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PINO MARIANO, La parola premeditata, Lecce, Milella, 2018, 276 pp. (con un’Introduzione di Antonio Romano e una Table d’hôte di Cyril Welch).

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L'IDOMENEO Idomeneo (2018), n. 25, 266 ISSN 2038-0313

DOI 10.1285/i20380313v25p266

http://siba-ese.unisalento.it, © 2018 Università del Salento

266

P

INO

M

ARIANO

, La parola premeditata, Lecce, Milella, 2018, 276 pp.

(con un’Introduzione di Antonio Romano e una Table d’hôte di Cyril

Welch).

La parola premeditata di Pino Mariano (Milella, 2018, pp. 276) si presenta come un lavoro di ampio respiro, articolato in un continuo dialogo tra le teorie della filosofia del linguaggio e la linguistica, tra il mondo classico e quello contem-poraneo, tra il silenzio e il discorso che lo descrive o gli si contrappone. Come scrive il prefatore nell’introduzione «[...] si esaltano in questo volume tutti gli aspetti del linguaggio che ne fanno un formidabile mezzo di crescita armonica e di formazione sociale e spirituale dell’uomo». Il libro si struttura in undici capitoli, che attraversano la questione del linguaggio da più punti di vista, percorrendo un cammino che ha come prima tappa quella del silenzio, affrontato nei primi due capitoli in relazione alla parola e all’ascolto. Queste due sezioni, di particolare finezza su una tematica delicata come questa a cui sono stati dedicati numerosi contributi (pensiamo, tra gli altri, anche ai recenti e significativi lavori sul tema coordinati dall’Accademia del Silenzio di Duccio Demetrio), costituiscono la con-dizione necessaria di avvio del discorso che l’autore conduce nel corso dell’intera opera con un piglio vivace, non senza alcune osservazioni critiche, capaci anche di venature sarcastiche. A partire dal terzo capitolo, il libro si sviluppa nelle varie declinazioni del “dire”, passando dall’atto di parola saussuriano alle contraddizioni di un’arbitrarietà vista su più livelli e restando questo il punto centrale di relazione con la realtà, il pensiero, la sua organizzazione, la scrittura, la lettura, il dialogo. Il lettore può scorrere agevolmente in un testo fitto e ricco di riflessioni, citazioni e richiami continui, nonostante i refusi editoriali che talvolta, presenti nella resa grafica dell’intonazione dell’autore, in particolare nella punteggiatura degli incisi e nelle parole composte, rallentano la comprensione di un testo di tale complessità. L’autore, che ha a cuore la forza primordiale del linguaggio come possibilità e virtù della relazione sociale autentica, non perde di vista sino al termine del lavoro la questione centrale della verità, «inerente al linguaggio al punto che essa è per il parlante come l’aria che respira», pur nella consapevolezza dell’inadeguatezza del linguaggio stesso. In un libro che talvolta si fa denuncia, animata dallo sconforto e da una critica limpida del nostro tempo e della nostra società, vince tuttavia la tol-leranza e la sua realizzazione assoluta nella forma e nella forza del dialogo. Questo appare possibile con la figura strategica dell’“uomo di cultura” e solo grazie a una fede nell’amicizia e nell’uomo, ancora viva e capace di resistere al tempo.

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