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Ercole e Ferrante Gonzaga. Pratiche scrittorie, fedeltà politiche e coscienza nobiliare nell'età di Carlo V

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TESI DI PERFEZIONAMENTO IN STORIA MODERNA E CONTEMPORANEA

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RATICHE SCRITTORIE

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FEDELTÀ POLITICHE E COSCIENZA NOBILIARE

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Candidato: MARCO IACOVELLA

Relatori: Prof. MASSIMO FIRPO

Prof.ssaSTEFANIA PASTORE

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Introduzione ... 1

Abbreviazioni ... 13

I. Forme e contesti della scrittura epistolare I.1 Premesse e caratteristiche di un carteggio confidenziale ... 16

I.2 Ercole Gonzaga e la scrittura epistolare I.2.1 I fondi documentari ... 22

I.2.2 I copialettere e il funzionamento della segreteria ... 26

I.2.3 Materiali estravaganti ... 35

I.3 Ferrante Gonzaga e la scrittura epistolare ... 38

I.4 Il ruolo dei segretari e i suoi margini d’iniziativa ... 42

I.5 Segretezza e corrispondenze riservate ... 50

II. Gli strumenti della comunicazione politica II.1 Parlare e scrivere in un impero multilingue ... 63

II.2 I memoriali e la loro circolazione II.2.1 Scritti per un destinatario. Ispirazione e finalità di due testi politici del 1543 ... 68

II.2.2 Giuliano Gosellini e le carte di Ferrante ... 74

II.3 Raccontare la congiura. Le istruzioni di corte sui fatti di Piacenza ... 83

II.4 La satira antifarnesiana dai manoscritti alla stampa II.4.1 Il mito fondativo: l’oltraggio di Fano ... 98

II.4.2 Costruire l’Anticristo. Paolo III dal Pasquillus al Pasquino in estasi nuovo ... 106

II.4.3 La Lettera pseudo-ochiniana e la maschera religiosa dell’invettiva politica ... 114

III. La fedeltà politica alla prova degli interessi individuali III.1 Corte itinerante ed equilibri locali ... 123

III.2 Gli uomini di Carlo V in Italia: «ministri di Sua Maestà» e «imperiali» ... 128

III.3 Politica cortigiana e cultura nobiliare nei fratelli Gonzaga III.3.1 L’adesione del cardinale di Mantova al fronte imperiale ... 137

III.3.2 Fazioni cardinalizie e informazione politica negli anni romani di Ercole ... 145

III.3.3 Le ambizioni di Ferrante e il suo rapporto con la corte ... 158

IV. Lo spazio della coscienza IV.1 Ercole Gonzaga e la porpora cardinalizia IV.1.1 Ventimila scudi per un cappello rosso? ... 178

IV.1.2 La candidatura di Giovanni Salviati ... 182

IV.1.3 La settimana che cambiò la vita di Ercole Gonzaga ... 199

IV.1.4 Il memoriale del 1551 e le sue conseguenze ... 216

IV.2 Contro una «podestà tanto assoluta»: critica al papato e riforma della Chiesa ... 223

IV.3 I fratelli Gonzaga tra eterodossia e Inquisizione ... 241

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in quale misura il risultato sia effettivamente riuscito a ripagare il tempo dedicato alla ricerca, ma è motivo di grande gioia poter esprimere la mia riconoscenza per coloro che ne hanno reso possibile la concreta realizzazione.

Sono grato in primo luogo ai miei relatori per avermi permesso di lavorare in un contesto sereno e costruttivo. Ritengo infatti un assoluto privilegio poter dialogare con Massimo Firpo, alla cui esemplare generosità umana e intellettuale devo più di quanto io riesca a dire. Sono fortemente debitore a Stefania Pastore per le sue esortazioni a pensare per problemi e non per documenti: è gran parte per merito suo se questa tesi ha accettato la sfida di mantenere una prospettiva ampia sulle questioni che affronta.

Ringrazio poi Elena Bonora per aver discusso con interesse e curiosità l’impostazione del mio lavoro, arricchendone sostanzialmente la proposta interpretativa e spronandomi a seguire fino in fondo le piste che emergevano dalle fonti.

Questa ricerca non sarebbe stata possibile senza il confronto con Matteo Al Kalak, Francesco Dei, Michele Lodone e Federico Zuliani. A loro, i miei piccoli maestri, va la grande riconoscenza per un’amicizia sincera e fraterna.

Un grazie di cuore a Zeno Ballarini, Luca Battistella, Dario D’Andrea, Federico Favi, Lorenzo Granato, Valentina Lepore, Zeno Lucchese, Chiara Maragna, Francesco Padovani, Maria Teresa Rachetta, Luca Sandoni e Caterina Villani per avermi sostenuto, rallegrato e spesso sopportato nel corso di questi anni.

I miei genitori, mio fratello Donato e la sua splendida famiglia mi hanno regalato un inestimabile «noialtri» da cui allontanarmi nella consapevolezza di potervi sempre far ritorno. Spero solo, oggi più di ieri, di esserne all’altezza.

La tesi è stata scritta in memoria di Lorenzo Modena (22 gennaio 1990 - 22 dicembre 2007) ed è dedicata ad Anna, che si è sempre fatta trovare, dietro le parole.

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INTRODUZIONE

In una delle tele che compongono i Fasti gonzagheschi di Tintoretto, oggi alla Alte Pinakothek di Monaco di Baviera, Ercole e Ferrante Gonzaga vengono raffigurati assieme, fianco a fianco, alle spalle di un giovane Filippo d’Austria, trionfalmente accolto a Mantova nel gennaio 1549. Si tratta dell’unica opera che li presenta l’uno vicino all’altro, conferendo una tangibile espressione del legame profondo che unì le loro vite.1 Quando il maestro veneziano prese in mano il pennello, attorno al 1579, i fratelli erano però scomparsi da molto tempo; dei loro volti si serbava memoria, ormai, solo nei ritratti di Sebastiano del Piombo e Tiziano, oltre che in alcune pale d’altare realizzate da Fermo Ghisoni.2 Nella magniloquente celebrazione del loro casato messa in scena dalla pittura di Tintoretto, in altre parole, le figure del cardinale e dell’allora governatore di Milano apparivano tra le molte comparse di un grande pantheon famigliare. Sempre in quegli anni, gli eredi di Ferrante si impegnavano a erigere al suo ricordo il doppio monumento rappresentato dalla statua di Leone Leoni e dalla biografia di Giuliano Gosellini.3 Si trattava di narrazioni finalizzate ad esaltare il rilievo politico di Mantova e di Guastalla, evidenziando l’importanza della dinastia gonzaghesca nel panorama italiano ed europeo. Non è di questa storia che si occuperanno le pagine seguenti.4

Cardinale il primo, condottiero e poi uomo di governo di Carlo V il secondo, Ercole e Ferrante parteciparono direttamente ad alcune delle principali vicende del secolo, dal sacco di Roma alla congiura di Piacenza, dal concilio di Trento al conclave del 1549-1550. Per questo la storiografia si è occupata di loro in più di un’occasione e, ancor più spesso, ha estrapolato singoli documenti dai loro carteggi, senza tentare uno studio che abbracciasse l’ingente mole della loro produzione                                                                                                                

1 Cfr. M.RIVERO RODRÍGUEZ, Felipe II y el gobierno de Italia, Madrid, Sociedad Estatal para la Conmemoración de los

Centenarios de Felipe II y Carlos V, 1998, p. 13. Non è da escludere che Ferrante compaia tra i gentiluomini alle spalle del cardinale di Mantova in una delle lunette affrescate del portico del santuario della Beata Vergine delle Grazie a Curtatone, cfr. P. BERTELLI, Il santuario della Beata Vergine delle Grazie presso Mantova: gli affreschi del porticato e altri appunti, «Atti dell’Accademia Roveretana degli Agiati», 8 (2008), s. VIII, n. 2, pp. 27-76: 58-60; tali pitture sono

risalenti al 1635-1645 (cfr. ivi, p. 39).

2 Cfr. Cfr. S.A. HICKSON, Women, Art and Architectural Patronage in Renaissance Mantua: Matrons, Mystics and

Monasteries, Farnham-Burlington, Ashgate, 2012, p. 92; P. BAKER-BATES, Sebastiano del Piombo and the World of Spanish Rome, Abingdon Oxon-New York, Routledge, 2017, pp. 165-170; S. L’OCCASO, Ritratto tizianesco del cardinale Ercole Gonzaga, «Prospettiva. Rivista di storia dell’arte antica e moderna», 167-168 (2017), pp. 142-147.

Cfr. inoltre la missiva del 23 marzo 1565 del cardinal Francesco Gonzaga da Roma a un corrispondente ignoto, probabilmente un porporato: «L’immagine del signor cardinale mio zio felice memoria che a Vostra Signoria Illustrissima è piaciuto mandarmi mi ha tornato nella memoria l’affettione et osservanza di quel signore verso la persona di lei, che a me che fui consapevole dell’intrinseco suo, era notissima fra tutte l’altre cose che gli risiedevano nell’animo. Et perciò oltra gli oblighi particolari che io porto a Vostra Signoria Illustrissima per conto mio proprio, mi s’è <a>ggiunto la ricordatione di quest’altro, che il suddetto signore haveva seco, de honorarla et servirla, et che io debbo ricevere sopra di me per il debito che tengo verso quella benedetta anima» (ACR, Archivio Gonzaga, b. 4, n. 24).

3 Cfr. infra, § II.2.2.

4 L’ultima monografia sulle vicende del casato è L. SARZI AMADÉ, I Gonzaga. Una dinastia tra Medioevo e

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epistolare.5 È invece proprio a partire da un’indagine il più possibile completa della loro corrispondenza riservata – con ogni probabilità il carteggio confidenziale più ampio, continuo e meglio conservato della prima metà del Cinquecento – che ha preso spunto la presente ricerca: la rete creata dalle lettere dei Gonzaga rappresenta infatti un ricchissimo laboratorio storico, che fornisce un punto di riferimento su cui impostare il complesso gioco di scala tra le parabole individuali dei mantovani e le dinamiche politiche, religiose e culturali da loro attraversate e vissute.

Dallo studio della documentazione è infatti emerso un intreccio talmente forte tra le loro vite da rendere sostanzialmente impossibile la comprensione delle azioni dell’uno prescindendo da quelle dell’altro. Dal sacco di Roma del 1527, in cui fecero il proprio esordio nella grande politica italiana ed europea, fino alla morte di Ferrante nel 1557, la loro sinergia fu continua e decisiva per entrambi. Si pensi ad esempio al 1531-1532, gli anni del conferimento del Toson d’oro a Ferrante e del passaggio di Ercole al fronte imperiale, o al 1535, che vide il ritorno a Roma del cardinale e la promozione del fratello minore a viceré di Sicilia. Sono vicende di relativa importanza nel panorama del tempo, ma di assoluto valore per le loro esistenze, dato che da un anno all’altro si potevano vedere caduti in disgrazia o favoriti dalla corte, promossi a importanti cariche o sopravanzati da agguerriti avversari. In uno scenario talmente soggetto ai rovesci della sorte – nel 1537, ad esempio, Ferrante considerò l’idea di abbandonare il servizio imperiale, mentre Ercole prese definitivo congedo dalla corte romana – il lavoro di squadra fu per i Gonzaga una garanzia di solidità, anche quando la morte del duca Federico nel 1540 segnò un vero e proprio spartiacque con il passato, rendendoli gli indiscussi vertici politici del casato mantovano. Da quella data il porporato smise infatti di temere i richiami di Paolo III e il viceré di Sicilia capì che l’appoggio di Granvelle gli poteva aprire nuove prospettive di carriera. Proprio la sua promozione a governatore di Milano nel maggio 1546 creò per loro le condizioni di quattro anni di assoluto protagonismo, validamente sostenuti da Diego Hurtado de Mendoza e protetti dall’ascendente del consigliere borgognone alla corte cesarea. Nonostante la congiura di Piacenza del settembre 1547 sancisse l’apertura di uno scontro frontale tra i Farnese e Mantova, fino al 1550 Ercole e Ferrante poterono disporre di un’autorità e di una possibilità di iniziativa politica che non avevano mai avuto né sarebbero mai più tornati ad avere. Fu il conclave di Giulio III, con l’esplodere del conflitto tra le diverse anime dello schieramento filoimperiale e con la crisi vissuta dal cardinale nei confronti degli obblighi di appartenenza fazionaria, ad avviare l’inizio di un declino politico che portò tra 1554 e 1555 al richiamo a corte e alla conseguente destituzione di Ferrante, che nel 1557 finì i propri giorni sui                                                                                                                

5 I più recenti contributi loro dedicati sono P.V. MURPHY, Ruling Peacefully. Cardinal Ercole Gonzaga and Patrician

Reform in Sixteenth-Century Italy, Washington D.C., The Catholic University of America Press, 2007 e G.SIGNOROTTO

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campi di battaglia delle Fiandre, senza gradi di comando, mentre il fratello ratificava il proprio distacco dalla politica attiva prendendo i voti sacerdotali.

Tali date non sono semplici puntelli evenemenziali, ma segnano l’aprirsi e il chiudersi degli orizzonti in cui i due mantovani concepirono i loro progetti d’azione. Per questo motivo si è deciso di approfondire le loro vite senza fare ricorso a una narrazione di stampo biografico:6 pur riconoscendo l’esigenza di esaustive monografie sulle principali personalità della crisi religiosa e politica del sedicesimo secolo,7 la scelta è stata motivata dalla volontà di mettere al centro della trattazione lo svolgimento dei loro processi decisionali, dando risalto ai dubbi e ai ripensamenti sistematicamente nascosti dalla loro pubblica fama di irremovibili sostenitori di casa d’Austria. In tal senso, la scommessa metodologica del lavoro è consistita nel tentativo di comprendere, attraverso un minuto esame delle missive confidenziali, come i Gonzaga percepissero la loro identità personale e sociale. Adottando una prospettiva sociologicamente realista, si è infatti cercato di mostrare che l’individualità di Ercole e Ferrante (agency) non rappresentasse una mera manifestazione particolare della società e della cultura in cui si muovevano (structure). È a partire da questo quadro teorico che la loro corrispondenza riservata è stata interpretata come spazio privilegiato per indagare l’espressione discorsiva di una soggettività consapevole,8 radicata nel contesto storico ma libera di elaborare progetti e iniziative in continuità con il proprio quadro valoriale.9

Proprio in ragione del complesso rapporto che legava convinzioni personali, discussione privata e immagine pubblica nei Gonzaga, l’analisi è stata inoltre condotta con un occhio di riguardo ai mezzi di comunicazione dell’epoca, sottolineando le decisive ricadute che le modalità di produzione e circolazione dei testi avevano non solo sul contenuto, ma anche sulla loro ricezione. La tesi ha così affrontato lo studio degli epistolari, della pubblicistica religiosa, dei memoriali politici e delle                                                                                                                

6 Sulle implicazioni legate all’adozione di tale prospettiva cfr. G. LEVI, Les usages de la biographie, «Annales ESC», 6

(1989), pp. 1325-1336; S. LORIGA, La biografia come problema [1996], in J. REVEL (ed.), Giochi di scala. La

microstoria alla prova dell’esperienza, Roma, Viella, 2006, pp. 201-228: 221-222; M. REBESCHINI, La biografia come genere storiografico tra storia politica e storia sociale. Questioni e prospettive di metodo, «Acta Histriae», 14 (2006),

pp. 427-446.

7 Una necessità enunciata apertamente in G. FRAGNITO, Gasparo Contarini. Un magistrato veneziano al servizio della

cristianità, Firenze, Olschki, 1988, p. IX e che ha prodotto numerosi contributi di fondamentale valore nel corso dei

cinquant’anni che separano A. PROSPERI, Tra evangelismo e Controriforma: G.M. Giberti, 1495-1543, Roma, Edizioni

di Storia e Letteratura, 1969 dal recente M. FIRPO,G.MAIFREDA, L’eretico che salvò la Chiesa. Il cardinale Giovanni Morone e le origini della Controriforma, Torino, Einaudi, 2019.

8 Si veda in particolare M.S. ARCHER, The Ontological Status of Subjectivity. The Missing Link between Structure and

Agency [2007], in T. BROCK,M.CARRIGAN,G.SCAMBLER (eds.), Structure, Culture and Agency. Selected Papers of Margaret Archer, London-New York, 2017, pp. 151-164. Sulla questione cfr. poiM.S. ARCHER, Being Human. The

Problem of Agency, Cambridge, Cambridge University Press, 2001, pp. 222-249; A. CALLINICOS, Making History.

Agency, Structure, and Change in Social Theory, Leiden-Boston, Brill, 2004 [ed. or. 1987], pp. XVII-XXXII.

9 Cfr. P. HOFFMANN-REHNITZ, A. KRISCHER, M. POHLIG, Entscheiden als Problem der Geschichtswissenschaft,

«Zeitschrift für Historische Forschung», 45 (2018), pp. 217-281; P.HOFFMANN-REHNITZ,U.PFISTER,M.QUANTE,T.

ROJEK, Diesseits von methodologischem Individualismus und Mentalismus. Auf dem Wege zu einer geistes- und

kulturwissenschaftlichen Konzeption des Entscheidens. Reflexionen der Dialektik einer interdisziplinären Problemkonstitution, «Angewandte Philosophie. Eine internationale Zeitschrift», 1 (2019), pp. 133-152.

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trattative diplomatiche del periodo, allo scopo di calare nelle forme proprie della cultura cinquecentesca il significato dell’adesione personale all’una o all’altra delle principali fazioni in lotta per l’egemonia sull’Italia e sull’Europa.

È per questi motivi che, prima ancora di affrontare il contenuto delle lettere e degli scritti in questione, nel primo capitolo (Forme e contesti della scrittura epistolare) si è reputato opportuno soffermarsi sullo spessore culturale, sociale e comunicativo legato alle pratiche scrittorie della prima età moderna. Le ricerche compiute negli ultimi decenni, soprattutto in ambito anglosassone, hanno dimostrato come tra Cinque e Settecento la stampa non si sia sviluppata in concorrenza alla circolazione di testi manoscritti:10 proprio la sinergia riscontrabile tra il mondo dei torchi e quello degli scrittoi – particolarmente evidente nel caso di opere letterarie, ma non limitato a queste11 – ha obbligato a porsi nuovi interrogativi anche nell’ambito delle scritture pratiche (corrispondenza privata e ufficiale, memoriali, documenti e atti pubblici). Si è così assistito a un rifiorire di studi legati alla documentazione diplomatica,12 ai meccanismi d’informazione13 e alla documentazione amministrativa di Antico Regime,14 mentre gli specialisti di epistolografia hanno messo a punto una metodologia di analisi delle missive a partire dal loro stato testuale.15 La distinzione delle varie forme assunte dalle lettere (minute, originali spediti, copie sciolte o in registro) aiuta infatti a comprenderne meglio il contenuto e non solo a descrivere con precisione le loro caratteristiche formali: stabilire il grado di elaborazione del singolo testo spinge a considerarlo come il risultato di un processo elaborativo composto da diverse fasi e gestito da specifiche figure, con la conseguenza di legare strettamente le testimonianze epistolari alle pratiche scrittorie e al contesto storico in cui vennero prodotte.

                                                                                                               

10 Per uno sguardo generale cfr. Z. TENGER,P.TROLANDER, From Print versus Manuscript to Sociable Authorship and

Mixed Media: A Review of Trends in the Scholarship of Early Modern Publication, «Literature Compass», 7 (2010), pp.

1035-1048. Il testo di riferimento in ambito spagnolo è invece F. BOUZA, Corre manuscrito. Una historia cultural del Siglo de Oro, Madrid, Marcial Pons, 2001.

11 Cfr. B.RICHARDSON, Manuscript Culture in Renaissance Italy, Cambridge, Cambridge University Press, 2009, p. X. 12 Su questo filone di studi si vedano da ultimo I. LAZZARINI, Lettere, minute, registri: pratiche della scrittura

diplomatica nell’Italia tardomedioevale fra storia e paleografia, «Quaderni Storici», 51 (2016), n. 2, pp. 449-470 ed

EAD., Corrispondenze diplomatiche nei principati italiani del Quattrocento. Produzione, conservazione, definizione, in

A. GIORGI, K.OCCHI (eds.), Carteggi fra basso medioevo ed età moderna. Pratiche di redazione, trasmissione e

conservazione, Bologna, il Mulino, 2018, pp. 13-37.

13 Cfr. F. DE VIVO, Patrizi, informatori, barbieri. Politica e comunicazione a Venezia nella prima età moderna, Milano,

Feltrinelli, 2012; J.FERRER-BARTOMEU, Le tremblé des correspondances. Information, préparation et projection des décisions politiques dans les «bureaux» des secrétaires d’État sous le règne de Henri III, in T. BRU,S. DE LA FOREST D’ARMAILLE (eds.), Matière à écrire. Les échanges de correspondances du XVIe au XIXe siècle, Saint-Denis, Presses

Universitaires de Vincennes, 2017, pp. 17-52.

14 Cfr. la rassegna contenuta in G. GIUDICI, Nuovi approcci alla storia della burocrazia. Ripensare le cancellerie

dell’Europa tardo-medievale e della prima età moderna, «Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento», 45

(2019), pp. 49-68.

15 Cfr. P. MORENO, Filologia dei carteggi volgari quattro-cinquecenteschi, in E. PASQUINI (ed.), Studi e problemi di

critica testuale, 1960-2010. Per i 150 anni della Commissione per i testi di lingua, Bologna, Commissione per i testi di

lingua-Bononia University Press, 2012, pp. 127-147 e J. DAYBELL, The Material Letter in Early Modern England.

Manuscript Letters and the Culture and Practices of Letter-Writing, 1512-1635, Houndmills-New York, Palgrave

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Il funzionamento delle cancellerie pubbliche e delle segreterie personali, lo stile delle missive, l’importanza dell’autografia, la rete dei corrispondenti, i diversi modi di rendere pubblico uno scritto, l’uso della cifra, i sistemi di conservazione archivistica sono in tal senso aspetti centrali delle modalità di comunicazione del Cinquecento e rappresentano i parametri di riferimento che fanno da sfondo al secondo capitolo (Gli strumenti della comunicazione politica). È infatti nel segno di un sempre più stretto legame dei testi ai contesti che anche gli storici sono tornati a interessarsi alle pratiche scrittorie e agli scambi epistolari, prestando attenzione alle loro premesse culturali oltre che all’effettivo scambio di informazioni. Memoriali, pasquinate, opuscoli teologici e scritti di controversia percorrevano infatti circuiti contigui, sospesi tra oralità, circolazione manoscritta e pubblicazione a stampa; le interconnessioni tra questi ambiti erano talmente tante che gli stessi attori storici impararono presto a utilizzarle in maniera creativa, muovendosi tra varie lingue e differenti tecniche espressive per assicurare al loro messaggio la più ampia diffusione o per difenderlo dalla censura ecclesiastica o secolare.16 Tale mutamento di prospettiva si è così espresso in ricerche che, grazie all’attento esame di corpora di lettere e memoriali, offrono importanti contributi sull’ambiente intellettuale e politico dell’Italia di Carlo V17 o sul governo di Caterina de’ Medici.18 Si tratta di una significativa novità rispetto alla tradizionale impostazione di Karl Brandi, che vedeva nel flusso di lettere e dispacci prodotto dalle cancellerie imperiali la fonte principale per lo studio della politica cesarea.19 Fu questa politische Korrespondenz – una definizione che

abbracciava la massa di dispacci, lettere, memoriali, istruzioni, consulte e relazioni che avevano caratterizzato il governo di Carlo V in discontinuità con le scritture tipiche delle corone medievali (diplomi, patenti, cedole)20 – a essere al centro di un monumentale lavoro di schedatura che nel 1999 portò alla pubblicazione di venti volumi di documenti prodotti dall’imperatore asburgico.21 Emergeva così una vastissima rete che legava il sovrano ai rappresentanti sparsi per i suoi domini, la cui esplicita funzione di governo impediva però la libera espressione dei corrispondenti coinvolti: in nessuna di quelle migliaia di missive, infatti, Carlo V diede voce alle proprie emozioni o alla sua pietà religiosa.22 In aggiunta, se i contenuti culturali e le forme del mito costruito attorno al sovrano                                                                                                                

16 Cfr. da ultimo su questo tema G. FRAGNITO, Rinascimento perduto. La letteratura italiana sotto gli occhi dei censori

(secoli XV-XVII), Bologna, Il Mulino, 2019.

17 Cfr. il caso del carteggio tra Ercole Gonzaga e Benedetto Accolti in E. BONORA, Aspettando l’imperatore. Principi

italiani tra il papa e Carlo V, Torino, Einaudi, 2015.

18 Cfr. M. GELLARD, Une reine épistolaire. Lettres et pouvoir au temps de Catherine de Médicis, Paris, Classiques

Garnier, 2014.

19 Ma cfr. anche C. CAPASSO, Paolo III (1534-1549), vol. I, Messina-Roma, Principato, 1924, p. XIII.

20 Cfr. K.BRANDI, Die politische Korrespondenz Karls V. Alte und neue Editionspläne, BSGK, I, 1930, pp. 250-258 e F.

WALSER, Die Überlieferung der Akten der kastilisch-spanischen Zentralbehörden unter Karl V. Geschichte und allgemeine Grundzüge, BSGK, VIII, 1933, pp. 93-138: 101, 122-123.

21 Cfr. H. RABE (ed.), Karl. V, politische Korrespondenz. Brieflisten und Register, vol. I-XX, Konstanz, Bibliothek der

Universität, 1999.

22 Cfr. ID., Die politische Korrespondenz Kaiser Karls V. Beiträge zu ihrer wissenschaftlichen Erschließung, in ID.

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asburgico sono stati ampiamente studiati,23 rimane ancora da indagare a fondo l’accorto uso dei mezzi di comunicazione da parte della corte cesarea, che non si limitò a proclamare la magnificenza e la giustizia di Carlo V, ma tentò di orientare la circolazione delle informazioni a favore del governo imperiale.24 I carteggi gestiti dalle cancellerie descrivono dunque le articolazioni del potere cesareo, la costante dialettica tra la corte e i domini, il ruolo dei legami personali nella struttura dell’Impero, ma, salvo rare eccezioni, non offrono spunti utili per approfondire il punto di vista personale di «coloro che durante quarant’anni, al centro o alla periferia, furono i collaboratori, i rappresentanti o gli interpreti della politica imperiale» in Italia e in Europa.25

La corrispondenza privata di Ercole e Ferrante Gonzaga reca invece ampie tracce della voce di quell’«internazionale» di governatori, prelati e diplomatici, provenienti dalle fila della nobiltà europea, che misero a disposizione dell’Impero asburgico non solo competenze politiche, fortune personali, reti clientelari, ma anche il patrimonio immateriale del loro carisma e del loro onore.26

Nel terzo capitolo (La fedeltà politica alla prova degli interessi individuali) si tenta dunque di sfruttare tale documentazione per descrivere le caratteristiche del regno di Carlo V, in cui la dispersione geografica dei domini, pur non scalfendo il centralismo decisionale dell’imperatore,27 imponeva alla corona di creare un solido consenso attorno al proprio progetto politico. A questo proposito si è cercato di far fruttare gli apporti offerti dalla feconda riflessione sullo «spazio della politica» nella società di Antico Regime: in opposizione al protagonismo tradizionalmente accordato allo Stato e alla sua preistoria, le ricerche hanno cercato di mostrare la dimensione sociale della sfera pubblica tra XVI e XVIII secolo, evidenziando come i ceti inferiori non fossero totalmente esclusi dal governo né subissero passivamente le scelte dei loro signori. «Palazzo» e «piazza» erano ambienti separati da una barriera porosa, che permetteva reciproche influenze: benché non fosse partecipe dei processi di decisione politica, anche il popolo aveva un peso nella gestione della cosa pubblica, tanto che il suo consenso alle scelte compiute dalle classi dirigenti                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 J.D.TRACY, Emperor Charles V, Impresario of War: Campaign Strategy, International Finance and Domestic Politics,

Cambridge, Cambridge University Press, 2002, p. 10. Per un approfondimento della psicologia dell’imperatore a partire dai suoi ultimi anni di vita cfr. A. García Simón, El ocaso del emperador. Carlos V en Yuste, Hondarribia, Editorial Nerea, 1995.

23 Cfr. F.A. YATES, Astrea. L’idea di impero nel Cinquecento, Torino, Einaudi, 1978 [ed. or. 1975]; S. LEYDI, Sub

umbra imperialis aquilae. Immagini del potere e consenso politico nella Milano di Carlo V, Firenze, Olschki, 1999; M.

FANTONI,Carlo V e l’immagine dell’‘imperator’, inID. (ed.), Carlo V e l’Italia, Roma, Bulzoni, 2000, pp. 101-118;

D.H. BODART, L’immagine di Carlo V in Italia tra trionfi e conflitti, in F. CANTÙ,M.A.VISCEGLIA (eds.), L’Italia di

Carlo V. Guerra religione e politica nel primo Cinquecento, Roma, Viella, 2003, pp. 115-138; J.C. D’AMICO, Charles Quint maître du monde. Entre mythe et réalité, Caen, Presses Universitaires de Caen, 2004. Si vedano poi i saggi

raccolti in J. MARTÍNEZ MILLÁN (ed.), Carlos V y la quiebra del humanismo político en Europa (1530-1558), 4 voll., Madrid, Sociedad Estatal para la conmemoración de los centenarios de Felipe II y Carlos V, 2001.

24 Si pensi ad esempio alla disputa sorta attorno all’alleanza tra Clemente VII e Francesco I del marzo 1527, su cui cfr.

R. RUGGIERO, Baldassarre Castiglione diplomatico. La missione del cortegiano, Firenze, Olschki, 2017, pp. 93-95. 25 G. GALASSO, Carlo V e Spagna imperiale. Studi e ricerche, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2006, p. 161. 26 F.CHABOD, Storia di Milano nell’epoca di Carlo V, Torino, Einaudi, 1961, p. 130.

27 Cfr. J.H.ELLIOTT, A Europe of Composite Monarchies, «Past & Present», 137 (1992), pp. 48-71; ID., La Spagna

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rappresentava una condizione imprescindibile per garantire stabilità ed efficacia alle istituzioni, pena la sempre temuta possibilità di una sommossa generale contro l’autorità.28 Tale rinnovato interesse per le forme della partecipazione politica nella prima età moderna ha così favorito un ripensamento delle ruolo svolto dalla circolazione di informazioni in Antico Regime,29 nonché dello statuto documentario delle fonti archivistiche, nel tentativo di storicizzare e destrutturare l’ideologia dei poteri che le avevano prodotte e custodite.30 In tal senso il carteggio dei due mantovani – parte attiva della rete di agenti e informatori che legavano il sovrano alle diverse realtà europee – mostra non solo i meccanismi che regolavano l’afflusso e l’elaborazione degli avvisi al consiglio cesareo, ma anche l’importanza politica che poteva assumere, a distanza di tempo, la conservazione di documenti di rilevanza pubblica nei loro fondi privati.31

Come si è detto, è difficile riuscire a scorgere dietro a questa dialettica di potere – che si esprimeva nei termini cortigiani di onore, reputazione, titoli, possibilità di accesso personale all’imperatore – le convinzioni individuali dei sostenitori degli Asburgo. Se già Cantimori e Chabod avevano proposto di ravvisare una continuità tra opposizione politica e dissenso religioso, senza poter giungere a conclusioni definitive,32 gli studi sulla corte hanno tentato di ricostruire, con risultati non sempre convincenti, gli indirizzi spirituali che accomunavano i membri di una stessa fazione.33 Senza negare l’imprescindibile centralità dell’ambiente cortigiano per l’elaborazione della linea di governo e lo sviluppo delle carriere individuali, la pervasività del negoziato e del conflitto nella società di Antico Regime34 impone di non assumere un rapporto di stretta subordinazione tra la                                                                                                                

28 Cfr. M. ROSPOCHER, La voce della piazza. Oralità e spazio pubblico nell’Italia del Rinascimento, in ID. (ed.), Oltre

la sfera pubblica. Lo spazio della politica nell’Europa moderna, Bologna, Il Mulino, 2013, pp. 9-29: 20-27.

29 Cfr. A. GESTRICH, Absolutismus und Öffentlichkeit. Politische Kommunikation in Deutschland zu Begin des XVIII.

Jahrhunderts, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1994; A. BRENDECKE, Imperio e información. Las funciones del

saber en el dominio colonial español, Madrid-Frankfurt, Iberoamericana-Vervuet Verlag, 2012.

30 Cfr. F.DE VIVO,A.GUIDI,A.SILVESTRI (eds.), Archivi e archivisti in Italia tra Medioevo ed età moderna, Roma,

Viella, 2015; K. PETERS,A.WALSHAM, L.CORENS (eds.), Archives and Information in the Early Modern World, Oxford, Oxford University Press, 2018; C.R. HEAD, Making Archives in Early Modern Europe. Proof, Information, and

Political Record-Keeping, 1400-1700, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 2019.

31 Sullo statuto degli archivi privati cfr. E. LODOLINI, Archivi privati, archivi personali, archivi familiari, ieri e oggi, in

Il futuro della memoria, vol. I, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali - Ufficio Centrale per i beni

archivistici, 1997, pp. 23-69.

32 Cfr. F. CHABOD, Per la storia religiosa dello Stato di Milano durante il dominio di Carlo V. Note e documenti

[1937], in ID., Lo Stato e la vita religiosa a Milano nell’epoca di Carlo V, Torino, Einaudi, 1971, pp. 227-465: 302-303;

D. CANTIMORI, Eretici italiani del Cinquecento [1939], a cura di A. PROSPERI, Torino, Einaudi, 2009, p. 40. Cfr. poi P.

SIMONCELLI, Evangelismo italiano del Cinquecento. Questione religiosa e nicodemismo politico, Roma, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, 1979, pp. XIII-XVIII; ID., Inquisizione romana e riforma in Italia, «Rivista

storica italiana», 100 (1988), pp. 5-125: 53-59.

33 Per alcune indicazioni sulla «ideología religiosa» degli schieramenti a corte cfr. J. MARTÍNEZ MILLÁN, Grupos de

poder en la corte durante el reinado de Felipe II: la facción ebolista, 1554-1573, in ID. (ed.), Felipe II (1527-1598). La

configuración de la monarquía hispana, Salamanca, Junta de Castilla y León, 1998, pp. 137-197: 149-160. Cfr. per un

quadro generale M.A. VISCEGLIA, Corti italiane e storiografia europea. Linee di lettura, in F. CENGARLE (ed.), L’Italia alla fine del Medioevo: i caratteri originali nel quadro europeo, vol. II, Firenze, Firenze University Press, 2006, pp.

37-85 e i contributi in M. FANTONI (ed.), The Court in Europe, Roma, Bulzoni, 2012.

34 Recentemente sottolineato in M.C. GIANNINI, Per difesa comune. Fisco, clero e comunità nello Stato di Milano

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corte e la classe dirigente asburgica, limitandosi alle descrizione delle alleanze famigliari e personali con questo o quel gruppo fazionario, con questa o quella rete di patronage, ma di porre la questione dell’effettiva portata dell’adesione personale al progetto politico di Carlo V da parte di coloro che vi contribuirono concretamente. Non solo gli interessi, quindi, ma anche le convinzioni furono motori di eventi, scelte, successi e sconfitte di casa Gonzaga.

A tal proposito il rapporto tra i fratelli mantovani e l’imperatore fu senz’altro meno lineare di quanto apparisse dalle loro ripetute proteste di lealtà a casa d’Austria: pur esprimendosi ufficialmente nello stile di una «devozione personale» dai tratti ancora cavallereschi,35 esso si articolava in un difficile equilibrio tra ricerca dell’utile, fedeltà alla propria parte politica e difesa dell’onore nei termini prescritti dalla cultura nobiliare dell’epoca.36 Sono le tracce del conflitto tra queste diverse istanze, che raramente esplodeva in aperte forme di dissenso nei confronti del sovrano, che gettano luce sulle convinzioni individuali dei fratelli e sull’influsso che la figura di Carlo V poté esercitare su quel vasto gruppo di individui che si impegnò a favore della sua politica. Mentre Ferrante fu costantemente angustiato dall’idea che il sovrano non ricompensasse adeguatamente i suoi servizi, Ercole dovette conciliare la militanza filoasburgica con la responsabilità morale e religiosa del proprio titolo cardinalizio: nel corso del conclave di Giulio III, la crisi generata dall’insanabile dissidio tra gli obblighi di porporato imperiale e la voce della sua coscienza lo portò a mettere radicalmente in questione il modo con cui fino a quel momento egli aveva concepito il proprio ruolo di principe della Chiesa. Impossibilitati dalla distanza a confrontarsi a voce sulle scelte da prendere nei momenti decisivi delle loro vite, i due fratelli affidarono quindi dubbi, pensieri e speranze alla corrispondenza riservata, mettendo nero su bianco i moti della loro interiorità con una spontaneità che, per quanto mediata dalla forma epistolare, era priva di paragoni nei carteggi delle principali personalità del tempo.

Il punto nevralgico della tesi sta dunque nell’ipotesi che nelle missive confidenziali scambiate tra Ercole e Ferrante venissero espressi giudizi e convinzioni che non sarebbero mai stati confidati alla pagina scritta, se una serie di fattori – la lontananza, la stretta collaborazione politica, il legame famigliare, la reciproca fiducia – non avessero reso possibile un grado di sincerità del tutto inconsueto per i canoni della epistolografia della prima età moderna.37 Nelle lettere riservate i mantovani poterono così manifestare i loro pensieri senza incorrere nelle resistenze che tendono a

                                                                                                               

35 F.CHABOD, Carlo V e il suo impero [1949], in ID., Carlo V e il suo impero, Torino, Einaudi, 1985, pp. 3-161: 63. 36 Cfr. O. BRUNNER, Vita nobiliare e cultura europea, Bologna, Il Mulino, 1982 [ed. or. 1949]; C. DONATI, L’idea di

nobiltà in Italia (secoli XIV-XVIII), Roma-Bari, Laterza, 1988.

37 Cfr. W. RUBERG, Conventional Correspondence. Epistolary Culture of the Dutch Elite, 1770-1850, Leiden-Boston,

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caratterizzare i documenti autobiografici.38 È a partire da questo assunto che si è potuto impostare in modo nuovo il problema storico del nesso tra militanza filoimperiale e condivisione di istanze di riforma della Chiesa, al centro del quarto e ultimo capitolo (Lo spazio della coscienza). I lavori di Massimo Firpo sul gruppo dei cosiddetti “spirituali” raccolti attorno a Reginald Pole e a Giovanni Morone hanno infatti ravvisato una dimensione religiosa nel sostegno che tali figure offrirono alla politica asburgica verso la Sede apostolica nell’arco di tempo che si estende da Paolo III a Pio IV: nella prospettiva dello studioso, il sostegno di Carlo V alla candidatura papale di Pole e le sue aperture nei confronti di un dialogo con le istanze dei teologi riformati avrebbero permesso la convergenza sotto le insegne di Carlo V di principi e prelati tradizionalmente su fronti opposti, come ad esempio il filofrancese Gian Matteo Giberti e la famiglia dei Colonna, sostenitrice dell’Impero sin dal periodo medievale.39 Sulla scorta di Bataillon,40 le ipotesi di Firpo hanno

evidenziato i legami tra erasmismo spagnolo, corte asburgica e valdesianesimo, mostrando come il conflitto religioso ai vertici della Chiesa non si limitasse alle tensioni tra indirizzi «moderati» e «radicali» dell’evangelismo italiano o tra «spirituali» e «intransigenti»,41 ma interessasse un vasto fronte politico. Tali indicazioni sono state ampiamente recepite dagli studi successivi, che hanno spesso descritto la fazione filoasburgica come punto di riferimento di diverse istanze di riforma ecclesiastica, che vedevano nell’Impero un soggetto interessato e disponibile a sostenere le loro ragioni.42

                                                                                                               

38 Si pensi agli importanti studi condotti sugli scritti autobiografici prescritti agli aderenti al PCI (M. BOARELLI, La

fabbrica del passato. Autobiografie di militanti comunisti (1945-1956), Milano, Feltrinelli, 2007), a donne che

ricorrevano alla direzione spirituale (A. MALENA, Ego-documents or ‘Plural Compositions’? Reflections on Women’s Obedient Scriptures in the Early Modern Catholic World, «Journal of Early Modern Studies», 1 (2012), pp. 97-113) e ai

giovani gesuiti (M. TURRINI, Poco oltre la soglia: racconti autobiografici di aspiranti gesuiti a metà Seicento, «Studi

Storici», 55 (2014), pp. 585-614; A. PROSPERI, La vocazione. Storie di gesuiti tra Cinquecento e Seicento, Torino,

Einaudi, 2016). Cfr. poi R. DEKKER (ed.), Egodocuments and History: Autobiographical Writing in Its Social Context

since the Middle Ages, Hilversum, Verloren, 2002; J. AMELANG, El vuelo de Icaro. La autobiografía popular en la

Europa moderna, Madrid, Siglo XXI, 2003.

39 Cfr. M. FIRPO, Filippo II, Paolo IV e il processo inquisitoriale del cardinale Morone [1983], in ID., Inquisizione

romana e Controriforma. Studi sul cardinal Giovanni Morone (1509-1580) e il suo processo d’eresia, Brescia,

Morcelliana, 2005, pp. 313-369: 352-353, nonché ID., Politica imperiale e vita religiosa in Italia nell’età di Carlo V [2001], in ID., «Disputar di cose pertinente alla fede». Studi sulla vita religiosa del Cinquecento italiano, Milano, Unicopli, 2003, pp. 159-174.

40 Il riferimento è ovviamente a M. BATAILLON, Erasmo y España, Madrid, Fondo de Cultura Económica, 1966 [ed. or.

1937]. Cfr. M. FIRPO, Valdesiani e spirituali. Studi sul Cinquecento religioso italiano, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013, pp. 49, 91-92.

41 Rispettivamente SIMONCELLI, Evangelismo italiano del Cinquecento, cit., p. 98; G. FRAGNITO, Evangelismo e

intransigenti nei difficili equilibri del pontificato farnesiano [1989], in EAD., Cinquecento italiano. Religione, cultura e

potere dal Rinascimento alla Controriforma, Bologna, Il Mulino, 2011, pp. 188-220; EAD., Il nepotismo farnesiano tra

ragioni di Stato e ragioni di Chiesa [1993], ivi, pp. 220-230.

42 Cfr. ad es. F. GUI, L’attesa del Concilio. Vittoria Colonna e Reginald Pole nel movimento degli spirituali, Roma,

EUE, 1998; S. PEYRONEL RAMBALDI, Una gentildonna irrequieta. Giulia Gonzaga fra reti familiari e relazioni eterodosse, Roma, Viella, 2012, pp. 16, 163-164, 231-232; M.A.VISCEGLIA, Morte ed elezione del papa. Norme, riti e

conflitti, Roma, Viella, 2013, pp. 178, 327, 329, 333; M. GOTOR, Sull’illusione biografica: il caso di Bernardino

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In anni recenti da più parti si è cercato di ripensare e precisare tale quadro. Se lo studio di un protagonista del fronte imperiale come Diego Hurtado de Mendoza ha confermato l’esistenza, in ambito spagnolo, di una riconoscibile tradizione culturale di critica al papato, altri contributi hanno invece posto l’accento sui fermenti religiosi presenti anche nel campo filofrancese.43 Le ricerche di Elena Bonora hanno poi segnalato come tale impostazione non riuscisse a dar conto delle motivazioni di altri importanti sostenitori italiani di Carlo V. Attraverso l’analisi del carteggio tra Benedetto Accolti ed Ercole Gonzaga la studiosa ha documentato che la loro opposizione a Paolo III non rimandava a istanze riformatrici o eterodosse, ma alla polarizzazione originata dallo scontro tra papa Farnese e il sovrano asburgico. A differenza dei seguaci di Pole e Morone, per i membri dell’«Italia dell’imperatore» sarebbe quindi stata l’appartenenza politica e non la sensibilità religiosa a motivare forme di dissenso nei confronti del papato romano.44

Di fronte a questi spunti interpretativi si è scelto di affrontare solo brevemente le frequentazioni eterodosse dei mantovani, già analizzate da parte della storiografia,45 dando precedenza all’analisi del loro atteggiamento verso la Sede Apostolica, che si fondava su una costante distinzione tra la necessità politica di combattere l’eresia e il forte desiderio di una gerarchia ecclesiastica maggiormente degna della propria funzione spirituale. Tra i fratelli Gonzaga c’era concordanza di vedute sul fatto che l’approfondimento delle controversie teologiche dovesse rimanere ristretto all’ambito clericale, benché si dimostrassero pronti a proteggere i loro sudditi (e le loro prerogative giurisdizionali) dalle ingerenze del Sant’Uffizio, di cui pure riconobbero subito il peso politico all’interno della corte romana. Se dallo scenario locale si passava alle sorti generali della Chiesa, Ercole e Ferrante mostravano invece attitudini differenti, che rispecchiavano il loro profilo religioso. Abituato a considerare il papato come il principale protagonista della politica italiana, Ferrante mostrava poco interesse verso le discussioni circa una riforma del clero, limitandosi ad auspicare l’elezione di un pontefice all’altezza del suo ruolo e a coltivare le forme di pietà imparate sin dall’infanzia. Il cardinale invece, pur mostrando curiosità per le novità teologiche d’Oltralpe e la grande libertà di giudizio nei confronti della Curia, guardava alla spaccatura della cristianità da una prospettiva politica, interpretandola come una crisi di credibilità dell’istituzione papale. Personalmente impegnato nel buon governo della propria diocesi, Ercole Gonzaga ripose in un primo momento molte speranze nel concilio di Trento, ma si rese presto conto che una sostanziale                                                                                                                

43 Cfr. rispettivamente S. PASTORE, Una Spagna anti-papale. Gli anni italiani di Diego Hurtado de Mendoza, in «Roma

Moderna e Contemporanea», 15 (2007), pp. 63-94 e G. ALONGE, Condottiero, cardinale, eretico. Federico Fregoso

nella crisi politica e religiosa del Cinquecento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2017.

44 Cfr. BONORA,Aspettando l’imperatore, cit., pp. 171-172. Ma cfr. anche EAD., Roma 1564. La congiura contro il

papa, Roma-Bari, Laterza, 2011, pp. 51, 132.

45 Cfr. in particolare L. BERTAZZI NIZZOLA, Infiltrazioni protestanti nel ducato di Mantova (1530-1563), «Bollettino

storico mantovano», 2 (1956), pp. 102-130; 4 (1956), pp. 258-286; 7 (1957), pp. 205-228; S.PAGANO (ed.), Il processo

di Endimio Calandra e l’Inquisizione a Mantova nel 1567-1568, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana,

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riforma della Chiesa non poteva essere raggiunta nel breve termine. Il fallimentare tentativo di far eleggere Giovanni Salviati al soglio petrino gli mostrò poi l’impossibilità di far coesistere le ragioni della militanza politica con progetti ecclesiastici di ampio respiro: una costatazione che segnò un discrimine nella sua esistenza e lo portò ad abbandonare per sempre l’idea di tornare a svolgere un qualche ruolo in Curia. Negli anni Cinquanta egli si dedicò alla sua diocesi e al proprio casato, ricercando un sempre maggiore distacco dalla sfera politica in favore della pratica pastorale; fu anche per questo che, alla morte di Paolo IV, giunse a tre voti dalla tiara e, poco dopo, venne scelto come legato al concilio tridentino, appena riaperto per volontà del nuovo papa Pio IV. Non è quindi un caso che in quelle circostanze, nonostante la moderazione e l’apertura al compromesso verso le diverse anime dell’assemblea, Ercole mostrò nuovamente le esigenze formulate vent’anni prima, tornando a ritenere il concilio l’unico strumento in grado di garantire una reale riforma della Chiesa. Nel ripercorrere queste vicende, il suo carteggio confidenziale ha permesso di valutare i riflessi di un profondo mutamento storico sulla vita di un’importante personalità schierata a sostegno del progetto imperiale di Carlo V. La sua tardiva adesione al fronte asburgico non fu motivata da una scelta valoriale, ma da interessi personali, logiche famigliari e considerazioni strettamente legate alla sua concezione del ruolo pubblico dei porporati. Per il prelato la militanza in favore del sovrano rappresentò un elemento latamente identitario, a cui doveva una fedeltà che esigeva obbedienza ma che non aveva un diretto influsso sulle sue convinzioni politiche e religiose. Al venir meno della sua volontà di spendersi nell’arena pubblica, in seguito al conclave del 1549-1550, perse di consistenza anche l’impegno per Carlo V. In quella occasione, infatti, la sua volontà di disobbedire ai dettami dell’imperatore – bloccata per un soffio dal fratello Ferrante – fu motivata proprio con un richiamo alla coscienza come istanza esterna e irriducibile alle pressioni della politica. Gli esiti potenzialmente catastrofici che sarebbero potuti derivare dal suo comportamento inducono a credere che tale appello non fosse un semplice pretesto per sottrarsi agli ordini del suo patrono: benché il senso di responsabilità verso il proprio casato gli impedisse di aprire uno scontro con Carlo V, inoltre, il cardinale si rifiutò di convergere sulle scelte compiute dai suoi compagni di fazione, limitandosi a votare per i candidati indicati dalla corte cesarea nella sicurezza che non sarebbero mai stati eletti. La crisi vissuta da Ercole Gonzaga nei mesi successivi lo convinse così che il contrasto tra le sue diverse fedeltà (alla porpora cardinalizia, alla militanza politica, all’appartenenza famigliare) non poteva che sopprimere ogni margine di libertà personale, facendogli maturare la decisione di abbandonare l’attiva militanza per gli Asburgo.

Quattro anni dopo, Juan Álvarez de Toledo e Rodolfo Pio da Carpi rivoltarono clamorosamente i termini della contraddizione che il mantovano non era riuscito a dipanare. Richiamandosi alla necessità di non venir meno ai loro principi, disubbidirono all’imperatore e garantirono l’elezione di

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Paolo IV, spaccando il fronte filoasburgico di cui non solo erano membri, ma anche i candidati alla tiara. La coscienza a cui facevano riferimento i due cardinali inquisitori non era però lo stesso valore a cui si era appellato Ercole: se quest’ultimo aveva rifiutato le disposizioni di Carlo V perché le riteneva moralmente sbagliate e per questo non personalmente vincolanti, Álvarez de Toledo e Carpi giustificarono le loro scelte con la necessità di tutelare l’ortodossia, mostrando di ritenere la loro appartenenza al Sant’Uffizio più importante del sostegno alla causa imperiale.46 Nella differenza tra le due posizioni si esprimevano così, allo stesso tempo, la formidabile forza aggregatrice dell’idea di Chiesa sostenuta da Carafa e il fallimento del tentativo dei poteri secolari, Asburgo e Valois, di elaborare e proporre ai loro rappresentanti nel sacro collegio un’efficace sintesi tra fede e progettualità politica.

In conclusione, la tesi si propone di far dialogare i risultati raggiunti dalla ricerca in diversi ambiti disciplinari per contribuire a una migliore comprensione dell’intreccio tra cultura, politica e religione nella prima metà del Cinquecento. Se negli anni Ottanta la crisi del welfare state spinse alcuni studiosi a rifiutare un modello storiografico teleologicamente fondato sulla nascita dello Stato,47 e più di recente la diffusa crisi dei meccanismi di rappresentanza democratica ha spinto a un radicale ripensamento della partecipazione politica nell’età moderna,48 riflettere su Ercole e Ferrante Gonzaga significa non soltanto comprendere meglio il loro orizzonte mentale e l’epoca di Carlo V, ma – senza scadere in indebite forzature – indagare limiti e possibilità della loro «ragione politica» in un contesto ancora privo di «uno dei tratti più importanti della modernità politica e giuridica», la separazione tra sfera pubblica e poteri privati. Tornata a essere un elemento di quotidiana attualità per la mancata gestione politica delle possenti dinamiche della globalizzazione,49 tale confusione rappresenta – oggi come nel Cinquecento – una rinnovata sfida per l’impegno degli individui e delle istituzioni, chiamati ancora una volta a raggiungere una difficile sintesi tra interessi, culture, valori e linguaggi differenti.

                                                                                                               

46 Cfr. FIRPO, Filippo II, Paolo IV e il processo inquisitoriale del cardinale Morone, cit., pp. 364-369.

47 Cfr. C. MOZZARELLI, Principe, corte e governo tra Cinquecento e Settecento [1985], in ID., Antico regime e

modernità, cit., pp. 153-165: 155.

48 Cfr. G. D’OTTAVIO,M.ROSPOCHER, Nuovi approcci alla storia d’Europa: dall’età moderna al XX secolo, «Annali

dell’Istituto storico italo-germanico in Trento», 45 (2019), pp. 11-23.

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ABBREVIAZIONI

Archivi e biblioteche

ACR Archivio Caetani, Roma AGS Archivo General de Simancas E Consejo de Estado

PR Patronato Real

ASFi Archivio di Stato, Firenze MP Mediceo del Principato ASMi Archivio di Stato, Milano

CC Carteggio delle cancellerie dello Stato ASMn Archivio di Stato, Mantova

AC Archivio Capilupi AG Archivio Gonzaga ASMo Archivio di Stato, Modena

CPE Archivio Segreto Estense, Cancelleria, Sezione estero, Carteggio con principi esteri CS Archivio Segreto Estense, Casa e Stato, Carteggi tra principi estensi

ASPr Archivio di Stato, Parma

GG Archivi di famiglie e di persone, Gonzaga di Guastalla ASRe Archivio di Stato, Reggio Emilia

ASV Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano BAM Biblioteca Ambrosiana, Milano

BAV Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano BEM Biblioteca Estense Universitaria, Modena

AC Autografoteca Campori

BLF Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze BLL British Library, Londra

BMG Biblioteca Maldotti, Guastalla

BNE Biblioteca Nacional de España, Madrid BNF Bibliothèque Nationale de France, Parigi BPP Biblioteca Palatina, Parma

BTM Biblioteca Comunale Teresiana, Mantova BUB Biblioteca Universitaria, Bologna

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Fonti edite

Algunas cartas A. VÁZQUEZ, R. SELDEN ROSE (eds.), Algunas cartas de don Diego Hurtado de

Mendoza, escritas 1538-1552, New Haven, Yale University Press, 1935

BSGK Berichte und Studien zur Geschichte Karls V., «Nachrichten von der Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen. Philologisch-historische Klasse», 1930-1941

Cartas D. HURTADO DE MENDOZA, Cartas, a cura di J. VARO ZAFRA, Granada, Editorial

Universidad de Granada, 2016

CDI Colección de documentos inéditos para la Historia de España, Madrid, Imprenta de la Viuda de Calero, 1842-in corso

CSPS Calendars of Letters, Despatches, and State Papers, Relating to the Negotiations between England and Spain, Preserved in the Archives at Simancas, Vienna, Bruxelles and elsewhere, voll. V/1-XIII, London, Eyre and Spottiswoode, 1886-1954

CT Concilium Tridentinum. Diariorum, actorum, epistularum, tractatuum nova collectio, Friburgi Brisgoviae, Herder, 1901-2001

DBI Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1960-in corso

L&P Letters and Papers, Foreign and Domestic, of the Reign of Henry VIII, London, Longman, voll. IV-XXI/2, 1875-1910

ND I Nuntiaturberichte aus Deutschland. Erste Abteilung: 1533-1559, Gotha-Berlin-Tübingen, Perthes-Bath-Niemeyer, 1892-1981

Pastor L. VON PASTOR, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo, voll. IV/1-VII, Roma, Desclée, 1926-1931 [ed. or. 1906-1920]

Segre A. SEGRE, Un registro del cardinale Ercole Gonzaga (1535-1536). Con un’appendice di documenti inediti (1520-1548), Torino, Bocca, 1913

Trapani F. TRAPANI, Il cardinale Ercole Gonzaga in conclave (novembre 1549-febbraio 1550).

Dai documenti mantovani, relatore prof. F. Rurale, Università degli Studi di Udine, a.a. 2012-2013 [Biblioteca dell’Archivio di Stato di Mantova, Tesi di laurea, 494]

Criteri di trascrizione

Nella resa dei testi cinquecenteschi si adotta una trascrizione conservativa, che si limita ad ammodernare la punteggiatura, le maiuscole e i segni diacritici, intervenendo sporadicamente sul dettato: si distingue ad esempio tra u e v ma non si correggono l’h paraetimologica e le variazioni rispetto all’attuale grafia italiana. Per lo spagnolo si seguono invece le indicazioni espresse in M.C. GIANNINI,G.SIGNOROTTO (ed.), Lo Stato

di Milano nel XVII secolo. Memoriali e relazioni, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali – Dipartimento per i beni archivistici e librari – Direzione generale per gli archivi, 2006, p. LXXXIII. Nelle

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citazioni tratte dalle lettere si sciolgono sistematicamente tutte le abbreviazioni, mentre i nomi di Ercole e Ferrante Gonzaga, per la loro frequenza, vengono indicati in nota rispettivamente con EG e FG. Per classificare lo stato testuale (Überlieferungsform) delle missive si riprende il sistema utilizzato nell’edizione della corrispondenza politica di Carlo V (cfr. H. RABE,H.STRATENWERTH, Die Politische Korrespondenz Kaiser Karls V. Beiträge zu ihrer wissenschaftlichen Erschließung, in H. RABE (ed.), Karl V. Politik und

politisches System, Konstanz, Universitätsverlag Konstanz, 1996, pp. 11-39: 38-39): (c) copia coeva

(d) decifrato

(m) minuta

(m/a) minuta autografa

(m + a) minuta con aggiunte autografe (o) originale

(o/a) originale autografo

(o + a) originale con parte autografa in calce

(o + d) originale con brani in cifra e decifrato allegato (r) copia in registro

Per originale si intende l’esemplare olografo della lettera effettivamente spedita, redatta da un segretario e autenticata dalla firma autografa del mittente.

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I.FORME E CONTESTI DELLA SCRITTURA EPISTOLARE

I.1 Premesse e caratteristiche di un carteggio confidenziale

I principali fondi archivistici che conservano documenti epistolari riguardanti Ercole e Ferrante Gonzaga furono frequentati dagli storici almeno dalla fine dell’Ottocento, quando il pionieristico lavoro di Giuseppe De Leva spinse studiosi italiani e stranieri a ricercarvi informazioni su vicende e personaggi della prima metà del sedicesimo secolo.50 Per lungo tempo, tuttavia, si guardò ai carteggi dei due fratelli e dei loro agenti come a una fonte da cui estrapolare notizie e aneddoti, senza tentare un inquadramento critico né un’analisi complessiva di tali corrispondenze. Anzi, la stessa ricchezza del materiale disponibile – diffusamente citato nei volumi delle Nuntiaturberichte e nella Storia dei papi di Ludwig von Pastor – finì per rappresentare un deterrente in tal senso,51 con

la conseguenza che gli incartamenti gonzagheschi vennero indagati a macchia di leopardo, coprendo porzioni più o meno estese di documentazione ma senza riuscire a delineare uno sfondo comune in cui contestualizzarle. È dunque necessario compiere una preliminare messa a punto della loro corrispondenza che sostituisca all’interesse per il contenuto delle singole missive lo studio della rete epistolare nel suo insieme e delle pratiche scrittorie e archivistiche che ne hanno reso possibile l’esistenza e la conservazione.

Pur nelle distorsioni prodotte dall’arbitraria selezione dei materiali da custodire e preservare, i nuclei documentari dei due fratelli rispecchiano i ruoli svolti nel corso delle loro vite. Tutore del ducato di Mantova (1540-1557) nonché legato al concilio di Trento (1561-1563) il primo, viceré di Sicilia (1535-1546), governatore asburgico di Milano (1546-1553) e conte di Guastalla (1541-1557) il secondo,52 emanarono entrambi una nutrita serie di «scritture pubbliche» nello svolgimento delle loro attività di governo.53 Accanto a questa ricca produzione – in cui Ercole e Ferrante Gonzaga figuravano nelle vesti di rappresentanti dell’autorità – vi erano poi le missive destinate alla comunicazione personale, che non chiamavano in causa le loro cariche. A differenza di quanto solitamente avviene in campo letterario, non si tratta quindi di contrapporre lettere «famigliari» e «di negozi» oppure «carteggio» ed «epistolario».54 Il discrimine non era l’opposizione tra epistole                                                                                                                

50 Solo dal quinto volume della sua opera (G.DE LEVA, Storia documentata di Carlo V in correlazione all’Italia, vol. V,

Bologna, Zanichelli, 1894), uscito tredici anni dopo il precedente, l’autore iniziò a sfruttare tali archivi, in cui iniziò a recarsi a partire dal 1884 (cfr. ID., La elezione di papa Giulio III, «Rivista Storica Italiana», 1 (1884), pp. 22-38).

51 Cfr. J.F. MONTESINOS, Cartas inéditas de Juan de Valdés al cardenal Gonzaga, Madrid, Aguirre, 1931, p. XX. 52 Cfr. G.BRUNELLI, Gonzaga, Ercole, DBI, vol. LVII, 2001, pp. 711-722 e ID., Gonzaga, Ferrante, ivi, pp. 734-744. 53 I. LAZZARINI, Scritture, mani, usi della corsiva nella costruzione di un sistema documentario pubblico: lettere e

registri di cancelleria (Mantova, XV secolo), «Scripta», 8 (2015), pp. 113-124: 113.

54 Cfr. M. MARTI, L’epistolario come «genere» e un problema editoriale, in Studi e problemi di critica testuale,

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intese come documenti o come modelli di prosa, simboleggiata dall’ideale distanza tra archivio (sede del complesso di carte inviate e ricevute) e biblioteca (dove se ne conserva una porzione selezionata dagli stessi autori, o da altri, sulla base di criteri stilistici),55 ma la distinzione tra il piano della pratica di governo e quello della sfera personale.

La loro attività politica non si risolveva tuttavia solo all’interno del primo ambito: cadetti di una delle principali dinastie principesche italiane, cardinale di Santa Romana Chiesa l’uno e uomo di fiducia di Carlo V l’altro, Ercole e Ferrante Gonzaga si muovevano ancora in un contesto storico caratterizzato dalla diffusa compenetrazione di pubblico e privato, nel quale aderenze famigliari e rango sociale erano spesso sovraordinate rispetto alle norme vigenti. Elementi strettamente legati alla singola personalità – il carisma, le clientele, l’appartenenza alla nobiltà – rappresentavano un fondamentale strumento di governo, ben più efficace dei poteri esecutivi dell’ufficio che veniva ricoperto. Era per questo motivo che i carteggi riservati possedevano un concreto spessore politico: quando Ferrante scriveva alla corte imperiale non lo faceva nei termini di un funzionario nello svolgimento delle proprie funzioni, ma come nobiluomo che serviva il suo patrono.56 Nonostante alcune occasionali sovrapposizioni, il reale confine tra la corrispondenza ufficiale e quella personale correva dunque a monte della loro produzione: benché le cancellerie fossero ambienti relativamente aperti verso l’esterno, dove segretari, copisti, semplici cittadini si trovavano spesso a condividere lo stesso spazio,57 vi era una più o meno rigido, ma evidente divario tra coloro che si occupavano di

redigere gli atti pubblici e chi gestiva i carteggi confidenziali. Cresciuti nell’efficiente contesto documentario mantovano, i due fratelli posero sempre una cura particolare nella scelta dei loro più stretti assistenti, nella conservazione delle missive in copialettere ispirati a quelli marchionali e nel meditato utilizzo dell’autografia, mostrando di aver ben appreso la lezione dei genitori, Francesco Gonzaga e Isabella d’Este, diretti eredi di una tradizione scrittoria che rimontava al passaggio tra Tre e Quattrocento.58

Per riprendere un modello tripartito della comunicazione politica nell’età moderna – composto dall’autorità, dall’arena pubblica (appannaggio di quegli attori storici che nutrivano dirette relazioni

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               

Cinquecento, in P. PROCACCIOLI (ed.), L’epistolografia di Antico Regime, Sarnico, Edizioni di Archilet, 2019, pp.

73-89: 83-84.

55 Sulla scarsa tenuta di questo modello per diversi scrittori cinquecenteschi cfr. l’intervento di E. GARAVELLI, ivi, pp.

322-330: 322.

56 Cfr. F.CHABOD, Carlo V e il suo impero [1949], in ID., Carlo V e il suo impero, Torino, Einaudi, 1985, pp. 3-161: 63. 57 Cfr. G. GIUDICI, Nuovi approcci alla storia della burocrazia. Ripensare le cancellerie dell’Europa tardo-medievale e

della prima età moderna, «Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento», 45 (2019), n. 1, pp. 49-68: 58, 61,

67-68.

58 Cfr. I.LAZZARINI, Pratiques d’écriture et typologies textuelles: lettres et registres de chancellerie à Mantoue aux

XIVe et XVe siècles, in G. CASTELNUOVO,O.MATTEONI (eds.), Chancelleries et chanceliers des princes à la fin du

Moyen Âge, Chambéry, Université de Savoie, 2011, pp. 77-110 e S.D.P. COCKRAM, Isabella d’Este and Francesco

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