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La prostituzione in età liberale: una questione di genere e di potere

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Academic year: 2021

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ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

SETTIMANA DEL DOTTORATO

LA PROSTITUZIONE IN ETÀ LIBERALE: UNA QUESTIONE

DI GENERE E DI POTERE

Dottoranda: Mariana Di Gregorio

Dottorato di ricerca in Storia, Culture e Società, ciclo XXVIII

Indirizzo: Storia e Geografia d’Europa

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1. INTRODUZIONE

Essendo la prostituzione "il mestiere più antico del mondo", essa diventa di fondamentale importanza nell'analisi dei mutamenti socio-culturali e dei rapporti tra istituzioni e cittadini in una data epoca. Per poter considerare la prostituzione come categoria storica, bisogna, però, spogliarla di tutte quelle considerazioni che l’hanno vista e pensata come mera una devianza sessuale.1

Tuttavia, lo studio della devianza e della criminalità, sebbene sia un campo di ricerca limitato, permette di «intendere e interpretare i modi e i tempi dell’evoluzione di un popolo, in maniera settoriale, ma concreta»2. Esso ci indica, inoltre, attraverso l’attenzione che le istituzioni rivolgono al fenomeno, la diversa percezione che la società ha di se stessa in quel dato momento storico. Il controllo di quelle che a partire dall’Ottocento sono definite classi pericolose, al cui interno un’attenzione privilegiata viene data alle prostitute, definisce la volontà di controllo delle istituzioni verso quella «nuova società che ha perso i simboli di riconoscimento e controllo in cui la civiltà industriale si identificava»3 e soprattutto verso quel contesto di ladri, prostitute, oziosi, operai che diventano di fatto «oggetto di un nuovo interesse istituzionale».4

Inoltre, «riconsegnare la prostituzione alla storia significa eliminare l'alone di tragica ineluttabilità che la avvolge, riconoscendo dignità e restituendo voce a individue realmente vissute ma cancellate sotto lo stigma infamante della prostituta, secondo quell'immagine costruita nel XIX secolo e giunta pressoché intatta ben oltre la metà del secolo successivo».5

Dalla numerosa bibliografia relativa alla prostituzione come devianza dalla norma, capiamo immediatamente che essa è stata, soprattutto a partire dal XIX secolo, oggetto di studio, di analisi e di dibattiti, che spaziano dal campo medico, relativo alla trasmissione delle malattia veneree,6 a

1 Michela Turno, Il malo esempio. Donne scostumate e prostituzione nella Firenze dell'Ottocento, Giunti Gruppo

Editoriale, Firenze, 2003.

2 Giovanni Greco, Davide Monda, Flagelli d’Italia. Criminali e vittime nella storia contemporanea, Il Ponte Vecchio,

Cesena, 2006, p. 93.

3 Marina Sindaco, Lanterne rosse bolognesi, in Giovanni Greco (a cura di) Canaglie, prostitute e poco di buono. Per

una storia delle criminalità contemporanea, Società Editrice «Il Ponte Vecchio», Cesena, 2001.

4 Ibidem. 5 Ibidem.

6 La «venere politica», così la polizia del Settecento prese a chiamare la sifilide, fa la sua comparsa come «grande

paura» nel XVI secolo. Nel corso dell’Ottocento essa venne paragonata alla peste, nonostante non raggiunse punte di mortalità catastrofiche e non influì sullo sviluppo economico. Essa colpì trasversalmente la società ottocentesca, colpendo sia le classi più elevate che le più basse, occupando un posto del tutto speciale nella società occidentale, poiché gettava un’ombra sulle future generazioni. Scoprire, all’indomani della comparsa del morbo in Europa, che era trasmissibile di madre in figlio, generò nella società un terrore accresciuto. Proprio perché rappresentava il pericolo della degenerazione della «specie» la sifilide non fu solo oggetto di studio della medicina, ma anche del governo civile: nonostante il contagio, diversamente dal colera o dalla peste, dipendesse solo dall’atto sessuale, enormi furono le difficoltà nel controllarla. Il ruolo del sesso nella sua trasmissione rappresentava il problema centrale: l’indomabilità dell’istinto. Vedi a riguardo: Giorgio Gattei, La sifilide: medici e poliziotti intorno alla “venere politica”, in Storia

d’Italia, Annali, vol. VII, «Medicina e malattia», Einaudi, Torino, 1984; Eugenia Tognotti, L’altra faccia di Venere: la sifilide dalla prima età moderna all’avvento dell’AIDS 15-20 sec., Franco Angeli, Milano, 2006.

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quello politico, attinente al controllo della sessualità,7 fino a quello morale, riguardante lo stigma sociale.8 Come è ormai noto, l'Ottocento si aprì all'insegna di una politica regolamentarista, che aveva una doppia funzione: la difesa dal propagarsi delle malattie veneree, principalmente la sifilide, e la volontà di controllo di quella parte di società, nata con la seconda rivoluzione industriale, che andava sotto il nome di classi pericolose, in cui la prostituta diventava il simbolo della devianza dalla norma.

Gli studi effettuati sull’argomento durante tutto il corso del XIX secolo ci mostrano come il tema della prostituzione sia stato analizzato, come vedremo, sotto diversi aspetti, ma essi sono comunque riconducibili ad un unico comune denominatore, l’attenzione unilaterale verso la prostituta, ignorando tutte le implicazioni di carattere socio-economico o socio-culturale che danno struttura alla prostituzione in un dato periodo storico e in un dato contesto geografico.9 A

7 I principali modelli attraverso cui è stato applicato, nella società contemporanea, il controllo della sessualità sono tre:

il proibizionismo, il regolamentarismo e l’abolizionismo. Gli studiosi di politiche sulla prostituzione utilizzano ancora oggi queste categorie, tenendo ovviamente conto del mutato atteggiamento della società nei confronti della sessualità. Il

proibizionismo, diffuso in Europa, si basava sul concetto cristiano di peccato relativo all’attività extraconiugale. La

condanna morale colpiva principalmente la donna, quanto «tentatrice» e meno il cliente in virtù della sua superiorità sociale. La Riforma protestante costituì la fine della tolleranza medievale, dichiarando la prostituzione un delitto e chiudendo tutti i lupanari. Anche la Controriforma decise di seguire la strada tracciata dalla Riforma: la condanna morale veniva tradotta in proibizione legale e come tale punita. Al proibizionismo successe, nella maggior parte degli stati europei, il regolamentarismo, che forte della sconfitta che i proibizionisti avevano subito nel corso dei secoli, poterono sostenere la tesi secondo cui, poiché eliminare la prostituzione si era rivelato utopistico, l’unica soluzione era quella di controllarla. Obiettivo del regolamentarismo, dunque, era quello di abolire sì la prostituzione, ma solo quella di strada attraverso l’istituzione di case di tolleranza e trasformando la prostituzione da problema di ordine pubblico a problema di ordine morale. Il regolamentarismo legalizzava la prostituzione, sacrificando la libertà delle meretrici, che da quel momento subivano un controllo istituzionale costante che ne limitava fisicamente la libertà di movimento, sia all’interno che all’esterno delle case chiuse, a fronte della completa tutela del cliente. Introdotto all’inizio del XIX secolo per iniziativa di Napoleone Bonaparte, preoccupato di delle sorti del proprio esercito messo in pericolo dall’espandersi delle malattie veneree, venne adottato nel corso del secolo dalla maggior parte dei paesi europei. Tuttavia i paesi in cui il sistema regolamentaristico era stato adottato dovettero costatare che il numero delle clandestine che riuscivano a sfuggire al fitto sistema di controllo poliziesco era comunque altissimo, e dovettero ammettere il fallimento anche sul fronte del controllo delle malattie veneree. In risposta al sistema regolamentirista nasce i Gran Bretagna, negli anni Settanta dell’Ottocento, il movimento abolizionista. Ispirato da Judith Butler, esso aveva l’obiettivo principale la chiusura delle case chiuse, simbolo della schiavitù della donna, abbandonata alla mercé dei tenutari e vittima di un sistema basato sulla doppia morale applicata a uomini e a donne nelle questioni relative alla sessualità. Le proposte del movimento abolizionista erano relative alla decriminalizzazione della prostituzione, né sottoposta a regole, né a sanzioni e un’efficiente rete di riforme sociali che risolvessero alla base i problemi che inducevano alla prostituzione. Anche l’abolizionismo dovette dichiararsi sconfitto: nonostante la chiusura delle case chiuse, una maggiore diffusione del lavoro femminile retribuito e la realizzazione del tessuto di riforme sociali auspicate, la prostituzione non è affatto scomparsa.

8 Nel suo significato etimologico, la parola stigma indica un marchio, un’impronta, un carattere distintivo e nel suo

significato più esteso esprime l’attribuzione di caratteristiche negative ad un persona o ad un gruppo di persone, soprattutto rivolto alla loro reputazione e condizione sociale, in www.treccani.it. Il termine fa oggi riferimento ad alcuni tratti devianti che permettono di distinguere intere categorie sociali di persone, come prostitute o tossicodipendenti. La politica regolamentarista giustifica i suoi divieti e le sue discriminazioni con la difesa della morale e con la perdita di questa da parte della prostituta che, nel momento in cui sceglie di perdere la sua virtù, deve accettare di non essere più una cittadina come le altre. Coloro che offrono servizi sessuali a pagamento trasgrediscono le norme sociali che stabiliscono l’esercizio di una sessualità normale e normata che dovrebbe corrispondere ai canoni della libertà e della gratuità. Come in ogni mercato proibito lo stigma ricade non su coloro che ne ricercano i servizi, ma su quanti li offrono, poiché si rendono direttamente colpevoli di infrangere la norma, in Stefano Becucci e Eleonora Garosi, Corpi globali: la prostituzione in Italia, Firenze University Press, Firenze, 2008.

9 Per avere tali studi bisogna aspettare gli anni Settanta dell’Ottocento e la nascita del movimento abolizionista: in

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confermare lo sguardo unilaterale nell’analisi della prostituzione è l’assenza, all’interno del dibattito, di attori protagonisti, almeno quanto la prostituta stessa, come il cliente, i lenoni o gli affittacamere.10

Affrontati da un punto di vista medico-sanitario, i saggi relativi alla prostituzione appaiono anche come saggi di natura morale e di carattere amministrativo. I principali autori, infatti, sono medici o funzionari di polizia, rappresentanti, cioè di quelle istituzione ferventi sostenitrici delle politiche regolamentariste.11 L’opera che, infatti, inaugura tutta una stagione di interesse quasi morboso verso il fenomeno, con l’obiettivo di ispirare, sostenere e motivare le istanze del regolamentarismo fu De la porstitution dans la ville de Paris,12 di Alexandre Parent-Duchatelet,

medico francese, convinto della necessità di vivere personalmente le “cloache” parigine al fine di conoscere in modo approfondito l’universo della prostituzione. A giustificare la conoscenza e dunque il controllo dell’attività di ogni prostituta era il carattere spesso transitorio che il meretricio occupava nella vita di una donna; questa, in assenza di una “conoscenza burocratica”, determinata dall’iscrizione in appositi registri, era libera di rientrare in seno alla società e corrompere con la propria devianza la moralità delle donne dabbene, poiché la depravazione e la lussuria erano caratteristiche innate nelle prostitute. Ciò ebbe come diretta conseguenza l’inquadramento coatto del commercio sessuale, basato sulla sorveglianza e ghettizzazione fisica delle meretrici. Alla donna custode del focolare domestico si aggiungeva un’altra figura, quella della «effluvia of urban life»,13 che andava ad alimentare l’elenco delle devianze, figlio dell’Ottocento. L’apporto successivo degli studi sociologici e antropologici, strettamente legati al pensiero positivista, mette in evidenza come la prospettiva di genere fosse radicata all’interno di tutti i campi del sapere. Alla vigilia dell’approvazione del disegno di legge proposto da Lina Merlin, «la scienza “positiva” di

“La Donna. Periodico d’educazione, compilato da donne italiane”, la campagna portata avanti dall’emancipazionista Anna Maria Mozzoni e il reportage condotto da Jessie White Mario.

10

L’approccio volutamente di genere alla prostituzione ha portato ad occultare anche la collaterale, seppur più recente, esperienza maschile, non solo quella trans o omosessuale, ma l’offerta maschile rivolta a soddisfare la domanda di un pubblico femminile. Sul numero de “La Nazione” del 29 gennaio 1865 viene pubblicato questo annuncio: «Un gentilhomme des plus honorable désir s’offrir pour compagnie à une Dame distinguée ayant 27 ans environ et une belle position. Pour réferances, écrire ou s’adresser de une heure à 3 heures a M. Ricquebourg, via Montebello 26 Florenze. Discrétion assurée». In Michela Turno, op. cit. p. 9.

11 Alexandre Parent-Duchatelet, De la prostitution dans la ville de Paris, considerée sous le rapport de l’hygiene

publique, de la morale et de l’amministration, Bruxelles: Société encyclographique des sciences médicales, 1838;

Honoré Antoine Frégier, Des classes dangereuses de la population dans les grandes villes et des moyens de les rendre

meilleures, Meline, Bruxelles, 1840; Giovanni Bolis, La polizia e le classi pericolose della società, Zanichelli, Bologna,

1871; G. Harris, Celibato, matrimonio, divorzio e prostituzione: studi sociali, Milano: a spese dell’autore, 1888.

12 Alexandre Parent-Duchatelet, op. cit. 13

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Lombroso,14 che aveva bollato la prostituta “d’istinto” come equivalente femminile del delinquente, è tutt’altro che morta per non pochi luminari italiani del secondo dopoguerra».15

Le prime interpretazioni storiche sulla prostituzione arrivano negli anni Settanta del Novecento. Sono gli anni delle contestazioni femministe, della liberalizzazione dei costumi e dei testi sulla sessualità di Michel Foucault,16 gli anni che vedono la nascita di tutta quella storia sociale, all’interno della quale si colloca la storia della donne e di genere che permette di interpretare il passato attraverso categorie nuove, diverse e capaci di «mettere in discussione la storia universale, solo bianca, solo maschile, soprattutto europea e occidentale».17

Le tesi rivoluzionarie di Michael Foucault determinarono una svolta in campo storico e filosofico, poiché fissarono nuovi modelli interpretativi relativi al corpo e alla sessualità, mettendo in evidenza come il controllo di quest’ultima fosse una forma di esercizio del potere. Ancora oggi la sua scientia sexualis è funzionale per l’interpretazione delle relazioni e dinamiche di genere e di potere che si instaurano all’interno del rapporto tra prostituta e cliente.18 Questa nuova prospettiva fornì dunque tutti gli strumenti per un’analisi puntuale del fenomeno della prostituzione e delle sue implicazioni sociali, culturali e politiche.

Gli studi foucaultiani hanno il merito di aver dato l’incipit all’enorme mole di produzioni scritte che, indagando la prostituzioni da angolazioni diverse nei suoi diversi aspetti, ha contribuito ad ascrivere la sessualità e, dunque, la prostituzione tra le categorie interpretative della Storia. Gli anni Settanta del Novecento sono, infatti, quelli più prolifici di letteratura sull’argomento, riuscendo così ad evidenziare le diverse sfaccettature che caratterizzavano una prostituta. Abbiamo infatti studi che mettono in evidenza come le prostitute, nonostante i regolamenti vigenti, non abbiamo mai accettato passivamente il tentativo di controllo da parte delle istituzioni; altri che hanno tentato di portare alla luce come la convinzione di uno stretto rapporto tra prostituta e deficienza mentale abbia influito sul sistema di giustizia criminale;19 altri ancora, come la separazione tra prostitute e donne dabbene sia stato un prodotto di una precisa politica legislativa, nella Inghilterra dei

Contagious Diseases Acts.20

14 Cesare Lombroso, Guglielmo Ferrero, La donna delinquente, la prostituta e la donna normale, F.lli Bocca Editore,

Torino, 1927.

15 Sandro Bellassai, La legge del desiderio. Il progetto Merlin e l’Italia degli anni Cinquanta, Carocci, Roma, 2006,

p.9.

16 Michel Foucault, Storia della sessualità: la volontà di sapere, l’uso dei piaceri, la cura si sé, Feltrinelli, Milano,

1978.

17 Teresa Bertilotti, Considerazioni su storia contemporanea e storia delle donne e di genere nei manuali scolastici di

Francia, Germania e Italia, in La storia contemporanea tra scuola e università. Manuali, programmi, docenti, a cura di

Giuseppe Bosco e Claudia Mantovani, Rubbettino, Saveria Mannelli, 2004.

18 Giorgia Serughetti, Uomini che pagano le donne. Dalla strada al web, i clienti nel mercato del sesso contemporaneo,

EDIESSE, Roma, 2013.

19

Lucia Zedner, Women, crime and custody in Victorina England, Clarendon Press, Oxford, 1991.

20 Judith R. Walkowitz, Prostitution and Victorian society: women, class and the state, Cambridge University Press,

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Se per alcune storiche la prostituzione costituiva anche un mezzo di fuga dal controllo patriarcale, non meno importante era il lavoro svolto dalle donne all’interno degli asili, laici, per l’accoglienza delle fallen girls, cioè di ex prostitute prive di una protezione maschile. Molti di questi si trasformarono in asili destinati all’accoglienza di fanciulle in tenera età, ma destinate per appartenenza socio-economica alla prostituzione.21 L’obiettivo di questi istituti era quello di “recuperare” e prevenire, attraverso una formazione professionale e una dote per le più giovani, tutte coloro che erano minacciate dal mondo della prostituzione. Condizione imprescindibile era la volontà di adattarsi alle regole, spesso rigide, degli istituti: non mancarono casi di donne incapaci di aderire ai modelli educativi degli asili che decisero l’abbandono dell’istituto. La lettura e il racconto di queste esperienze sono capaci di mostrarci come la prostituzione significasse cose diverse per ogni prostituta: a fianco di colei che accettava un altro stato di regole pur di abbandonare quella vita, troviamo chi non vi riesce, vedendo nella prostituzione il proprio modo di autodeterminarsi.

Di fondamentale importanza sono anche quelle produzioni che, se non direttamente critiche, hanno il merito di ricostruire in modo accurato e puntuale il sistema regolamentaristico, i suoi protagonisti e i suoi luoghi, rendendo evidente l’aspetto dinamico e non statico della prostituzione.22

Se in un primo momento, in Italia, la riflessione politica e culturale iniziata negli anni Settanta del XX secolo, ha privilegiato l’approccio socio-antropologico, fondato ora su una riflessione relativa alla prostituzione come simbolo dell’oppressione patriarcale, ora sul diritto di ogni donna ad autodeterminarsi, solo in un secondo momento la storiografia italiana ha prestano la dovuta attenzione al fenomeno da un punto di vista interdisciplinare. Inizialmente, infatti, tali studi erano prodotti perlopiù di natura militante, come L’indegna schiavitù, di Lina Macrelli, che ricostruisce la battaglia condotta da Anna Maria Mozzoni con il fronte abolizionista italiano o il numero tematico che Memoria dedicato alla prostituzione.

Bisogna aspettare il 1995 perché venga tradotta l’opera di Mary Gibson,23 pubblicata dieci prima negli Stati Uniti; esso rappresenta uno degli studi più approfonditi sulla prostituzione in Italia tra il 1860 e la Prima Guerra Mondiale, sull’intervento statale sulla prostituzione e sull’atteggiamento, tutt’altro che passivo delle prostitute nel loro continuo tentativo di resistere alle restrizioni alle quali erano costrette dal Regolamento.

21

Annarita Buttafuoco, Le Mariuccine. Storia di un istituto laico: l’asilo Mariuccia, F. Angeli, Milano, 1998.

22 Alain Corbin, Donne di piacere: miseria sessuale e prostituzione nel XIX secolo, Mondadori, Milano, 1985. 23 Mary Gibson, Stato e prostituzione in Italia 1860-1915, Il Saggiatore, Milano, 1995.

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2. LA PROSTITUZIONE OGGI

Nel seguente lavoro si è deciso di prendere in esame il tema della «prostituzione pubblica» femminile, e se è vero che «l’eterismo segue l’umanità in ogni passo della sua civiltà come un’ombra oscura gettata sulla famiglia»24, è la meretrice pubblica l’oggetto dell’attenzione delle autorità. Simone De Beauvoir afferma che «il matrimonio ha, quale immediato correlativo, la prostituzione»,25 proprio perché le prostitute «contribuiscono al mantenimento dell’ordine pubblico e della pace sociale, senza di esse, altrimenti, l’uomo cercherà di sedurre la moglie, la fidanzata, la figlia o la domestica, «seminando scompiglio in seno alla famiglia».26

Sin dai tempi dei grandi Padri della chiesa si è affermato il principio, fortemente condiviso in epoca positivista, della necessità della prostituzione per la salvaguardia delle donne rette,27 poiché l’esistenza di «donne perdute» permette alle «donne oneste», non solo di rimanere tali, ma di essere trattate con maggiore riguardo. L’uomo sfoga sulla prostituta «la propria turpitudine, quindi la rinnega»28. La vergogna e il marchio sociale che ne derivano, rendono di fatto la prostituta una paria che riassume in essa «tutti i simboli della schiavitù femminile»29.

Ma di cosa parliamo quando parliamo di prostituzione?

La definizione de il Novissimo Digesto Italiano, recita così: «la prostituzione è il commercio sessuale della donna attuato a fine di lucro e senza ch’ella scelga il compagno del piacere»;30 non molto diversa, anche se più articolata è quella dell’Enciclopedia della scienze umane, secondo cui «la prostituzione può essere definita in termini generali come una prestazione sessuale a scopo di lucro. Tale definizione mette in evidenza due caratteristiche universali del fenomeno: la componente economica, per cui la prostituzione si configura come una transazione commerciale, e la natura relativamente indiscriminata di tali transazioni che coinvolgono estranei, anziché il coniuge o persone amiche».31 Entrambe le definizioni mettono in luce due caratteristiche

24 Simone De Beauvoir, Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano, 2012, p. 546. 25 Ibidem.

26

Alexandre Parent-Duchatelet, op. cit.

27 Per Sant’Agostino il coitus non era negativo, in quanto proveniente da Dio, ma diventava peccaminoso nel momento

dell’atto sessuale. Solo il matrimonio poteva frenare la libidine, perché finalizzava l’atto stesso alla procreazione. Tuttavia in assenza di una tale condizione, legittima era anche la copula fornicatoria, ossia il congiungimento fisico con una prostituta, distinta dalla copula carnalis, propria degli sposi. Secondo San Tommaso era assolutamente impossibile abolire la prostituzione, egli infatti affermava che se in un palazzo mancassero le fognature, questo si inquinerebbe all’istante, allo stesso modo il mondo cadrebbe nella sodomia se fosse privato delle meretrici. Veniva, così, legittimato il pensiero regolamentarista, costretto a tollerare la prostituzione come prezzo per la purezza sociale. In Vern L. Bullough, Storia della prostituzione, Dall’Oglio, Milano, 1967.

28

Simone De Beauvoir, op. cit.

29 Ibid.

30 Novissimo Digesto Italiano, a cura di Antonio Zara e Ernesto Eula, Unione Tipografico-Editrice Torinese, terza

edizione, Torino, 1957, XIV PROD-REF, p. 231.

31 Nanette Davis, Prostituzione, in Enciclopedia delle Scienze Sociali, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, vol. VII, 1997,

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fondamentali del fenomeno: la componente economica, che prevede la corrispondenza di un pagamento alla prestazione sessuale e la completa estraneità, in questa, della componente affettiva. Tuttavia questi elementi non risultano «sufficienti» a definire il concetto di prostituzione.32 Essa, infatti, dev’essere inquadrata all’interno di un preciso contesto culturale, perché se è vero che essa accompagna l’umanità fin dalla sua nascita e che lo stigma che ne consegue resta identico a partire dall’epoca augustea33 «in ogni tempo e luogo, la delimitazione di ciò che deve essere considerato prostituzione dipende da significati legati a specifici contesti culturali».34

Negli ultimi trent’anni, infatti, la prostituzione ha subito diverse trasformazioni, sia nella fisionomia di chi vende il proprio corpo, sia nelle dinamiche di scambio. In termini di genere si modifica per la comparsa, diffusione e visibilità, se pur inferiore rispetto a quella femminile, degli uomini nel mercato del sesso, per la prostituzione omosessuale, già esistente, ma più velata e per quella transessuale; relativamente alle dinamiche di scambio, invece, il sesso a pagamento sembra essersi evoluto rispetto alla classica immagine della prostituzione di strada, inserendosi all’interno di contesti diversi che prevedono altrettanto diverse modalità. 35

Inoltre, in anni relativamente recenti, essa viene inserita all’interno di un multiforme e più ampio mercato, meglio noto come sex business. Al suo interno troviamo linee erotiche, come chat e webcam, locali di intrattenimento sessuale, oggettistica erotica e materiale pornografico, film e siti web. Proprio perché business esso ha come base lo scambio monetario a fronte di una prestazione sessuale, di un servizio o di un bene sessuale.36

Secondo Giorgia Serughetti, in linea con le definizioni classiche di prostituzione, due sono le condizioni necessarie perché si possa definire una prestazione sessuale come prostituzione: la completa assenza, all’interno del rapporto sessuale, di un qualsiasi tipo di coinvolgimento affettivo e il pagamento di un compenso. L’assenza di un legame sentimentale, «senza vincoli di fedeltà e continuità»,37 pone la prostituzione al di fuori di «tutti gli scambi sessuo-economici che avvengono all’interno di una relazione affettiva e/o socialmente legittimata, quale il matrimonio o il

32 Secondo l’antropologa Paola Tabet tali caratteristiche sono né specifiche, né sufficienti a determinare «tutte le forme

di relazione sessuale definite prostituzione. Infatti è possibile osservare «la presenza di uno o ambedue gli elementi considerati in genere come costituitivi del rapporto di prostituzione in rapporti che non sono assolutamente qualificati come tali dalle popolazioni che li vivono» e al contrario mostrare «mostrare come vengano qualificati come prostituzione anche rapporti in cui questi due tratti o almeno uno di essi non compaiono». In Paola Tabet, La grande

beffa. Sessualità delle donne e scambio sessuo-economico, Rubetttino, Soveria Mannelli, 2004.

33 Novissimo Digesto Italiano, op. cit. 34 Giorgia Serughetti, op. cit. p. 33.

35Adele Cesaro, Giuseppe Stanziano, "Le prostituzioni: il potere e il sesso", in La camera blu. Rivista di studi di genere,

Italia, 0, jun. 2013. Disponibile all'indirizzo: http://www.camerablu.unina.it/index.php/camerablu/article/view/1619.

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Bisogna tener presente che in Italia, diversamente da altri stati europei, come l’Olanda e la Germania, in cui lavoratori e lavoratrici del sesso hanno uno status professionale riconosciuto, chi esercita la prostituzione si colloca all’interno di una sfera informale. I diversi mercati del sesso, dunque, offrono spesso servizi di scambio di merci o di prestazioni all’interno di un ambiente non regolamentato, rendendo pertanto impossibile stimare l’ammontare sia del traffico di denaro che di persone. In Stefano Becucci e Eleonora Garosi, op. cit.

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matrimonio di convenienza.38 Per Simone De Beauvoir, «dal punto di vista economico», la condizione della prostituta «è analoga a quella della donna sposata». Continua affermando che «per tutte e due l’atto sessuale è un servizio; la seconda è ingaggiata per tutta la vita da un uomo; la prima ha vari clienti che la pagano volta a volta»;39 da questo punto di vista, infatti, l’adempimento ai cosiddetti doveri coniugali «non è un favore, ma l’esecuzione di un contratto».40

A queste due caratteristiche imprescindibili, devono, però essere aggiunti due elementi altrettanto importanti: «il riferimento al sistema di rapporti tra i generi in cui lo scambio di prestazioni sessuali si inserisce»41, rapporti strutturati attraverso varie forme di disuguaglianza, di genere, appunto, ma anche economica e lo stigma sociale che accompagna la prostituta «in conseguenza di questo sottrarsi alle pratiche di scambio matrimoniale che rappresentano la norma»42. Nonostante all’interno del sex business la vendita della prestazione sessuale in cambio di denaro si configura esattamente come una merce, la commercializzazione dell’atto sessuale non gode della stessa rispettabilità di altri scambi,43 poiché, anche se interpretata in termini economici e all’interno delle logiche del mercato «non è solo il corpo in carne e ossa ad essere venduto, ma una rappresentazione della sessualità che può essere asservita alle logiche del mercato a vari livelli e in diversi contesti».44

Volendo assumere la tesi di Nunziante e Stanziano, cioè facendo coincidere il linguaggio della prostituzione con il linguaggio del mercato, dovremmo utilizzare «gli ingranaggi di un meccanismo che fa uso anche di corpi e anime, che omologa, in una pretesa di parità, rapporti umani disuguale e che nasconde sotto il termine di reciproca convenienza l’esercizio dello sfruttamento»,45 in una logica di scambio sessuale di tipo mercenario, in cui la congiuntura del piacere legato all’utile, si connota in modo asimmetrico. Bisogna, comunque, tener presente che già il fatto che una donna doveva, e in certi contesti deve, arrivare vergine al matrimonio sancisce « “nel corpo” una valore “mercenario”: verginità in cambio della protezione, della sicurezza economica e del ruolo che solo il matrimonio dava [e dà] alle donne».46

38 Ibidem.

39 Simone De Beauvoir, op. cit. p. 546-547. 40 Ibidem.

41 Giorgia Serughetti, op. cit. p.33. 42 Ibidem, p. 34.

43 Stefano Becucci, Eleonora Garosi, op. cit., p.5 44 Adele Cesaro, Giuseppe Stanziano, op. cit., p. 3.

45 Ibidem. Tale principio è in linea con la definizione che dà del termine «mercenario» il dizionario Treccani: «di

persona che presta la propria opera dietro compenso, e al solo fine di essere pagata, senz’altro interesse che quello del guadagno; anche dell’opera stessa, della prestazione fatta dietro compenso. Si riferisce di solito ad attività e prestazioni che dovrebbero essere svolte liberalmente, gratuitamente, o nelle quali il compenso non dovrebbe essere l’interesse principale»; e aggiunge nel secondo significato: «di donna, che si prostituisce, per estens., di ciò che è relativo alla prostituzione». www.treccani.it

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All’interno di un rapporto commerciale si creano necessariamente logiche di potere che legano l’acquirente al venditore e viceversa e che determinano una disparità di relazione tra il possessore dell’oggetto in vendita e il desiderio del compratore. Tali logiche si ripropongono, a maggior ragione in uno scambio sessuale, all’interno del quale, anche se viene rintracciato il potere del corpo attraente, ipoteticamente bello, comunque desiderato il potere reale è detenuto dall’acquirente, che attraverso il denaro acquisisce un diritto di prelazione sul corpo anelato. Tuttavia, secondo quanto affermato precedentemente, in virtù del fatto che non è in vendita solo il corpo in carne e ossa, ma l’intera rappresentazione della sessualità, si può affermare che il cliente non acquista solo il corpo desirato o il piacere del sesso, ma «un piacere connesso al potere», un potere che in questo caso, non è in un rapporto di contrasto diretto tra vittima e carnefice, ma si pone all’interno di dinamiche sociali, regolatrici dei rapporti.

Proprio all’interno di tale ambiguità il movimento femminista si è spaccato, tra coloro che sostengono la libera scelta di vendere il proprio corpo, rivendicando diritti e garanzie (si pensi al dibattito sulle sex worker) e chi sostiene che la prostituzione riproponga logiche maschiliste di sfruttamento.

Secondo Roberta Tatafiore, all’interno del mercato della prostituzione, la domanda è quasi esclusivamente maschile e, di conseguenza, l’offerta prevalentemente femminile.47 Le stesse dinamiche di scambio sesso-denaro risultano differenti se rivolte a uomini o a donne: se una donna richiede una prestazione sessuale a pagamento lo fa seguendo dinamiche più vicine ad una relazione, se pur di breve durata, mentre lo scambio richiesto dall’uomo è legato strettamente all’atto sessuale e, quindi, di brevissima durata.

Nonostante sia ampia la richiesta di prestazioni sessuali da parte maschile, essa avviene in un quadro di disprezzo dell’uso sessuale che di queste donne viene fatto, la peggiore stigmatizzazione per una donna sia nelle società ottocentesche che in quelle moderne era ed è quella di puttana. Di conseguenza, oltre al mancato controllo dell’espressione della sessualità maschile, l’attenzione pubblica si è sempre concentrata sull’offerta: sia nel tentativo di analizzarla che di contrastarla o controllarla, i riflettori sono sempre stati puntati sulla prostituta, colpevole moralmente «di deviare dal ruolo femminile, il cui requisito principale era la castità extramatrimoniale».48

Leggendo le motivazioni49 che spingono una donna a prostituirsi oggi, possiamo capire come in molti casi, la subalternità di genere all’interno di quello che viene definito uno scambio

47 Anche nella prostituzione maschile l’offerta è rivolta maggiormente a uomini, anche se stima in crescita l’offerta ad

un pubblico femminile.

48

Daniela Danna, Cattivi costumi: le politiche sulla prostituzione nell’Unione Europea negli anni Novanta, in «Quaderni del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale», n. 25, p. 6.

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commerciale non è affatto venuta meno, ma al contrario ripropone le stesse dinamiche additate dal fronte abolizionista come uniche cause della prostituzione.

Innanzitutto ciò che spinge una donna a prostituirsi è il bisogno economico, o assoluto o temporaneo. Questa situazione si colloca all’interno del più generale quadro lavorativo che Daniela Danna definisce “anti-femminile” e che si unisce all’enorme disuguaglianza della distribuzione della ricchezza per genere; ad esso si aggiunge la volontà di innalzare il proprio tenore di vita: i guadagni che procurano le diverse forme di prostituzione, anche quella di strada, sono nettamente superiori se paragonati a salari di altri mestieri a bassa o a bassissima qualificazione.

È stata, inoltre, rilevata dalle ricerche empiriche una bassa scolarità nelle prostitute, anche se si sa poco delle donne che esercitano la prostituzione al chiuso, soprattutto negli ambienti più privilegiati.

Spesso le ragioni economiche che stanno alla base dell’ingresso nel mondo della prostituzione si legano all’ appartenenza o comunque dalla semplice familiarità della donna con la sua subcultura (legami familiari o d'amicizia con prostitute). Alle note negative si sommano anche quelle della fascinazione per un mondo per certi aspetti avventurosi.

La presenza di tali ragioni alla base della scelta di una donna di prostituirsi, unite al sottrarsi, da parte di questa, alle pratiche di scambio matrimoniale, che rappresentano la normalità rendono maggiore lo stigma sociale, se confrontate con altre forme di intermediazione economico-monetaria dell’esperienza sessuale. Tali ragioni, che sembrano rimanere inalterate ad un secolo e mezzo di distanza, non possono che confermare come la prostituzione femminile sia collocata all’interno di un contesto attraversato da diseguaglianze di genere, economiche e dunque, di potere.

3. LA PROSTITUZIONE E IL REGOLAMENTO CAVOUR

A partire dall’Ottocento l’approccio al problema della prostituzione è regolamentistico,50 sia sulla base dei precedenti fallimenti delle posizioni proibizioniste sia sulla base di convinzioni relative all’utilità che la prostituzione aveva per la salvaguardia della moralità delle donne oneste e dell’istituzione matrimoniale.

Ciononostante, come affermato da Mendeville,51 il meretricio, così com’era stato concepito fino a quel momento, procurava conseguenze negative, quali la diffusione di malattie veneree, la distruzione della famiglia, la diminuzione dei matrimoni, l’uccisione di figli illegittimi, una società

50 Romano Canosa, op. cit, p. 19.

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amorale; soltanto una prostituzione rigidamente controllata poteva limitare tali flagelli. Infatti, la volontà di controllare la sessualità e, quindi, il meretricio non è figlia dell’Ottocento: in questo secolo, però, cambiano gli strumenti e il tipo di società che li utilizza: la burocrazia napoleonica e quella della Restaurazione sono dotati di strumenti migliori e indubbiamente più efficaci per esercitare un controllo locale tale da far rispettare l’ordine pubblico.

Anche l’adozione di spazi appositi per l’esercizio della prostituzione non costituiva una novità. Di norma venivano riservati alle prostitute strade o quartieri lontano dai luoghi di culto o simboli da indossare per essere riconosciute come meretrici e non essere confuse con le donne oneste.52 Tuttavia erano disposizioni non paragonabili alle rigorose norme53 che vigevano all’interno delle case chiuse, il cui rispetto e funzionamento non era più affidato ad un decreto del principe, ma ad un costante controllo della polizia.

«Quello che è caratteristico delle società moderne non è che abbiano condannato il sesso a restare nell’ombra, ma che siano condannati a parlarne sempre, facendolo passare per il segreto».54 Nel costatare l’aumento quantitativo dei discorsi sul sesso non si può fare a meno di ignorare gli imperativi che vi si impongono parlandone. Essi non sono stati diretti a scacciare l’idea dall’amoralità dei rapporti sessuali non finalizzati alla riproduzione, ma al contrario tali discorsi hanno contribuito a moltiplicare le condanne delle perversioni: «si è annessa la l’irregolarità sessuale alla malattia mentale; dall’infanzia alla vecchiaia, si è definita una norma dello sviluppo sessuale; si sono caratterizzate con cura tutte le devianze possibili; si sono organizzati controlli pedagogici e cure mediche; intorno alle minime fantasie i moralisti, ma anche e soprattutto i medici, hanno chiamato a raccolta tutto il vocabolario enfatico dell’abominazione: non sono questi altrettanti mezzi messi in opera per riassorbire, a profitto di una sessualità centrata sulla genitalità, tanti piaceri senza frutto?55 Tutta quest’attenzione loquace con cui facciamo chiasso intorno alla sessualità da due o tre secoli, non è finalizzata ad una preoccupazione elementare: assicurare il

52

Vern L. Bullough, Storia della prostituzione, Dall’Oglio, Milano, 1967.

53 Il Regolamento prevedeva per l’esercizio della prostituzione la residenza delle meretrici in apposite case chiuse.

Anche se erano previsti speciali permessi per l’esercizio in abitazioni private, il regolamento raccomandava che tali permessi venissero concessi con riserbo. All’interno dei lupanari le prostitute perdevano il loro status di donne indipendenti, ma direttamente controllate dalle tenutarie; inoltre le case di tolleranza avevano il grande pregio di rendere invisibile il vizio: non solo annullando fenomeno delle passeggiatrici che offendevano la sensibilità morale della borghesia, ma anche nascondendo all’esterno del lupanare le prostitute stesse: i vetri dovevano essere opachi d’inverno e coperti da persiane d’estate per un’altezza di due metri, misurati da terra; alle prostitute era severamente vietata la permanenza alla finestra o sulla porta. In Alain Corbi, op. cit. e Giovanni Bolis op. cit.

54 Michel Foucault, La volontà di sapere. Storia della sessualità 1, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1978; p.

36.

55 Già nel 1765 Antonio Genovesi, discepolo di Giambattista Vico e titolare della cattedra di economia a Napoli,

denunciava i malsani costumi che caratterizzavano la società del suo tempo, costituiti da meno matrimoni e meno nascite, quindi da meno manodopera, elementi dannosi per l’economia della società. In Antonio Genovesi, Delle lezioni

di commercio, o sia di economia civile, a cura di Maria Luisa Perna, Napoli: nella sede dell’istituto, 2005.

Nel libro Celibato, matrimonio, divorzio e prostituzione: studi sociali, il dott. Harris definisce il celibato una condizione innaturale. I celibi devono essere combattuti, poiché nascondono i più perversi istinti e vanno ad accrescere l’enorme massa dei viziosi. G. Harris, Celibato, matrimonio, divorzio e prostituzione: studi sociali, C. Cioffi, Milano, 1886.

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popolamento, riprodurre la forza lavoro e la forma dei rapporti sociali; insomma organizzare una sessualità economicamente e politicamente conservatrice?»56

Alla determinazione dei comportamenti amorali, la società borghese ha accompagnato la determinazione fisica e spaziale di tali esclusioni: quelli destinati alla prostituzione furono le case chiuse. Esse rappresentavano da un lato la marginalità e l’internamento che un rigido sistema di controllo prevedeva per le condotte prostituzionali, ma dall’altro le case chiuse erano spazi della socialità maschile in cui esprimere quella forma di cameratismo connessa alla relegazione della donna a ruolo sessuale, non solo perché presupponevano «una logica binaria angelo del focolare-donna viziosa», ma anche perché presupponevano «e non certo secondariamente, l’autorevole intervento dello Stato a celebrare la maestà sociale del desiderio sessuale maschile, il quale esige – e al quale lo Stato garantisce – il poter accedere al corpo di giovane donna attraente, igienicamente controllato e totalmente disponibile alla sua volontà».57

Come tutti i luoghi di esclusione anche i lupanari rispondevano a rigide regole gerarchiche e di disciplina del lavoro. Secondo Romano Canosa, «la divisione del lavoro sociale interveniva nel settore che stiamo considerando sotto più di un aspetto».58 Innanzitutto, essendo il meretricio considerato un lavoro poco qualificato, esso doveva rispondere quanto meno a criteri di tipo quantitativo, secondo l’ottica del lavoro salariale che la società borghese da qualche tempo pretendeva. Questa interpretazione del meretricio porta ad identificare la casa chiusa con la fabbrica ottocentesca: entrambe riproponevano la stessa disciplina aziendale, la stessa perdita della libertà dei lavoratori dipendenti: anche le prostitute dovevano rispettare gli orari lavorativi, non potevano sottrarsi al lavoro, se non per gravi motivi di salute, subivano la stessa alienazione e spersonalizzazione propria dell’addetto alla catena di montaggio, era loro preciso dovere acconsentire al maggior numero di rapporti sessuali contenibili in una giornata.

Per questi motivi le case chiuse diventano il simbolo per eccellenza dell’esclusione dalla società e non solo perché le regole dei lupanari limitavano fisicamente i movimenti delle prostitute,59 ma anche perché una volta al loro interno ogni donna venina spersonalizzata diventando schiava del lenone.60

56 Michel Foucault, op. cit. 57 Sandro Bellassai, op. cit. p.9. 58 Romano Canosa, op. cit. p. 23.

59 Parent-Duchatelet nel suo studio antropologico sulle prostitute di Parigi, non nascose la forte preoccupazione per

quest’aspetto; non solo le prostitute rischiavano confondersi con le donne oneste, ma proprio perché non riconoscibili potevano, una volta abbandonato il meretricio, “rientrare” a pieno titolo nella società e compromettere le donne oneste. Il medico francese insisteva sulle degenerazioni morali che caratterizzavano queste donne, molte delle quali, subita l’esperienza carceraria, si abbandonavano, inoltre, a comportamenti omosessuali. Alexandre Parent-Duchatelet, op. cit.

60 Il rapporto tra tenutaria del postribolo e prostituta non prevedeva accordi scritti, ma taciti patti, diventati consuetudine

all’interno di ogni casa di tolleranza: al loro ingresso le prostitute dovevano spogliarsi dei propri vestiti e beni personali affinché fossero custoditi dalla tenutaria, la quale, da quel momento sarebbe stata l’unica a rifornire di vestiario, intimo e mobilia la prostituta, che già al suo ingresso nel lupanare si indebitava; era così impossibilitata ad abbandonare la casa

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Seguendo l’esempio di Francia e Belgio, il 3 Febbraio 186061 il capo del governo piemontese emanò un decreto ministeriale sulla prostituzione destinato alla neonata nazione italiana. Si era preferito evitare l’iter legislativo a favore di un intervento diretto, perché Cavour si preoccupò subito di centralizzare il potere, dato che era il Piemonte a guidare il processo di unificazione e a rappresentare «il più forte punto di aggregazione della penisola».62

Il provvedimento trovò l’approvazione di tutti i soggetti coinvolti nell’attuazione della politica regolamentarista. Erano essi stesso, prefetti, medici, polizia dei costumi, coloro che percepivano la prostituzione come un problema grave e urgente e che disperavano di risolverlo con le politiche dei vecchi stati italiani

Le norme sulla prostituzione, meglio note come Regolamento Cavour, vennero a sostituire un eterogeneo gruppo di leggi che caratterizzavano la penisola. L’omogeneità del Regolamento, quindi, diventava simbolo di unificazione territoriale, anche se la sua applicazione non provò neppure a tener presente quelle che erano le differenze culturali proprie della penisola.

La scelta di una politica regolamentarista, in luogo dell’abolizionismo legalizzava la prostituzione, evitando di criminalizzare la prostituta, poiché, pur ammettendo che l’esercizio privato della prostituzione non poteva costituire un delitto, fortemente temute erano le conseguenze sull’ordine pubblico, sulla moralità, sulla salute. Per questo motivo lo Stato italiano etichettò le prostitute come devianti e non come criminali, ma abbastanza pericolose da richiedere il controllo diretto dello Stato e la predisposizione di luoghi di internamento. Lo Stato italiano decise a scapito della libertà delle prostitute, di salvaguardare il bene della società, sfruttando le strategie che Foucault ha analizzato per l’amministrazione delle prigioni del XIX secolo, e basate su quattro principi fondamentali: segregazione, disciplina, sorveglianza e raccolta delle informazioni.63

All’isolamento dal mondo esterno seguiva la rigida sorveglianza all’interno delle case di tolleranza con l’obiettivo di creare corpi docili e incapaci di reagire. La stessa visita sanitaria, consistente nell’ispezione vaginale della prostituta per controllarne la sanità, anche se aveva uno scopo dichiaratamente sanitario, costituiva un’invasione nell’intimità della donna, alla quale si aggiungeva un senso di degradazione, dovuta all’opinione negativa che la società del tempo aveva nei confronti di una tale visita.

Avendo come base gli Uffici Sanitari, la polizia si spargeva in tutta la città per assicurarsi che le prostitute registrate rispettassero le norme restrittive alle quali erano sottoposte: non

di tolleranza prima di aver saldato il debito. In caso di caso di fuga da parte della prostituta la tenutaria era legittimata a denunciarla per furto. In Alain Corbin, op. cit. e Giovanni Bolis, op. cit.

61 Mary Gibson, op. cit. p. 23. 62

Ibidem. Secondo Romano Canosa, la scelta dell’intervento amministrativo dipese, probabilmente, dalla «scarsa dignità della materia»; esso lasciava alla pubblica amministrazione e, nel caso specifico, alla polizia i più ampi e incontrollati poteri.

63

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attardarsi oltre il tramonto per le strade della città, non frequentare ambienti pubblici quali teatri, essere abbigliate sobriamente. Inoltre la polizia aveva il compito di arrestare tutte quelle donne ritenute sospettabili di prostituzione clandestina.

La raccolta di informazioni, oltre a combattere la prostituzione clandestina, era necessaria per controllare maggiormente le prostitute note; a questo servivano i registri con gli elenchi delle meretrici e delle loro informazioni personali, quelli degli esami medici, e quelli che annotavano gli spostamenti di ogni prostituta registrata, limitati nello spazio e nel tempo e controllati minuziosamente. Maggiori informazioni si avevano a disposizione più crescevano i mezzi di controllo, secondo la relazione circolare che si innestava tra potere e sapere.64

Tracciare un profilo sociale delle prostitute che hanno operato tra il 1860 e la Prima Guerra Mondiale diventa un’impresa ardua, perché poche sono le testimonianze che queste hanno lasciato sulla loro vita e sulla loro esperienza. Dai registri di polizia, infatti, non è possibile appurare il grado d’istruzione delle prostitute, poiché sono pochi i commenti relativi a questo aspetto. Tuttavia la polizia riteneva che anche le donne borghesi istruite, specialmente le insegnanti, si dedicassero alla prostituzione part-time. Le insegnanti ricevevano notoriamente uno stipendio molto basso.65

Secondo le autorità l’istruzione non costituiva un valore aggiunto, poiché essa poteva essere un’arma a doppio taglio e poteva condurre ugualmente al vizio, leggendo «romanzi, libri immorali e simili, che non eccitano certamente alla virtù».66 Essi aggiungevano che la scolarizzazione non creava quegli anticorpi necessari a resistere alle tentazioni immorali, che solo una stretta sorveglianza poteva limitare. L’ostilità verso l’istruzione femminile nasceva dalla volontà di impedire l’indipendenza intellettuale e quindi economica alle donne.

«Congegnate per combattere l’autonomia femminile, le norme ragolamentezioniste erano quindi dirette a tutte le donne, sia istruite sia analfabete, che venivano meno al ruolo previsto per loro».67

4. OBIETTIVI DELLA RICERCA

L’Ottocento, come abbiamo visto, è stato uno dei secoli in cui si è verificato maggiormente la scoperta dei discorsi sulla sessualità, sia pure per definirne le marginalità, come quella infantile, delle prostitute, dei pazzi e dei feticisti, analizzati poi puntualmente dalla psicanalisi di inizio

64 Michel Foucault, op. cit. 65 Mary Gibsono, op. cit. 66

Pietro Gamberini, Rapporto politico-amministrativo-clinico della prostituzione di Bologna per l’anno 1866, Gamberini e Parmeggiani, Bologna 1867, p. 34.

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secolo. L’Ottocento è il secolo che ha legiferato in modo assolutamente cosciente sulla sessualità, determinando la norma e controllando e speculando su ciò che non veniva riconosciuta come tale; è il secolo che ha considerato il corpo femminile come asettico e al servizio delle irrefrenabili voglie maschili.

Tuttavia, nonostante la numerosa letteratura presente sul tema, alcuni campi restano ancora poco esplorati: penso soprattutto alla peculiarità dell’Italia pre-unitaria, caratterizzata da diversi atteggiamenti nei confronti del meretrico, più tolleranti o magari più repressivi, cancellati definitivamente dal Regolamento Cavour. Essi potrebbero far luce su come veniva percepita la prostituzione prima e dopo il Regolamento, aiutandoci a comprendere cosa cambia nella percezione della sessualità e della marginalità a fronte di un nuovo bisogno di tutela sociale che il neonato stato nazionale ispirava.

Già i lavori di Michela Turno sul Granducato di Toscana e quello di Lucia Valenzi su Napoli alla vigilia dell’Ottocento, ci mostrano come le realtà locali affrontassero diversamente il discorso prostituzione, sessualità e marginalità, offrendo lo spunto per analizzare quelle che erano le condizioni delle prostitute nelle realtà locali prima dell’accentramento del Regolamento Cavour. Ad essi può essere aggiunto uno studio approfondito del territorio di Bologna, che grazie all’efficienza burocratica pre e post-unitaria, offre un ulteriore spunto di confronto delle diverse politiche prostituzionali e una fonte per leggere una realtà locale, scomparsa sotto l’omologazione del Regolamento.

Tra i diversi sentimenti che Bologna ha provocato nel corso dei secoli nei viaggiatori, troviamo anche quelli relativi all’universo femminile bolognese. Non è un caso, infatti, trovare nei diari di turisti, studiosi o viaggiatori di passaggio, righe dedicate alle donne bolognesi, alla descrizione del loro aspetto fisico, del loro carattere, degli usi e dei costumi, contribuendo, così, a creare stereotipi nella letteratura e nel cinema relativi all’avvenenza e alla capacità amatoria delle donne bolognesi.68 Pare, infatti, che numerosi fossero gli studenti italiani e stranieri che affluivano a Bologna certi di trovare «una facilità, forse un poco leggendaria, di delizie amorose».69

Le donne delle quali ci parlano, turisti o studenti, sono di norma delle lavoratrici, infermiere, attrici o impiegate e anche se come diceva Stendhal i rapporti a Bologna con l’altro sesso erano sentiti «come per istinto»,70 sottolineando come all’interno di una conversazione sembrava ci si dimenticasse della differenza tra uomo e donna, tuttavia la loro indipendenza da legami familiari era spesso sostituita da dalla presenza di un uomo, di norma un amante clandestino, che le rendeva

68 Maria Pia Cesaretti, Donne di Bologna, donne a Bologna. Impressioni di viaggiatori, scrittori e poeti tra XVII e XX

secolo, in Giovanni Greco, Elementi di metodologia e di didattica della storia, 2 ed. CLUEB, Bologna, 2000.

69 Ibidem, p. 299. 70 Ibidem, p. 296.

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comunque riprovevoli agli occhi della morale comune. Infatti, se l’immagine di donne libertine e disinibite poteva essere affascinante per chi era di passaggio, certo non risultava allo stesso modo gradita per gli uomini della città, quali padri, mariti o fratelli.

La fama relativa all’ars amatoria deriva anche dalla frequentazione che turisti e studenti avevano delle case di tolleranza. Il Registro delle Bollette ci mostra, infatti, i numerosi reclami dei cittadini che abitavano nelle vicinanze di un postribolo, come nel caso di alcuni di via dell’Inferno o di via de Falegnami o di via Bibiena, che oltre a subire liti fra prostitute o tra prostitute e clienti, denunciavano che «specialmente dalle ore del pomeriggio fino alle ore più tarde della motte non è dato ai sottoscritti di poter transitare per quella via e davanti casa, senza essere impunemente e con la più sfacciata insistenza con parole e atti invitati a entrare dalle stesse prostitute che là dentro esercitavano la propria professione, e che scandalosamente senza riguardo alcuno di frequente si intrattengono sulla porta d’ingresso e anche nel mezzo della strada con grande molestia e scandalo di chi abita o ha interesse a frequentare quella via».71

La prostituzione a Bologna veniva praticata da sarte, lavandaie, domestiche o contadine che nella maggio parte dei casi provenivano da altre città d’Italia, spesso perché infette. Con l’avvento del XIX secolo, infatti, cambia anche la figura della prostituta: la pubertà è anticipata di qualche anno, così come l’età media dei primi rapporti sessuali. Il resto del Carlino denuncia nel 1916 la piaga della prostituzione minorile, già diffusa nel secolo precedente, come ci mostra il già citato trattato scritto dal capo della polizia Giovanni Bolis nel 1870. Alla figura della prostituta ignorante va a sostituirsi quella della prostituta con un livello scolastico non molto più basso della media e un’intelligenza definibile nomale. Ciò che resta invariato, però, è la correlazione tra prostituzione e attività lavorativa non qualificata e poco retribuita, così come quella tra prostituzione e nucleo familiare disagiato.

In questo senso, infatti, molto stretta resta la correlazione tra prostituzione e zone industrializzate, soprattutto con l’inizio precoce della prostituzione, «così dimostrandosi, anche in questo settore, il significato inquinante da aree culturali statiche e modeste ad aree culturali con elevate esigenze economiche cui il soggetto non ha tempo di adattarsi per via normale, onde perviene alla condotta deviante».72

Su Bologna enorme è la mole di materiale che l’archivio di Stato conserva, relativamente sia alla polizia dei costumi che al secondo luogo di esclusione dopo la casa di tolleranza, destinata alla prostituta, il sifilicomio.

71

Giovanni Greco, "Controllo sociale e postriboli nella vecchia Bologna", Il Carrobbio: rivista di studi bolognesi, XXIV, 1998, pp. 221-238.

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Essa può rappresentare un caso diverso, poiché attraversa le fasi della dominazione napoleonica, che per prima nel 1802 ha introdotto un controllo della prostituzione e poi quello della dominazione pontificia, prima dell’avvento del Regolamento Cavour.

È all’interno di questo quadro generale che vorrei leggere ed interpretare le fonti che la città di Bologna ci offre relative al periodo postunitario, con uno sguardo alla documentazione immediatamente precedente, cercando di cogliere le differenze e i tratti comuni che il nuovo scenario di norme sulla prostituzione provoca nei soggetti.

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