare come la diminuzione della responsabilità percepita per un determinato esito negativo si traduca, sia in soggetti clinici sia in soggetti non clinici, in una riduzione significativa dei livelli di ansia, angoscia, disagio e dell’urgenza dei rituali di neutralizzazione, a causa della diminuzione della stima di probabilità di accadimento dell’esito (Lopatka & Rachman, 1995; Shafran, 1997). L’induzione di un senso di responsabilità accompagnato ad uno stato mentale di minaccia, guida quindi il soggetto nel processo di controllo ingenuo delle ipotesi in modo prudenziale.

Salkovskis e Forrester (2002) definiscono la responsabilità ipertrofica come la “convinzione che si abbia il potere cruciale di causare o prevenire esiti negativi soggettivamente molto importanti. Questi esiti sono rappresentati come essenziali da prevenire. Essi potrebbero essere reali, ossia potrebbero avere conseguenze nel mondo reale e/o a livello morale”.

Tale responsabilità viene considerata come uno stato mentale composto da tre ingredienti:

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1) la minaccia di un esito negativo, che può essere palese, come un incidente stradale, oppure una minaccia morale (fusione pensiero-azione) (Ladouceur et al., 1996);

2) la prevenzione dell’esito negativo come obiettivo primario;

3) la credenza in un potere personale cruciale (pivotal power) per evitare l’esito negativo.

Questa definizione esige però di un perfezionamento perché:

a) le suddette tre caratteristiche in realtà non sono né necessarie né sufficienti per far sentire l’individuo responsabile;

b) ci sono altri ingredienti che è possibile modulare per aumentare il senso di responsabilità;

c) questa definizione non tiene conto dell’ansia che caratterizza l’esperienza ossessiva che è possibile spiegare in termini di paura di non essere all’altezza dei propri compiti.

La persona responsabile non è colei che crede che la propria azione/omissione possa causare un esito negativo, ma chi crede di dover rispondere per il proprio comportamento e non tanto per un certo risultato.

Le caratteristiche del suo stato mentale sono:

 deve considerare l’esito negativo come ingiusto e non solo pericoloso;  deve avere un obiettivo di condotta moralmente corretto;

 la propria azione/omissione deve essere considerata libera da vincoli e costrizioni.

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Stando alla definizione di Salkovskis e Forrester (2002), secondo cui negli ossessivi sia le azioni sia le omissioni sono il risultato di una scelta deliberata e consapevole, le due ragioni quantitative che permettono di distinguere la persona responsabile da quella iper-responsabile sono: l’assolutizzazione dell’obiettivo di impedire un esito negativo e la convinzione di avere un potere cruciale (pivotal power) nell’evitare tale esito. Mancini e Gangemi (2004) riscontrano la presenza di altri fattori che contribuiscono all’ipertrofia della responsabilità e che possono entrare in gioco in soggetti ossessivi: il grado di libertà che ognuno crede di avere; la presenza/assenza di persone co-responsabili e l’intenzionalità dell’azione/omissione.

Come fattori evolutivi che possono contribuire all’esagerato senso di responsabilità dei pazienti ossessivi, Salkovskis e colleghi (2000) hanno identificato diverse esperienze precoci:

 essere caricati in tenera età di una eccessiva responsabilità a causa dell’assenza o incompetenza altrui;

 un evento negativo in cui è stata effettivamente la propria azione/omissione a contribuire in modo significativo ad un grave danno a sé e agli altri;

 un evento negativo in cui il soggetto ha avuto l’impressione che un proprio pensiero e/o azione od omissione abbia causato un grave danno;

 non essersi mai sentiti responsabili perché si è stati sistematicamente sollevati da qualunque minima responsabilità;

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2.3 TIMORE DI COLPA PER IRRESPONSABILITÀ NEL DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO

Strettamente legato al concetto di responsabilità ipertrofica, vi è quello di “timore di colpa” (Mancini & Gangemi, 2004) che secondo alcuni autori caratterizza il paziente ossessivo-compulsivo.

Il timore di colpa derivante dall’irresponsabilità spiegherebbe, rispettivamente: A. la tendenza generale degli ossessivi a resistere alle rassicurazioni non

cambiando le loro credenze di pericolo;

B. la ripetitività e la persistenza dei tentativi di impedire, neutralizzare o evitare il pericolo;

C. la tendenza a dare credito ad ipotesi di pericolo non plausibili; D. la frequenza di percezione della minaccia;

E. il mantenimento a lungo termine del disturbo ossessivo-compulsivo.

Il timoroso di colpa per irresponsabilità deve essere differenziato da colui che teme un danno: quest’ultimo ha il focus attentivo sul fatto dannoso in sé, con lo scopo di prevenirlo e fronteggiarlo o contenerlo; l’ossessivo invece è focalizzato sulla correttezza della propria performance ed ha lo scopo di non agire/omettere, così da non poter essere accusato di nulla. Per quest’ultimo l’importante è prevenire la possibilità di essere colpevole di non aver fatto tutto quanto in suo dovere, più che prevenire effettivamente un certo danno (Mancini & Gangemi, 2004a). Questo viene confermato dalla tendenza del paziente a concentrarsi su un’unica strada, perché preoccupato della correttezza della propria azione piuttosto che del risultato, e dall’ipersensibilità agli eventi negativi ma non a quelli positivi (Rachman, 1993).

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L’incremento del timore di colpa per irresponsabilità aumenta significativamente, anche in soggetti non clinici, il comportamento ossessivo, come ad esempio esitazioni, controlli ripetuti e prolungati, e genera anche reazioni emotive corrispondenti a quelle riferite dai pazienti ossessivi, come intollerabile senso di incertezza, forte dubbiosità e ansietà (Ladouceur et al., 1995; Mancini, D’Olimpo, & Cieri, 2004).

I pazienti ossessivi tenderebbero quindi a sovrastimare la minaccia come conseguenza di un forte timore di colpa per irresponsabilità che modifica la percezione del pericolo e le aspettative di danno. Menzies e colleghi (Menzies, Harris, Cumming, & Einstein, 2000; Jones & Menzies, 1997) hanno infatti dimostrato come l’attribuzione di gravità di un esito negativo in soggetti non clinici aumenti se questi si ritengono i principali responsabili dell’esito stesso e diminuisca quando ritengono qualcun altro colpevole.

Un esperimento condotto da Mancini e colleghi (Mancini, Gangemi, & van de Hout, 2003) ha dimostrato come soggetti normali, ai quali viene indotto un senso di colpa attraverso la rievocazione di colpe passate, quando si trovano di fronte ad un compito di cui si assumono la responsabilità, attribuiscano ad un possibile esito negativo una probabilità e una gravità maggiori di quanto accade se lo stato emotivo di base è positivo; in pratica, essi innalzano gli standard di valutazione che adottano per valutare le proprie performance e preferiscono scelte certe. Accade invece il contrario se viene indotto uno stato di soddisfazione morale per sé stessi.

Negli ossessivi, il senso di colpa connesso all’evento temuto funge da informazione per inferire che lo stesso si verificherà, che sarà gravissimo e che la propria performance preventiva risulterà inadeguata rispetto ai propri standard morali e che

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quindi essi saranno seriamente colpevoli. Oltre allo stato emotivo anche il comportamento preventivo esercitato dagli ossessivi incrementa il senso di responsabilità nel prevenire l’evento dannoso temuto (Lopatcka & Rachman, 1995) ed entrambi i meccanismi facilitano la drammatizzazione dell’evento critico e la resistenza al cambiamento delle credenze ossessive.

Un primo gruppo di ricerche condotte da Mancini e Gangemi (2003) ha indagato il ruolo del timore di colpa nella determinazione della focalizzazione dell’ipotesi peggiore (ipotesi di pericolo) anche quando non è esplicitata nella formulazione del problema. Sono stati effettuati due studi dove si induceva mediante istruzioni uno stato di responsabilità e il timore di colpa. Nel primo esperimento i soggetti timorosi di colpa, posti di fronte a un’ipotesi favorevole (ipotesi esplicita), generavano un numero elevato di alternative negative; nel secondo studio i soggetti, sempre posti di fronte a un’ipotesi favorevole, si focalizzavano sull’ipotesi negativa implicita selezionando domande ad essa relative. In entrambe le condizioni, se chiamati a effettuare una scelta tra una diagnosi grave implicita e una diagnosi più favorevole esplicita, optavano per l’ipotesi negativa implicita.

Un secondo gruppo di ricerche (Mancini, 2006) ha invece indagato le fasi di focalizzazione e di controllo del processo attraverso la somministrazione di una versione modificata del Wason Selection Task (Wason, 1966) in due diversi contesti: timore di colpa per irresponsabilità e non assunzione di responsabilità. Al fine di indurre il timore di colpa, il soggetto, al quale veniva detto di essere un medico, veniva informato che in passato aveva commesso numerosi errori diagnostici per superficialità, distrazione e scarso impegno con conseguenze gravi per i propri pazienti. Il compito prevedeva di porre i soggetti di fronte a un’ipotesi diagnostica

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iniziale confermata (di sicurezza: diagnosi di influenza; di pericolo: diagnosi di leucemia) per poi chiedergli di indicare:

a) se intendevano procedere o meno nel processo diagnostico;

b) in caso di risposta affermativa, quale delle due ipotesi/diagnosi volevano sottoporre a verifica;

c) attraverso quale strategia intendevano controllare l’ipotesi scelta.

Quello che emerge dagli studi sin qui esposti è che i soggetti normali, resi timorosi di commettere una colpa, se devono controllare le ipotesi circa la congruenza o meno tra lo stato percepito e quello prescritto dalla norma morale:

a) focalizzano l’ipotesi di pericolo, sia quando questa è implicita e solo quella di sicurezza è esplicita, sia quando si trovano a poter scegliere tra un’ipotesi favorevole ed una sfavorevole entrambe esplicite;

b) ricercano la conferma dell’ipotesi peggiore, di fronte sia ad evidenze favorevoli che sfavorevoli, e la disconferma dell’ipotesi favorevole;

c) in caso di disconferma dell’ipotesi di pericolo continuano il processo di controllo richiedendo molte più prove per rigettare l’ipotesi sfavorevole che per mantenerla, in quanto temono più l’errore di omissione delle credenze peggiori che l’errore di commissione.

Tale modalità iper-prudenziale di controllo delle ipotesi spiega la tendenza degli ossessivi a dare credito a ipotesi implausibili e ai loro modi tipici di pensare, come il pensiero magico e la fusione pensiero-azione e pensiero-evento (OCCWG, 1997), e rende ragione della loro tipica intolleranza all’incertezza.

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Il timore di colpa ricopre un ruolo anche nella fiducia che il soggetto ha nei confronti della propria memoria. Radomsky e colleghi (Radomsky & Rachman, 1999; Radomsky, Rachman, & Hammond, 2001) e Van Den Hout e Kindt (2002) hanno dimostrato come l’aumento del senso di responsabilità e del timore di colpa ad essa connesso comporti una riduzione della fiducia nelle proprie capacità mnestiche, sia in soggetti normali che ossessivi. Al contrario, una percezione di riduzione di responsabilità comporta un recupero della fiducia. Il legame tra lo stato affettivo-emozionale caratterizzato da timore di colpa e la sfiducia nella propria memoria è stato così spiegato:

a) l’attivazione ansiosa legata all’emozione negativa di colpa interferisce con la memorizzazione (Rachman, 2002);

b) in caso di colpa, l’attenzione del soggetto è indirizzata soprattutto verso la minaccia e verso la propria reazione alla minaccia (Rachman, 2002);

c) in condizioni di minaccia, gli standard di nitidezza del ricordo adottati dal soggetto sono molto elevati;

d) la ripetizione dei controlli interferisce con la memorizzazione dei risultati dei controlli stessi (Van Den Hout & Kindt, 2002).

Rachman (2002) sottolinea che se il soggetto arriva a dubitare delle proprie facoltà mentali e della propria stabilità mentale, allora saranno possibili conseguenze “ossessivizzanti” anche nel lungo periodo.

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2.4 IL COSTRUTTO DELLA “GUILT SENSITIVITY”

Già dal XVII secolo Taylor, un medico che per primo descrisse in modo scientifico il disturbo ossessivo-compulsivo, riteneva che alla base del disturbo vi fosse un esagerato senso morale, una ampliata scrupolosità, un eccesso di religiosità e una spiccata attitudine alla preoccupazione morale. Successivamente altri studiosi, tra cui Insel (1990), hanno ribadito tale concezione e nel 1909 Freud, nel saggio L’uomo dei topi, ha sottolineato la rilevanza del senso di colpa nel disturbo ossessivo.

La tradizione cognitivista italiana fa ampio riferimento al ruolo del rigore morale nella genesi e nel mantenimento del DOC, al riguardo sono da citare, tra gli altri, Guidano e Liotti (1983), Guidano (1988), Reda (1987), Lorenzini e Sassaroli (1995), Bara, Manerchia e Pelliccia (1996). Ugazio (1997) ha approfondito gli aspetti relazionali del DOC, sottolineando il ruolo fondamentale del conflitto tra una moralità desiderata, ma considerata “mortifera”, e una immoralità temuta, ma desiderata perché “vitale”.

I motivi che stanno alla base della vulnerabilità morale del paziente ossessivo possono essere molti e tra questi è stata individuata la relazione di attaccamento caratterizzata da una bassa cura ed un alto controllo da parte dei genitori (Hafner, 1988). Guidano e Liotti (1983) attribuiscono un valore cruciale all’ambiguità nella relazione di attaccamento in cui i genitori comunicherebbero affetto e apprezzamento a livello verbale, ma freddezza e disapprovazione sul piano non verbale. Gli autori sostengono che il vero motore delle ossessioni e delle compulsioni sia l’attitudine al dubbio che scaturisce, conseguentemente alla ricerca di certezza assoluta, dall’incertezza circa il fatto di essere o meno una persona disprezzabile. La severità educativa, come costrutto complesso e articolato, spiegherebbe la tendenza a temere

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esageratamente le colpe per irresponsabilità (Bara, Manerchia & Pelliccia, 1996; Guidano, 1988; Guidano & Liotti, 1983; Lorenzini & Sassaroli, 1992; Reda, 1987), che sembra quindi una conseguenza di atteggiamenti sprezzanti, aggressivi e svilenti subiti in età evolutiva.

Nel determinare la modalità di gestione di un’emozione ha un ruolo cruciale la valutazione del soggetto del proprio stato emotivo, perché se un’emozione viene percepita come una minaccia, per esempio, abbastanza prevedibilmente l’individuo cercherà di evitarla o contenerla. Questa valutazione negativa fatta dal soggetto consiste nella “sensibilità” di quest’ultimo ad uno stato emotivo.

Nel caso del disgusto, altra emozione che si è dimostrata importante soprattutto nel DOC con sintomi di contaminazione, si è evidenziata la distinzione tra propensione al disgusto, cioè la tendenza di tratto a sperimentarne elevati livelli, e la sensibilità al disgusto, cioè la tendenza a sopravvalutare le conseguenze negative delle manifestazioni di disgusto, che porta a una forma di intolleranza e avversione rispetto a questa emozione (van Overveld, de Jong, Peters, Cavanagh, & Davey, 2006). E’ stato anche dimostrato (Mancini, Gangemi, Perdighe, & Marini, 2008; van Overveld, de Jong, & Peters, 2008) che la sensibilità al disgusto ha un ruolo più rilevante della propensione allo stesso nei sintomi OC.

Come per il disgusto, anche per la colpa è possibile fare una distinzione tra la propensione a sperimentare tale emozione fortemente e più o meno stabilmente (colpa di tratto e colpa di stato) e la sensibilità alla colpa, cioè la tendenza a sopravvalutare le conseguenze negative di suddetta emozione, sia in termini di intolleranza e significato catastrofico legato a tale esperienza emotiva, sia per le ripercussioni sulla propria vita sociale e interpersonale.

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In particolare, questa distinzione sembra essere abbastanza evidente nei pazienti DOC, indipendentemente dal dominio, nei quali, rispetto alla popolazione generale e a quella psichiatrica, si riscontra una maggiore tendenza a sentirsi responsabili e a provare colpa percependola in modo più minaccioso (Bouvard, Harvard, Ladouceur., & Cottraux, 1997; Cartwright-Hutton & Wells 1997; Shapiro & Stewart, 2011). Vari studi hanno esplorato il ruolo della colpa di tratto nel disturbo ossessivo-compulsivo sottolineando come i pazienti DOC tendano a provare più facilmente senso di colpa rispetto ai controlli sani (Shafran, Watkins, & Charman, 1996; Steketee, Bianco, & Quay, 1991). Mentre alcuni autori hanno mostrato una specifica associazione tra senso di colpa di tratto e DOC nei pazienti con ossessioni di responsabilità per danno (Foa, Amir, Bogert, Molnar, & Prezworsky, 2001; Foa, Sacchi, Tolin, Prezworsky, & Amir, 2002; Salkovskis et al, 2000) e con ossessioni di contaminazione (Menzies, Harries, Cumming, & Einstein, 2000; Sica, Taylor, Arrindell, & Sanavio, 2006; Taylor, Coles, Abramowitz, Wu, Olatunji, & Timpano, 2010; Tolin, Brady, & Hannan, 2008), Melli e colleghi (Melli, Chiorri, Carraresi, Stopani, & Bulli, 2015) in un recente studio, condotto su un ampio campione clinico di pazienti DOC italiani, hanno evidenziato come la colpa di tratto non sia un predittore significativo di alcuna dimensione della sintomatologia OC.

Questi risultati contraddittori, tuttavia, si riferiscono alla relazione tra la colpa di tratto e il DOC, mentre la letteratura suggerisce che sia il timore della colpa per una futura condotta irresponsabile che può portare a sviluppare sintomi DOC (Gangemi, Mancini, & van den Hout, 2007; Mancini & Gangemi, 2004; Mancini et al., 2004). Ciò fa ragionevolmente ipotizzare che i pazienti DOC non abbiano un’alta propensione a provare colpa (colpa di tratto), ma una sensibilità alla colpa

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particolarmente elevata, intesa come una sensazione che tale emozione sia insopportabile, e quindi debba essere ad ogni costo evitata.

2.5 IPOTESI DI RICERCA

Dal momento che non esiste in letteratura uno strumento che misuri il costrutto della sensibilità alla colpa, il primo scopo di questo lavoro è stato quello di costruire uno strumento affidabile da utilizzare in ambito clinico e di ricerca, il Guilt Sensitivity Questionnaire (GSQ), testandone le proprietà psicometriche su un ampio campione non clinico italiano.

Il secondo scopo di questo studio è stato quello di esplorare il ruolo predittivo della sensibilità alla colpa, così come misurata dal GSQ, rispetto alle varie tipologie di sintomi in un campione clinico eterogeneo di pazienti DOC. In particolare, le ipotesi che ci siamo proposti di verificare sono che:

1. il costrutto della sensibilità alla colpa correli in modo significativo con la sintomatologia del DOC, in particolare con il timore ossessivo di essere responsabili di danni, lesioni o sciagure, e i relativi rituali di controllo;

2. la sensibilità alla colpa sia l’unico predittore dei sintomi ossessivi di questo tipo, pur controllando l’ansia, la depressione e le credenze cognitive disfunzionali tipicamente associate al disturbo ossessivo-compulsivo.

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3.

G

LI STUDI SPERIMENTALI

3.1 Il primo studio

Lo studio 1 era finalizzato a costruire una nuova scala da poter utilizzare in ambito clinico e di ricerca, il Guilt Sensitivity Questionnaire (GSQ), testandone la struttura fattoriale, l’affidabilità e la validità di costrutto in un ampio campione non clinico italiano. In seguito, un secondo studio è stato condotto per esaminare come il GSQ sia un buon predittore dei sintomi ossessivo-compulsivi utilizzando un campione clinico eterogeneo e relativamente grande di pazienti. È stato ipotizzato che: (1) la sensibilità alla colpa correli in modo significativo con i sintomi del disturbo ossessivo-compulsivo, in particolare con la responsabilità per danni, lesioni o sciagure, e (2) la sensibilità al senso di colpa sia il maggiore e unico predittore dei sintomi indipendentemente da ansia, depressione e credenze cognitive disfunzionali associate al DOC.

3.1.1 Metodo

3.1.1.1 Partecipanti

Il campione era costituito da 473 volontari (60.7% di sesso femminile) tratti dalla popolazione generale con un’età media di 37.13 anni (DS = 14.27, range 18-83). Il 53.1% dei partecipanti aveva un livello medio di istruzione (12-13 anni, diploma di scuola superiore), il 29.4% aveva una laurea (16 o più anni, laurea o dottorato) e il rimanente 17.5% aveva un basso livello di istruzione (8 o meno anni, licenza elementare o media). La maggior parte erano impiegati (63.9%), il 24.3% erano studenti universitari laureati, e il restante 11.8% erano casalinghe, disoccupati o

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pensionati. Per quanto riguarda lo stato civile, il 44.8% era celibe/nubile, mentre il 48.4% erano sposati o conviventi, il 5.3% erano divorziati, e l’1.5% erano vedove/i.

3.2.1.2 Strumenti di misura

Guilt Sensitivity Questionnaire (GSQ). Una versione preliminare del GSQ è stata progettata secondo le raccomandazioni per lo sviluppo di una scala (Furr, 2011), ed era costituita da 28 item. Tutti gli item sono stati formulati per valutare la sensibilità alla colpa, in termini di intolleranza di questo sentimento e di una tendenza a sopravvalutare le conseguenze negative e le ripercussioni sulla propria vita - per esempio, "Il peso della colpa è insopportabile e si dovrebbe sempre fare tutto il possibile per sbarazzarsi di esso”; “Tenermi alla larga da sentimenti di colpa è la priorità per me"; o "Preferisco fare molti sacrifici oggi, piuttosto che rischiare di sentirmi in colpa domani". Questi item iniziali sono stati poi inviati a un gruppo di esperti in psicologia clinica e psicometristi non altrimenti coinvolti nello studio; è stato chiesto loro di valutare la rilevanza e la rappresentatività di questi item rispetto al costrutto di sensibilità alla colpa e di proporre modifiche che ne avrebbero potuto migliorare il contenuto e la validità. Alcuni individui con disturbo ossessivo-compulsivo e disturbi d'ansia hanno anche fornito commenti sulla leggibilità, la comprensibilità e la rilevanza degli item. Dopo le valutazioni, 8 item sono stati rimossi e altri sono stati modificati per migliorarne la chiarezza, la specificità e la rilevanza. Il GSQ finale è risultato quindi composto da 20 item, due dei quali a punteggio inverso. Le istruzioni della scala sono le seguenti: "Le seguenti affermazioni descrivono una varietà di situazioni. Per favore le legga con attenzione e valuti con la massima onestà quanto è d’accordo con ognuna di esse, secondo la

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seguente scala: 0 = per niente, 1 = un po’, 2 = moderatamente, 3 = molto e 4 = del tutto".

Disgust Propensity Questionnaire (DPQ; Melli et al. 2012). Questa scala a 33 item è stata recentemente sviluppata per migliorare la valutazione della propensione al disgusto individuale in campioni italiani, dal momento che la versione italiana (Melli, Chiorri, & Smurra, 2013) della Disgust Scale-Revised (DS-R; Olatunji et al., 2007) - la scala più nota per la valutazione della disgust propensity - ha mostrato soddisfacenti, ma non eccellenti proprietà psicometriche, e alcuni degli item di questa scala non sono risultati adeguati al contesto culturale italiano. I partecipanti sono invitati a valutare ogni item su una scala Likert a cinque punti da 0 ('per niente') a 4 ('molto'). Il questionario ha mostrato una struttura monofattoriale, un’ottima coerenza interna (α = .95), un'adeguata attendibilità test-retest (r = .87) e buona validità di costrutto. In questo studio, questa scala ha mostrato una coerenza interna molto buona (α = .88).

Trait Guilt Short Scale (TGSS). Questa scala self-report a 11 item è una versione abbreviata della sottoscala della colpa di tratto del Guilt Inventory (Kugler & Jones, 1992), sviluppata per rispondere alle limitazioni psicometriche della versione italiana dell’originale Trait Guilt subscale, che ha mostrato insoddisfacenti parametri di validità e affidabilità (Melli et al., 2015). Le risposte sono valutate da 1 ('pienamente d'accordo') a 5 ('fortemente in disaccordo'). La scala ha mostrato una struttura monofattoriale, una buona coerenza interna (α = .84), attendibilità test-retest (r = .84)

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e validità di costrutto (Melli et al., 2015). Nel presente studio la coerenza interna è risultata molto buona (α = .88).

Dimensional Obsessive-Compulsive Scale (DOCS; Abramowitz et al., 2010). La DOCS è una scala a 20 item che valuta le principali dimensioni sintomatiche ossessivo-compulsive: ossessioni di contaminazione e compulsioni di lavaggio; ossessioni circa la responsabilità di causare danno e compulsioni di controllo; ossessioni di ordine e simmetria e compulsioni di ordine e riorganizzazione; pensieri ossessivi ripugnanti e rituali compulsivi mentali o altre strategie covert neutralizzanti. All'interno di ciascuna dimensione sintomatica, la scala comprende 5 item che valutano la gravità della sintomatologia su una scala Likert da 0 (‘assenza di sintomi’) a 4 (‘sintomi estremi’). Le sottoscale sono risultate altamente valide e attendibili (Abramowitz et al., 2010). La versione italiana della DOCS (Melli et al., 2014) ha replicato la struttura a quattro fattori della versione originale e ha mostrato una coerenza interna buona (α > .80 per tutte le sottoscale), una stabilità temporale adeguata (ICC > .75 per tutte le scale), e una buona validità di costrutto. Nel presente studio è stato calcolato solo il punteggio totale e la scala ha mostrato un’eccellente coerenza interna (α = .92).

Depression Anxiety Stress Scales-21 (DAAS-21; Lovibond & Lovibond, 1995). La DASS è un questionario self-report che elenca i sintomi emotivi negativi ed è suddiviso in tre sottoscale che misurano la depressione, l'ansia e lo stress. In questo studio abbiamo utilizzato la versione breve della DASS (Antony, Bieling, Cox, Enns, & Swinson, 1998; Clara, Cox, & Enns, 2001), che contiene 21 item, 7 item per ogni

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scala. I partecipanti valutano la frequenza con cui un particolare sintomo è stato sperimentato nella settimana precedente su una scala che va da 1 (‘non lo ho mai sperimentato’) a 4 (‘l’ho sperimentato nella maggior parte del tempo’). L'originale DAAS-21 ha mostrato buone proprietà psicometriche, e la sua versione italiana (Bottesi et al., 2015) ha replicato la struttura a tre fattori della versione originale, e ha mostrato una coerenza interna buona (α nell'intervallo .74 -. 92), un’attendibilità test-retest (r nel range .64 -.74) e una validità di costrutto adeguate. Nel presente studio tutte le sottoscale hanno mostrato una coerenza interna molto buona (α tra .84 e .90).

3.1.1.3 Procedura

Tutti i partecipanti hanno preso parte allo studio volontariamente, dopo essere stati informati con una dettagliata descrizione della procedura ed aver firmato un consenso informato scritto. L’ordine dei test è stato ruotato ogni 10 soggetti, per controllare gli effetti di ordine e di sequenza, e la batteria di questionari ha richiesto tra i 15 e i 25 minuti per essere completata. Non sono stati offerti incentivi esterni per la partecipazione a questo studio.

3.1.2 Risultati

3.1.2.1 Riduzione degli item, struttura fattoriale e affidabilità

In primo luogo, l’analisi fattoriale esplorativa (EFA) e l'analisi degli item sono state condotte per identificare gli item per l’eventuale eliminazione a causa di deboli proprietà psicometriche. A seguito di questa procedura di rimozione, l’EFA e l’analisi degli item sono state nuovamente eseguite per esaminare la struttura

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fattoriale e l'affidabilità della soluzione finale. La questione della determinazione del numero di fattori da estrarre è stata determinata eseguendo l’analisi delle dimensioni degli item del GSQ tramite l'ispezione dello Scree-plot. Dal momento che un paio di item hanno mostrato valori di asimmetria e di curtosi che cadevano al di fuori dell’intervallo [-1; +1] raccomandato da Muthén e Kaplan (1985) per usare lo stimatore di massima verosimiglianza, le analisi fattoriali sono state poi eseguite in Mplus 6.1 utilizzando lo stimatore robusto di massima verosimiglianza (MLR). Quando si utilizza lo stimatore MLR, Mplus 6.1 fornisce indici di adattamento per l’EFA analoghi a quelli della CFA, cioè il Tucker-Lewis Index (TLI), il Comparative Fit Index (CFI) e il Root Mean Square Error of Approximation (RMSEA). Seguendo le indicazioni di Marsh, Hau, e Wen (2004), abbiamo considerato i valori di TLI e CFI ≥ .90 come accettabili, e ≥ .95 come ottimali, e i valori RMSEA ≤ .08 come accettabili e ≤ .06 come ottimali. L'uso di più indici fornisce una valutazione conservativa e affidabile di adattamento del modello rispetto a un solo indice di misura.

L’indice Keyser-Meyer-Olkin (KMO) dell'adeguatezza del campionamento è risultato molto buono (KMO = .94), indicando che la matrice di correlazione era adatta per l’analisi fattoriale (Kaiser, 1974). Il Test di sfericità di Bartlett (Bartlett, 1954) è risultato significativo, suggerendo l’adeguatezza della matrice per l'analisi fattoriale. L'ispezione Scree-plot ha mostrato come gli autovalori iniziassero a stabilizzarsi dopo un fattore (primi cinque autovalori osservati: 8.77, 1.48, 1.13, 1.07, .95). Questo risultato suggerisce che la soluzione a un fattore sia la più appropriata, e l’EFA è stata eseguita con il numero di fattori da estrarre impostato su 1.

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