SEZIONE II
73
1.POPOLAZIONE
La popolazione presa in esame per questo studio, è costituita da 132 soggetti, suddivisi in tre gruppi sulla base della loro patologia. Al primo gruppo appartengono 38 soggetti (21 maschi, 17 femmine), con frequenti infezioni a livello delle vie aeree inferiori e con una struttura dei bronchioli dilatata e/o perforata indicativa di bronchiectasie, lievi o severe, il cui livello di gravità è stato stabilito sulla base dell’esito della tomografia ad alta risoluzione (HRCT, High-Resolution Computed Tomography). Tali soggetti avevano età compresa tra 8 mesi e 16 anni (tabella II.1).
Il secondo gruppo, è costituito da 59 soggetti (51 maschi, 8 femmine), con asma persistente, lieve o moderata, il cui livello di gravità è stato stabilito in accordo con i criteri di valutazione dell’”Iniziativa globale per l’asma” (G.I.N.A., Global Iniziative for Asthma) (tabella II.2). I soggetti, di età compresa tra 7 e 16 anni, erano nati dopo oltre le 36 settimane di gestazione e alla nascita pesavano almeno 2700 grammi. Tutti i soggetti affetti dalle patologie respiratorie esaminate, sono stati sottoposti ad una visita di controllo presso la Clinica Pediatrica dell’Università di Pisa nel periodo compreso tra Gennaio 2002 e Giugno 2004. Tutti i soggetti erano risultati negativi per il virus dell’epatite C (HCV), dell’immunodeficienza acquisita (HIV -1 e HIV -2),
74
come dimostrato dall’assenza di anticorpi e genomi specifici, e per il virus dell’epatite B (HBV), come dimostrato dall’assenza dell’antigene di superficie HbsAg. Al momento dello studio, nessuno dei soggetti con bronchiectasie, era stato sottoposto ad alcun trattamento farmacologico nelle 24 ore precedenti il prelievo; i soggetti asmatici, erano stati invece sottoposti ad un trattamento con corticosteroidi a lungo termine per via inalatoria, in dosi comprese tra 200 e 1000 µg/die. Nessuno dei pazienti presentava sintomi di patologie respiratorie acute quali tosse, dispnea e/o respiro affannoso, asma acuta o esacerbazioni da almeno due mesi.
Inoltre, durante la visita di controllo, tutti i pazienti erano sottoposti a test qua li il test cutaneo (Skin Prick Test ) contro i comuni allergeni (Pifferi et al., 2002), ed i soggetti con bronchiectasie anche al test Mantoux intradermale, mirato ad evidenziare l’eventuale presenza di infezione tubercolare.
Il terzo gruppo del nostro studio, è costituito da 35 bambini sani, senza precedenti di patologie respiratorie croniche nè di episodi di dispnea ed atopia. Sia i soggetti malati che i controlli sani, sono stati sottoposti ad un accertamento clinico delle condizioni fisiche, e, in 21 dei 38 soggetti con bronchiectasie, in tutti i soggetti asmatici, e nel gruppo dei sani, è stata effettuata una valutazione della funzionalità respiratoria
75
.Tabella II.1: Caratteristiche generali dei soggetti affetti da bronchiectasie arruolati nello studio.
a Deviazione standard. PARAMETRI N° esaminati 38 Età in mesi: Range 8,0-192,0 Media ± DS a 83,3 ± 49,7 Sesso: Maschi 21 17 11 Femmine
Severità della bronchiectasia: grado “0” grado “1” 15 grado “2” 12
76
Tabella II.2: Caratteristiche generali dei soggetti adolescenti e pre-adolescenti con asma arruolati nello studio.
a Deviazione standard. PARAMETRI N° esaminati 59 Età in anni: Range 7,0-16,0 Media ± DS a 11,5 ± 2,2 Sesso: Maschi 51 Femmine 8 Severità dell’asma: Lieve persistente 20 Moderata persistente 39
77
2. RACCOLTA E PROCESSAMENTO DEI
CAMPIONI
I campioni sono stati prelevati ad ogni visita di controllo dei soggetti in studio, dopo aver ottenuto il consenso informato dei genitori, e inviati immediatamente al laboratorio di Virologia dove sono stati subito processati. I soggetti affetti da bronchiectasie sono stati sottoposti al prelievo di campioni di sangue, ed i soggetti asmatici al prelievo delle secrezioni nasali.
2.1 PLASMA
I campioni di sangue, una volta giunti nei nostri laboratori sono stati immediatamente sierati attraverso centrifugazione a 1800 x g per 10 minuti. In questo modo è stato possibile separare la parte corpuscolata, che rimane nella porzione inferiore della provetta, dal plasma, localizzato piu’ in superficie e che è stato trasferito in eppendorf da 1.5 ml e successivamente congelato a -80° fino al momento del suo utilizzo.
78
2.2 TAMPONI NASALI
I tamponi nasali, prima del prelievo, sono stati pesati ed inviati alla Clinica Pediatrica, dove sono stati utilizzati per prelevare le secrezioni nasali. Per ottenere un’abbondante quantità di secrezione i tamponi vengono introdotti nella cavità nasale dei soggetti e spinti verso il nasofaringe con un movimento rotatorio effettuato varie volte nel punto di massima resistenza. Al momento dell’arrivo nel nostro laboratorio i tamponi sono stati nuovamente pesati, ed è stata calcolata un’opportuna diluizione effettuata con soluzione fisiologica in base alla differenza di peso. Successivamente i tamponi sono stati vortexati e, dopo aver spremuto accuratamente il batuffolo di cotone impregnato di campione, il materiale aspirato è stato centrifugato a 890 x g per 15 minuti a temperatura ambiente. Si è così ottenuta la separazione del fluido nasale acellulato dalle cellule dell’epitelio nasale. Il fluido nasale, correttamente aliquotato e conservato a -80°C, è stato in seguito esaminato per stabilire presenza e titolo di TTV.
79
3. ESTRAZIONE DEL DNA VIRALE
Per l’estrazione del DNA virale è stato utilizzato il kit commerciale “QIAamp DNA Mini kit” (QIAgen, Chatsworth, CA), che consente di purificare il DNA totale (genomico, mitocondriale e virale) direttamente da sangue intero, plasma, siero, fluidi corporei, linfociti, colture cellulari e tessuti. Il volume iniziale di plasma e dei fluidi nasali richiesto per l’estrazione, come previsto dal protocollo, è 200µl. A questa quantità di campione vengono aggiunti 200µl del buffer di lisi AL e 20µl di proteinasi K (20 mg/ml) in una eppendorf da microcentrifuga da 1,5 ml. Per ottimizzare il funzionamento di tali reagenti è necessario vortexare la miscela prima di incubarla a 56°C per 10 minuti. Subito dopo si effettua una breve centrifugata al fine di eliminare ogni residuo di miscela dal tappo delle provette e si aggiungono 200µl di etanolo (96-100%) che permette la precipitazione del DNA. La miscela così ottenuta si trasferisce nell’apposita colonnina di estrazione (QIAamp spin column), e si centrifuga per 1 minuto a 6000 x g a temperatura ambiente. La colonnina fornita dal kit di estrazione contiene al suo interno una membrana di gel di silice che presenta un’ elevata affinità per gli acidi nucleici. Il DNA infatti, grazie alle condizioni di pH e salinità del lisato garantite dai vari trattamenti, si legherà alla membrana della colonna, lasciando fluire nell’apposito tubino di scarico le proteine ed
80
eventuali agenti contaminanti che potrebbero interferire con i successivi passaggi di amplificazione. Dopo aver scaricato il filtrato, il DNA legato alla membrana viene sottoposto ad un primo lavaggio con 500µl di buffer AW1 (20 mM di NaCl, 2 mM di Tris-HCl, pH 7,5 e 57% etanolo) seguito da una centrifugazione a 6000 x g per 1 minuto. Successivamente si effettua un secondo lavaggio con 500µl di buffer AW2 che differisce dal precedente solo nel contenuto di alcool (etanolo 70%), e si centrifuga alla massima velocità (20000 x g ) per 3 minuti, per evitare che residui di tampone possano inibire le successive fasi di amplificazione. Tali lavaggi hanno lo scopo di rimuovere ogni tipo di contaminazione possibile. Infine la colonnina viene trasferita in una eppendorf pulita e si effettua l’ultimo passaggio, ossia l’eluizione con 50-55µl di buffer AE (19mM di Tris-Cl, 0,5 mM di EDTA, pH 9,0). Il buffer aggiunto viene lasciato ad agire per qualche minuto a temperatura ambiente, dopo di che, si centrifuga a 6000 x g per 1 minuto. L’eluato così ottenuto è il DNA virale che viene conservato a -80° fino al momento dell’utilizzo.
81
4. SAGGI DI PCR
4.1 CARATTERISTICHE DELLA PCR
La PCR (Polymerase Chain Reaction) è un metodo attraverso cui una sequenza di acido nucleico presente in un campione di DNA può essere amplificata esponenzialmente in vitro. La reazione richiede la conoscenza a priori delle sequenze adiacenti alla regione da amplificare, al fine di poter sintetizzare degli oligonucleotidi (primers) complementari alle sequenze stesse. I primers, in genere di lunghezza compresa tra i 20-30 nucleotidi, dopo essersi legati alle sequenze bersaglio funzionano da molecole iniziatrici del processo di sintesi del DNA. La PCR prevede una serie di cicli in cui vengono realizzate una prima fase di denaturazione, nella quale il campione viene riscaldato a 95° allo scopo di denaturare il DNA a doppia elica, una fase di appaiamento ad una temperatura variabile dai 50° ai 70°C in cui i primers si legano alle regioni complementari, ed infine una fase di sintesi del genoma a 70-75°C, che avviene ad opera dell’enzima DNA polimerasi (figura II.1). Solitamente un ciclo completo prevede un’estensione finale a 72°C per 5-15 minuti affinché i prodotti parzialmente amplificati possano essere completati. Dopo circa 25 cicli in cui vengono ripetute le fasi descritte precedentemente all’interno di un termociclizzatore programmabile in modo automatico, i prodotti della PCR comprenderanno oltre al DNA
82
di partenza circa 105 copie della sequenza bersaglio specifica. Esistono tuttavia numerose variabili che condizionano la reazione di amplificazione. La polimerasi utilizzata nelle prime versioni della tecnica è stata la DNA polimerasi I di Escherichia Coli, termolabile, dotata di attività ottimale alla temperatura di 37°C. Successivamente, per evitare di aggiungere alla miscela di reazione l’enzima dopo ogni stadio di denaturazione, è stato introdotto l'uso di DNA polimerasi termostabili, resistenti alla temperatura di denaturazione e con un’attività ottimale a 72°C. La prima DNA polimerasi termostabile ad essere introdotta sul mercato è stata la Taq DNA polimerasi estratta dal batterio Thermus Acquaticus. Ognuna delle tre fasi della reazione di amplificazione è caratterizzata da strette condizioni termodinamiche (temperatura e tempo di ciascuna fase), dalle quali dipende la riuscita del ciclo di amplificazione. Una delle cause di insuccesso della PCR è la parziale denaturazione del DNA bersaglio e dei prodotti di reazione. La temperatura e la durata di questa fase dipendono dalla natura del DNA bersaglio: lunghezza, composizione in (G+C)%. Condizioni tipiche di denaturazione sono 94-95°C per 30-60 secondi o 96-97°C per 15 secondi. Temperature più elevate si rendono necessarie nel caso di bersagli particolarmente ricchi in GC; si deve però considerare che temperature eccessive determinano la perdita di attività della polimerasi: la Taq polimerasi ha un’ emivita che si riduce progressivamente con l’innalzamento della temperatura. La
83
temperatura e la durata della fase di "annealing" dipendono dalla concentrazione, dalla lunghezza e composizione in basi dei "primer". Dal punto di vista strutturale un "primer" ideale deve avere una lunghezza compresa tra i 18 ed i 28 nucleotidi ed una composizione in G +C tra il 50 ed il 60%. Tali condizioni garantiscono una temperatura di fusione (Tm= "melting temperature") tra i 50 e gli 80°C secondo la
formula semplificata di determinazione: Tm = 4 ( G+C ) + 2 (A + T). E’
opportuno evitare l’uso di "primer" che presentano complementarità all’estremo 3’, perché in tal caso si possono formare dei dimeri tra i "primer" che riducono la resa del prodotto desiderato; si devono inoltre evitare "primer" con sequenze palindrome e con strutture secondarie estese. Una considerazione generale è che i "primer" devono essere sufficientemente complessi affinché la probabilità di ibridare sequenze diverse da quella voluta sia estremamente bassa. Uno schema generale prevede l’uso di una temperatura di accoppiamento ("annealing") (Ta) circa 5°C più bassa della Tm dei due "primer"
utilizzati, inoltre l’incremento di 1°C, in ciascun ciclo, della temperatura di "annealing" porta ad un aumento di specificità di amplificazione e di resa per prodotti di lunghezza inferiore a 1 Kb. I quattro deossiribonucleotidi devono essere bilanciati nella miscela affinché non si riduca la fedeltà replicativa da parte della Taq polimerasi. Inoltre, fondamentale per la PCR è lo ione magnesio (Mg2+), che influisce sull’attività enzimatica aumentando la temperatura di denaturazione del DNA bersaglio, condiziona l’attacco dei "primer"
84
stabilizzando l’ibrido molecolare e forma complessi solubili con i dNTPs che rappresentano i veri substrati riconosciuti dalla DNA polimerasi.
85
86
4.2 REAL-TIME PCR: METODO PER
QUANTIFICARE IL GENOMA DI TTV
I campioni di plasma e i fluidi nasali dei soggetti dello studio dopo essere stati estratti, sono stati analizzati mediante un saggio di Real-Time PCR, per stabilire la presenza e quantificare il genoma di TTV. La Real-Time PCR, denominata anche PCR quantitativa o PCR quantitativa in tempo reale (rtq-PCR), è una metodica di amplificazione e quantificazione simultanee del DNA. Il DNA è amplificato da reazioni a catena della DNA-polimerasi. Dopo ogni turno di amplificazione, il DNA risulta quantificato. I metodi comuni di quantificazione includono l'utilizzo delle colorazioni fluorescenti che intercalano con il DNA a doppio-filamento (ds) e gli oligonucleotidi modificati del DNA (denominati sonde) che sono flourescenti una volta ibridati con un DNA. In particolare è stata utilizzata la tecnica Taqman che usa una specifica sonda di idrolisi, la quale presenta al 5’ il fluorocromo reporter (6-carbossi-fluoresceina, FAM) ed all’estremità 3’ una molecola quencer (6-carbossi-tetrametil-rodamina, TAMRA). Quando questa struttura è intatta così come descritta, la vicinanza del quencer al reporter sopprime la fluorescenza emessa dal reporter stesso attraverso il fenomeno di trasferimento energetico tipo Forster (Lakowicz, 1983). La sonda
87
deve essere progettata così da appaiarsi in una specifica regione compresa tra i siti di legame dei primers senso e antisenso.
La Taq polimerasi, che ha il ruolo di sintetizzare un nuo vo filamento complementare al DNA stampo, quando giunge nella regione dove si trova la sonda appaiata, esplica la sua attività 5’? 3’ esonucleasica degradando la sonda. Ciò causa l’allontanamento del quencer dal reporter e dunque un notevole aumento della fluorescenza (figura II.2). Il 3’ della sonda è bloccato per impedire l’estensione durante la PCR. La quantità di fluorescenza emessa che dipende dai ripetuti cicli di PCR, risulta essere direttamente proporzionale alla quantità di DNA target presente nel campione in esame. Dal momento che la sonda presenta una specificità molto elevata, in teoria è impossibile ottenere delle reazioni con falsi positivi dovuti a segnali aspecifici di fluorescenza. Inoltre, diversamente dall’analisi endpoint, la quantificazione Real-Time è basata su misurazioni rilevate durante la fase di amplificazione, ovvero quando l’efficienza della PCR è influenzata minimamente dalle variabili di reazione. ll segnale di fluorescenza emesso è misurato ed interpretato dal sistema Applied Biosystems Prism 7700 costituito da un termociclizzatore, un laser per indurre la fluorescenza, un rivelatore CCD (charge-coupled device) ed un software di elaborazione. Questo software calcola e normalizza il ?Rn, ossia il parametro di fluorescenza che riflette i cambiamenti della fluorescenza stessa del reporter dopo aver sottratto il segnale ottenuto nei primi 3-15 cicli di amplificazione, quando
88
ancora la sonda tagliata non è rilevabile. Il software, per normalizzare il ?Rn, e quindi correggere le fluttuazioni inevitabili della fluorescenza dovute alle variazioni di concentrazione o di volume di campioni analizzati, deve tener conto del picco di segnale di un terzo colorante non coniugato (rodamina, ROX), il quale è presente in concentrazione costante nel tampone di reazione e il cui segnale sostanzialmente non cambia durante l’amplificazione. Inoltre tale colorante non è sottoposto all’azione nucleasica della polimerasi. Il software calcola anche il ciclo soglia o Ct, che indica il primo ciclo in cui si osserva un incremento statisticamente significativo del ?Rn, e che rappresenta il momento iniziale della crescita esponenziale dei prodotti di PCR. La Real-Time PCR permette di quantificare l’acido nucleico contenuto nei campioni attraverso il confronto dei segnali dei campioni stessi con quelli derivanti da una serie di standards per i quali è noto il numero di copie della sequenza del DNA che si vuole titolare. Il sistema quindi elabora una curva di taratura riportando sull’asse delle ascisse la concentrazione nota degli standards e sull’asse delle ordinate il ciclo soglia corrispondente. Tale curva poi viene utilizzata dal software per quantificare campioni di interesse risalendo dal ciclo soglia alla quantità di DNA genomico presente. Tutti i campioni analizzati sono stati testati in triplo nella stessa seduta, e la valutazione della quantificazione ottenuta non è stata ritenuta attendibile ogni volta che risultavano coefficienti di variazioni superiori al 50%; in questo caso è stato ritenuto necessario testare di nuovo il campione. I primers e la
89
sonda Taqman sono stati progettati su una porzione della UTR altamente conservata fra i diversi genotipi di TTV e le altre specie virali ad esso correlate (figura II.3).
Al fine di verificare i limiti all’interno dei quali la metodica rispettava la condizione di linearità sono stati condotti vari esperimenti in cui sono state allestite varie diluizioni seriali di templati standards (ottenuti dopo clonaggio e valutati allo spettrofotometro) per ottenere da un minimo di 103 fino ad un massimo di 106 copie. Successivamente i prodotti di PCR sono stati analizzati su gel di agarosio al 4% per confermarne la specificità. La differenza ottenuta nei diversi esperimenti tra il numero delle copie analizzate e quello delle copie calcolate è sempre risultata minima e compresa tra 880-1200 copie per gli standards di 103 copie e tra 810.000 e 1.360.000 copie per gli standards di 106 copie, mentre la variazione intra/intersaggio nei cicli soglia non superava rispettivamente il 2,4% e il 3,1%. Valori simili sono stati ottenuti anche analizzando due campioni di TTV positivi estratti e testati in 5 saggi indipendenti. Utilizzando la procedura standard il limite di sensibilità del sistema è stato stimato essere pari a 1,0 x 103 copie di TTV-DNA per ml di plasma o per µg di DNA estratto. Sono state inoltre processate, separatamente, 10 aliquote di un campione estratto; le variazioni riscontrate sono state inferiori a 0,6 log. La specificità del saggio è stata infine confermata sequenziando i prodotti di amplificazione. Il DNA di riferimento, le cui caratteristiche devono essere le stesse del DNA bersaglio dell’amplificazione, è stato
90
ottenuto scegliendo il siero di un paziente dal quale è stato estratto il DNA che successivamente è stato amplificato nella regione di interesse e poi clonato in un vettore plasmidico. Il plasmide ricombinante può essere utilizzato nel saggio Taqman per la sua capacità di legare sia la sonda che i primers.
Il DNA da usare come standard nel processo di quantificazione, è stato ottenuto con una nested PCR.
I primers utilizzati nel primo step sono:
CLONS (senso, 5’- GTTTTCCACGCCCGTCCGC-3’; nt 105-133); CLONAS (antisenso, 5’-AGAGCCTTGCCCATAGCC-3’; nt 236-253); I primers utilizzati nel secondo step sono:
AMTS (senso, 5’-GTGCCAGGTGAGTTTA-3’; nt 177-194); AMTAS (antisenso, 5’-AGCCGGCCAGTCC-3’; nt 226-239).
Il prodotto di PCR ottenuto è stato purificato ed inserito in un vettore plasmidico e successivamente transfettato in cellule competenti per effettuare il clonaggio. In un secondo momento è stato estratto il DNA plasmidico dalle colonie scelte, e sequenziato per verificare la presenza dell’inserto. Infine i cloni sono stati quantificati eseguendo una lettura spettrofotometrica a 260 nm, in base alla quale è stato possibile, conoscendo la lunghezza in nucleotidi del vettore ricombinante, risalire al numero esatto di copie ottenute con la purificazione. Questa quantificazione ha permesso di ottenere, attraverso una serie di diluizioni successive, degli standards
91
contenenti un numero esatto di copie di DNA; il range coperto varia da 102 fino a 107 copie.
Nella Real-Time PCR il segnale di fluorescenza emesso dal reporter viene generato in seguito al taglio della sonda ibridata alla sequenza bersaglio; quindi le condizioni di PCR devono essere opportunamente scelte in modo da minimizzare eventuali amplificazioni di DNA che non si sono ibridati alla sonda.
La polimerasi impiegata nella Real-Time è la AmpliTaq GoldTM, un’enzima termostabile che risulta essere estremamente sensibile anche verso sequenze bersaglio presenti in bassissime copie.
La miscela di amplificazione del volume totale di 25 µl è costituita da: § Primers AMTS e AMTAS (Fornai et al., 2001), ciascuno alla
concentrazione finale di 0,9 µM;
§ Sonda AMTPU (5’-FAM-TCAAGGGGCAATTCGGGCT-TAMRA-3’; nt 205-223) alla concentrazione finale di 0,1µM. FAM indica il fluorocromo reporter e TAMRA il quencer. I primers e la sonda sono stati progettati seguendo le indicazioni del programma “Primers Express Software” (versione 1.0, Perkin-Elmer-Applied Biosystems);
§ TaqMan Universal Master Mix alla concentrazione finale 1X. Tale miscela, oltre alla polimerasi AmpliTaq GoldTM, contiene; a. AmpErase uracil-N-glycosilase (UNG) che previene
l’amplificazione dei prodotti di PCR contami nati; b. dNTPs con dUTP al posto di dTTP;
92
• 5 µl del DNA estratto pari ad una concentrazione di 10-100 ng;
• x µl di acqua deionizzata a volume.
La AmpErase (UNG) agisce sul DNA a singolo o a doppio filamento degradando quei bersagli genomici che contengono dUTP: tale enzima taglia infatti l’uracile impedendo alla DNA polimerasi di continuare la sintesi, rendendo in questo modo estremamente sensibile il DNA all’idrolisi acido-basica. Per rendere possibile l’impiego dell’enzima UNG la reazione Taqman sostituisce dUTP al dTTP, cosicché eventuali contaminanti che si trovano nel tubo di reazione prima che la seduta di PCR abbia inizio, vengono riconosciuti ed eliminati, mentre il DNA target contenente dTTP non viene degradato. L’enzima UNG è attivo grazie all’applicazione di una temperatura di 50°C alla miscela di reazione e viene in seguito inibito dall’elevata temperatura di denaturazione, prima che si svolga la reazione di PCR. Inoltre, per verificare che la miscela preparata non abbia subito contaminazioni, si inseriscono nella reazione dei controlli negativi che contengono, oltre alla mix, 5 µl di acqua al posto dell’estratto del campione di interesse.
L’amplificazione è condotta dal sistema ABI 7700 con il seguente profilo ciclico: 1 ciclo a 50°C per 2 minuti affinché si attivi la UNG; 1
93
ciclo a 95°C per 10 minuti per permettere l’attivazione della AmpliTaq Gold polimerasi; 40 cicli alle seguenti condizioni: 95°C per 15
secondi (denaturazione) e 60°C per 1 minuto (ibridazione dei primers ed estensione).
94
Figura II.2: Schema generale della metodica Real Time PCR. R= reporter; Q= quencer. R Q R Q Q R Q R Polimerizzazione
Spostamento del filamento
Taglio
Completamento della polimerizzazione
95
Figura II.3: Schema della regione utilizzata per l’amplificazione di TTV tramite metodica TaqMan.
AMTAS (226-239) AMTPU (205-223) AMTS (177-194)
TTV
3853 nt
96
4.3 PCR GENOGRUPPO-SPECIFICHE
I campioni risultati positivi e quantificati per TTV mediante Real-Time PCR, sono stati esaminati per la determinazione dei genogruppi del virus implicati nell’infezione. Per questo sono stati utilizzati 5 differenti saggi di PCR progettati su regioni genomiche diverse, in grado di discriminare i 5 genogruppi di TTV. Prendendo in esame tutte le sequenze dei vari isolati virali fino ad oggi conosciute e depositate in banca dati, sono stati disegnati primers nelle regioni ORF1 e UTR del genoma virale. Le caratteristiche dei primers utilizzati nella genotipizzazione di TTV sono riportate in tabella II.3.
Per ottimizzare la specificità delle amplificazioni sono state allestite e utilizzate reazioni di nested o eminested PCR, svolte in due tempi successivi: i prodotti di una prima reazione di amplificazione erano utilizzati come DNA bersaglio per una seconda reazione in cui veniva utilizzata una diversa coppia di primers, disegnati in modo tale da ibridarsi a regioni genomiche più interne rispetto a quelle riconosciute dalla coppia di oligonucleotidi del primo step.
Per tutte le reazioni di genotipizzazione è stato usato lo stesso protocollo variando la temperatura di appaiamento in base alla coppia di primers utilizzata e impostando in modo adeguato la durata dei cicli di amplificazione. Le temperature di appaiamento dei primers e le dimensioni attese degli amplificati sono riportati in tabella II.4. Il profilo di reazione per il primo step prevede la preparazione di una miscela,del volume finale di 50 µl, così composta:
97
§ tampone di reazione (10 nM Tris-HCl pH 8,2, 50 mM KCl, 1,5 mM MgCl2);
§ 60 pmoli di ciascun primer (senso e antisenso);
§ 200 µM di ogni deossiribonucleotide trifosfato (dNTPs); § 5 U di Taq polimerasi;
§ 5 µl di DNA estratto;
§ x µl di acqua deionizzata a volume.
Dopo aver preparato la miscela sono stati effettuati 35 cicli con il seguente profilo termico:
§ fase di denaturazione: 94°C per 30 secondi;
§ fase di appaiamento: 30 secondi alla temperatura scelta tenendo conto della struttura e della sequenza di ogni coppia di primers, in modo tale che avvenga il corretto appaiamento di questi ultimi alle regioni complementari sul DNA;
§ fase di estensione: 72°C per 45 secondi.
Terminati i 35 cicli di amplificazione si è eseguito una fase a 72°C per 15 minuti per permettere alla Taq polimerasi di completare eventuali frammenti tronchi.
Successivamente 5 µl del primo prodotto di amplificazione vengono trasferiti nella miscela del secondo step, nella quale viene utilizzata una coppia di primers più interni rispetto a quelli precedenti; i restanti componenti della miscela restano invariati a quelli già descritti per il primo step. Inoltre la temperatura di appaiamento viene adattata in base alla nuova coppia di primers e viene ridotto a 25 il numero di cicli
98
d i amplificazione. I saggi di PCR sono eseguiti mediante l’uso di termociclizzatori automatici (Perkin/Elmer 9600, Cetus Corporation, Norwalk, CT, USA). Per verificare la presenza di falsi positivi in ogni reazione di amplificazione sono stati inseriti dei controlli negativi aggiungendo nella miscela al posto dell’estratto acqua deionizzata. Sono inoltre stati utilizzati dei controlli positivi per essere sicuri della validità della reazione. Ogni campione è stato esaminato in duplicato e ripetuto nel caso di risultati discordanti.
Successivamente i prodotti di PCR ottenuti dal secondo step sono stati controllati mediante corsa elettroforetica utilizzando 15 µl di amplificato miscelati con 3 µl di colorante. La corsa è effettuata su un gel di agarosio al 3% colorato con bromuro di etidio e le bande separate vengono visualizzate ad un transilluminatore. Per verificare le giuste dimensioni degli amplificati è impiegato un adeguato marcatore di peso molecolare. La sensibilità di ciascuna reazione di genotipizzazione era stata precedentemente valutata utilizzando come standars diluizioni scalari di plasmidi ricombinanti per i frammenti d’interesse: i plasmidi estratti erano stati sequenziati per verificare la specificità dei frammenti inseriti e quantificati allo spettrofotometro. Tutte le diluizioni, preparate per ciascuna delle 5 reazioni di genotipizzazione, sono state testate in quadruplo, e la diluizione alla quale si osservava un positivo su quattro rappresentava il limite di sensibilità. Quest’ultimo risultava per tutte le reazioni di circa 4000 copie DNA virale per ml di plasma.
99
Tabella II.4 : Temperature di appaiamento dei primers e dimensioni attese degli amplificati.
Gruppo Step Temperatura di annealing (°C) Primers Dimensioni attese (bp) I 50 G1-1 TTV-2 346 1 II 50 TTV-5 G1-4 220 I 50 G2-1 G2-2 434 2 II 50 G2-3 PMV-4 260 I 55 G3-1A G3-1B G3-2 334 3 II 55 G3-1A G3-1B G3-4 263 I 52 G4-1 G4-2 317 4 II 52 G4-3 G4-4 295 I 58 G5-1 G5-2 418 5 II 55 G5-3 G5-4 271-306
100
5. CORSA ELETTROFORETICA SU GEL DI
AGAROSIO
L’elettroforesi su gel di agarosio è un metodo semplice e veloce che permette di separare, e quindi identificare, frammenti di DNA in base al loro peso molecolare. I frammenti migrano, nel campo elettrico che attraversa il gel, dal polo negativo a quello positivo, in funzione delle cariche elettriche conferitegli dai gruppi fosfato.
La velocità di migrazione dipende: § dalle dimensioni dei frammenti
§ dalla percentuale dell’agarosio nel gel § dal voltaggio applicato.
Frammenti lineari più piccoli migrano più velocemente rispetto a quelli più grandi, mentre a parità di peso molecolare, il DNA circolare migra più velocemente di un DNA lineare, in quanto assume una conformazione detta superavvolta (super coiled DNA).
L'agarosio è un polisaccaride lineare costituito da unità di base ripetute di agarobiosio intercalate da unità alternate di galattosio e 3,6-anidrogalattosio. Esso è uno dei costituenti dell'agar, una miscela di polisaccaridi isolati da alcune specie di alghe marine rosse e viene solitamente utilizzato sotto forma di gel. Il gel viene preparato sciogliendo al calore una quantità variabile di agarosio (dallo 0,6% al
101
4% in base a dimensioni decrescenti dell’amplificato) nel buffer TAE 1X (Tris acetato 50X; 242g Tris base; 57,1 ml di acido acetico glaciale; 100 ml EDTA 0.5 M pH 8), il quale è utilizzato anche come tampone di corsa. La miscela ottenuta viene colata in un apposito “lettino” per elettroforesi orizzontale e lasciata polimerizzare a temperatura ambiente per 10-15 minuti. Gli amplificati prima della corsa vengono miscelati con un “loading buffer” (0,25% blu di bromofenolo; 0,25% xilene cianolo; 30% glicerolo) in un rapporto di 1:10. Tale buffer è un colorante con la duplice funzione di facilitare la visualizzazione della corsa elettroforetica e di appesantire i campioni agevolandone la deposizione sul fondo del pozzetto del gel, grazie alla presenza del glicerolo in esso contenuto. Il supporto contenente il gel solidificato viene immerso nel tampone di corsa della cella elettroforetica; applicando una differenza di potenziale compresa tra i 60 e i 120 volts ha inizio la migrazione delle cariche che si protrarrà per un tempo variabile a seconda del tipo di separazione desiderata. Le molecole lineari di DNA, che possiedono a pH 7 una carica netta negativa, migrano verso l’anodo con velocità elettroforetiche inversamente proporzionali al logaritmo del loro peso molecolare, ovvero in base alla lunghezza in paia basi. La visualizzazione dell’acido nucleico, realizzata osservando il gel con un transilluminatore (Fotodyne), è resa possibile attraverso la colorazione del gel con il bromuro di etidio, un sale capace di intercalarsi e legarsi alle basi di DNA. Il bromuro di etidio, sottoposto ad illuminazione con luce ultravioletta, alla
102
lunghezza d’onda compresa tra 254 e 306 nm, emette una tipica fluorescenza rosa/arancione che diventa particolarmente pronunciata in quei punti del gel dove il colorante si è legato al DNA. Le dimensioni dei frammenti così rilevati sono calcolate in base ad opportuni marcatori di peso molecolare che vengono corsi contemporaneamente ai campioni. Marcatore di peso molecolare
103
6. ESTRAZIONE DI DNA DA GEL DI
AGAROSIO
Con tale procedura è possibile estrarre singoli frammenti di DNA da gel, dopo averli separati mediante una corsa elettroforetica su gel di agarosio all’1,5%. Questa metodica permette di eluire frammenti di DNA da gel, ottenuti mediante amplificazione per PCR. Dopo aver effettuato la corsa elettroforetica, per un tempo sufficiente a garantire una buona separazione dei frammenti, si procede all’escissione della banda, visibile al transilluminatore UV con un bisturi sterile.
Per il protocollo di estrazione abbiamo utilizzato il kit commerciale QIAquick Spin Hand (QIAGEN), che tramite variazioni di pH, ha permesso in un primo momento l’adesione dei frammenti amplificati a una membrana di gel di silice e successivamente il rilascio di questi nell’eluato. Dopo aver pesato la banda, ritagliata dal gel, con una bilancia di precisione, in base al peso è stata calcolata la quantità di buffer QG necessaria per la totale solubilizzazione del gel e per il successivo legame del DNA alla membrana della colonna. Come riportato nel protocollo del kit si utilizzano 3 volumi del buffer QG per ogni volume di gel. Il buffer QG contiene un indicatore di pH che rende semplice la visualizzazione del pH ottimale per il legame al DNA (al valore di pH = 7,5, in cui si ha l’assorbimento della maggior parte degli acidi nucleici, il buffer appare di colore giallo). In seguito all’aggiunta del buffer al gel si procede ad un’ incubazione a 50°C per 10 minuti.
104
Al fine di incrementare la resa dell’estrazione si aggiunge volume di isopropanolo in rapporto al peso del gel. A questo punto la miscela viene trasferita in colonnine (QIAquick column) e sottoposta ad una centrifugazione di 12300 x g per 1 minuto. Con questo passaggio il DNA rimane adeso al filtro, mentre i primers e i nucleotidi derivanti dalla reazione di PCR e altre possibili impurità fluiscono nella provetta di scarico. Al termine della centrifugata, scaricato l’eluato, si esegue un lavaggio aggiungendo 750 µl di buffer PE e centrifugando a 12300 x g per 1 minuto. Questa procedura è necessaria affinché l’etanolo contenuto nel buffer PE elimini ogni residuo di sali. Per eliminare completamente il buffer PE si effettua una centrifugazione aggiuntiva a 12300 x g per 1 minuto. Infine le colonnine vengono trasferite in eppendorf pulite e si eluisce il tutto con 40 µl di buffer EB (10 mM TRIS/HCl; pH 8,5). Anche l’efficienza dell’eluizione è strettamente dipendente dalla concentrazione salina e dal pH: a differenza di quanto avviene per l’assorbimento, l’eluizione è più efficiente in condizioni basiche e a bassa concentrazione salina . Dopo aver incubato a temperatura ambiente per qualche minuto, si centrifuga a 12300 x g per 1 minuto. L’eluato così ottenuto contiene tutti i frammenti di DNA purificati.
105
7. SEQUENZIAMENTO
Gli amplificati ottenuti dal secondo step delle reazioni di PCR genogruppo specifica, sono stati sequenziati al fine di confermare la loro appartenenza ai differenti genogruppi di TTV. Le sequenze sono state effettuate utilizzando lo strumento ABI PRISM 373 DNA Sequencer (PE, Biosystem).
7.1 DESCRIZIONE DELLA METODICA
Grazie all’appaiamento specifico delle basi, una doppia elica di DNA mantiene una struttura uniforme indipendentemente dalla sequenza di basi che la compone. La differenza tra molecole diverse di DNA consiste nella sequenza delle basi e non in differenze strutturali, quindi la massima informazione sulla struttura di una molecola di DNA si può ottenere determinandone la sequenza. La conoscenza delle proprietà chimico-fisiche degli acidi nucleici ha permesso la messa a punto di due tecniche diverse per la determinazione della sequenza di basi di un tratto di DNA che prendono il nome dai loro scopritori: A.M. Maxam e W. Gilbert per il ‘metodo chimico’ e F. Sanger per quello ‘enzimatico’. Entrambi i metodi di sequenziamento si basano su un principio comune. In ogni metodo viene generata una serie di frammenti di DNA a singolo filamento, ciascuno più lungo di una base rispetto al precedente. Molecole di DNA che hanno la stessa sequenza ma che differiscono in lunghezza anche di una sola base
106
possono essere separate attraverso elettroforesi su gel di poliacrilammide. Le bande corrispondenti a molecole di dimensioni crescenti formano una scaletta che può essere seguita per una lunghezza in genere di circa 300-500 nucleotidi.
Nel metodo chimico un frammento di DNA, precedentemente marcato con P32 radioattivo ad un’unica estremità, viene aliquotato in quattro provette diverse, modificato chimicamente in modo specifico a livello di una delle quattro basi (A, C, T, G) e successivamente tagliato dalla piperidina in presenza di calore ovunque ci sia una base modificata. Le molecole trattate in questo modo vengono sottoposte ad elettroforesi ed evidenziate mediante autoradiografia. Ciascuna molecola formerà una banda la cui lunghezza dipenderà dalla distanza tra il sito di rottura e l’estremità marcata.
Il metodo di “sequenziamento enzimatico” di Sanger è quello oramai più utilizzato (Sanger et al.,1977), definito anche sistema dei dideossinucleotidi. La reazione di sequenziamento avviene tramite la sintesi di DNA usando uno o più nucleotidi marcati ed un unico primer complementare ad una porzione del frammento di DNA da sequenziare. Oltre ai normali precursori nucleotidici (dNTPs) la sintesi del DNA avviene anche in presenza di dideossinucleotidi base-specifici (ddNTPs) che mancano di un gruppo ossidrile al 3’ e al 2’. I ddNTP vengono incorporati senza alcuna difficoltà nella catena nascente di DNA ma ne arrestano l’allungamento ulteriore. Anche in
107
questo metodo si divide il materiale in quattro aliquote e si portano avanti quattro reazioni diverse. In ognuna delle quattro aliquote c’è ovviamente un ddNTP diverso e di conseguenza in ciascuna delle quattro aliquote la sintesi si blocca dopo una specifica base.
I ddNTP sono aggiunti in quantità limitata in modo che vengono inseriti con una certa frequenza e non in tutte le posizioni. La miscela di molecole di diversa lunghezza, specifiche ad esempio per A, viene caricata, dopo aver effettuato una fase di amplificazione, in una corsia del gel mentre le altre tre adiacenti specifiche per G, C e T, vengono caricate nelle tre corsie adiacenti. Dopo l’elettroforesi e l’esposizione radiografica la sequenza può essere letta. L’accuratezza della metodica del sequenziamento può essere aumentata sequenziando indipendentemente i due filamenti di DNA e le due sequenze ottenute devono essere perfettamente complementari. Il metodo di Sanger si presta alla automazione. Esistono infatti oggi giorno delle macchine automatiche (i più diffusi sono sequenziatori capillari) in grado di determinare le sequenze di frammenti di DNA a doppia elica o singolo filamento di prodotti di PCR sfruttando la fluorescenza. Queste procedure usano primers (marcatura del DNA in 5’) o ddNTP (marcatura del DNA in 3’) legati a fluorofori diversi che emettono fluorescenza diversa. Il risultato di questa reazione produrrà dei frammenti di DNA nei quali le diverse basi saranno identificate da quattro colori diversi ed ogni colorante reagisce alla luce emettendo una propria fluorescenza: ciò permette di effettuare le quattro reazioni
108
in una provetta unica ed il caricamento di un unico pozzetto. In sostanza, durante l’elettroforesi il campione viene colpito da una sorgente luminosa (laser) ed emette una fluorescenza che viene rilevata da un sensore; il segnale elaborato da un opportuno software mostra in forma grafica a quattro colori la sequenza del DNA.
Esempio:
Con tale procedura è possibile estrarre singoli frammenti di DNA da gel, dopo averli separati mediante una corsa elettroforetica su gel di agarosio all’1,5%. Questa metodica permette di eluire frammenti di DNA da gel, ottenuti mediante amplificazione per PCR. Dopo aver
109
effettuato la corsa elettroforetica, per un tempo sufficiente a garantire una buona separazione dei frammenti, si procede all’escissione della banda, visibile al transilluminatore UV con un bisturi sterile.
Per il protocollo di estrazione abbiamo utilizzato il kit commerciale QIAquick Spin Hand (QIAGEN), che tramite variazioni di pH, ha permesso in un primo momento l’adesione dei frammenti amplificati a una membrana di gel di silice e successivamente il rilascio di questi nell’eluato. Dopo aver pesato la banda, ritagliata dal gel, con una bilancia di precisione, in base al peso è stata calcolata la quantità di buffer QG necessaria per la totale solubilizzazione del gel e per il successivo legame del DNA alla membrana della colonna. Come riportato nel protocollo del kit si utilizzano 3 volumi del buffer QG per ogni volume di gel. Il buffer QG contiene un indicatore di pH che rende semplice la visualizzazione del pH ottimale per il legame al DNA (al valore di pH = 7,5, in cui si ha l’assorbimento della maggior parte degli acidi nucleici, il buffer appare di colore giallo). In seguito all’aggiunta del buffer al gel si procede ad un’ incubazione a 50°C per 10 minuti. Al fine di incrementare la resa dell’estrazione si aggiunge volume di isopropanolo in rapporto al peso del gel. A questo punto la miscela viene trasferita in colonnine (QIAquick column) e sottoposta ad una centrifugazione di 12300 x g per 1 minuto. Con questo passaggio il DNA rimane adeso al filtro, mentre i primers e i nucleotidi derivanti dalla reazione di PCR e altre possibili impurità fluiscono nella provetta di scarico. Al termine della centrifugata, scaricato l’eluato, si esegue
110
un lavaggio aggiungendo 750 µl di buffer PE e centrifugando a 12300 x g per 1 minuto. Questa procedura è necessaria affinché l’etanolo contenuto nel buffer PE elimini ogni residuo di sali. Per eliminare completamente il buffer PE si effettua una centrifugazione aggiuntiva a 12300 x g per 1 minuto. Infine le colonnine vengono trasferite in eppendorf pulite e si eluisce il tutto con 40 µl di buffer EB (10 mM TRIS/HCl; pH 8,5). Anche l’efficienza dell’eluizione è strettamente dipendente dalla concentrazione salina e dal pH: a differenza di quanto avviene per l’assorbimento, l’eluizione è più efficiente in condizioni basiche e a bassa concentrazione salina. Dopo aver incubato a temperatura ambiente per qualche minuto, si centrifuga a 12300 x g per 1 minuto. L’eluato così ottenuto contiene tutti i frammenti di DNA purificati.
111
7.2 REAZIONE DI SEQUENZA
La metodica di sequenziamento precedentemente descritta, prevede una fase di amplificazione seguita da un processo di elettroforesi. La reazione di amplificazione prevede l’utilizzo di una miscela precostituita detta Mix Terminator Ready Reaction contenente tutti gli elementi necessari alla reazione, a cui vengono aggiunti il primer e il campione da sequenziare. Tale miscela contiene la AmpliTaq DNA polimerasi FS, che è un enzima simile a quello prodotto dal Thermus Aquaticus, ad eccezione di due mutazioni sito specifiche introdotte. Una di queste mutazioni è localizzata nel sito catalitico dell’enzima e provoca la sostituzione dell’aminoacido fenilalanina con una tirosina, determinando così un aumento della costante di associazione nei confronti dei dideossinucleotidi, che rappresentano un substrato non naturale per l’enzima. L’altra mutazione si trova nel dominio amino -terminale ed elimina l’attività nucleasica 5’ ? 3’. L’enzima viene associato ad una pirofosfatasi stabile al calore che determina la scissione del pirofosfato inorganico generato nella formazione del legame fosfodiestere durante l’estensione del filamento di DNA impedendone così l’accumulo. Un’alta concentrazione di questa molecola favorirebbe la reazione inversa alla polimerizzazione: i nucleosidi marcati potrebbero essere staccati dal filamento in crescita e sostituiti da quelli non marcati. La Mix Terminator oltre alla polimerasi FS, contiene anche un tampone Tris-HCl pH 9, MgCl2,
112
deossinucleosidi trifosfato (dATPs, dCTPs, dUTPs, dITPs) e i quattro dideossinucleotidi marcati.
La miscela di reazione del volume totale di 20 µl è così composta: § 4 µl di Terminator Ready Mix,
§ 3,2 µl di primer diluito 1:20,
§ x µl di campione da valutare in seguito alla concentrazione di DNA presente,
§ y µl di acqua demonizzata per raggiungere il volume totale. La miscela viene successivamente introdotta in un termociclizzatore e sottoposta ad un programma di 25 cicli secondo il seguente schema:
ü Fase di denaturazione: 10 secondi a 96°C, ü Ibridazione del primer: 5 secondi a 50°C, ü Fase di estensione: 4 minuti a 60°C.
Il prodotto di PCR così ottenuto deve essere purificato prima di procedere con l’elettroforesi.
113
7.3 PURIFICAZIONE DELLA REAZIONE DI
SEQUENZA
I prodotti di PCR ottenuti devono essere purificati da eventuali residui di tampone, sali, nucleotidi marcati non incorporati ed altro ancora, i quali potrebbero interferire con la rivelazione della fluorescenza durante l’elettroforesi. Tale purificazione viene condotta utilizzando le colonnine Centri-Sep (Princeton Separation), costituite da un gel liofilizzato che deve essere idratato con 800 µl di acqua demonizzata; si ottiene in questo modo un mezzo di purificazione che permette un’ottima separazione dei frammenti di DNA. E’ necessario, in questa fase di idratazione, assicurarsi che nella colonna non si formino bolle, in quanto queste potrebbero impedire un corretto processo di purificazione. Dopo aver lasciato le colonnine ad idratare per circa 30 minuti , si elimina l’acqua in eccesso per sgocciolamento e successivamente eseguendo una centrifugata a 650 x g per 2 minuti. A questo punto si trasferisce la miscela proveniente dalla reazione di amplificazione al centro delle colonnine contenenti il gel idratato e si centrifuga nuovamente a 650 x g per 2 minuti, ottenendo così il campione purificato dai prodotti di scarto. Successivamente 5 µl del campione sono trasferiti in tubini e diluiti con 15 µl di acqua deionizzata, i tubini vengono chiusi con appositi tappi che impediscono l’evaporazione del campione.
114
Infine il DNA viene sottoposto a denaturazione alla temperatura di 94°C per circa 2 minuti; subito dopo i tubini vengono posti in ghiaccio per impedire ai singoli filamenti di DNA di riappaiarsi: i campioni sono pronti per il processo di elettroforesi.
7.4 ELETTROFORESI
I frammenti di DNA denaturati vengono sottoposti all’analisi eseguita dal sequenziatore automatico ABI PRISM 310 DNA Sequencer. Tale strumento è costituito da due unità: una camera elettroforetica dotata di un raggio laser fisso ed un computer esterno collegato alla camera, corredato di un software capace di analizzare l’emissione della fluorescenza. La camera elettroforetica è costituita da una zona conte nete un carrello removibile sul quale vengono posizionati i tubi con la miscela da sottoporre al sequenziamento, i contenitori del tampone e dell’acqua deionizzata, il catodo ed un’estremità del capillare dove avviene l’elettroforesi. Un’altra zona presenta un contenitore per il tampone di corsa in cui è posto l’anodo ed un sistema composto da una siringa che inietta il polimero nel capillare. Infine vi è una zona di rilevazione, in cui il capillare giunge in prossimità del raggio laser, per cui i fluorocromi dei campioni che migrano verso l’anodo si eccitano ed emettono fluorescenza. Per generare la differenza di potenziale necessaria per la corsa
115
elettroforetica, il tampone di corsa (Genetic Analyzer buffer) deve necessariamente essere a contatto sia con il capillare che con gli elettrodi. Il polimero utilizzato è il Performancer Optimizer Polymer 6% (POP-6). Quest’ultimo riempie completamente il capillare costituito da un sottilissimo tubo in vetro di 50 µm di diametro ed una lunghezza variabile in base alla corsa da effettuare. Tale tubo riempito di polimero rappresenta il luogo in cui avviene la separazione dei frammenti di DNA in base alle loro dimensioni. Il capillare presenta un rivestimento opaco per tutta la sua lunghezza, tranne che nella “regione finestra”, cioè nella zona di rilevazione dello strumento, a contatto con il raggio laser. Inizialmente il capillare e l’elettrodo sono immersi nel tampone di corsa in modo da generare la differenza di potenziale, poi vengono a contatto con il primo campione. L’iniezione di quest’ultimo all’interno del capillare si verifica per via elettrocinetica, ossia in seguito al flusso di corrente che si genera dal catodo verso l’anodo. Successivamente il catodo e il capillare vengono nuovamente immersi nel tampone così da generare una nuova differenza di potenziale che consenta la migrazione dei frammenti di DNA attraverso il polimero. Il sequenziatore è munito anche di un contenitore con acqua deionizzata necessario per lavare il capillare quando si trasferisce da un campione all’altro.
I frammenti di DNA separati giungono quindi, in tempi diversi, nella “zona finestra” del capillare dove vengono a contatto con il laser, con
116
il conseguente eccitamento del fluorocromo del frammento che emette una tipica fluorescenza. Questo raggio viene diretto attraverso una serie di lenti ad uno spettrografo che separa le lunghezze d’onda e le indirizza ad una camera CCD (Charge-Coupled-Device) dotata di filtri virtuali diversi a seconda dei fluorocromi che devono essere analizzati. Tale camera analizza lo spettro di emissione e converte il segnale luminoso in segnale digitale che viene memorizzato su un computer (Power Macintosh) per il successivo processamento. Il programma utilizzato è ABI PRISM DNA Sequencing Analysis Software. In questo modo il nucleotide finale di ciascun frammento è identificato dal fluorocromo all’estremità 3’ ed i frammenti di lunghezza diversa permettono di discriminare gradatamente tutti i nucleotidi. Alla fine della corsa la sequenza di bande di DNA marcato viene visualizzata in un unico grafico detto elettroferogramma, caratterizzato da una successione di picchi di 4 colori diversi, corrispondenti alle emissioni fluorescenti dei diversi fluorocromi.
117
8. VALUTAZIONE DELLA SEVERITA’
DELLE BRONCHIECTASIE
La diagnosi di patologia bronchiettasica è stata effettuata tramite tomografia ad alta risoluzione (HRCT, High-Resolution Computed Tomography), indagine diagnostica finalizzata a valutare la condizione polmonare e quindi l’estensione di malattie bronchiali. L’applicazione di software dedicati ad alta risoluzione spaziale e di contrasto e la possibilità di eseguire strati sottili di 1 mm di spessore permettono di ottenere, in tomografia computerizzata, acquisizioni di immagini del parenchima polmonare che possono essere paragonate ad un esame macroscopico su reperto autoptico.
La metodica consente, infatti, l’identificazione dei lobuli secondari (vale a dire le più piccole porzioni di parenchima delimitate da setti connettivali) e la caratterizzazione delle alterazioni morfologiche intralobulari ed interlobulari indotte da varie patologie. L’associazione di tali programmi alle acquisizioni volumetriche ottenibili con i più nuovi apparecchi di TC spirale ha migliorato notevolmente lo studio del polmone, poiché dalla scansione rapida e continua dell’intero torace e dalla possibilità di ricostruire a posteriori sezioni passanti per qualunque piano derivano una riduzione degli artefatti da movimento, un aumento della capacità di individuare e caratterizzare lesioni focali e una più agevole esecuzione dell’esame su pazienti non collaboranti (bambini, anziani, politraumatizzati).
118
La tomografia computerizzata è una metodica di misura della densità dei volumi elementari costituenti una sezione corporea. La visualizzazione delle strutture anatomiche è prodotta dall’attenuazione che subisce un fascio collimato di radiazioni X inviato su proiezioni molteplici attraverso una sezione corporea. Grazie a questa proprietà possiamo ottenere scansioni spirali a collimazione stretta (1-1,5 mm) che consentono di applicare agevolmente la metodica ad alta risoluzione, realizzando così la HRCT volumetrica. Con l’HRCT, attraverso l’applicazione di software dedicati e l’ottimizzazione dei parametri tecnici, si ottiene una risoluzione spaziale di 0,2-0,3 mm che consente lo studio dell’interstizio polmonare. Per quanto riguarda la dose di radiazioni assorbita dal paziente durante l’esecuzione dell’esame, a causa degli alti livelli di voltaggio ed amperaggio necessari a contrastare il rumore di fondo dovuto alla collimazione sottile, l’HRCT volumetrica determina un assorbimento di radiazioni decisamente superiore all’HRCT convenzionale. L’esecuzione di un esame con l’HRCT volumetrica richiede l’impostazione di vari parametri tecnici. La conoscenza di come questi parametri influiscano sull’immagine finale è di fondamentale importanza per ottenere risultati che soddisfino i quesiti diagnostici. L’acquisizione continua dei dati comporta la necessità di stabilire ogni quanti millimetri si debbano ricostruire le sezioni. Nasce così un altro parametro specifico della TC spirale, l’intervallo di ricostruzione. L’intervallo può essere impostato su un valore inferiore allo spessore di strato, in modo che la lieve
119
sovrapposizione delle immagini faciliti lo studio delle lesioni sul piano equatoriale, a qualunque livello esse siano localizzate. Da questo parametro, inoltre, dipende in maniera critica la risoluzione delle immagini sull’asse longitudinale z. In genere si ricorre ad un intervallo pari a 2/3 dello spessore di strato, in modo da sfruttare i vantaggi della sovrapposizione senza produrre un numero eccessivo d’immagini. Nello studio ad alta risoluzione del parenchima polmonare dobbiamo ottenere sezioni di spessore pari ad 1 mm, al fine di impedire che l’effetto volume comprometta il dettaglio delle immagini. Utilizzando un apparecchio single-slice, quindi, bisogna selezionare una collimazione di 1 mm; se si lavora con un apparecchio multi-slice e detettori organizzati secondo uno schema 4 x 1 mm, la collimazione deve essere di 4 mm. Lo studio del parenchima polmonare con HRCT presuppone l’utilizzo di algoritmi normalmente impiegati nello studio del tessuto osseo (definiti ‘filtri per osso’), che permettono di conseguire un’elevata risoluzione spaziale.
In 31 dei 38 soggetti affetti da bronchiectasie esaminati, si aveva una sufficiente collaborazione: si imponeva loro di trattenere il respiro fino alla massima capacità polmonare. Nei restanti 7 soggetti era necessaria anestesia. In nessuno si aveva somministrazione intravenosa. Le bronchiectasie erano diagnosticate e classificate sulla base dei criteri sovracitati, ed associate a valori numerici indicativi della severità della patologia bronchiettasica:
120
“0” indica lo stato di assenza di evidente dilatazione bronchiolare; “1” indica la comparsa di lievi e rare dilatazioni bronchiolari; “2” indica la presenza di gravi e diffuse dilatazioni bronchiolari.
9. PROVE DI FUNZIONALITA’
RESPIRATORIA
La valutazione della funzionalità respiratoria è stata effettuata mediante esame spirometrico presso la Clinica Pediatrica.
L’esame consisteva nel far soffiare i soggetti, dopo un’inspirazione massimale, in un boccaglio collegato ad uno speciale apparecchio (MasterScreen Body).
Il flusso espiratorio forzato (FEF), prodotto da una manovra di espirazione compiuta al momento di inspirazione massima, riflette la capacità di svuotamento rapido dei polmoni. Ciò permette la valutazione dei volumi polmonari, ricavabili tramite l’apparecchio suddetto. Possono essere così rilevati disordini ventilatori di tipo restrittivo e/o ostruttivo. Con questo esame si possono determinare vari parametri che indirizzano nella diagnosi delle malattie respiratorie; questi indici vengono espressi come percentuali di valori teorici di riferimento ottenuti in base all’età, all’altezza, al sesso, all’etnia dei
121
soggetti presi in considerazione (Zapletal et al., 1987). I principali sono:
ü Capacità vitale forzata (FVC): massima quantità di aria che può essere espulsa dopo un'inspirazione massimale. Valori maggiori all’80% sono considerati normali.
ü Volume espiratorio forzato in 1 secondo (FEV1): volume
di aria espirata durante il primo secondo di un'espirazione forzata. Questa misurazione può fornire importanti informazioni poiché un soggetto sano espelle gran parte dell’aria inspirata proprio nel primo secondo di espirazione forzata. Il FEV1 riflette il diametro delle vie
aeree centrali e correla inversamente con il grado di ostruzione bronchiale, ma è anche un ottimo indice della resistenza delle vie aeree periferiche. Dato che è il parametro più riproducibile e rappresentativo della spirometria, può essere considerato un indice complessivo della funzionalità delle vie aeree. Valori superiori all’80% sono considerati normali.
ü Flusso espiratorio forzato è il flusso misurato nella parte centrale della curva espiratoria tra il 25% e il 75% del FCV (FEF25-75%). E’ un parametro dipendente soltanto
122
ü resistenza incontrata dal flusso nelle vie aeree più distali; è quindi un indice definito sforzo-indipendente. Se assume valori inferiori al 70% del valore previsto, può essere l'unico segno di disfunzione ventilatoria di grado molto lieve negli stadi precoci di ostruzione delle vie aeree (figura II.1).
Dagli indici sovradescritti misurati direttamente si possono ricavare altri importanti parametri: l’indice di Tiffaneau (FEV1/FVC) la cui
riduzione al di sotto dell’80% del valore predetto è caratteristica di una patologia ostruttiva, e il rapporto FEF25-75% /FVC che rappresenta un
ottimo indice di pervietà delle vie aeree più periferiche in rapporto alle dimensioni del polmone.
Durante ogni fase del ciclo respiratorio vengono registrate la quantità e la velocità con cui l’aria viene espulsa dalle vie aeree, e contemporaneamente viene realizzata la rappresentazione grafica di una curva volume-tempo. A questo proposito è stato necessario raccogliere almeno 3 manovre espiratorie forzate per i pazienti su cui è stata effettuata spirometria con lo scopo di ottenere due curve confrontabili e dunque risultati attendibili.
Sulla base dei parametri misurati è anche possibile quantificare il grado dell’insufficienza respiratoria e valutare l’efficacia di un’eventuale terapia prescritta. L’esame spirometrico è semplice e di rapida esecuzione, è facilmente riproducibile e non è invasivo.
123
Sono stati sottoposti all’esame sovradescritto 21 dei soggetti affetti da bronchiectasie; 16 non sono stati valutati data la loro giovane età; 1 non è stato valutato per mancanza di compliance. Gli studi sull’attività polmonare furono condotti entro i 2 giorni dall’esame HRCT. Della popolazione degli asmatici, sono stati sottoposti ad esame spirometrico tutti i 59 soggetti del nostro studio.
FEV1 FEV25-75% FEV1 VOLUME ESPIRATORIO TEMPO (sec) Momento di massima inspirazione
1 0
FVC
Figura II.1: Parametri respiratori misurati direttamente durante l’esame spirometrico.
124
10. VALUTAZIONI VIROLOGICHE
Sia i soggetti affetti da bronchiectasie, che i soggetti asmatici sono stati sottoposti ad indagini volte a verificare la presenza di agenti virali eventualmente presenti.
I campioni di plasma ed i fluidi nasali, sono stati quindi esaminati per verificare la presenza di virus respiratori comuni quali virus respiratorio sinciziale (RSV), adenovirus, influenza A e B, parainfluenza 1-3 e cytomegalovirus, agenti frequentemente coinvolti nelle patologie respiratorie croniche (Lemanske, 2003; Clare et al., 2004), e stabilire una eventuale associazione con la presenza ed il titolo di TTV.
Per verificare la presenza di tali agenti virali, è stata effettuata la ricerca di anticorpi specifici e del loro genoma utilizzando un sistema per analisi in PCR Real-Time (Light Cycler). Dei 38 soggetti con bronchiectasie, 13 (34%) mostravano una pregressa infezione virale da adenovirus, 15 (39%) da cytomegalovirus, 15 (39%) da RSV, ed in una bassa percentuale da virus dell’influenza A e B e parainfluenza 1 e 3. I soggetti asmatici erano risultati negativi per tutti i comuni virus respiratori sovracitati.
125
11. ALTRE INDAGINI DI VALUTAZIONE
I soggetti affetti da bronchiectasie, sono stati sottoposti ad ulteriori indagini mirate a verificare le condizioni del loro sistema immunitario (presenza di immunoglobuline IgG totali, IgA, IgM e sottoclassi di IgG), e la sua risposta ad agenti batterici eventualmente presenti al momento dello studio. I soggetti sono risultati negativi per la presenza di Mycoplasma pneumoniae e Chlamydia pneumoniae, agenti batterici tipici della patologia bronchiettasica, come dimostrato mediante immunofluorescenza.
11.1 INDAGINI DI MALATTIE CONGENITE
I pazienti affetti da bronchiectasie sono stati sottoposti a test di screening per malattie genetiche, in particolare la fibrosi cistica, le immunodeficienze e le alterazioni congenite predisponenti. Tale ricerca è soprattutto importante nei soggetti sintomatici giovani e nei pazienti con infezioni particolarmente gravi o frequentemente ricorrenti. Si deve sospettare la fibrosi cistica se le alterazioni sulla rx del torace sono in prevalenza negli apici o nei lobi superiori. L’insufficienza pancreatica è caratteristica nei bambini ma non è frequente negli adulti, nei quali predominano le manifestazioni polmonari. La diagnosi di fibrosi cistica è basata sui risultati del test del sudore. I test genetici possono dare delle informazioni in pazienti
126
che hanno delle bronchiectasie inspiegate con una funzione pancreatica ed elettroliti nel sudore normali.
Altra malattia congenita ricercata nei soggetti del nostro studio è la discinesia ciliare primaria (PCD), che colpisce l’11% dei bambini con affezioni respiratorie croniche. La diagnosi viene confermata dall’esame dell’ultrastruttura e della funzionalità (motilità, frequenza del battito) delle ciglia nasali o di altre mucose respiratorie, ottenute attraverso una biopsia o un raschiamento, e dalla misura del tempo di clearance delle ciglia nasali, tempo necessario al paziente per sentire il sapore della saccarina dopo che questa è stata introdotta sopra il turbinato inferiore del naso (di solito 12-15 minuti).
L’interpretazione delle alterazioni ciliari comprende: l’esclusione di difetti ciliari aspecifici, che possono essere presenti nel 10% delle ciglia nei pazienti con patologia polmonare acquisita e nelle persone normali; la considerazione che le infezioni possono causare una discinesia transitoria; e che le caratteristiche delle ciglia di pazienti e di persone sane possono sovrapporsi. L’ultrastruttura delle ciglia può essere normale nei pazienti con sindromi PCD, probabilmente per via delle anormalità biochimiche e molecolari che compromettono la funzione ma non l’ultrastruttura. Nella nostra popolazione, dei 38 soggetti con bronchiectasie, nessuno aveva fibrosi cistica, e 7 avevano discinesia ciliare primaria (PCD).
127
12. ANALISI STATISTICA
I titoli di TTV ottenuti mediante Real Time PCR sono stati convertiti in scala logaritmica in base 10 per approssimare i valori ad una distribuzione normale. Attraverso il test chi-quadro si è valutata l’associazione tra infezione di TTV e presenza di bronchiectasia. La significativa differenza tra cariche di TTV in soggetti con grado di bronchiectasia “0” (assenza di dilatazione bronchiolare), “1” (lieve e rara dilatazione bronchiolare) e “2” (grave e diffusa dilatazione bronchiolare) è stata valutata con il test t di Student a due code; così come la significativa differenza tra indici spirometrici nei soggetti con bronchiectasie TTV negativi e quelli TTV positivi. Con il test di Pearson si è valutata la correlazione tra titolo di TTV e grado di severità delle bronchiectasie. Infine, la correlazione tra gli indici spirometrici FEV1, FEF25-75%, FEF25-75%/FVC e i titoli di TTV, è stata
stimata grazie al coefficiente di correlazione di Pearson, ed è stata eseguita un’analisi di regressione lineare multipla utilizzando il programma SPSS 9.0 per Window. Il valore di p è stato ritenuto significativo se inferiore a 0,05.
Per quanto riguarda i soggetti asmatici, per valutare le differenze tra le medie delle distribuzioni, è stato utilizzato il test t di Student a due code e, nei casi in cui non erano rispettate in maniera ragionevole le condizioni essenziali per la validità dei test parametrici, è stato utilizzato il test di Mann-Whitney. Per determinare la relazione tra gli
128
indici spirometrici FEF25-75%, FEF25-75%/FVC, FEV1/FVC ed il titolo di
TTV nei fluidi nasali, è stata eseguita un’analisi di regressione lineare multipla, utilizzando il programma SPSS 8.0 per Window. Il valore di p è stato ritenuto significativo se inferiore a 0,05.