Corso di Laurea Magistrale
“Lavoro, cittadinanza sociale, interculturalità”
Tesi di Laurea
Titolo
L’immaginario collettivo sulle vittime del sex trafficking
Relatrice
Prof.ssa Ivana Maria Padoan
Laureanda
Anna Marchetto
Matricola 964519
Anno Accademico
2018/2019
A tutte le persone che ogni giorno, silenziosamente, abbattono muri e costruiscono ponti
Indice
Abstract ... 7
Introduzione ... 9
Capitolo 1 – Il fenomeno del trafficking a scopo di sfruttamento sessuale ... 11
1.1 Definizione di Human Trafficking ... 11
1.2 I dati del fenomeno globale ... 12
1.3 Il Sex Trafficking ... 16
1.4 L’acquisizione delle vittime di tratta ... 19
1.5 Flussi migratori e tratta ... 20
1.6 La legislazione internazionale ... 21
1.7 La legislazione italiana ... 24
Capitolo 2 – Il fenomeno italiano ... 27
2.1 Il fenomeno in Italia: la mappatura ... 27
2.1.2 I dati del fenomeno ... 29
2.2. La prostituzione indoor ... 30
2.3. Lo sfruttamento sessuale di minori ... 31
2.4. I diversi meccanismi della prostituzione ... 32
2.4.1. La prostituzione nigeriana ... 32
2.4.2. La prostituzione dell’Est Europa ... 34
2.4.3. La prostituzione cinese ... 36
2.5 Il Sistema Anti Tratta e il Numero Verde ... 37
Capitolo 3 – L’immaginario collettivo sul sex work ... 41
Parte 1 – La visione maschile: i clienti e gli sfruttatori ... 41
3.1. Chi sono i clienti? ... 41
3.2. Le motivazioni dei clienti ... 42
3.3. La violenza nel mondo della prostituzione ... 44
Parte 2 – La visione femminile: le vittime e le sex workers ... 46
3.4 Voci al femminile: una vittima di tratta ... 46
3.5 Voci al femminile: una sex worker per scelta ... 49
3.6 Voci al femminile: una ex sex worker ... 51
4.1. La prostituzione: costrizione o libera scelta? Letture del fenomeno nei
movimenti femministi ... 58
4.2. La prostituzione come falsa autodeterminazione: il femminismo abolizionista . 59 4.2. La prostituzione come empowerment femminile ... 62
4.3. Il femminismo socialista e la critica al femminismo liberale ... 66
4.4. Il corpo delle donne ... 66
4.5. La necessità dell’educazione al genere ... 68
Capitolo 5 -‐ Riflessioni personali: l’esperienza lavorativa all’interno di un CAS e la collaborazione con l’equipe anti-‐tratta N.A.Ve. ... 71
5.1. L’equipe integrata CAS e N.A.Ve. ... 71
5.2. La quotidianità dell’operatore sociale nel CAS ... 75
Conclusioni ... 79
Bibliografia e sitografia ... 81
Abstract
Dopo una panoramica generale sul fenomeno e sui dati della tratta di esseri umani a livello globale, l’elaborato si concentra sul trafficking destinato allo sfruttamento sessuale e sulla situazione del fenomeno in Italia. In maniera sintetica vengono passate in rassegna le varie modalità di sfruttamento della prostituzione sottolineando i tratti distintivi delle principali nazionalità delle vittime. Nel terzo capitolo l’elaborato si concentra sull’immaginario collettivo che si è creato attorno alle sex workers e alle vittime di tratta costrette a prostituirsi, prima considerando la visione maschile e cioè dei clienti, e poi la visione femminile del fenomeno, soprattutto analizzando in che modo la donna vittima di tratta arrivi ad accettare la condizione di prostituzione. Oltre che alle vittime, viene dato spazio anche ad una riflessione sulla prostituzione “libera” o presunta tale. Una parte del movimento femminista sostiene infatti che questa possa essere una scelta consapevole, un atto di libertà delle donna che si libera dalla logica moglie-‐madre; un’altra parte sostiene invece che la prostituzione non possa essere una scelta libera, ma si tratti sempre di un inganno di empowerment e di autodeterminazione. Alla base di entrambe le correnti manca tuttavia un ragionamento sul corpo della donna, sulla stereotipia di genere e sul ruolo femminile nella società.
Nell’ultimo capitolo vengono esposte considerazioni personali sviluppate dall'esperienza lavorativa come operatrice sociale all'interno di un CAS e dalla collaborazione con l'equipe anti-‐tratta territoriale, e brevi accenni alla necessità di un’efficacia educazione al genere per una società che combatta disuguaglianze di genere e promuova le pari opportunità.
Introduzione
Ho scelto di dedicare l’argomento dell’elaborato finale alle vittime del sex trafficking perché negli ultimi quattro anni il mio lavoro mi ha portato a contatto con la realtà delle vittime di tratta. Non si tratta di un servizio specifico per questo target, tutta l’esperienza lavorativa in un Centro di Accoglienza Straordinaria per richiedenti asilo che ha accolto e accoglie uomini ma anche donne, mi ha fatto incontrare potenziali vittime e in alcuni casi riconosciute vittime di tratta.
In questo elaborato ho cercato inizialmente di presentare i dati della tratta come fenomeno globale, tanto sconosciuto quanto diffuso, entrando poi nello specifico della tratta a scopo di sfruttamento sessuale nel contesto internazionale e nazionale. Ho cercato tuttavia di analizzare il fenomeno non solo da un punto di vista descrittivo e informativo, ma entrando nel merito della questione sociale. Si tratta infatti di un fenomeno che riguarda l’intera società, che coinvolge uomini, donne ma anche minori, e che è molto più vicino alla nostra quotidianità di quanto si possa pensare. Ho scelto di dedicare uno spazio anche al dibattito creatosi all’interno del movimento femminista sulla possibilità che la prostituzione possa essere una libera scelta di una donna o se sia solo un’illusione di libertà e autodeterminazione. Pur trattandosi di una riflessione che esclude le vittime di tratta, essendo evidentemente costrette a prostituirsi, questa breve parentesi mi ha permesso di riflettere sulla prostituzione da una prospettiva di genere.
Un terzo filone del femminismo, quello di stampo più socialista e marxista, critica la visione ristretta del femminismo abolizionista e del femminismo regolamentazionista cercando di dare una visione della prostituzione di respiro più ampio, di collocare quindi la donna e la sua condizione all’interno della società e non solamente in contrapposizione al genere maschile. Il risultato è che la prostituzione è una questione di genere. La condizione della donna infatti, nonostante il miglioramento dovuto alle lotte e alle conquiste del mondo femminista, è ancora intriso di sessismo e di emarginazione. L’immaginario collettivo sulla donna e sul corpo delle donne è diffuso e permeato nella nostra società sia tra gli uomini che tra le donne.
Il racconto di molte prostitute, ma anche di molti clienti, evidenzia come ciò che l’uomo cerca quando compra sesso sia non un semplice momento di piacere ma piuttosto un gesto di dominio e di potere. Diventa allora necessaria l’educazione di genere, il bisogno di ragionare fin dalla scuola primaria di differenza e diversità di genere e non di disuguaglianza, eliminando cioè stereotipi e pregiudizi in modo che bambini e bambine, futuri uomini e
donne, sappiano relazionarsi tra di loro e nella società con uguaglianza e parità di opportunità.
Nella parte conclusiva dell’elaborato ho raccolto invece riflessioni personali rielaborando la mia esperienza lavorativa in un centro di accoglienza straordinaria e soprattutto nella collaborazione con un’equipe anti-‐tratta in rete con N.A.Ve. (Network Anti-‐tratta Veneto). Il lavoro sociale si è dimostrato infatti indispensabile per restituire dignità e dare alternative di vita alle vittime di tratta.
Capitolo 1 – Il fenomeno del trafficking a scopo di
sfruttamento sessuale
1.1 Definizione di Human Trafficking
La tratta di esseri umani è un crimine di portata globale, soggetto a continui mutamenti ed evoluzioni nel tempo e nello spazio. È un fenomeno che esiste da millenni e che sfrutta ogni anno milioni di uomini, donne e bambini in tutto il mondo. Ancora oggi è difficile definire e quantificare l’entità del fenomeno a causa della sua natura mutevole e clandestina. Ciò che è certo è che la tratta è diventata una grande impresa, un fruttuoso business che genera enormi profitti illeciti per miliardi di dollari l’anno e pressochè tutti i paesi del mondo ne sono coinvolti, siano essi paesi di origine, transito o destinazione. Si tratta di una moderna forma di schiavitù, un affronto alla dignità umana che spesso ricorre al terrorismo psicologico e alla violenza fisica. La problematica della tratta attiene alla sfera dei diritti umani e dello stato di diritto, dell’applicazione della legge e del contrasto al crimine, della disuguaglianza e della discriminazione, della corruzione, del disagio economico e della migrazione. Come ogni altra forma di corruzione e di criminalità organizzata, anche la tratta compromette lo sviluppo sostenibile e lo stato di diritto di molti paesi. Oltre al notevole costo per l’economia, questo fenomeno ha enormi conseguenze sul tessuto sociale, distruggendo legami familiari e comunità, privando i bambini del diritto all’istruzione e aumentando i problemi per la salute pubblica. Tuttavia, la conseguenza più devastante rimane quella perpetrata nella vittima stessa sia a livello psicologico sia a livello fisico, che non sempre riesce ad essere recuperata in maniera da tornare a riappropriarsi completamente della propria vita e a reinserirsi a pieno all’interno della comunità.
Ad oggi la maggior parte dei paesi ha configurato la tratta come specifico reato penale in linea con il protocollo addizionale delle Nazioni Unite. L’impunità resta, tuttavia, un grave problema: soltanto 4 paesi su 10 hanno segnalato 10 condanne o più all’anno nel triennio 2010-‐2012, mentre nello stesso periodo quasi il 15 percento non ha emesso alcun provvedimento1.
Inquadrare il fenomeno non è perciò semplice, ma si può cercare di tracciarne i contorni seguendo il Protocollo sulla Tratta delle Nazioni Unite del 2000 che ne dà una definizione:
«il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l'alloggiamento o l'accoglienza di persone con la minaccia di ricorrere alla forza, o con l'uso effettivo della forza o di altre forme di coercizione, mediante il rapimento, la frode, l'inganno, l'abuso di autorità o una situazione di vulnerabilità, o con l'offerta o l'accettazione di pagamenti o di vantaggi al fine di ottenere il consenso di una persona avente autorità su di un'altra ai fini dello sfruttamento. Lo sfruttamento include, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione di altre persone, o altre forme di sfruttamento sessuale, lavori o servizi forzati, schiavismo o prassi affini allo schiavismo, servitù o prelievo di organi»2.
A partire da questa definizione, l’UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime) descrive quali sono i tre elementi che costituiscono la tratta di essere umani: The Act, The Means e
The Purpose3.
The Act corrisponde alle azioni della tratta (reclutamento, trasporto, trasferimento, accoglienza o alloggiamento di persone), The Means corrisponde invece alle modalità della tratta (minaccia o uso della forza, coercizione, rapimento, frode, inganno, abuso di autorità, o situazione di vulnerabilità, o con l'offerta o l'accettazione di pagamenti o di vantaggi). Il terzo elemento costitutivo è The Purpose ovvero le ragioni della tratta (lo sfruttamento della prostituzione di altre persone, o altre forme di sfruttamento sessuale, lavori forzati, schiavismo o prassi affini allo schiavismo, servitù o prelievo di organi). L’insieme di queste tre caratteristiche costituisce la condizione di vittima di tratta di esseri umani.
1.2 I dati del fenomeno globale
Secondo il report4 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) e della Fondazione
“Walk Free” in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (OIM) nel 2016 le persone vittime di tratta sono state circa 40 milioni di cui il 71% composto da donne e
2 UNODC, (2000) The Protocol to Prevent, Suppress and Punish Trafficking in Persons, especially Women and
Children
3 UNODC (2016) Global Report on Trafficking in person. Disponibile da: https://www.unodc.org/documents/data-‐
and-‐analysis/glotip/2016_Global_Report_on_Trafficking_in_Persons.pdf (consultato il 20/10/19)
4 ILO, IOM, Walk Free Foundation (2017) -‐ Global Estimates of Modern Slavery. Disponibile da:
https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/-‐-‐-‐dgreports/-‐-‐-‐
ragazze e il 25% da minori. Il Global Report on Trafficking in Person 20185 (UNDOC) analizza in
maniera puntuale le tipologie di sfruttamento e di vittime distinguendo per età, tipo di sfruttamento, paese di provenienza e di destinazione. I dati che emergono mostrano diversi risultati a seconda del sesso della vittima, del paese di origine e della forma di sfruttamento. In particolare la maggior parte delle vittime di sesso femminile è sfruttato a scopo sessuale, una percentuale molto inferiore per lavori forzati o altro tipo di sfruttamento (vedi figura 1, fonte UNDOC). Tra le vittime di sesso maschile invece più dell’80% è sfruttato per lavoro forzato mentre emergono percentuali inferiori per sfruttamento sessuale, altri tipi di sfruttamento e prelievo organi (vedi figura 2, fonte UNDOC).
Come si evince anche dalla definizione del Protocollo delle Nazioni Unite, il traffico di esseri umani coinvolge molti tipi di sfruttamento, e i numeri più consistenti provengono da quello a scopo sessuale che arriva a superare la metà del totale delle vittime di tratta. Nel 2016 infatti il 59% dello sfruttamento risultava essere impiegato per scopo sessuale, il 34% per lavoro forzato e il restante 7% per altri tipi di sfruttamento (rimozione organi, accattonaggio, microcriminalità ecc). Il tipo di sfruttamento varia inoltre a seconda dell’area geografica considerata: nel 2016 nell’Africa del Sud, Est e Ovest la forma di sfruttamento più diffusa è stata quella del lavoro forzato; nello stesso periodo nell’Asia centrale e del sud lo sfruttamento per lavoro forzato ha avuto la stessa diffusione di quello sessuale; quest’ultimo invece ha
5 Tutti i dati raccolti nel Report di UNDOC sono stati raccolti attraverso il sistema MSE, Multiple Systems
Estimation, un metodo che permette di raccogliere dati su livello nazionale che con altri strumenti più ad alti livelli rimarrebbero nascosti. UNDOC per questo sollecita e supporta continuamente gli stati a sostenere studi nazionali sul tema della tratta, in Europa, come ha sempre fatto, ma anche nelle altre aree del mondo.
raggiunto percentuali molto elevate in Europa, nelle Americhe e nell’Asia dell’Ovest. I dati raccolti dalle ricerche UNDOC indicano inoltre altre forme di sfruttamento, non inserite specificatamente nelle liste presentate nei protocolli delle Nazioni Unite ma presenti invece da legislazioni e giurisprudenze nazionali. Oltre alle forme minori di sfruttamento si registrano forme di “sfruttamento misto” cioè che rientrano in due o più delle categorie standard: vittime sfruttate sia sessualmente che nei lavori forzati o vittime utilizzate sia nell’accattonaggio che nella microcriminalità, donne in stato di gravidanza costrette a vendere i neonati e a trafficare altri minori. Le percentuali delle forme non categorizzate di sfruttamento coprono percentuali abbastanza basse ma geograficamente sono molto diffuse (accattonaggio, matrimoni forzati, bambini soldati ecc).
Tutti questi dati, come viene ricordato ripetutamente nei report sono dati che fanno riferimento alla parte visibile della tratta e dello sfruttamento di essere umani e non considerano tutta la parte del fenomeno che resta non visibile. Tuttavia, anche studi di ricerca sulla parte nascosta del fenomeno confermano che lo sfruttamento di donne a scopo sessuale è la forma più prevalente di tratta.
Il Report del 2018 dell’UNDOC cerca inoltre di tracciare i profili degli sfruttatori: dal punto di vista del genere, le persone su cui ci sono state indagini, arresti o investigazioni su reati di tratta sono per il 69% di sesso maschile. Anche in questo caso i dati disgregati mostrano che l’area d’indagine ha una forte valenza sulla percentuale di uomini e donne coinvolte. Le differenze di percentuali tra generi riflettono infatti i diversi approcci e ruoli nei sistemi di giustizia, di criminalità e delle società in generale delle varie zone del mondo. Studi qualitativi sulla questione mostrano che le donne sono maggiormente impiegate nella fase di reclutamento. E questo spiegherebbe la differenza significativa tra il genere delle persone coinvolte nei paesi di origine e destinazione, seguendo quindi le diverse tappe del processo di sfruttamento.
A proposito dei paesi coinvolti, di origine e destinazione, i dati mostrano che la maggior parte (circa il 70%) degli sfruttatori arrestati nel 2016 era formata da cittadini del paese dove sono stati condannati. I trafficanti stranieri ammontano circa ad un terzo del totale, e la maggior parte di questi provengono da paesi della stessa area geografica del paese di provenienza. Solo il 9% degli sfruttatori condannati appartiene a nazionalità di altre aree geografiche. Unica eccezione a questo andamento generale è il caso dell’Europa dell’Est, del Sud e del Medio Oriente che rappresentano area di destinazione e territori di confine con paesi di origine della tratta.
Un aspetto interessante è quello dei flussi e dei movimenti delle vittime di tratta: non si tratta infatti di un fenomeno solo internazionale e di flussi dai paesi del terzo mondo all’Europa o Stati Uniti ma anche nazionale, transregionale e domestico.
Anche per quanto riguarda le vittime, i dati a livello globale sui flussi della tratta mostrano che la percentuale più consistente delle vittime ha la cittadinanza del paese in cui viene sfruttata, si parla perciò di domestic victims. Nel 2016 più della metà delle vittime (58% del totale globale) è stata sfruttata all’interno dei confini nazionali, il 28% all’interno della stessa subregione, il 5% nella stessa regione e il 9% da altre regioni. Quindi meno di una vittima su 10 nel 2016 è stata fatta trasferire in altre regioni. Si conta infatti che dal 2010 ci sia stato un incremento significativo nel numero di vittime domestiche, le stime parlano di un raddoppio delle vittime negli ultimi 5 anni. Come già sottolineato per altri dati presentati in precedenza, anche per queste ricerche, l’Europa Centrale e dell’Ovest e dell’Aia dell’Est non seguono la tendenza all’alto numero di vittime domestiche e il basso numero di vittime straniere, ma contano al contrario alti numeri di vittime provenienti da altri paesi.
Le aree in cui si conta la maggior percentuale di vittime di tratta sono l’Asia e la regione del Pacifico con il 62% del totale delle vittime, a seguire poi il continente africano, l’Europa, le Americhe e infine gli stati arabi.
Nello specifico della tratta a scopo di sfruttamento sessuale, a cui si riferirà questo elaborato, gli andamenti rimangono costanti con l’area asiatica con la maggiore percentuale di vittime (73% del totale mondiale), seguita da Europa, Africa, Americhe e con numeri molto bassi gli stati arabi.
La tratta degli esseri umani rappresenta uno dei business più redditizi al mondo. I dati del report dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro del 2014 contano profitti di circa 150 miliari di dollari l’anno per i trafficanti, di cui 99 miliardi di dollari per lo sfruttamento sessuale, 34 miliardi di dollari per settore edile, estrazione mineraria e servizi, 9 miliardi di dollari per l’agricoltura e 8 miliardi di dollari per lavoro domestico in condizione di lavoro forzato. Appare quindi evidente il grandissimo guadagno derivante dallo sfruttamento sessuale: le vittime di questo tipo di sfruttamento producono il 66% del guadagno mondiale della tratta. Secondo l’OCSE (Organization for Security and Co-‐operation in Europe) il guadagno medio per ogni donna vittima è di circa 100.000 dollari l’anno, cioè 5 volte maggiore rispetto a qualsiasi altra vittima di tratta (21.800 dollari l’anno).
1.3 Il Sex Trafficking
“Una volta arrivata a Mumbai, il dalal mi vendette a un malik (il proprietario di un bordello) di Kamathipura. Il malik mi disse che ero in debito con lui di 35mila rupie (780 dollari) e che per questo avrei dovuto accettare di fare sesso con ogni uomo che mi avesse scelto, finché il debito non fosse stato riparato. Mi rifiutai, così lui mi stuprò e mi tolse i viveri. Quando accettai di rifare sesso con lui, mi diede le medicine che servivano per curare un’infezione alle vie urinarie. Sono rimasta in quel bungalow per due anni a fare sesso con venti uomini al giorno. In quel bungalow c’erano centinaia di ragazze, molte del Nepal.
Una volta provai a scappare e andai dalla polizia, che non fece niente. Pochi giorni dopo, il malik mi ritrovò per la strada e mi riportò al bordello. Per sfregio mise della salsa al peperoncino su un manico di scopa e me lo ficcò dentro. Poi, con un pugno, mi ruppe le costole. La gharwali (la matrona del bordello) mi curò per un breve periodo, al termine del quale ricominciai a prostituirmi, anche se le mie costole mi dolevano ancora molto. La gharwali mi dava dell’oppio per anestetizzare il dolore. Dopo due anni, il malik mi vendette ad un altro malik di
Falkland Road. In questo periodo vissi in una pinjara (una gabbia) insieme ad un’altra donna. Era strettissima e si trovava proprio sulla strada, e di notte era molto rumorosa. Rimasi incinta due volte, e la gharwali per altrettante volte mi diede le pillole per abortire. Solo che la seconda volta stetti molto male. Quando guarii, cercai di nuovo di scappare, andai in un ricovero vicino a Falkland Road e mi dissero che ero sieropositiva. Mi aiutarono a contattare la mia famiglia, ma mio padre mi ammonì di non tornare a casa. Disse che, essendo sieropositiva, non mi sarei più potuta sposare e avrei portato solo vergogna.”6
Focus di questo elaborato è il Sex Trafficking e cioè la tratta di essere umani a scopo di sfruttamento sessuale. Lo sfruttamento delle schiave del sesso consiste in una violenta coercizione di servizi sessuali non pagati che comincia dall’atto dell’acquisizione della vittima, prosegue durante il trasporto e che continua anche dopo la vendita. Umiliazioni, stupri, violenze, sequestro dei documenti, minacce e talvolta anche utilizzo di alcol e droghe permettono ai trafficanti sia di piegarle al loro piacere sia di renderle più docili e controllabili. Questo tipo di sfruttamento è esploso all’attenzione del grande pubblico attraverso giornali, mostre e campagne di sensibilizzazione negli ultimi vent’anni circa ed è diventato una priorità anche delle agenzie internazionali contro la violenza e lo sfruttamento, di alcuni stati europei e di molte Ong. Il Protocollo delle Nazioni Unite sulla prevenzione, soppressione e persecuzione
della tratta di essere umani, in particolar modo donne e bambini, detto “Protocollo di Palermo”
del 2000, tre anni dopo la sua nascita è stato ratificato da 157 paesi che in questo modo si sono presi l’impegno di lottare contro questo fenomeno di criminalità. Si è fatta la distinzione inoltre, per gravità, tra “semplice” smuggling (letteralmente: contrabbando) ovvero la facilitazione dell’immigrazione clandestina e trafficking riconoscendo cioè il fatto che, oltre al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, alcuni traffickers approfittano della situazione di vulnerabilità di persone migranti per sottoporle a violenze, ricatti e lavoro forzato.
Varie sono state le campagne di sensibilizzazione sul tema della tratta sia nei paesi di arrivo sia nei paesi di origine rivolte alla società civile per informare le donne e le persone più a rischio. Anche a livello di comunicazione, in Europa la tratta ha trovato un suo spazio con l’istituzione della Giornata europea contro la tratta di essere umani (18 ottobre). La
mobilitazione sia a livello istituzionale e legislativo che a livello mediatico è pertanto reale, tuttavia i risultati e i dati a livello sia nazionale che internazionale continuano ad essere preoccupanti.
La letteratura sul tema si è concentrata ampiamente anche sulla definizione e identificazione della vittima di tratta, distinguendola dalla persona immigrata e “semplicemente” sfruttata. Nel 2009 l’Organizzazione internazionale del Lavoro ha prodotto insieme alla Commissione Europea un documento dal titolo Operational Indicators of Trafficking in Human Beings7 nel
quale viene fornita una lista di indicatori che segnalano una situazione di tratta nel paese di origine, durante il viaggio e nel paese di arrivo: per esempio il trattenimento dei documenti, il salario trattenuto, la presenza di un debito da ripagare, situazioni di isolamento, sorveglianza e violenza, che la persona sia stata costretta a mentire alla famiglia e alle autorità. La combinazione di questi e altri indicatori fa emergere una situazione di tratta. Varie sono tuttavia le obiezioni in merito a questi criteri che sembrano alimentare lo stereotipo, non solo mediatico ma anche istituzionale, secondo i quali la vera vittima è solamente la persona che non avrebbe voluto lavorare come prostituta e non chi ha consapevolmente scelto di farlo. La consapevolezza o la scelta della prostituzione tuttavia non cambiano eventuali situazioni di violenze, minacce, sopraffazioni e lavoro forzato. Il fatto di aver accettato il lavoro della prostituzione non significa che potessero prevedere la condizioni del lavoro. Il più delle volte infatti la situazione di lavoro forzato scatta quando la persona migrante si trova a lavorare direttamente per conto di colui o colei con cui si è indebitata, che spesso a sua volta l’aveva rilevata da qualcun altro, secondo una catena di debito definita come compravendita di esseri umani. In queste condizioni diventa quindi difficile rifiutarsi di lavorare, emergono minacce e metodi di ricatto che rendono poco chiara la somma per estinguere il debito. Abbastanza nota è per esempio la situazione delle donne nigeriane e del debt bondage (lavoro forzato da debito). Complica la comprensione del fenomeno un dato che emerge da tutte le ricerche sul campo e cioè che le persone trafficate tendano ad affezionarsi e ad essere riconoscenti nei confronti dei propri trafficanti e che, anche in condizioni di violenza e minacce, rappresentino comunque un sostegno e un riferimento per l’aiuto dato durante il viaggio verso l’Europa.
7 OIL (2009) Operational Indicators of Trafficking in Human Beings Disponibile da:
https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/-‐-‐-‐ed_norm/-‐-‐-‐
declaration/documents/publication/wcms_105023.pdf (consultato il 25/10/19)
1.4 L’acquisizione delle vittime di tratta
L’acquisizione delle vittime di tratta avviene attraverso diverse modalità utilizzate in maniera più o meno diffusa a seconda del paese di origine. Tutte queste hanno alla base alcune caratteristiche in comune: povertà economica, povertà educativa, dipendenza socioeconomica da altre persone (spesso di genere maschile) e situazioni di vulnerabilità. Più sono presenti e profondi questi elementi e più aumenta il rischio per le persone di diventare vittime di tratta. I modi di acquisizione sono principalmente cinque: l’inganno, la vendita da parte della famiglia, la seduzione e il reclutamento da parte di ex schiave.
L’inganno consiste nell’offrire alla vittima una falsa offerta di lavoro, di un viaggio, di un matrimonio o di altre opportunità che permetterebbero un miglioramento delle condizioni economiche. Nei paesi dell’ex blocco sovietico, con le offerte di lavoro su giornali vengono reclutate moltissime schiave del sesso che, pur consapevoli della possibilità che l’annuncio sia falso, si trovano in condizioni talmente disperate da accettare il rischio di finire nella rete della tratta ed essere portate sia in paesi vicini come Italia o Germania sia in paesi più lontani come Stati Uniti e Giappone. In altri paesi invece dove il matrimonio è l’unico modo per le donne di essere accettate socialmente, diventa facile adescare vittime con la promessa di un futuro marito. In alcuni villaggi dell’Albania, ma allo stesso modo anche nell’Asia del Sud e dell’Est, le donne non sposate vivono una vita fatta di emarginazione, discriminazione e violenza. Il sogno di un matrimonio diventa perciò un’esca facile, dopo il quale la vittima è portata in altri paesi e costretta a prostituirsi.
La vendita da parte delle famiglie il più delle volte non deve essere letta come una decisione facile e indolore da parte dei familiari ma come una scelta pesante che le condizioni di povertà estrema e di disperazione portano a compiere. Oltre all’introito della vendita della vittima la famiglia percepisce poi una rimessa mensile, creando quindi una dipendenza dagli schiavisti che, così facendo, dimostrano affidabilità e invogliano altre famiglie a vendere le proprie figlie. La pratica del rapimento non è molto diffusa poiché è più rischiosa durante il trasporto e la vittima tenta più facilmente di scappare. Tuttavia anche questa pratica viene utilizzata.
In apparenza assimilabile alla promessa di matrimonio, la seduzione è praticata spesso da intermediari della tratta che si presentano come amanti sinceri e che con regali e prospettive di trasferirsi in paesi ricchi in cui costruire la vita assieme, avvicinano le ragazze e le fanno partire per altri paesi inizialmente affidando la vittima ad un “amico”.
L’ultimo metodo di adescamento è quello del reclutamento da parte di ex schiave che, pur sembrando un paradosso è una pratica abbastanza diffusa. Le vittime infatti per poter
sopravvivere all’esperienza della schiavitù adottano varie strategie, comprese alcool, droghe e l’accettazione rassegnata che quella è la condizione di vita che meritano. In alcuni casi ex schiave arrivano a diventare alleate degli schiavisti, reclutando a loro volte nuove ragazze e ricevendo denaro o benefici per ogni nuova recluta.
1.5 Flussi migratori e tratta
I flussi migratori e la tratta di essere umani sono fenomeni che sono stati considerati sempre distintamente, come due categorie ben separate e mai sovrapposte. Tuttavia, soprattutto in questi ultimi anni, l’evoluzione di entrambi i fenomeni ha dimostrato che è necessario superare la categorizzazione di “migrante” e di “vittima di tratta”, ripensare perciò i sistemi di accoglienza, protezione e tutela così nettamente distinti in favore di uno sguardo ampio che prenda in considerazione la protezione della persona, a prescindere dalla classificazione normativa.
Secondo la comunicazione della Commissione Europea al Parlamento e al Consiglio sullo stato di attuazione delle azioni prioritarie intraprese nel quadro dell'agenda europea sulla migrazione8, “è evidente che la crisi migratoria è stata sfruttata da reti criminali coinvolte
nella tratta di esseri umani per agganciare le persone più vulnerabili, in particolare le donne e i bambini”. Ha rilevato inoltre che le reti criminali hanno saputo adattare i propri interessi economici ai sistemi di accoglienza straordinaria sovrapponendo i flussi migratori più classici con quelli delle vittime destinate alla prostituzione. Non più migranti da una parte e vittime di tratta dall’altra ma migranti che consapevolmente o meno hanno intrapreso il viaggio verso l’Europa affidandosi a reti criminali. Un caso emblematico è quello donne provenienti dalla Nigeria, una tra i paesi di provenienza più rilevante: come indicato dal sito del Ministero dell’Interno, Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione e dai dati dell’UNHCR e dell’Eurostat, gli sbarchi sulle coste italiane risultano essere stati 170.100 nel 2014, 153.759 nel 2015, 181.437 nel 2016, 119.310 nel 2017 e 20.52 nel 2018, e 5.853 nel 2019 aggiornato al mese di settembre (Cruscotto statistico giornaliero). In maniera corrispondente all’interno di queste cifre, sono aumentate le presenze negli sbarchi di donne nigeriane, come
8Comunicazione della Commissione Europea al Parlamento e al Consiglio sullo stato di attuazione delle azioni
prioritarie intraprese nel quadro dell'agenda europea sulla migrazione (febbraio 2016) Disponibile da: https://ec.europa.eu/home-‐affairs/sites/homeaffairs/files/what-‐we-‐do/policies/european-‐agenda-‐
migration/proposal-‐implementation-‐package/docs/managing_the_refugee_crisis_state_of_play_20160210_it.pdf (consultato il 02/11/19)
dimostrano i dati del report dell’OIM tratti dal report “La tratta di esseri umani attraverso la rotta del Mediterraneo centrale”: circa 1500 donne nigeriane nel 2014, 5632 nel 2015, 11.009 nel 2016, 5425 nel 2017 e 213 nel 2018. Di queste, secondo una stima dell’OIM l’80% sono destinate ad essere vittime di sfruttamento in Italia e in altri paesi Europei (OIM, 2017). Sebbene non sia corretto generalizzare, l’esperienza delle donne nigeriane presenta nella maggior parte dei casi i tre elementi costitutivi del crimine della tratta di persone: il trasferimento, l’uso di metodi coercitivi e lo scopo dello sfruttamento, molto spesso abusando della posizione di vulnerabilità data da ragazze giovanissime, con bassissima o insistente scolarizzazione e provenienti da contesti sociali ed economici molto poveri. A questo spesso si aggiunge infine il ricorso a riti magici a cui le vittime vincolano la promessa di restituzione del debito.
Di conseguenza anche la condizione delle vittime si è modificata sensibilmente, da una parte queste possono liberamente e regolarmente muoversi sul territorio continuando ad offrire le prestazioni cui sono indotte in condizioni di sfruttamento e dall’altra tendono a rivolgersi con meno frequenza ai servizi contando su una futura soluzione ai propri problemi di regolarizzazione.
Il fenomeno delle donne nigeriane da qualche anno richiama a sé grande attenzione delle istituzioni, del terzo settore e anche dei media favorendo profonde riflessioni e conseguenti azioni su strategie per affrontarlo, contrastarlo e prevenirlo. Tuttavia è reale il rischio che si concentrino tutte le forze e le energie su questo specifico target, dimenticando che ancora ad oggi il numero maggiore di vittime di tratta destinate all’Europa e nello specifico all’Italia, continua a provenire da paesi europei, soprattutto Romania, Bulgaria, Paesi Bassi, Ungheria e Polonia, soprattutto tramite rotte terrestri o aree.
1.6 La legislazione internazionale
La comunità europea ha da sempre mostrato il suo impegno nella lotta alla tratta e riduzione in schiavitù attraverso numerosi Protocolli, Convenzioni e Direttive, i più rilevanti sono qui elencati e brevemente descritti nelle loro azioni più rilevanti.
-‐ Il Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità
organizzata transnazionale, per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare donne e bambini del 2000, ha introdotto una nuova definizione del trafficking in
dello smuggling of migrants, ossia del c.d. traffico di migranti9. Tale Protocollo sul trafficking,
ha affrontato il fenomeno con un approccio globale includendo misure volte a prevenire la tratta, punire i trafficanti e allo stesso tempo proteggere le vittime. Vengono individuate inoltre le misure che gli Stati devono adottare per garantire adeguata tutela alle vittime, in particolare:
• misure volte al recupero fisico, psicologico e sociale delle vittime • la predisposizione di alloggio adeguato
• la consulenza e le informazioni relativi ai loro diritti • l’assistenza medica, psicologica e materiale
• l’opportunità di impiego e di istruzione
• la protezione delle vittime sotto il profilo della loro incolumità fisica • la possibilità di riconoscere alle vittime il risarcimento dei danni subiti
Il Protocollo indica inoltre di adottare misure che consentano alle vittime di restare sul territorio attraverso il riconoscimento di un titolo di soggiorno regolare.
-‐ La Convenzione del Consiglio d’Europa n. 197 sulla lotta alla tratta di esseri umani, approvata a Varsavia il 16 maggio 2005, nata con lo scopo di “rafforzare la protezione stabilita dal Protocollo e di sviluppare le disposizioni ivi presentate”10, fornisce una definizione di
tratta di esseri umani analoga a quella del Protocollo ONU e prevede, sviluppandole ulteriormente, molteplici misure di protezione e di promozione dei diritti umani delle vittime di tratta. Anche in questo documento vengono fornite linee precise per gli Stati che devono: • predisporre misure necessarie ad identificare le vittime di tratta, assicurando che le autorità competenti, per le quali è previsto personale formato e qualificato sotto tale profilo, non dispongano l’allontanamento dei soggetti nei confronti dei quali abbiano ragionevoli motivi di ritenere che una persona sia stata vittima della tratta;
• proteggere la vita privata e l’identità delle vittime;
• adottare le misure necessarie per fornire assistenza alle vittime per il loro recupero fisico, psicologico e sociale e dunque garantendo almeno un alloggio adeguato e sicuro, assistenza psicologica e materiale, accesso alle cure mediche d’urgenza, informazioni relative ai loro diritti e l’assistenza necessaria nell’ambito del procedimento penale;
• adottare le misure necessarie per garantire che l’assistenza ad una vittima non sia subordinata alla sua volontà di testimoniare;
9 Con smuggling letteralmente “contrabbando”, si intende la facilitazione dell’immigrazione clandestina.
Trafficking è invece il fenomeno per cui i trafficanti approfittano della situazione di vulnerabilità dei migranti per
sottoporli a violenze, lavori forzati e schiavitù.
• prevedere nella legislazione nazionale un periodo di “recupero o riflessione” di almeno 30 giorni per consentire alla vittima di ristabilirsi, sfuggire all’influenza dei trafficanti e/o prendere delle decisioni sulla eventuale volontà di collaborare con le autorità e che, durante tale periodo, non possa essere messo in atto alcun ordine di espulsione contro la stessa; • rilasciare un titolo di soggiorno rinnovabile alle vittime.
È in questa Convenzione del Consiglio d’Europa che è stato introdotto il concetto della “Identificazione delle vittime di tratta” divenuto nel corso del tempo un aspetto centrale negli interventi a fronte della consapevolezza dell’importanza di riuscire a intercettare le vittime che in molte situazioni non si manifestano facilmente. L’identificazione delle vittime di tratta può definirsi come un processo, articolato in più fasi, volto a comprendere, attraverso l’analisi della vicenda ed in generale degli elementi (i c.d. “indicatori di tratta”) che emergono dai colloqui con la persona o da circostanze ulteriori, se una persona è vittima di tratta. Ogni stato ha pertanto adempiuto gli obblighi di promuovere i diritti delle persone vittime di tratta attraverso documenti che, tra le altre cose, indicavano anche i c.d. “indicatori di tratta”. In Italia questi sono contenuti nel Piano nazionale di azione contro la tratta approvato dal Consiglio dei Ministeri il febbraio 201611.
Analogamente al Protocollo ONU, anche la Convenzione del Consiglio d’Europa contiene, all’art. 40, la clausola di salvaguardia volte a prevedere gli obblighi degli Stati di considerare il diritto alla protezione internazionale e di garantire il principio di non refoulement12.
-‐ la Direttiva 2004/81/CE sul titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi
vittime di tratta di esseri umani o coinvolti in azione di favoreggiamento dell’immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti. All’articolo 11 la Direttiva impone agli stati di fornire misure specifiche per una rapida identificazione, assistenza, sostegno e un periodo di riflessione (vedi sopra).
-‐ la Direttiva 2011/36/UE del Parlamento e del Consiglio Europeo del 5 aprile 2011 sulla prevenzione e repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime. La Direttiva contiene disposizioni finalizzate alla repressione del crimine, alla prevenzione e alla protezione delle vittime, dedicando particolare attenzione a quest’ultimo aspetto. La Direttiva dispone che i sistemi nazionali devono garantire tutela non soltanto alle vittime di tratta formalmente identificate, ma anche alle “presunte vittime di tratta” e dunque a tutte quelle
11 Dipartimento per le pari opportunità (2016), Piano di azione contro la tratta e il grave sfruttamento, allegato 2.
Disponibile da: http://www.pariopportunita.gov.it/wp-‐content/uploads/2017/12/allegato-‐2-‐linee-‐guida-‐ rapida-‐identificazione.pdf (consultato il 12/12/19)
12 Il principio di non refoulement è garantito ai sensi dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra e consiste nel
divieto di respingimento o allontanamento forzato in territori dove la vita e la libertà della persona sarebbero minacciate. Questo diritto si applica indipendentemente dal riconoscimento dello status di rifugiato.