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Confronto fra metodi EIA e RIA nella determinazione dell'ossitocina in campioni plasmatici umani.

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione Pag. 1

1. Sintesi dell’ Ossitocina Pag. 4

1.1 Generalità ”

1.1.1 Gene dell’ossitocina Pag. 6

1.2 Localizzazione della sintesi Pag 8

1.3 Recettore dell’ Ossitocina Pag. 12

2. Funzioni del peptide Ossitocina Pag . 15

2.1 Generalità “.

2.2 Funzioni periferiche ”

2.3 Funzioni centrali Pag. 17

2.4 Nuovi ruoli centrali dell’Ossitocina ”

3. Il disturbo post-traumatico da stress Pag. 25

3.1 Generalità

4. Scopo della tesi Pag. 28

5.Materiali e metodi Pag. 29

5.1 Campionamento “

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da plasma “ossitocina - free” Pag. 29

5.3 Estrazione dell’ossitocina

da campioni plasmatici di soggetti umani sani

e affetti da Disturbo Post Traumatico da Stress” (PTSD) Pag. 32

5.3.1 Dosaggio Enziomoimmunologico (EIA). Pag. 33 5.3.2 Matariali utilizzati “ 5.3.3 Procedura di dosaggio Pag. 35

5.4 Dosaggio Radioimmunologico (RIA) Pag. 38

6.Risultati e discussione Pag. 48

6.1 Curve di taratura EIA e RIA “

6.2 Recovery Pag. 49

6.3 Test EIA e RIA effettuato su campioni plasmatici

di soggetti sani Pag. 50

6.4 Test EIA effettuato su campioni plasmatici

di soggetti affetti da PTSD “

6.5 Analisi statistiche Pag. 51

7.Conclusioni Pag. 52

8. Bibliografia Pag. 54

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Introduzione

L’Ossitocina (OT) è un ormone peptidico, la cui struttura presenta un ciclo di nove amminoacidi ad un’estremità e un amminogruppo aggiuntivo all’estremità opposta.

Figura 1.1 – Struttura del Neuropeptide Ossitocina

L’ossitocina è stato il primo ormone peptidico sintetizzato in laboratorio in forma biologicamente attiva a scopo farmacologico.

Essa fu purificata e sequenziata, per la prima volta, nel 1953 .

Nel 1984, fu isolato il gene che codifica per questa proteina mentre, nel 1992, ne fu defiita la struttura recettoriale .

L’Ossitocina è, per vari aspetti, strettamente relazionata con l’Arginin Vasopressina, ormone peptidico dalla struttura molto simile ad essa, ad eccezione di due residui amminoacidici (Fenilalanina e Arginina) in posizione 3 e 8 (Fig. 2). Questa differenza risulta determinante nell’interazione con i rispettivi recettori.

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FIGURA 2.1 – Confronto strutture Vasopressina e Ossitocina

Questi due peptidi sono appannaggio esclusivo dei mammiferi placentati e fanno parte della superfamiglia dei nonapeptidi ciclici, che annovera diverse specie di peptidi correlati tra loro dal punto di vista strutturale, funzionale e filogenetico.

I nonapeptidi ciclici hanno preservato, nel corso dell’evoluzione, le proprie funzioni e risultano presenti negli invertebrati quanto nei vertebrati.

È molto diffusa l’ipotesi che Ossitocina e Vasopressina derivino entrambe dalla duplicazione di un gene ancestrale comune; si stima che tale duplicazione sia da collocarsi in un periodo risalente a circa seicento milioni di anni fa, pertanto anteriore alla divergenza tra vertebrati e invertebrati.

Tale ipotesi sembra essere fortemente avvalorata da alcune analogie tra i due nona peptidi, come la vicinanza dei loci dei rispettivi geni, localizzati sullo stesso cromosoma o come la diffusione nei vari phyla dei nonapeptidi omologhi (in particolare la loro presenza nei ciclostomi e negli invertebrati, con vasotonina o conopressina).

Nonostante le forti somiglianze tra i due ormoni, ciascuno di essi svolge funzioni spesso divergenti rispetto all’altro.

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ruolo e la denominazione di “ormoni”. Le scoperte dell’ultimo ventennio riguardanti il SNC, tuttavia, hanno portato a conferire loro il valore di veri e propri neurotrasmettitori e neuromodulatori. Studi recenti hanno rilevato alcune azioni dei due ormoni a livello centrale mentre, nel 2000, è stato individuato il loro rilascio come neuro trasportatori classici, capaci di stimolare neuroni [1].

A tutt’oggi sono stati identificati molteplici ruoli dell’Ossitocina nei mammiferi, sia a livello centrale che periferico. Per quanto concerne quest’ultimo, è ormai noto da anni il coinvolgimento dell’ormone nella gravidanza e nell’allattamento e, fino a poco tempo fa, si riteneva che questa fosse la sola funzione del nona peptide. Diverse osservazioni nei mammiferi, avvenute nell’ultimo decennio, hanno invece fatto intuire la relazione dell’ossitocina con il SNC e gli effetti psichiatrici e comportamentali che ne conseguono. Eric B. Keverne, nel 2004, infatti, ha dimostrato che essa è fondamentale nella regolazione generale del comportamento sociale e riproduttivo dei mammiferi, uomo compreso [2]. In particolare, essa sembra capace di influenzare relazioni sociali di estrema importanza come il legame madre-prole o il rapporto di coppia, caratterizzati entrambi dall’instaurarsi di un forte attaccamento affettivo.

In conclusione, per i motivi suddetti, questo minuscolo peptide, favorendo attività riproduttive tipiche dei mammiferi, può essere considerato essenziale, a detta di molti studiosi, per la sopravvivenza e il perpetuarsi della specie.

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1. Sintesi dell’ossitocina

1.1 Generalità

L’ossitocina, come altri ormoni peptidici, viene sintetizzata a partire da un precursore poli peptidico di dimensione maggiore, “pro-ormone”, che, nel caso specifico, prende il nome di “Preprossifisina”. Esso comprende una sequenza segnale, la sequenza dell’ormone stesso e quella della sua proteina vettore, chiamata Neurofisina I. Queste ultime due sono legate tra loro dalla sequenza “GKR”, rappresentata dal tripeptide “Glicina-Lisina-Arginina”.

La Preprossifisina è stata isolata nel 1977 attraverso tecniche di focalizzazione isoelettrica e sequenziata successivamente grazie alla sintesi del cDNA, ottenuto nel 1983, a partire da lisato di ipofisi di bovino. Essa è costituita da una sequenza di oltre 100 amminoacidi aventi un peso molecolare di 20 kD; nel1992, fu individuato il gene costituito da tre esoni e localizzato nel cromosoma 20, responsabile della sua espressione nell’uomo. Il primo esone, in particolare, codifica per la sequenza segnale oltre che per il nonapeptide, per il tripeptide GKR e per i primi dieci amminoacidi della Neurofisina; il secondo e terzo introne codificano rispettivamente per la parte centrale e carbossi-terminale della Neurofisina. Quest’ultima, a sua volta, è costituita da circa novantacinque residui amminoacidici, tra cui si trovano molte Cisteine impegnate nella formazione di ponti disolfuro. La sua funzione non è ancora ben chiara, ma si ritiene che essa sia fondamentale nel trasporto, nel ripiegamento e nell’immagazzinamento dell’ormone, prima che questo venga rilasciato.

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Figura 3.1 – Sequenza della Preprossifisina con i principali siti di taglio.

Questa struttura, dopo essere stata sintetizzata, va incontro ad un processamento enzimatico post-traduzionale dato dalla combinazione di diverse attività consecutive a diversi livelli, che portano alla liberazione della forma biologicamente attiva dell’Ossitocina.

Clamagirand C., nel 1986, scoprì che la sintesi parte da un enzima ad attività endo proteasica dibasica, il quale opera un taglio tra l’amminoacido basico Arginina della sequenza GKR ed il resto della Neurofisina, separando, così, da quest’ultima l’intermedio oxytocinil-Gly-Lys-Arg. Recentemente, l’enzima, individuato e purificato nel 1986, è stato classificato come appartenente ad una famiglia di endoproteasi definita “prohormone convertasi (PC)”, tipica dei mammiferi, la quale riconosce, con alta specificità, substrati rappresentati da uno o due amminoacidi basici. Eggel Kraut-Gottanka R.et al., nel 2004, attribuirono questa attività enzimatica, più precisamente, al membro PC2.

La sintesi procede con la rimozione sequenziale dei due residui Lisina e Arginina, per azione di un secondo enzima ad attività esoproteasica, specifica per coppie di amminoacidi basici terminali; da tale evento si ottiene il peptide intermedio oxytocinil-Gly. Questo secondo enzima, rappresentato da una carbossipeptidasi di tipo B, è stato isolato nel 1986, sempre a partire da lisato di neuroipofisi di bovino. L’oxytocinil-Gly subisce l’azione di un enzima peptidil-glicina alfa-amidasi-monossigenasi (α-AE) avente attività di α-ammidazione sul residuo aggiuntivo di Glicina (numero 10 della sequenza GKR) con l’impiego di ossigeno molecolare.

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Tra il 1983 e il 1993, si scoprì che l’enzima converte il precursore oxytocinil-Gly-COOH nel composto finale oxytocinil-NH2, il quale costituisce la forma matura dell’ormone. Grazie a quest’ultimo passaggio, la molecola dell’ossitocina è caratterizzata dalla presenza di un ammino gruppo terminale aggiuntivo, a una delle estremità; oltre a questo è presente all’altra estremità una struttura ciclica, generata dalla formazione di un ponte disolfuro tra due residui di cisteina, all’interno della molecola.

L’ ammino gruppo terminale, la struttura ciclica, insieme agli amminoacidi Cisteina 1, Tirosina 2 e Leucina 8, sono fondamentali per l’attività biologica dell’ormone. Tramite studi di cristallografia, si è osservato che dopo il taglio endoproteolitico, i precursori intermedi e il peptide maturo stesso rimangono, comunque, uniti intimamente alla Neurofisina tramite giunzioni di tipo non covalente, rappresentate da interazioni elettrostatiche e da legami idrogeno. È scaturita, inoltre, l’analogia fra tali interazioni, sia nel caso del precursore di partenza, sia dopo che questo è stato processato. Queste interazioni sono sostenute principalmente dai residui di Cisteina e Tirosina, situati, rispettivamente, in posizione 1 e 2 dell’anello.

Nel 1999 fu dimostrata, sperimentalmente, una certa affinità di questi composti intermedi verso la Neurofisina.

Grazie a queste interazioni si ha la formazione di dimeri OT-Neurofisina che tramite folding e assemblamento multimolecolare, si organizzano in aggregati macromolecolari ordinati di maggiore entità. Quest’ultimo aspetto modulerebbe l’attività degli enzimi suddetti, proteggendo l’intera struttura da un eccessiva digestione enzimatica, prima della liberazione dell’ormone maturo.

1.1.1

Gene dell’ossitocina

La struttura del gene dell’ossitocina è stata definita inizialmente, nel ratto, nel 1984 e successivamente, anche in altre specie, tra cui l’uomo, nel 1992. In tutte le specie,

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espresso in direzione opposta. Questo significherebbe, secondo l’ipotesi di molti, una duplicazione a partire da un unico gene ancestrale, seguita dall’inversione di uno dei due geni.

Nell’uomo, il gene è localizzato nel cromosoma 20, nel locus p13, ed è dato da tre esoni, già ben sequenziati, di struttura molto simile a quelli individuati in altri mammiferi. Il promotore, è dato da una sequenza di circa 200 bp, e possiede una regione altamente conservata, presente oltre che nell’uomo, anche in ovini, bovini, topi e ratti.

L’espressione di tale gene, studiata soprattutto con l’uso di topi transgenici, è soggetta a una fine e complicata regolazione tessuto-specifica da parte di diversi elementi capaci di agire su specifiche regioni del promotore.

Sono stati individuati numerosi membri, appartenenti a importanti famiglie di recettori nucleari, capaci di interagire con tale regione e regolare, così, l’espressione del gene. Nell’uomo e nel ratto, il promotore di tale gene, a livello di specifici elementi di risposta, può essere stimolato, in una varietà di cellule, dai recettori nucleari ERα e ERβ, specifici degli estrogeni, dal recettore THRα dell’ormone tiroideo e dai recettori dell’acido retinoico RARα e RARβ .

Nel complesso dell’espressione di tale gene, nelle varie specie e nei diversi tessuti, si può dire che essa sia regolata da numerosi “enhancers” e “repressori”, interagenti tra loro in un modo complesso che deve essere ancora ben definito..

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1.2 Localizzazione della sintesi

L’ossitocina, analogamente alla vasopressina, è sintetizzata, nei mammiferi, principalmente a livello dell’Ipotalamo, più precisamente per opera dei neuroni “Magno cellulari”, localizzati nei nuclei Sopraottico (SON), Paraventricolare (PVN) e in piccoli gruppi di neuroni accessori, situati tra questi due. Gli assoni di tali neuroni sono indirizzati alla Neuroipofisi, lobo posteriore dell’Ipofisi. I due peptidi sono trasportati in quest’ultima sede costituita, essenzialmente, dalle terminazioni neuronali da cui sono immagazzinati e rilasciati nel circolo sistemico, in risposta a determinati stimoli. La vasopressina viene prodotta prevalentemente nel SON, mentre la sintesi dell’ossitocina avviene soprattutto nel PVN; in entrambi i nuclei, tuttavia, sono presenti cellule secernenti uno dei due neurotrasmettitori o entrambi.

L’organizzazione di questi neuroni è simile in tutti i mammiferi.

Figura 4.1- Neuroipofisi e neuroni ipotalamici.

Nel nucleo paraventricolare, oltre ai neuroni “Magno cellulari”, è stata individuata una seconda popolazione di cellule nervose secernenti i due peptidi, dette neuroni “Parvo cellulari”, i quali sono molto importanti poiché, a differenza dei primi, presentano proiezioni in tutto il SNC, con esclusione della Neuroipofisi.

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Negli anni ‘80 sono stati effettuati studi su animali e reperti umani post mortem, dimostrando che tali neuroni proiettano alle aree limbiche quali l’amigdala, il nucleo

erevoli studi, effettuati da diversi

a, il locus coereleus, il nucleo del rafe, il nucleo del tratto

ormai stato appurato che quest’area sta alla base della regolazione

odello prototipo basale della stria terminale (NBST), il setto laterale, il locus coeruleus, e diverse aree ippocampali ed ai centri mesencefalici, troncoencefalici e spinali.

Una conferma della cospicua diffusione delle terminazioni Parvo cellulari nel SNC dei mammiferi ci giunge soprattutto dagli innum

scienziati sui ratti, ai quali dobbiamo la maggior parte delle nostre conoscenze riguardo le proprietà e le funzioni dell’ossitocina.

Nel cervello di ratto, infatti, le proiezioni ossitocinergiche, già ben definite, dei neuroni Parvo cellulari coinvolgono i Nuclei ipotalamici dorsomediali, i nuclei talamici, l’ippocampo dorsale e ventrale, il subiculum, l’enthorinal cortex, i nuclei septali medio e laterale, l’amigdala, il bulbo olfattivo, il nucleo mesencefalico centrale, la substantia nigr

solitario, il nucleo motore dorsale del nervo vago, la ghiandola pineale, il cerebellum e infine, la corda spinale.

La vasopressina è sintetizzata anche nel nucleo soprachiasmatico, compreso nell’ipotalamo. È

dei ritmi circadiani nei mammiferi, in cui è coinvolta la vasopressina, a differenza dell’ossitocina.

I neuroni Magno cellulari, citati in precedenza, sono considerati il m

dei neuroni peptidergici e, per questo motivo, sono intensamente utilizzati negli studi inerenti la struttura e la fisiologia di questo tipo di cellule secretrici.

Gareth Leng, nel1998, scoprì che questi sono neuroni classici, aventi da uno a tre dendriti e il cui unico assone si estende verso la neuroipofisi. All’interno di tali cellule, l’ossitocina è sintetizzata in forma di pro-ormone, a livello dei ribosomi presenti nel corpo cellulare. Essa subisce, inizialmente, il taglio della sequenza segnale, a livello del reticolo endoplasmatico stesso. In seguito, all’altezza del Golgi, tali molecole sono impacchettate in granuli secretori, detti “Corpi di Herring”, i quali sono trasportati dal flusso asso-plasmatico, attraverso l’assone, fino alle terminazioni

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dell’ipofisi posteriore, dove sono immagazzinati fino al momento del rilascio nel circolo sanguigno. È ormai appurato che il processamento del precursore, precedentemente descritto, avviene, durante tale spostamento, all’interno di questi corpi e nel corpo cellulare. Di conseguenza, a livello della terminazione, questi granuli contengono il peptide distinto dalla neurofisina. All’interno di questi, infatti, sono stati individuati non solo il pro-ormone e il peptide maturo stesso, ma anche i prodotti intermedi e gli enzimi coinvolti. Più in particolare, si può dire che nei granuli presenti nella terminazione, si trovano gli aggregati Ot-Neurofisina, prima citati, tenuti insieme da legami non covalenti. Il rilascio, che avviene in seguito al propagarsi di un potenziale d’azione fino alla terminazione, consiste in un processo di esocitosi calcio-dipendente. Con quest’ultimo evento, si ha la liberazione nel sangue, separatamente, dell’ormone maturo e della corrispondente Neurofisina, di cui non sono note attività biologiche nell’organismo. Con l’esocitosi, che costituisce il passaggio del peptide dall’interno dei granuli al sangue, gli aggregati Ot-Neurofisina, subiscono un cambiamento di pH da 5.5 a 7.4, che determina la rottura dei vari

to a sostanze proteiche, ha una semivita di 5 minuti e viene catabolizzato nel gato e nel rene, ove il peptide viene inattivato tramite un processo di acetilazione

artenenti ai neuroni Magno cellulari, compreso il

NC e legami deboli. Questo passaggio induce la separazione netta tra l’Ossitocina e la Neurofisina.

La concentrazione plasmatica dell’ossitocina è estremamente bassa, sia nella donna non gravida che nell’uomo. L’ormone circola nel plasma in forma di monomero, non lega

fe [3].

Nel 2005, fu individuatala presenza di una cospicua quantità di granuli secretori anche all’interno dei dendriti app

corredo per il processamento del precursore e l’esocitosi del peptide maturo, in risposta a determinati stimoli [4].

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In tutti i mammiferi l’Ossitocina, oltre che nel cervello, è sintetizzata anche in altri distretti dell’organismo, per svolgere numerose azioni periferiche, a livelli funzionalmente significativi. Gerald Gimpl, nel 2001, appurò che tali zone di sintesi nei vari mammiferi, sono, generalmente, rappresentate da: utero, placenta, amnion, corpo luteo, testicoli, prostata, timo, cuore e nell’uomo pare, anche dal pancreas [5].

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1.3 Recettore dell’ossitocina

Tutte le azioni dell’ossitocina, sono mediate sia a livello del SNC, che periferico, dall’unico recettore fin’ora individuato. Si tratta di un polipeptide costituito da 388 amminoacidi disposti in sette domini transmembrana, che è stato classificato come membro della classe I, della famiglia dei recettori accoppiati alle proteine G .

I sette domini transmembrana, dati da α-eliche, sono altamente conservati nei vari membri di questa famiglia. Si suppone che i loro singoli residui, siano coinvolti, in un meccanismo comune di attivazione della proteina G, alla base del quale vi è un cambiamento di conformazione dell’intera struttura dovuto, soprattutto, a una variazione di orientamento dei domini 3 e 6.

È stato osservato che, nell’ interazione tra il recettore e la molecola dell’ossitocina, la parte ciclica di quest’ultima, prende contatto con i domini 3, 4, 6 e con il secondo loop extracellulare. La parte lineare tripeptidica, che rimane rivolta verso la superficie, interagisce con i domini transmembrana 2, 3, con il primo loop extracellulare e con il dominio glicosilato N-terminale extracellulare .

Più in particolare, sono state individuate regioni e residui fondamentali nell’interazione sia del recettore che dell’ormone. Tra questi si possono citare, una regione di 12 amminoacidi nella porzione N-terminale extracellulare, un’interazione tra il residuo L8 dell’ossitocina e il residuo 103 del recettore, le interazioni tra i residui 209 e 284 con i residui Tyr 8 e Ile 3 dell’ormone. Quest’ultimo è uno dei due amminoacidi che determinano la differenza strutturale rispetto al peptide Vasopressina ed è definito, in proposito, fondamentale nel riconoscimento specifico dell’ormone da parte del recettore.

Anche il gene corrispondente a questo recettore è stato isolato e sequenziato in diverse speci. Nel genoma umano, esso è localizzato nel cromosoma 3, a livello del locus p25-3p26.2, esso è presente in singola copia ed è costituito da una sequenza di 17 kb che comprende 3 introni e 4 esoni.

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L’espressione di tale gene è soggetta ad una regolazione, che differisce nelle varie specie e che è tessuto-specifica; questa in ogni caso, può avvenire da parte di diversi elementi, capaci di interagire, direttamente o indirettamente, con la regione del promotore.

Gli estrogeni stimolano l’espressione di tale recettore nell’utero, nella ghiandola pituitaria, nei reni e nei nuclei ventromediali dell’ipotalamo. Nelle cellule del miometrio, sussiste una regolazione negativa da parte delle interleukine IL-1β, IL-6 e citochine, direttamente su specifici elementi di risposta del promotore del gene umano [6].

Anche in questo caso, come del caso del gene dell’ossitocina, si può dire che esiste una complicata regolazione sul promotore da parte di attivatori e repressori.

La localizzazione di tali recettori, è già ampiamente studiata nel ratto e nell’uomo e, come per l’ossitocina, gli studiosi tendono a fare distinzione tra la loro distribuzione a livello periferico e quella centrale, verificando molte analogie tra i vari mammiferi. Nel ratto la presenza del recettore è stata accertata a livello di vari distretti: utero miometrio, endometrio, amnion, corion, decidua, ovaio, corpo luteo, testicoli, ghiandola prostatica, ghiandola mammaria, reni, pancreas, timo, cuore (in atri e ventricoli) e endotelio vascolare. Inoltre è stata rilevata la presenza di tale struttura, anche in alcuni tipi di cellule, come, adipociti, osteoblasti, mioblasti, e in linee cellulari di diversi tumori umani, come cancro al seno, neuroblastoma, glioma e adenocarcinoma dell’endometrio, dove sembra possa essere coinvolto nella regolazione della crescita cellulare [7] .

La distribuzione del recettore a livello centrale, come la presenza dell’ormone stesso, è oggetto, da un decennio a questa parte, di continui studi atti a trovare correlazioni tra l’influenza dell’ossitocina nelle diverse aree del cervello e i nuovi ruoli attribuiti all’ossitocina nell’ambito psichiatrico, comportamentale e sociale nei mammiferi. Tali studi, a livello neurologico, sono stati effettuati oltre che nel ratto e nell’uomo, anche in un tipo particolare di roditore (genere Microtus) usato come modello per i suoi comportamenti sociali.

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Nel ratto possiamo trovare tale recettore nelle diverse aree del cervello, ovvero, sistema olfattivo, aree corticali, ganglio basale, sistema limbico (con alta densità nell’amigdala centrale, nel subiculum ventrale e nel nucleo della stria terminale), talamo, ipotalamo, tronco encefalico e colonna vertebrale [8] .

Nell’uomo si è individuato tale recettore in diverse zone, attraverso studi post mortem, quali: la parte compatta della substantia nigra, il globus pallidus, il cingolato anteriore e la media insula (queste quattro regioni ne sono particolarmente ricche), il nucleo basale di Meynert, la porzione ventrale del setto laterale e delle aree adiacenti del NSB, le aree anteriore e posteriore dell’ipotalamo, la sostanza gelatinosa del nucleo caudale del trigemino e il corno posteriore della porzione rostrale del midollo spinale.

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2. Funzioni del peptide ossitocina

2.1 Generalità

Per quanto riguarda i ruoli dell’ossitocina, fin’ora individuati nei mammiferi, si può dire che questi sono numerosi, sia a livello centrale, che periferico. Come già accennato, nell’ultimo decennio, questo aspetto dell’ossitocina e gli studi legati a essa, hanno subito dei profondi mutamenti, poiché essa è stata individuata in aree importanti e particolari del SNC. Questo fenomeno ne ha fatto supporre anche attività neurologiche e psichiatriche, oltre a quelle ginecologiche, legate alla gravidanza, al parto e all’allattamento già note e considerate le sole, per molto tempo. Per questo motivo, si usa fare distinzione, oltre che tra funzioni centrali e periferiche dell’Ossitocina, anche fra quelle classicamente conosciute e quelle scoperte più di recente.

2.2 Funzioni periferiche dell’ossitocina

A livello periferico, i due principali organi bersaglio dell’ormone sono le cellule muscolari lisce dell’utero e le cellule mioepiteliali della ghiandola mammaria, nel periodo della gravidanza.

Durante la gestazione, si possono rilevare l’ormone e il suo recettore, non solo nell’utero, ma anche nella placenta, nell’amniom, nel corion, e nella decidua. Con questa presenza, l’ossitocina agisce da forte induttore del parto, determinando la contrazione delle cellule muscolari lisce dell’utero e facendo sì che il feto possa essere liberato. È interessante notare che, durante tale periodo, nei vari mammiferi non sono rilevabili grossi aumenti dei livelli plasmatici di ossitocina, mentre nel miometrio, si può rilevare un forte incremento del numero dei recettori. Questo aumento è proporzionale al progredire della gravidanza ed è influenzato, in questa

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situazione, dagli estrogeni mentre, dopo il parto, il numero di recettori decade rapidamente. Grazie a questo ruolo dell’ossitocina, si fa uso a livello clinico, del peptide in forma sintetica, per indurre il parto e di suoi antagonisti per impedire casi precoci.

L’ossitocina ha un’azione fondamentale anche nell’allattamento, poiché determina la contrazione delle cellule mioepiteliali delle ghiandola mammaria, inducendo la fuoriuscita del latte. Questo avviene in risposta alla suzione del capezzolo, la quale costituisce un riflesso tattile che, tramite vie nervose, raggiunge l’ipotalamo, stimolando la secrezione di ossitocina nel plasma. Quest’ultima, infine, per mezzo dei propri recettori, determina la contrazione a livello del sito bersaglio.

Oltre a queste due azioni, considerate le più importanti, l’ossitocina esplica la sua influenza anche in altri distretti periferici quali l’ovaio e il corpo luteo. Come fattore follicolo stimolante, è importante nel mantenimento della fertilità e stimola il rilascio e la sintesi del progesterone .

A livello Cardio-Vascolare, provoca effetti diversi come il rilascio del peptide natriuretico e, nell’embrione in particolare, comporta la differenziazione dei cardiomiociti .

L’ossitocina ha la funzione di agente natriuretico osmoregolatore renale, interviene sul Timo nella differenziazione e proliferazione cellulare.

A livello del Pancreas stimola il rilascio di glucagone mentre inibisce il rilascio di insulina.

Nei Testicoli incentiva la spermatogenesi e la modulazione della steroidogenesi, oltre alla contrazione dei tubuli seminiferi e l’ erezione.

Nella Prostata stimolala contrazione, eiaculazione e la crescita cellulare mentre, negli Adipociti, stimola l’ossidazione del glucosio e la citogenesi.

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2.3 Funzioni centrali

Nel SNC, l’ossitocina è ampiamente distribuita e implicata in differenti azioni a seconda della sua sede.

Innanzi tutto essa agisce a livello dell’ipotalamo stesso, mediante il proprio rilascio intranucleare da parte del corpo cellulare e dei dendriti appartenenti ai neuroni Magno cellulari. Tale rilascio produce effetti autoregolatori sull’ipotalamo stesso, azione mediata da recettori per l’ossitocina, presenti nella membrana dei neuroni Magno cellulari. Inoltre, questo stimola l’amigdala e sembra che deprima proiezioni GABAergiche, presenti in vicinanza dell’ipotalamo.

Azioni dell’ossitocina sono state rilevate anche a livello dell’adenoipofisi, dove essa è implicata nella regolazione del rilascio della prolattina, delle gonadotropine e dell’ormone ACTH.

Numerosi effetti dell’ossitocina sono stati rilevati anche a livello del SNA riguardo la regolazione cardiovascolare, gli effetti analgesici, le attività motorie, la termoregolazione, la motilità gastrica, l’ osmoregolazione, la respirazione [9].

2.4 Nuovi ruoli centrali dell’ossitocina

L’identificazione dell’ossitocina e del suo recettore in determinate aree cerebrali dei mammiferi, ha fatto ipotizzare che essa avesse, oltre alle azioni precedentemente descritte, anche particolari effetti centrali. La presenza dell’ormone, in relazione alla funzione svolta da tali aree, ha innescato da circa un ventennio a questa parte, profondi studi in molti mammiferi, mirati a definire questi nuovi ruoli, ben diversi rispetto alle funzioni classicamente conosciute del peptide.

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Tali studi, condotti per anni soprattutto su roditori e scimmie, hanno fornito una cospicua quantità di dati, che hanno portato a definire l’ossitocina un ormone fondamentale per la sopravivenza e il protrarsi di ogni specie, compreso l’uomo. Essa infatti, in base a tali ruoli, sarebbe fortemente implicata nella procreazione, oltre che da un punto di vista “pratico”, anche da un punto di vista comportamentale e sociale. Ovvero, questa piccola molecola di nove amminoacidi, comporterebbe, grazie alla propria presenza in specifiche aree cerebrali, grossi effetti a livello comportamentale e sociale nei mammiferi. Essa avrebbe, in particolare, un ruolo chiave nella regolazione delle interazioni sociali, favorendole, permettendo la formazione e il protrarsi di relazioni forti, quali il legame madre-prole, il rapporto di coppia, e per noi umani, anche i rapporti d’amicizia. Il peptide regolerebbe non solo la formazione e la durata di tali fattori, ma anche la loro intensità e stabilità, poiché esse sarebbero fortemente implicate nella regolazione e nella formazione dell’attaccamento alla base di ogni tipo di rapporto [10].

Al fine di trovare riscontri nel genere umano, di cui si hanno pochi dati per quanto riguarda questo aspetto, nell’ultimo decennio, è stata intensamente studiata una specie di roditore, genere Microtus, molto diffusa nel continente americano. Si tratta di un piccolo roditore che ha la caratteristica di presentare, in alcune sue specie, un organizzazione sociale particolare, che rispetto agli altri mammiferi, è più simile alla nostra. Infatti, questi murini mostrano, nella maggior parte delle loro specie, la tendenza a formare legami monogami duraturi e cura della propria prole, fino alla formazione di veri e propri nuclei familiari, con tanto di nonni e genitori, che insieme accudiscono quest’ultima. Questo aspetto, ha attirato l’attenzione degli studiosi, che hanno definito tali roditori un modello importante per lo studio della neurobiologia dell’attaccamento sociale, cui fare riferimento anche per gli studi sulla nostra specie [11].

Tramite esperimenti di autoradiografia, si è cercato di individuare la localizzazione dei recettori dell’ossitocina nelle diverse aree cerebrali, al fine di stabilire una

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nucleus accumbens, corteccia prefrontale, setto laterale, bulbo olfattivo, organo vomeronasale, amigdala, area preottica e ipotalamo. Nel 2004, fu accertato il forte coinvolgimento di queste diverse aree cerebrali nella regolazione degli scambi sociali, nel comportamento materno, nel comportamento del rapporto di coppia, nella memoria sociale, che permette il riconoscimento e la discriminazione di altri individui, nel comportamento sessuale e riproduttivo (sia per quanto riguarda il corteggiamento, che l’attività sessuale) , nei mammiferi e dunque anche in questi roditori [12], [13]. Inoltre, soprattutto per quanto riguarda l’amigdala, è stata appurata anche l’influenza sull’ansia e sulla paura.

Una conferma dell’implicazione dell’ossitocina nel comportamento sociale di tali roditori, ci giunge dal confronto tra due specie diverse che sono state individuate, ossia, Microtus pennsylvanicus di montagna, e Microtus ochrogaster, di prateria. La prima specie è promiscua, solitaria e non ha cura della prole, mentre la seconda è monogama, con legami di coppia lunghi e ha cura della propria prole.

Mediante autoradiografia, è stata individuata una profonda differenza nella distribuzione e densità recettoriale dell’ossitocina nelle diverse aree del cervello di tali animali. In particolare, i roditori monogami presentano rispetto all’altra specie, un’alta densità di recettori nel nucleus accumbens (Nacc) e nel nucleo caudato putamen (CP), zone implicate nella formazione del legame di coppia e nell’attaccamento. Entrambi, presentano recettori nella corteccia prefrontale (PFC), coinvolta nel riconoscimento olfattivo. Il ruolo dell’ossitocina in tali aree, è stato inoltre dimostrato da alcuni esperimenti effettuati su questi animali, come ad esempio, l’infusione di un antagonista dell’ormone nella corteccia prefrontale e nel nucleus accumbens nelle femmine di prateria. In seguito a questa operazione, esse presentavano blocco dell’induzione all’accoppiamento e mancanza di preferenza verso il partner [14].

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Figura 1.2: autoradiografia cervello di Microus monogama in confronto a cervello di Microtus promiscua. E’

visibile la minore densità dei recettori nel secondo caso.

Per quanto riguarda i nuovi ruoli dell’ossitocina, ci giungono altri casi interessanti, individuati tra i mammiferi, dai numerosi esperimenti con topi knock-out per il gene dell’ossitocina. Tali topi transgenici, sono completamente privi di riconoscimento sociale verso con specifici, cui sono stati precedentemente esposti; questo difetto viene annullato, mediante iniezione locale di ossitocina nella zona dell’amigdala, esperimento che ha, inoltre, dimostrato che questa zona è essenziale per il riconoscimento sociale [15].

L’attenzione degli studiosi è stata attirata anche dagli ovini, poiché è stato riscontrato che, in questi animali, l’ossitocina è importante per quanto riguarda il rapporto madre-prole. L’aumento dell’ormone nelle varie aree del cervello in seguito al parto, determinerebbe una stimolazione del bulbo olfattivo, che permetterebbe il riconoscimento selettivo e l’accettazione della propria prole e il rifiuto di quella altrui. Il fatto che l’ossitocina sia determinante nell’accettazione della prole in questi animali, è stato provato tramite un esperimento, in cui è stata effettuata un’infusione intracerebrale del peptide in pecore non gravide e senza prole. Queste, trenta secondi

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Per quanto riguarda la nostra specie, purtroppo, i dati sperimentali a disposizione sono pochi, comunque recettori dell’ossitocina sono stati individuati nelle zone della substantia nigra e del globus pallidus e si è visto, mediante risonanza magnetica, che queste zone si attivano in soggetti adulti alla vista di una foto del proprio figlio o del partner. Altre zone in cui sono state individuate tali strutture, sono il cingolato anteriore e l’insula media, le quali appartengono a un’area cerebrale che recentemente è stata battezzata come il “cervello sociale” [16].

Tra i pochi dati a disposizione, una dimostrazione dell’esistenza dei nuovi ruoli dell’ossitocina anche per quanto riguarda la nostra specie, è data da uno studio effettuato di recente, simulando un gioco finanziario. In questo dei soggetti dovevano fare investimenti affidando il tutto a un investitore; per lo studio sono stati usati ventinove soggetti, trattati con inalazione intranasale di ossitocina e altri ventinove soggetti-placebo di controllo. Il risultato è stato che complessivamente, i soggetti trattati, presentavano maggiore fiducia nel proprio investitore, rischiando maggiormente rispetto a quelli di controllo. Questo studio ha dimostrato un’implicazione dell’ossitocina anche per quanto riguarda il “fattore fiducia” nell’uomo, il quale aumenterebbe grazie all’ormone, facilitando le interazioni tra individui, poiché permette di superare l’avversione e la neofobia verso il prossimo, agevolando gli approcci. Questo studio, pertanto, ha fatto ipotizzare anche un possibile impiego terapeutico dell’ossitocina in disordini mentali che comportano sociofobia [17].

Nella specie umana, una prova dell’esistenza di una relazione tra ossitocina, comportamento e attaccamento sociale, è rappresentata dal fatto che in molte patologie psichiche, quali autismo, schizofrenia, disturbo ossessivo-compulsivo e sindrome di Prader-Willi, caratterizzate da disturbi della personalità, sono presenti oltre a un alterato e scarso attaccamento, anche un quadro del sistema ossitocinergico anomalo. Nei soggetti autistici sono stati rilevati considerevolmente bassi livelli plasmatici di ossitocina rispetto a soggetti di controllo, fenomeno rafforzato dal fatto che, in alcune sindromi di autismo, sono state individuate alterazioni del

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processamento enzimatico della preprossifisina, per la precisione, a carico degli enzimi PC2 E PC5, oltre a questo si ipotizzano anche alterazioni a livello genetico e recettoriale [18]. Inoltre, un recente studio, ha esaminato la possibile utilità terapeutica dell’ossitocina nell’autismo, mediante infusione intravenosa e si è avuto, come risultato, una diminuzione dei comportamenti ripetitivi in soggetti adulti affetti da autismo e sindrome di Asperger [19].

In conclusione, dai vari studi effettuati attraverso i mammiferi, come ratti, topi, ovini, fino all’uomo, gli studiosi sono giunti a concludere che l’ossitocina ha un ruolo chiave in molti fattori che sono alla base della formazione dei contatti, delle interazioni e dei legami sociali, favorendoli positivamente. Tra questi elementi si possono citare, innanzitutto, l’attaccamento, fondamentale in ogni rapporto, la fiducia, essenziale per permettere agli altri individui di avvicinarsi a noi, la memoria sociale e il riconoscimento, che permette di discriminare i vari individui. Inoltre, è stato osservato che l’ossitocina aumenta nelle situazioni di stress e di ansia, contrapponendosi ad esse, attenuandole. Si ritiene che, nei mammiferi, la neofobia verso nuove conoscenze generi ansia e stress, bloccando o limitando le interazioni sociali, ma l’ossitocina, contrapponendosi a questi due fattori, faciliterebbe la formazione dei rapporti tra individui [20].

Un altro aspetto in cui è coinvolta l’ossitocina, è il comportamento sessuale e riproduttivo, ove essa sembra essere implicata dal corteggiamento alla selezione e riconoscimento del proprio partner, fino agli atti riproduttivi, nei quali si verifica sia nell’uomo che in altri mammiferi, una variazione del sistema ossitocinergico, che diventa più attivo e un aumento dei livelli plasmatici.

Inoltre, ormai è certo che l’ossitocina, insieme ad altri ormoni e neurotrasmettitori, è coinvolta nella neurobiologia del sentimento “amore”, vissuto con maggiore cognizione da noi umani e definito, psichiatricamente, come un fattore che produce soddisfazione e che riduce l’ansia e lo stress. Esso è ritenuto, insieme alla riproduzione, un processo adattativo che assicura la sopravvivenza. È essenziale per

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dall’instaurarsi della forma di attaccamento che negli adulti viene riversata verso il proprio partner, ovvero l’attaccamento romantico, nella cui neurobiologia, si ipotizza sia implicata a diversi livelli, l’ossitocina, facilitando il processo di accoppiamento [21].

L’attaccamento, è stato definito negli anni ‘80 da Bowlby J., uno dei padri della psichiatria moderna, che formulò la “teoria dell’attaccamento”, utilizzata come punto di riferimento in molti studi di psichiatria. Tale teoria riconosce alla base dei comportamenti sociali e dei sentimenti, un bisogno, una sorta di spinta innata, geneticamente connaturata, a ricercare e creare legami affettivi con gli altri individui (attaccamento), al fine di garantire la sopravvivenza individuale e quella della propria specie. Quindi in base a tale teoria, l’attaccamento è da considerare importante non solo da un punto di vista sociale, ma anche da un punto di vista evoluzionistico.

Riguardo alla specie umana, abbiamo pochi dati disponibili circa l’influenza dell’ormone sul comportamento. La Maggior parte delle informazioni derivano da patologie psichiatriche (es. autismo) e riportano alterazioni nell’attaccamento e anche del sistema ossitocinergico. Uno studio sull’influenza dell’Ossitocina nell’attaccamento romantico ha individuato una correlazione statisticamente significativa tra i livelli plasmatici di OT e l’ansietà nell’attaccamento romantico e che i soggetti “preoccupati”, i più ansiosi, presentano una tendenza verso più alti livelli di ossitocina . Tale studio, che rappresenta uno dei primi approcci nell’ambito “ossitocina-esseri umani”, permette di avanzare l’ipotesi che l’OT sia importante per i legami sociali e per la sopravvivenza anche della nostra specie.

Normalmente l’ossitocina è presente in quantità molto basse nell’organismo, tuttavia è stato dimostrato che la sua concentrazione è molto sensibile a diversi fattori esterni ed interni all’organismo quali, ad esempio, la variazione del periodo della giornata, lo stato di salute e i livelli ormonali.

L'ossitocina intracerebrale inibisce anche l’attività dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) indotta dallo stress, il che suggerisce un'influenza inibitoria di questo neuropeptide sui sistemi neuro-ormonali sensibili allo stress.

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In modelli animali, è stato rilevato che l’ossitocina possiede effetti ansiolitici ed è in grado di ridurre lo stress [22], [23].

Esistono diversi studi in cui sono stati indagati gli effetti dell'ossitocina sullo stress e sulle risposte all’ansia. L'ossitocina viene rilasciata sia a livello periferico che a livello centrale in risposta allo stress sia fisico che psicologico e in risposta a situazioni di paura [24]. È stato dimostrato che il rilascio stimolato del neuro peptide, nei roditori, migliora i sintomi associati all’ansia e allo stress . Inoltre, è stato dimostrato che la somministrazione centrale di ossitocina nei ratti maschi ha effetti simili alle benzodiazepine.

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3. Il disturbo post-traumatico da stress

3.1 Generalità

Il disturbo post-traumatico da stress (o Post-Traumatic Stress Disorder, PTSD) è l'insieme delle forti sofferenze psicologiche che conseguono ad un evento traumatico, catastrofico o violento. La diagnosi di PTSD necessita che i sintomi siano sempre conseguenza di un evento critico, ma l'aver vissuto un'esperienza critica di per sé non genera automaticamente un disturbo post-traumatico.

Il PTSD si manifesta con una serie di sintomi di disagio innescati dall'esperienza di eventi traumatici stressanti, come la personale esposizione ad eventi dolorosi, a una malattia grave, al rischio di morire o ad altre serie minacce alla propria integrità fisica o a quella di familiari e amici stretti (catastrofi naturali, violenze personali, incidenti, lutti, ecc.). A differenza di altre sindromi, per poter fare una diagnosi di PTSD è necessario un evento esterno di natura traumatica che interferisca nel normale corso della vita di un individuo causando una serie di reazioni psicofisiologiche, che, se persistenti nel tempo si vanno a consolidare come chiari sintomi del disturbo stesso. Non sono tutt'ora chiari i meccanismi che ne facilitano l'insorgenza e non tutti gli individui che nella vita sono stati sottoposti ad un evento fortemente stressante si sono poi ritrovati a sperimentare questo genere di sindrome.

Sintomi persistenti di ansia e di iperattivazione o “arousal”, come si definiscono comunemente anche in italiano, non presenti prima del trauma, vengono abitualmente descritti nel PTSD e costituiscono uno dei principali criteri diagnostici per l’attuale inquadramento nosografico di questa patologia [25] Tali sintomi comprendono: 1) difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, che può essere causata anche da incubi frequenti durante i quali viene rivissuto l’evento traumatico 2) irritabilità o scoppi di collera 3) difficoltà a concentrarsi 4) ipervigilanza 5) esagerate risposte di allarme.

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Lo stato di iperattivazione si manifesta con un costante stato di allerta e tensione, reazioni di reazione improvvisa verso stimoli ambientali improvvisi anche se innocui, che si accompagnano e scatenano un’ esagerata reattività neurovegetativa con difficoltà nell’esecuzione di compiti specifici.

Vengono riferiti in genere all’iperattivazione anche sintomi quali cefalea, difficoltà di memoria e vertigini.

I disturbi del sonno sono solitamente collegati al timore che l’evento traumatico possa verificarsi di nuovo, mentre l’irritabilità e gli scoppi di collera sono in genere spiegati come dovuti ad una mancanza di controllo sulle proprie reazioni.

Il comportamento costante di “scanning”, inteso come monitoraggio continuo dell’ambiente circostante percepito come minaccioso e inquietante, si ritiene essere alla base dei fenomeni di ipervigilanza, del deficit di concentrazione e della esagerata risposta di allarme, e viene interpretato come tentativo per identificare quanto prima stimoli ambientali potenzialmente nocivi che si potrebbero affrontare con estrema difficoltà se si verificassero.

Un’altra manifestazione osservabile in situazioni di intenso stress emotivo, opposta sintomaticamente ma identica nel significato alle precedenti, corrisponde a quella che viene abitualmente definita dagli etologi anglosassoni col termine di “freezing”. Il “freezing” è una condizione di immobilità motoria, in cui sono però presenti sia lo stato di allerta che l’ipervigilanza [26]. Questo comportamento è facilmente osservabile nel mondo animale quando la preda, per sfuggire al predatore, rimane immobile, in uno stato di blocco ipervigile a cui fa seguito la messa a punto e la realizzazione di strategie integrate di fuga. Il fenomeno del “freezing” risulterebbe dunque una strategia utile al fine della sopravvivenza. A tale proposito, è significativo ricordare che nei mammiferi le aree corticali visuo-spaziali e la retina avrebbero sviluppato principalmente la capacità di percepire oggetti in movimento piuttosto che i colori. Un’altra ipotesi è che l’immobilità motoria dell’animale, durante l’incontro con il predatore, sia il tentativo di fingersi

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I sintomi di aumentata iperattivazione tendono solitamente ad essere gravi, alterano significativamente le attività quotidiane di routine ed i rapporti

interpersonali e portano ad un disadattamento generalizzato che spesso sfocia in comportamenti di ritiro sociale, evitamento o abuso di sedativo/ipnotici. Questi fenomeni possono essere sia persistenti, che transitori e sono solitamente scatenati da stimoli specifici o aspecifici.

Rimane ancora da chiarire se questi sintomi possano essere intesi come primari,

derivati quindi da modificazioni di base dell’equilibrio dell’individuo, dovuti al disturbo specifico, o secondari, scatenati cioè dagli stimoli o dalle disfunzioni primarie.

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4. Scopo della tesi

Lo scopo di questo studio è stato l’utilizzo e la comparazione dell’efficacia e della sensibilità dei dosaggi immunoenzimatico (EIA) e radioimmunologico (RIA), nella determinazione dell’ossitocina, in campioni plasmatici umani.

Considerato, inoltre, il ruolo dell’ossitocina nella regolazione dello stress e dell’ansia, abbiamo esplorato i livelli plasmatici di questo ormone in soggetti sani e in soggetti affetti da PTSD (Disturbo Postraumatico da Stress), una delle patologie ansiose più diffuse, onde verificare eventuali differenze dei livelli plasmatici dell’ormone fra le due categorie di campioni.

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5. Materiali e Metodi

5.1. Campionamento

Al fine del nostro studio sono stati prelevati:

1. 15 campioni di plasma umano (10 ml) da soggetti sani( 7 maschi e 8 femmine) 2. 20 campioni di plasma (10ml) da pazienti(9 maschi e 11 femmine) affetti da

PTSD (Disturbo Postraumatico da Stress) .

3.

50 ml di Plasma “ossitocina-free”, ottenuto mediante estrazione del peptide, con cromatografia su colonna, a fase inversa.

Preparazione plasma per l’estrazione dell’ossitocina:

• Prelievo di 10 ml di sangue alle ore 09:00 A.M, per evitare cambiamenti del

ciclo circadiano.

• Trattamento del sangue intero con 1 mg di Aprotinina.

• Centrifugazione del sangue a 1600 x g, per 15 minuti.

• Separazione del plasma e stoccaggio a –70° C.

5.2 Estrazione dell’ossitocina esogena (standard) da plasma “ossitocina -

free”.

Tra le molte tecniche cromatografiche disponibili, il nostro studio, per l’estrazione dell’ossitocina in soluzioni biologiche, ha utilizzato una cromatografia di ripartizione

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in fase inversa, su Colonna, tramite l’ uso di apposite colonne cromatografiche “Sepcolumn C18”(Waters).

Le colonne Sepcolumn C18 contengono un impaccamento, dato da una fase stazionaria, costituita da 200mg di Octadecilsilano, distribuita su una matrice solida inerte, cui è legata covalentemente. L’Octadecisilano è un composto idrocarburico, i cui componenti fondamentali sono una catena lineare di 18 atomi di carbonio, un atomo di Silicio, e un atomo di Cloro, importanti nella formazione del legame covalente con i silani ( Si-OH) della matrice inerte. Tale processo è detto “derivatizzazione” e comporta una certa stabilità di legame (Fig .n.1.5.). La matrice inerte è polare ed è data da particelle di Silice di tipo poroso dal diametro di 10µm. Con tali colonne è stato utilizzato il principio classico della fase inversa, caratterizzata da una fase stazionaria apolare e da una fase mobile polare.

Figura 1.5. Processo di derivatizzazione.

Si prepara una soluzione di Ossitocina Standard.

Suddetta soluzione va aggiunta , in concentrazioni crescenti, in quantità compresa tra zero e mille picogrammi, a dieci provette contenenti plasma ossitocina-free (2ml).

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Si procede con l’aggiunta, in ogni provetta, di 2 ml di HCl 0,1 N e poi alla centrifugazione.

Si passa, in seguito, all’estrazione dell’ossitocina esogena, dal sovranatante, con colonne cromatografiche Sepak C18.Lla Sepak, precedentemente è attivata con dieci ml di Metanolo e lavata successivamente, con venti ml di acqua distillata. Durante il passaggio del plasma attraverso la colonna, l’OT si lega alla colonna cromatografica mentre le sostanze polari vengono eluite all’esterno.

Si procede con il lavaggio della colonna con dieci ml di Ac. Acetico al 4% in modo da eliminare tutto il materiale in eccesso ed evitare così l’ ”effetto matrice”, ossia il rischio di contaminare il campione finale purificato. In seguito, si passa al distacco dell’ossitocina, utilizzando tre ml di Metanolo, che sarà eluito in quantità uguali in due piccole provette e, infine, essiccato [28].

Una volta che il peptide è stato estratto e poi essiccato, si può procedere con i test EIA (Enzime Immuno Assay) e RIA (Radio Immuno Assay) per la Recovery,, verificando, così, l’attendibilità del metodo utilizzato per l’estrazione.

Infine, i due test EIA e RIA potranno essere confrontati fra di loro, in modo da vedere quale dei due sia più preciso e possa, quindi, essere preferibilmente sfruttato in futuro, nel dosaggio di piccole quantità dell’ormone.

La recovery consiste nel dosaggio di una quantità esattamente nota di campione, attraverso la procedura di estrazione sopra descritta.

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5.3 Estrazione dell’ossitocina da campioni plasmatici di soggetti umani

sani e di pazienti affetti da Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD).

Sono stati prelevati 15 campioni di plasma umano, di soggetti sani e 20 campioni di persone affette da “Disturbo Post Traumatico da Stress” (PTSD). La quantità utilizzata di plasma era di 5 ml. Tutti i campioni sono stati trattati per l’estrazione dell’Ossiocina come precedentemente descritto in 5.2

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5.3.1 Dosaggio Enzimoimmunologico (EIA)

La tecnica consiste nell’uso di una piastra di poliestere, costituita da novantasei pozzetti, in cui si trova legato un anticorpo monoclonale anti-ossitocina, di capra. Si inizia con l’aggiunta dell’ ossitocina dei campioni da dosare, la quale si legherà all’anticorpo presente nei pozzetti.

Si procede con l’aggiunta di un anticorpo secondario marcato con l’enzima Fosfatasi Alcalina, il quale si legherà anch’esso all’ossitocina a formare un complesso a “sandwich” composto da anticorpo primario, ossitocina, anticorpo secondario e fosfatasi alcalina.,

Dopo un’incubazione simultanea, a 4 °C, gli agenti in eccesso sono lavati via ed è aggiunto il substrato, costituito da una soluzione di p-nitrofenilfosfato. Quest’ultimo reagente serve a conferire la tipica colorazione gialla, derivante dalla reazione enzimatica. Esso caratterizza, di conseguenza, la concentrazione di Ossitocina, presente nei campioni, che è direttamente proporzionale alla concentrazione dell’enzima e di conseguenza, all’intensità della colorazione gialla generatasi.

La densità ottica misurata viene usata, quindi, per calcolare la concentrazione del peptide.

5.3.2 Materiali utilizzati

Piastra con IgG di capra,anti ossitocina, 96 pozzetti

Piastra da usare a parte, rivestita con anticorpi di capra specifici per l’ossitocina Soluzione blu di fosfatasi alcalina.

Anticorpi per l’ot, 5mL:

Soluzione gialla di anticorpi policlonali di coniglio per l’ossitocina Tampone di dosaggio, 27 mL:

Tampone contenente proteine e sodio azide come preservanti Tampone di lavaggio concentrato, 27mL.

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Tampone tris salino contenente detergenti Ossitocina standard, 0,5 mL

Soluzione di 10,00pg/mL di ossitocina Substrato pNpp, 20mL:

Soluzione di p-nitrofenilfosfato in tampone. Pronto per l’uso. Soluzione di Stop, 5 mL

Soluzione di trisodio fosfato in acqua. Piastra per la chiusura

Espositore del dosaggio per l’ossitocina.

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5.3.3 Procedura di dosaggio

L’ossitocina essiccata viene sospesa in 200 µl di tampone semplice. Aliquote di estratto semplice ed estratto standard sono incubate a 4 °C, per 18-24 ore, insieme a cento µl di antisiero per l’ossitocina, in doppio.

È necessario tenere tutti i reagenti a temperatura ambiente, per al massimo trenta minuti, prima di aprirli.

Tutti gli standard e i campioni debbono essere testati in doppio.

1. Riferirsi all’espositore, per determinare il numero di pozzetti che devono essere usati e conservare i pozzetti rimanenti,a 4 °C, con il dissecante, dentro l’astuccio. Sigillare la chiusura.

2. Pipettare 100 µl microlitri di diluente standard (tampone di dosaggio o coltura media tissutale) dentro il NSB e il Bo( Bianco, 0 pg/ml di standard).

3. Pipettare 100 µl di standard #1 attraverso #7 dentro i pozzetti appropriati. 4. Pipettare 100 µl dei campioni dentro i pozzetti appropriati

5. Pipettare 50 µl del tampone di dosaggio dentro i pozzetti con l’ NSB.

6. Pipettare 50 µl del coniugato blu dentro ciascun pozzetto , eccetto che in quello relativo all’attività totale( TA) e il bianco.

7. Pipettare 50 µl dell’anticorpo giallo dentro ciascun pozzetto, eccetto che nel Bianco, nel TA e nel NSB.

N.B. Ogni pozzetto utilizzato dovrebbe essere verde, eccetto che i pozzetti con l’NSB, i quali dovrebbero presentare colorazione blu. I pozzetti relativi al bianco e alla TA sono vuoti e, pertanto, non hanno colore.

8. Tappare la piastra delicatamente per mescolare. Conservare la piastra e incubare a 4 °C per 18-24 ore.

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9. Svuotare la piastra dei contenuti e lavare il tutto attraverso l’aggiunta di 400 ml di soluzione di lavaggio. Ripetere i lavaggi due volte ancora, fino a un totale di tre.

10. Dopo l’ultimo lavaggio, svuotare o aspirare il contenuto dei pozzetti e sbattere risolutamente la piastra asciutta sopra un foglio di carta assorbente pulito, per rimuovere ogni residuo di tampone di lavaggio.

11. Aggiungere 5 µl di coniugato blu ai pozzetti TA.

12. Aggiungere 200 µl di substrato pNpp ad ogni pozzetto. Incubare per un’ora a temperatura ambiente senza agitare.

13. Aggiungere 50 µl di soluzione di Stop ad ogni pozzetto. Questo blocca la reazione e la piastra può essere letta immediatamente.

14. Leggere il Bianco del piatto di lettura, contro il Bianco dei pozzetti e la densità ottica a 405 nm, preferibilmente con una correzione tra 570 e 590.

15. Se il piatto di lettura non riesce ad essere azzerato con i pozzetti del Bianco, sottrarre manualmente la densità ottica principale, dei pozzetti del Bianco, da tutte le letture.

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5.4 Dosaggio Radioimmunologico (RIA)

Il dosaggio radioimmunologico è un metodo che associa la specificità della reazione immunologica Ag-Ac, alla sensibilità di rivelazione delle tecniche radio isotopiche. Questa tecnica è stata introdotta per la prima volta, dai medici Yalow e Berson nel 1960, per misurare i livelli plasmatici d’insulina. Da allora, il RIA si è sviluppato notevolmente, essendo applicato estesamente nella misurazione di altri peptidi ormonali, e di centinaia di altre sostanze (farmaci, vitamine, enzimi, virus, tossine, …), divenendo una tecnica di routine sia in campo clinico sia nella ricerca.

Le tecniche RIA sono tra le più sensibili procedure di laboratorio ora disponibili; tale sensibilità varia notevolmente secondo diversi fattori, come per esempio, il tipo di marcatura adottata, come nel caso dei dosaggi che utilizzano 125I, che può raggiungere una sensibilità dell’ordine di pg/ml.

Per questa sua sensibilità, il RIA è stato sempre il metodo principalmente usato per la determinazione di sostanze presenti in concentrazioni bassissime nei liquidi biologici. Il dosaggio radioimmunologico fa parte delle tecniche immunochimiche, in altre parole, quelle metodiche che si basano sull’interazione specifica Ag-Ac con la formazione di complessi precipitabili in opportune condizioni.

In conformità a ciò, elementi fondamentali di una metodica di questo tipo, devono essere:

ANTICORPO (ANTISIERO): L’anticorpo è una proteina globulare serica, prodotta dalle cellule linfoidi, che appartiene alla famiglia delle immunoglobuline. Questo ha la capacità di reagire con l’antigene o con una configurazione antigenica responsabile

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ANTIGENE: In immunologia, l’antigene è definito una sostanza capace di indurre la produzione di anticorpi, e che è riconosciuto e legato dall’anticorpo stesso. Nel dosaggio RIA, l’antigene corrisponde al composto che deve essere misurato nel campione da analizzare.

ANTIGENE MARCATO: L’antigene marcato può essere identico all’antigene che deve essere misurato nel campione, esso, tuttavia, contiene anche uno o più atomi di un particolare isotopo radioattivo.

Non è necessaria un’identica attività biologica dell’antigene marcato e non marcato, mentre è fondamentale un identico comportamento immunologico.

PRODUZIONE DEGI ANTICORPI. Tutti i vertebrati possono produrre anticorpi contro antigeni estranei, ma nei mammiferi in particolare, avvengono risposte umorali più utili ai fini dell’isolamento di anticorpi per le tecniche immunochimiche. La maggior parte di tali tecniche sfrutta le immunoglobuline IGg. Nella produzione di queste molecole, si usano solitamente animali come i conigli. Nell’animale, è inoculato sottocute l’antigene, che è in grado di indurre una risposta immunitaria in esso. L’antigene deve avere fondamentalmente due caratteristiche, in altre parole, deve essere eterologo per il coniglio e deve avere un peso molecolare superiore a 5000.

L’antigene provoca una risposta immunitaria legandosi ai recettori dei linfociti T e B, plasmacellule che secernono una serie d’immunoglobuline. In seguito all’iniezione si ha un periodo di ritardo di circa dieci giorni, cui segue un aumento esponenziale della concentrazione serica di Anticorpi, fattore che caratterizza la risposta immunitaria primaria. Se l’animale è inoculato per la seconda volta, si ha la risposta immunitaria secondaria, con un aumento esponenziale delle immunoglobuline IGg; con una terza inoculazione, si può avere l’immunizzazione dell’animale. A questo punto tramite prelievi di sangue, è possibile ottenere l’antisiero, da cui tramite centrifugazione o tecniche di purificazione è possibile isolare l’anticorpo d’interesse.

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Un’immunoglobulina IGg, presenta una caratteristica forma a Y composta di due catene pesanti e due catene leggere, legate da un ponte disolfuro; la porzione N-terminale di entrambe le catene, presenta la cosiddetta regione variabile, che contiene la sequenza responsabile del riconoscimento e del legame verso l’antigene.

MARCATURA DELL’ANTIGENE. E’ possibile marcare una sostanza d’interesse e far sì che la radioattività sia sufficiente a essere rilevata. La marcatura implica, la scelta di un isotopo radioattivo, l’adesione fisica di quest’ultimo all’analita da marcare e l’isolamento dell’analita marcato in forma purificata. Con tale processo l’antigene non deve perdere la sua immuno reattività, e la sua radioattività specifica deve essere alta per una maggiore sensibilità della tecnica.

I principali isotopi utilizzati in questa tecnica, sono lo Iodio-125, il Trizio (3H) e il Cobalto-57; il primo è il più utilizzato, soprattutto nel caso di proteine peptidi e ormoni.

Sono disponibili diverse tecniche di iodinazione della materia con I-125 e i siti più comuni di iodinazione, sono gli aa Tirosina o Istidina. Una delle tecniche più utilizzate, prevede l’utilizzo di un sistema di sferette, cui sono legati gli enzimi Glucosio ossidasi e Latto perossidasi, con la presenza di ioduro di sodio, Glucosio e la proteina che si vuole iodiate. In questo sistema, il glucosio alla presenza di ossigeno è convertito in lattone dal glucosio ossidasi, con produzione di H2O2. La

latto perossidasi alla presenza di H2O2 ossida lo ioduro a Iodio molecolare, che può

interagire in queste condizioni con i gruppi fenolici della Tirosina. Lo ioduro in eccesso può essere eliminato mediante gel-filtrazione.

L’isotopo I-125 ha un’emivita di sessanta giorni ed emette radiazioni γ, che sono capaci di penetrare in profondità la materia.

L’attività specifica è comunemente espressa in microcurie per microgrammo (µCi/µg), o in disintegrazioni al minuto per micro mole (dpm/µM.)

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in altre parole, è un saggio di competizione. Alla sua base vi è appunto il fatto che, un antigene non marcato e una quantità costante di antigene marcato, competono simultaneamente per un limitato e costante numero di siti di legame su un anticorpo specifico. In questa situazione, il solo parametro che varia è la concentrazione dell’antigene non marcato, in altre parole, l’analita presente in concentrazione ignota nel campione in esame. Inoltre, la concentrazione dell’anticorpo deve essere in difetto rispetto all’antigene marcato.

I tre elementi reagiscono in soluzione, secondo tale reazione:

Ag + Ag* + Ab ↔ Ag-Ab + Ag*-Ab

L’Anticorpo non distingue l’antigene marcato da quello non marcato, e perciò, si lega a entrambi con la stessa affinità e secondo la legge di massa, con la quale, il tipo di antigene presente in concentrazione maggiore, occuperà più siti anticorpali leganti. Si crea, in pratica, una proporzionalità, nella quale alla quantità maggiore di antigene naturale è presente, corrisponde una quantità minore di antigene marcato, si andrà a legare all’anticorpo, in altre parole, maggiore sarà la quantità di Ag marcato che sarà spiazzato dall’anticorpo. In conformità a ciò, si può dire che il rapporto tra Ag legato e Ag totale, dipende dalla concentrazione dell’Ag non marcato presente nella soluzione campione.

La costante di affinità per la formazione dei complessi Ag-Ac è molto grande, e benché la reazione sia di tipo reversibile, l’equilibrio è notevolmente spostato a destra, in altre parole, i complessi Ag-Ac sono veramente stabili.

Posti dunque in soluzione questi tre elementi fondamentali e rispettato un eventuale tempo d’incubazione, una volta che è stato raggiunto l’equilibrio nel sistema, il complesso Ag-Ac che si è formato, sono separati dall’Ag rimasto libero e si procede alla misurazione della radioattività del complesso precipitato.

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CURVA DI TARATURA Per risalire alla concentrazione ignota di un Ag presente nel campione in esame, è necessaria la costruzione di una curva di taratura. Questa viene determinata mediante l’uso di diluizioni note a concentrazione crescente di Ag non marcato, concentrazioni definite tipicamente con il nome di “standard”. Tali soluzioni vengono fatte reagire con una quantità fissa di antigene marcato e di anticorpo, in concentrazioni identiche a quelle usate per il campione incognito. Vengono usate concentrazioni di standard basse, medie, e alte, che reagiscono, verso l’Ac e l’Ag marcato, anche in questo caso secondo la legge di massa. Oltre a questi, deve essere effettuata una prova contenente unicamente l’Antigene marcato, posto a reagire con l’anticorpo in assenza di antigene, in modo da ottenere il valore di conta totale TB.

Raggiunto l’equilibrio in ogni soluzione, la frazione legata all’anticorpo viene separata dalla frazione libera, dopodiché, viene misurata la radioattività del complesso formatosi.

Al fine di costruire la retta, al conteggio, ottenuto ( in CPM), per ogni campione standard, viene sottratto il bianco del dosaggio (NSB), ottenendo un valore, solitamente indicato come “B”.

Dopodiché viene calcolata la capacità legante massima, B0, che è l’espressione della quantità totale di antigene marcato legato all’anticorpo, in assenza di antigene non marcato, sottraendo al valore TB ottenuto, il valore NSB; B0, viene anche definito come B/T, cioè la frazione di antigene marcato legato all’anticorpo. In generale, un RIA viene allestito in modo tale che la quantità di anticorpo aggiunto leghi circa il 50% dell’antigene marcato, con un range ottimale che va dal 25 al 75% del legame. Una capacità legante massima, maggiore o minore rispetto al 50%, può generare una curva standard insensibile, piatta o con un range basso, poiché, nei due casi l’anticorpo, può legare tutto, o solo il 5-15% dell’antigene marcato.

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presente in ogni standard, ovvero, il valore plot B/B0 (%), che deve essere considerato percentualmente.

Per ogni standard, dunque bisogna considerare tale relazione: B/B0(%) = (CPM standard)-(NSB) ×100

B0

Questo valore viene riportato graficamente, ponendolo sull’asse delle ordinate (Y), mentre sull’asse delle ascisse (X), viene riportato il valore delle concentrazioni di antigene non marcato, presente in ogni standard, espresso in pg/µ.

Ottenuta la retta, calcolando il valore del plot B/B0% anche per ogni campione in esame a concentrazione ignota, e rapportando graficamente questo valore con l’asse delle X, è possibile risalire alla concentrazione di Ag non marcato presente nel campione d’interesse.

Nel conteggio di ogni campione, sia standard che d’interesse, deve essere dunque considerato il valore NSB o bianco, che rappresenta il legame non dovuto a una specifica reazione Ag-Ac.

Esso può essere causato da diverse ragioni:

1. La frazione libera può rimanere intrappolata nel precipitato. Questo si può ovviare, o migliorare, lavando il precipitato.

2. Si può avere la precipitazione di contaminanti marcati del tracciante. Questo può essere ridotto con un’attenta purificazione del tracciante.

3. Si può verificare l’assorbimento del tracciante alla superficie della provetta di dosaggio.

4. La tecnica di separazione fisica della frazione libera e legata può essere insoddisfacente

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5. Non è possibile raggiungere una separazione completa della frazione libera e legata, poiché, le caratteristiche della frazione libera possono essere simili, ma non identiche, a quelle del complesso legato.

METODI DI SEPARAZIONE IDEALI Al termine della reazione Ag-Ac, prima del conteggio, è necessaria la separazione tra la frazione di Ag che si è legato all’Ac, e quella rimasta libera in soluzione, ossia, che non ha reagito. Tale frazione libera, deve essere rimossa dalla soluzione in esame; a tal fine esistono diverse tecniche, tra cui le più importanti, sono:

1.La precipitazione non specifica dei complessi Ag-Ac con sali e solventi (solfato d’ammonio, etanolo, polietilenglicol-PEG).

2.L’immuno precipitazione dei complessi solubili Ag-Ac (tecnica del doppio Ac). 3.L’adsobimento dell’antigene su fase solida (tra quest il più importante è l’impiego di provette sensibilizzate con l’anticorpo).

4.L’adsorbimento non specifico dell’ antigene con composti quali carbone e carbone-destrano.

Nel nostro studio, è stata usata la tecnica del doppio anticorpo.

La tecnica del doppio anticorpo, ha ottenuto un notevole successo nel RIA, e si basa sul fatto che, le IGg di un animale hanno effetto di antigene nel corpo di un altro animale, dove è in grado di scatenare la risposta immunitaria con la relativa produzione di anticorpi specifici.

Il metodo si propone di precipitare il prodotto solubile della prima reazione (Antigene-Anticorpo 1) con l’aggiunta di un secondo anticorpo diretto contro l’Anticorpo 1. Questo causa al raggiungimento dell’equilibrio, la formazione di un immuno complesso insolubile precipitabile, dato da una sorta di reticolo Antigene-Anticorpo 1-Antigene-Anticorpo 2.

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porcellini d’India. Gli antisieri di pecora o capra devono essere concentrati prima dell’uso su cromatografia o con sali precipitanti. Le diluizioni o le concentrazioni del primo anticorpo usato nel RIA, sono in genere basse. Il precipitato formato col secondo anticorpo, può essere così troppo piccolo per un lavoro accurato e per la separazione . Per questa ragione, vengono aggiunte alla miscela di reazione, siero normale di coniglio, siero normale di porcellino d’India, o gamma globuline, alla diluizione finale da 1: 50 a1:3600, per aumentare la massa del precipitato. Il precipitato formato (in genere dopo un tempo di incubazione di 24-48 h) può essere quindi separato dall’Ag marcato libero mediante centrifugazione, ottenendo quest’ultimo nel sopranatante facilmente rimovibile, raccolto per centrifugazione. Un’unica provetta è necessaria per l’incubazione della reazione, la separazione del precipitato, e il conteggio finale della radioattività.

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Figur 5.6 Formazione legame antigene radioligando, test RIA.

Il dosaggio radioimmunologico è stato effettuato utilizzando il

Radioimmunoassay Phoenix Pharmaceuticals Oxytocin RIA kit (Belmont,

California,USA). La sensibilità del dosaggio, misurata come IC50, è stata

di 10–30 pg/provetta.

I valori di intra e inter dosaggio erano rispettivamente 9% e 11%.

Figura

Figura 1.1 – Struttura del Neuropeptide Ossitocina
FIGURA 2.1 – Confronto strutture Vasopressina e Ossitocina
Figura 3.1 – Sequenza della Preprossifisina con i principali siti di taglio.
Figura 4.1-  Neuroipofisi e neuroni ipotalamici.
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Riferimenti

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