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Bollettino Politiche strutturali per l'agricoltura. N. 8 (ott.-dic. 1999)

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poco più di un anno dall’approvazione dei regolamenti comuni-tari scaturiti da Agenda 2000, che ha ridisegnato la PAC per il periodo 2000-2006, ci troviamo oggi a raccogliere i primi frutti di un intenso e proficuo lavoro di programmazione, svolto a livello regionale e nazionale, nell’ambito dei Fondi strutturali destinati allo svilup-po rurale.

Ne è la testimonianza la recente approvazione, da parte della Commissione Europea, con il parere positivo del Comitato STAR, di un nutrito gruppo di Piani di sviluppo rurale (PSR) delle regioni del Centro-Nord, predisposti nel quadro del Reg. (CE) 1257/99, oppure la decisione di approvazione, da parte della Commissione, del QCS per le Regioni dell’o-biettivo 1, ai sensi del Reg. (CE) 1260/99.

Si tratta di importanti risultati messi a segno dal nostro Paese, in attesa di completare, prevedibilmente entro il prossimo autunno, l’intero quadro della programmazione sullo sviluppo rurale, con l’approvazione dei restan-ti PSR, dei POR e dei relarestan-tivi complemenrestan-ti di programmazione.

La posta in gioco per le Regioni risulta notevole soprattutto in termini finan-ziari: le risorse a favore delle misure di sviluppo rurale e di quelle relative alle strutture agricole, assegnate all’Italia dall’Unione Europea per l’intero periodo di programmazione, infatti, sono pari a 2.987 Meuro per i POR del-l’obiettivo 1 e a 4.512 Meuro per i PSR. Tali misure, inoltre, potrebbero atti-vare complessivamente altri 6.768 Meuro di cofinanziamento nazionale, dando luogo a una spesa (comprese la quota a carico dei privati) di circa 20.000 Meuro.

In tale contesto, il positivo avvio della programmazione dello sviluppo rurale 2000-2006 mostra che il nuovo assetto della politica agricola nazionale nel settore dei Fondi strutturali, con il ruolo di programmazione e gestione svolto delle Regioni e con quello di indirizzo e coordinamento svolto dal MiPAF, nel rispetto delle competenze attribuitegli dalla recente legge di riordino, offre la possibilità di contemperare le esigenze e le specificità regionali con le questioni che hanno una rilevanza nazionale. A questo proposito, ad esempio, l’azione del Ministero si è esplicata, in partenariato con le Regioni, le Organizzazioni professionali e le altre Amministrazioni nazionali (Ministeri del Tesoro, dell’Ambiente, dell’Industria, della Ricerca, ecc.), nella elaborazione

Bollettino

n u m e r o

8

ottobre/dicembre 1999

1

ottobre/dicembre - 1999 numero 8 a cura

INEA

Istituto Nazionale di Economia Agraria

Direttore responsabile Francesco Mantino Responsabile di redazione Laura Viganò

Comitato di redazione Giuseppe Blasi, Carlo Caldarini, Gerardo Delfino, Emilio Gatto, Giovanni Lo Piparo,

Alessandro Monteleone, Alessandra Pesce, Andrea Povellato, Daniela Storti, Paolo Zaggia, Annalisa Zezza

Progetto grafico Benedetto Venuto Elaborazioni statistiche Stefano Tomassini Supporto informatico Massimo Perinotto Segreteria Laura Guidarelli

Registrazione Tribunale di Roma n.671/97 del 15/12/1997 Sped. abb. post. art.2 Comma 20/C Legge 662/96 filiale Roma

Stampa Litografia Principe, Via E. Scarfoglio, 28 - Roma Finito di stampare nel mese di settembre 2000

dell’

Osservatorio Politiche Strutturali

D.M. MIPA N. 9138/95

Lo stato della

programmazione sullo

sviluppo rurale 2000-2006

Salvatore Petroli Direttore Generale Politiche Comunitarie e Internazionali

a

in questo numero

• 1 Editoriale Lo stato della pro-grammazione sullo sviluppo rurale 2000-2006 • 2 Attualità Le iniziative comunitarie nella pro-grammazione 2000-2006: LEADER+, INTERREG III, URBAN II e EQUAL • 8 A che punto siamo Prosegue il negoziato per l’ap-provazione dei programmi ital-iani 2000-2006 • 11 Intervista a Silvia Calamandrei • 14 Regioni Il Piano di Sviluppo Rurale della Regione Emilia Romagna, il Piano di Sviluppo Rurale della Provincia Autonoma di Trento • 23 Esperienze Come nasce un progetto di sviluppo locale • 24 Strumenti della program-mazione La valutazione delle politiche di sviluppo rurale • 28 Legislazioni e fonti normative • 28 Miscellanea Pubblicazioni e Documenti

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del Rapporto interinale “Agricoltura e Sviluppo Rurale”, nell’ambito del Piano di Sviluppo del Mezzogiorno (PSM) approvato dal CIPE per le regioni obiettivo 1; analogamente, con riferimento alla programmazione dei PSR, il MiPAF ha fornito adeguati orientamenti metodologici, necessari per assicurare unitarietà di indirizzo, nella predispo-sizione dei vari programmi regionali, sui vari aspetti orizzontali previsti dalla regolamentazione comunitaria sullo sviluppo rurale, quali la redditività aziendale, gli sbocchi di mercato dei prodotti agricoli, le buone pratiche agrico-le, i requisiti minimi ambientali, la compatibilità con le OCM, le procedure di attuazione, i controlli e le sanzioni. Al di là degli aspetti che attengono soprattutto alla fase di programmazione, è opportuno, adesso, che le Amministrazioni regionali e nazionali si concentrino soprattutto nella gestione operativa degli interventi di sviluppo rurale.

E’ necessario, pertanto, proseguire nel lavoro di costruzione e perfezionamento del sistema di gestione degli inter-venti a carattere strutturale previsti per 2000-2006, soprattutto al fine di individuare tutti gli strumenti che possano incidere positivamente sulla semplificazione dei procedimenti amministrativi e finanziari, nel rispetto delle normati-ve vigenti, a vantaggio dei beneficiari dei finanziamenti disponibili.

Agenda 2000 e la riforma del 1999 potrebbero offrire ai partner comunitari e al nostro Paese una delle ultime occa-sioni significative per realizzare armonicamente una politica agricola effettivamente integrata, a livello sia naziona-le che regionanaziona-le.

Non più, dunque, una politica di sostegno delle strutture agricole ispirata a un approccio settoriale, ma una nuova politica di più ampio respiro che, valorizzando il ruolo multifunzionale svolto dall’agricoltore, punti a realizzare un contesto coerente e durevole, che garantisca un futuro a tutte le zone rurali.

A tal fine, il nuovo corso della PAC, intrapreso con la riforma del 1992 e rafforzato successivamente, individua preci-si strumenti, diretti a rendere il settore agricolo concorrenziale, competitivo, ma anche sostenibile sotto il profilo preci-sia economico che ambientale.

Lo sviluppo rurale, quindi, pur rappresentando il solo 10% delle risorse comunitarie destinate alla PAC, ne costituisce una parte integrante e fondamentale.

Tuttavia, l’opportunità offerta dall’Unione Europea potrà portare i suoi frutti solo se tutte le Amministrazioni coinvolte nella programmazione e nella gestione dei piani sapranno attivare un circolo virtuoso basato su un giusto equilibrio fra i principi di decentramento, flessibilità, semplificazione, tutti corredati da una sana ed efficiente gestione finan-ziaria.

E

ditoriale

Attualità

Le iniziative comunitarie nella

programmazione 2000-2006:

URBAN II, EQUAL, INTERREG III,

e LEADER+

di Catia Zumpano - INEA

Le Iniziative Comunitarie costituiscono dei pro-grammi speciali dei Fondi strutturali che la Commissione Europea propone agli Stati Membri con la finalità di sostenere e diffondere approcci innovativi nella risoluzione di problemi specifici, che hanno un impatto significativo su tutto il terri-torio europeo. Come tutte le azioni finanziate dai Fondi strutturali, le Iniziative si pongono come obiettivo quello di rafforzare la coesione dell’Unione Europea, favorendo uno sviluppo eco-nomico e sociale più equilibrato.

Il valore aggiunto che le Iniziative Comunitarie apportano alla programmazione delle politiche strutturali nel suo complesso va ricercato in alcu-ne specificità che le contraddistinguono dagli altri programmi comunitari, quali:

- il sostegno a una partecipazione più attiva e

diretta delle popolazioni all’elaborazione e alla gestione delle politiche, favorendo l’adozione del metodo ascendente nella programmazione degli interventi e la formazione di partenariati locali nella gestione degli stessi;

- il contributo alla risoluzione di problemi specifici mediante la sperimentazione di interventi e prassi innovativi e positivi;

- la condivisione “europea” dei risultati conseguiti attraverso la loro diffusione, tramite la costituzio-ne di reti specifiche.

Le Iniziative agiscono su tematiche rientranti nelle priorità che la Commissione si prefigge di raggiun-gere con la sua programmazione. Di conseguen-za, sono svariati gli ambiti tematici e territoriali su cui intervengono. Tuttavia, le disponibilità finan-ziarie a esse attribuite sono molto limitate. Nelle varie fasi di programmazione comunitaria, infatti, il budget a esse riservato non ha mai superato il 9% delle risorse finanziarie destinate ai Fondi strut-turali. Nell’attuale programmazione, esso assorbe il 5,35% dei fondi strutturali. L’importo modesto attribuito è da imputare al carattere pilota che le I.C. sono chiamate ad assumere.

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Uno sguardo alle passate programmazioni

Le Iniziative Comunitarie sono state introdotte nel 1989, con l’avvio della prima Riforma dei Fondi strutturali.

Nel primo periodo di programmazione (1989-1993) ne sono state lanciate 16, chiamate a intervenire in cinque ambiti tematici:

- cooperazione e reti transfrontaliere, transnazio-nali e interregiotransnazio-nali (INTERREG, REGEN); - sviluppo rurale (LEADER);

- regioni ultraperiferiche (REGIS);

- occupazione e valorizzazione delle risorse umane (NOW, HORIZON e EUROFORM);

- gestione delle trasformazioni industriali (RESI-DER, RENEVAL, RECHARD, RETEX E KONVER). In questa fase, le risorse finanziarie a esse com-plessivamente assegnate hanno assorbito l’8% del-l’importo destinato ai Fondi strutturali (5.284,7 milioni di Ecu su 68.236 milioni totali) e finanziato più di 300 programmi.

Il passaggio alla seconda fase di programmazione (1994-1999) è stato caratterizzato dall’inserimento di altre tematiche tra quelle già trattate preceden-temente:

- sviluppo delle zone urbane in crisi (URBAN); - ristrutturazione del settore della pesca (PESCA).

Inoltre, nel 1995, la Commissione ha lanciato una nuova Iniziativa, PEACE, al fine di sostenere il pro-cesso di pace e di riconciliazione nell’Irlanda del Nord, la cui copertura finanziaria (100milioni di euro) è stata garantita procedendo a una rimodu-lazione delle risorse finanziarie destinate alle varie Iniziative.

In questa fase, inoltre, è stata sospesa l’Iniziativa REGEN, le cui tematiche sono state inglobate in INTERREG II. Ancora, le tematiche trattate separa-tamente dalle iniziative STRIDE, TELEMATICA e PRISMA vengono assorbite dalla nuova Iniziativa PMI, chiamata a intervenire nel settore delle pic-cole e medie imprese. Lo sviluppo delle risorse umane, invece, viene sostenuto lanciando due Iniziative: OCCUPAZIONE e ADAPT. In particolare, la prima è orientata allo sviluppo di nuovi bacini di impiego, mentre la seconda è stata attivata dalla Commissione al fine di agevolare l’adatta-mento dei lavoratori ai mutamenti industriali e all’evoluzione dei sistemi di produzione (obiettivo 4 dei Fondi strutturali). In totale, in questa fase, sono state attivate 13 Iniziative.

Le nuove Iniziative Comunitarie nella

pro-grammazione 2000-2006

Per l’attuale periodo di programmazione, la Commissione Europea, al fine di concentrare le risorse finanziarie su programmi di maggiore por-tata e di più ampio respiro, ha ridotto il numero

Attualità

Tabella 1 - Ripartizione finanziaria per Iniziativa e Stato membro (2000-2006)*

INTERREG III URBAN II LEADER+ EQUAL Totale risorse milioni di euro % su eur15 Belgio 104 20 15 70 209 2,0 Danimarca 31 5 16 28 80 0,8 Germania 737 140 247 484 1.608 15,4 Grecia 568 24 172 98 862 8,3 Spagna 900 106 467 485 1.958 18,8 Francia 397 96 252 301 1.046 10,0 Irlanda 84 5 45 32 166 1,6 Italia 426 108 267 371 1.172 11,2 Lussemburgo 7 0 2 4 13 0,1 Olanda 349 28 78 196 651 6,2 Austria 183 8 71 96 358 3,4 Portogallo 394 18 152 107 671 6,4 Finlandia 129 5 52 68 254 2,4 Svezia 154 5 38 81 278 2,7 Regno Unito 362 117 106 376 961 9,2 Reti 50 15 40 50 155 1,5 EUR15 4.875 700 2.020 2.847 10.442 100,0

* Conformemente all’art. 7 del Regolamento generale dei Fondi strutturali 1260/99, la partecipazione finanziaria della Commissione per ciascuna Iniziativa sarà indicizzata in ragione del 2% annuo (a prezzi 1999) fino al 2003 e verrà fissata a prezzi 2003 per il periodo 2004-2006.

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delle iniziative comunitarie da 13 a 4. In particola-re, sono state confermate le iniziative INTERREG, LEADER e URBAN ed è stata creata una nuova ini-ziativa, EQUAL, che tratterà le tematiche affronta-te in precedenza con OCCUPAZIONE e con EQUAL. Di fatti, l’attenzione è stata concentrata su quelle iniziative che, per le tematiche trattate, pos-sono maggiormente concorrere al raggiungimen-to degli obiettivi prioritari stabiliti dalla Commissione nell’ambito della nuova program-mazione, quali il miglioramento della competiti-vità regionale, la promozione dell’occupazione e l’integrazione dello sviluppo urbano con quello rurale.

Per quanto riguarda la dotazione finanziaria, nel periodo 2000-2006, le Iniziative comunitarie assor-biranno il 5,35% delle risorse previste per i Fondi strutturali. In particolare, le quattro Iniziative pos-sono contare su un bilancio complessivo di 10.442 milioni di EURO, così ripartito:

E’ importante sottolineare come, a differenza delle precedenti programmazioni, ciascuna Iniziativa verrà sostenuta da un solo fondo strutturale, il cui campo di intervento potrà essere esteso per finan-ziare attività normalmente sovvenzionate anche da altri Fondi. In particolare, il FEOGA-Orientamento finanzierà l’Iniziativa LEADER+, il FSE EQUAL, mentre le due Iniziative URBAN e INTERREG saranno di competenza del FERS. Ciò costituirà un grosso passo avanti in direzione della semplificazione procedurale, salvaguardando nello stesso tempo l’approccio multisettoriale e integrato alle tematiche oggetto di intervento.

L’Iniziativa Comunitaria URBAN

L’Iniziativa URBAN è stato lanciata per la prima volta nel 1994. Per la sua attuazione sono stati svi-luppati 118 programmi, di cui 16 in Italia. Le città europee maggiormente interessate dall’Iniziativa sono state quelle localizzate nelle aree obiettivo 1. In particolare, più del 57% dei programmi ha riguardato queste aree, dove le città presentano acuti problemi di disoccupazione e basso sviluppo economico. URBAN, inoltre, è stata rivolta princi-palmente alle grandi metropoli: più del 90% dei programmi sono stati sviluppati in città che pre-sentano più di 100.000 abitanti. Complessi-vamente, l’Iniziativa ha interessato circa 3,2 milio-ni di persone, con una presenza media di 27.000 persone per programma (si passa dalle 8.000 per-sone di Bari alle 130.000 di Vienna). La gran parte dei programmi ha contributo alla creazione di nuove attività economiche, nonché al

rafforza-mento di quelle esistenti. Specifici progetti sono stati orientati a favorire lo sviluppo di servizi avan-zati a favore delle PMI. Come già accennato, in Italia sono stati attivati 16 programmi URBAN, ancora in fase di realizzazione, per un importo complessivo di circa 329 milioni di ECU. Al 31 dicembre 1999 risultava impegnato più del 100% delle risorse disponibili (107%), spese, tuttavia, nella misura del 37% (SIRGS, 2000).

URBAN II

Sulla scia di quanto previsto e realizzato nella fase precedente, la Commissione ha riproposto URBAN II, la quale persegue due obiettivi:

- promuovere lo sviluppo economico e sociale delle zone urbane in crisi attraverso il sostegno di modelli di sviluppo innovativi;

- favorire lo scambio di conoscenze e di esperien-ze sullo sviluppo urbano sostenibile nell’Unione Europea.

A livello europeo, l’Iniziativa potrà interessare sol-tanto 50 aree urbane, di cui otto in Italia. Esse potranno essere situate anche al di fuori delle aree interessate dagli obiettivi 1 e 2. Inoltre, diver-samente dal passato, l’Iniziativa sarà rivolta prin-cipalmente a città medio-piccole (20.000 abitanti). Le città dovranno essere selezionate sulla base di alcuni criteri. In particolare, esse dovranno pre-sentare almeno tre delle seguenti condizioni: un forte tasso di disoccupazione a lungo termine; uno scarso tasso di attività economica; un tasso eleva-to di indigenza e di emarginazione; una necessità di riconversione dovuta a difficoltà economiche e sociali; un numero elevato di immigrati, minoran-ze etniche o rifugiati; uno scarso tasso di istruzione, gravi lacune in termini di qualifica e un tasso ele-vato di abbandono scolastico; un forte tasso di cri-minalità e di delinquenza; un’evoluzione demo-grafica precaria; un degrado ambientale partico-larmente accentuato.

Per quanto riguarda gli ambiti di intervento, questi potranno riguardare: la riurbanizzazione plurifun-zionale ed ecocompatibile degli spazi urbani, lo sviluppo dell’imprenditorialità locale, l’integrazio-ne degli emarginati, lo sviluppo di servizi di base, i trasporti pubblici e le comunicazioni, l’utilizzo sostenibile delle risorse naturali, nonché la riduzio-ne dei rifiuti, il potenziamento tecnologico del set-tore dell’informazione. Parte dei fondi saranno destinati al finanziamento di attività orizzontali di coordinamento (2,1%), al fine di garantire la diffu-sione delle informazioni e delle esperienze fra le aree interessate dal Programma. Dette attività

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Attualità

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ranno svolte direttamente dalla Commissione. Il nostro Paese disporrà complessivamente di 108milioni di Euro.

Le proposte di Programmi dovranno essere pre-sentate dagli Stati membri (nel nostro caso, dal Ministero dei Lavori Pubblici) alla Commissione (DG XVI) entro sei mesi dalla pubblicazione della Comunicazione (ovvero, entro il 23 novembre 2000).

L’Iniziativa Comunitaria EQUAL

Nella passata programmazione, il tema dello svi-luppo delle risorse umane è stato oggetto delle Iniziative OCCUPAZIONE e ADAPT. In particolare, la prima, orientata allo sviluppo di nuovi bacini di impiego, è stata articolata in quattro sezioni: Now (volta a garantire le pari opportunità di occupa-zione per le donne); Horizon (indirizzata a favorire l’accesso al mercato dei portatori di handicap); Youthstart (orientata a promuovere l’inserimento nel mondo lavorativo dei giovani privi di forma-zione); Integra (a favore dei gruppi sociali mag-giormente svantaggiati). Complessivamente, OCCUPAZIONE ha finanziato più di 6.000 progetti, di cui oltre mille in Italia. L’Iniziativa ADAPT, inve-ce, volta ad agevolare l’adattamento dei lavora-tori ai mutamenti industriali e all’evoluzione dei sistemi di produzione, è riuscita ad attivare circa 4.000 progetti a livello europeo, di cui oltre 500 in Italia.

EQUAL

La nuova Iniziativa EQUAL assicurerà la continuità delle due Iniziative precedenti, concentrandosi soprattutto sulla lotta all’esclusione sociale e su ogni forma di discriminazione nell’accesso al mer-cato del lavoro. L’Iniziativa fa parte integrante della Strategia Europea per l’Occupazione (SEO). Di fatti, i suoi ambiti tematici sono stati individuati e definiti nel contesto dei quattro pilastri della SEO: occupabilità, imprenditorialità, adattabilità e pari opportunità fra uomini e donne.

EQUAL potrà interessare tutta l’Unione Europea, ma, al fine di assicurare un migliore rapporto costo-efficacia, il finanziamento si concentrerà su un numero limitato di grandi progetti, che preve-dano il partenariato tra più organismi (ammini-strazioni, parti sociali, imprese) a livello sia tran-snazionale – come già sperimentato con ADAPT e OCCUPAZIONE - che nazionale (novità introdotta da EQUAL). In relazione a quest’ultimo punto, l’Iniziativa, sulla scia di LEADER e URBAN,

introdu-ce, anche nel settore della gestione delle risorse umane, la formazione di partenariati locali. In particolare, si prevede la possibilità di scegliere fra due tipi di partenariato:

- su base geografica, raggruppando gli attori o i gruppi di interesse che operano su un determi-nato territorio;

- su base tematica, raggruppando attori che ope-rano in settori specifici (organizzazioni sindacali e imprenditoriali, autorità pubbliche competen-ti, ONG, ecc.).

L’Iniziativa prevede la possibilità di sviluppare quattro tipi di azioni:

Azione 1: costituzione delle partnership di sviluppo (PS) e di una cooperazione transnazionale;

Azione 2: attuazione dei programmi di lavoro delle partnership di sviluppo;

Azione 3: costituzione di un sistema rete;

Azione 4: assistenza tecnica per sostenere le prime tre azioni.

Come si può notare, si tratta di azioni rivolte ad accompagnare e a sostenere la creazione e il con-solidamento di partnership di sviluppo durevoli ed efficaci. L’accesso alle varie azioni e, in particola-re, il passaggio dalla prima alla seconda sarà non automatico, ma regolamentato da selezioni basa-te sullo stato di avanzamento dei lavori e delle attività svolte dalle partnership (che troverà espressione negli Accordi di partnership e di coo-perazione transnazionale).

A EQUAL sono stati attribuiti 2.847milioni di EURO, di cui l’1,8% sarà destinato al finanziamento di atti-vità orizzontali di coordinamento, al fine di favori-re la diffusione delle informazioni e delle esperien-ze fra le aree interessate dal Programma. Dette attività saranno gestite direttamente dalla Commissione. All’Italia sono stati assegnati 371milioni di EURO.

I vari Stati membri (nel nostro caso, il Ministero del Lavoro) dovranno presentare alla Commissione (DG V) la proposta del Programma nazionale entro quattro mesi dalla pubblicazione della Comunicazione (entro il 5 settembre 2000).

L’Iniziativa Comunitaria INTERREG

INTERREG è stata una delle prime iniziative a esse-re avviata. Lanciata con la prima riforma dei Fondi strutturali (1989-1993), infatti, è stata raffor-zata nelle successive fasi di programmazione. La ragione è da ricercare nell’obiettivo prioritario che essa persegue, quali il sostegno diretto

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zione economica e sociale europea. Con la sua attuazione sono stati sperimentati nuovi metodi e approcci per il superamento delle barriere nazio-nali allo sviluppo economico e territoriale. A tal fine, sono stati realizzati progetti volti a favorire la mobilità fra i diversi Stati, a trasferire il know-how, a migliorare la gestione delle risorse naturali e la qualità della vita delle popolazioni interessate dai Programmi. Nella prima fase, in cui l’accento è stato posto soprattutto sulla cooperazione tran-sfrontaliera fra gli Stati Membri, sono stati finanzia-ti complessivamente 31 programmi. Nella secon-da fase di programmazione (1994-1999), INTERREG II ha assorbito il 25% delle risorse finanziarie desti-nate complessivamente alle Iniziative (3.500 milio-ni di EURO su 14.000miliomilio-ni totali). Inoltre, in que-sta fase, essa ha assunto anche una dimensione transnazionale, aprendo nuove possibilità di piani-ficazione territoriale congiunta fra aree localizzate in Stati Membri diversi (attorno al Mar Baltico, alle Alpi, al Mediterraneo, all’Atlantico). Da evidenzia-re che l’attuazione della dimensione transnaziona-le, in particolare quella rivolta ai Paesi Terzi, si è rivelata molto complessa, a causa della necessità di garantire una vera e propria cooperazione tra i partner dislocati in realtà economiche, sociali e istituzionali diverse. In alcuni casi, le difficoltà nel perseguimento di tale obiettivo ha costretto i Comitati di sorveglianza nazionale a riprogram-mare le misure (ad esempio, ciò si è verificato nel progetto INTERREG Italia-Albania).

INTERREG III

Obiettivo principale di INTERREG III è quello di rafforzare la cooperazione attraverso le frontiere, con l’intento di promuovere uno sviluppo equili-brato e una migliore integrazione del territorio europeo. Con tale Iniziativa, la Commissione si prefigge anche l’obiettivo di creare condizioni favorevoli allo sviluppo delle regioni esterne inte-ressate al prossimo ampliamento del territorio comunitario (Paesi PECO). A tal fine, è previsto l’u-tilizzo coordinato dei fondi assegnati all’Iniziativa con quelli previsti da altri Programmi (Phare, Tacis, Meda, Sapard, ISPA).

INTERREG III si articola in tre sezioni:

- Sezione A, che promuove la cooperazione tran-sfrontaliera fra autorità di zone limitrofe, al fine di sviluppare strategie congiunte di sviluppo territoriale trasferibile. Possono essere promossi, quindi, progetti riguardanti le varie tematiche dello sviluppo locale (fra queste, lo sviluppo urbano, rurale e costiero; il potenziamento del sistema economico-produttivo; la promozione

delle risorse umane e la condivisione delle stes-se, nonché delle strutture che operano nel campo della ricerca, della cultura e dell’istruzio-ne). Come si può notare, si tratta di tematiche trattate separatamente dalle altre Iniziative, che qui trovano un elemento di raccordo, dato dallo sviluppo della cooperazione ai vari livelli territoriali). Per l’individuazione delle zone ammissibili si rimanda all’allegato I della Comunicazione.

- Sezione B, a sostegno della cooperazione inter-regionale, diretta a migliorare l’efficacia delle politiche regionali e di coesione mediante la creazione di reti. Essa svilupperà tematiche spe-cifiche, finalizzate a sviluppare la cooperazione transnazionale tra autorità nazionali, regionali e locali e, quindi, a integrare maggiormente gli Stati Membri fra loro e questi con gli Stati inte-ressati dal futuro ampliamento. In tal caso, i progetti potranno concentrarsi su materie lega-te all’elaborazione di stralega-tegie operative fra sistemi territoriali differenti (aree urbane e rurali, aree costiere e interne), allo sviluppo di sistemi di trasporto efficienti e sostenibili, a una sana gestione dell’ambiente. Per l’individuazione delle zone ammissibili si rimanda all’allegato III della Comunicazione.

- Sezione C, a sostegno della cooperazione inter-regionale, volta a migliorare l’efficacia delle politiche regionali e di coesione mediante la costruzione di reti. Le tematiche da sviluppare all’interno di questa sezione saranno definite dalla Commissione. La sezione C è rivolta all’in-tero territorio della Comunità.

L’Iniziativa disporrà di 4.874 milioni di EURO, di cui l’1% destinato alla creazione di un Osservatorio Europeo. All’Italia sono destinati 426 milioni di EURO.

Le autorità nazionali responsabili, se del caso, d’in-tesa con i paesi terzi, dovranno presentare le pro-poste dei Programmi alla Commissione (DG XVI) entro sei mesi dalla pubblicazione della Comunicazione (ossia, entro il 28 novembre 2000).

L’Iniziativa LEADER

L’Iniziativa Comunitaria LEADER è stata varata per la prima volta dalla Commissione nel 1991 con l’o-biettivo di offrire alle aree rurali la possibilità di sperimentare un nuovo approccio e un nuovo metodo per sostenere lo sviluppo del loro territorio. Nello specifico, con il LEADER è stato introdotto un nuovo concetto di sviluppo rurale, basato sulla prossimità rispetto al territorio, alle popolazioni e

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alle attività, nonché sulla creazione o rivitalizzazio-ne di legami e collegamenti fra questi tre elemen-ti. Operativamente, tutto ciò si è tradotto, a livello locale, nell’elaborazione e nella concertazione di un piano di sviluppo multisettoriale e integrato (PAL), gestito da un partenariato orizzontale crea-to ad hoc (GAL) ed espressione delle principali componenti economiche e sociali locali.

A partire dal 1991 sono state emanate due comu-nicazioni agli Stati Membri: LEADER I, che ha coperto il periodo 1991-1994, e LEADER II, relativo alla fase programmatoria ’95-‘99. Se il primo ha svolto la funzione di apripista, introducendo, a livello sperimentale, il nuovo metodo nei territori rurali, il secondo ha diffuso e consolidato tale metodo. Basti pensare che, a livello europeo, le aree interessate dall’Iniziativa sono passate dalle 217 (di cui 29 in Italia) del LEADER I, alle 1005 (di cui 203 in Italia) del LEADER II.

LEADER+

Obiettivo di LEADER+ è quello di supportare gli operatori rurali nell’elaborazione e nella realizza-zione di strategie originali di sviluppo sostenibile e integrato. Con LEADER+ il carattere innovativo e pilota richiesto agli interventi assume connotazioni più precise rispetto al passato. In tal senso, la Commissione fornisce alcuni criteri per misurarli. Fra questi, la capacità dei progetti di far emergere nuovi prodotti e servizi, di sviluppare metodi origi-nali che permettano la combinazione fra risorse umane, naturali e/o finanziarie locali, nonché lo sviluppo di sinergie tra i vari settori economici locali, di formulare nuove forme organizzative e partecipative delle comunità locali ai processi decisionali. Inoltre, è richiesta agli attori locali una maggiore capacità nella costruzione della propria strategia di sviluppo. Quest’ultima dovrà essere sviluppata attorno a un’idea forte, in grado di arti-colare i vari interventi sul territorio senza disper-derli. Quello che si chiede è dunque una maggio-re competenza nella lettura delle potenzialità del proprio territorio e soprattutto nel trasformare tali potenzialità in un processo di sviluppo sostenibile e integrato.

LEADER+ é rivolto a tutti i territori rurali. Di conse-guenza, potranno beneficiare dell’Iniziativa anche quei territori rurali localizzati fuori dalle aree obiet-tivi 1 e 2. Gli Stati Membri, però, dietro motivata giustificazione, potranno circoscrivere l’Iniziativa a determinati territori. I parametri indicati dalla Commissione Europea per individuare le aree oggetto di intervento riguardano la densità abita-tiva (la quale non potrà, di norma, superare i 120

ab/Kmq.) e l’ampiezza della popolazione interes-sata (che potrà essere compresa fra i 10.000 e i 100.000 abitanti). L’allargamento a tutte le aree rurali pone il problema di come arginare il perico-lo di “dispersione” degli aiuti concessi. Probabilmente la risposta è da ricercare nelle indi-cazioni che la Commissione propone per elabora-re i criteri di selezione dei Piani e dei Gruppi di Azione Locale (GAL). Per la Commissione una con-centrazione delle risorse finanziarie e una attenzio-ne specifica alle strategie di sviluppo altamente innovative potranno essere assicurate soltanto mediante l’adozione di criteri di selezione molto rigorosi, i quali dovranno innescare una vera e sana concorrenza fra i GAL. In ogni caso, se si vuole garantire che gli investimenti raggiungano una determinata massa critica e, quindi, siano in grado di produrre risultati visibili e duraturi, è opportuno che le Regioni fissino l’entità finanziaria massima e minima del finanziamento ammissibile per Piano.

Con LEADER+ la tipologia dei beneficiari è costitui-ta solcostitui-tanto dai Gruppi di Azione Locale. In essi, la partecipazione pubblica non potrà superare il 50% della compagine sociale. Probabilmente tale deci-sione è stata assunta per evitare che i GAL siano composti e gestiti prevalentemente da soggetti pubblici. Di fatti, questa tipologia di GAL si disco-sta dalla filosofia del LEADER, la quale sostiene la creazione di partenariati che siano espressione diretta degli operatori economici, sociali e cultura-li di un territorio, all’interno del quale i singocultura-li devono poter concorrere con pari diritti e dignità alla formazione delle strategie di sviluppo.

La nuova Iniziativa è strutturata in modo diverso dal precedente. Essa si sviluppa attorno a tre assi prioritari:

Asse 1 “Strategia di sviluppo rurale a carattere pilota e integrato”;

Asse 2 “Sostegno alla cooperazione fra territori rurali”;

Asse 3 “Creazione di una rete”.

La Commissione, nel testo della Comunicazione, indica quattro temi catalizzatori, attorno ai quali potranno svilupparsi i Piani di sviluppo. Si tratta dell’utilizzo di nuove tecnologie e nuovi know-how, del miglioramento della qualità della vita, della valorizzazione dei prodotti locali e della valorizzazione delle risorse naturali e culturali. Indicando i temi catalizzatori, la Commissione ha voluto fornire alle aree rurali una nuova chiave di lettura dei loro territori. Di fatti, è importante non tanto il tema da sviluppare, quanto il metodo,

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l’approccio da seguire. Il tema non è altro che il filo conduttore attraverso il quale sviluppare la propria strategia territoriale (integrata, ascenden-te e parascenden-tecipativa). E’ per questo che la Commissione lascia agli Stati membri la possibilità di affiancare altri temi a quelli da essa indicati, temi che tengano conto delle specificità nazionali. Inoltre, nell’ottica di una politica territoriale tesa a promuovere e a garantire le pari opportunità, la Commissione Europea vuole utilizzare la nuova Iniziativa come strumento per aumentare l’occu-pazione giovanile e femminile nelle aree rurali, sostenendo le strategie rivolte a questi due gruppi sociali. Anche in questo caso, però, la Commissione lascia agli Stati membri la possibilità di allargare le categorie sociali beneficiarie degli interventi.

A differenza della precedente Iniziativa, LEADER+ assegna un ruolo maggiore alla cooperazione, nel senso che, diversamente dal passato, è possibile, adesso, promuovere progetti non solo fra Stati membri, ma anche fra questi e partner esterni all’Unione Europea e fra aree ricadenti in uno stes-so Stato membro. I Gruppi, quindi, potranno utiliz-zare il livello che ritengono più adatto al loro fab-bisogno di cooperazione.

In relazione alla programmazione, le autorità

nazionali responsabili (in Italia, le Regioni), dovranno presentare alla Commissione (DG VI) dei Programmi Regionali entro sei mesi dalla pub-blicazione della Comunicazione. I Piani di svilup-po locale dovranno essere selezionati entro due anni dall’approvazione dei Programmi da parte della Commissione. A differenza del passato, dun-que, sono state inserite delle scadenze, le quali dovrebbero spingere le autorità regionali a razio-nalizzare le attività programmazione e, quindi, a procedere in tempi rapidi alla selezione dei Gruppi, che potranno contare così su tempi più lunghi per la realizzazione dei loro interventi. Al LEADER+ sono state assegnati 2.020milioni di EURO, di cui il 2% sarà utilizzato per rifinanziare le attività dell’Osservatorio Europeo per lo sviluppo rurale. Le risorse finanziarie destinate all’Italia sono pari a 2.267 milioni di EURO, da ripartire fra le varie Regioni. Parte di questi fondi sarà utilizzata per finanziare le attività della Rete Nazionale per lo sviluppo rurale, Rete che ha già operato nella precedente fase di programmazione, supportando i beneficiari dell’Iniziativa con attività di informa-zione, formazione e sensibilizzazione.

Attualità

A che punto siamo?

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Prosegue il negoziato

per l’approvazione dei

programmi italiani

2000-2006

di Emilio Gatto – INEA

A quasi due anni dal suo inizio, la lunga fase di programmazio-ne degli interventi strutturali per il periodo 2000-2006 è entrata finalmente nella sua fase crucia-le, quella dell’approvazione for-male dei piani da parte della Commissione.

A seguito della presentazione ufficiale dei programmi - che risale al settembre del ‘99, per i programmi Operativi Regionali (POR) dell’Obiettivo 1, e agli inizi del 2000, per i Piani di Sviluppo

Rurale (PSR) - e della preliminare verifica di rispondenza degli stessi ai criteri di “ricevibilità” previsti dai Regolamenti comu-nitari, è iniziato l’esame dei Piani da parte dei servizi della Commissione e, gradualmente, ha preso corpo il negoziato per la loro approvazione.

La trattativa per gli interventi cofinanziati dal FEOGA ha visto confrontarsi, da un lato, la Commissione europea e, dall’al-tro, le Regioni, responsabili della programmazione, e il MiPAF, responsabile del coordinamento degli interventi sul territorio nazionale.

Il negoziato - ancora in corso per la maggior parte dei programmi - si è articolato in due distinte

trattative, a seconda che si sia discusso dei POR dell’Obiettivo 1 o dei Piani di Sviluppo Rurale delle regioni del Centro-Nord. Per i PSR delle regioni meridio-nali, invece, il negoziato non è stato ancora ufficialmente aper-to, a causa, da un laaper-to, dell’ini-ziale ritardo con il quale alcune amministrazioni hanno presen-tato i piani e, dall’altro, dell’in-gente mole di lavoro che la Commissione è stata chiamata a svolgere (in un periodo, tra l’altro, di riassetto organizzativo interno). Si consideri che solo in Italia sono stati presentati ven-totto diversi programmi: ai sette POR dell’Obiettivo 1 si aggiungo-no, infatti, ventuno Piani di Sviluppo Rurale.

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A che punto siamo?

Nel corso delle trattative, la Commissione ha avanzato numerose richieste di modifica o integrazione, diverse a seconda dei piani, che hanno costretto le amministrazioni a rivedere, più o meno sensibilmente, i documen-ti originari.

Tuttavia, molti problemi sollevati sono risultati comuni a tutti i pro-grammi – sia ai POR che ai PSR – su cui, nel prosieguo, si soffer-merà l’attenzione.

Innanzitutto, una prima conside-razione di carattere generale riguarda le notevoli complicazio-ni determinate dalle caratteristi-che stesse dei regolamenti comunitari che, pur nel loro apprezzabile intento di semplifi-care e snellire le procedure e i tempi di programmazione, non forniscono definizioni chiare su alcune importanti questioni e lasciano spazio a interpretazioni spesso restrittive o di carattere eccessivamente formale.

Ciò si è rivelato particolarmente vero, ad esempio, per le regioni dell’Obiettivo 1, per le quali uno dei problemi principali ha riguardato il livello di dettaglio a cui le amministrazioni erano tenute a scendere nella descri-zione degli interventi previsti (anche in considerazione dell’ob-bligo di elaborare un successivo documento di programmazione, il Complemento di Programma). Ciò a causa della formulazione piuttosto ambigua dei regola-menti comunitari, laddove, in un caso, richiedono una descrizione sintetica degli interventi (art. 18 del Reg. 1260/99) e, in un altro, un’articolata definizione degli interventi e una loro codifica, esattamente corrispondente a quella specificata nella normati-va stessa (Allegato al Reg. 1750/99).

In pratica, ciò si è tradotto in un eccessivo schematismo dei Piani e in una loro limitata originalità,

spesso risultando estremamente simili negli obiettivi, nella strate-gia di intervento, oltre che nelle caratteristiche stesse dei singoli interventi di sviluppo previsti. Una seconda osservazione riguarda la natura delle richieste di modifica sollevate dalla Commissione, che, nella quasi totalità dei casi, è stata esclusi-vamente di carattere formale, di rispondenza, cioè, ai requisiti regolamentari, non entrando nel merito della pertinenza delle scelte di programmazione effet-tuate a livello regionale. Ciò ha reso estremamente più semplice per le amministrazioni regionali effettuare gli aggiustamenti ai Piani richiesti e accelerare la conclusione del processo nego-ziale.

Venendo ora alle questioni “oriz-zontali”, ovvero ai problemi comuni ai diversi programmi, bisogna osservare che la loro soluzione ha assorbito gran parte degli sforzi di integrazione e modifica effettuati dalle regio-ni.

Tali questioni hanno riguardato principalmente specifiche misu-re o gruppi di misumisu-re e, in parti-colare, gli interventi relativi agli investimenti nelle aziende agri-cole e nelle imprese di trasfor-mazione e commercializzazione dei prodotti agricoli (le misure a e g della codifica comunitaria), le misure agroambientali (misu-ra h) e quelle di sviluppo ru(misu-rale, racchiuse nell’ambito dell’artico-lo 33 del Reg. 1257/99.

Per quanto riguarda le prime due misure (le misure a e g), i problemi più rilevanti sono sca-turiti dalla definizione nei piani dei normali sbocchi di mercato, la cui individuazione è richiesta dalla normativa comunitaria (artt. 6 e 36(3) del Reg. 1257/99). Nella prima versione dei Piani, anche a causa della formulazio-ne poco esplicita del

Regola-mento applicativo - che non riporta nessuna indicazione sul livello di dettaglio dell’analisi richiesto – e di carenze nei docu-menti di programmazione, le Regioni (con alcune rilevanti eccezioni) non hanno né indivi-duato i settori oggetto di inter-vento e gli eventuali criteri di scelta o di priorità nell’assegna-zione del sostegno ai diversi com-parti, né analizzato le possibilità presenti e future di collocazione delle produzioni sui mercati. Pertanto, le richieste di integra-zione dei Piani su questi aspetti – che si sono concretizzate nell’in-dividuazione, per ciascun com-parto oggetto di sostegno, delle prospettive di sbocco attuali e potenziali e, dunque, nell’analisi delle principali variabili che influenzano i livelli di domanda e di offerta - hanno creato non pochi ostacoli, soprattutto a causa dell’oggettiva difficoltà dell’esercizio, che presuppone una conoscenza “pratica” dei diversi mercati anche su una scala più vasta di quella regio-nale o nazioregio-nale.

Tuttavia, anche grazie all’azione di coordinamento del MiPAF (che ha predisposto documenti metodologici di orientamento) e agli sforzi di comprensione reci-proca effettuati dalle Regioni e dalla Commissione, i problemi in tale ambito sembrano risolti, almeno per quel che riguarda la struttura, la collocazione nel Piano e le caratteristiche “scienti-fiche” che tale dimostrazione deve possedere.

Sempre con riferimento a queste due tipologie di intervento, un’altra questione rilevante ha riguardato la compatibilità e la coerenza tra le azioni strutturali nel quadro dello sviluppo rurale e quelle contenute nei regola-menti delle Organizzazioni Comuni di Mercato, sollevata dall’articolo 37 del Regolamento

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1257/99.

Infatti, la normativa comunitaria stabilisce che, qualora le OCM prevedano interventi a finalità strutturale, gli stessi non possono essere finanziati attraverso i piani, a meno di una richiesta di eccezione debitamente motiva-ta, economicamente giustificata nel piano stesso e approvata dalla Commissione.

Il problema si è rivelato impor-tante per alcuni comparti carat-teristici dell’agricoltura italiana e, in particolare, per i comparti vitivinicolo, dell’ortofrutta e del-l’olio d’oliva. Nel primo compar-to, la recente riforma dell’OCM ha introdotto la possibilità di effettuare interventi di ristruttura-zione e riconversione dei vigneti attraverso gli aiuti concessi nel-l’ambito dell’organizzazione di mercato (peraltro, a un tasso di cofinanziamento maggiore rispetto al Reg. 1257/99) e, per-tanto, la Commissione non è disposta ad approvare interventi aziendali di questa natura nel-l’ambito dei POR o dei PSR. Nel comparto dell’ortofrutta, invece, dove le Organizzazioni di Produttori (OP), sorte a seguito della riforma del ‘96, possono prevedere interventi sia nelle aziende di base che nel settore della commercializzazione, sono state ammesse eccezioni per quelle Regioni in cui i piani ope-rativi elaborati dalle Organiz-zazioni non presentano risorse finanziarie sufficienti a coprire i fabbisogni di intervento del set-tore.

Per il settore dell’olio d’oliva, infi-ne, in analogia con quanto pre-visto dall’OCM, che non ammet-te a premio gli impianti successi-vi al maggio 1998, non è ammesso il sostegno per nuovi impianti attraverso i programmi strutturali.

Venendo ora alle misure agroambientali, il problema più

delicato da risolvere è stato quello della definizione della cosiddetta ‘buona pratica agri-cola normale’ (BPAn), a cui è connessa la definizione e la giu-stificazione economica dei premi agroambientali concessi agli agricoltori (su tale questione si veda il precedente numero del Bollettino).

Anche su questo versante i pro-blemi da risolvere sono stati numerosi per tutte le ammini-strazioni regionali, la cui defini-zione di pratica agricola più dif-fusa, a giudizio degli esperti della Commissione, è risultata spesso in contrasto con una pra-tica razionale dal punto di vista tecnico-ambientale e ha richie-sto perciò numerose modifiche per essere accettata.

Inoltre, a seguito della negozia-zione con la Commissione, sono stati chiariti o ribaditi alcuni aspetti che non apparivano di evidenzia immediata nella rego-lamentazione comunitaria o che erano stati trascurati nei docu-menti regionali.

Innanzitutto, la BPAn deve pre-vedere il rispetto della direttiva nitrati nelle zone considerate sensibili e il rispetto della legisla-zione comunitaria in materia ambientale. In secondo luogo, la BPAn e il conseguente impe-gno agroambientale degli agri-coltori devono risultare “misura-bile”, determinando delle diffi-coltà nell’applicazione di alcune misure (prima fra tutte, la misura di riduzione nell’utilizzo dei mezzi chimici), che, nella precedente fase di programmazione, in Italia avevano riscosso un fortis-simo successo.

In terzo luogo, l’impegno agro-ambientale dell’agricoltore e il premio a questo associato sono subordinati al rispetto della BPAN sull’intera superficie azien-dale e non soltanto sulle superfi-ci per le quali l’agricoltore riceve

il premio. Ciò, tra l’altro, vale anche per la misura relativa alle indennità compensative nelle aree svantaggiate. Infatti, anche in questo caso, l’agricolto-re, per aver diritto alla compen-sazione, deve garantire il rispet-to della buona pratica agricola. Riguardo alle misure di sviluppo rurale, regolamentate dall’art. 33 del Reg. 1257/99, nel corso del negoziato è stata ribadita l’interpretazione rigorosa del carattere “residuale” di tale arti-colo che, al primo capoverso, specifica come venga accorda-to un sostegno per misure che non rientrano nel campo di applicazione di altri titoli del Regolamento stesso.

Secondo tale interpretazione, ai sensi dell’art. 33, non possono essere finanziati investimenti nelle aziende agricole, essendo questi ultimi regolamentati dagli articoli 4-7 del Reg. 1257/99. Ciò ha creato qualche difficoltà soprattutto per la misura relativa alla diversificazione delle attività del settore agricolo (la misura p), nell’ambito della quale la sola tipologia ammessa a livello aziendale è quella relativa all’a-griturismo.

Un ulteriore aspetto “debole”, comune a tutti i programmi, è stato quello relativo alla descri-zione dei sistemi di raccolta e di elaborazione dei dati fisici e finanziari. Tuttavia, per quanto riguarda l’approvazione dei Piani, su questo aspetto non sono stati sollevati problemi par-ticolarmente rilevanti, perché la Commissione ha ritenuto suffi-ciente una descrizione, più o meno approfondita, del sistema di monitoraggio che le regioni e l’amministrazione centrale inten-dono implementare per la fase 2000-2006.

Tuttavia, le difficoltà relative alla predisposizione di un siste-ma di monitoraggio in grado di

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risolvere i differenti problemi emersi nella precedente fase di programmazione sono numero-se e, su questo fronte, la discus-sione tra l’amministrazione cen-trale (il Ministero del Tesoro e il MiPAF) e le amministrazioni regionali per l’implementazione del sistema sono tuttora serrate. Infine, anche riguardo alle pro-cedure di attuazione degli inter-venti, dei controlli e delle even-tuali sanzioni, le Regioni hanno dovuto fornire nei programmi un supplemento di informazio-ne. Anche su questo aspetto, la capacità di dialogo degli interlo-cutori e la collaborazione fra i

diversi livelli istituzionali coinvol-ti hanno consencoinvol-tito di raggiun-gere un accordo sugli elementi descrittivi essenziali da inserire nei Piani, consentendo, così, il completamento della redazione dei documenti di programma-zione e l’approvaprogramma-zione dei primi programmi italiani.

Infatti, nella seduta del Comitato STAR del 27 e 28 giu-gno scorsi, sono stati approvati i PSR delle Regioni Emilia Romagna, Lazio, Umbria e Abruzzo e, nella seduta del 12 luglio, i PSR di Lombardia, Trento e di Bolzano. I restanti PSR saranno presumibilmente

ap-provati entro il prossimo autun-no.

Anche per i POR dell’Obiettivo 1, a seguito dell’approvazione di principio del Quadro Comuni-tario di Sostegno italiano, avve-nuta nell’aprile scorso e dei pro-gressi compiuti nelle discussioni con i servizi della Commissione, comincia a profilarsi la conclu-sione del negoziato.

Per i PSR delle regioni del Mezzogiorno, invece, si prevedo-no tempi più lunghi, con un’ap-provazione che potrebbe slittare anche a fine autunno.

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A che punto siamo?

Silvia Calamandrei

Responsabile del

Segretariato della Sezione

Agricoltura, Sviluppo

rura-le, Ambiente del Comitato

Economico e Sociale

dell’Unione europea

Il Comitato Economico e Sociale occupa un ruolo importante nel processo di formazione e appli-cazione delle politiche comuni-tarie. Tuttavia, il suo ruolo e il suo funzionamento sono ancora poco noti tra il grande pubblico. Possiamo allora introdurre

l’inter-vista con una breve presentazio-ne?

Il Comitato è un organo consulti-vo delle istituzioni europee ed è stato istituito dal Trattato di Roma del 1957. Questo rappre-senta la società civile organizza-ta, nelle sue diverse componen-ti.

Al momento del Trattato di Roma, rappresentava essenzial-mente i tre pilastri principali del sistema economico degli anni ’50: i datori di lavoro, i lavoratori e gli agricoltori.

Con lo sviluppo della società postindustriale sono nate, inve-ce, nuove espressioni d’interesse organizzate, quali artigiani, pic-cole e medie imprese, associa-zioni ambientali, consumatori, famiglie, economia sociale, che hanno via via trovato espressio-ne in seno al CES accanto agli agricoltori, all’interno del terzo gruppo, che raccoglie ora i cosiddetti “interessi diversi”. In questo momento il CES, per rispondere agli obiettivi del Trattato di Amsterdam e alle

nuove richieste della società civile, sta ulteriormente am-pliando il suo campo d’azione verso interessi nuovi, non anco-ra anco-rappresentati in seno al Comitato. In ottobre, ad esem-pio, è stata organizzata una grossa Convenzione della società civile organizzata, con la partecipazione di Delors, del Parlamento europeo e di altre istituzioni, proprio per rafforzare questa funzione di “ponte” tra le istituzioni europee e la società civile.

Il CES è organizzato in sei sezioni, che coprono i principali settori di intervento comunitario previsti dal Trattato di Roma. Quale peso hanno le politiche agricole, ambientali e di sviluppo rurale, all’interno di questa organizza-zione di rappresentanza?

Hanno un peso molto importan-te, anche perché, accanto alle politiche agricole, attualmente la nostra sezione si occupa di sicurezza alimentare, una delle nuove priorità fissate dalla presi-denza Prodi, e di politica

Intervista a

Silvia Calamandrei

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Intervista a

Silvia Calamandrei

ambientale, che, in seguito alle modifiche introdotte dal Trattato di Amsterdam, integra ormai tutte le politiche settoriali dell’Unione.

Costituisce, quindi, una nuova forma di dialogo tra esperienze, interessi e punti di vista diversi. Fino a poco tempo fa, la sezione Agricoltura e la sezione Ambiente, Sanità e Consumatori erano due entità distinte, che rappresentavano interessi tal-volta contrapposti. L’unifica-zione delle due sezioni sta dando risultati molto soddisfa-centi dal punto di vista del dia-logo tra interessi diversi e, soprattutto, dell’integrazione tra le diverse politiche.

Veniamo ora alla questione della programmazione dei Fondi strutturali, che è per noi il tema di maggiore interesse. Qual è il ruolo del CES nella defi-nizione degli indirizzi e degli obiettivi di programmazione e nella loro applicazione?

Il CES è consultato, su tutte le proposte di regolamento e di direttiva in materia agricola e ambientale, dalle tre grandi isti-tuzioni europee: Parlamento, Consiglio e Commissione. I pare-ri del Comitato sono a loro volta il risultato non solo della consul-tazione e del dialogo tra le sue diverse componenti interne, ma anche di uno sforzo di verifica sul terreno e di monitoraggio che raccoglie i punti di vista della società civile nei diversi Stati membri.

E sullo specifico delle politiche agricole e di sviluppo rurale? Sullo specifico della politica agricola e dell’Agenda 2000 il Comitato ha espresso diversi pareri, anche di notevole impor-tanza. Più recentemente, nell’ot-tobre 1999, il CES ha espresso due importanti pareri sul model-lo di agricoltura europea

multi-funzionale e sulle misure agroambientali proposte in Agenda 2000.

Con il primo, il Comitato ha sot-tolineato che, nelle attese della società civile, il modello agricolo europeo va considerato come parte integrante della politica sociale ed economica europea e come premessa decisiva alla salvaguardia della multifunzio-nalità dell’agricoltura stessa, mentre un’agricoltura orientata esclusivamente alla concorren-za internazionale e che non tenga conto delle differenze strutturali e regionali non potrebbe rispondere a tali aspet-tative.

Con il secondo parere, ribaden-do quanto affermato nella sostanza già alla fine degli anni ottanta, il Comitato ha eviden-ziato come la complementarità tra agricoltura e ambiente debba fondarsi sempre più su un rapporto di fiducia tra pro-duttori agricoli e consumatori. Lo strumento di tale rapporto è stato individuato dal Comitato in una coerente politica di svi-luppo rurale e in un nuovo “con-tratto” tra agricoltura e politiche pubbliche, anche come risposta ai problemi della disoccupazio-ne e del degrado del territorio. Questa posizione è stata ribadita anche con il parere espresso dal CES sulle linee guida dell’iniziati-va di sviluppo rurale LEADER+. Il Comitato ha facoltà di elabo-rare soltanto pareri consultivi o può assumere anche iniziative? Oltre ai pareri di consultazione il Comitato ha facoltà di elabora-re dei paelabora-reri esplorativi e, soprattutto, dei pareri d’iniziati-va, che gli consentono di espri-mersi in tutti i casi in cui lo riten-ga opportuno. Quest’ultima è una funzione che si sta sempre più potenziando. Come è stato annunciato nel nostro parere

sulle misure agro-ambientali, ad esempio, il CES vuole fornire degli input originali alla defini-zione delle politiche e proporsi come momento e luogo di verifi-ca delle politiche nazionali, dello scambio di buone prassi, del benchmarking delle espe-rienze più significative.

A questo proposito, quale valu-tazione possiamo dare dell’inte-grazione tra politiche strutturali in ordine, ad esempio, ai due grandi temi orizzontali, quali le pari opportunità e l’occupazio-ne?

Ci sono stati pareri significativi del CES sulle tematiche occupa-zionali. Durante la presidenza portoghese abbiamo organizza-to una grande Conferenza sui temi dell’occupazione, in cui abbiamo trattato anche gli aspetti agricoli. Abbiamo predi-sposto, poi, un parere d’iniziati-va sulle pari opportunità. La PAC, infatti, si è fatta carico del mantenimento di un’agricoltura sostenibile con una serie di misure d’accompagnamento, ma queste si sono concentrate sulla parte economica e tecni-ca, lasciando in secondo piano la dimensione sociale e umana. Si è attribuita importanza ai pro-blemi dell’invecchiamento demografico, ma il ruolo della donna è stato in qualche misura trascurato, mentre molti feno-meni di trasformazione hanno avuto ripercussioni maggiori proprio sulla componente fem-minile del mondo del lavoro e della società rurale. In materia di occupazione, invece, stiamo ora predisponendo un’importan-te parere d’iniziativa per la defi-nizione di un quadro normativo nuovo che affronti il problema dei lavoratori agricoli stagionali provenienti dai Paesi terzi. I vostri pareri, quindi, costituisco-no anche un momento di

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valu-tazione sui risultati fin qui conse-guiti. Qual è, allora, il punto di vista del CES sulla fase di pro-grammazione che si è appena conclusa? Possiamo affermare che gli obiettivi d’integrazione orizzontale siano stati nel loro complesso conseguiti?

Ci sono Paesi che hanno opera-to meglio di altri, con iniziative di successo che hanno raggiun-to dei buoni risultati. Tuttavia, lo stesso Consiglio dei Ministri del 15 novembre scorso, con la sua risoluzione sull’integrazione della strategia ambientale nella politi-ca agricola, rileva che molto cammino resta ancora da com-piere. Si sta preparando una strumentazione di indicatori ambientali per l‘agricoltura che consentirà di misurare e monito-rare meglio i risultati ottenuti. Siamo stati recentemente in Finlandia, in occasione dell’ela-borazione di un parere di iniziati-va in materia di politica foresta-le, e abbiamo visto come inizia-tive di partenariato e di uso inte-grato del territorio siano molto diffuse in questo paese, così come la capacità di gestire in modo multifunzionale il patrimo-nio forestale per la prevenzione del cambiamento climatico o, ad esempio, per la conservazio-ne di zoconservazio-ne naturali conservazio-nel quadro di Natura 2000. L’utilizzo integra-to dei partenariati e dei fondi sarà la chiave di volta degli svi-luppi futuri.

E a questo proposito, come si colloca l’Italia tra i partner euro-pei?

l’Italia ha fatto uno sforzo note-vole quest’anno per la program-mazione dei Fondi 2000-2006, secondo un approccio integrato che tenga conto, ad esempio, della valutazione preventiva degli impatti ambientali. La capacità di utilizzare questi stru-menti a livello nazionale e regio-nale, però, varia molto in

funzio-ne delle situazioni specifiche. Il Ministero dell’Ambiente, tramite l’ANPA, ha predisposto per le amministrazioni regionali un manuale per la valutazione del-l’impatto ambientale degli inter-venti finanziati dai Fondi ed è stato costituito un coordinamen-to tra aucoordinamen-torità di programmazio-ne e autorità ambientale. Tuttavia, va anche rilevato che l’Italia ha acquisito con ritardo, rispetto ad altri Paesi, la capa-cità di integrare i diversi saperi e le diverse amministrazioni, anche semplicemente per rispondere ai criteri fissati dai nuovi regolamenti.

Passiamo a un altro argomento. Pur con l’evidente ridimensiona-mento degli aiuti, l’agricoltura resta la prima e la più importan-te politica dell’Unione e a que-sta è destinato circa il 50% del bilancio comunitario. Ciò comin-cia a destare delle perplessità nella società civile, connesse, ad esempio, ai recenti allarmi in materia di sicurezza alimentare. Come si conciliano, in seno al Comitato, gli interessi degli agri-coltori con quelli degli altri ope-ratori economici e dei consuma-tori?

Il dialogo e la ricerca del con-senso tra questi interessi diversi non sono stati sempre facili. Ricordiamo, ad esempio, dibatti-ti accanidibatti-ti sulla quesdibatti-tione del tabacco e le contraddizioni tra la politica della salute e quella degli aiuti alla produzione del tabacco in talune regioni dell’UE, in particolare nelle regioni mediterranee: da un lato, i produttori del tabacco, dall’altro, soprattutto le associa-zioni ambientaliste e dei consu-matori dei paesi dell’Europa centrale e settentrionale. Più in generale, il dibattito sull’organiz-zazione mondiale del commer-cio, nell’ambito dei negoziati del Millennium Round, sta

risenten-do già delle spinte provenienti dalle associazioni di consumato-ri dei paesi meno agconsumato-ricoli, in direzione di una riduzione degli aiuti e di un contenimento dei prezzi, che si vorrebbero più vici-ni a quelli medi dei mercati mondiali. Al tempo stesso, però, da parte di molti settori della società europea, c’è una domanda crescente di qualità, di sicurezza alimentare, di pae-saggio, di gestione congrua delle risorse naturali, insomma di una serie di servizi che l’agri-coltura dovrebbe rendere. Su questo fronte il dialogo è più aperto.

Possiamo fare qualche esempio? Su temi importanti, come quello degli organismi geneticamente modificati, la direttiva quadro sulle acque o la questione della diossina, c’è stata maggior con-vergenza tra consumatori, preoccupati per la sicurezza e l’informazione sui prodotti, ambientalisti, preoccupati per la preservazione della biodiversità, e agricoltori, preoccupati – da un lato – per la conservazione delle pratiche agricole autocto-ne e per l’ingerenza delle indu-strie multinazionali e – dall’altro – per la trasparenza delle produ-zioni di filiera. Quest’ultimo approccio alla filiera agroindu-striale è anche importante per delimitare, se così si può dire, la responsabilità dell’agricoltore e per mettere in luce quella delle altre componenti.

Questo è un dibattito attualissi-mo, dal quale scaturisce anche il Libro Bianco della Commissio-ne sulla Sicurezza alimentare, che rilancia i problemi della legislazione in materia alimenta-re, dell’efficacia e dell’armoniz-zazione dei controlli, di come applicare il principio di precau-zione in questo settore e garanti-re l’indipendenza della valuta-zione scientifica sui rischi e

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un’informazione completa ai consumatori. Su questo tema il CES è stato la prima istituzione comunitaria a elaborare un parere a seguito della crisi della mucca pazza. Anche quella fu un’importante occasione di con-vergenza tra agricoltori, consu-matori e sindacati dei lavoratori dei settori investiti.

A tale proposito, c’è da ricono-scere che oggi la società civile paga due volte il costo degli aiuti all’agricoltura, prima come contribuente e poi come consu-matore che acquista i prodotti alimentari a prezzi più elevati di quelli che potrebbero essere sta-biliti dal mercato. Dal punto di vista degli operatori agricoli, questo fatto non si traduce in una sorta di obbligo a garantire livelli di qualità e competitività che rendano sostenibile la politi-ca agricola europea?

Sì, bisogna però riconoscere che, ormai, accanto alla forte domanda di qualità che la società rivolge agli agricoltori, c’è anche una maggiore consa-pevolezza dell’importanza del servizio reso dagli agricoltori stessi, servizio che in qualche modo va retribuito. Questo è il “valore” del modello agricolo europeo, fondato sulla multifun-zionalità e sulla salvaguardia dei territori, delle risorse naturali e delle risorse umane. Questo è il fronte sul quale stiamo

nego-ziando con i nostri partner com-merciali nel Millennium Round, soprattutto dopo la conferenza di Seattle.

A questo proposito vorrei citare il parere espresso sul modello agricolo europeo dal relatore Strasser, rappresentante del mondo agricolo austriaco, che, in un capitolo dedicato alle aspettative della società verso l’agricoltura europea, sottolinea come lo sviluppo della consape-volezza ambientale, le aspirazio-ni a un’alimentazione sana, i mutamenti nella gestione del tempo libero comportino aspet-tative crescenti verso gli agricol-tori, che possono essere soddi-sfatte solo se c’è in cambio un riconoscimento economico. Ecco, il modello agricolo euro-peo si basa anche su quest’ac-cordo sociale.

A nessun altro settore di attività economica sono posti degli obiettivi di riorganizzazione tanto complessi quanto quelli che interessano l’agricoltura. Al tempo stesso, l’agricoltura è, tra tutti i settori di attività economi-ca, il più debole dal punto di vista strutturale, culturale, del-l’organizzazione del sistema delle imprese e anche degli investimenti nella ricerca e nel-l’innovazione. Non le sembra, questa, una contraddizione di cui si tiene poco conto nei docu-menti di indirizzo e di

program-mazione?

Sì, effettivamente c’è un grande sforzo da compiere in informa-zione e in formainforma-zione, se voglia-mo che l’agricoltura sia all’altez-za dei tempi. Occorre immettere nuovi servizi, nuovi saperi, nuovi approcci e nuove qualificazioni in agricoltura. Se vogliamo difendere davvero la qualità anche sociale dell’agricoltura europea, occorre un maggior protagonismo del mondo agri-colo e per questo dobbiamo creare nella società civile un consenso, un nuovo patto socia-le tra agricoltura e società. Bisogna però riconoscere che già ora si moltiplicano esperien-ze di confronto, di dialogo e di partenariato. LEADER+ è impor-tante proprio perché pone l’ac-cento su questa capacità dell’a-gricoltura di relazionarsi con altri settori per costruire progetti di sviluppo integrato sul territorio. Un’ultima cosa che va sottoli-neata è che i nuovi approcci danno maggior margine alla sussidiarietà e all’adattamento delle politiche alle situazioni locali. Questa è una sfida per gli Stati membri, perché i Fondi strutturali costituiscono un po’ l’ultima occasione per una serie di paesi prima dell’allargamen-to dell’Unione, che forse arriverà a conclusione in tempi più brevi di quelli previsti.

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numero 8

ottobre/dicembre - 1999

Il Piano di Sviluppo Rurale della Regione Emilia Romagna

di Donata Cavazza - Responsabile servizio piani e programmi Regione Emilia-Romagna

Le Misure previste dal Piano di Sviluppo Rurale della Regione Emilia-Romagna per il periodo 2000-2006 si suddividono in tre assi prioritari, quali sostegno alla competitività delle imprese, ambiente e sviluppo locale integrato, secondo quanto riportato nel prospetto 1.

Intervista a

Silvia Calamandrei

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numero 8

ottobre/dicembre - 1999

Regioni

Prospetto 1 - Assi e misure del Piano di Sviluppo Rurale della regione Emilia Romagna

ASSE 1 SOSTEGNO ALLA COMPETITIVITÀ DELLE IMPRESE

Misura 1.a Investimenti nelle aziende agricole Misura 1.b Insediamento dei giovani agricoltori Misura 1.c Formazione

Misura 1.g Miglioramento delle condizioni di trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli

ASSE 2 AMBIENTE Sotto-asse Agroambiente

Misura 2.e Indennità compensative in zone sottoposte a svantaggi naturali Azione 1 Indennità compensativa nelle zone soggette a svantaggi naturali

Misura 2.f Misure agroambientali per la diffusione di sistemi di produzione a basso impatto ambientale e con-servazione degli spazi naturali, tutela delle biodiversità, cura e ripristino del paesaggio

Azione 1 Produzione Integrata Azione 2 Produzione biologica

Azione 3 Colture intercalari per la copertura vegetale nel periodo autunnale e invernale Azione 4 Incremento della materia organica nei suoli

Azione 5 Inerbimento permanente delle colture da frutto e vite

Azione 6 Riequilibrio ambientale dell’allevamento zootecnico specializzato da latte Azione 7 Pianificazione ambientale aziendale

Azione 8 Regime sodivo e praticoltura estensiva

Azione 9 Ripristino e/o conservazione spazi naturali e del paesaggio agrario Azione 10 Ritiro ventennale dei seminativi per scopi ambientali

Azione 11 Salvaguardia della biodiversità genetica Misura 2.h Imboschimento dei terreni agricoli Azione 1 Boschi permanenti

Azione 2 Arboricoltura specializzata da legno a fini produttivi Intervento 2.1 Impianti per l’arboricoltura specializzata da legno Intervento 2.2 Pioppeti

Intervento 2.3 Specie forestali a rapido accrescimento da utilizzare per la produzione di biomassa

Azione 3 Impianti con essenze arbustive ed arboree ai fini di protezione dal dissesto e dall’erosione e di con-solidamento di pendici instabili

Azione 4 Alberature, boschetti e fasce arborate di collegamento o frangivento, comprese aree a radura pur-ché ritirate dalla produzione a fini ambientali

Sotto-asse Ambiente e Foreste

Misura 2.i Altre misure forestali

Azione 1 Imboschimento di terreni non agricoli

Azione 2 Interventi di miglioramento eco-morfologico delle aree forestali Azione 3 Interventi selvicolturali sostenibili

Azione 4 Meccanizzazione forestale Azione 5 Associazionismo forestale

Misura 2.t Tutela dell’ambiente in relazione alla selvicoltura Azione 1 Realizzazione di strumenti di conoscenza e prevenzione

ASSE 3 SVILUPPO LOCALE INTEGRATO

Misura 3.m Commercializzazione di prodotti agricoli di qualità

Misura 3.o Rinnovamento e miglioramento di villaggi e protezione e tutela del patrimonio rurale Misura 3.p Diversificazione delle attività del settore agricolo e delle attività affini

Misura 3.q Gestione delle risorse idriche in agricoltura

Figura

Tabella 1 - Ripartizione finanziaria per Iniziativa e Stato membro (2000-2006)*

Riferimenti

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