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IL TRUST QUALE ALTERNATIVA ALLE ORDINARIE FORME DI GARANZIA TIPICHE ED ATIPICHE

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INDICE

CAPITOLO I

La disciplina del trust nell’ordinamento giuridico italiano

1. Considerazioni preliminari ………... ... p. 3 2. Il riconoscimento del trust nell’ordinamento giuridico italiano a

seguito della ratifica della Convenzione de l’Aja del 1° luglio

1985………. ... p. 7 3. L’ammissibilità dei trust “interni” nell’ordinamento giuridico

italiano……….. ... p. 21 4. La natura giuridica dei diritti esercitati sui beni oggetto del

trust………. ... p. 27

CAPITOLO II

Il trust a scopo di garanzia (o “for creditors”)

1. Note introduttive…….………... ... p. 38 2. Trust e operazioni immobiliari: i vantaggi connessi al suo

utilizzo nell’ipotesi di contratto di mutuo……… ... p. 44 2.1 Il trust a scopo di garanzia nelle operazioni di commercio

internazionale: trust e credito documentario e l’identure

trust………. ... p. 48 3. Il trust come strumento di garanzia delle obbligazioni e la

particolare figura dell’escrow o trust account………… ... p. 49 4. Il trust nelle operazioni di emissione di prestiti obbligazionari:

il rapporto con la catolarizzazione dei crediti ... p. 56 4.1 Le ragioni della preferibilità del trust rispetto al pegno (ed

al pegno rotativo) ... p. 67 4.2 ed all’ipoteca ………. ... p. 84 5. Il trust nelle società quale strumento per stabilizzarne gli assetti

proprietari ed il governo: il trust attuativo di patto parasociale

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6. Trust e Project Financing ………. ... p. 100

7. Il trust e il divieto di patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c.;

trust e sale and lease back ………. ... p. 110

CAPITOLO III

Il trust a scopo di garanzia nella crisi dell’impresa: cenni ad alcune pronunce della giurisprudenza intervenute in seguito

a delle applicazioni pratiche dell’istituto

1. Il trust e la crisi d’impresa con particolare riferimento alla nuova visione generale della procedura fallimentare in seguito alle innovazioni apportate alla L.F. dal r.d. 16 marzo 1942, n.

267…….………... ... p. 124 2. Trust e concordato preventivo……….. ... p. 127 3. Trust e accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182 bis

L.F. ……….. ... p. 137

Conclusioni ... p. 147 Bibliografia ... p. 153

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CAPITOLO I

La disciplina del trust nell’ordinamento giuridico italiano.

Sommario: 1. Considerazioni preliminari. – 2. Il riconoscimento del trust nell’ordinamento giuridico italiano a seguito della ratifica della Convenzione de l’Aja del 1° luglio 1985. - 3. L’ammissibilità dei trust “interni” nell’ordinamento giuridico italiano. – 4. La natura giuridica dei diritti esercitati sui beni oggetto del trust.

1. Il trust1 è un istituto peculiare creato dai tribunali di Equity dei paesi di Common Law e consiste in un rapporto fiduciario mediante il quale un soggetto (disponente, costituente o “settlor”) si spoglia a titolo definitivo della proprietà dei beni che costituiscono l’oggetto del trust (c.d. “trust fund”), trasferendola ad un altro soggetto (c.d.

1

In dottrina, cfr.: BALLARINO T., Diritto internazionale privato, Padova, 1999, 589; BIANCA C.M., Diritto civile, VI. La proprietà, Milano, 1999, 200; BROGGINI G., Trust e fiducia nel diritto internazionale privato, in Europa dir. priv., 1998, 399; CASTRONOVO C., Trust e diritto civile italiano, in Vita not., 1998, 1323; Id., Il trust e «sostiene Lupo», in Europa dir. priv., 1998, 441; GAMBARO A., I trusts e l’evoluzione del diritto di proprietà, in I trust in Italia oggi, a cura di BENEDENTI I., Milano 1996, 55; Id., Trust, in Dig. disc. priv., sez. civ., XIX, Torino 1999, 449; Id., Notarella in tema di trascrizione degli acquisti del trustee, in Riv. dir. civ., 2002, II, 257; Id., Un argomento a due gobbe in tema di trascrizione del trustee in base alla XV Convenzione dell’Aja, in Riv. dir. civ., 2002, II, 919; GAZZONI F., Tentativo dell’impossibile (osservazioni di un giurista non vivente su trust e trascrizione), in Riv. not., 2001, 1254 ss.; Id., In italia tutto è permesso, anche quel che è vietato, in Riv. not., 2001, 1247; Id., Il cammello, il leone, il fanciullo e la trascrizione del trust, ivi, 2002, 1107; Id., Il cammello, la cruna dell’ago e la trascrizione del trust, in www.judicium.it; LUPOI M., Il trust nell’ordinamento giuridico italiano dopo la Convenzione de l’Aja del 10 luglio 1985, in Vita not., 1992, 966; Id., Trusts, Milano 2001; Id., Lettera ad un notaio conoscitore del trust, in Riv. not., 2001, 1159; MANES P., Trust e art. 2740 c.c.: un problema finalmente risolto, in Contratto e impresa, 2002, 570; PALERMO G., Contributo allo studio del trust e dei negozi di destinazione disciplinati dal diritto italiano, in Riv. dir. comm., 2001, I, 391; Id., Sulla riconducibilità del trust interno alle categorie civilistiche, ivi, 2000, 148; SCHLESINGER P., Una «novella» per il trust, in Not., 2001, 337. In giurisprudenza, cfr: Trib. Belluno, decr. 25 settembre 2002, in Riv. not., 2002, 1538, con nota di DOLZANI M., Trust immobiliare in regime tavolare, e in Fisco, 2003, 364; Trib. Pisa 27 dicembre 2001, in Riv. not., 2002, 190; Trib. Bologna 18 aprile 2000, in Nuovo dir., 2001, 959; App. Milano 6 febbraio 1998, in Riv. dir. intern. priv. proc., 1998, 582; Trib. Lucca 23 settembre 1997, in Foro it., 2000, 2007, con nota di BRUNETTI C., Il testamento dello zio d'America. Il trust testamentario, ivi, 2008, e di LUPOI M., Aspetti gestori e dominicali, segregazione: trust e istituti civilistici, ivi, 3391.

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fiduciario o “trustee”), affinché questi li amministri e gestisca per uno scopo prestabilito, purché lecito e non contrario all’ordine pubblico, o a favore di uno o più soggetti terzi (c.d. beneficiari).

Detto trasferimento avviene in base ad un atto a titolo gratuito o “mortis causa”.

Il trust come delineato secondo la struttura di Common Law, è un fatto giuridico, non un contratto, che viene in essere con una dichiarazione unilaterale e non necessita per il disponente di alcuna “consideration” (termine proprio della cultura giuridica di Common

Law che contraddistingue il contract dal semplice agreement: si è in

presenza di contract solo quando vi è “consideration”, intendendo con ciò la ricompensa per il beneficio reso e la tutela dell’affidamento).

Il fatto, quindi, che il trust sia privo di “consideration”, comporta importanti effetti pratici, fra i quali quello di poter essere istituito per mero fine di liberalità, a titolo gratuito, con la conseguenza che non deriva alcun effetto lucrativo, di arricchimento o vantaggio personale, né per il disponente, né per il trustee2.

Soggetti di questo rapporto saranno, dunque, il disponente, la cui presenza perde normalmente rilevanza dopo che sia stato nominato il trustee e realizzato il trasferimento, in quanto egli rinuncia alla

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proprietà dei suoi beni, o di parte di essi, e li trasferisce, con un vero e proprio effetto reale, in proprietà al trustee, che diventa il solo e legittimo proprietario dei beni ricevuti e deve custodirli, amministrarli e gestirli in conformità a precisi criteri di diligenza e prudenza, mantenendoli distinti dal proprio patrimonio personale. Infine, rilevano i beneficiari, designati quali destinatari dei beni e/o dei redditi da questi prodotti e titolari di un diritto di rivalsa nei confronti del trustee. Essi rappresentano l’unico interesse che viene tutelato e devono essere determinati o determinabili. Spetta quindi solo ai beneficiari il potere e conseguente diritto di esigere la prestazione o il perseguimento della finalità del trust, che può assumere i connotati di una vera e propria azione di rivendicazione di natura reale (c.d. “tracing”, in base al quale è attribuito ai beneficiari una sorta di diritto reale di sequela sui beni del trust che siano stati illecitamente sottratti o alienati dal trustee).

Tale struttura trilaterale è, peraltro, solo eventuale: il disponente potrebbe (ove la legge regolatrice da lui prescelta lo consenta), per esempio, nominare trustee se stesso, volendo solo realizzare una “separazione” di patrimoni (c.d. trust “autodichiarato”); o potrebbe costituire trusts “di scopo” ( le cui principali peculiarità verranno evidenziate più avanti), caratterizzati dall’indeterminatezza o

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dall’inesistenza del beneficiario e dalla presenza di un “protector” (o “enforcer”, o guardiano), nominato prevalentemente con funzioni di controllo dell’attività del trustee, che consentono di esercitare, tra l’altro, il diritto di veto e il potere di revoca del trustee. Quest’ultimo potere appare molto importante, nel momento in cui consente la sostituzione del trustee negligente con altro trustee, quale effetto di un continuo controllo sull’operato di quest’ultimo, che deve essere volto a perseguire lo scopo del trust. Il generico potere di nomina del trustee gli può essere analogicamente riconosciuto anche nell’ipotesi di morte prematura del trustee o di suo fallimento.

Oggetto del trust possono essere tutti i beni, diritti o situazioni giuridiche che fanno parte del patrimonio familiare o aziendale del disponente.

Un trust “espressamente istituito” (c.d. “express trust”), corri-spondente, in linea generale, a questo schema, viene di norma realizzato attraverso due atti: un negozio istitutivo unilaterale, dal contenuto programmatico; uno o più atti dispositivi, con cui si realizza il trasferimento dei beni.

Il complesso panorama dei trusts inglesi non si esaurisce nella categoria dei trusts espressamente istituiti; accanto a questi, esiste una varietà tipologica notevolissima di trusts costituiti ope legis o

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per sentenza del giudice, quali conseguenze della valutazione legale di un atto o fatto volontario non espressamente indirizzato all’istituzione di un trust (implied, resulting, constructive trusts ). L’effetto tipico che il trust produce è rappresentato dalla cosiddetta segregazione patrimoniale, che consiste nel fatto che i beni posti in trust costituiscono un patrimonio separato rispetto ai beni residui che compongono il patrimonio del disponente, del trustee e dei beneficiari. La conseguenza più importante di un simile stato di fatto è che qualunque vicenda personale e patrimoniale colpisca negativamente questi soggetti, non travolge mai i beni in trust.

La segregazione fa sì che i beni in trust non possano essere aggrediti dai creditori personali del trustee, del disponente e dei beneficiari ed il loro eventuale fallimento non vedrà mai ricompresi nella massa attiva fallimentare i beni in trust. Potremmo dire, insomma, che tali beni sono a tutti gli effetti “blindati” e, secondo una terminologia anglosassone, “earmarking”, cioè “marchiati” affinchè non si confondano con quelli delle altre parti citate3.

2. E’ opportuno precisare, a questo punto, che solo con la XV Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, ratificata dall’Italia con legge 16 ottobre 1989 n. 364, è stata prevista pure per i “paesi

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trust” (il cui ordinamento non disciplina, cioè, detto istituto) la facoltà di riconoscere i trust internazionali (o esteri), ossia i trusts i cui elementi di fattispecie siano connessi ad ordinamenti in cui il trust sia regolato.

Più precisamente l’art. 11 I co. della Convenzione sancisce il c. d. “principio di obbligatorietà” del riconoscimento, in base al quale ciascuno Stato firmatario è tenuto a non ostacolare l’ingresso, nel proprio ordinamento, del trust che sia giudicato conforme al tipo convenzionale ed alla legge prescelta (che, ai sensi dell’art. 6, sarà quella scelta dal disponente, espressamente manifestata o desunta in via interpretativa dalle espressioni utilizzate e dalle circostanze del caso, e la cui validità è subordinata alla sola condizione che l’ordinamento designato preveda l’istituto del trust o la categoria del trust in questione), salvo il rispetto delle norme imperative, di applicazione necessaria, dei principi di ordine pubblico ed ordine pubblico internazionale della lex fori, ossia dell’ordinamento dello stato in cui quel trust è destinato ad avere applicazione (in base a quanto disposto dagli artt. 15-16-18 Conv.)4.

Ma, come è possibile dedurre dall’analisi dell’art. 13, la Convenzione dell’Aja ha introdotto anche un’altra tipologia di trust,

4

V. fra gli altri SICLARI R., Il trust nella Convenzione de l’Aja del 1° luglio 1985: un nuovo modello negoziale, in Rass. Dir. Civ. 1/2000, 106-107.

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detto “interno” (o “domestico”), caratterizzato dal fatto che tutti i suoi elementi importanti, ad eccezione della scelta della legge applicabile, sono collegati ad uno o più ordinamenti che non contemplano l’istituto.

E proprio sulla validità e conseguente riconoscibilità anche per i “paesi non-trust” del trust interno, si è accesa un’ampia diatriba che ha letteralmente diviso dottrina e giurisprudenza e dalla cui analisi non si può assolutamente prescindere, sebbene ormai possa ritenersi definitivamente risolta in senso positivo, soprattutto in seguito alle sempre più frequenti decisioni giurisprudenziali orientate in tal senso5.

Il dibattito trae origine dalla controversia sulla natura da attribuire

alla Convenzione dell’Aja. Secondo un orientamento6, ormai

5

V. su tutte Trib. di Bologna 30/09/2003, Trib. di Trieste 23/09/2005 e Trib. di Reggio Emilia 14/05/2007.

6

Cfr. in tal senso, tra gli altri, MALAGUTI M. C., Il futuro del trust in Italia, in Contr. e imp., 1990, 997; LENZI R., Operatività del trust in Italia, in Riv. not., 1995, 1381 ss.; BROGGINI G., Il trust nel diritto internazionale privato, in Jus, 1997, 11 e ss.; CASTRONOVO C., Trust e diritto civile italiano, in Vita not., 1998, 1323 ss., Id., Trust e fiducia nel diritto internazionale privato, in Europa e dir. priv., 1998, 399 e ss.; SATURNO A., La proprietà nell’interesse altrui, Napoli, 1999, 241 e ss.; RESCIGNO P., Notazioni a chiusura di un seminario sul trust, in Europa e dir. priv., 1998, 453 e ss.; RAGAZZINI L., Trust interno e ordinamento giuridico italiano, in Riv. not., 1999, 296 ss.; DE ANGELIS L., Trust e fiducia nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. civ., 1999, II, 361; GAZZONI F., Tentativo dell’impossibile (osservazioni di un giurista non vivente su trust e trascrizione), in Riv. not., 2001, 11 ss.; Id., In Italia tutto è permesso, anche quel che è vietato (lettera aperta a Maurizio Lupoi sul trust e su altre bagattelle), in Riv. not., 2001, 1247 ss.; Id., Il cammello, il leone, il fanciullo e la trascrizione del trust, in Riv. not., 2002, 1107; NUZZO E., Il trust interno privo di flussi e formanti, in Banca, borsa tit. cred., 2004, I, 427 e ss.; Id., E luce fu sul regime fiscale del trust, in Banca, borsa tit. cred., 2002, I, 248; CASTRONOVO C., Il trust e “sostiene Lupoi”, in Europa e dir. priv., 1998, 441; SCHLESINGER P., Il trust nell’ordinamento giuridico italiano, in Quaderni di Notariato, n. 7, 2002, 79; MARICONDA V., Contrastanti decisioni sul «trust» interno: nuovi interventi a favore ma sono nettamente prevalenti gli argomenti contro l’ammissibilità, , in Corr. Giur., 2004, 76 e ss.

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minoritario, trattandosi di una Convenzione di diritto internazionale privato, la sua applicazione sarebbe esclusa con riguardo al trust “interno”, in quanto fattispecie che non manifesta alcun profilo d’internazionalità, e sarebbe limitata alle ipotesi che presentino invece tale caratteristica e, quindi, comportino il conflitto tra leggi di ordinamenti diversi, atteso che le leggi internazionalprivatistiche, fra cui la XV Convenzione internazionale dell’Aja va annoverata, svolgono il compito principale di regolare potenziali conflitti di legge nello spazio. Lo stesso preambolo della Convenzione esplicita che gli Stati firmatari “hanno convenuto di stabilire disposizioni comuni relative alla legge applicabile al trust e di risolvere i problemi più importanti relativi al suo riconoscimento”. Il che sembra suggerire, secondo detto indirizzo, che la valenza della Convenzione non sia quella di introdurre il trust nell’ordinamento italiano come istituto fruibile in ipotesi “purely internal”, prive cioè di reali nessi di connessione internazionalprivatistica7. Parrebbe, invece, che il testo convenzionale sia solo ed esclusivamente finalizzato a favorire l’operatività dei trusts connessi con

7

Cfr. GAMBARO A., in Notarella in tema di trascrizione di acquisti immobiliari del trustee ai sensi della XV Convenzione de l’Aja, in Riv. Dir. civ.2002, II, 257-266.

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ordinamenti che regolano tale istituto anche negli ordinamenti che non lo prevedano8.

Si sottolinea che, qualora non dovesse sussistere alcun potenziale conflitto di leggi nello spazio, non potrebbero essere applicati i principi di diritto internazionale privato, dovendo il negozio di trust essere regolato secondo la legge del foro9. Diretta conseguenza di tale considerazione sarebbe, dunque, l’impossibilità di conoscere un trust che abbia nell’ordinamento italiano “il suo centro di gravità perché ivi sono localizzati in misura preponderante i beni, perché ivi ha residenza il fiduciario o perché ivi ha sede l’amministrazione dei beni”.10

Concordemente altra parte della dottrina sottolinea che la scelta della legge applicabile presupporrebbe una fattispecie che postuli per lo meno “l’esistenza di un istituto con collegamenti plurinazionali ed elementi di estraneità, di (potenziale) conflitto”, mentre “venendo meno la multinazionalità della materia, non può che scomparire anche l’esigenza di doversi richiamare alle ricordate regole di diritto

internazionale”.11 In quest’ottica numerose sentenze della

Cassazione sostengono “il principio della necessaria presenza di

8

Cfr. GAMBARO A., op. ult. cit., 262-263 9

Cfr. BRAUN A., Trusts interni, in RDC, 2000, 578. 10

Cfr. BRAUN A., op. ult. cit., 578. 11

Cfr. NUZZO E., E luce fu sul trattamento fiscale del trust, in Banca, borsa tit. cred., 2002, I, 249.

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elementi di estraneità per l’applicazione del diritto internazionale privato”, in quanto dette norme “intervengono per disciplinare fattispecie in cui sussistono elementi di estraneità e, quindi, per dirimere conflitti tra diverse legislazioni”.12

Non manca chi evidenzia13 l’ostacolo imposto all’ammissibilità di una simile figura dall’art. 13 della Convenzione, secondo cui gli “Stati non-trust” non sarebbero tenuti a riconoscere un negozio istitutivo di trust, qualora manchino reali nessi di collegamento con ordinamenti in cui tale figura sia prevista. Ai sensi dell’art. 13 della Convenzione, infatti, né la legge da applicare, né il luogo di

amministrazione e né la residenza abituale del trustee rappresentano

elementi sufficienti ad integrare un valido nesso di connessione per l’insorgere dell’obbligo di riconoscimento. In altri termini, quand’anche tali tre elementi fossero direttamente riconducibili all’ordinamento di uno Stato in cui il trust sia regolato, tuttavia, secondo la lettura dell’art. 13 Conv. offerta dalla dottrina in esame, non sussisterebbe a carico degli “Stati-non trust” alcun obbligo di

12

Cfr. NUZZO E., op. ult. cit., 248, nota 14. 13

Cfr. BROGGINI G., Trust e fiducia nel diritto internazionale privato, in Europa dir. priv., 1998, 411, il quale in tema di trusts interni, contenenti un mero richiamo della legge straniera ai sensi dell’art. 6 Conv., ha affermato di non condividere “un simile uso dello strumento di scelta del diritto applicabile, di fronte ad una fattispecie che non presenti collegamenti territoriali o personali con diversi ordinamenti giuridici. Lo strumento della scelta del diritto applicabile, come tutti gli strumenti di determinazione del diritto applicabile, presuppone l’esistenza di una fattispecie con collegamenti plurinazionali o internazionali che dir si voglia[…]. Nel sistema internazionalprivatistico, la scelta del diritto applicabile diverso da quello al quale tutti gli elementi della fattispecie fanno riferimento, rappresenta un abuso della legge, cioè un abuso della regola che permette la scelta del diritto applicabile.”

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riconoscimento del negozio14. L’ipotesi del trust c. d. interno rientra a pieno titolo nelle fattispecie delineate dall’art. 13 Conv.: essa infatti, è caratterizzata da un trust i cui “elementi importanti, ad eccezione della scelta della legge da applicare[…], sono più strettamente connessi a Stati che non prevedono l’istituto del trust o la categoria del trust in questione”.

Stando dunque all’art. 13 ed alla lettura che parte della dottrina ne ha proposto, non sussisterebbe, per le ipotesi in esame, alcun obbligo di riconoscimento.

Si è sostenuto15, in tal senso, che “dagli articoli 1-11 e 13 si ricava, con sufficiente chiarezza, che si è voluto evitare che il trust possa essere utilizzato nella pienezza del suo significato in paesi che non conoscono la figura; sicché in Italia esso risulta oggi ammesso nei limiti dell’art. 14, ossia quando si tratti di un “express trust” genericamente creato in un paese che conosca e disciplini il tipo di trust in questione”.

La Convenzione, in buona sostanza, secondo quanto affermato da altra autorevole dottrina16, non avrebbe la forza di “norma di diritto

sostanziale uniforme”, non sarebbe cioè idonea a modificare il diritto

14

V. GALLUZZO F., Autonomia negoziale e causa istitutiva di un trust, nota a Trib. di Velletri, sez. I, 29/06/2005, in Corr. Giur. n. 5/2005, 695 e ss.

15

Cfr. VETTORI G., voce Opponibilità, in Enc. Giur., 1999, 11. 16

Cfr. RESCIGNO P., Notazioni a chiusura di un seminario sul trust, in Europa e dir. priv., 1998, 457.

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sostanziale interno al nostro ordinamento17. Detto presupposto parrebbe invece necessario per affermare la libera e piena fruibilità dell’istituto del trust anche da parte dei cittadini italiani, in ipotesi di trusts carenti di elementi atti a fondare una valida connessione internazionalprivatistica.18

Secondo una diversa ricostruzione19, invece, la Convenzione avrebbe

17

Cfr. D’ERRICO M.. Trust convenzionale, in Quaderni di notariato, n.7, 2002, 17 18

Cfr. BROGGINI G., Trust e fiducia nel diritto internazionale privato, cit., 407ss. 19

In dottrina, in senso favorevole alla riconoscibilità del trust interno, cfr. LUPOI M., Il trust nell’ordinamento giuridico italiano dopo la Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, in Vita not., 1992, 978 ss.; Id., La sfida dei trusts in Italia, in Corr. giur., 1995, 1205 ss.; Id., Legittimità dei trusts interni, in I trusts in Italia oggi, Milano, 1996, 30 ss.; Id., Lettera a un notaio curioso di trusts, in Riv. not., 1996, 348 ss.; Id., Trusts, Milano, 2001, 533 ss.; Id., Lettera a un notaio conoscitore dei trust, cit., 1159 ss.; BARTOLI S., Trusts, Milano, 2001, 597 ss.; CALVO R., La tutela dei beneficiari nel trust interno, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, 51 ss.; MARE’ E., Trust e scissione del diritto di proprietà, in Corr. giur., 1995, 167; BUSATO A., La figura del trust negli ordinamenti di common law e di diritto continentale, in Riv. dir. civ., 1992, II, 341 ss.; DE DONATO A.– DE DONATO V.– D’ERRICO M., Trust convenzionale. Lineamenti di teoria e pratica, Roma, 1999, 80 ss.; RISSO L. F., Dibattito sulla legge regolatrice del trust e ruolo del notaro, in TAF, 2001, 333; Id., Il libro degli eventi del trust, in TAF, 2000, 127 ss.; DOLZANI M., Un trust azionario, in TAF, 2001, 479 ss.; BRAUN A., op. cit., 577 ss.; SALVATORE L., Il trend favorevole all’operatività del trust in Italia: esame ragionato di alcuni trusts compatibili in un’ottica notarile, in Contr. e impr., n. 2, 2000, 644 ss.; IUDICA G., Trust e stock option, in TAF, 2000, 511 ss.; CAPANNA S., L’omologazione dell’atto costitutivo di società di capitali, Milano, 1998, 741; AMATI P.– PICCOLI P., Trascritto un immobile in trust, in Notariato, 1999, 593 ss.; PICCOLI P. – RAITI N., Atto di costituzione di trust, in Notariato, 1996, 269; PICCOLI P., Il trust: questo (sempre meno) sconosciuto, in Notariato, 1996, 391 ss.; Id., Possibilità operative del trust nell’ordinamento italiano. L’operatività del trustee dopo la Convenzione dell’Aja, in Riv. not., 1995, 66 ss.; MORELLO U., Fiducia e trust: due esperienze a confronto, in Fiducia, trust, mandato ed agency, Milano, 1991, 97 ss.; Id., Fiducia e negozio fiduciario: dalla riservatezza alla trasparenza, in I trust in Italia oggi, Milano, 1996, 95 ss.; LIPARI N., Fiducia statica e trusts, in I trust in Italia oggi, cit., 75; DI CIOMPO F., Per una teoria negoziale del trust (ovvero perché non possiamo farne a meno), in Corr. giur., 1999, 786 ss. D’ORIO M. E., Un trust a garanzia di un prestito obbligazionario. Percorsi e tendenze nella dottrina sui trusts, in Vita not., 1997, 1077 ss.; LENER R. – BISOGNI G.B., Omologa di prestito obbligazionario, in Società, 1997, 586 ss.; STEIDL F., Prassi italiana in materia di pubblicità societaria, in TAF, 2000, 130 ss.; LUZZATTO R., Legge applicabile e riconoscimento di trusts secondo la Convenzione dell’Aja, in TAF, 2000, 14 ss.; CARBONE S. M., Autonomia privata, scelta della legge regolatrice del trust e riconoscimento dei suoi effetti nella Convenzione dell’Aja del 1985, in TAF, 2000, 145 ss.; CHIZZINI A., Revoca del trustee e legittimazione all’azione possessoria, in TAF, 2000, 47; BUTTA’ S., Effetti diretti della Convenzione dell’Aja nell’ordinamento italiano, in TAF, 2000, 557 ss.; TONELLI A., Affidamento di beni immobili e trascrizione, in TAF, 2000, 621 ss.; CANESSA N., I trusts interni. Ammissibilità del trust e applicazioni pratiche nell’ordinamento italiano, Milano, 2001, 3 ss. e 17 ss.; MINGRONE M. L., Panorama della giurisprudenza italiana sui trust, in TAF, 2001, 221 ss.; MAIMERI F., Il trust nelle operazioni bancarie. La cartolarizzazione dei crediti, in TAF, 2000, 329 ss.; Id., Responsabilità del trustee di un finanziamento bancario, in TAF,

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natura di norma di diritto sostanziale uniforme: essa non si limiterebbe ad imporre agli Stati aderenti l’obbligo di riconoscere i soli trust c.d. internazionali, ma, al pari di qualsiasi altra norma di diritto interno, avrebbe introdotto il trust nell’ordinamento interno come strumento liberamente fruibile dai cittadini italiani, anche in assenza di elementi di connessione internazionalprivatistici. Essa non avrebbe ad oggetto il riconoscimento e la ricezione del trust, tipico istituto di Common Law già elaborato dalle corti di Equity, nel nostro ordinamento, ma solo l’individuazione di norme di collegamento uniformi, ai fini della determinazione della legge regolatrice. In tal modo non avrebbe ingresso in Italia un istituto straniero e finora sconosciuto, ma diverrebbe semplicemente possibile applicare ai rapporti di cui all’art. 2 una legge straniera sulla base della mera volontà delle parti. La Convenzione avrebbe, così, una funzione c.d. pedagogica nei confronti dei giuristi di Civil

Law ed imporrebbe il trust non, appunto, con riferimento al

tradizionale modello inglese, ma come istituto autonomo, dotato dei caratteri e degli effetti che lo caratterizzano nel sistema giuridico designato dalle norme di conflitto uniformi dettate dalla

2000, 530; GAMBARO A., Il diritto di proprietà, in Trattato di dir. civ. e comm. diretto da Cicu A.-Messineo F., Milano, 1995, 637 ss.; Id., Trasferimento di quote sociali al trustee: iscrizione nel registro delle imprese, in TAF, 2000, 225 ss.; Id., Notarella in tema di trascrizione degli acquisti immobiliari del trustee ai sensi della XV Convenzione dell’Aja, in Riv. dir. civ., 2002, II, 257 ss.

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zione, persino qualora la lex fori ignori l’istituto in questione. Si è osservato, sul punto, che in tal modo si rischierebbe di dare ingresso nel nostro ordinamento non solo al tradizionale trust anglosassone, ma pure ad istituti distinti ancorché prossimi. È stato allora evidenziato che la descrizione di cui all’art. 2 della Convenzione avrebbe il solo scopo di indicare le caratteristiche proprie di figure di trust positivamente esistenti negli ordinamenti che prevedono un simile istituto.

Sulla base di tali argomentazioni è stata quindi prospettata, altresì, la possibilità di far rientrare nell’ambito di applicazione della Convenzione i trust interni, in quanto essa afferma in via generale, all’art. 11, che una struttura costituita in conformità alla legge specificata, ai sensi dell’art. 6, deve essere riconosciuta, appunto, come trust 20.

La dottrina più accreditata21 ha ritenuto che il modello di trust contenuto nella Convenzione possa essere definito “amorfo”, in quanto la Convenzione non contiene disposizioni sostanziali unifor-mi, volte a dare una compiuta definizione all’istituto e indubbia-mente, pur ammettendone altri, si indirizza prevalentemente ai trusts

20

Più specificamente, tale dottrina osserva che l’art. 6 suddetto concede alle parti la possibilità di scegliere liberamente la legge regolatrice del trust, a condizione che questa disciplini l’istituto. Ne consegue, secondo il detto indirizzo, che a rilevare è esclusivamente la scelta di una legge che conosca il trust, non la riferibilità o meno ad un qualche ordinamento straniero degli elementi costitutivi di questo.

21

(17)

dei paesi di Common Law. In effetti l’art. 2 definisce la nozione di trust, che costituisce l’oggetto della Convenzione, “l’insieme dei rapporti giuridici istituiti da una persona, il costituente - con atto tra vivi o mortis causa - qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico”.

Vengono, poi, specificati i tratti caratteristici necessari del trust: 1) I beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del

patrimonio del trustee;

2) I beni del trust sono intestati a nome del trustee o di un’altra persona per conto del trustee;

3) Il trustee è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre dei beni secondo i termini del trust e le norme particolari impostegli dalla legge.

4) Il disponente può riservarsi certi diritti e poteri e sia questi, sia il trustee stesso, possono essere i beneficiari del trust.

La generica formulazione del predetto art. 2 non consente di determinare con certezza quale sia l’oggetto della Convenzione. Sebbene, infatti, venga adoperato il termine trust, che rievoca l’omonimo istituto del diritto anglo-americano, ed allo stesso istituto si fa esplicito riferimento nelle premesse iniziali della Convenzione,

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i tratti strutturali delineati non corrispondono precisamente all’isti-tuto di Common Law. La formula convenzionale descriverebbe una figura di trust “amorfo”, di un trust, cioè, non riconducibile al tradizionale modello inglese, ma inclusivo di una vasta serie di strutture negoziali riscontrabili in ordinamenti anche civilistici e misti.

Rispetto al modello del trust tradizionale inglese, nell’art. 2 manca, o quanto meno è considerato opzionale, il trasferimento dei beni al trustee: più precisamente la Convenzione richiede la mera sottoposizione dei beni “al controllo del trustee” e detta scelta costituisce un indice ineluttabile della volontà di confinare il profilo traslativo, tipico del trust anglosassone, nell’area dei dati strutturali meramente eventuali della figura convenzionale; si ammettono in via generale i trusts di scopo, la cui ammissibilità, come già accennato, è invece soggetta a notevoli restrizioni nell’ordinamento anglosassone; non si menziona espressamente alcuna matrice fiduciaria nell’“affi-damento” dal disponente al trustee, né si individua il rapporto tra trustee e beneficiari, così come mancano indicazioni che consentano di chiarire la posizione dei creditori del disponente e di individuare quale sia il soggetto titolare del rendiconto; si considerano esclusivamente i trusts espressamente istituiti, a fronte della

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com-plessa tipologia dei vincoli costituiti per sentenza (constructive,

resulting, implied trusts)22.

Pertanto, la tipologia del trust amorfo consiste sostanzialmente in un modello astratto e privo di elementi caratterizzanti, così da essere più facilmente inquadrabile ed adattabile sia negli ordinamenti di

Common Law, sia in quelli di Civil Law, quale il nostro.

La dottrina che ha affermato e sostenuto l’ammissibilità e l’efficacia del negozio di trust c. d. “interno”23, ha correttamente rilevato che se fosse tout court negata validità ai trusts interni, regolati da legge straniera, si arriverebbe al paradosso per il quale sarebbe obbligatorio riconoscere in Italia trusts istituiti da stranieri, aventi ad oggetto beni siti in Italia e regolati da una legge estera, ed al contrario sempre negato il trust costituito da cittadino italiano, con

22

V. sul punto anche SICLARI R., op. cit., 98 e ss.: l’ autore in particolare, con riferimento alle tipologie di trust inclusi nell’area convenzionale, rileva che sicuramente, in base al combinato disposto degli artt. 3 e 20, sono esclusi, oltre a quelli non comprovati per iscritto, quelli non costituiti “volontariamente” e quelli costituiti in base ad una decisione giudiziaria (anche se l’art. 20 prevede la facoltà degli stati contraenti di dichiarare, in qualsiasi momento, che le disposizioni della Convenzione siano estese ai trust costituiti in base ad una decisione giudiziaria). Da ciò deriva dunque che devono intendersi sicuramente inclusi i trusts costituiti espressamente (express trusts, appunto), siano essi inter vivos o mortis causa, indipendentemente dalla finalità cui siano preordinati, mentre rimangono fuori quelli costituiti in forza di legge (statutory trusts). E’ incerto, invece, se vi rientrino le tipologie degli implied trusts, resultig trusts e constructive trust: la lettera dell’art. 3 è al riguardo estremamente ambigua poiché adotta una terminologia che non trova riscontro nella tradizione anglosassone, cui è del tutto ignota la categoria dei trusts “volontari”.

23

Cfr., primo fra tutti, LUPOI M., in Trusts, Milano, 2001, 546-7. Peraltro, osserva l’autore, dai lavori preparatori sembra emergere la finalità dei redattori di introdurre con tale dizione una categoria più ampia di quella tradizionale degli express trusts (cui si riferiva l’originario testo della disposizione), al fine di includere nell’ambito convenzionale sia gli implied trusts che i resultig trusts, in quanto comunque caratterizzati da una sottesa volontà del disponente, tacita o presunta. Secondo tale ricostruzione quindi, salva la riserva di cui all’art. 20, resterebbero al contrario esclusi i constructive trust, in quanto costituiti in virtù di decisioni giurisprudenziali equitative.

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evidenti profili di incostituzionalità ex art. 3 della Costituzione.24 La suddetta dottrina si è avvalsa, soprattutto, dei risultati derivanti dall’interpretazione sistematica degli artt. 6 e 13 della Convenzione. L’art. 6 Conv. prevede, infatti, il principio della libera scelta della legge regolatrice del trust da parte del disponente (“il trust è regolato dalla legge scelta dal costituente”). Sarebbe ben possibile, dunque, secondo detto indirizzo, che la libertà di scelta sancita dalla norma in esame legittimi anche il cittadino di un “ordinamento non-trust” a costituire un negozio regolato dalla legge di un “ordinamento-trust”, pur in assenza di ulteriori e differenti elementi di connessione con ordinamenti esteri. In base al criterio della libertà di scelta sancito all’art. 6, perciò, l’individuazione della legge applicabile risulta disancorata dalla esistenza di altri elementi di internazionalità della fattispecie, che non vengono più ritenuti necessari al fine dell’applicazione della Convenzione: diversamente, “La dottrina italiana e straniera tende a porre un limite, non scritto nell’art. 6: deve trattarsi di un trust presentante elementi di internazionalità. Questa opinione è radicalmente errata: non esistono limiti alla libertà del disponente di scegliere la legge regolatrice del negozio istitutivo del trust”.25

24

SALVATORE L., op. cit., 646; 25

(21)

In conformità a questa opinione, l’individuazione della legge che disciplina il trust non è logicamente e cronologicamente successiva all’accertamento della presenza di caratteri sostanziali di interna-zionalità della fattispecie (quali la cittadinanza delle parti, il domicilio di essi, il luogo ove i beni si situano), ma è essa stessa presupposto per l’applicazione della Convenzione. Pertanto, sarebbe sufficiente la sola scelta di una legge straniera, che regoli il trust, per rendere applicabile la Convenzione, così da permettere il riconoscimento di un soggetto giuridico privo di oggettivi elementi di internazionalità, all’interno di un ordinamento che non disciplina questo particolare istituto.

3. Seguendo la ricostruzione favorevole alla costituzione di trusts meramente interni, è da ritenersi che l’operatore giuridico italiano possa essere chiamato a dare attuazione a trusts costituiti da italiani su beni situati in Italia, in difetto di elementi di internazionalità della fattispecie, con l’unico limite dovuto alla regolamentazione del negozio mediante l’applicazione di una legge straniera che disciplini il trust.

L’art. 13 della Convenzione, invece, riconosce il potere, allo Stato che dovrebbe provvedere al riconoscimento, di rifiutarlo se gli

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elementi fondamentali del trust, all’infuori della legge regolatrice richiamata, del luogo di amministrazione e della residenza abituale del trustee, rimandano ad un diverso ordinamento che non disciplini invece l’istituto in quanto tale. I sostenitori dell’indirizzo in esame affermano che “l’art. 13 non è una norma che sancisca un divieto di riconoscimento immediatamente applicabile agli Stati aderenti che non prevedono il trust, ma andrebbe interpretato in stretta correlazione col successivo art. 15 in ordine ai limiti di ricono-scimento, da ritenersi invalicabili quando gli effetti prodotti dall’istituzione di un trust deroghino materie che la Convenzione stessa ritiene inderogabili”26. Qualora non dovesse essere derogata alcuna delle norme imperative richiamate dall’art. 15, detta dottrina ritiene non sussistere alcun limite al riconoscimento di un trust c. d. “interno”, ribadendo che “nel nostro ordinamento non esiste alcuna norma di divieto di istituzione del trust, ma, al contrario, può affermarsi in via generale che, nell’esercizio della autonomia che la legge riserva alla persona, essa può liberamente agire”27.

In sintesi, la facoltà di scelta della legge regolatrice per il costituente, disposta dall’art. 6 Conv., e la pretesa facoltà di riconoscimento del c. d. trust “interno”, disposta dall’art. 13 Conv., confermerebbero,

26

In tal senso depongono i lavori preparatori oltre che la lettera della norma. Cfr. LUPOI M., Trusts, cit., 448 e ss.; STEIDL F., Prassi italiana in materia di pubblicità societaria, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, 130 e ss.

27

(23)

secondo detta dottrina, l’ammissibilità dei trusts in cui tutti gli elementi, salvo il richiamo alla legge straniera, siano interni al nostro ordinamento.

Inoltre, l’assenza di esplicite norme restrittive della facoltà di ricono-scimento varrebbe ad ulteriormente confermare la riconoscibilità, nel nostro ordinamento, pure dei trusts il cui solo elemento connesso agli ordinamenti stranieri sia dato dalla legge richiamata ai sensi dell’art. 6 Conv. Parrebbe, infatti, che l’Italia, non avendo previsto alcuna restrizione ai sensi dell’art. 21 Conv., si sia impegnata a “riconoscere i trusts in via generale”28

Ma la più autorevole dottrina29 - che ha via via assunto sempre

maggiori consensi anche in giurisprudenza30 - ha superato l’obie-zione alla validità dei trust interni, basata sulla mancanza di elementi di connessione internzionalprivatistica, che possano giustificare l’applicazione della legge straniera (cioè di un “paese-trust”) ai sensi della Convenzione (in quanto, questa, normativa di diritto interna-zionale privato, così come sostiene l’opinione maggioritaria, allorché attribuisce tale natura alla Convenzione dell’Aja), individuandone l’elemento giustificativo nei concetti di residualità e liceità: l’istituto del trust interno cioè, è valido, ed in quanto tale riconoscibile, solo

28

Cfr. BRAUN A., op. cit., 58. 29

LUPOI M., op. ult. cit., 546 e ss. 30

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se con esso si tende al raggiungimento di un obbiettivo che gli ordinari strumenti civilistici non consentono di conseguire e che, però, deve rappresentare interessi meritevoli di tutela (il concetto di meritevolezza di tutela da parte dell’ordinamento giuridico, espresso dall’art. 1322 c.c. è, infatti, da identificare proprio con quello di liceità) e non in contrasto con i principi dell’ordinamento giuridico (ad es. la creazione, da parte di due conviventi more uxorio, nell’interesse dei propri figli, di un patrimonio separato, in analogia al fondo patrimoniale - la cui costituzione invece non è consentita alla famiglia di fatto -, in cui poter conferire anche beni ulteriori rispetto a quelli consentiti dall’art. 167 I co. c. c. e dalla durata non vincolata a quella del matrimonio o del raggiungimento della maggiore età da parte dell’ultimo figlio minore).

Si deve dunque valutare se l’atto istitutivo del trust interno è (o non è) portatore d’interessi che sono meritevoli di tutela per l’ordi-namento giuridico, senza limitarsi alla semplice definizione dello “scopo”, ma estendendo l’analisi al “programma” che si è prefissato il disponente, nel momento in cui ha deciso di dar vita al trust31.

In altri termini, occorre esaminare la meritevolezza della causa “concreta” del trust ( quella “astratta”, del trust “amorfo” delineato nella generica formulazione dell’art. 2 della Convenzione, è già stata

31

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definita e riconosciuta dalla Legge 364/1989, di ratifica della Convenzione dell’Aja) che, secondo la dottrina prevalente, sarebbe individuabile nel programma della segregazione di una o più posizioni soggettive o di un complesso di posizioni soggettive unitariamente considerato (beni in trust), affidate al trustee per la tutela di interessi che l’ordinamento ritiene meritevoli di tutela (scopo del trust). Se, dunque, lo scopo delle parti è quello di predisporre patrimoni che siano funzionalizzati al perseguimento dello scopo, l’ordinamento, nel caso in cui lo scopo sia legittimo, non può che attribuire rilevanza giuridica agli interessi concretamente perseguiti dai contraenti32.

A questo punto, dando per assodata la Convenzione dell’Aja, e quindi la possibilità oggi riconosciuta di poter istituire trust interni, in forza della legge nazionale per l’integrale ratifica ed esecuzione, appare necessario analizzare preliminarmente la disciplina, in questa contenuta, per individuare i requisiti minimi che reggono tale istituto33.

La Convenzione rappresenta, infatti, la prima struttura normativa su cui esso si fonda e richiede cinque requisiti obbligatori, oltre ad un

32

PALERMO G., Sulla riconducibilità del “ trust interno” alle categorie civilistiche, in Riv. dir. comm., 2000, 148 e ss.; GALLUZZO F., op. cit., 702.

33

Sul punto v. TONELLI A., Trust di scopo e loro applicazioni, intervento al Convegno di Lanciano del 20-21-22/11/2008 dal titolo “Introduzione al diritto dei trust: possibili applicazioni”.

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sesto, che invece è alternativo.

Detti requisiti possono consistere nella seguente classificazione: 1) la volontarietà, cioè la scelta di istituire un trust proveniente da

un atto frutto di libera autonomia negoziale da parte di un soggetto;

2) l’uso della forma scritta per manifestare detta volontà;

3) l’esistenza di un fondo, ovvero di beni da impiegarsi per lo scopo prefissatosi;

4) l’esistenza di un trustee al quale, sempre secondo la Convenzione, viene conferito il potere di “controllo” del fondo; 5) il venire ad esistenza dell’effetto segregativo che si imprime sul

fondo, rispetto al patrimonio personale del trustee;

6) l’essere il trust o istituito a vantaggio di persone determinate o determinabili, definite beneficiari, o finalizzato al perseguimento di uno scopo lecito.

La seconda struttura normativa che regge il trust è costituita dalla legge ad esso applicabile, considerato che la Convenzione lo sancisce all’art. 6: indipendentemente dalla normativa scelta da applicare al trust (sia essa appartenente ai modelli internazionali, sia essa la legge inglese), si evince che essa richiede l’ulteriore requisito del trasferimento del fondo, con effetti reali, al trustee che ne diviene

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il solo e pieno proprietario. Non bisogna pertanto fermarsi alla lettura della sola Convenzione e cadere nel tranello rappresentato dal fatto che essa richiede la mera sottoposizione dei beni “al controllo del trustee”, perché ciò è destinato ad esser smentito dalla legge applicabile prescelta.

La terza ed ultima struttura normativa che regge l’istituto è invece rappresentata dalla lex fori, cioè dalla legge del luogo in cui il trust è destinato ad operare, dato che, in relazione a quest’ultimo aspetto, gli artt. 15-16-18 della Convenzione prevedono la liceità operativa del trust e pertanto la sua non contrarietà alle norme di ordine pubblico ed imperative contenute nella lex fori.

4. Passando ora ad analizzare la natura giuridica dei diritti esercitati sui beni oggetto del trust, sono emersi numerosi problemi, che hanno provocato un ampio dibattito, soprattutto in relazione al fatto che quella parte della dottrina e della giurisprudenza, contrarie all’ammissibilità del trust interno, hanno posto a fondamento della propria tesi l’art. 2740 c.c., il c.d. principio del numerus clausus dei diritti reali (c.d. “tipicità” dei diritti reali), ed il principio della tipicità degli atti trascrivibili ex art. 2643 c.c.

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trust, costituito dalla separazione patrimoniale, è stato utilizzato da una parte della dottrina per affermare la sua incompatibilità con l’ordinamento giuridico italiano, in ragione del fatto che esso violerebbe il principio della responsabilità patrimoniale e dell’unità del patrimonio consacrato all’articolo 2740 c.c., in quanto attuerebbe una limitazione della responsabilità generica di fonte pattizia vietata dal disposto del comma 234. Infatti l’art. 2740 dispone che: “Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Le limitazioni alla responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge”.

Ai sensi dell’art. 2740 del c.c., quindi, la responsabilità patrimoniale generica è derogabile nei soli casi esplicitamente previsti dal legislatore. In quest’ottica la Convenzione, non costituendo una normativa di diritto sostanziale interno, ma di diritto internazionale privato, non parrebbe idonea ad introdurre un’ipotesi di patrimonio separato ulteriore rispetto a quelle disposte dal codice civile35. Tuttavia parte della dottrina favorevole al riconoscimento del trust afferma che “la separazione dei beni dal patrimonio del titolare è dato caratteristico e qualificante di ogni trust, sì che l’art. 2740

34

Cfr. MINASSI D., La Causa, Napoli, 2002 opera multimediale, pagina “ Il negozio fiduciario“.

35

Cfr., fra gli altri, MAZZAMUTO S., Il trust nell’ordinamento italiano dopo la Convenzione de l’Aja, in Vita Not., 1998, 1323 ss.; Cfr. PESIRI F., L’applicazione dei trust in Italia, in Rass. Dir. Civ., 1997, 455 ss.

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impedirebbe l’esistenza giuridica per il nostro ordinamento di qualsiasi trust, mentre c’è la legge di ratifica che sancisce il contrario”. Si sostiene, in altri termini, che, qualora il principio posto dall’art. 2740 c.c. dovesse porsi come preclusivo per la figura del trust, detta considerazione finirebbe per privare di efficacia la stessa legge di ratifica, che al contrario ha sancito la riconoscibilità del trust nell’ordinamento giuridico italiano. Qualora, invece, si giungesse a ritenere la norma del codice derogata dagli articoli della Convenzione, tale considerazione dovrebbe indurre a ritenere il trust come vera e propria eccezione, legalmente autorizzata, all’art. 274036.

Invero, la chiave di soluzione del problema va rinvenuta nella causa che giustifica l’attribuzione dei beni in favore del trustee. E’ pacifico, infatti, che il disponente non intende trasferire, con l’atto di costituzione di trust, la proprietà dei beni al trustee, affinché questi diventino suoi senz’altro, ma intende destinare detti beni a dati scopi, per il cui raggiungimento è ulteriormente necessaria l’attività di collaborazione del trustee. L’equivoco interpretativo, da parte della dottrina che afferma l’incompatibilità del trust con la norma contenuta nell’art. 2740 c.c., dipende dal difetto di analisi della

36

Ordinanza del Trib. Di Pisa del 22 dicembre 2001, con nota di LUPOI M., I trust interni al vaglio giurisdizionale in occasione della trascrizione di un trust autodichiarato, su Notariato, 2002, 383-390.

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fattispecie del trust, il cui effetto tipico viene individuato nella semplice separazione dei beni in trust dal patrimonio del trustee, e non nel più complesso effetto che consiste, invece, nel trasferimento della titolarità dei beni funzionalizzata al raggiungimento degli scopi propri del trust37.

La giustificazione dell’effetto della separazione va ricercata non nello stesso effetto di tale fenomeno, cui sarebbe indirizzata la volontà delle parti, ma nella natura del diritto trasferito in capo al trustee, che non corrisponde al tipico diritto di proprietà, posto che l’attribuzione dei beni è funzionalmente diretta al soddisfacimento degli scopi sottesi al trust, mediante l’esplicazione delle funzioni proprie del trustee.38

La previsione, tuttavia, della possibilità di costituire un patrimonio separato (le ipotesi di patrimoni separati sono quelle nelle quali il disponente preleva determinati beni o particolari rapporti giuridici dal proprio patrimonio per riservarli ad alcuni creditori escludendone gli altri), ammessa anche dal legislatore italiano, ha condotto all’abbandono del principio dell’unità del patrimonio, pur con la limitazione connessa alla necessità della fonte legale di patrimoni separati.

37

Vd. PALERMO G., op. ult. cit., 148 e ss.; GALLUZZO F., op. cit., 702. 38

(31)

Quanto poi al principio del numerus clausus dei diritti reali, la dottrina più accreditata è stata spinta dalla tipicità del diritto di proprietà e dei diritti reali minori ad usare la definizione di idola.39 . La prima domanda che sorge spontanea è la seguente: trattasi di una disposizione di ordine pubblico? Questo fatto è già stato ampiamente contestato dalla dottrina già prima dell’avvento del trust40. Istituti vigenti da poco nel nostro ordinamento, quali su tutti la multiproprietà, che consente il godimento di un diritto di proprietà in modo turnario, hanno già efficacemente iniziato un’opera di demolizione degli idola.

Si è inoltre osservato che la creazione di diritti reali atipici o, comunque , di vincoli di natura reale diversi da quelli previsti dal legislatore, sarebbe liberamente realizzabile dall’autonomia privata, ai sensi dell’art. 1322 c.c., in quanto il principio di tipicità dei diritti reali (ed il conseguente divieto) non trova nel codice civile alcuna norma cui ricondurlo in particolare e sarebbe, inoltre, aprioristi-camente contrario e lesivo del principio di autonomia contrattuale, così contravvenendo a regole di carattere “costituzionale” ed essen-ziali al rinnovamento socio-economico.

Si è, allora, sottolineato, che ritenere, pur in assenza di un espresso

39

SANTORO L., Il trust in italia, cit., 131-156 40

Vd. in Enciclopedia del diritto, 1964, (voce Proprietà); BIGLIAZZI GERI L., Diritto Civile, 2, Diritti reali, UTET, 1988, pgg. 37 e ss.

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richiamo normativo, la tipicità ed il numero chiuso quali principi inderogabili di ordine pubblico, equivarrebbe, senza alcun fondato motivo, a limitare la libertà contrattuale41.

Un ruolo sicuramente da considerare, a sostegno di quanto appena detto, è giocato dalla nuova norma sulla trascrizione, l’art. 2645 ter c.c., che ha autorizzato anche la pubblicità dei vincoli di destinazione preordinati al perseguimento di scopi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c.

Il trust non dà luogo in alcun modo ad uno sdoppiamento del diritto di proprietà.

I beni in trust sono solo e soltanto del trustee con un vero e proprio

41

LA PORTA U., Destinazione dei beni allo scopo e causa negoziale, Napoli, 1994, 83 e ss; cfr. sul punto COSTANZA M., Numerus Clausus dei diritti reali e autonomia contrattuale, in Studi in onore di Grassetti C., 1, Milano, 1980, 421 e ss. la quale dall’atipicità contrattuale fa, giocoforza, derivare un’atipicità dei diritti reali: “ dall’analisi fin qui condotta è emerso che il collegamento esistente fra il contratto ed i diritti reali ha determinato e determina una espansione dei rapporti reali rispetto al sistema tradizionale della c.d. summa divisio delle situazioni reali”; nello stesso senso PALERMO G., Contributo allo studio del trust e dei negozi di destinazione disciplinati dal diritto italiano, in R.D.Co., I, 2001, 409. Di contraria opinione, invece, quella parte della dottrina che dalla mancanza, nell’ambito dei diritti reali, di una norma analoga all’art. 1322 c.c., fa derivare una chiara volontà del legislatore di negare libero accesso in tal materia al c.d. “principio dell’atipicità”: v. in tal senso COMPORTI M., Contributo allo studio del diritto reale, 1997, Milano, 295. Altra dottrina, invece, ritiene che i suddetti principi della tipicità e del numerus clausus, nonché la loro qualificazione quali principi di ordine pubblico, vadano condivisi in virtù dell’intero impianto normativo al quale l’autonomia privata non può apportare deroghe: in particolare viene sottolineato che, mentre in materia contrattuale il legislatore ha dettato norme sul contratto in generale e, dopo, sulle singole fattispecie contrattuali, nell’ambito dei diritti reali, invece, ha immediatamente individuato norme specifiche in ragione del diritto reale esaminato, e ciò evidentemente perché nel primo caso aveva già considerato l’ipotesi della nascita di altre fattispecie negoziali (oltre a quelle da lui concepite) e, pertanto, aveva già predisposto delle regole o principi generali da applicarsi in assenza di regole speciali, nel secondo caso, invece, non creando delle regole generali (da applicare a casi di “nuovi diritti reali), ha implicitamente escluso detta ipotesi, ed ha voluto stabilire il principio secondo il quale compete esclusivamente all’ordinamento la predisposizione degli istituti mediante i quali acquisire beni al proprio patrimonio e da cui discende, perciò, il divieto tassativo di creare “nuovi” diritti reali. V. in tal senso CICORIA M., Brevi note in tema di trust e tipicità dei diritti reali, nota alla sentenza del Tribunale di Bologna Sez. I del 30/09/2003 in Giustizia Civile 2004, 3195-6.

(33)

trasferimento con natura reale.

Allo stesso modo, però, il trustee subisce una compressione del suo diritto di godimento dei beni in trust, del tutto legittimato dall’art. 832 c. c. ai sensi del quale: “…il proprietario ha un diritto di godere delle cose in modo pieno ed esclusivo…”

Ma fino a dove si spinge questo diritto di godimento? Non è forse vero che possa spingersi fino al punto per il proprietario di scegliere di non godere affatto dei suoi beni, lasciandoli andare in rovina, senza che questo faccia venir meno il suo legittimo diritto?

Questo è pacifico. Ed allora il godimento sui beni in trust effettuato dal trustee - legittimo titolare degli stessi - altro non è che un diverso modo di godere e disporre dei suoi beni che la legge gli riconosce come diritto soggettivo assoluto, secondo quanto disposto dall’art. 832 c.c.

La più volte richiamata sentenza del Tribunale di Bologana Sez. I del 30/09/2003 ha sottolineato, in proposito, che “la separazione dei beni in trust da quelli personali del trustee trova la sua fonte negli artt. 2 e 11 della Convenzione de L’Aja che hanno inserito nell’ordinamento una nuova forma di proprietà” e che si tratterebbe “di una proprietà qualificata o finalizzata, introdotta dagli artt. 2 e 11 della Convenzione de L’Aja in aggiunta a quella conosciuta dal codice

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civile del 1942”.

In merito, poi, alle formalità di trasferimento dei beni oggetto del trust, previste dall’art. 12 Conv., che consente al trustee di richie-derne la trascrizione solo quando ciò non sia incompatibile con le norme del foro, la dottrina nega questa incompatibilità42.

Una parte di questa ha affermato che il trasferimento della proprietà di un bene immobile o mobile registrato, dal disponente al trustee, possa avvenire comunque in forza di un atto idoneo a trasferire la proprietà del bene e quindi rientrante fra gli atti soggetti a trascrizione di cui all’art. 2643, I comma, c. c.43

Ciò è senz’altro vero, ma non del tutto.

La questione, infatti, verte anche sulla forma tecnica da utilizzare per tale tipo di trascrizione, a favore o contro il trustee, e quali effetti ad essa attribuire.

In questo caso, è di tutta evidenza la necessità di far risultare dai registri immobiliari che il trasferimento del diritto di proprietà è stato posto in essere in favore o contro un soggetto trustee, per una legittima ed opportuna tutela del disponente e dei beneficiari sull’adempimento delle obbligazioni tutte derivanti dall’atto di trust. Si rammenti, infatti, che il tustee è proprietario dei beni attribuitigli

42

Vd. SANTORO L., op. ult. cit., 82-86 43

(35)

dal disponente, in esecuzione dell’atto di trust, solo e soltanto nella sua qualità di trustee.

Tale problema è stato efficacemente risolto già da alcune conservatorie che hanno precisato nel quadro C della nota di trascrizione (relativo ai soggetti), accanto al nome proprio dell’acquirente, la sua specifica qualità di trustee e nel quadro D che, avendo acquistato esclusivamente con detta veste, i beni oggetto della trascrizione sono separati dal patrimonio personale del trustee. Il problema più delicato è comunque rappresentato dalla natura di numero chiuso degli atti trascrivibili in base alla norma citata.

L’art. 2645 c. c. dispone che: “…è trascrivibile ogni altro atto o fatto (e il trust è un fatto) o provvedimento che produce in relazione a beni immobili o a diritti reali immobiliari taluni degli effetti dei contratti menzionati all’art. 2643”.

In sostanza, argomenta la dottrina, si è arrivati a riconoscere la trascrivibilità di atti produttivi di effetti riconducibili a diritti reali atipici, nonché di vicende collegate a beni immobili.44

La Cassazione ha poi riconosciuto in particolare la trascrizione di diritti assimilabili ai diritti reali atipici, pur non essendolo45.

Esistono, invero, già nella prassi quotidiana, casi che hanno

44

Vd. BIGLIAZZI GERI L., op. ult. cit., pgg. 443 e ss. e anche Cicu A. – Messineo F., Trattato di Diritto Civile Oneri reali ed obbligazioni propter rem, XI, t. 3, 1984.

45

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legittimato la trascrizione di atti atipici rispetto alle categorie di cui all’art. 2643 c.c.

Pertanto, alla luce di ciò, come possiamo efficacemente sostenere che non siano trascrivibili gli atti di trusts aventi ad oggetto beni immobili che creano un vincolo reale a tutti gli effetti?

Tali trascrizioni - che chiameremo quindi “atipiche” - vengono legittimate o perché i singoli atti hanno la loro fonte stessa nella legge (come nel caso in esame, la legge di ratifica della Convenzione), o in vicende già, per conto loro, soggette a trascrizione (ancora come il caso in esame).

In tutti questi casi sarebbe infatti impensabile non trascrivere.

Tali trascrizioni sono state effettuate proprio argomentando dal fatto che gli atti atipici producono comunque effetti riconducibili, anche se in parte, a quelli previsti dall’art. 2643 c.c., nel cui ambito è possibile ricomprendere pure il trust.

Si conclude, a questo punto, che la trascrizione deve essere effettuata sia perché una norma internazionale speciale concede alla parte il potere di richiederla, con potere quindi di deroga sulla norma generale, sia perché il trust produce parte degli effetti tipici dei contratti di cui agli artt. 2643 e ss. cc.

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legislatore si è dimenticato non tanto di dare una compiuta disciplina all’istituto del trust, quanto di modificare le norme di diritto positivo in apparente contrasto con la Convenzione stessa, detta omissione certo non può spingersi fino al punto di rendere tamquam non esset la ratifica della Convenzione medesima quale sarebbe se fosse impedita tout court la trascrizione.

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CAPITOLO II

Il Trust a scopo di garanzia

Sommario: 1. Note introduttive.- 2. Trust e operazioni immobiliari: i vantaggi connessi al suo utilizzo nell’ipotesi di contratto di mutuo.- 2.1.

Segue: Il trust a scopo di garanzia nelle operazioni di commercio

internazionale: trust e credito documentario e l’identure trust. - 3. Il trust come strumento di garanzia delle obbligazioni e la particolare figura dell’escrow o trust account.- 4. Il trust nelle operazioni di emissione di prestiti obbligazionari: il rapporto con la cartolarizzazione dei crediti. - 4.1. Segue: le ragioni della preferibilità del trust rispetto al pegno (ed al pegno rotativo)… – 4.2. Segue: … ed all’ipoteca. - 5. Il trust nelle società quale strumento per stabilizzarne gli assetti proprietari ed il governo: il trust attuativo di patto parasociale (il c.d. voting trust). - 6. Trust e

Project Financing. - 7. Il trust e il divieto di patto commissorio di

cui all’art. 2744 c.c.; trust e sale and lease back.

1. Il termine “garanzia” è una categoria giuridica generale in cui trovano collocazione istituti eterogenei e preordinati allo scopo di assicurare l’adempimento delle prestazioni assunte. Gli specifici mezzi di garanzia delle aspettative del creditore all’esatto adempimento si distinguono in due ordini di catagorie: quelli che traggono origine dalla volontà privata, come il pegno e l’ipoteca, e quelli che invece l’ordinamento appresta ex lege come i privilegi, a cui possono aggiungersi misure di carattere processuale come l’azione surrogatoria, l’azione revocatoria ed il sequestro

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con-servativo.

Al di fuori del sesto libro del codice civile trovano poi collocazione, nella parte dedicata alla trattazione delle specifiche materie, altri istituti che, pur avendo caratteristiche e funzioni autonome, possono essere parimenti utilizzati al fine di prevenire il pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, presentando, rispetto ai primi, un dato strutturale comune, in quanto si risolvono sempre in limiti più o meno ampi, e di qualità ed intensità diversa a seconda delle ipotesi, che vengono imposti all’agire patrimonialmente rilevante del debitore. Una specifica funzione di garanzia può, in questo senso, essere assunta da una vendita con patto de

retrovendendo, dalla cessione del credito, dal deposito in garanzia e

dalla delegazione di pagamento.

In aggiunta alle ipotesi appena esemplificate, una garanzia ex parte

creditoris può senza dubbio essere attuata anche attraverso il ricorso

a quelle misure che, come il trust, comportano la destinazione di tutto o di parte del patrimonio del debitore alla soddisfazione degli interessi di soggetti terzi. La soggezione determina, infatti, l’esclusione della facoltà di disposizione dei beni e con essa la sicurezza di essere soddisfatti in caso di mancata realizzazione della

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diversa attribuzione46.

Il trust a scopo di garanzia (o cd. trust for creditors) rappresenta senza dubbio l’applicazione pratica di detto istituto che ha avuto maggiore diffusione nei sistemi giuridici dei paesi in cui esso ha avuto origine e che sta prendendo sempre più piede anche in tutti quegli altri paesi che, come l’Italia, ne hanno riconosciuto la validità. La ragione di questo successo, avvertito in particolar modo nel settore bancario e finanziario per la particolare idoneità di questa forma di trust a realizzare, assistere o facilitare transazioni finan-ziarie, va individuata nel fatto che esso (come ben verrà messo in evidenza nel corso del presente capitolo) soddisfa, meglio di ogni altro istituto, l’esigenza di costituire garanzie specifiche a favore di determinati creditori, per le sue due caratteristiche fondamentali, strettamente connesse: la segregazione patrimoniale, effetto naturale ed imprescindibile, come già detto, di qualsiasi trust, e l’affidamento di posizioni giuridiche al trustee47.

Inoltre, in tale circostanza, la separazione patrimoniale è attuata nella sua massima estensione, tanto da poter essere definita “bilaterale”: una volta avvenuto il trasferimento della proprietà dei beni oggetto del trust in capo al fiduciario, infatti, non solo i creditori personali di

46

SACCHI M., Trust a scopo di garanzia. Un possibile orientamento giurisprudenziale, in RaDC 1/2000, 61-62.

47

PANICO P., Il trust nel settore bancario e finanziario, in Trust. Applicazioni nel diritto commerciale e azioni a tutela dei diritti in trust, vol. II, Giappichelli , 2008, 123.

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quest’ultimo non potranno aggredire detti beni - appunto perché separati dal suo restante patrimonio - ma, attesa l’alterità soggettiva con il titolare degli stessi, questi rimangono insensibili anche alle azioni dei creditori personali del disponente, determinandosi in tal modo una garanzia specifica alla realizzazione della destinazione impressa 48. La somma in trust, quindi, non è aggredibile da alcuno fino a quando non si sia verificato l’evento che definitivamente rimuova il rapporto fra la somma e il trustee, ossia che faccia venire meno il trust.

Quanto alla seconda caratteristica, per cui il controllo di detta somma è affidato ad un soggetto terzo (il trustee appunto), va rilevato che proprio la terzietà del trustee assicura che essa sia impiegata in conformità a quanto le parti interessate hanno concordato49.

Questi due aspetti del trust consentono, appunto, di realizzare agevolmente diverse forme di garanzia, al fine di assicurare la destinazione di un finanziamento alla specifica finalità per la quale è stato erogato.

Da qui la particolare rilevanza dell’istituto, atteso che il suo schema finisce per costituire un efficace strumento di autonomia privata che,

48

SACCHI, op. ult. cit., 54. 49

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in particolare, consente di risolvere una serie di problemi molto sentiti nella moderna economia mobiliare, laddove emerga l’esigenza di poter costituire patrimoni separati destinati a perseguire scopi predeterminati.

Attraverso detto istituto, quindi, viene offerta la possibilità di creare uno strumento di garanzia convenzionale con il quale, mediante la puntuale disciplina dell’atto di trust, si prefigurino chiaramente gli obblighi ed i diritti delle parti interessate, conseguendo la protezione sia del disponente che del beneficiario, mediante la precisa esecuzione degli obblighi imposti al trustee, in particolare nell’ipotesi di realizzazione coattiva dei beni oggetto della garanzia50.

Nei sistemi di Common Law il trust è usualmente utilizzato nelle operazioni commerciali in quanto da un lato, soddisfa l’esigenza delle imprese ad una pronta allocazione delle risorse e, dall’altro, consente la costituzione di una sorta di garanzia reale a tutela del credito. Così il trust a scopo di garanzia si presta ad essere sia una struttura costituita ad hoc per un’operazione in particolare, a garanzia di un creditore specifico, sia una struttura permanente, destinata ad operare per una maggiore durata e per una molteplicità di operazioni. In tutti questi casi, si avrà il trasferimento di un

50

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complesso di beni ad un trustee che, in base alle istruzioni contenute nell’atto costitutivo del trust (deed of trust), procederà a liquidare gli stessi, qualora il costituente risulti inadempiente, ed a distribuire il ricavato a beneficio di tutti coloro che risultino suoi creditori, corrispondendo l’eventuale residuo al debitore51.

Sarà interesse dei creditori partecipare al trust in questione, rendendo la garanzia irrevocabile in loro favore.

Generalmente l’atto di trust viene posto in essere dal costituente, ai fini di garanzia, con la partecipazione delle banche (o altri soggetti) creditrici: in questo modo, infatti, il trust diventa irrevocabile. Nel diritto inglese il trasferimento di beni in trust da parte del debitore a beneficio di propri creditori che non sono parti dell’atto di trust e che non abbiano conoscenza del trasferimento, opera semplicemente come incarico conferito al trustee di versare a questi ultimi quanto necessario ad estinguere i pagamenti loro dovuti dal costituente (ed è come tale suscettibile di revoca da parte del costituente). I creditori non assumono in questo caso la qualifica di beneficiari ai sensi del

trust deed 52.

L’irrevocabilità della garanzia potrà essere anche espressamente prevista nel trust.

51

SACCHI M., op. ult. cit., 55 52

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