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Utile e diletto

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Academic year: 2021

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(3)

M O B M I L Z ISPETTORE SCOLASTICO »

UTILE E DILETTO

-LIBRO DI LETTURA

PER LA 2." CLASSE ELEMENTARE MASCHILE

7Va E d i z i o n e

SALERNO

PREM. STAB. T IP. FRUSCIONE E NEGRI 1895

%

(4)

Le poesie di p e s t o libretto varii autori

Fi r m a d e l l a u t o r e

(5)

Q • )

Ho rifatto questo libriccino, ordinandolo con forme ai program m i della 2 ,a elementare; ed ho Jatto il meglio che ho potuto, affinchè il libro piacesse ai fanciulli.

Per la parte educativa, non v è lezione, quasi, che non fornisca tifile insegnamento alla vita deL corpo e dello spirito.

Qua e là, a piè delle lezioni, è qualche < --j

•tizio d i grammatica, il quale potrà servire, con. „ si dice, d i addentellato p e r fa r e altro e meglio.

Ho pensato anche alla storia, narrando, dove è sembrato opportuno, la vita e i fa tti, che re cano esempio da im itare, 0 da fuggire.

Se ho fa tto bene, lascio a voi il giudizio. Buon cocchiere, poi, guidi cattivo cavallo.

La floridezza r i g e l i osa di una nazione, scrive ­

(6)

Sm iles, dev essere i l risultato della energia e delVattività d i tutti.

O r, se anche un tantiuello d i bene io riuscissi a fa r e con questo mio libretto, sarei, f i n da ora> g ià pago e lieto, come d i dolce e larga riconi'

pensa. <•

E questo tìa suggel, c h ’ogni uomo sganni.

Abbiatevi un saluto dal 1 .

(7)

R iapertura delle scuole

Ai pr imi di ot t obr e d e l l ' a n n o

p a s s a t o , un a vviso a lettere di

scat ola, appiccicalo ai c ant oni di

s t r a d a , diceva così :

RIAPERTURA DELLE SCUOLE

Pierino, fanciullo Ira i selle e

gli otto anni, p r o m o s s o alla s e ­

c o n d a classe element are, si fermò

a l eggere quelTavviso. Poi, lornato

a casa, disse al babbo:

Non sai

■dìe il quindici si r i a p r i r a n n o le

nostre scuole '?

Ho p iacere —

disse il b a b b o -

Ma d i ’ p r o p rio la v e r ità : ne sei

t u contento davvero ?

Sì, babbo ~

ri s pos e P i e r i n o —

desidero a ssa i di rivedere il mio

c a r o s ig n o r Maestro e i miei

a m a ti compagni. A lla scuola ,

r a d o volentieri

,

perchè il sig n o r

(8)

G

M aestro ci vuole tanto bene, e

0 c* insegna tante belle cosine.

*

*—

B r a v o il mio P ie r in o

! — tornò

a di re il babbo; — se

f a r a i sempre

così

,

d iv e rr a i certo un uom o dab­

bene.

IL BUON FANCIULLO

Mamma, suona il mattutino: Lode a Dio, che ci creò. Dammi il bacio del mattino: Uno a n c h ’ io te ne darò. Suona l'ora della scuola;

Il m aestro già v'entrò.

Presto! presto! Il tempo vola E arriv a r tardi non vo\

Vi starò docile, attento, Il m aestro ad ascoltar: Perchè sia di me contento, Quel che dice voglio far.

Babbo, m am m a, addio! buon giorno Qua un bel bacio... un bacio ancor: Vado a scuola; e poi ritorno Fra i miei cari genitor.

(9)

Gino e Sa ndr ò, da m a n e a s era,

non f ar ebber o a lt ro che d or m i r e .

Peggi o per loro! Non s a n n o che

il t r op po d o r m i r e uccide la s al u t e?

Pei* le ore di s onno, c’ è q u e s t a

regola:

Quattro o cinque al viandante, Cinque o sc i al merendante. Sei o sette allo studente, Sette od otto all’altra gente, Otto o nove al signorone, Nove o dieci al gran poltrone.

La s e r a a n d a t e p r e s t o a letto,

e la ma t t i na levatevi di b u o n ’ora.

Gli antichi dicevano:

N o n ven­

dere il sole, p e r c o m p e r a re Folio.

Non di cevano b e n e ?

Ma Gino e S a n d r o p e n s an o solo

a dor mi r e : e a

Chi d o r m e non p i ­

glici pesci.

»

Le parole Gino e Sandro sono i nomi di due dor miglioni.

(10)

/

f

§

DOVERI DEL BUON FANCIULLO

/ Il b u o n fanciullo, a p pe na vestito,

volge il pe n si e r o a Dio, e prega

e dice:

Vi r i n g r a z i o

,

o Signore

,

Kàhe avete conservato la vita a me

ed ai miei cari. Tutto io debbo,a

V o i

,

la sedute

,

le gioie della mia

f a m i g l i a

, // do/ce

a m o r e della

P a tria . D a t e m i

, o

S i g n o r e

,

la

f o r z a , perche io sia sem p re buo­

n o

, e,

un g i o r n o , vera m ente utile

alla fa m ig lia e càlci P a t r i a mia.

Fatta la p r e g hi e r a , si presenta

ai ge nit ori e dice:

« B u o n d ì , babbo;

buon dì, m a m m a ;

» e dà loro un

bacio sulla fronte. Poi pensa alla

scuola: rivede le lezioni studiate

la s era; fa con diligenza i compiti,

e met t e .in o r d i ne libri, penne,

q u a d e r n i .

(11)

LA MAMMA

Questa vita ehi mi diede ? ( hi bambino m ’ allevò? Fosti tu, cui sem pre penso, K cui sem pre penserò.

Cara m am m a, del mio eoi* Tu sarai sem pre l’am or! ( hi mi ab braccia con trasporto ? Chi fatica ognor per m e?

Chi mi vuol, mattina e sera, Sempre, sem pre attorno a sò ?

Tu, mia madre, tu, che ognor Fosti e sei mio vero am or! Se mai piango, chi si sveglia 11 mio pianto ad acchetar? Chi mi segue, tu tf il giorno,

I miei passi a vigilar?

Tu, mia madre, tu che ognor Fosti e sei mio vero am or! Come, a tanta tenerezza,

Figlio ingrato esser potrò? Ah! che a renderti felice

Sempre sem pre penserò.

Cara m am m a, fosti ognor E sarai mio vero am or! Per me spunta giovinezza; Per te, oh! Dio, la vecchia età; Non temer, che di sostegno II mio braccio ti sarà.

Cara m am m a, del mio Jcor Tu sarai sem pre l’amor!

(12)

-I NOSTR-I GEN-ITOR-I

11 babbo e la mamma sono i nostri amici più cari. Dopo Dio. a loro dobbiamo la no stra vita.

L a mamma ha vegliato accanto alla nostra culla: e quanti dolori ha sofferto e soffre per noi ! 11 babbo non ci fa mancar nulla, ed ha lavorato e lavora sempre per noi.

Guai a ’ figliuoli, che fanno versar lagrime ai loro genitori ! Iddio conterà quelle lagrime, e le ricambierà con mille amaritudini.

Dobbiamo amare, rispettare e obbedire i nostri genitori, compatirli nei loro difetti e soccorrerli nei bisogni.

I . articolo si pone innanzi al nome.

Il giovine Creso

Fu un ricchissimo r e , chiamato Creso, il quale aveva un figliuolo (pur di nome Creso) bello della persona, ma, per disgrazia, muto.

Figuratevi il dolore di quel povero padre, e che avrebbe fatto per ridonare al figliuolo la parola!

Avvenne che, dopo una battaglia, i nemici entrarono nella città di Creso ed assalirono

­

(13)

il palazzo reale. Un soldato, visto il Re, si scagliò contro di lui per ucciderlo.

Ma il giovine Creso, sciolta la lingua, « A r

restati grida con furore salva la vita di di io padre ! »

A quella voce, il soldato restò, come si dice, eli pietra, sapendo che il figlio di Creso era

muto.

Quanto può la pietà di figliuolo.

I CONSIGLI DEL BABBO

II s i g n o r Vittorio, ba bbo di E r ­

nest ino, ogni gi or no chi ama il fi­

gliuolo e gli dice:

E m e s t i n o

,

l'ora

è giunta; va difilato a s cu o la ;

ubbidisci il s ig n o r Maestro e sta

a t t e n t o

,

perch è

«

IJuom.o vale

quan to sa.

»

Anici i tuoi co m p agn i e a iu t a li

,

se hanno bisogno. E un caso n a ­

scere di ricca fa m ig l ia ; m a tutti

s ia m o figli dello stesso P a d r e

Celeste.

E r n e s t i n o s a r à un ottimo

li-­

(14)

gliuol.o, se d a r à ascollo ai consigli

del babbo.

Che cosa esprim ono le parole Vittorio ed E rn e stin o ?

LA PIÙ B E L L I GIOIA DII GENITORI

Fu, nei tempi antichi, una buona signora romana, chiamata Cornelia: la quale aveva due figliuoli buoni, studiosi, ubbidienti, che erano la gioia di lei. La buona mamma oh ! come li amava que’ cari figliuoli. Si può dire che viveva soltanto per loro, non curandosi nè di onori, nè di ricchezze.*

Un di Cornelia fu visitata da una sua amica assai ricca, la quale, tra un discorso e un altro, volle mostrare a Cornelia le gemme e i gioielli che possedeva, e poi disse: O amica, m i farete-

vedere anche le vostre gioie ?

Si, rispose Cornelia; or le vedrete.

In quel momento si apre l’uscio, ed entrano Tiberio e Caio Gracco, i due figliuoli di. Cor nelia: i quali, salutata con garbo la signora, si avviticchiano al collo della mamma, e la baciano e la baciano più volte.

Ecco le mie gioie ! disse Cornelia E due

(15)

grosse lagrime d i tenerezza le scorreva?i giù per le gote.

Qual è il nom e di vostro p a d re ? e di vostra m a d r e ? Quanti fratelli avete? Come si c h ia m a n o ?

LO SCOLARO BUONO

Giu 1 ietto, api)ena e n tr a to nelìa

scuola, si toglie il cappello, s ’ in­

china al s ig n o r Maestro e dice:

« L a r i v e r i s c o , s i g n o r M a estro ; »

poi si volge ai com pagni e dice:

<

( B u o n g i o r n o , a m i c i m i e i , » e va

difilato al suo posto. Quivi r ia p re

la sua cartella, p r e n d e i libri e

comincia a studia re ; e non pispiglia

e non fa chiasso.

Se il Maestro lo invita a leggere,

Giuliette va adagio, scolpisce le

sillabe, e non fa la cantilena.

Chi lo ascolta dice tra se: E g li

è d a v v e r o un s en n in o !

Se legge un com pagno, Giulietto

fìssa gli oq®ps sul libro, e segue

la lettura per (ilo e per segno.

(16)

Se il c o m p a g n o balbetta un po­

chino , o s t r as ci ca le parole, o

sbaglia, Giulietto non ride.

Ogni

legno ha il suo

/ a m o — dice lui —

ed è più facile vedere il pelo negli

occhi altrui, che la trave nei nostri.

Perciò non devo fa re agli altri

ciò

che non vorrei fosse fa t to a

me.

E tutti gli vogliono be n e di-

cuore.

G iulietto e nom e di uomo: se fosse u n a donna, come direste ?

IL CA TTIV O SCOLARO

"N

Il cattivo scolaro fa p r o p r i o l'op­

posto di Giulietto. Ent rat o' nella

s c u o l a ...— Se' è invitato a leg­

g e r e ...— Se legge un compa-,

g n o ... — Se il c o m p a g n o bal ­

b e t t a ...— Il cattivo scolaro non

dice mai tra se.... — E tutti....

(17)

S an to dei bambini

Noi siam poveri bambini,

Ma ci am iam proprio di cuore, Come tanti fratellini,

Tutti figli del Signore: K, se adulti cresceremo, Sempre, sempre ci ameremo. Il Signor che sta nel cielo,

('he il suo sangue diè p er noi, Lasciò scritto nel A "angelo:

F'ujli, am atori tra voi; ('he, se in terra ri amerete, Su nel d e l con me*verrete.

Il ritorno dalla scuola

Il babbo di Vittorino, voi lo co­

noscete, non è di q u e ’ t ra s c ur a t i ,

che lasciano a n d a r tutto alla cieca.

Dopo le f a c c e n d e , o la s era,

chiama il figliuolo e gli dice:

Sei

stato buono oggi ? lJjiL s a p u to

bene le le z i o n i? S u

,

m o s t r a m i il

tuo g iornalino fr

(18)

parole di lode, gli dà un « b r a c o ! »

e lo fa uscire a s p a s s o con lui.

Se poi Vittorino, p r e s e n t a n d o il

g i o r n a l i n o , a b b a ssa a t e r r a gli

occhi, o n a sco n d e il viso tra le

m ani — E h i ! s i g n o r i n o — dice con

pa ro le a s p r e il s i g n o r B e r n a r d o

— Sei sta to c a t t i v o ? Q uesto, veli!

n o n lo f a r ai p i ù , od io...! Mi p ia c e

che tu p i a n g a , m a o ccorre che tu

m e t t a g i u d i z i o , flgliuol mio. Le

e n o n v a lg o n o ci n u l la

e tutti i babbi im ita ssero

il sigrìor B e r n a r d o .

I n o m i degli u o m in i e delle donne si dicono nomi

di persona. '

Nei tempi antichissimi fu un sapiente, chia­ mato Aristippo.

Un giorno si presentò a lui un padre di famiglia, dicendo: Vuoi tu istruirm i un fi­ gliuolo ?

Volentieri, disse Aristippo, purché tu m i dia

sapere e la piriti.

(19)

-cinquanta dramme. (La dramma era ima mo

neta di 9 lire circa).

Cinquanta dramme! esclamò l’avaro; con ta l prezzo io comprerò uno schiavo.

F arai meglio, ripetè Aristippo: cosi avrai due schiavi.

Sono più da pregiare le ricchezze o il sapere? Aristippo è nom e di m aschio, o di femmina ?

I nomi dei maschi sono di genere maschile. E quelli delle

femmine ?

I F R A T E L L I

Vi dico la verità diceva il signor Eduardo

ai suoi nipotini, Mario e Gisa sono in col­

lera con voi, perche state sempre come cani e gatti. I buoni fratelli si devono amare e com­ patire scainbievolme?ite. Voi, invece, non fa te così:

e non c' è cosa più dolorosa che il vedervi discordi.

A Catone Uticense un g i o r n o fu domandato:

Dopo i genitori, quale persona tu ami d i più ?

E Catone: I l fratello.

E dopo questi? chiese nuovamente l’altro.

Il fratello, rispose Catone.

E chi è il tuo migliore amico? I l fra ­

tello, ripetè ancora Catone.

Difatti Catone amava assai suo fratello Ce pione: non mangiava senza di lui; non usciva di casa'sen za di lui.

Cosi dovreste far voi, cari nipoti ; e sareste la consolazione mia e dei vostri genitori.

­ — — — — —

(20)

-Cani e Gatti

Dite un po’ : vorreste scherzare più col cane o col gatto ?... Perchè ?

Il cane è animale affettuoso, e fa mille atti per dimostrarlo.

Il gatto sta sempre ingrugnato e brontola sempre : e, se può darvi una graffiata, lo fa volentieri.

Il cane somiglia un amico sincero e fedele; il g a tt o ^ u n falso amico, un traditore..

Alcuni gatti, bene allevati, diventano anche buoni amici dell’ uomo.

State attenti nella scelta degli amici.

Un vero amico è un tesoro ; ma / ’ amico di ventura molto arde, poco dura.

VERA AMICIZIA

Vi erano due amici veri e fedeli: uno chia mato Pizia, 1’ altro Da mone.

Pizia, avendo sparlato del tiranno Dionisio,, fu condannato , a morte. %

Damone andò a visitarlo in carcere,' e gli. disse: Tu hai una vecchia, madre che ha bi

sogno d i aiuto; ^ non ho alcuno che pianga in . mia morte, Soii z'òmtv p er salvarti; f u g g i , car

io rim arrò qui, in tua vece. f ^

­

(21)

Pizia abbracciò Damone, piangendo per te nerezza; poi disse: Oh! amico; assai nobile è

il tuo cuore, ma non vorrò m ai cJn\ tu , inno cente, muoia per me+ Un ultimo sacrifizio ti chiede?... „..clie tu re^ti qui p e r poct\ che io corra ad abbracciare, p e r / ’ ultima volta, ;///«

povera mammaJ /

Damone acconsenti, e Pizia usci dal carcera. Venuto il giorno del supplizio, e non e s v / sendo tornato Pizia, Damone fu condotto al patibolo: e già la scure stava per cadere sul capo di lui, quando di lontano si ode ^ n a voce che grida : Fermate / . Fermate !....

E Pizia, che arriva tutto ansante e corre al patibolo. Ma Damone non vuol cedere il posto; vuol morire per l’ amico,,

Il popolo, ^commosso, chiede la grazia; e Dionisio, sorpreso di quell’ atto di si grande amicizia, ridona a entrambi la vita.

Fedeltà del cane

Il cane barbone del sig. Vittorio era tanto affezionato del suo padrone, che, senza di lui, non si moveva d ’ un passo.

Il signor Vittorio, cólto da grave malattia, infermò e mori,

Il giorno, che il padrone fu portato al cimi ­

(22)

-tero, il cane ne segui il cadavere, si adagiò sulla tomba e più non si mosse. Dopo alcuni dì fu trovato morto di fame.

Povera bestia !

CORPO ED ANIMA

Noi abbiamo il corpo e l’anima. 11 corpo è visibile, l’anima è....; il corpo è composto di parti, l’anima è semplice.

L ’anima dà la vita al corpo. Il corpo, sen z’anima, è cadavere.

Si può star sèmpre su questo mondo? No; un giorno dovremo lasciar tutti e tutto. E che sarà di noi ?

Chi fa bene, bene aspetti ; chi f a male tro verà....

Dite cinque nomi di genere maschile, e poi volgeteli al femminile.

I L C O E P O

Nel nostro corpo si distinguono: la testa o il capo, il tronco o il busto, le estremità o gli

arti.

­

(23)

L A T E S T A

La parte più alta del capo si chiama vertice o cocuzzolo. T ra il vertice e la fronte sta la

memoria o il sincipite; tra il vertice e il di­

dietro del collo sta la coppa o l'occipite. Dentro la testa è il cervello, chiuso intorno da varie ossa unite, che formano il cranio.

La cute* o pelle, piuttosto dura, che copre il cranio è detta cotenna, sulla quale sono in fissi i capelli.

La radice del capello si dice bulbo.

Il ciuffctto è una ciocca di capelli pendenti sulla fronte.,

In quanto al colore, i capelli sono neri,

castagni, biondi e rossi. Col passar degli anni

divengono, poi, g r ig i o brinati, bianchi o ca

miti.

In quanto alla forma, i capelli possono essere

ritti o stesi, crespi, ricciuti.

Tutti i capelli formano la capellatura. Si dice

capellatura fo lta , se i capelli sono molti; ca pellatura rada, se sono pochi.

H La parrucca è una capellatura posticcia. Chi è il parrucchiere ?

L a parola parrucca indica persona, o cosa ? E la parola

■parrucchiere ?

­

(24)

ANCO N A DED C A P O

Chi d ice: Io sto in capelli, o in zucca, vuol significare, che egli sta col capo scoperto.

Ieri quel cattivo di Menico f e ai capelli con Marchetto, cioè si azzuffò con lui, pigliandosi pei capelli.

Su la cute del capo talvolta nasce un ma lore, abe dicesi tigna. Chi ha la tigna si dice....

Chi non ha capelli si dice calvo.

Senza il nome, si potrebbe distinguere una persona, o una cosa, da u n altra?

B E N M E R I T A T A !

Fu un santo uomo, chiamato Eliseo, il quale era calvo.

Un giorno, che egli andava alla città di Betel, alcuni fanciulli cominciarono a schernirlo, di­ cendo: / leni su calvo ! I leni su calvo ! E fa cevano grida e schiamazzi, che arrivavano alle stelle.

Eliseo li lasciò dire, e passò oltre.

Ma, poco dopo, Iddio, per punire quella cattiveria, fe’ uscire dalla vicina foresta due orsi affamati, che si gittarono addosso a quei monelli.

Si, deve schernire il prossimo?

t

Nel racconto letto ora, avete nominato qualche animale? S a j i n e i nomi *di altri animali ?

­

(25)

1

10 vanitoso»

Sentite che fa Errichetto#

La* mattina* dopo che si è le v a to , sta drn^ ore» innanzi allo specchio^ per lisciarsi e pro fumarsi i* capelli, e per aggiustarsi il» goletto** 1^ cravatta, il, vestita.

Non c’ è caso che voglia indossare un ve stito ragnato o rattoppato ; e spesso p ia n g e , grida e mette in disperazione la* c a s ^ X

Per via% ora si guarda le scarpette, lustre . ora si aggiusta il» solino,* ora si liscia i,capelli* ora si stira lafc giubbina*

Poi, con la coda^ deli occhio, guarda%qui e là. Egli crede che la gente g u a r d i lui e dica:

Oh ! il bel / anciiillino, d ì c Errichetto.

E va tutto gonfiò, a ilio' di pavone, e sor ride, e pare che diica: N inno c p iù bello d i m e!

Invece la gente, nel vederlo passare, dice :

liceo Errichetto il vanitoso !

_________ _ _ _ J

II nome serve a indicare soltanto le persone, o anche gli animali e le cose ?

Nel racconto, ora letto, sapreste distinguere i nomi di per sona, da <jnelli di co sa?

La, vanità, punita,

L ’ altro giorno 4 ricorreva, 1’ onomastico d^l b ab b o .d i E rric h etto .

Errichetto scrisse, al babbo una. g r a ^ s a ^ e t ­ ­ ­ ­

(26)

-terina,. ed ebbe.,in re g a lo ,u n .b e lfvestitcyiuo’Jo,v Figuratevi ^che festa! Indossare , il v e stito , c o rre re t allo specchioT-e sake ltare e fare, il, pazzerello,per tutta la, casa, .fu-,un.sol punto,

Ma, in quella sfrenatà allegria, die’ un urtone'’ a un tavolino e mandò giù per terra, lume, bicchieri, bottiglie e quanto vi era di su.

A quel fracasso il babbo corre; e, visto il danno « B ra v o ! dice bravo Errichetto!

Ecco g li effetti della tua vanità ! Sei contento ora d i tanta rovina ? Ebbene, finiam ola : da qui in là, io non ti vorrò p iù bene, se continuerai ad essere vanitoso! ».

Errichetto, pallido come cera, non ardi levar gli occhi dal suolo, e scoppiò in un pianto d i rottissimo.

V o lg e te al femminile il racconto letto ora.

L A FACCIA

Il davanti del capo si chiama fa ccia , viso o vólto.

Si dice « uomo a due facce » chi dice una cosa, e poi ne fa un’ altra.

Quali sono le parti della faccia ?

Gli occhi sono nelle occhiaie. L ’occhio ha la

pupilla, T iride e Xalbugine.

L ’occhio è difeso dalle palpebre, dalle ciglia e dalle sopracciglia.

- —- - ­

— —

(27)

Se un moscherino. un pelo, un granellino di sabbia si va a ficcar nell’occhio, oh ! allora la bruita cosa: ci pare d ’aver li una trave.

. Bisogna aver pazienza nei mali della vita !

Notate i nomi nella lezione letta ora.

e colori

Il cielo era coperto di nuvole, il sole non si vedeva, l’aria era buia. .

Questa mattina disse il Maestro non ci

si vede bene; perche ?....

L a luce del sole è l u c e n a t u r a l e ; quella che ci viene dalle lucerne ad olio o a petrolio, dalle candele d i cera o d i stearina, la Ivce a gas e la luce elettrica è detta l u c e a r t i f i c i a l e *

Avete visto 'tante volte l'arcobaleno, non è vero?.... I principali colori dell'arcobaleno sono sette: i l r o s s o , l a r a n c i a t o , i l g i a l l o , i l v e r d e , l a z z u r r o , l i n d a c o e i l v i o l e t t o . Perche di notte non si di stingile nessun colori? Credete voi che la luce del sole sia d 'u n sol colore?.... Coli le copertine dei vostri quaderni combiniamo ì sette colori dell'arcobaleno.

Ecco il rosso!.... Ecco il verde!.... Ecco il violetto !...; dicevano l’un dopo l'altro quei bravi

fanciulli, traendo quaderni dalle loro cartelle.

A ctfsa ripigliò il Maestro toglierete

— —

’ ’

(28)

sette strisce d i carta colorata e le incollerete, se condo l'ordine dei colori da noi indicati, su un foglio d i carta a piacere; domani porterete a me

il lavoretto: vedremo chi sarà p iù bravo.

La mattina seguente come erano contenti quei bravi scolaretti d ’aver fatto qualcosa con le loro manine !

Le imprudenze si pagano

Si può guardare la spera del sole ? Eppure, certuni lo fanno! Che gusto matto!

Così faceva Menichino, e si buscò aedi occhi una brutta malattia; e dovè stare a letto più mesi, al buio, col pericolo di perdere la vista.

Degli occhi bisogna aver cura, essendo la cosa più delicata del nostro corpo.

Bisogna lavarli spesso con acqua limpida e fresca, e toglier via la cispa. Bisogna lavarli ogni sera prima di andare a letto.

Sapete che vuol dire « In un batter d'occhi?» Vuol dire.... Ma le cose fatte in fretta, poche volte riescon bene.

La prima lettera di una parola si dice in iziate. L a parola Menichino è scritta con la iniziale maiuscola o minuscola?

(29)

S i

b u c o da %c+a e il l'cióno

Uh ! come sei lento a lavorare diceva il ragno al baco da seta. Per fare il tuo boz­

zolo ci vorrà un secolo ( Oh ! non vedi come faccio presto la mia tela ?

Sì, lo ( vedo, rispose il baco; ma la tua tela dura poco, e non serve a nulla.

J^am menti là granata, della serva .i

Tacque il ragno, arrossendo di vergogna

E d impara soggiunse jl filugèllo che

« P r e s t o e b e n e n o n i s t a n n o i n s i e m e . »

v

d i f e t t i d e l v e d e r e

(

Se incontrate un povero cieco, abbiate pietà di lui ! Quegli è un infelice, che ha bisogno di aiuto, e di una dolce parola di conforto. Fatelo volentieri, e rendete grazie a Dio, che vi ha conservato la vista.

Chi vede solo da vicino si dice miope; e chi solo da lontano, si dice presbita. Chi ha la guardatura torta si dice g u e r c io \

Talvolta, dietro la pupilla , si vede negli occhi altrui come un globicino bianco, e, colui che l’ ha, o vede appannato o non vede punto: questa è la malattia, che si dice cateratta.

— —

(30)

Dagli occhi scendon giù le la g rim e , o per dolore, o per tenerezza.

Le lagrim e venivano g iù a ciocche significa:

scendevano in abbondanza.

Si dice che il bambino fr ig n a , quando fa quel piagnisteo, che ti leva 41^ capo.

Quando si comincia a scrivere, la lettera iniziale d e v e s sere maiuscola o minuscola? E dopo il punto?

Il fanciullo pietoso

Il sole era già sotto, quando Silvestro tor n a v a da una p a sse g g iata la , insieme col suo

grazioso cagnolino ricciutello, che egli amava tanto.

Allo svoltare^ d ’ unk strada, ecco un povero cieco, il quale muove il passo, qua e là, a stento, guidato dal suo bastoncello.

Povero pomo ! dice tra sé Silvestro. Poi si accosta a lui, e « D ate qua la mano-j— dice buon vecchietto; v i accompagnerò i o C o m e

vi chiamate 2 Dov è la casa vostra ?

M i chiamo S ftn d ro disse il cieco* e abito

in via littorio Emanuele, num. 20..

Ebbene, andiamo ripigliò Silvestro. E si avviarono.^

Per via, il yecchio disse: Si, buon fanciullo: ,

siate seìnpre pietoso, e il Signore v i benedirà. O h ! se sapeste quanto L infelice il cieco. Io sento ’ ­ ­ — — — — -— —

(31)

parlare di tante bellezze del cielo e della terra; odo la voce dei miei cari, ma non vedo che buio, buio e buio !

A queste parole Silvestro si senti stringere il c u o r # Poi disse: Avete ragione, mio povero

vecchio; il Signore vi consoli !

Giunti a casa del cieco « Grazie disse questi a Silvestro — Iddio v i conservi sempre la vista.

Come fu lieto Silvestro !

Delle parole « fanciullo pietoso » quale è il n om e? Quale è l altra parola che indica la buona qualità del fanciullo?

D IO N O N PA G A I h S A B A T O

Cecco è un monel lo sfacciato;

sta s e m p r e in mezzo alle vie, reca

molestie a tutti, e dà spinte, e fa

bocoauce, e svillaneggia, e h ’ è uri

ira di Dio.

E, se gli capita innanzi qualche

povero s t or pi o, peggio di peggio!

Fi gurat evi che possa fare quel b i r ­

be! cc io ne di Cecco!

E dire che tutte gli l o r n a n o b u o n e .

Ma

Dio non p a g a il s a b a to ,

non

è vero ?

Se dico: << Cecco è uno sfacciato » quale parola indica la brutta qualità di Cecco?

(32)

UNA LE PAGA TUTTE

Cosi è.

Tante volte a l pozzo va la secchia, C/ì ella vi lascia il manico o ! orecchia.

Un giorno o l'altro, le azioni cattive saranno punite.

Cecco ne aveva fatte delle belle, senza soffrire neppure un mal di capo.

Ma udite che gli avvenne.

Egli, come al solito, l’altro giorno stava con altri monelli a fare, come si dice, il demonio.

Passò di là un povero sciancato, e quelle . birbe gli dettero addosso con urli e strepiti da non finire. •

Cecco volle rifare il verso di quell’ infelice; ma, che è che non è , eccolo stramazzone a terra, con una gamba rotta. I compagni di lui scapparono via come fulmini; e, se non si' fosse trovato di là un contadino, Cecco sarebbe morto di dolore.

O ra egli è inchiodato nel letto; e speriamo che guarisca. Ma non è vero che « Una le

paga tutte? »

Noi diciamo «. come è Cecco » invece di dire : che qualitc ha Cecco?

(33)

Lo sciancatello

Mamma, t ’ intendo, sai, Quando mi guardi tanto: Fingi un sorriso, ed hai

I ra ciglia è ciglia il pianto. Aneli’ io lo so, lo veggio ’**■

Che gente senza cuore Ride quand’ io passeggio, E accresce il tuo dolore. Però ti riconsola:

Ogni persona onesta I V una dolce parodi

mi fa festa. M’ allieta e

Se avessi in iSji bel busto Il cor cl’ un serpentello. Mamma, ci avresti gusto C h ’ io fossi, poi, si bello ? Se le ginocchia ho strambe. Non t ’ amo con le gambe. Il cor, che tu m ’ hai dato. Mamma, non è sciancato !

(34)

I L N A S O

Il naso ha la

r a d ic e

, il

dosso,

il

moccolo,

le

pinne

o

fr o g e ,

le

narici

e il

setto

.

Vi ha dei nasi profilati, a p p u n ­

tati, aquilini, arcionati, camosci o

r icagnat i.

Chi vuol s a p e r e i fatti altrui è

un

ficcanaso.

R e s ta re con tanto eli naso

vuol

di re r e s t a r e bur l at o.

Io

non m i faccio pigliare pel

naso,

cioè: non mi fo a g g i r a r e da

n e s s u n o .

Cui non vuole s e nt i r e cattivi o-

dori, si turi bene il naso con la

pezzuola.

Ove è puzzo, o forte odore, s t a

mal e d o r m i r e .

Se ti trovi in c o mpa gni a di p e r ­

sone, e senti puzzo, o vedi cosa

(35)

spiacevole, non c o r r e r (osto con

le mani al nas ), e non dii* motto,

perche altri non se ne accorga.

Non è meno disdicevole il no­

m i n a r e certe cose schifose, che il

farle.

Q ualità di una persona, di un animale o di una cosa, vuol dire come e una persona, un animale, una cosa.

IL LINGUAGGIO DEI FIORI

Fonino e il babbo, in un giorno di festa, passeggiavano pei viali del giardino.

« Che bei fio r i son q u i! disse Tonino, stando innanzi ad un’ aiuola. Permetti, babbo,

che io ne colga p e l mio signor Maestro ?

Sì, f a pure disse il babbo ; ma ram

menta. che il signor Maestro, p iù dei fio r i, che tu g li offri, desidera il fr u tto delle fatiche"che spende p e r te ; vuole che tu sii buono e studioso, e g li faccia veramente onore. O dim m i: di quali fio r i vuoi tu comporre il mazzolino ?

D i rose e di viole del pensiero.

Oh ! bravo, hai scelto bene. L a rosa vuol

dire am ore: essa t'in se g n i, dunque, ad amare Dio, la fa m ig lia e la Patria. L a viola del pen siero ti ramm enti sempre i doveri d i gratitudine

— — — — — ­ -— — ­

(36)

h

verso i tuoi benefattori, c specialmente verso il maestro, che ti fornisce il p iù bel tesoro della vita.

L a camelia è un bel fio re, ma non odora. La mammoletta vive nascosta tra / ’ erbette dei campi; non è vistosa, ma ha un odore soavissimo.

Q u a li''fa n ciu lli potresti somigliare alla ca melia ? E alla mammoletta ?

T ro v a te in questo racconto le parole che indicano qualità.

CINCINNATO

Sapete chi era Quinzio Cincin­

nato ?

Un r o m a n o dei tempi antichi,

u o m o alla buo n a , modes t o e l ab o ­

rioso. Egli l a v o r a v a di sue mani

il s u o campicello, e viveva di quei

frutti, che r i c a v a v a dalla t er r a .

E r a poi vol oroso in g u e r r a , e

vinse più volte certi popoli, c hi a ­

mat i gli Equi e i .'Voisci. nemici

di Roma . *

^

Ci nci nnat o ebbe g r a n d i onori,

m a non i nsupe r bì ; r i c us ò perfino

(37)

un ricco clono dei Ro m a n i , e (ornò

al suo podere.

Ilo salvalo la P atria

— egli di ­

c e v a —

ed ho fatto il mio dovere

, ,

Che belTesempi o di modes t i a !

L e parole che indicano qualità si chiamano a g g e ttiv i£

Le parti di un fiore.

I fiori sono attaccati alla pianta per mezzo dello stelo, che si dice pure gambo o picciuolo.

Sullo stelo è. un rigonfiamento verde, chia mato calice# Il calice è formato di sepali'.

Si dice che il « fiore è i?i boccia » quando il calice non è aperto ancora.

II fiore sbocciato mostra la corolla, che è la parte più bella, composta di foglioline, flette

pètali.<

Se la corolla è mista di più colori, il fiore si dice brizzolato.

Avete veduto quei filetti, che sono in mezzo alla corolla del giglio ? Oh ! tante volte, certa mente. Quella polvere gialla, che si attacca alle dita è il polline; e quella borsetta, che lo con­

tiene, si dice antera.

Il filetto, V antera e il polline formano lo

(38)

)

stame. In mezzo agli stami è il pistillo, che

ha lo stimma, lo stilo e Y ovario.

L ’ovario è r nascosto nel calice, e porta gli

ovoli, che poi tramutansi in semi. Lo stimma

è la parte superiore del pistillo. Lo stilo è tra T ovario e lo stimma.

I fiori riempiono l’animo di meraviglia e di gioia, e ci mostrano la magnificenza e la sa pienza di Dio creatore.

Nelle parole « fio re sbocciato, fio re brizzolato, p o lvere g ia lla »• quali sono i nomi e quali gli aggettivi ?

* lye labbra

La bocca ha due labbra: il labbro superiore e l’ inferiore. Sul labbro superiore è un cana­ letto, che si dice filtro.

A certi fanciulli si vede colar giù, dal naso, quell’ umore schifoso che è detto moccio.

Brutta cosa cotesta !

Se il moccio vien giù, bisogna tosto levarlo via col moccichino, e non con le mani, o con le maniche della giacchetta, come fanno certi su dicioni.

A ffo g a r nei mocci significa non aver coraggio

per niente.

Così fanno alcuni : i quali, nulla nulla che avvenga, affogano nei mocci, come vedessero cadere il mondo.

T rovate i nomi e gli aggettivi nella lezione letta ora.

­

(39)

.

Tonio, il sudicione

'ronio, il figlio di mastro Gaspare, il cia battino, era nemico della nettezza, e aveva sempre sudice le mani, più sudicia la faccia e rabbuffati i capelli.

Dopo i rimproveri del maestro, Tonio si ri­ puliva; ma poi tornava da capo.

O senta disse un giorno il M a e stro , ora

7ion ne posso più! Un sudicione, come lei, m i f a vergogna; ed io non vo tenerlo nella scuola. Esca subito, e più non ci metta il piede. \

Oh! come piangeva Tonio: le lagrime gli venivan giù a catinelle.

Ebbene ripigliò il Maestro; può rimanere costi, p e r questa mattina; ma pensi bene p er domani.... e p e r sempre,

Tonio, ora, lo credereste? è l’alunno più pulito di tutti.

Che cosa sono le parole sudice, rabbìiffati? Perchè ?

Ciò che si trova nella bocca

Nella bocca sono i denti, la lingua, il p a

lato, le tonsille e Xugola.

Il dente ha la radice, il colletto e la corona La radice del dente è conficcata nella ma scella, ed è coperta dalle gengive.

­

— —

— —

­

(40)

Lo smalto è quella vernice bianca, che ri copre la corona del dente.

In ciascuna mascella sono sedici denti: quattro incisivi, due canini e dieci molari.

Perché si chiamano incisivi? Perché canini? Perché molari?

Il dente del senno, o della sapienza, è l’ul timo dente molare di ciascuna mascella.

I denti stridono per paura o per freddo. Chi è preso da ira, digrigna o diruggina ì denti.

Ma « Chi si adira, delira » dice un pro verbio.

Se dico « bocca » ne voglio intendere una o più ? E se dico <«, bocche ? y> Il numero che indica uno, si dice numero singolare; il numero che indica p iti, p lu ra le.

PLATONE E IL SER

Ti batterei., se io non fo ssi iit

collera —

di sse il filosofo Platone

a l . s u o s ervo, il quale aveva c o m ­

me s s o u n a manc a n za .

Disse bene Pl at one ? Che può

fare un u omo accecato da l l ’ i r a ?

­

(41)

,

ANCONA D E I D E N T I

Non conviene, alla pr ese n z a delle

p e r s on e , strofinarsi i denti con le

dita, o con la pezzuola, o, s t a n d o

a m e n s a , col tovagliuolo. .

Dopo il des i nare, usate con g a r b o

lo stuzzicadenti.

Non r o mp e t e coi denti noci, noc-

ciuole, nòccioli, confetti, o a l t r e

cose du r e.

1

denti patiscono u n a mal att ia

detta

ca r ie

, la quale p r o d u c e dolori

acer bi s s i mi .

Chi non vuole do l er se n e dopo,

se ne g u a r d i pr i ma, ché «

Il p e n ­

tirsi ta r d i non (fioca.

»

In questa lezione alcuni nomi sono di numero singolare, altri di numero plurale: trovateli.

Si vive per mangiare, o si mangia per vivere?

Certi fanciulli non si c o n t e n t a n o

mai delle vi vande p r e p a r a t e dalla

m a m m a . F a n n o bene cos ì ?

(42)

Gli antichi dicevano:

Piglia il

m o n d o come viene.

Ed avevano

ragi one. S a ppi amo noi ciò che ci

pot rà a cc ad e r e ? Un ricco non può

d i v e n i r povero ?

Un buon appetito è il miglior

con di me nt o, e l'appetito viene col

lavoro. Soltanto l’ozio fa parer

cattivo ogni cibo.

E poi:

Si vive per m a n g i a r e , o

si m a n g ia p e r vivere ?

Io mangio per vivere; tu mangi p er ; l uomo mangia p e r...

A L I M E N T I

Cxiulietto aveva un gran pensiero, e una mat tina di domenica si levò più presto del solito e corse difilato nello studio. La sorellina Maria, che faceva la terza| elementare e che gii vo s' leva un bene dell’anima, se ne avvide, e poco dopo lo segui. Il Maestro aveva dettato, alcune domande sugli alimenti. Giulietto, dopo alquante, r i p o s t e , s ’era lj impuntato e non sapeva da (^ual parte rifarsi. v

O h! Giulietto, che f a i costì impuntato,

__ ’

­

(43)

^ I TRE REGNI DELLA NATURA

O senti, Mario; se poni un seme nel terreno, che vi troverai di poi?

Una pianta, rispose M ario. E la pianta è sempre piccolina? No, cresce e si fa alta.

E si muove dal suo posto ?

No, sta fissa in terra ; non si può muo­ vere.

E il gattino, che hai in casa, nacque pure da un seme posto in terra?

No, nacque dalla mamma.

E cresciuto il tuo gattino? e si muove? Sì, ora è grandetto; coni’ è bellino! e se vedesse come saltella e fa capriole!

E se poniamo nel terreno una pietra o un pezzo di ferro, crescerà poi ?

No.

Vi è differenza, dunque, tra un seme, un

gattino e una p ietra ? Me la sapresti dire?..'..

Or vedi: tutto ciò eh’ è sulla terra si divide in tre grandi classi, che si dicono i tre regni

della N atu ra : e sono il regno animale, che

comprende tutti gli animali; il regno vegetale,• che comprende tutte le piante, dette pure ve

getali ; il regno minerale, che comprende le

terre, le pietre e i metalli. — — — — — — — — — — — — ­

(44)

I L C O L L O

Il collo è tra la testa e il busto.

Nel davanti del collo sono la gola e il pomo

d 'A d a m o .

Quella parte carnosa, che talora pende tra il mento e il collo, si dice pappagorgia.

Il didietro del collo si dice mica.

Quel tale è un rompicollo, perchè fa le sue cose alla cieca, senza badare ai pericoli.

Collitorti o picchiapetti son quei tali, che

paiono divoti e buona gente; ma che, poi, non son tanto farina schietta.

Per distinguere una persona da u n altra si usa un nom e particolare.

(fjsserranclo, s’ impara

Tu, bambino mio, disse il nonno d i B et

tino hai innanzi agli occhi un gran libro, e poche volte vi leggi : io parlo del gran libro delle cose create. Quante volte non hai visto un fiorellino, un filo d ’ erba, una pietra, un insetto ? Hai detto mai fra te : che è questo? com’ è fatto ? a che potrà servire ? Se tu os servassi bene le cose, impareresti più di quanto si legge nei libri. Dovresti anche formarti un

erbario. Sai come si fa ?

­

(45)

Si raccolgono erbe, foglie, fiori; si pongono tra fogli di carta senza colla; e poi, sotto una pressione, anche di pietre, se ne fa uscire l’umidità.

Le foglie,, o i fiori, disseccati, /si fissano in un quaderno, e sotto ciascuno di essi si scrive: Questo fiore (se è fiore) si chiama... .e* fu tro vato il giorno.... nel luogo....

Bettino seguì il consiglio del nonno; e dei quel dì fu attento osservatore d i tutto.

A nch e i paesi, i fiumi, i monti hanno il loro nome parti colare.

I nomi particolari delle persone, o delle cose, si dicono

nom i p ro p ri.

DOMANDE

Perchè, quando si vuol travasare il vino con quella canna che si dice sifone, bisogna tirar via l’aria della canna ?

Perchè, quando piove, usiamo il paracqua? Perchè la spugna assorbe l’acqua?

Perchè ai carri e alle botti si mettono i cerchi di ferro, dopo averli fortemente riscaldati?

Perchè la palla di gomma rimbalza?

Prendete due fogli di carta eguali e di unoN O O fatene una pallottola; lasciateli cadere tutti due dall’alto: quale giungerà prima a terra? e perchè ?

­

(46)

Perchè le carrozze, quando fanno la curva della strada, rallentano la corsa ?

Mentre voi correte, potete fermarvi di botto? e perchè ?

z f’o g o l .i a .

Eccoti una foglia di quercia. Sai coni’è detto cotesto filetto, con cui la foglia si attacca al ram o?...( i ) e la parte dilatata?... (2) e la punta ?.... (3) e il contorno ?.... (4).

Dimmi, Bettino: la pagina superiore di cotesta foglia ha lo stesso colore della pagina inferiore?...

Così è delle altre foglie.

Vedi cotesti filetti, che dal picciuolo vanno al lembo? Sai come son detti?.... (5).

O h! anche le foglie hanno i nervi? disse meravigliato Bettino.

Sì, davvero: ma non hanno, p o i, i l mal

di n e r v i disse sorridendo il nonno come

cer...ti barn...bi...ni ! che, p e r un nonnulla, im bronciano e peggio.

Quelle parole certi bambini, prolungate più delle altre, si riferivano a Bettino, che ha sempre i nervi tesi, come si dice, e subito stizzisce. Brutto vizio !

Che cosa fa Bettino? Le parole, che indicano ciò che noi facciamo, ossia le nostre azioni, si chiamano verbi.

(1) picciuolo (2) lamina o leml>o (3) apice (4) orlo. (5) nervi o nervatura. -— — — — — ­ — — —

(47)

SA N T A VIRTÙ E LA PAZIENZA!

Con te ci vuole la p a z ie n z a di

Giobbe.'

— mi di ceva il b a b b o ,

q u a n d o io faceva le mi e s o l i l e ,

c hé • f r ugol i no p u r ci ero. E mi

di ceva che Giobbe soffrì Luti’ i g u a i

di q u e s t o m o n d o s enza mai a d i ­

r a r s i .

Gli m o r i r o n o s et t e figliuoli e tre

ligiinoie; di r i c c h i s s i m o d i v e n n e

pover o; e, da c a p o a piedi, fu pi eno

di m a l or i .

E Gi obbe con s a n t a p a z i e n z a ,

diceva :

N a c q u i u u d o , e m o r r ò

nudo; il S igno re mi ha d a to , il

Signore mi ha tolto: sia benedetto

il suo santo nom e !

11 S i g nor e , in p r e m i o della p a ­

zienza, r i d o n ò a Gi obbe la sal ut e,

le ricchezze, l un g a vita e molti

figliuoli.

C h e co s a fa c cia m o con g li o c c h i ? con le o rec c h ie ? co n le m ani ? coi p ied i ?

C h e co sa so n o tu tte c o te s te p a ro le , ch e in d ican o le n o stre azion i ?

(48)

L o sc o la r o di Z en o n e

Zenone, a n t i c o s a p i en t e, aveva

e d u c a t o alla s u a s cu ol a u n caro

g i o v a n e t t o .

Un g i o r n o , t o r n a t o il g i o v a n e a

c a s a , il p a d r e gli d o m a n d ò :

Che

ti ha insegnato il m a e s t r o

?

Il g i o v a n e non ' r i s p o s e .

Lo diceva io

— ripigliò il babbo,

s d e g n a l o —

lo diceva io che avrei

gittato il tem po

.

e il d a n a r o , con

quel melenso di m a e s t r o !

E il g i o v a n e t aceva a n c o r a .

Ma d u n q u e mi lai perdei'e la

p a z ie n z a , imbecille c/tyisei?

g r i d ò

più s d e g n a t o il p a d r e .

,

E, con un b a s t o n e , lo

b e n e più volte.

Il

g i o v a n e non die s e g n o di col ­

lera o di

c he al

b a b b o s p a l m a s s e l ’ ira, poi disse:

Questo mi ha insegnato Z e n o n e !

Z e n o n e fu un u o m o sa p ie n te . C h e p a ro la è Z e n o n e ? e sa p ie n te ?

(49)

f 4 / P K / X ?

Verso i superiori

d o b b i a m o amare, rispettare e obbedire i nostri superiori, perchè ejssi fanno il nostro bene, e ci aiutano coi Consigli e con l esempio.

Il m a g g io r rispetto, poi, è dovuto al M a e stro. Chi disprezza il suo Maestro, non sarà buon cittadino.

I l fig lio di T eodoro

T eo d o ro , imperatore romano, ebbe un f i gliu o lo di nome/ A rcadio . • ^

Q u an d o A r c a d io fu [grandicello, il padre lo affidò al ^maestro Arsen io, dicendo : Da^ qnì f in itix voi, o Maèstro, ! sa rete suo padre, coinè ^ se fo ssi io medesimo, Jì A rvsen4a a m aya tanto ^ quei-figliuolo, e pon eva o g m t u r a ne tt educarlo.

U n g io rn o l Imperatore, entrato nello studiò, / trovp il maestro in piedi e il discepolo seduto.'

( A lz a ti, e cedi il posto al tuo maestro dissfe con vo ce severa l Imperatore. E da quel dì, > A r c a d io non osò ^più di star seduto, quando il suo m aestro era in piedi.

L a g g e ttiv o e 1a rtic o lo d e v o n o a v e re lo stesso g e n e re e n u m ero d e l n o m e.

S i p u ò d ire la Maestio * fterchè.?

' ’ ­ ­ -' ' ’ ’ -—~ ’ ' ' ’ ’

(50)

CHI HA TEMPO NON ASPETTI TEMPO

Così d ic e mi p ro v e rb io . Le ric c h ez z e p e r d u t e s i possono r ia c q u is t a r e ; in a il te m p o p e r d u to non to r n a più.

P lin io M vecchio, u o m o d o ttissim o , p o r t a v a s e m p r e con sè u n . libro, p e r le g g e r e n e g l1 in te rv a lli t r a u n a fa c c e n d a e l’ a l t r a .

Il p a sto re llo A n g io letto , ch e fu poi il ce le b re G iotto, m e n t r e g u a r d a v a il g r e g g e , d is e g n a v a su u u a p i e t r a le pecorelle.

E tu, fauci alio, ('he fai nelle ore di ozio'

Hai pensalo mai di portare con te, alla

passeggiala o in campagna i tuoi libril

Se ogni dì imparassi due cose nuove,

quante nè sapresti alla fine dell' anno?

È dolce il far niente: ma chi non suda

,

non ha roba.

»

Nelle parole « Plinio portava con se un libro » quale

indica l azione ?

Che nom e è Plinio? e libro?

I nom i, che non sono propri, si dicono comuni.

­

­

(51)

(ili uccelli hanno il corpo coperto di piume e di penne ; hanno....

Le penne delle ali si dicono remiganti; quelle ■della coda, timoniere.

L ’ usignuolo è il principe degli uccelli can tori : vengono dopo il canarino, il cardellino, il mcr

La rondine, il passero, il pettirosso, il codi­

rosso, il fringuello, il tordo, il beccafico, la ciallegra e lo scricciolo sono uccelli comuni

nei nostri paesi.

L 'aquila, il falcone, lo sparviere, il barbagianni, la civetta hanno becco adunco e pie’ con arti gli: essi mangiano le carni di altri uccellini; e perciò son detti uccelli di rapina.

Il fanciullo e il nido

« F anciut, ti prego, quanto p u ò una m a d i e: l)e h ! non toccare il piccai nido mio ; A un lo g u a r d a r cuti le p upille la d re,

('he r i son dentro i m iei p u lc in i; ed io Su che pigoleràn tutti sgomenti,

Se dentro tìcchi i tuoi occhi lucenti. » Volentieri il fanciullo avria g u a rd a to ;

P ur cheto e cauto stette di lontano. Volò la m a d re al suo riposo usato, E s ’ad ag iò sopra i pulein pian p ia n o : E g u ardò al faneiullin, di dire in atto: G razie t hè m ale alcun lor non h a i fa tto !

­

(52)

UCCELLI DOMESTICI

P erchè son detti cosi? L i conoscete?

E ccovi l’uovo : rom pete il guscio. C h e vi è dentro ? (*).

V o raccontarvi un fatterello.

C era una donna chiamata Lena, che ogni g io rn o da una gallina a v e v a un uovo.

P ensò la p o vera L e n a che, dando più man g iare, la gallina potesse fare due uova al giorno.

M a la gallina ingrassò, e non ne diede più alcuno.'

N on è vero che chi troppo vuole, niente ha?

T r o v a te 1 n om i di g e n e re fem m in ile.

COME SI MISURA IL TEMPO

Oh ! non lo sai? A c h e s e r v e lo

o r o l o g i o ? Coni’ è f a t t o ? Qual è il

t e m p o più b r e v e s e g n a t o d a l l ’o r o ­

logio ?

S e s s a n t a m i n u t i s ec ond i f o r m a

-( i) I! pannarne, la chiara, il tuorlo.

’ ’

(53)

n o ...; s e s s a n t a mi nu l i p r i mi for­

m a n o ...

Di q u a n t e o r e è la g i o r n a t a ? Di

q u a n t i gi or ni è la s e t t i m a n a ? e il

m e s e ?

Le gg e t e qui sotto.

, T ren ta giorni ha n o v e m b re ('on aprii, giu gn o e s e tte m b re ; Di ventotto ve n h a uno: Tutti gli altri ìT h a n trentuno.

^Febbraio e s e m p r e di veni otto

g i o r n i ? Qual e a n n o si dice

bise­

stile?

P e r c h è ogni q u a t t r o a n n i si

a g g i u n g e a F e b b r a i o un g i o r n o di

più ?

Q u a n t e s e t t i m a n e ci s o n o in un

mese? e in un a n n o ? Come lo s a

-I n u m eri in d ic a n o quantità, o ssia q u a n te so n o le p e rso n e, o le c o s e , di cu i p a rlia m o .

L e p a ro le , c h e in d ican o q u a n tità , si c h ia m a n o a n ch e ag gettivi.

Ancora del tempo

i na volta Fanno era di dieci mesi. Numa Pompilio, secondo re di Roma, vi aggiunse Gennaio e Febbraio.

' ‘

(54)

Prim a di Guitta, i mesi cominciavano da marzo; e perciò settembre, ottobre, novem­ bre indicavano il settimo, rottavo, il nono mese dell'anno.

Sapeie come si fa il censimento?

Si contano le persone di ciascuna fami­ glia, e si ha la popolazione di un paese. Uniti insieme i numeri delle popolazioni dei paesi, si forma quella del Regno.

In questo paese ci sono... abitanti: in tutta 1‘ Italia siamo circa trenta milioni.

Il censimento ora si fa ogni dieci anni. Il primo censimento fu fatto a Roma dal re Servio Tullio, cinquecento cinquanta anni prima della nascita di Gesù. Roma allora contava ottantaquattro mila famiglie e quat­ trocento venti mila cittadini.

Il censimento, a quei tempi, si faceva ogni cinque anni; e il periodo di cinque

anni fu detto

lustro.

Cento anni formano un secolo. Noi con­ tiamo i secoli dalla venuta di Cristo: e perciò ora siamo nel secolo.,..**

Dicendo a uno:

È un secolo, che non lì

Jio veduto

, che cosa vogliamo dire?

C o n ta re le p e rso n e d e lla fa m ig lia . D icia m o il p resen te. D ic ia m o il p a ss a to . D icia m o il fu tu ro .

(55)

I consigli

dei

vecchio

Hcr piacere che ogni giorno,.impari cose

nuove

diceva J l * pee(,hw~^Tulliot al suo

nipotinor-

ma vorrei che tu fossi più buono* II, mondo,, senza uominivlottà, può andar* bene; ma, senza uomini^ buoni. andrà male sempre.

Un, po’ scapestratalo tu ci sei, caro^mio: e devi metter giudizio/ Sarai sempre pic­

cino & Aneli’ io era come te Or vedi

queste, grinze,, qui, sulla frontone queste"

canute chiome?#

Chi vuol goder 1’ aprile, Nella stagion severa, R am m enti in p rim a vera Che il verno tornerà.

L’aprile della nostra vita è la gioventù: la stagion severa è la vecchiaia.

Se vuoi godere nella tarda età, pensa, ogni dì, che la vecchiaia dovrà venire.

Guai a chi non avrà ben seminato !

Ciò che si semina si raccoglie

.

V o lp e , lupo e m u lo

O h! cornare: perche corri, tanto a ffa n n a ta / Fìiggiamo ! compare : ho veduto un grosso e terribile animale, e tremo tutta p e r lo spavento.

'

(56)

M a via, comare: sei troppo vile !...Su, andiamo a vedere: e, ci fossero anche cento leoni, vivaddio! li vo strozzare tutti.

E si a v v ia ro n o : il lupo innanzi e la volpe dietro.

Giunti d o v era il mulo, gli dom andarono del&> v suo nome.

O h! io non 1' ho bene a niente disse il mulo : m a, se lo volete sapere, è scritto sotto

i l p iè diritto di dietro.

Me misera, che io non so leggere! disse la volpe.

O h! lascia fare a m e ripigliò il lupo

che io molto lo so ben fa r e.

Il mulo stese il p ie , sì che i chiodi parevano lettej^. Il lupo si accostò, per le g g e re : e il mulo gli die sul capo un calcio tale, che lo uccise.

L a volpe, fuggen do, esclam ò: Non tutti quelli che sanno leg g ere, sono savi !

D o m an i io im p a re rò c o s e n u o v e . D i c h e te m p o si p a rla? P e rc h è ?

LE STAGIONI

Le rondinelle tornano ai loro nidi, il cielo si fa più sereno, gfi uccellini cantano lieti svolazzando per f a r l a tepida; i campi, i prati, gli alberi verdeggiano di verde

— — ’ — — — — — — — — ’ ’

(57)

novello screziato di mille (lori; il giorno è quasi uguale alla notte: è... (1)

L‘ aria-e"caldissima, le giornate sono lun­ ghe; la campagna non ha più (Tori, ma frutti; le spighe di grano biondeggiano e il contadino corre con la sua falce a reci­ derle ; gli uccelletti desiderano f ombra e si rifugiano nei boschetti: si ode la stridula cicala che passa, il tempo a cantare:^»'*... Il caldo diminuisce, il tempo si fa u g­ gioso e piove spesso: le giornate sono più corte; le Toglie degli alberi ingialliscono e •cadono ad una ad una, si fa la vendemmia

e la raccolta delle frutta tardive: è.... Che freddo! La nove cade a Hocchi larghi ■e lenti, e spesso i monti, le campagne, gli

alberi, le vitf'é le case soum coperti come

di bianco lenzuolo; piove anche più spesso e soffiano venti forti e freddi; i poveri uc­ cellini non trovano da beccare, e muoiono di fame e di freddo; le giornate sono cor­ tissime: è ...

Le stagioni sono dunque...

L A C I C A I A E LA FORMICA

L a formica, tutta l’estate, a v e v a raccolto ciuc chi di gran o, e la cicala si era divertita a cantare.

V en uto l inverno, la formica si tro vò ben

(1) Si farcia indovinare d all’alunno la stagione.

­

(58)

y i j r v r f ’

7 9l w

p ro vvista di cibo, e la cicala non aveva di che m angiare.

Costretta dalla fame, la cicala si presentò alla formica, e, tutta umiliata, le disse: M i dai, o buona vicina, un po' d i cibo, che io muoio< d i fame?

L a formica ebbe pietà di lei, e la soccorse. Il dì appresso, la cicala tornò di nuovo; ma la formica le disse \ O h! che facesti nella buona stagione ? A llo ra cantasti, ora balla.

C osì avvien e a chi non pensa all avvenire !

L ' uomo previdente non f u m ai povero.

m w s m m © l *

u e e j & L & p r a

Poverino l uccellino !

N ella rig id a stagione, Quando fis c h ia l aquilone, E la neve co pre il suolo, Non sa dove p ieghi il volo. P ov erin o 1 uccellino !

A ffam ato , d a b e c c a re Nulla nulla può trovare, Non insetto, non granello. O h ! l inverno è il suo flagello. Poverin o 1 uccellino !

Pur sopp orta fa m e e gelo,

Pur ca n ticch ia al sole e n 1 cielo, Pur sostiene la bufera,

A s p e tta n d o p rim a v era . Oh ! carino d uccellino :

Col tuo fatto ci ram m enti Che « il resistere agli stenti> Senza perdere il coraggio, E dover di chi è saggio.

’ ’ ’ ’ ’ ’ ’

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