SOMALIA 1992-1994: UNA MISSIONE, MOLTI DUBBI.
Le difficoltà incontrate dalla Comunità internazionale nella c.d. “imposizione della pace”
Abstract
La missione umanitaria in Somalia oggetto della presente tesi viene ricordata come un insuccesso dell’ONU e, più in generale, della Comunità internazionale.
Sulle ali dell’entusiasmo per la fine della “Guerra fredda” e della ritrovata convergenza USA-URSS nelle relazioni internazionali, il Consiglio di Sicurezza, liberato dalla pratica ostativa del diritto di veto dei suoi membri permanenti, inaugurò una nuova stagione negli interventi di polizia internazionale. Avendo competenza esclusiva in materia di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, il Consiglio, forte anche di una nuova dottrina (l’“Agenda for peace” di Boutros Ghali), decise di valicare anche i confini della domestic jurisdiction dei singoli Stati, al fine di consentire lo svolgimento di interventi armati con finalità di tipo umanitario. La Somalia, devastata da tre anni di guerra civile ed in piena emergenza umanitaria, rappresentava un perfetto banco di prova politico-militare per attuare l’uso della forza armata anche per scopi “nobilmente” umanitari. UNOSOM, forte di un contingente multinazionale formato da 38.000 soldati messi a disposizione dai 33 Stati partecipanti, non raggiunse gli obiettivi che si era prefissata. Errori nelle valutazioni politiche e militari sancirono il fallimento del primo esperimento ONU di un uso coercitivo della forza armata per fini umanitari.
Con il presente elaborato abbiamo tentato di dare una risposta ai tre principali interrogativi emersi in sede preliminare, e cioè se:
- E’ da considerarsi pienamente legittima l’azione del Consiglio di Sicurezza per il mantenimento della pace in relazione all’uso della forza militare? Può essere considerata altrettanto legittima la partecipazione dell’Italia a simili missioni tenendo conto dei dettami costituzionali?
- I recenti mandati delle Nazioni Unite hanno autorizzato l’uso della forza militare, anche per le missioni umanitarie, attraverso l’utilizzo della formula “tutti i mezzi necessari”al raggiungimento dello scopo. Possiamo considerare valida tale formula per delineare una operazione militare che può assumere i caratteri di una vera e propria guerra?
- Nella missione in Somalia il modus operandi dell’Italia si è distinto da quello degli Stati Uniti e della leadership ONU creando, una vera e propria spaccatura nella coalizione internazionale. Se e come ciò poteva essere evitato, costituisce il terzo ambizioso interrogativo della presente tesi.
Riguardo alla liceità nella prassi del Consiglio di ricorrere all’uso della forza militare attraverso la delega agli Stati, riteniamo che non essendo una procedura prevista originariamente dalla Carta, l’Organo in questione, nell’esercizio di poteri legislativi “globali” deve essere cauto a non mettere in pericolo la stabilità dell’ordinamento giuridico internazionale. Tale cautela, coerentemente alla funzione garantistica riconosciuta all’ONU, dovrebbe essere estesa, a maggior ragione, anche a quegli interventi militari tesi a far cessare l’emergenza umanitaria, come appunto quello effettuato in Somalia.
Per quanto concerne la partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali, gli artt. 10 e 11 della Costituzione rappresentano l’autorevole base giuridica per mezzo della quale è possibile distinguere limiti e modalità d’intervento nell’utilizzo della forza militare nelle relazioni internazionali del nostro Paese. Il fatto di consentire limitazioni alla sovranità non significa, che qualsiasi decisione presa da un organo dell’ONU, come da qualsiasi altra organizzazione a carattere regionale, debba essere vincolante sin conditio per il nostro Paese. L’ONU, infatti, non potrà mai obbligare uno Stato membro ad usare la forza armata contro un altro Stato, in quanto le disposizioni della Carta e la relativa prassi applicativa evidenziano come il Consiglio di Sicurezza possa autorizzare, o al più coordinare, l’azione di un gruppo di Stati (inquadrati ora come caschi blu, ora come coalizione multinazionale oppure organizzazione regionale) nello svolgimento di operazioni militari, ferma restando la discrezionalità degli stessi nel decidere se e come partecipare. La formula “tutti i mezzi necessari”adottata nelle risoluzioni che autorizzano l’impiego coercitivo della forza in virtù del Cap. VII, per il conseguimento degli obiettivi umanitari (es. ristabilimento delle condizioni di sicurezza per l’arrivo degli aiuti umanitari, o la scorta ai convogli), alla luce dei fatti accaduti in Somalia, appare del tutto inappropriata. Intendiamo dire che in una determinata area geografica sotto il controllo operativo di un contingente militare altamente addestrato ed equipaggiato, nonché pesantemente armato (come ad es. quello U.S.A.), la propensione ad utilizzare la forza con tutti i mezzi ritenuti necessari, oltre che risultare incentivata dalle soverchianti possibilità belliche disponibili, potrebbe sconfinare in un uso spropositato della stessa, che non dimentichiamo, mal concilia con i fini pur sempre umanitari di una missione di pace.