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Abu al-Rayhan Muhammad b. Ahmad al-Biruni, Studio sui princìpi - vero o inverosimili - in base a cui ragionano gli indiani. Nota introduttiva e traduzione dall'arabo

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Testo completo

(1)

a cura di Marzia Casolari

e Claudia Maria Tresso

Sguardi

sull’Asia

Scritti in onore

di Michelguglielmo Torri

i libri di

EMil

(2)

Copyright © 2017

Casa editrice I libri di Emil di Odoya srl

isbn: 978-88-6680-196-2 Via Benedetto Marcello 7

– 40141 Bologna – www.ilibridiemil.it

Questo volume è stato pubblicato con i Fondi per la Ricerca Locale e con il contributo del Dipartimento di Lingue Straniere

(3)

Indice

Introduzione

Marzia Casolari 9

parte prima

La visione deLL’india tra ideaLizzazioni e stereotipi, daLL’antiChità a oggi Profumo d’Oriente e profumo di donna

nella Casina di Plauto

Mario seita 21

abū al-rayḥān Muḥammad b. aḥmad al-Bīrūnī

ةلوذرم وأ� لقعل� يف ةلوبقم ةلوقم نم دنهلل ام قيقحت باتك

Studio sui princìpi – vero o inverosimili – in base a cui ragionano gli indiani Nota introduttiva e traduzione dall’arabo

di Claudia Maria tresso 29

L’India di Endō Shūsaku in Fukai kawa – the deep river

gianluca Coci 45

parte seconda

L’egeMonia eUropea sULL’asia e i sUoi eFFetti

Note di storia e antropologia storica sulla presenza di schiavi orientali e africani a Genova alla fine del secolo XV

(4)

Verso Oriente nel secolo dei Lumi. Il viaggio di Vitaliano Donati professore dell’Università di Torino (1759-1762)

pierpaolo Merlin 71

Feudale o Federale? Il dibattito sulla “struttura” del khanato di Kalat all’interno del Government of India come giustificazione dell’interferenza coloniale

riccardo redaelli 85

Gopal Krishna Gokhale: nazione e impero tra “Oriente” e “Occidente”

elena valdameri 101

L’islam politico, da reazione all’occidente a “panislamismo militante globale”

Marzia Casolari 129

parte terza

Una parentesi sUL Medio oriente La banalità dell’occupazione. La politica di colonizzazione israeliana in Cisgiordania

Marco allegra 169

I piani occidentali di destabilizzazione

e di frammentazione del Medio Oriente (1980-2015)

diana Carminati 189

parte quarta

L’asia daLLa seConda gUerra

MondiaLe a oggi: QUestioni territoriaLi e trasForMazioni poLitiChe e ideoLogiChe La mondializzazione e la riduzione

dell’incommensurabilità. Il Mediterraneo dell’Asia?

(5)

Zhang Naiqi, l’Associazione democratica per l’edificazione nazionale

e i primi anni della Cina socialista

Guido Samarani 225

Il laicismo in India: l’eredità di Indira Gandhi

Diego Maiorano 237

L’Asia Centrale post sovietica e le sfide dell’indipendenza nazionale

Fabio Indeo 253

La politica nucleare pachistana: dalla parità strategica

alla “minima deterrenza”

Diego Abenante 273

La Storia colpisce ancora: ascesa e declino dell’ordine liberale in Asia Orientale (1991-2016)

Giulio Pugliese 293

conclusioni

QuAle DeMocrAzIA In ASIA? Il cASo Dell’InDIA

Alla ricerca della “buona” società civile nell’India contemporanea

(6)

aBū aL-rayḥān MUḥaMMad B. aḥMad aL-Bīrūnī

ةلوذرم وأ� لقعل� يف ةلوبقم ةلوقم نم دنهلل ام قيقحت باتك

Studio sui princìpi – vero o inverosimili – in base a cui

ragionano gli indiani

1

Nota introduttiva e traduzione dall’arabo di Claudia Maria Tresso

Nota introduttiva

abū al-rayḥān Muḥammad b. aḥmad, noto come abū al-rayḥān,2

nacque nel 973 d.C. (363-364 d.e.) in un sobborgo di Kath, allora capitale

1 in arabo Kitāb taḥqīq mā li-l-Hind min maqūla maqbūla fī al-ʿaql aw mardūla, d’ora in poi

Taḥqīq. La traduzione qui presentata si basa sul manoscritto schefer 6080 della Bibliothèque nationale di parigi, che comprende 700 fogli e 80 capitoli, i primi 48 dei quali sono stati pubblicati (1887) e quindi tradotti in inglese (1910) dal tedesco eduard sachau: Alberuni’s India. An Account of the Religion, Philosophy, Literature, Chronology, Astronomy, Customs, Laws and Astrology of India about A.D. 1030, edited in the Arabic Original, trübner & Co, Ludgate hill, London, 1887, con diverse riedizioni; Alberuni’s India. An Account of the Religion, Philosophy, Literature, Chronology, Astronomy, Customs, Laws and Astrology of India about A.D. 1030, An English Edition, with Notes and Indices, trübner & Co, Ludgate hill, London, 1910, con diverse riedizioni. si fa qui riferimento all’ultima edizione di entrambe le opere in Fuat sezgin (a c. di), Abū al-Rayḥān al-Bīrūnī (d. 440/1048): texts and studies, publications of the institute for the history of arabic-islamic science, Frankfurt on Main, 1993, vol. 105 (introduzione e testo in arabo) e 106-107 (traduzione in inglese, note e indice). per quanto riguarda le traduzioni (tutte parziali) di questo e altri manoscritti in russo, uzbeco, persiano e urdu, se ne trova un elenco nella traduzione in francese a cura di vincent Monteil, Bīrūnī, Le livre de l’Inde, sindbad-actes sud, paris, 1996, pp. 25-26. rispetto alle altre principali lingue europee, mancano a tutt’oggi le traduzioni in italiano e in spagnolo, mentre quella in tedesco, probabilmente eseguita da sachau prima della versione in inglese, non è mai stata pubblicata: hans robert roemer, Al-Biruni in Deutschland, sonderdrucke aus albert-Ludwigs-Universität, Freiburg, 2008 (1° ed. 1974), pp. 24-25. in questa sede presentiamo, per la prima volta in italiano, la traduzione del primo capitolo, che corrisponde alle pp. 9-13 del Taḥqīq in arabo nella succitata edizione a cura di F. sezgin.

2 non si conosce l’origine dell’appellativo abū al-rayḥān, che alla lettera significa Colui

che ha odore, L’aromatico. si tratta comunque di una kunya, un antroponimo frequente nei nomi arabi che, oltre a esprimere un legame di paternità/maternità, può venire usato con funzione di soprannome per indicare un tratto personale o una qualità del personaggio.

(7)

30

Abū al-Rayḥān Muḥammad b. Aḥmad al-Bīrūnī

del Khwārizm,3 e per questo è passato alla storia con l’appellativo persiano

di Bīrūnī, che dal termine bīrūn significa “quello del sobborgo” (in arabo al-Bīrūnī, con l’articolo).4

dedicatosi fin da giovane, e con successi straordinari, allo studio delle scienze,5 aB fu uno dei sapienti più geniali della storia dell’islam

medievale: versato in scienze astronomiche, fisiche e naturali, s’interessò altresì di geografia, storia, cronologia, linguistica, traduzione e, pur se non approfonditamente, di farmacologia e di medicina. Migliorò la misura approssimata del raggio terrestre6 e dette significativi contributi in svariati

campi della matematica.7

Capace poliglotta, la sua lingua materna era il dialetto iraniano del Khwārizm8 e, anche se scriveva soprattutto in arabo, usava sia questo sia

3 La regione del Khwārizm (Corasmia), corrisponde alla zona del delta del fiume amu

darya, a sud del lago di aral, in Uzbekistan, ed è attualmente sede della repubblica autonoma del Karakalpakistan (per la descrizione di quest’area nelle opere dei geografi arabi medievali, cfr. ibrahimov nemattula ibrahimovich, The travels of Ibn Baṭṭūṭa to Central Asia, ithaca press, new york, 1999, pp. 17-21).

4 in questa sede in cui presentiamo un’opera che lo studioso scrisse in arabo, useremo la

versione araba del suo nome, al-Bīrūnī, d’ora in poi aB. altri appellativi con cui aB viene citato nelle fonti arabe sono al-Ustād (il Maestro) e al-Khwārizmī (quello del Khwārizm), cfr. dominique J. Boilot in Encyclopédie de l’Islām – Encyclopaedia of Islām, 2° ed., 1960-ss, e. J. Brill, Leiden – g. p. Maisonneuve, paris (dal 1995 solo e. J. Brill, Leiden – new york), d’ora in poi ei2, s.v. al-Bīrūnī.

5 a soli 17 anni aB calcolò la latitudine di Kath, la sua città natale, e pochi anni dopo

iniziò a scrivere una serie di trattati scientifici che nel 1.000 d.C. culminarono nella sua prima grande opera in materia di matematica e astronomia, il Kitāb al-atār al-bāqiya ʿan al-qurūn al-ḫāliya (Libro sulle vestigia dei secoli passati), edito nel 1878 per i tipi di Brockhaus (Leipzig) da e. sachau, che una decina d’anni più tardi ne pubblicò la traduzione in inglese (e. sachau (a c. di), The Chronology of Ancient Nations, London, 1887, con varie riedizioni: l’ultima da Kessinger publisching, Whitefish, Montana, 2004).

6 perfezionando la stima di 6.314,500 km compiuta da eratostene nel 230 a.C., aB stabilì

per il raggio terrestre una lunghezza pari a 6.339,600 km, cioè di poco inferiore a quella che oggi è considerata essere di 6.378,388 km.

7 Fra i quali teoria e pratica aritmetica, valutazione di somme di serie numeriche,

analisi combinatoria, regola del tre semplice e del tre composto, numeri irrazionali, teoria delle frazioni, definizioni algebriche, metodo per risolvere le equazioni algebriche, geometria, teoremi di archimede e trisezione dell’angolo.

8 Cui doveva aggiungersi, com’è stato notato, qualche inflessione turca (Louis Massignon,

al-Biruni et la valeur internationale de la science arabe in Al-Biruni Commemoration

Volume, Calcutta, 1951, pp. 217-219, ora in Louis Massignon, Opera Minora, Textes recueillis, classés et présentés par. Y. Moubarac, presses Universitaires de France, paris,

(8)

Studio sui princìpi – vero o inverosimili – in base a cui ragionano gli indiani il persiano come lingue di cultura; studiò a lungo il greco e il sanscrito9 ed

è probabile che avesse una discreta conoscenza anche di ebraico, siriaco e latino. dotato di notevole apertura mentale e di una grande curiosità per le altre culture, frequentò personalmente sapienti arabi, persiani, greci e indiani di religione cristiana, indù e musulmana, sia sunniti sia sciiti. Quanto a lui, aB era devotamente – e fieramente – musulmano, ma dalle sue opere non emerge se fosse sunnita o sciita, né a quale madhab, scuola teologico-giuridica, appartenesse.10

Formatosi nei prestigiosi centri di Ğurğān e Kath,11 nel 1017 assistette

alla conquista della propria patria a opera del re Maḥmūd b. sebüktigin, in seguito alla quale venne condotto prigioniero nella capitale di quest’ultimo, ghazna, che era allora all’apogeo del suo splendore.12

testimone – e vittima – delle mire espansionistiche del sovrano ghaznawide verso l’area iraniana, a ghazna aB vide il consolidarsi delle analoghe politiche del sovrano verso l’india che, iniziate con una serie di incursioni a partire dall’inizio del nuovo millennio, avrebbero di lì a poco permesso a Maḥmūd di fomare il più grande impero islamico dopo il declino del califfato abbaside.13 sempre a ghazna, aB entrò

sicuramente in contatto con alcuni dei molti indiani che vi risiedevano

1969, vol. ii, pp. 588-590).

9 sulla conoscenza che aB doveva avere del sanscrito si veda il paragrafo the autor’s

study of sanskrit in e. sachau, Alberuni’s India, vol. 105, pp. Xiv-XiX.

10 sulla vexata quaestio dell’appartenenza sunnita o sciita di aB, così come sulla tesi

avanzata da alcuni, che simpatizzasse per l’estremismo degli ismailiti qarmati, si veda v. Monteil, Le livre de l’Inde, p. 27.

11 sulla formazione di aB sia prima sia durante i suoi soggiorni in india, e sulle opere da

egli redatte in merito alle scienze indiane, cfr. v. Monteil, Le livre de l’Inde, pp. 11-15 e e. sachau, Alberuni’s India, vol. 106, pp. XXXv e segg..

12 Quando, verosimilmente nel 1333, il celebre viaggiatore tangerino Muḥammad ibn

Baṭṭūṭa visitò ghazna, la trovò ormai in rovina: “La tappa successiva fu ghazna, la città del famoso sultano impegnato nel jihād a servizio della causa di dio, Maḥmūd ibn sebüktigin, detto Yamīn al-Dawla, un grandissimo sovrano che compì molte spedizioni in india conquistando città e fortezze (…) Un tempo ghazna era molto grande, ma adesso ne rimane solo una parte esigua e il resto è tutto in rovina”. (ibn Baṭṭūṭa, I viaggi, a cura di Claudia M. tresso, einaudi, torino, 2006, p. 431).

13 alla sua morte, l’impero ghaznawide comprendeva il panjāb, una parte del sind e

una serie di stati indù della piana del gange, oltre al nord del Balūcistān, l’afghānistān, il gharjistān e il ghūr, il sistān, il Khurāsān, la persia e il Ṭukhāristān (Clifford e. Bosworth in ei2, s.v. Maḥmūd b. sebüktigin).

(9)

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Abū al-Rayḥān Muḥammad b. Aḥmad al-Bīrūnī

(non solo prigionieri e soldati, ma anche ufficiali e uomini liberi che esercitavano varie professioni e mestieri, rappresentanti di tutte le caste e le tribù e provenienti da diverse parti del nord-est indiano) e forse anche per questo, in quegli anni, si dedicò allo studio della cultura e delle scienze indiane.14 divenuto in breve tempo, probabilmente grazie alla

sua rinomata fama, astrologo di corte, come tale fece parte del seguito del re Maḥmūd nelle sue incursioni in india, a cominciare da quella del 1025, e negli anni seguenti soggiornò in più occasioni nella regione della valle del fiume Kābul e nel panjāb.15

Un anno dopo la morte del sovrano, avvenuta nel 1030, aB terminò la stesura di un importante compendio sull’india16 rivolto ai musulmani colti

e illuminati del suo tempo,17 che costituisce una delle poche, e senz’altro la

più completa, testimonianza pervenutaci riguardo alla cultura e alla società locali nel periodo precedente alla conquista islamica, di cui presentiamo qui la traduzione, finora inedita in italiano, del primo capitolo. Lungi dal descrivere – e tanto meno dall’osannare – le scorribande di Maḥmūd,18

14 v. Monteil, Le livre de l’Inde, p. 14 e e. sachau, Alberuni’s India, vol. 105, p. Xii

suggeriscono che proprio perché l’india e gli indiani, così come il Khwarizm ed egli stesso, erano oppressi da Maḥmūd, aB si interessò alla loro cultura e alla loro società.

15 dalle sue opere sappiamo che aB si recò sempre nella regione del panjāb (dove in

quanto straniero – e dunque impuro – non poté visitare i principali centri della cultura indù, Benares e il Kashmir, che erano ritenuti luoghi sacri), ma non quanto tempo vi rimase (v. Monteil, Le livre de l’Inde, pp. 15-ss).

16 nell’ultimo foglio di uno dei manoscritti dell’opera, aB scrive sotto autografo di aver

portato a termine il suo lavoro il 1 Muḥarram 423 d.e., che corrisponde al 19 dicembre 1031 d.C. in base a una serie di informazioni contenute nell’opera, sachau stabilisce però che la redazione dev’essere avvenuta tra il 30 aprile e il 30 settembre del 1030 (e. sachau, Alberuni’s India, vol. 105, p. X). Quanto a Maḥmūd di ghazna, morì il 23 rabī’ ii d.e. / 30 aprile 1030 d.C.

17 al termine dell’opera aB afferma che il suo testo si rivolge “a coloro che vogliono

entrare in contatto con gli indiani e discutere con loro per cercare di capire come sono” (Taḥqīq, p. 318), mentre nell’introduzione dichiara espressamente che “Questo non è un trattato di polemica [ğadal] (…) ma una relazione [ḥikāya] in cui riferisco le teorie [kalām] degli indiani utilizzando i loro stessi termini” (ibid., p. 4).

18 sebbene i testi letterari citino Maḥmūd di ghazna come un grande mecenate che

fece della sua corte un importante centro letterario dedicato soprattutto alla poesia, le fonti storiche non fanno menzione di questo suo interesse per le lettere e ne parlano piuttosto come di un grande guerriero. Le sue campagne in india, che aB descrive in tono decisamente critico (cfr. infra, p. 34), altro non furono se non razzie e ruberie a danno dei templi nella zona del panjāb per mantenere l’efficiente – ma costosa – macchina da guerra

(10)

Studio sui princìpi – vero o inverosimili – in base a cui ragionano gli indiani aB dedica oltre metà della sua opera ad approfonditi studi e descrizioni del pensiero indiano in fatto di cosmologia, astronomia e astrologia. per il resto, il suo compendio offre un’analisi storica e sociale, sovente di tipo comparatista, che riguarda cultura, religione, usi, costumi, lingua, ecc., dei luoghi e della gente dell’india, con un taglio che può a tutti gli effetti dirsi nel contempo scientifico e antropologico. pur affermando in più occasioni la preminenza delle scienze islamiche, aB paragona gli studiosi indiani a quelli greci, affermando che come questi sono eccellenti filosofi e buoni matematici e astronomi, e non esita a riconoscere non solo che talvolta sono migliori dei musulmani,19 ma addirittura che alcuni dei loro dotti godono

dell’aiuto di dio.20

Quanto alla sua morte, avvenne verosimilmente a ghazna, ove aB risiedette a lungo, una ventina d’anni più tardi la redazione di quest’opera, tra il 440 e il 442 d.e. (1048/1050 d.C.).21 alcuni suoi lavori non ci sono

pervenuti – e non tutti i manoscritti sono stati oggetto di edizioni critiche –, ma fra scritti e traduzioni egli stesso afferma di aver redatto circa 150 testi di varia lunghezza e complessità, un centinaio dei quali dedicati all’astronomia e alla matematica e una ventina all’india.22

ghaznawide (retta da caste militari turche), cfr. Michelguglielmo torri, Storia dell’India, Laterza, roma-Bari, 2000, pp. 155-157 e passim, peter Jackson, The Delhi Sultanate: A Political and Military History, Cambridge University press, 2003, pp. 3-6 e passim.

19 per esempio nel facilitare le abluzioni costruendo apposite vasche in prossimità dei

luoghi santi, cfr. Taḥqīq, p. 274.

20 Al-͑ulamā’ al-mu’ayyidūna min ͑inda Allāh, cfr. Taḥqīq, p. 255.

21 nella sua ultima opera, a tutt’oggi inedita, dal titolo Kitāb al-ṣaydaliyya wa-l-ṭibb

[Libro sulla farmacia e la medicina], aB dichiara di aver superato gli 80 anni (lunari) di età, cfr. d. J. Boilot in ei2, s.v. al-Bīrūnī.

22 oltre alle opere scientifiche, la bibliografia di aB annovera altresì una ventina di opere

letterarie e bibliografiche, alcuni testi di geografia, di fisica, di chimica, di mineralogia e anche due di storia (uno sul Khwarizm e uno sui Carmati), purtroppo entrambi andati persi. sulle opere di aB si veda l’accurato lavoro di d. J. Boilot, L’oeuvre de al-Bērūnī: essai Bibliographique, in MIDEO, ii, 1955, pp. 161-256 e MIDEO, iii, 1956, pp., 391-396, che le descrive una a una. per una panoramica sui risultati delle ricerche di aB in campo matematico, astronomico e geografico, cfr. v. Monteil, Le livre de l’Inde, pp. 15-24 e e. sachau, Alberuni’s India, vol. 106, p. XXvii.

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Abū al-Rayḥān Muḥammad b. Aḥmad al-Bīrūnī

Capitolo 1

Cenni descrittivi su quanto attiene all’India,

23

in guisa di proemio alla nostra relazione

prima di entrare in argomento ci preme fare cenno a quant’è difficoltoso vederci chiaro nelle cose degli indiani: se poi sapere questo non aiuterà a semplificare la questione, per lo meno servirà a nostra discolpa [se incorressimo in errori], giacché il divario impedisce di capire ciò che è facile comprendere quando, invece, vi è un’intesa.

Lo scoglio della lingua

24

in primo luogo va notato che gli indiani differiscono da noi per tutto ciò su cui anche gli altri popoli [umma] divergono, ma in modo particolare per la lingua.25 Quantunque, infatti, è vero che tale differenza si riscontra pure

23 nel testo Hind, come già nel titolo, che propriamente significa india, ma come altri

autori arabi dell’epoca aB utilizza lo stesso termine anche per indicare gli indiani (in arabo propriamente chiamati hindī, pl. hunūd) e gli hindū, gli indù (in arabo hindūsī, con plurale desinenziale). Contrariamente a sachau e Monteil, che nelle loro traduzioni utilizzano sovente i termini hindu e hindou, in questa sede si è cercato di mantenere l’ambiguità del testo arabo, ricorrendo ai termini india e indiani. va del resto ricordato che il termine induismo è un’invenzione recente, dovuta agli europei: Con questa parola (derivata dall’antico iranico hindū (in sanscrito: sindhu), che significa «fiume» e, per estensione non solo il fiume per eccellenza, l’indo, ma anche la terra dell’indo e chi vi abita) essi vollero indicare la «religione degli hindū», come se si trattasse di una realtà unitaria (stefano piano, Hinduismo: elementi fondamentali caratterizzanti la tradizione hindū. relazione presentata al Convegno internazionale Hinduismo e cristianesimo: prospettive per il dialogo interreligioso, torino, 20-21 novembre 2003.). in realtà, Con tale parola si designa non tanto una religione quanto un’intera cultura, una visione del mondo e della vita, un modo di essere e di comportarsi, una serie di abitudini quotidiane che si tramandano da millenni, con scrupolosa tenacia, in seno a una civiltà estremamente fedele al proprio passato e nella quale predomina una concezione «religiosa» dell’uomo e dell’universo (s. piano, in giovanni Filoramo (a c. di), Dizionario delle religioni, einaudi, torino, 1993, p. 374).

24 il testo originale non è diviso in paragrafi: la suddivisione e i titoli qui adottati

riprendono per lo più (ma non sempre) quelli proposti da v. Monteil, Le livre de l’Inde, pp. 45-52 (cfr. anche e. sachau, Alberuni’s India, vol. 106, pp. 3-8, che ricorre a divisione e titoli diversi).

(12)

Studio sui princìpi – vero o inverosimili – in base a cui ragionano gli indiani rispetto alle altre genti [umma], chi prova ad appianarla studiando l’idioma degli indiani si trova ad affrontare un compito non semplice. In primis, e similmente all’arabo, si tratta di una lingua a dir poco sterminata, dove una stessa cosa viene chiamata con molti nomi più o meno lunghi a seconda che siano in forma semplice [muqtaḍaba] oppure derivata [muštaqqa]. oltre a questo, poiché una stessa parola può riferirsi a un gran numero di oggetti, per raggiungere lo scopo [della comprensione] ognuna di esse va ulteriormente definita, di modo che nessuno riesce a stabilirne il significato se non capisce il contesto in cui questa parola s’inserisce e il rapporto che mantiene con quanto la precede o la segue [nel discorso]. e il bello è che gli indiani, come del resto fanno altri, lungi dall’esecrare quest’evidente pecca della loro lingua, s’insuperbiscono e ne vanno fieri!

a ciò si aggiunge la presenza di una lingua parlata buona per il volgo [sūqa] e di un’altra ben conservata nella sua forma classica con tanto di morfologia, sistema di derivazione e norme assai precise in fatto di grammatica e retorica, a cui ricorrono soltanto i grandi eruditi [al-fuḍalā’ al-mahara].

[per quanto riguarda la fonetica, i suoni di] alcune loro consonanti non somigliano neppure vagamente a quelli dell’arabo e del persiano, al punto che per emetterli correttamente dobbiamo affaticare lingue e ugole, e per distinguere fra omonimi e sinonimi siamo costretti a tendere le orecchie! persino le mani faticano a mettere per iscritto quel che dicono gli indiani, dato che per trascrivere certi suoni della loro lingua con le nostre lettere siamo costretti a escogitare mille stratagemmi (come cambiare i punti diacritici e altri segni grafici), registrando poi l’i‘rāb26 talvolta in base alle

regole dell’arabo, talaltra inventandone di nuove.

un altro colto, ma in tutta l’opera designa entrambi come hindīya, letteralmente (lingua) indiana, senza mai usare il termine sanscrito (in arabo sanskrītiyya) a cui verosimilmente allude quando parla di opere redatte in lingua indiana. sachau e Monteil notano entrambi questo fatto (e. sachau, Alberuni’s India, vol. 105, p. XXii e v. Monteil, Le livre de l’Inde, p. 45, nota 15), ma nelle loro traduzioni utilizzano il termine sanscrito ogni qualvolta aB fa esplicito riferimento alla lingua scritta. in questa sede si è invece preferito mantenere l’ambiguità dell’originale arabo, ricorrendo a espressioni del tipo “la lingua degli indiani”.

26 Con il termine i’rāb – nome verbale il cui significato originario è quello di arabizzare,

fare/rendere arabo – si indicano sia il sistema di declinazione nominale, sia quello di coniugazione verbale della lingua letteraria araba. in effetti, aB applica sovente a parole ed espressioni indiane (e anche persiane) una serie di norme grammaticali proprie dell’arabo, come l’aggiunta della vocale -u propria del nominativo, il suffisso -āt per il plurale o

(13)

36

Abū al-Rayḥān Muḥammad b. Aḥmad al-Bīrūnī

senza parlare della negligenza degli scribi indiani, i quali pongono così poca cura nel correggere i propri lavori confrontandoli con gli originali, che nel giro di una o due ricopiature questi ultimi risultano bell’e corrotti! vano appare dunque l’impegno che gli autori vi han profuso, giacché a quel punto i testi si direbbero redatti in una lingua affatto nuova che nessuno – né di loro né di noi – è in grado di comprendere: foss’anche ben ferrato in argomento!

[tornando alla fonetica] mi è personalmente capitato di provare a leggere a persone indiane qualche termine che, udito dalla viva voce di qualcuno, mi ero industriato a registrare per iscritto, ma ci hanno messo un bel po’ a riconoscerlo!

ancora, come succede in tutte le lingue fuorché l’arabo, nel loro idioma due o anche tre consonanti possono succedersi l’una all’altra senza inserzione di vocali – ovvero, per dirla come i dotti, sono previsti gruppi di consonanti con vocali furtive [ḥaraka ḫafiyya] ‒ e poiché parole e nomi indiani iniziano per lo più con tali gruppi, [noi arabi] troviamo a dir poco disagevole riuscire a pronunziarli!

Come non bastasse, data la [succitata] rapidità con cui i libri si deteriorano per via di aggiunte e omissioni da parte dei copisti, gli studiosi indiani cercano di mantenere integri i loro scritti redigendoli in versi secondo questo o quel tipo di metrica a proprio piacimento. Con siffatto metodo ne facilitano senz’altro l’apprendimento a memoria – di cui si fidano più che dello scritto ‒, ma è risaputo che, onde evitare che il discorso risulti frammentato e mantenere l’uniformità dei versi, le norme [della metrica] richiedono l’utilizzo di parecchie locuzioni e una buona dose di manierismo: la qual cosa spiega, fra l’altro, la già ricordata presenza di moltissimi sinonimi.

insomma, per tutti questi motivi risulta assai difficile, per noi, studiare i loro testi.

Le differenze religiose

parimenti è arduo [comprendere gli indiani] per via del fatto che essi seguono una religione del tutto diversa dalla nostra: non c’è un solo

l’articolo al- prefisso a un nome (per ulteriori considerazioni al riguardo cfr. v. Monteil, Le livre de l’Inde, p. 315).

(14)

Studio sui princìpi – vero o inverosimili – in base a cui ragionano gli indiani principio del loro credo che noi riconosciamo, né essi riconoscono alcunché del nostro. Fra di loro, essendo irrilevanti le divergenze tra le scuole di pensiero [madhab], si limitano a dispute verbali senza mai gettarsi l’uno contro l’altro anima e corpo né rischiare di giocarsi la reputazione [ḥāl],27

ma ben diversamente si comportano con quelli delle altre religioni. Li chiamano “impuri” [malīğ]28 e a causa di tale impurità è vietato non solo

apparentarsi a loro – per esempio con un matrimonio – ma addirittura sedersi insieme a mangiare e bere. già, perché per gli indiani è impuro tutto ciò che ha a che fare con l’acqua e con il fuoco ‒ ovvero con l’essenza della vita – di chi non è dei loro, e nel caso in cui risultino così contaminati non cercano neppure uno stratagemma legale [ḥīla] che permetta loro di purificarsi, come fanno con le altre impurità che contraggono ogni giorno. infine essi hanno il veto di ricevere [in casa propria] gente di altre fedi, anche se si tratta di persone interessate a loro o alla loro religione.

Lungi dal permettere un rapporto, dunque, siffatti atteggiamenti son piuttosto causa di gravi disunioni.

Usi e convenzioni

gli indiani sono settari anche in fatto di usi e convenzioni, al punto che quasi29 inducono i propri figli ad aver paura di noi, del nostro abbigliamento

e delle nostre usanze, sostenendo che apparteniamo alla schiatta del diavolo [šayṭana] e che ci comportiamo esattamente all’opposto di come si conviene – ma occorre riconoscere che la stessa cosa diciamo noi, e in genere ogni popolo [umma], rispetto agli altri.

27 sachau e Monteil traducono entrambi ḥāl [stato, condizione] in senso

economico-materiale, usando rispettivamente i termini property (e. sachau, Alberuni’s India, vol. 106, p. 19) e biens (v. Monteil, Le livre de l’Inde, p. 46).

28 si tratta di un tentativo di aB di trascrivere in arabo il termine sanscrito mleccha (o

mlechchha o maleccha, forse derivato da un antico verbo mlech che significava parlare in modo indistinto), con cui si designavano gli stranieri, e che ha poi esteso il significato arrivando a indicare ciò o chi è impuro, inferiore (Willard d. Johnson, Dictionnary of

Hinduism, oxford University press, 2009, p. 207).

29 sia e. sachau, Alberuni’s India, vol. 106, p. 20 sia v. Monteil, Le livre de l’Inde, p.

47 non traducono l’ausiliare kāda, che completa l’idea espressa dal verbo con un’idea di possibilità: per quanto mi riguarda ho invece preferito mantenerlo perché rende più sfumata l’asserzione di aB.

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38

Abū al-Rayḥān Muḥammad b. Aḥmad al-Bīrūnī

a tal proposito mi è stata riferita la storia di un indiano che nutrì verso di noi un profondo odio. [Le cose andarono così]: un certo loro re era morto per mano di un nemico giunto dalla nostra terra, lasciando il trono a un figlio che, nato di lì a poco, fu chiamato sagara [sabkar].30 orbene, giunto

all’età della ragione, costui chiese alla madre di raccontargli cosa fosse occorso al padre e, rimasto sconvolto dai fatti che ella gli narrò, mosse contro il paese del nemico, dando colà sfogo alla sua sete di vendetta. infine, stanco di compiere massacri, volle infliggere ai superstiti [e ai loro discendenti] l’umiliante punizione di indossare sempre e solo i loro propri abiti tradizionali! Beh, confesso che in cuor mio gli sono riconoscente per non averci imposto di indianizzarci [tahannada], facendoci adottare usanze e vestiti come i loro!

Buddhisti e zoroastriani

ad accrescere la loro intolleranza contribuisce inoltre il fatto che gli adepti del gruppo [firqa] cosiddetto del buddhismo [shamaniyya]31 odiano

di cuore i brahmani [barāhima] – anche se, fra tutti, sono i più vicini a loro. Un tempo il Khorāsān, la persia, l’iraq e la zona di Mosul sino ai confini della siria [Shām] erano buddhisti, ma poi dall’azerbaigian giunse zaratustra [zarādušt], che predicò la religione dei Magi [al-mağūsiyya]

30 per la leggenda di sagara, re della razza solare, figlio di Bāhu e descritto come vincitore

di molte tribù barbare, cfr. Monier Monier-Williams, A Sanskrit-English Dictionary, Etimologically and Philologically Arranged with special reference to Cognate Indo-European Languages, oxford University press, oxford, 1956 (1° edizione the Clarendon press, oxford, 1899, ed. online, 2008, http://www.sanskrit-lexicon.uni-koeln.de/monier), p. 1125 e vaman shivaram apte, The practical Sanskrit-English Dictionary, rinsen Book Company, Kyoto, 1978 (1° ed. prasad prakashan, poona, 1957-59), p. 1601, s.v.

31 il termine arabo per buddhismo è būdiyya. Usando shamaniyya, aB testimonia l’uso

del termine in pāli samaṇa (in pracrito šamaṇ, in sanscrito śramaṇa, lett. che si sforza in vista della pratica ascetica e in ultimo della liberazione dal ciclo delle rinascite), attestato da fonti non soltanto autoctone fin dai primi secoli a.C., con cui si indicavano gli asceti indiani e i monaci buddhisti e jaina. L’uso del termine è stato poi esteso in lingua uigurica a tutti gli specialisti della possessione e dell’estasi delle culture tribali: un’accezione che ha portato gli storici delle religioni e gli antropologi a estendere ulteriormente il termine a ogni sorta di fenomeni analoghi presso i cosiddetti popoli privi di scrittura, creando la nozione di sciamanesimo, cfr. Mario piantelli, Il buddhismo indiano, pp. 8-9, in giovanni Filoramo (a c. di), Buddhismo, Laterza, 2001, pp. 3-133.

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Studio sui princìpi – vero o inverosimili – in base a cui ragionano gli indiani a Balkh32 riuscendo a convertire il re goshtasp. il figlio di quest’ultimo,

esfandyār, si prodigò a diffondere la nuova religione a oriente e a occidente sia con l’uso della forza sia per mezzo di alleanze e fece erigere una serie di templi del Fuoco33 dai confini con la Cina sino alle terre dei rūm [asia

Minore].34 più tardi, quando i sovrani che gli succedettero elessero lo

zoroastrismo a religione ufficiale della persia e dell’iraq, i buddhisti furono cacciati da questi territori verso le regioni a est di Balkh, e da ciò ebbe origine la loro avversione per il Khorāsān.

Quanto agli zoroastriani, in india ne sono rimasti un certo numero fino ai giorni nostri e vengono chiamati maga [mak].35

Le incursioni dei musulmani

in seguito arrivò l’islam. L’impero persiano crollò e le incursioni dei musulmani nella loro terra resero gli indiani ancor più malagevoli verso gli stranieri: soprattutto dopo l’invasione del sind per mano di Muḥammad b. al-Qāsim b. al-Munabbih il quale, giuntovi dal sīstān, conquistò le città di Brahmanābād – che ribattezzò Manṣūra [vittoriosa] – e di Multān – che chiamò Ma‘mūra [popolosa].36 spintosi quindi a Kannauj attraverso l’india

[del nord], e percorsa la regione di Qandahār, varcò i confini del Kashmir. sulla via del ritorno talvolta guerreggiò e talaltra strinse un patto in base al quale le popolazioni [qawm] che non si convertivano potevano mantenere

32 Balkh, l’antica Bactra, capitale del regno ellenistico di Bactriana (o Battriana), si trova

300 km circa a sud-est di samarcanda.

33 i templi del Fuoco [buyūt al-nīrān] sono i luoghi di culto degli zoroastriani che

considerano il fuoco, insieme con l’acqua, un agente di purezza rituale.

34 in origine il termine arabo rūm indicava i romani, ma ha poi assunto varie accezioni

che, privilegiando una connotazione storico-culturale più che etnica, fanno sì che all’epoca di aB venisse usato per indicare i greci o i bizantini dell’asia Minore (nadia el Cheikh in ei2 s.v.).

35 ancora oggi in india (soprattutto nella zona di Mumbai) è presente un gruppo di circa

100.000 zoroastriani – i pārsi -, che discendono da quanti, nel X sec., fuggirono dalla zona iranica in seguito all’islamizzazione della stessa.

36 Muḥammad b. al-Qāsim fu un generale e governatore umayyade che nel 711-713 si

spinse fino all’india nord-occidentale, istituendo un regno arabo nel sind, attualmente in territorio pakistano, cfr. andrew d. W. Forbes in ei2 s.v. Malabar).

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40

Abū al-Rayḥān Muḥammad b. Aḥmad al-Bīrūnī

il proprio credo religioso [in cambio di un testatico], e con siffatta impresa accrebbe l’odio e l’astio degli indiani [nei confronti dell’islam].

dopo Muḥammad b. al-Qāsim, nessun altro condottiero musulmano varcò i confini compresi tra Kabul e il fiume del sind [l’indo] fino a quando i turchi s’impadronirono di ghazna sottraendola al controllo dei sāmānīdi.37

salito al potere, infatti, il sovrano nāṣir al-dīn sebüktigin38 decise di

riprendere le incursioni [in india] e, fregiatosi dell’appellativo di al-ghāzī [il Combattente (per la causa dell’islam)], indebolì la frontiera indiana a beneficio dei propri successori, aprendo una serie di vie di accesso che [suo figlio] yamīn al-dawla Maḥmūd39 percorse poi avanti e indietro per

una trentina d’anni: che dio li abbia in gloria entrambi! yamīn al-dawla distrusse quelle prosperecontrade compiendo tali e tante gesta [ağība] che gli abitanti, dispersi in ogni dove come semplice pulviscolo, finirono per popolare solo qualche storia narrata la sera intorno al fuoco [samar].40

Così quanti di loro, ormai senza più un tetto, sopravvissero, nutrirono un profondo rancore che li portò a rifuggire i musulmani. non solo: le scienze indiane scomparvero dalle zone conquistate per trovare rifugio in luoghi [sacri] come il Kashmir, Benares, ecc. dove le nostre mani [impure] non

37 dinastia iraniana musulmana che regnò quasi indipendente su Khorāsān e transoxiana

dalla fine del iX sec. sino al 1005. i turchi di cui parla aB sono quelli della dinastia ghaznawide fondata da sebüktigin (vedi nota successiva).

38 aB utilizza qui il nome arabizzato del condottiero di origine turca nāṣir al-dīn (anche

noto nelle fonti arabe con il patronimico abū Manṣūr) sebüktigin. Costui, nato schiavo, divenne generale, genero del governatore di ghazna, nell’odierno afghanistan, che nel 962 sottrasse la città al controllo dei samanidi. succedutogli al trono nel 977 e rimastovi per circa vent’anni, sebüktigin è considerato il vero fondatore della dinastia che, dal nome della capitale, viene detta ghaznawide e che manterrà il potere nella zona sino alla fine del Xii sec (cfr. C. e. Bosworth in ei2 s.v. e Bertold spuler in ei2 s.v. ghaznawides). 39 si tratta del celebre sultano abū al-Qāsim Maḥmūd di ghazna (971-1030), succeduto

al padre sebüktigin nel 977. L’appellativo con cui viene qui citato (Yamīn al-Dawla [Fiduciario dello stato]) è un laqab, un titolo onorifico, e la formula di benedizione per i defunti Raḥima-humā Allāh (che dio li abbia in gloria) che compare alla fine della frase con riferimento a lui e a suo padre, fa capire che entrambi erano ormai deceduti quando aB redasse questo testo.

40 il passaggio è criptico, anche per la difficoltà di tradurre il termine samar [conversazione

notturna a scopo di intrattenimento]: mi discosto comunque dalla traduzione di v. Monteil, Le livre de l’Inde, p. 49 (Il en pulverisa les habitants et ne leur laissa d’autre culture que des contes de bonnes femmes), avvicinandomi piuttosto a quella di e. sachau, Alberuni’s India, vol. 106, p. 22 (Hindus became like atoms of dust scattered in all directions, and like a tale of old in the mouth of the people).

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Studio sui princìpi – vero o inverosimili – in base a cui ragionano gli indiani potevano raggiungerle. insomma, per motivi sia politici sia religiosi, la frattura tra gli indiani e gli stranieri si fece sempre più profonda.

A proposito della vanità degli indiani

Fra le cause [della succitata intolleranza verso gli stranieri] occorre per giunta menzionare un tratto degli indiani che potrebbe sembrare una calunnia ma che invece fa inequivocabilmente parte della loro indole, ovvero la stoltezza [ḥumq]: un male a cui non vi è rimedio. essi, infatti, sono convinti che l’india sia l’unico paese sulla faccia della terra e che nessun altro popolo [nās], governante, credo religioso o scienza possa paragonarsi ai loro. insomma, sono altezzosi, attaccabrighe, presuntuosi e ignoranti. per natura gelosissimi delle proprie conoscenze, diventano a dir poco esagerati quando si tratta di impedirne l’accesso sia a chi, seppur dei loro, appartiene a una casta [ahl] inferiore sia, e a maggior ragione, agli stranieri. del resto [come abbiamo detto] hanno il difetto di credere che al mondo non esista altro paese o popolo [sukkān] eccetto il loro, così come sono convinti che nessuno al di fuori di essi sappia alcunché in fatto di scienza: al punto che se qualcuno nomina una ricerca o un sapiente del Khorāsān o della persia, gli danno dell’ignorante e non gli credono.

Certo che se viaggiassero e incontrassero altre genti [ġayru-hum], rivedrebbero le loro posizioni! i loro antenati, peraltro, non nutrivano affatto quest’incuranza [verso gli altri]. Basti citare uno dei massimi sapienti indiani, varāhamihira,41 che esortava a portare rispetto ai [membri

della casta dei] brahmani [cui egli stesso apparteneva] sostenendo: “se dobbiamo onorare i greci che, sebbene impuri [nağis], con la loro formazione eccelsero sugli altri nelle scienze, cosa dovremmo allora dire dei brahmani, che oltre al nobile sapere hanno anche la purezza [ṭahāra]?” Un tempo, in effetti, gli indiani riconoscevano ai greci di aver contribuito più di loro al progresso delle scienze, ma si noti come anche in questo caso lo studioso, pur rendendo omaggio a quelli, in realtà celebra se stesso!

41 varāhamihira, chiamato anche varāha o Mihira (505-587 d.C.), fu un celebre

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Abū al-Rayḥān Muḥammad b. Aḥmad al-Bīrūnī

Il metodo di al-Bīrūnī

Quanto a me, all’inizio mi ponevo nei confronti dei loro astronomi come un allievo di fronte ai suoi maestri giacché, essendo uno straniero, conoscevo assai poco degli argomenti di cui essi dibattevano. Ma non appena seppi cavarmela in materia, presi a interromperli ogni qualvolta individuavo un’incongruenza, fornendo prove manifeste [burhān]42 con

cui spiegavo loro il giusto modo di effettuare i calcoli aritmetici [ḥisāb]. stupiti, quelli mi si affollavano intorno entusiasti di ampliare le proprie conoscenze e mi chiedevano da quale saggio indiano avessi appreso quello che sapevo – anche se in realtà mettevo in luce i loro limiti provandone, oltretutto, un grande orgoglio! e ancora grazie che non mi prendessero per uno stregone: quando, nella loro lingua, parlavano di me con i notabili, mi definivano talvolta un oceano [baḥr] e talaltra un liquido [mā’]43 ancor più

penetrante [ḥamḍ] dell’aceto.

ecco dunque una panoramica di come stanno le cose [in india]. pur essendo animato da una sete di sapere a dir poco eccezionale in questi tempi, devo dire che mi è costato una notevole fatica riuscire a penetrare in simili argomenti – oltre al fatto che non ho lesinato sul denaro necessario a collezionare i testi indiani in ogni luogo in cui pensavo potessero trovarsi e a retribuire tutti coloro che mi hanno aiutato a individuarli! peraltro chi, se non io, avrebbe avuto modo di compiere cotale sforzo? Certo, qualcuno potrebbe ottenere dall’altissimo la grazia

42 Qui sachau traduce burhān con logical reduction, mentre poco oltre lo rende con

strictly scientific deduction (e. sachau, Alberuni’s India, vol. 106, pp. 23 e 25). negli stessi passaggi, Monteil usa principe de démonstration e preuve démonstrative (v. Monteil, Le livre de l’Inde, pp. 50 e 52) e in nota, dopo aver sottolineato che si tratta di un termine coranico (Cor. 12, 24 e 28, 32), riporta la definizione datane da ibn sīnā (avicenna) il quale, contemporaneo di aB, lo incontrò da giovane a Bukhārā e mantenne con lui una corrispondenza: “il burhān è un ragionamento composto da dati certi per trarne una condotta certa” (amélie Marie goichon, Lexique de la langue philosophique d’ibn Sina, desclée de Brouwer, paris, 1938, s.v., cit. in ibid., p. 52, nota 37). sui rapporti fra aB e avicenna cfr. syed hasan al-Barani, Ibn Sina and Al Beruni. A Study in Similarities and Contrasts, in aa.vv., Avicenna Commemoration Volume, iran society, Calcutta, 1956, pp. 3-14.

43 in arabo la parola mā’ significa acqua, ma poiché in persiano (lingua materna di aB,

cfr. supra, p. 000) lo stesso termine indica più in generale un liquido, è parso qui opportuno tradurla in tale modo.

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Studio sui princìpi – vero o inverosimili – in base a cui ragionano gli indiani – a me negata ‒ di disporre come procedere a proprio piacimento: ma se personalmente non ho avuto modo di fare e disfare le cose come avrei voluto, né sono stato messo in grado di ingiungere ordini e divieti, ringrazio comunque iddio per avermi concesso di fare quel tanto che bastava [a realizzare questo testo].

Critica ed elogio degli antichi greci

ai tempi della loro jāhiliyya,44 ovvero prima del cristianesimo, i greci

avevano credenze affatto simili a quelle degli indiani: sia per quanto attiene alle speculazioni filosofiche delle classi colte, sia rispetto all’idolatria [ʿibāda al-aṣnām] del volgo. proprio per siffatta somiglianza, dunque – e non certo per correggerli! – mi permetto di metterli a confronto.

ora, premesso che quanto non attiene alla verità [Ḥaqq] è perversione [zāʾiġ] e che tutti i miscredenti, giacché se ne discostano, fanno parte di una stessa setta [milla], nondimeno occorre riconoscere che gli antichi greci eccelsero per i loro filosofi, i quali forbirono le basi [della scienza] depurandole dalle dispute del volgo ‒ perché laddove le persone colte tendono a farsi guidare dallo studio e dalla riflessione, la plebe, se non la tiene a freno la paura, è invece incline a lanciarsi in discussioni senza capo né coda. Basti pensare a socrate il quale, rifiutatosi di chiamare “dio” gli astri del cielo in conformità all’idolatria [ʿibāda al-awtān] della sua gente [qawm], fu condannato alla pena capitale da undici dei dodici giudici di atene e affrontò la morte senza abiurare la verità [Ḥaqq].

La scienza indiana e i suoi limiti

Quanto agli indiani, essi non hanno conosciuto personaggi similmente in grado di emendare le scienze [dalle superstizioni], sicché [nei loro testi] si stenta a trovare un discorso coerente che non sia privo di logica e infarcito di dicerie popolari: citano numeri più grandi del reale, estendono la durata

44 Com’è noto, il termine arabo jāhiliyya [ignoranza (del dio unico)] designa l’epoca del

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44

Abū al-Rayḥān Muḥammad b. Aḥmad al-Bīrūnī

dei periodi di tempo e aggiungono un’infinità di riferimenti a credenze religiose che il volgo non sopporta di vedere messe in discussione.

insomma, presso di loro la consuetudine [taqlīd]45 riesce sempre ad avere

il sopravvento e, in base a quanto ho avuto modo di conoscerli, gli unici paragoni che trovo per i loro scritti matematici e il tipo di insegnamenti che ne traggono sono quelli di un cumulo di conchiglie preziose frammiste a cocci di terraglia, di perle amalgamate con lo sterco, di gocce di cristallo mischiate a semplici pietruzze. privi di modelli a cui rifarsi, infatti, essi non sanno discernere ciò che è fondato da ciò che non lo è per poter risalire a prove certe [burhān].46

Per un metodo pragmatico

per quanto mi riguarda, nel mio lavoro ho riferito ciò che ho appreso sugli indiani senza aggiungervi alcun genere di appunto ‒ tranne quando si rendeva necessario un chiarimento ‒ e ho riportato nella loro lingua nomi e termini tecnici, com’è doveroso fare per spiegarli. rispetto alle parole derivate [muštaqqa] che possono essere rese in arabo, le ho sempre tradotte – a meno che risultasse più chiaro utilizzare il termine indiano, nel qual caso ho proceduto a trascriverlo con la massima precisione. parimenti ho ritenuto fosse più semplice trascrivere una serie di parole molto diffuse in forma semplice [muqtaḍaba] senza tradurle, bensì spiegandone il significato: anche quando avrei potuto usare un termine arabo altrettanto noto.

infine ci tengo a sottolineare che non mi è stato possibile seguire con rigore il metodo geometrico [handasī], ovvero riferirmi sempre e solo a quanto viene prima e non a quanto segue, sicché può capitare che in un capitolo compaia qualcosa di nuovo che verrà spiegato oltre:47 voglia iddio,

comunque, compiacersi [del mio sforzo]!

45 per il termine taqlīd, qui tradotto con “consuetudine”, sachau ricorre alla formula

jurare in verba magistri (e. sachau, Alberuni’s India, vol. 106 p. 25), mentre Monteil utilizza l’espressione argument d’autorité (v. Monteil, Le livre de l’Inde, p. 51).

46 Cfr. prima, nota 42.

47 Monteil pare lamentarsene in una nota in cui sottolinea che ce sera souvent le cas (v.

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