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L'autismo e le pratiche d'inclusione nelle scuole primarie

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Academic year: 2021

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1 Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE E TECNICHE

DELLE ATTIVITÀ MOTORIE PREVENTIVE E ADATTATE

L’autismo e i metodi d’inclusione nella scuole primarie

Candidato:

Prano Alessio

Relatori:

Prof. Alberto Franchi

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INDICE

1 DEFINIZIONE………... 3 2 CENNI STORICI………. 7 3 DIAGNOSI………...15 4 IL PROGRAMMA TEACCH………... 22

4.1 Caratteristiche della scala PEP-R………. 24

5 APPROCCIO ALL’ATTIVITA’ PSICOMOTORIA DA PARTE DEL BAMBINO AUISTICO………. 29

5.1 L’attività motoria: componente essenziale dello sviluppo………….. 29

5.2 Apprendimento degli schemi motori del movimento... 30

5.3 Il concetto di schema motorio………. 31

5.4 Processi implicati nell’effettuazione di attività motorie……… 32

5.4.1 L’elaborazione del programma motorio………... 32

5.4.2 Attenzione e memoria di lavoro……….. 32

5.4.3 Selezione e adattamento degli schemi motori... 33

5.4.4 L’esecuzione motoria... 34

5.4.5 Il controllo motorio……… 35

6 L’ATTIVITA’ FISICA ADATTATA IN ACQUA PER SOGGETTI AUTISTICI………. 36

7 LE DIFFICOLTA’ DI APPRENDIMENTO MOTORIO RISCONTRATE DAL BAMBINO AUTISICO……….. 47

7.1 Educazione motoria e integrazione degli allievi affetti da autismo… 48 7.2 Ritardo mentale e difficoltà motorie……… 49

8 NEURONI SPECCHIO………. 50

8.1 Comprensione dell’azione altrui………. 53

8.2 Comprensione dell’intenzione altrui……….. 53

8.3 Imitazione……….. 55

8.4 Capacità di riconoscere le emozioni altrui/empatia………. 55

9 EFFETTI DELL’ATTVITA’ FISICA SULL’AUTISMO………. 58

10 METODOLOGIA D’INCLUSIONE: TESIMONIANZA DIRETTA…….. 62

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1. DEFINIZIONE

L’Autismo fa parte, insieme alla Sindrome di Asperger, alla Sindrome di Rett, al Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato (PDD-NOS) e al Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia, del gruppo dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo. Tuttavia i clinici sempre più spesso ormai utilizzano la dizione Disturbi dello Spettro Autistico. Questa definizione (spettro autistico) significa che il disturbo colpisce ciascuna persona in modo differente variando da una lieve a una grave sintomatologia. I disturbi dello spettro autistico originano comunque da una compromissione dello sviluppo che coinvolge le abilità di comunicazione e di socializzazione, e sono in generale associati a comportamenti inusuali (ad esempio comportamenti ripetitivi o stereotipati) e a un’alterata capacità immaginativa. L’autismo è stato per anni erroneamente considerato un disturbo dovuto a inadeguate relazioni nell’ambiente familiare dipendenti dal comportamento dei genitori (origine psicodinamica). Attualmente la posizione scientifica condivisa a livello internazionale considera l’autismo una sindrome comportamentale associata a un disturbo dello sviluppo del cervello (porta con sè alterazioni della struttura e delle funzioni nervose) e della mente (include alterazioni dello sviluppo psico-cognitivo ed emozionale) con esordio nei primi tre anni di vita. Sia fattori genetici che ambientali sono oggi considerati all'origine dello spettro autistico. La sindrome si configura come una disabilità permanente che compare in età infantile ma accompagna il soggetto per tutta la durata della vita. Le caratteristiche del deficit sociale e cognitivo, come in generale la sintomatologia clinica, sono eterogenee in termini di complessità e gravità e presentano una espressività variabile nel tempo. Dal punto di vista clinico gli individui con autismo sono spesso divisi in due grandi gruppi: l’autismo sindromico, o secondario a cause note, che si presenta circa nel 10 % dei casi. In questa categoria la sindrome autistica è associata a malformazioni o caratteristiche dismorfiche evidenti soprattutto a livello facciale. In essa sono compresi individui che mostrano alterazioni in un singolo gene come nel caso della sclerosi tuberosa, della sindrome da X-Fragile, della Neurofibromatosi e di alcune malattie citogenetiche. Inoltre a questa categoria appartengono quei casi dovuti a infezioni contratte dalla madre in gravidanza (quali rosolia e citomegalovirus)

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e casi di autismo derivanti da esposizione prenatale ad agenti teratogenici quali la talidomide o l’antiepilettico acido valproico. Dall’altro lato vi è invece l’autismo primario o idiopatico, detto anche essenziale, nel quale sono presenti i classici segni clinici della sindrome autistica, mentre sono assenti malformazioni e caratteristiche dismorfiche. A questo secondo gruppo appartiene il restante 90% dei casi.

In questo secondo gruppo non è ancora chiaro quali siano i fattori eziologici anche se vi sono forti evidenze per un’origine genetica. Gli studi su persone autistiche hanno evidenziato anomalie in diverse strutture cerebrali; ciò suggerisce che derivi da una interruzione dello sviluppo cerebrale in una fase precoce della vita intrauterina. Ne viene oramai concordemente accettata la natura organica ma, essendo talmente eterogenee le cause, non è stato ancora possibile individuare un marcher che lo evidenzi dal punto di vista medico. E’ per questo motivo che la diagnosi di autismo viene fatta con scale di comportamento.

Molti bambini autistici sono diversi fin dalla nascita. Due caratteristiche comuni che invece si possono ritrovare sono:

• l'incurvare la schiena per allontanarsi da chi li accudisce, in modo da evitare il contatto fisico,

• il non riuscire ad anticipare l’essere presi in braccio (restano cioè passivi, col corpo abbandonato).

Nei primi mesi di vita sono spesso descritti come passivi o estremamente agitati intendendo per:

• passivo il bambino che resta tranquillo per la maggior parte del tempo e richiede poca o nessuna attenzione da parte dei genitori;

• estremamente agitato quello che durante le ore di veglia piange molto, a volte ininterrottamente. Durante l'infanzia, possono iniziare a dondolarsi e a picchiare la testa contro la culla;

Nei primi anni di vita, alcuni bambini autistici raggiungono tappe dello sviluppo (quali parlare, gattonare e camminare) molto in anticipo rispetto alla media; al contrario, altri le raggiungono con considerevole ritardo. Approssimativamente, un terzo si sviluppa in modo normale fino ad una età compresa tra i diciotto mesi e tre anni; dopodiché i sintomi autistici cominciano

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ad emergere. Questi sono spesso indicati come affetti da autismo 'regressivo'. Durante l'infanzia, rispetto ai loro coetanei, raggiungono un livello di sviluppo inferiore nelle aree della: comunicazione, socializzazione e percezione. Inoltre, possono cominciare a manifestarsi comportamenti disfunzionali quali: auto-stimolatori (ad esempio quelli ripetitivi e non finalizzati: dondolarsi, agitare le mani), autolesionistici (mordersi le mani, picchiare la testa), problemi del sonno e dell'alimentazione, scarso contatto di sguardo, insensibilità al dolore, iper/ipo-attività e deficit dell'attenzione. Una caratteristica abbastanza comune nell'autismo è il comportamento “insistentemente ripetitivo” o “insistentemente perseverante”. Molti sono estremamente insistenti sulle routine e se vengono cambiate, anche di poco, possono sconvolgersi o diventare collerici. Altri esempi possono essere: mangiare e/o bere lo stesso cibo ad ogni pasto, vestire o insistere che altri vestano sempre gli stessi abiti, andare a scuola percorrendo sempre la stessa strada. Il passaggio alla pubertà può accentuare i problemi comportamentali. Si possono manifestare per la prima volta anche convulsioni.

Frequentemente si hanno risposte anomale agli stimoli sensoriali come ai suoni o al tatto e una ridotta sensibilità al dolore. Tutto questo può contribuire a determinare sintomi comportamentali. Theo Peeters sostiene che la mente autistica ha uno stile cognitivo diverso, il modo di percepire è iperselettivo: inizia da un dettaglio per ricostruire e individuare l’insieme. Il cambiare di uno può significare il non riconoscere il tutto.

Deve essere compresa la profonda diversità nel vedere e leggere il mondo, degli oggetti e delle relazioni, della persona autistica. E’ stato rilevato che il neonato autistico può non allattarsi o avere una crisi di collera se la mamma cambia profumo, orecchini, pettinatura o colore del maglione. Vi possono essere importanti deformazioni della percezione sensoriale, molto diverse da un caso all’altro: alcuni possono trovare insopportabile il contatto con certi tessuti o le carezze, possono mangiare cose non commestibili e dal sapore sgradevole senza manifestare disgusto, o ferirsi senza sentire dolore. Ipersensibilità a suoni, odori o alle vibrazioni della luce al neon è stata testimoniata da “autistici ad alto livello di funzionamento”.

Tutti questi fenomeni possono essere costanti nel manifestarsi come pure intermittenti o variare nell’intensità. Purtroppo però, la maggior parte di loro

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non è in grado di descrivere queste sensazioni e, per difendersi, o si chiudono alla ricezione di qualsiasi stimolo o innescano dei comportamenti problematici. Alcuni possono avere una percezione non adeguata della velocità di movimento di veicoli, liquidi, persone. Ciò può voler dire che vedono “il mondo” che li rincorre o gli si precipita contro. Stesso problema di “accelerazione” si può verificare nella percezione dei suoni e nel flusso delle parole. Significativa, quindi, l’immagine dell’iceberg che T.Peeters utilizza quando sostiene che la piccola parte che affiora è ciò che si vede: comportamenti problematici, bizzarrie, ecolalia, ecc. Stress, ansia, paura, pensieri sono il sommerso ed è ciò che si deve tentare di scoprire.

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2. CENNI STORICI

È solo da pochi anni che la psicopatologia grave della fanciullezza viene studiata con l’attenzione e l’importanza che merita, in quanto depositaria di numerose informazioni sui meccanismi psicomentali legati allo sviluppo dell’individuo.

E’ infatti solo dal 1980, con la pubblicazione del Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali con la sigla DSM-III (APA, 1980), che il disturbo autistico viene incluso in una classificazione diagnostica come entità clinica separata ed indipendente.

La parola "autismo" deriva dal greco "autús" che significa "se stesso” e, come malattia o modello particolare di struttura psichica, si evidenzia drammaticamente per l’isolamento, l’anestesia affettiva, la scomparsa dell’iniziativa, le difficoltà psico-motorie, il mancato sviluppo del linguaggio. Accanto a queste espressioni, di per se già disturbanti e fortemente disabilitanti, gli autistici dimostrano una importante incontinenza emotiva che si espleta con urla, corse afinalistiche, ipercinesie, a volte aggressività, angoscia e terrore.

Con la pubblicazione del DSM-IV il disturbo autistico viene inserito fra i disturbi generalizzati dello sviluppo, cioè fra quei disturbi caratterizzati da una grave e generalizzata compromissione in diverse aree dello sviluppo. L’inclusione dell’autismo in questa categoria diagnostica può essere meglio compresa ripercorrendo a ritroso la storia dei tentativi classificatori della psichiatria di fronte alla complessità e varietà del disagio mentale.

Portare l'attenzione al percorso dello sviluppo del concetto di autismo e della sua definizione può risultare interessante per comprendere la complessità e polivalenza che oggi il termine "autismo" esprime.

Ad inizio secolo per formulare una diagnosi di psicopatologia di un bambino oppure di un adolescente ci si avvaleva di schemi diagnostici pensati e sviluppati per soggetti adulti e basati su una categorizzazione tripartita della patologia mentale, che comprendeva: schizofrenia, malattie affettive e nevrosi. Il primo inquadramento diagnostico dei disturbi “psicotici” ad insorgenza molto precoce può essere attribuito a Krapelin, che aveva ricondotto tutti i casi di psicosi infantile al gruppo della demenza precoce.

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Il termine autismo viene utilizzato per la prima volta nel 1908 da Eugen Bleuer (1857-1939), psichiatra svizzero tra i primi sostenitori dalla teoria psicoanalitica, per riferirsi ad una particolare forma di ritiro dal mondo, causata, comunque sempre, dalla schizofrenia.

Egli modificò, infatti, il concetto di schizofrenia individuandone un importante sintomo nel ritiro dalla vita sociale strutturata nel sé, come egli osservava negli adulti schizofrenici.

Secondo Bleuer (1908), l'autismo era caratterizzato da un restringimento delle relazioni con le persone e con il mondo esterno, così estremo da escludere

qualsiasi cosa eccetto il SÈ proprio della persona. Ma è solamente nel 1943 che Leo Kanner (psichiatra infantile) utilizzò il

termine autismo per indicare una specifica sindrome da lui osservata in 11 bambini che chiamò autismo precoce infantile, e che ancora oggi, nella sua forma più classica, porta il suo nome.

Kanner descrisse i suoi pazienti come tendenti all’isolamento, autosufficienti, felicissimi se lasciati soli, “come in un guscio”, poco reattivi in ambito relazionale; la maggior parte di loro apparivano muti o con un linguaggio ecolalico, alcuni mostravano una caratteristica inversione pronominale (il “tu” per riferirsi a loro stessi e l’”io” per riferirsi all’altro), molti avevano una paura ossessiva che avvenisse qualche cambiamento nell’ambiente circostante, mentre altri presentavano specifiche abilità molto sviluppate (memoria di date, ricostruzione di puzzles, ecc.) accanto, però, ad un ritardo mentale generalizzato.

Kanner con lo studio degli undici bambini aveva ipotizzato "un'innata incapacità a comunicare" degli autistici quale causa di tale comportamento di chiusura.

Da tale prima ipotesi l'autore si allontanò negli anni seguenti.

Kanner e suoi collaboratori, partendo dall’analisi delle famiglie che si presentavano alla loro attenzione, fecero la deduzione avventata che i genitori (specie la mamma), troppo "freddi, distaccati e perfezionisti, privi di senso dell'umorismo e che trattavano le persone sulla base di una meccanizzazione dei rapporti umani", fossero, con il loro comportamento, la causa dell'autismo dei figli.

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Kanner, però, non aveva tenuto conto che le famiglie che arrivavano alla sua attenzione non rappresentavano affatto la generalità delle famiglie con casi di autismo, ma solo una esigua parte di esse.

Dovevano passare più di trent'anni perché un ricercatore, Sanua, utilizzando una corretta metodologia statistica, potesse confutare la tesi del "genitore-frigorifero", "autismogeno".

L’autore comunque, già prima degli studi di Sanua, aveva ritrattato la sua ipotesi, rivolgendo le proprie scuse ai genitori dei bambini autistici per averli ingiustamente colpevolizzati.

Kanner, parlando di autismo infantile, scrisse: "…fin dal 1938, è giunto alla nostra attenzione un numero di bambini le cui condizioni differiscono così marcatamente e unicamente da qualsiasi altra riportata finora, che ogni caso merita - e, spero, eventualmente riceverà - una dettagliata considerazione delle sue affascinanti particolarità" (Trad. da L. Kanner, 1943).

In questo modo, per la prima volta, venne definito un gruppo particolare di soggetti, affetti da una sindrome particolare.

I casi di Kanner presentavano, nei primi anni di vita, disturbi che erano caratterizzati da:

 "an extreme autistic aloneness", nel senso di un rimanere mentalmente soli. Kanner scrisse a proposito di Frederick, un suo paziente: "…se lo lasciavo solo egli si divertiva davvero... Non l'ho mai visto piangere per richiamare l'attenzione..."; la madre di Charles, un altro piccolo paziente di Kanner, disse: "Non riesco a 'raggiungere' il mio bambino ... Non mi presta attenzione o mostra di non riconoscermi quando entro nella stanza ... La cosa più impressionante è il suo distacco e la sua inaccessibilità ...";

 "an anxious obsessive desire for the preservation of sameness", osservata nella ripetizione di semplici movimenti o espressioni e pensieri; in elaborate routine; in una estrema limitatezza di interessi.

"…Fino a un certo punto”, diceva la madre di Frederick, “gli piace rimanere attaccato alle stesse cose. Su una delle librerie di casa si trovavano tre pezzi in un certo ordine. Ogni volta che questo veniva cambiato, lo riportava sempre al vecchio ordine. Dall'età di sei anni riesce a contare fino alle centinaia e a

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leggere i numeri, ma non ha alcun interesse nei numeri se sono applicati agli oggetti ...".

A proposito di Virginia, Kanner diceva: "La bambina si divertiva per ore mettendo insieme le figure dei puzzle, unendoli fino a comporli …gradualmente ha mostrato una marcata tendenza verso lo sviluppo di uno speciale interesse che ha completamente dominato le sue attività quotidiane ..."; e a proposito di Charles: "Da quando aveva un anno e mezzo, ha iniziato a impiegare ore a far ruotare giocattoli e i tappi delle bottiglie e barattoli ...".  la presenza di "islets of hability" quali una memoria meccanica eccellente, la

capacità di ricordare strutture e sequenze complesse, un vocabolario stupefacente, fuorché per l'uso dei pronomi.

Donald, come riferisce l’autore: "Era stato incoraggiato dalla famiglia a imparare e recitare poesie corte, e aveva imparato anche i Ventitré Salmi e le venticinque domande e risposte del Catechismo Presbiteriano ...".

E Charles: "Poteva distinguere diciotto sinfonie. Riconosceva il compositore non appena iniziava il primo movimento ..."; Elaine, invece: "Leggeva molto bene, ma leggeva velocemente, mescolando le parole, non pronunciando chiaramente, e non dando l'enfasi giusta. La quantità di informazioni che possedeva era davvero vasta e la sua memoria pressoché infallibile ...".

Kanner, diversamente da Bleuer, credeva che questi bambini fossero giunti nel mondo con un’innata incapacità di formare il tipico contatto affettivo, biologicamente determinato, con le persone, proprio come altri bambini presentano innati handicap fisici o intellettuali".

La longevità di Kanner gli permise di descrivere anche l'evoluzione a distanza della sindrome che da lui aveva preso il nome.

Gli stessi undici bambini oggetto del primo lavoro del '43 furono rivisitati oltre trent’anni dopo.

Purtroppo però quei soggetti non erano più bambini ripiegati su se stessi, con presunte buone potenzialità nascoste, ma gravi handicappati mentali adulti, in molti casi con elementi psicotici gravissimi.

Nella maggior parte dei casi si trattava di soggetti ora istituzionalizzati e totalmente dipendenti, con l'eccezione di pochissimi che erano sì

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autosufficienti e in grado di svolgere e mantenere un lavoro, ma con grandi disturbi delle capacità relazionali e di socializzazione.

Il dato iniziale ottenuto con questo primo studio di Kanner, circa la gravità della prognosi a distanza dell'autismo infantile precoce, venne successivamente riconfermato da un ulteriore studio dell’autore che prendeva in considerazione tutti i 96 soggetti diagnosticati come autistici, che aveva potuto osservare durante la sua lunga carriera.

Hans Asperger, quasi contemporaneamente a Kanner, ma indipendentemente da lui, utilizzò il termine “autistichen psychopathen” (Asperger, 1944) per definire un disturbo che interessava una determinata popolazione infantile con sintomatologia in gran parte simile a quella descritta da Kanner per i suoi soggetti, ma con capacità cognitive nettamente superiori. Asperger ipotizzò che, alla base del disturbo dei propri soggetti, ci fosse un disturbo nel contatto allo stesso profondo livello dell'affetto e/o dell'istinto. L’autore, come Kanner, sottolineò le difficoltà nell'adattamento sociale dei suoi pazienti e osservò i loro interessi isolati.

Entrambi diedero particolare attenzione alle stereotipie motorie o linguistiche di questi bambini, così come alla marcata resistenza al cambiamento; entrambi furono impressionati da occasionali e stupefacenti prestazioni intellettuali di questi soggetti, in aree però molto ristrette.

I soggetti di Asperger erano caratterizzati da una forma di pensiero concreto, dall’ossessione per alcuni argomenti, dall’eccellente memoria e spesso da modalità comportamentali e relazionali eccentriche.

I bambini affetti dalla Sindrome di Asperger possono diventare individui funzionanti ad alto livello, in grado di mantenere un lavoro, di essere ben inseriti nel contesto sociale e di vivere in maniera indipendente.

Asperger individuò però tre importanti aree nelle quali i suoi soggetti differivano da quelli di Kanner:

1.linguaggio: i soggetti di Asperger avevano un eloquio scorrevole. Nei soggetti di Kanner, invece, non si aveva linguaggio o esso non era usato in maniera "comunicativa";

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2.motricità: nella opinione di Kanner, i bambini risultavano "impacciati" solo rispetto a compiti di motricità complessa; secondo Asperger essi lo erano in entrambi, motricità complessa e fine

3.capacità di apprendere: Kanner pensava che i bambini mostrassero prestazioni più elevate quando apprendevano in maniera meccanica, quasi automatica; Asperger li descriveva invece come "pensatori astratti".

Nell'idea di Asperger e di Kanner ci si trovava di fronte, fin dalla nascita, a un disturbo importante che implicava problemi estremamente caratteristici. Alla fine si configurarono due quadri diagnostici differenti: l'autismo di Kanner e la Sindrome di Asperger, anche se la somiglianze tra le due sono notevoli tanto che Happè (1994) si chiede se per caso la sindrome di Asperger non sia piuttosto '' un'etichetta per tutte le persone autistiche con QI relativamente elevato''.

Nel ventennio successivo alle osservazioni di Kanner, anche grazie all'impostazione teorica di quest'ultimo, furono le teorie psicodinamiche il principale punto di riferimento nello studio dell'autismo.

Gli autori di impostazione psicodinamica indirizzarono i loro sforzi per indagare la possibilità che la sindrome autistica fosse dovuta ad una alterazione del rapporto madre-bambino.

Bettelheim (1967) fu uno dei primi autori a interessarsi a questo argomento sviluppando il concetto di “madre frigorifero” per descrivere un tipo di rapporto caratterizzato da carenza di contatto fisico, pratiche alimentari anomale, difficoltà nel linguaggio e/o nel contatto oculare con il figlio.

Nell’ottica dell’autore il bambino, percependo nella madre un desiderio (reale o immaginario) di annullarlo, verrebbe colto dalla paura di annientamento da parte del mondo, dal momento che questo è rappresentato proprio dalla madre, dalla quale si difenderebbe proprio con l'autismo.

L'autismo sarebbe perciò, in quest'ottica, un meccanismo di difesa.

Pur restando sempre alla base del modello psicodinamico, questo concetto subì delle modifiche in relazione ai sempre crescenti indizi che sembravano implicare un substrato biologico nella sindrome.

Già nel 1959 Goldstein propose di considerare l'autismo come un meccanismo di difesa secondario ad un deficit organico, '…'espressione di

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meccanismi di difesa messi in atto passivamente allo scopo di salvaguardare l'esistenza del malato in situazioni di pericolo e di angoscia insopportabili'' (1959).

A partire dagli anni '60 però le critiche al modello psicodinamico, accusato di colpevolizzare ingiustamente i genitori, si fanno sempre più forti.

I genitori di bambini con autismo infatti non mostravano tratti patologici o di personalità significativamente diversi da quelli di bambini non affetti.

Il primo autore a sostenere in modo sistematico che la causa della sindrome autistica non fossero i genitori, ma che il disturbo avesse una base organica É stato Rimland; per l’autore, infatti, l’autismo era causato da alterazioni morfologiche e funzionali a base organica.

Ne scaturì l'approccio organicista, che cercava d'individuare alterazioni organiche alla base della sindrome.

Nonostante la varietà di elementi raccolti congruenti con quest'ipotesi, non è stato ancora isolato uno in particolare che possa essere considerato come caratteristico di tutte le forme di autismo, tanto che attualmente si è portati a credere che non esista un ''unico autismo'', ma che in questa categoria siano invece comprese diverse patologie e manifestazioni sintomatiche provocate da diverse cause organiche.

Negli anni settanta M. Rutter (1978) specificò ulteriormente il quadro descritto da Kanner, individuando, attraverso uno studio comparato di bambini autistici e bambini con altri tipi di disturbo, alcuni sintomi tipici dell'autismo infantile. Questi comprendono: un’incapacità a sviluppare rapporti sociali, una particolare forma di ritardo nello sviluppo del linguaggio con presenza di ecolalia e inversione pronominale e vari fenomeni rituali e compulsivi.

Rutter, inoltre, sottolinea che circa i tre quarti dei bambini con autismo hanno anche un ritardo mentale.

Sul finire degli anni '80 fu proposto anche un modello cognitivo basato sulla

teoria della mente, proposta da Uta Frith.

L’autrice ipotizza che nell'autismo la disfunzione cognitiva da cui deriverebbero gli altri sintomi consista in un'incapacità di rendersi conto del pensiero altrui, sarebbe, cioè, carente o assente proprio la teoria della mente.

Nel 1979 Wing e Gould distinsero tre diverse tipologie di persone affette da autismo: gli isolati, abbastanza simili ai pazienti descritti da Kanner; i passivi,

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soprattutto nei confronti dell'ambiente circostante; e i bizzarri, socialmente attivi, ma con comportamenti incongruenti e inconsueti.

Da uno studio degli stessi autori (1979) è emerso che disturbi della socializzazione, della comunicazione e dell'immaginazione hanno la tendenza ad apparire insieme piuttosto che in maniera isolata.

Dal momento che questa caratteristica è particolarmente evidente nell'autismo, da allora si preferì diagnosticarlo in base a queste tre aree sintomatiche.

Questo metodo di classificazione rischia però di non tener conto di altri aspetti peculiari del disturbo, se pure non presenti nella totalità dei pazienti, quali le ''savant abilities'', le stereotipie, i comportamenti autostimolatori (come dondolarsi) e la preoccupazione ossessiva per il mantenimento dell'immutabilità degli ambienti o delle abitudini.

Il concetto di autismo ha dunque subito nel corso di mezzo secolo notevoli modifiche, come il passaggio da un'unica sindrome, che poteva variare lungo un continuum di gravità crescente, ad uno spettro di disturbi indicante manifestazioni di sintomi molto diverse.

Nelle classificazioni successive a quella di Kanner sembra intravedersi il tentativo di svincolarsi dalla sua classificazione e di abbandonare così la concezione che vede l’autismo inserito nel gruppo delle schizofrenie.

Nella nuova classificazione internazionale, infatti, l'autismo è compreso nei disturbi dello sviluppo, con una componente organica altamente probabile, anche se non ancora individuata con sicurezza.

Definire l’autismo come un disturbo generalizzato dello sviluppo, permette in ogni caso di “sdrammatizzare” l’ineluttabilità della malattia e di focalizzare l’attenzione sulla compromissione del processo di crescita del bambino, senza sviluppare vissuti di cronicità, impotenza e immodificabilità, che desta una diagnosi quale quella di schizofrenia.

Data l'alta variabilità delle manifestazioni comportamentali ad esso associate, la classificazione del disturbo è divenuta sempre più generale.

Per questo motivo già nel DSM III-R (1987) venivano distinte tre principali aree di alterazione comportamentale (sul modello di Wing e Gould): interazione sociale, comunicazione e repertorio di interessi.

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A tutt'oggi l'eziologia dell'autismo rimane sconosciuta ed è per questo motivo che i due manuali diagnostici più utilizzati continuano a basare i criteri di riconoscimento su indicatori comportamentali.

In quasi mezzo secolo di ricerche, si sono susseguiti alterchi e dibattiti, ma ancora oggi l’origine e lo sviluppo patogenetico dell’autismo non sono noti, anche se, da qualche tempo la maggior parte degli studiosi inizia a concordare sull’idea di una multifattorialità delle cause (psico-neuro-biologiche).

3. Diagnosi

Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, noto anche con la sigla DSM derivante dall'originario titolo dell'edizione statunitense Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, è uno dei sistemi nosografici per i disturbi mentali o psicopatologici più utilizzati da medici, psichiatri e psicologici di tutto il mondo, sia nella pratica clinica che nell’ambito della ricerca. Nel corso degli anni il manuale, arrivato ora alla 5ª edizione, è stato redatto tenendo in considerazione l'attuale sviluppo e i risultati della ricerca psicologica e psichiatrica in numerosi campi, modificando e introducendo nuove definizioni di disturbi mentali: la sua ultima edizione classifica un numero di disturbi mentali pari a tre volte quello della prima edizione.

La prima versione risale al 1952 (DSM-I) e fu redatta dall'American Psychiatric Association (APA), come replica degli operatori nell'area del disagio mentale all'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), che nel 1948 aveva pubblicato un testo, la classificazione ICD, esteso pure all'ambito dei disturbi psichiatrici. Da allora vi sono state ulteriori edizioni: nel 1968 la DSM-II, nel 1980 la DSM-III, nel 1987 la DSM-III-R (edizione rivisitata), nel 1994 la DSM-IV, nel 2000 la DSM-IV-TR (testo revisionato) e nel 2013 la DSM-5.

Sono state anche effettuate piccole modifiche nelle ristampe di alcune versioni intermedie; particolarmente significativa la settima ristampa del DSM-II, che nel 1973 espulse l'omosessualità dalla classificazione psicopatologica.

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Nosografico: i quadri sintomatologici sono descritti a prescindere dal vissuto

del singolo, e sono valutati in base a casistiche frequenziali.

Ateorico: non si basa su nessun tipo di approccio teorico, né comportamentista, né cognitivista, né psicoanalitico, né gestaltico, ecc.

Assiale: raggruppa i disturbi su 5 assi, al fine di semplificare e indicare

una diagnosi standardizzata.

Su basi statistiche: si rivolge ad esse in quanto il sintomo acquista valore come dato frequenziale; i concetti statistici di media, frequenza, moda mediana, varianza, correlazione ecc. giungono ad essere essi stessi il “solco” mediante il quale si valuta la presenza o meno di un disturbo mentale.

Il DSM è uno strumento di diagnosi descrittiva dei disturbi mentali. Il suo approccio è quello di applicare la relativa stabilità dell'analisi descrittiva dei sintomi di patologie mediche all'universo dei disturbi mentali.

La sua struttura segue un sistema multi assiale: divide i disturbi in cinque assi, così ripartiti:

 ASSE I: disturbi clinici, caratterizzati dalla proprietà di essere temporanei o comunque non "strutturali" e altre alterazioni che possono essere oggetto di attenzione clinica: lo psichiatra cerca la presenza di disturbi clinici che possono essere riconducibili non solo al cervello e al sistema nervoso, ma anche a qualsiasi condizione clinica significativa che il soggetto può avere (per esempio valuterà se il soggetto è sieropositivo, malato cronico, etc.).

 ASSE II: disturbi di personalità e ritardo mentale. Disturbi stabili, strutturali e difficilmente restituibili ad una condizione "pre-morbosa"; generalmente, ma non necessariamente, si accompagnano a un disturbo di Asse I, cui fanno da contesto. Questo asse è divisa in sottoparagrafi corrispondenti ai diversi disturbi di personalità.

 ASSE III: condizioni mediche acute e disordini fisici

 ASSE IV: condizioni psicosociali e ambientali che contribuiscono al disordine

 ASSE V: valutazioni globali del funzionamento

Per fare qualche esempio, il DSM inserisce nell'ASSE I disturbi come schizofrenia ed altre forme di psicosi, e disturbi altrimenti noti come nevrosi, che il manuale ha "abolito" dalla sua nomenclatura. Nell'ASSE

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II invece sono raccolti disturbi di personalità come quello borderline o quello paranoide. I restanti tre assi possono inquadrare sotto aspetti più ampi il paziente.

Per ciascun disturbo mentale è effettuata una breve descrizione del cosiddetto "funzionamento generale", che allude alle strategie di gestione psichica ed ambientale dell'individuo, a grandi linee, ed un elenco di comportamenti sintomatici o stili di gestione delle emozioni o altri aspetti della vita psichica. Generalmente il DSM richiede un cut-off, un numero minimo di sintomi raccolti per poter effettuare una corretta diagnosi. Ad esempio per il "disturbo antisociale di personalità" si parla di un «quadro pervasivo di inosservanza e di violazione dei diritti degli altri» (APA, 1994) e di «tre (o più)» caratteristiche elencate, fra cui disonestà, incapacità di conformarsi alle norme sociali, irritabilità e aggressività.

Di solito il DSM richiede un periodo minimo di presenza dei sintomi per poter effettuare una diagnosi (si parla di alcuni mesi). Altri criteri di esclusione sono l'età di insorgenza del disturbo (per i disturbi di personalità ad esempio si richiede l'insorgenza nell'adolescenza) ed una diagnosi differenziale rispetto a disturbi che potrebbero essere accomunati dagli stessi sintomi.

I disturbi mentali vengono definiti in base a quadri sintomatologici, e questi ultimi sono raggruppati su basi statistiche.

Si tratta di un manuale che raccoglie attualmente più di 370 disturbi mentali, descrivendoli in base alla prevalenza di determinati sintomi (per lo più quelli osservabili nel comportamento dell'individuo, ma non mancano riferimenti alla struttura dell'io e della personalità). Il problema della malattia mentale non è un problema esclusivamente biologico o organicista come si credeva in passato (a tal proposito si parla di “riduzionismo biologico”), l'approccio attuale è necessariamente un approccio “multidisciplinare”: la malattia mentale è in sé stessa multifattoriale e ciò comporta che si tenga conto di tutti i diversi paradigmi di spiegazione. Il disturbo mentale è il risultato di una “condizione sistemica” in cui rientrano: il patrimonio genetico, la costituzione, le vicende di vita, le esperienze maturate, gli stress, il tipo di ambiente, la qualità delle comunicazioni intra ed extra-familiari, l'individuale diversa plasticità dell'encefalo, i meccanismi psicodinamici, la peculiare modalità di reagire, di opporsi, di difendersi.

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In che cornice si collocava nel DSM IV TR: • Disturbi Mentali

• Disturbi diagnosticati nell’infanzia, nella fanciullezza o nell’adolescenza • Disturbi pervasivi dello sviluppo

• Disturbo autistico

La vecchia definizione di autismo comprendeva la cosiddetta “triade” sintomatologica (attualmente superata) ovvero tre gruppi di sintomi.

Il primo gruppo di sintomi: Interazione sociale

A) Marcata compromissione nell’uso di svariati comportamenti non verbali, come lo sguardo diretto, l’espressione mimica, le posture corporee, e i gesti che regolano l’interazione sociale.

B) Incapacità di sviluppare interazioni con i coetanei adeguate al livello di sviluppo

C) Mancanza di ricerca spontanea della condivisione di gioie, interessi o obiettivi con altre persone (per esempio non mostrare, portare, né richiamare l’attenzione su oggetti di proprio interesse)

D) Mancanza di reciprocità sociale o emotiva

Il secondo gruppo di sintomi: Comunicazione

A) In soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri

B) Uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico

C) Mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi di imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo

Il terzo gruppo di sintomi: Repertorio di interessi

A) Dedizione assorbente a uno o più tipi di interessi ristretti e stereotipati anomali o per intensità o per focalizzazione

B) Sottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali specifici

C) Manierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere le mani o il capo, o complessi movimenti di tutto il corpo)

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Criteri per la diagnosi nel DSM IV TR Dovevano essere presenti almeno 6 criteri di cui:

2 criteri per l’interazione sociale 1 criterio per comunicazione

1 criterio per il repertorio di interessi

L’esordio doveva avvenire prima dei tre anni Doveva essere valutata una possibile

Diagnosi differenziale DSM 5: quali cambiamenti?

• Eliminazione delle sottocategorie diagnostiche dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo e unificazione nella definizione di “spettro autistico”

• Non sono più presenti le diagnosi di: Sindrome di Asperger, Sindrome di Rett, Disturbo Disintegrativo, Disturbo Pervasivo dello Sviluppo NAS 5

• Diade invece che triade: i criteri sociale e comunicativo sono unificati in quello socio-comunicativo

• Introduzione dell’aspetto sensoriale “Iper o iporeattività agli input sensoriali o

interesse inusuale verso aspetti sensoriali dell’ambiente (ad es: apparente indifferenza al dolore/alla temperatura, risposta avversa a suoni o consistenze specifiche, eccessivo odorare o toccare degli oggetti, affascinazione visiva di luci o movimenti).”

• Introduzione di variabili qualitative legate all’età di insorgenza “I sintomi

devono essere presenti nel primo periodo di sviluppo (ma possono non essere pienamente evidenti fino a quando le richieste sociali non eccedano le loro capacità deficitarie della persona, o possono essere mascherati da strategie apprese in fasi successive della vita).”

Introduzione di specifiche per:

• Funzionamento intellettivo (con o senza deficit intellettivo) • Funzionamento linguistico (con o senza deficit del linguaggio)

• Associazione con condizione medica, genetica o ambientale conosciuta • Associazione con altra condizione del neuro sviluppo, mentale o

comportamentale

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• Introduzione di livelli di gravità e di supporto (tre livelli) nelle due grandi aree (comunicazione sociale e comportamenti ripetitivi)

• Lieve bisogno di supporto

• Moderato bisogno di supporto 6

Forte bisogno di supporto Introduzione di nuove categorie di diagnosi differenziale

• Sindrome di Rett • Mutismo Selettivo

• Disturbo del linguaggio e disturbo della comunicazione sociale • Disabilità intellettiva senza autismo

• Disordine da movimenti stereotipati

• Disordine da deficit di attenzione /Iperattività • Schizofrenia

DSM 5: Criteri diagnostici del DISORDINE DELLO SPETTRO dell’AUTISMO INQUADRAMENTO:

Nel DSM 5, il DISORDINE DELLO SPETTRO AUTISTICO viene in quadrato all’interno dei Disordini del NEUROSVILUPPO con il CODICE 299.00 (F84.0). I sintomi secondo il DSM 5 Devono essere soddisfatti i criteri A, B, C, e D

A) Deficit persistenti nella comunicazione sociale e nell’interazione sociale in diversi contesti, non dovuti a generali ritardi dello sviluppo, ed evidenti in tutti e tre i seguenti aspetti:

• Deficit nella reciprocità sociale-emozionale; che vanno da anomalie nell’approccio sociale e difficoltà nell’avere una normale reciprocità nella conversazione, ad una ridotta capacità di condivisione degli interessi, delle emozioni, dell’affetto, fino alla totale assenza di avvio dell’interazione sociale 7;

• Deficit nei comportamenti comunicativi non verbali utilizzati per l'interazione sociale, che vanno dalla scarsa integrazione tra comunicazione verbale e non verbale, ad anomalie nel contatto visivo e nel linguaggio corporeo, o deficit nella comprensione e nell'uso della comunicazione non verbale, fino alla totale mancanza di espressioni facciali o della gestualità;

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• Deficit nello sviluppo e nel mantenimento di relazioni appropriate al livello di sviluppo (oltre a quelle con chi si prende cura della persona); che vanno dalle difficoltà a adattare il comportamento ai differenti contesti sociali, alle difficoltà nella partecipazione al gioco immaginativo e nel fare amicizia, fino ad un apparente disinteresse per le persone.

B) Modelli di comportamento ristretti e ripetitivi, o attività che si manifestano con almeno due delle seguenti caratteristiche:

• Linguaggio ripetitivo, movimenti stereotipati, o uso stereotipato o ripetitivo di oggetti (come stereotipie motorie semplici, ecolalia, uso ripetitivo di oggetti, o frasi idiosincratiche).

• Eccessiva aderenza a routine, modelli ritualizzati di comportamento verbale o non verbale, o eccessiva resistenza al cambiamento (come rituali motori, insistere sullo stesso percorso o sullo stesso cibo, ripetere le stesse domande o manifestare eccessiva preoccupazione per piccoli cambiamenti).

• Interessi molto ristretti e fissi, anomali per intensità o focalizzazione (come un forte attaccamento o preoccupazione per oggetti inusuali, interessi eccessivamente circoscritti o perseverativi).

• Iper o ipo reattività nei confronti di input sensoriali o interesse 8 inusuale per aspetti sensoriali dell’ambiente (come una apparente indifferenza al dolore / calore / freddo, risposta avversa nei confronti di specifici suoni o tessiture, eccessivo odorare e toccare oggetti, essere affascinati da luci o oggetti che ruotano).

C. I sintomi devono essere presenti nella prima infanzia (ma potrebbero non diventare pienamente manifesti finché le richieste sociali non eccedano i limiti delle capacità)

D. I sintomi, nel loro insieme, limitano e compromettono il funzionamento quotidiano

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4. IL PROGRAMMA TEACCH

Il Programma TEACCH è stato messo a punto, nel corso dell'esperienza ormai trentennale, avviata da E. Schopler e dai suoi collaboratori, nelle scuole per autistici dello Stato americano della Carolina del Nord. Questo programma ha ottenuto un grosso successo anche fuori dagli Stati Uniti, e si è diffuso negli ultimi anni anche in Europa e in Italia, grazie alla traduzione di alcuni libri (Schopler et al 1980, 1983) e all'attivazione di corsi di formazione.

Il Programma TEACCH comprende numerose attività di tipo educativo da effettuare con bambini con Disturbi Generalizzati dello Sviluppo o con disturbi della comunicazione.

L'uso di tali attività va però di volta in volta contestualizzato ed individualizzato; la messa in atto di queste attività deve basarsi, in particolare su quattro criteri, che gli autori chiamano: modello di interazione, prospettive di sviluppo, relativismo comportamentale e gerarchia di addestramento (Schopler et al 1980).

Il concetto di modello di interazione si riferisce alla necessità di contestualizzare una certa tecnica di intervento all'interno del sistema di relazioni in cui il bambino si trova. I bisogni particolari del bambino e il suo potenziale di apprendimento si possono meglio cogliere nel contesto di interazione del bambino con il suo ambiente quotidiano di vita, familiare e scolastico.

Il secondo concetto, quello di prospettiva di sviluppo sottolinea la necessità che si tenga conto, nel definire l'intervento riabilitativo, del livello di sviluppo globale del bambino nelle diverse aree. Si dovrà tenere conto sia delle sue aree deboli, sia di quelle in cui mostra maggiori capacità.

Con relativismo del comportamento s'intende descrivere e tenere in considerazione un particolare fenomeno che si osserva nei bambini con Disturbi Generalizzati dello sviluppo; quello della difficoltà, a volte impossibilità, a generalizzare, ad ambiti diversi da quello in cui è stata appresa, una risposta comportamentale. E’ quindi importante definire obiettivi educativi specifici per ogni contesto.

Il concetto di gerarchia di addestramento, infine, indica la necessità che si definiscano delle priorità tra i problemi da affrontare con il bambino autistico. L' intervento educativo dovrebbe cioè essere finalizzato a modificare, in primo

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luogo, i comportamenti che mettono a rischio la vita del bambino; in secondo luogo, quei problemi che riguardano la capacità del bambino di adattarsi all'ambiente familiare. Quindi, come terza priorità, c'è l'adattamento al contesto scolastico e, come quarta, l'adattamento alla comunità extrascolastica.

Una logica conseguenza di quanto detto finora è che l'intervento educativo deve essere tagliato su misura per il bambino, la sua famiglia e la sua scuola (Schopler et al, 1991, p.16). L'intervento riabilitativo si avvarrà pertanto di una valutazione individualizzata che pone le premesse per la formulazione di un Progetto psicoeducativo.

Il Programma TEACCH è stato costruito per sviluppare abilità imitative, funzioni percettive, abilità motorie, capacità d'integrazione oculo-manuale, comprensione e produzione linguistica, gestione del comportamento (autonomie, abilità sociali e comportamentali). Il progetto abilitativo deve comprendere obiettivi che riguardano diverse aree: quelle della comunicazione, del tempo libero, della autonomie e abilità domestiche, delle abilità sociali e dell'apprendimento in senso stretto.

La conduzione del programma è affidata a genitori e insegnanti, che condividono le stesse strategie ed operano in stretta collaborazione. Medici e psicologi orientano l'intervento di genitori e insegnanti, tenendo conto del livello di sviluppo raggiunto dal bambino, del suo contesto di vita quotidiano e delle propensioni del bambino.

Una parte importante del programma è rappresentato dalla valutazione, che avviene attraverso tre modalità diverse. La prima che prevede l'uso test intellettivi e scale standardizzate, riguarda la valutazione dello sviluppo. La seconda modalità è quella dell'osservazione dei modelli di comportamento del bambino. La terza è rappresentata dalla raccolta di informazioni fatta nei colloqui con i genitori, in cui vengono anche individuate le loro aspettative nei confronti del bambino e i problemi principali che essi si trovano ad affrontare. La valutazione dello sviluppo si avvale di uno strumento specifico chiamato Profilo Psicoeducativo (P.E.P.): il P.E.P. consente di determinare lo sviluppo del bambino nelle aree dell'imitazione, della percezione, delle abilità motorie, dell'integrazione oculo-manuale, e delle capacità cognitive. Accanto al P.E.P.

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è stato predisposto un altro strumento chiamato A.A.P.E.P., che viene utilizzato per la valutazione di adolescenti e adulti autistici.

Le aspettative e gli obiettivi che ci si attende di raggiungere, per ogni bambino, vengono distinte in:

1) aspettative a lungo termine

2) aspettative intermedie tra 3 mesi ed un anno 3) gli obiettivi educativi immediati

Un appropriato intervento dovrà prevedere un coordinamento tra i tre livelli. L'intervento dovrebbe inoltre sviluppare per prime quelle capacità che sono implicite in altre; se, per esempio, il bambino non ha sviluppato la capacità di imitazione, bisogna sviluppare prima questa, prima di procedere alla stimolazione del linguaggio.

La procedura fin qui descritta è finalizzata alla definizione delle mete educative; il passaggio successivo è quello di formulare, a partire dalle mete educative, degli obiettivi educativi specifici. Ciascun obiettivo educativo specifico viene poi tradotto in attività didattiche, costruite tenendo conto di tutte le variabili citate in precedenza, sia individuali che contestuali. Accanto ad attività didattiche specifiche è previsto l'utilizzo di tecniche di modificazione del comportamento, soprattutto per quanto riguarda la gestione dei comportamenti problema.

Uno dei princìpi fondamentali dell'intervento è quello per cui l'acquisizione di abilità da parte del bambino autistico richiede un adattamento e una modificazione dell'ambiente di vita del bambino, sia familiare, sia scolastico. E' importante, in particolare, che l'ambiente di apprendimento sia strutturato e prevedibile e che le attività che gli vengono proposte siano precise e, soprattutto per i bambini che non parlano, comprensibili al di là delle indicazioni verbali. La strutturazione deve riguardare sia gli spazi sia i tempi di lavoro; per es. possono essere utilizzate delle immagini che descrivono i vari momenti della giornata, e al bambino viene insegnato ad associarne ciascuna ad un preciso momento/attività della sua giornata.

4.1 CARATTERISTICHE DELLA SCALA PEP-R

Complessivamente la valutazione condotta attraverso il PEP-R si articola su 174 item, di cui 131 relativi alle scale di sviluppo e 43 a quelle di

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comportamento. Sono previsti una serie di giochi ed attività ludiche che vengono svolte con il bambino da parte di un esaminatore, il quale registra anche le risposte del soggetto. Al termine della valutazione i riscontri dell’attività vengono riportati nelle sette scale di sviluppo e nelle quattro di comportamento, evidenziando un profilo nel quale sono messi in risalto i punti di forza, quelli di debolezza e le potenzialità del bambino. Schopler ed i suoi collaboratori sostengono che un insegnamento efficace deve far perno sui punti relativamente forti del bambino, per potenziare le sue funzioni carenti (Schopler Reichler e Lansing, 1980; Schopler et al. 1990).

Nel momento in cui il bambino viene osservato attraverso le griglie del PEP-R, in situazioni strutturate o nelle sue interazioni con l’ambiente di vita (famiglia e scuola), si riescono ad individuare le prestazioni che è in grado di manifestare e quelle non padroneggiate. Fra i compiti facili e quelli impossibili è collocata un’area critica di apprendimento, che è importante delineare per la pianificazione delle linee di intervento educativo personalizzato. Il PEP-R, per assolvere a questo obiettivo, non si limita a valutare solo le abilità ed i deficit, ma permette anche di indagare il livello che Schopler e collaboratori (Schopler et al. 1990) chiamano “emergente”. Tale livello è costituito da una serie di risposte che dimostrano come un bambino abbia una certa idea di quello che occorre per adempiere ad un compito, pur senza possederne la piena conoscenza o l’abilità necessaria per completarlo con successo. Si tratta, in altre parole, di quella zona che già Vigotskij (1978) aveva chiamato “di sviluppo

prossimale", o "potenziale" e definito come la "distanza fra il livello attuale di

sviluppo del bambino, così come è determinato da problem solving autonomo ed il livello di sviluppo potenziale, così come è determinato attraverso il problem solving sotto la guida di un adulto o in collaborazione con i propri pari più capaci" (p. 127).

Il PEP-R possiede anche altre particolarità che lo rendono molto adatto alla valutazione di bambini autistici. Pur prevedendo una osservazione del bambino in riferimento alle scale di sviluppo normale, i compiti elencati non devono essere presentati in ordine fisso, permettendo all’esaminatore una procedura flessibile in grado di adattarsi alle esigenza del bambino ed ai suoi livelli attentivi e motivazionali. Oltre ciò, sono ridotti al minimo i requisiti linguistici richiesti ai bambini e la valutazione è integrata da esperienze di

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insegnamento di compiti, in maniera da identificare le possibilità di apprendimento ed i tempi necessari per acquisire semplici abilità.

Presento ora, a titolo di esempio, due item desunti dal PEP-R, relativi alla valutazione nelle aree dell'imitazione e della motricità fine (Schopler et al., 1990)

Area Imitazione Premere due volte un campanello

Materiale un campanello

Esecuzione

appoggiate il campanello sul tavolo davanti al bambino e cercate di ottenere la sua attenzione ("ora guarda cosa faccio"). Date due colpi brevi sul campanello, poi chiedetegli di fare la stessa cosa ("fallo anche tu" oppure "fai come me"). Se il bambino picchia sul campanello una sola volta oppure più di due volte, ripetete la dimostrazione e chiedetegli di ricominciare da capo.

Valutazione

Riuscito(R):il bambino preme due volte sul campanello, imitando l'esaminatore.

Emergente (E): il bambino non riesce ad imitare l'esaminatore (ad esempio egli batte una sola volta oppure più di due volte) Si giudicherà emergente anche quando il bambino avrà bisogno di una

dimostrazione supplementare per riuscire.

Non riuscito (NR): il bambino non tenta o non può picchiare sul campanello anche dopo la dimostrazione.

Area Motricità fine Fare un buco con il dito sulla plastilina

Materiale creta o plastilina Esecuzione

dimostrate al bambino come conficcare il dito nella plastilina, in modo da formare un incavo. Chiedete poi al bambino di fare la stessa cosa. Valutazione

Riuscito(R): fa un incavo chiaro e deciso sulla plastilina.

Emergente (E): tenta di conficcare il dito nella plastilina, ma non riesce a fare un incavo profondo.

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Il totale degli item superati per ogni area indagata vengono riportati in un apposito profilo della scala di sviluppo, in modo da mettere in evidenza visivamente il livello raggiunto in confronto al campione normativo rappresentato da soggetti normodotati. Anche il numero di item risultati "emergenti" sono trascritti in una casella in fondo a ciascuna colonna relativa alle abilità indagate. Tali punteggi emergenti riflettono il potenziale di apprendimento di nuove abilità da parte del bambino ed indicano i punti di partenza più appropriati per la definizione degli obiettivi della programmazione educativa. E' utile, a questo proposito, tracciare una linea tratteggiata che tiene conto dei punteggi emergenti, in modo che lo spazio fra le due linee (continua e tratteggiata) indichi visivamente l'area di sviluppo potenziale o

zona prossimale di sviluppo (Vigotskij, 1978).

Di seguito riporto un profilo relativo alla valutazione effettuata su un bambina autistica di 7 anni.

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Come si può notare la bambina, pur presentando un profilo nettamente deficitario in confronto all’età cronologica, manifesta un livello di padronanza diversamene fra le varie aree: la motricità globale, la motricità fine e la coordinazione oculo-manuale risultano molto più strutturate in confronto alle competenze cognitive, linguistiche e all’imitazione. Particolarmente interessante ed importante ai fini educativi e la distribuzione delle abilità emergenti, soprattutto in riferimento alle aree risultate molto deficitarie: infatti, mentre la situazione è assai preoccupante a livello di competenze verbali essendo presente solo un’abilità emergente, risulta più promettente e suscettibile di sviluppo per quanto concerne la capacità imitativa e le capacità cognitive (sono state rilevate rispettivamente otto e cinque abilità emergenti). Nello specifico, le abilità emergenti evidenziate dalla valutazione attraverso la scala psicoeducativa del PEPR sono quelle di seguito indicate.

- Imitazione: ripetere azioni su degli oggetti effettuate dall'esaminatore (ad

esempio: suonare un campanello), effettuare semplici attività con la plastilina dopo averle viste eseguire (ad esempio: fare una salsiccia), imitare il verso degli animali, ripetere dei movimenti, imitare dei semplici giochi infantili non simbolici, ripetere dei suoni verbali, ripetere delle parole, reagire all'imitazione di sue azioni dimostrando di aver percepito l'intenzione dell'interlocutore.

- Percezione: trovare un oggetto nascosto sotto uno di tre bicchieri.

- Motricità fine: toccare il pollice con le altre dita, raccogliere degli oggetti e

metterli in un contenitore.

- Motricità globale: rimanere in equilibrio su un piede.

- Coordinazione oculo-manuale: mettere in corrispondenza delle lettere, copiare

delle parole.

- Prestazioni cognitive: classificare in base alla forma e al colore, fornire gli

oggetti richiesti, eseguire delle consegne verbali, anticipare delle attività routinarie (ad esempio: rimettere a posto degli oggetti come viene fatto ogni volta dopo aver eseguito una certa attività).

- Prestazioni verbali: nominare delle immagini indicate.

Il piano educativo della bambina dovrà prevedere prioritariamente un lavoro incentrato sullo sviluppo di tali abilità.

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5. APPROCCIO ALL’ATTIVITA’ PSICOMOTORIA DA

PARTE DEL BAMBINO AUISTICO

5.1 L’ATTIVITA’ MOTORIA: COMPONENTE ESSENZIALE DELLO

SVILUPPO INFANTILE

L’attività motoria costituisce una componente essenziale dello sviluppo infantile. Afferrare, toccare, manipolare sono azioni che facilitano la conoscenza degli oggetti che circondano il bambino, il quale impara anche a differenziarli secondo le loro caratteristiche, le forme, la qualità d’uso ecc. Mediante questa modalità esplorativa il bambino si impadronisce gradualmente dell’ambiente circostante, esprimendo contemporaneamente se stesso in maniera totale nel suo rapporto con il mondo. Il movimento, quindi, oltre ad avere una funzione essenziale per favorire l’azione e la funzionalità di tutti gli apparati e dei processi biologici dell’organismo, rappresenta anche uno strumento di conoscenza, una particolare forma di comunicazione, una modalità per ricercare un adattamento attivo all’ambiente.

La prospettiva psicomotoria enfatizza questa visione integrata della dimensione corporea e psichica di ogni individuo e contribuisce ad assegnare all’attività motoria il ruolo primario che le compete nel processo educativo finalizzato allo sviluppo della personalità degli allievi.

Va messo in evidenza che, storicamente, si sono sviluppati due approcci all’interno dell’orientamento psicomotorio: il primo si è maggiormente indirizzato in senso educativo, facendo riferimento principalmente agli studi di psicologia genetica; il secondo, invece, ha sviluppato un’operatività indirizzata all’ambito clinico e riabilitativo, ispirandosi principalmente alla prospettiva psicoanalitica, più o meno ortodossa.

Questo lavoro si muove esclusivamente all’interno del primo approccio, quello dell’educazione motoria o psicomotoria che dir si voglia, con un interesse finalizzato alla pianificazione di un curricolo educativo applicabile a livello di scuola materna ed elementare. Tale proposta curricolare si articola su una nuova modalità di effettuazione della valutazione in ambito motorio e sull’indicazione di una serie di percorsi metodologici per favorire lo sviluppo delle componenti psicomotorie del movimento: i cosiddetti prerequisiti funzionali. Una particolare attenzione viene anche dedicata agli allievi in

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situazione di handicap, per i quali l’attività motoria può rappresentare uno strumento privilegiato nella prospettiva dell’integrazione scolastica.

5.2 APPRENDIMENTO DEGLI SCHEMI MOTORI DEL MOVIMENTO

In questo capitolo iniziale si prende in considerazione il concetto di apprendimento motorio, cercando di evidenziare come la programmazione e l’esecuzione di schemi di movimento richiedano l’attivazione di una serie di processi estremamente complessi ed articolati, del tutto simili a quelli messi in atto per altri tipi di apprendimento cognitivo.

Si possono distinguere tre fasi dell’apprendimento di abilità motorie:

a) la fase cognitiva durante la quale l’allievo mette a fuoco l’obiettivo e prende le decisioni che permettono le prime esecuzioni del movimento. In altre parole, le prime dimostrazioni dell’azione che deve essere appresa, effettuate solitamente dall’educatore, permettono all’allievo, attraverso una focalizzazione adeguata dell’attenzione, di percepire e memorizzare il movimento che deve venire acquisito;

b) la fase associativa nella quale, attraverso varie ripetizioni, l’allievo perviene alla costruzione del programma motorio, che organizza i sottoprogrammi della fase precedente anche alla luce delle abilità motorie già apprese;

c) la fase di automazione che caratterizza la situazione in cui il movimento, ormai ampiamente sperimentato prima può essere seguito senza prevedere un controllo attentivo, passando dal processo controllato al processo automatico. L’automatizzazione del movimento non può mai ritenersi assoluta. Per esaminare in maniera dettagliata l’articolazione di queste fasi, si prendono in considerazione i seguenti aspetti centrali,

 Il concetto di schema motorio;

 I processi implicati nell’elaborazione, nell’esecuzione e nel controllo del programma motorio;

 Le difficoltà di apprendimento motorio determinate da situazioni di handicap mentale.

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31 5.3 IL CONCETTO DI SCHEMA MOTORIO

Lo schema può essere descritto come una regola generale che rappresenta tutte le relazioni fra le diverse variabili oggetto del movimento. In altre parole, lo schema non si identifica nella rappresentazione mentale di un singolo movimento, ma contiene una serie di condizioni comuni da tutta una categoria di movimenti (la forma, la velocità, la forza, l’ampiezza dei movimenti ecc.). Lo schema come struttura gerarchica per tutta una serie di movimenti, permette una interpretazione dell’apprendimento motorio è in grado di salvaguardare le caratteristiche di efficacia ed economicità nel lavoro del sistema nervoso centrale.

Si tratta, infatti, di un processo generativo che, a partire da movimenti appartenenti alla stessa categoria, è in grado di formare una regola che possa essere applicata a tutti i movimenti della categoria.

Secondo Schmidt e i suoi collaboratori la teoria dello schema si baserebbe su quattro tipi di informazioni motorie che il soggetto immagazzina durante l’esecuzione di movimenti:

 I parametri specifici che sono intervenuti nell’esecuzione del movimento (la durata, la forza, la direzione ecc.);

 Il risultato che si è ottenuto a seguito del movimento. La memorizzazione dei risultati aumenta l’informazione riguardo la correttezza o meno dei valori delle variabili impiegate nell’ esecuzione del movimento;

 Le conseguenze sensoriali determinate dal movimento (afferenze propriocettive ed esterocettive);

 Le condizioni di partenza, come, ad esempio, la posizione del corpo rispetto all’oggetto che si deve impiegare e all’ambiente nel quale ci si muove.

Quando il movimento è completato, quindi, vengono registrate le informazioni relative ai quattro punti descritti e alle relazioni tra i punti. La forza delle relazioni fra i vari elementi che compongono il movimento aumenta a ogni ripetizione del movimento stesso o di un movimento simile. In questo modo si sviluppa via via lo schema che sarà tanto più completo e articolato quanto maggiore sarà stata la variabilità nella fase di formazione.

Una volta che si è formato lo schema di una data classe di movimenti, le abilità motorie rappresentate nello schema possono essere trasferite ad altri

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movimenti nuovi, favorendo il processo di apprendimento motorio. Il trasferimento di abilità, naturalmente, sarà tanto maggiore quanto più elevata sarà la somiglianza fra il movimento nuovo e i movimenti già appresi; questo perché le medesime classi di movimento vengono rappresentate all’interno dello stesso schema astratto.

5.4 PROCESSI IMPLICATI NELL’EFFETTUAZIONE DI ATTIVITA’ MOTORIE

La divisione dei diversi processi in tre blocchi riferiti alla programmazione motoria, all’esecuzione motoria e al controllo motorio è giustificata unicamente da esigenze di chiarezza espositiva; nella realtà operativa della persona, infatti, tali processi sono estremamente integrati al fine di conferire al movimento la valenza di atto globale, che traduce in concreto le caratteristiche dell’intera personalità dell’individuo.

5.4.1 l’elaborazione del programma motorio

Sulla base di alcuni stimoli ambientali (ad esempio, la richiesta dell’educatore di eseguire i movimenti che egli dimostra) l’allievo può decidere di intraprendere determinate attività motorie, la cui effettuazione è dipendente dall’elaborazione di uno specifico programma motorio.

Tale programmazione è subordinata a due ordini di processi:

 All’analisi degli stimoli ambientali attraverso l’attenzione e la memoria di lavoro;

 Alla selezione di uno schema idoneo dalla memoria a lungo termine e all’adattamento di tale schema alle esigenze della situazione.

5.4.2 Attenzione e memoria di lavoro

Affinché l’allievo possa adeguatamente analizzare ed elaborare gli stimoli ambientali è necessario innanzitutto che focalizzi la sua attenzione su di essi (ad esempio sull’insegnante che esegue attività motorie che dovrà imitare). L’attenzione, infatti, è una funzione essenziale per operare una scelta far gli

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innumerevoli stimoli che in continuazione ci colpiscono. Rappresenta, in altre parole, la vera e propria “porta d’accesso” ai processi cognitivi superiori. L’attenzione umana, però, è molto limitata e può concentrarsi contemporaneamente solo su pochi aspetti degli stimoli, i quali vengono esaminati, mentre tutto il resto si perde.

La stimolazione su cui l’allievo ha orientato la propria attenzione viene conservata nella memoria di lavoro, che è un sistema di memoria in grado di mantenere solo poche informazioni per un breve periodo di tempo (nell’ordine di qualche decina di secondi), in maniera che possano essere utilizzate o subire ulteriori processi di elaborazione per passare nella memoria a lungo termine.

In sintesi, attraverso la focalizzazione dell’attenzione e la memoria di lavoro, l’allievo è in grado di interpretare gli stimoli ambientali e individuare gli scemi motori che potrebbero essere idonei ad affrontare la situazione.

5.4.3 Selezione e adattamento degli schemi motori

Per rispondere a livello motorio alle richieste provenienti dall’ambiente e adeguatamente elaborate, l’allievo deve recuperare dalla memoria a lungo termine un esempio di schema tramite un meccanismo di scelta degli schemi. Lo schema selezionato, però, non sempre è idoneo a rispondere compiutamente alle richieste dell’ambiente o a soddisfare pienamente gli obiettivi che il soggetto si pone. Può avvenire, quindi, un adattamento dello schema o una combinazione di più schemi (programmazione dell’attività motoria) in base all’esame degli input ambientali e della situazione dell’organismo.

Gli adattamenti agli schemi motori si strutturano sulla base dell’interazione di tre ordini di processi: neurologici, psicologici e psicomotori.

I processi neurologici stanno a simbolizzare il substrato morfo-funzionale neurologico, in assenza del quale non sarebbero possibili fenomeni di alcun genere.

Per processi psicologici si intende quella trama di fattori cognitivi, affettivi, motivazionali, socio-culturali che plasmano ogni azione umana e li conferiscono una finalità e un significato.

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