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Immigrazione marginalizzazione integrazione

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Academic year: 2021

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L’integrazione dell’immigrato

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L’integrazione dell’immigrato nel panorama europeo:

spunti introduttivi

Luigi Daniele

SOMMARIO: 1. L’integrazione come antidoto contro la marginalizzazione. – 2. Il ruolo dell’Unione. – 3. Sfide attuali dell’integrazione. – 4. Il Piano d’azione sull’integrazione dei cittadini di paesi terzi. – 5. Conclusioni.

1. L’integrazione come antidoto contro la marginalizzazione

Forse la scelta della scansione dei tre termini che compongono il titolo del Convegno odierno, “Immigrazione – Marginalizzazione – Integrazione”, è stata dovuta all’innata aspirazione della mente umana, in particolare dei giuristi, per la simmetria. Delle tre pa-role, due composte da cinque sillabe e una da due sillabe in più, è risultato “naturale” in-terporre la più lunga a quelle più brevi.

Da un punto di vista logico, tuttavia, l’ordine avrebbe dovuto essere diverso e, dei due ultimi termini, l’integrazione avrebbe dovuta essere posta prima della marginalizzazione. In realtà l’integrazione è l’antidoto stesso contro la marginalizzazione.

Vero è che l’immigrato è già di per sé esposto al rischio di marginalizzazione, in quanto svantaggiato rispetto ai cittadini del paese d’accoglienza. Secondo i risultati di alcune ri-cerche citate nel Piano d’azione sull’integrazione dei cittadini di paesi terzi, pubblicato dal-la Commissione europea il 7 giugno 2016, i cittadini di paesi terzi continuano a incontra-re ostacoli nel sistema di istruzione, nel mercato del lavoro e nell’accesso ad alloggi di-gnitosi. Sono inoltre più a rischio di povertà o di esclusione sociale rispetto ai cittadini del paese di accoglienza, anche se attivi, e i minori sono esposti a un rischio di povertà particolarmente elevato. Nel 2015 il tasso di occupazione dei cittadini provenienti da pae-si terzi era di 12,4 punti percentuali inferiore a quello dei cittadini del paese ospitante, con tassi particolarmente bassi per le donne. I migranti provenienti da paesi terzi sono spesso sottoccupati, anche se in possesso di un titolo universitario. Le percentuali relati-ve all’ottenimento di risultati scolastici inferiori alle proprie potenzialità sono doppie per i migranti di prima generazione (42%) rispetto agli studenti figli di genitori nati nel pae-se (20%) e restano elevate per la pae-seconda generazione (figli nati nel paepae-se in questione da genitori nati in un paese terzo) (34%). Nel 2014, il 49% dei cittadini di paesi terzi era a rischio di povertà o di esclusione sociale rispetto al 22% dei cittadini del paese ospi-tante. Il 18,2% dei giovani nati al di fuori dell’UE viveva in condizioni di grave privazio-ne materiale. I cittadini di paesi terzi avevano più probabilità di vivere in un alloggio so-vrappopolato rispetto alla popolazione nata nel paese in questione.

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La marginalizzazione non porta soltanto a una condizione inumana per gli immigrati ma anche a gravi danni e alti costi per gli Stati di accoglienza.

L’immigrato marginalizzato, infatti, oltre a soffrire in quanto individuo, rischia di: – non essere in grado di contribuite allo sviluppo dell’economia dello Stato d’acco-glienza;

– finire preda della criminalità, specie di quella organizzata; – radicalizzarsi e aderire a movimenti terroristici.

Secondo il citato Piano d’azione sull’integrazione dei cittadini di paesi terzi, “vi è un chiaro rischio che il costo della non integrazione superi quello degli investimenti nelle politiche di integrazione”.

2. Il ruolo dell’Unione

L’integrazione rappresenta una questione che interessa tutti gli Stati membri. Come è stato infatti ribadito nelle Conclusioni del Consiglio e dei Rappresentanti dei governi degli Stati membri sull’integrazione dei cittadini di paesi terzi soggiornanti legalmente nell’UE, “l’effettiva integrazione dei cittadini di paesi terzi soggiornanti legalmente contribuisce alla creazione di società inclusive, coese e prospere, il che è nell’interesse comune di tutti gli Stati membri”. Nel contesto dell’Unione europea e, in particolare, della politica del-l’immigrazione, l’integrazione merita un approccio comune.

In effetti, da quando l’Unione europea ha cominciato a sviluppare una propria politi-ca in materia di immigrazione, l’obiettivo dell’integrazione è rientrato anch’esso nella sfe-ra d’azione delle istituzioni.

Certo, il compito di scegliere e attuare azioni in questa direzione rientra, anzitutto, nella libertà di ciascuno degli Stati membri. Secondo l’art. 79, par. 4, TFUE, l’unica base giuridica che si riferisce esplicitamente all’integrazione, l’azione dell’Unione ha infatti portata limitata. Essa consiste nello “stabilire misure volte a incentivare e sostenere l’azio-ne degli Stati membri al fil’azio-ne di favorire l’integraziol’azio-ne dei cittadini di paesi terzi regolar-mente soggiornanti nel loro territorio” senza però che tali misure mirino ad armonizzare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri.

Nondimeno le misure che l’Unione è riuscita ad adottare nel tempo hanno svolto un ruolo importante in ragione tanto del contributo finanziario che l’Unione è riuscita ad assicurare per alcune delle azioni di integrazione scelte dai vari Stati membri, quanto del lavoro di studio, di coordinamento e di confronto che gli uffici delle istituzioni sono sta-te in grado di promuovere.

3. Sfide attuali dell’integrazione

Al giorno d’oggi, le azioni di integrazione incontrano difficoltà che nei primi anni non si avvertivano.

L’ingente, continuo afflusso degli immigrati di questi ultimi anni ha portato per forza di cose a privilegiare l’aspetto accoglienza rispetto a quelli dell’integrazione. La necessità

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di trovare luoghi di collocamento provvisorio e di sostentamento per i migranti, in attesa che venga definito il loro status di rifugiato o di beneficiario di protezione sussidiaria, ha finito per relegare in secondo piano le politiche di integrazione.

Questo fenomeno ha riguardato anzitutto gli Stati membri, soprattutto l’Italia e la Grecia, che sono i destinatari “naturali”, per questioni geografiche e di tradizione umani-taria, dei movimenti di migrazione provenienti dall’Africa e dall’Asia. Ma anche gli Stati membri di immigrazione parallela o secondaria, quale la Francia, si sono trovati di fronte ad emergenze di tipo logistico che hanno messo in ombra le già rodate azioni di integra-zione.

Il tentativo di avviare un meccanismo di ricollocazione o reinsediamento dei migranti ha reso poi necessario immaginare percorsi che consentissero l’integrazione del migrante non nello Stato membro di primo ingresso, secondo la logica del sistema “Dublino”, ma soprattutto nello Stato membro di destinazione finale, percorsi che, secondo gli auspici delle istituzioni, potrebbero essere avviati non appena determinata la destinazione finale e quindi già nello Stato di primo ingresso.

4. Il Piano d’azione sull’integrazione dei cittadini di paesi terzi

Il più volte richiamato Piano d’azione sull’integrazione dei cittadini di paesi terzi fissa anzitutto una serie di Priorità politiche da perseguire e indica, in seguito, gli Strumenti a favore dell’integrazione che l’Unione può offrire.

Tra le priorità, figura al primo posto l’adozione di “Misure precedenti la partenza/l’arri-vo”. Si tratta di misure destinate ai soggetti rientranti in meccanismi di ricollocamento, sul modello di quanto previsto dalla decisione (UE) 2015/1601, ma anche di misure a favore di coloro che beneficiano di un ricongiungimento familiare. In entrambi i casi, il migrante sa in anticipo in quale Stato membro potrà essere ammesso.

Secondo un disegno che mira ad intervenire “quanto prima possibile” per favorire un’integrazione quanto più rapida e efficiente, i migranti interessati dovrebbero ricevere una formazione linguistica e professionale anche in partenariato con i paesi terzi, secon-do il piano d’azione concordato a La Valletta nel novembre 2015.

Analogamente, dovrebbero essere prese in anticipo rispetto all’arrivo dei cittadini di paesi terzi, misure per facilitare la preparazione delle comunità di accoglienza, in modo da favorire un atteggiamento aperto e accogliente.

La seconda priorità consiste nella “Istruzione”. L’accesso all’istruzione e alla forma-zione professionale dovrebbe avvenire il prima possibile dopo l’arrivo, fornendo un so-stegno specifico che includa corsi di recupero. Importante è formare insegnanti in pos-sesso delle capacità necessarie per assistere gli immigrati. I programmi dovrebbero esse-re orientati anche a conosceesse-re le leggi, la cultura e i valori della società di accoglienza.

Una terza priorità è quella della “Integrazione nel mercato del lavoro e accesso alla formazione professionale”. In questo quadro, viene posto l’accento sulla necessità di fa-cilitare la convalida e il riconoscimento delle qualifiche e l’accesso a corsi di formazione professionale, con una dimensione significativa di apprendimento basato sul lavoro.

Infine sono indicate come priorità l’“Accesso ai servizi di base” (alloggio, salute) e la “Partecipazione attiva e inclusione sociale” (sport, cultura). In entrambi i casi è essenzia-le che sia rispettato il principio di non discriminazione.

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Gli strumenti che l’Unione può offrire per promuovere l’integrazione, consistono, da un lato, nel “Coordinamento delle politiche” degli Stati membri e, dall’altro, nei “Finan-ziamenti” delle azioni rientranti nelle Priorità indicate.

Il Coordinamento dovrà riguardare i diversi livelli (dell’UE, nazionale, regionale e lo-cale), con il coinvolgimento dei portatori di interessi non governativi (le organizzazioni della società civile, le comunità di migranti e le organizzazioni confessionali). La Com-missione si impegna, tra l’altro, a rafforzare la rete dei punti nazionali di contatto per l’in-tegrazione, trasformandola in una vera e propria rete europea sull’integrazione.

Sul piano dei finanziamenti, ricordato che il Fondo europeo per l’integrazione ha ero-gato, per il periodo 2007-2013, 825 milioni di EUR, cui vanno aggiunti le erogazioni da parte dei Fondi strutturali, si ricorda che l’attuale quadro di bilancio pluriennale relativo al 2014-2020, assegna all’integrazione 765 milioni di EUR nell’ambito dei programmi na-zionali AMIF e che ulteriori azioni possono essere finanziate dai Fondi strutturali e dai fondi SIE.

5. Conclusioni

Come si ricorda nelle già citate Conclusioni del Consiglio e dei Rappresentanti dei go-verni degli Stati membri sull’integrazione dei cittadini di paesi terzi soggiornanti legalmen-te nell’UE, “l’inlegalmen-tegrazione è un processo dinamico a due sensi di adeguamento reciproco tra la società di accoglienza e i cittadini di paesi terzi, il che presuppone l’impegno da en-trambe le parti”.

Occorre perciò lavorare su due fronti: aprire la coscienza dei cittadini dell’Unione ver-so la cultura dell’accoglienza, nel loro stesver-so interesse; permettere che i cittadini di paesi terzi conoscano e si impossessino dei valori delle società europee, anche in questo caso nel loro stesso interesse.

Si tratta dunque di un processo di lunga lena, nel cui quadro le politiche messe in at-to raggiungeranno i loro effetti benefici solo a medio-lungo termine.

Il contributo dell’Unione consente agli Stati membri di lavorare ognuno per conto pro-prio, ma secondo linee comuni e di mettere a confronto le loro esperienze, nella ricerca delle best practices che siano state individuate nel campo dell’integrazione, pur rispettan-do le particolarità delle rispettive situazioni e tradizioni.

Il finanziamento da parte dell’Unione di numerose delle iniziative nazionali, regiona-li, locali o affidate a segmenti delle società civili aiuta poi a rafforzare il sentimento che si tratta di un’azione condotta tutti insieme verso un obiettivo comune.

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