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Utilizzo della spettroscopia di vegetazione per valutare la risposta della salvia all?ozono

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Università di Pisa

DIPARTIMENTO DI SCIENZE AGRARIE, ALIMENTARI E AGRO-AMBIENTALI Corso di Laurea Magistrale in Produzioni Agroalimentari e Gestione degli Agroecosistemi

Utilizzo della spettroscopia di vegetazione per valutare

la risposta della salvia all’ozono

Relatori Candidata

Prof.ssa Cristina Nali Silvia Loré

Dott. Lorenzo Cotrozzi

Correlatore

Dott. Giovanni Rallo

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Riassunto

Nuove tecnologie di diagnosi per gli effetti fitotossici dell’ozono troposferico (O3) sono

necessarie per indirizzare l’agricoltura del futuro, che dovrà affrontare un peggioramento della qualità dell’aria. Il presente lavoro ha avuto lo scopo di esplorare le potenzialità della spettroscopia di vegetazione full-range (350-2500 nm) nel caratterizzare, in modo rapido e non distruttivo, le risposte di Salvia officinalis L. a un episodio di O3 (200 ppb per 5 ore),

definito tipico per scenari ambientali futuri. Utilizzando la Partial Least Square Regression (PLSR), sono stati sviluppati modelli spettrali per stimare da dati di riflettanza fogliare numerosi parametri ecofisiologici [fotosintesi netta (A), traspirazione (E), conduttanza stomatica (gs), concentrazione intercellulare di CO2 (Ci), efficienza dell’uso dell’acqua

istantanea (WUEi) e intrinseca (WUEin), efficienza istantanea di carbossilazione (k),

temperatura fogliare (Tl)] e biochimici legati allo stress ossidativo indotto dall’O3

[malondialdeide (MDA)], alle proprietà antiossidanti delle piante [Oxygen Radical

Absorbance Capacity (ORAC), Hydroxyl Radical Antioxidant Capacity (HORAC)] e ai

principali antiossidanti non enzimatici [forma ossidata (DHA) e rapporto tra forma ossidata e totale dell’acido ascorbico (DHA/ASATOT), glutatione ridotto (GSH) e totale (GSHTOT),

carotenoidi (Car) e fenoli totali (Phen)], oltre a clorofilla a (Chl a) e totale (ChlTOT).

I migliori risultati sono stati riscontrati con le varabili delle seguenti regioni spettrali: 400-1000 nm per A e k; 400-2400 nm nel caso di E, WUEi, WUEin, Tl, HORAC, GSHTOT e

ChlTOT; 950-2400 nm per gs e Ci; 400-750 + 1400-2400 nm riguardo a MDA; 1400-2400 nm

per ORAC; 1100-1800 nm in relazione a DHA e il rapporto DHA/ASATOT; 400-900 nm per

GSH; 400-700 + 1600-1800 nm per Chl a; 1100-1400 nm per Car e 1100-1600 nm per Phen. Previsioni accurate sono state ottenute per i parametri fisiologici, con valori medi del coefficiente di determinazione (R2) per la convalida incrociata pari a 0,65 per A, 0,80 per E,

0,70 per gs, 0,72 per Ci, 0,90 per WUEi, 0,76 per WUEin, 0,67 per k e 0,80 per Tl. Capacità

estimative minori sono state riscontrate per quelli biochimici, con un R2 medio di 0,65 per

MDA, 0,71 per ORAC, 0,50 per HORAC, 0,45 per DHA, 0,63 per DHA/ASATOT, 0,58 per

GSH, 0,67 per GSHTOT, 0,53 per Chl a, 0,42 per ChlTOT, 0,59 per Car e 0,61 per Phen.

Confrontando gli spettri (hyperspectral phenotyping), è emerso un altro aspetto-chiave riguardante la capacità di discriminare con elevata precisione le piante di controllo da quelle ozonate (la Partial Least Squares Discriminant Analysis mostrava un’accuratezza media di 0,88). In particolare, un effetto dell’O3 sui profili spettrali è stato riscontrato a 1, 2 e 5 ore

dall’inizio della fumigazione, con un’accuratezza media di classificazione pari a 0,83, 0,72 e 0,75, rispettivamente. Nessuna differenza significativa tra i livelli di riflettanza è stata osservata ai tempi successivi (8 e 24 ore), suggerendo un recupero da parte delle piante ozonate (e/o una bassa sensibilità della componente riflettometrica alle variazioni indotte dall’inquinante dopo la fumigazione). Tale tolleranza è stata confermata dagli andamenti di indici spettrali e parametri fogliari derivati dagli spettri con i modelli PLSR generati. Una riduzione della performance fotosintetica è stata osservata dopo 2 e 5 ore di esposizione a O3, principalmente legata a limitazioni stomatiche. Una lieve alterazione dell’integrità delle

membrane è stata riscontrata soltanto al termine del trattamento, mentre una generale attivazione della capacità antiossidante, legata a una regolazione del ciclo di Halliwell-Asada, è stata riportata in piante trattate.

Il presente lavoro mostra con chiarezza le potenzialità della spettroscopia nella diagnosi dell’impatto ambientale sulla vegetazione.

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INDICE 1. INTRODUZIONE ... 1 1.1 Spettroscopia di vegetazione ... 1 1.2 Ozono troposferico ... 6 1.3 Piante e ozono ... 9 1.3 Salvia officinalis ... 17

1.4 Scopo della tesi ... 18

2. MATERIALI E METODI... 20

2.1 Allevamento del materiale vegetale, esposizione all’ozono e disegno sperimentale . 20 2.2 Analisi spettroscopiche ... 21

2.3 Analisi degli scambi gassosi ... 22

2.4 Analisi biochimiche ... 22

2.5 Calibrazione e validazione dei modelli ... 25

2.6 Indici spettrali e previsione dei tratti fogliari ... 26

2.7 Trattamento statistico dei dati ... 26

3. RISULTATI ... 28

3.1 Sviluppo dei modelli PLSR ... 28

3.2 Hyperspectral phenotyping ... 35

3.3 Variazioni dei parametri stimati dagli spettri ... 36

4. DISCUSSIONE E CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE ... 40

BIBLIOGRAFIA ... 46

ALLEGATO A ... 55

ALLEGATO B ... 63

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1 1. INTRODUZIONE

1.1 Spettroscopia di vegetazione

Le impellenti sfide dell’agricoltura moderna, quali il cambiamento climatico, la riduzione della qualità dell’aria, la crescita della domanda agro-alimentare, la tutela della biodiversità e la razionalizzazione dell’uso del suolo, rendono necessaria e urgente l’implementazione di tecniche diagnostiche sempre più efficienti, economiche e accurate, in grado di valutare l’impatto ambientale sulla vegetazione e l’efficacia delle comuni pratiche agricole. I tradizionali metodi di monitoraggio prevedono analisi fisiologiche e biochimiche che sono senza dubbio precise, ma solitamente mini-invasive e/o distruttive, dispendiose in termini di tempo e risorse economiche. Lo sviluppo della sensoristica e l’affinamento delle tecniche di elaborazione dei dati, difficilmente ipotizzabili fino a qualche tempo fa, stanno aprendo nuovi scenari e possibilità per l’utilizzo di validi approcci alternativi. In questo contesto si inserisce la spettroscopia di vegetazione, una tecnica in grado di valutare l’interazione tra energia e materia, ossia tra foglia/pianta/ecosistema e ambiente fisico in generale. Questa metodologia, basata sul rilevamento delle risposte radiometriche della vegetazione relative all’interazione della radiazione elettromagnetica con le modifiche indotte (vibrazioni, librazioni) ai legami chimici delle molecole che compongono il target (principalmente C-H, N-H e O-H), è conosciuta da tempo. Le prime dimostrazioni dell’uso di spettri elettromagnetici in studi agro-ecologici risalgono agli anni ‘60 del secolo scorso (Gates et

al., 1965). Questa disciplina ha avuto un grande slancio negli ultimi anni, grazie ai notevoli

progressi tecnologici che hanno portato allo sviluppo dei sensori radiometrici e alla riduzione dei loro costi (Cotrozzi et al., 2018).

Il range dello spettro elettromagnetico di particolare interesse per i biologi vegetali è quello della radiazione solare che si espande da circa 250 a 2500 nm (Figura 1). Parte di questa energia luminosa viene assorbita dall’atmosfera prima di raggiungere la superficie terrestre, soprattutto nelle cosiddette “bande di assorbimento atmosferico”, che dipendono, principalmente, dall’ozono (O3) nell’ultravioletto e dall’ossigeno (O2), dall’acqua (H2O) e

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2 Figura 1. Spettro solare e principali bande di assorbimento atmosferico (modificato da Kumar et al., 2001).

La radiazione che raggiunge la vegetazione (così come ogni altro materiale) può essere riflessa (con diffusione e/o riflessione diretta), trasmessa (con rifrazione e/o trasmissione diretta) o assorbita e tale interazione dipende sia dalle proprietà vettoriali (intensità e versore) della luce sia dalle caratteristiche del bersaglio colpito (ad esempio, colore, struttura fisico/chimica e inclinazione della foglia). Pertanto, per confrontare spettri di vegetazione raccolti in diverse circostanze radiative, è necessaria una misura di riferimento che sia indipendente dal cambiamento delle condizioni luminose o che possa essere calibrata per le eventuali variazioni. Un buon esempio, largamente utilizzato in spettroscopia, è la riflettanza, definita come il rapporto della radiazione riflessa da una superficie su quella che la colpisce. Essa può essere facilmente determinata rapportando la radianza del materiale misurato a quella di un pannello standard a superficie Lambertiana (che riflette in tutte le direzione) riflettente al 99,9% (Kumar et al., 2001). Il tipico spettro della luce riflessa da una foglia verde (viva) è composto da tre regioni principali (Figura 2). In primo luogo, il visibile (VIS) si estende da 400 a 700 nm ed è caratterizzato da una bassa

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3 riflettanza dovuta al forte assorbimento dei pigmenti fogliari, specialmente nel blu e nel rosso e meno nel verde (ecco perché vediamo le piante verdi!; Kumar et al., 2001).

Figura 2. Spettro di riflettanza fogliare misurato con uno spettroradiometro ASD FieldSpec 3 (Analytical Spectral Devices, Boulder, CO, USA; da Ainsworth et al., 2014).

L’infrarosso vicino (near-infrared, NIR) comprende le successive lunghezze d’onda da 700 a 1300 nm. Esso è contraddistinto da un’alta riflettanza ed è dipendente, principalmente, dalla composizione strutturale delle cellule/tessuti fogliari. Qui, in contrasto con la luce nel VIS, i livelli di energia non sono abbastanza elevati per le reazioni fotochimiche e quindi non sono assorbiti dai pigmenti fogliari. La zona di passaggio al VIS al NIR prende il nome di red-edge, rappresentato da un tipico e marcato incremento dei livelli di luce riflessa tra 700 e 750 nm, largamente utilizzato come indicatore del contenuto di clorofilla (Horler et al., 1983; Rock et al., 1988; Filella e Peñuelas, 1994) e di condizioni di stress (Dawson e Curran, 1998; Clevers et al., 2004; Smith et al., 2004; Mutanga e Skidmore, 2007). Infine, l’infrarosso a onde corte (short wave-infrared, SWIR) si estende da 1300 a 2500 nm ed è caratterizzato da livelli di riflettanza inferiori rispetto al NIR, sia per la minore energia della radiazione incidente, sia per il forte assorbimento dovuto alla presenza di acqua nei tessuti fogliari e da minori assorbimenti specifici di numerosi metaboliti, come lignina, amido, cellulosa, proteine, azoto e fenoli (Cotrozzi et al., 2018).

Tale rapida analisi dello spettro riflesso dalla foglia (l’elenco delle informazioni contenute in questo profilo è in continuo aggiornamento) introduce la definizione di optical

type, concetto-chiave della spettroscopia di vegetazione (Ustin e Gamon, 2010). La

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4 caratteristici della matrice vegetale analizzata in un determinato ambiente, generano un profilo di riflettanza specifico, che può essere interpretato come un’impronta digitale (spectral signature o spectral fingerprint, Figura 3). Le informazioni ivi contenute, gli spettri e le loro variazioni, possono essere esplorate ed esaminate, ad esempio, per mappare a composizione e lo stato di un ecosistema o per monitorare le caratteristiche funzionali delle piante e le loro variazioni indotte da fattori ambientali, contribuendo alla comprensione di concetti fondamentali in biologia vegetale (Ustin e Gamon, 2010; Cavender-Bares et al., 2016).

Figura 3. Schematizzazione del concetto di optical type: profilo spettrale specifico, interpretabile come un’impronta digitale, generato dalle peculiari caratteristiche strutturali, fisiologiche, biochimiche e fenologiche del materiale vegetale analizzato in determinate condizioni ambientali, ad esempio, sotto la pressione dell’inquinamento atmosferico (modificato da Ustin e Gamon, 2010).

Le misure delle proprietà ottiche fogliari offrono numerosi vantaggi rispetto alle analisi tradizionali in quanto sono (i) rapide, richiedendo soltanto pochi secondi; (ii) non distruttive, poiché basate sull’interazione radiazione-pianta, consentendo, quindi, di ripetere le misure sullo stesso tessuto; e (iii) relativamente economiche, se confrontate con la continua necessità di condurre vari saggi per le quantificazioni chimico/fisiche convenzionali. Pertanto, gli spettri possono essere raccolti in pieno campo su un gran numero di piante, aumentando significativamente la complessità e la solidità dei disegni sperimentali (Couture et al., 2013). Inoltre, la spettroscopia permette di scalare le informazioni ottenute a livello fogliare a porzioni spaziali più ampie, dalla parcella fino a un’intera foresta

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5 (Ainsworth et al., 2014). L’operazione è possibile grazie alla similitudine tra i profili spettrali raccolti con apposite leaf-clip e quelli ottenuti in remote sensing, con strumentazioni montate su mezzi agricoli appositamente modificati, droni, velivoli e persino satelliti. Le misure in remoto, chiaramente, necessitano di specifiche metodiche e calibrazioni, in quanto presentano ulteriori variabili da considerare, quali la minor risoluzione spazio-temporale, la variabilità circadiana della fonte di illuminazione naturale e l’assorbimento da parte dell’atmosfera compresa tra i sensori e il bersaglio. In questo contesto, si sviluppano le grandi potenzialità dell’imaging spectroscopy che, tramite la combinata acquisizione di immagini e di dati spettroscopici (ogni pixel contiene le proprietà spaziali e spettrali), permette di ottenere il cosiddetto cubo spettrale e, pertanto, di georiferire variabili di interesse, tra cui le caratteristiche biofisiche di un ecosistema o lo stato idrico e azotato dello strato vegetato (Cotrozzi et al., 2018).

Come si possono estrapolare le informazioni contenute negli spettri fogliari? Negli ultimi 25 anni, numerosi studi hanno portato alla definizione di molti indici spettrali sintetici, derivanti da rapporti tra riflettanze restituite a determinate lunghezze d’onda, prevalentemente nel VIS-NIR. Essi sono largamente utilizzati per la loro efficacia nel descrivere aspetti importanti come il vigore della copertura vegetativa (es. Normalized

Difference Vegetation Index, NDVI; Rouse et al., 1973), l’efficienza fotosintetica (es. Photochemical Reflectance Index, PRI; Gamon et al., 1997) o lo stato idrico di tessuti

fogliari (es. Normalized Difference Water Index, NDWI; Gao, 1996). Più recentemente, grazie al già citato sviluppo dei sensori iperspettrali, è emerso un ulteriore approccio dalle notevoli potenzialità, che prevede la creazione di modelli statistici multi/iperspettrali più accurati (rispetto al singolo indice sintetico centrato su poche bande) nella stima di noti parametri morfologici, fisiologici e biochimici di largo utilizzo (Asner e Martin, 2008; Serbin et al., 2014; Couture et al., 2013, 2016; Cotrozzi et al., 2018). La calibrazione di questi modelli avviene con procedure di statistica inferenziale, abbinando le misure spettrali con analisi indipendenti ed effettuate con metodi tradizionali. I parametri di interesse vengono modellizzati in funzione degli spettri, utilizzando metodi statistici multivariati (tra le analisi più usate vi è la Partial Least Squares Regression, PLSR; Wold et al., 2001). Questi modelli, come suggerito dalle buone pratiche, vengono infine validati su ulteriori dataset indipendenti. Nel caso siano ben performanti, infine, i coefficienti da loro forniti possono essere utilizzati per stimare le variabili di interesse in nuovi individui, soltanto sulla base delle loro misure spettrali (Couture e Lindroth, 2012). Un terzo approccio interessante e in

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6 grande espansione è, infine, l’hyperspectral phenotyping. Quest’ultimo non si concentra su precisi parametri estrapolabili dagli spettri, ma prevede l’utilizzo degli spettri stessi (o parti di essi) come espressione d’insieme delle proprietà morfologiche, anatomiche, fisiologiche e chimiche del campione esaminato. Mediante ulteriori analisi multivariate (es.

Permutational Multivariate Analysis of Variance, PERMANOVA; Anderson, 2001; Principal Coordinates Analyisis, PCoA; Dixon, 2003; Partial Least Squares Discriminant Analysis, PLSDA; Chevallier et al., 2006), è possibile confrontare vari profili (diversi optical type), per definirne le differenze e rintracciare le cause di queste variazioni. Questo metodo

può essere utilizzato per identificare, per esempio, specie diverse in un ecosistema o un precoce stato di stress indotto da agenti abiotici e biotici, obiettivi che potrebbero non essere raggiungibili mediante i parametri più comunemente indagati (Li et al., 2014; Coutureet al.,

2018).

Oggi, con uno sforzo economico non eccessivo, è possibile lavorare con spettrometri portatili, full-range (350-2500 nm) e ad alta definizione, permettendo il passaggio dalle misure multispectral (poche bande spettrali distanti tra loro) a quelle hyperspectral (centinaia di lunghezze d’onda ravvicinate), dotate di ben più ampie capacità. Il campo di applicazione della spettroscopia di vegetazione è fortemente multidisciplinare. Le informazioni quali-quantitative da essa fornite possono essere utilizzate, ad esempio, in agronomia, ecologia, patologia vegetale o nel biomonitoraggio, per poi raggiungere approcci più recenti, quali l’agricoltura di precisione o l’high-throughput phenotyping. Seppur già evidenti, le potenzialità di questa disciplina nella diagnosi dell’impatto ambientale sulla vegetazione, debbono essere ancora interamente dimostrate.

1.2 Ozono troposferico

L’ozono (O3), la forma allotropica triatomica dell’ossigeno con potenziale di riduzione pari

a +2,07 V, costituisce circa il 97% del volume totale della stratosfera, dove rappresenta una componente fondamentale, in quanto assorbe le radiazioni solari ultraviolette con lunghezza d’onda minore di 242 nm, potenzialmente dannose per la vita sulla biosfera, a causa della loro azione mutagena. In tale strato, il gas si forma per reazione dell’ossigeno biatomico (O2)

con la sua forma monoatomica (O), generata per fotolisi dai raggi UV, e in presenza di una molecola (M), in grado di assorbire l’energia in eccesso (meccanismo di Chapman) (Chameides et al., 1994):

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7 O2 + hv (λ ≤ 242 nm) → O + O

O + O2 + M → O3 + M

dove h è la costante di Planck, v la frequenza, λ la lunghezza d’onda del fotone assorbito; M indica una specie molecolare di fondo (di fatto, N2).

Nella troposfera, l’O3 è coinvolto nel ciclo indisturbato del biossido di azoto (NO2),

una reazione in equilibrio O2/O3, che coinvolge gli ossidi di azoto (NOx) e la luce (Rao et

al., 2000) e porta alla formazione e alla distruzione, in uguale quantità, di O3 e monossido

di azoto (NO) (Figura 4a). Quando nella troposfera sono presenti anche specie chimicamente molto attive, gli idrocarburi ad esempio, l’equilibrio si sposta verso l’aumento dell’inquinante (Figura 4b). Inoltre, la fotossidazione del monossido di carbonio (CO), la presenza di idrocarburi incombusti (come il metano), la formaldeide e altre sostanze organiche non metaniche, possono contribuire alla formazione di O3, nell’ambito del

cosiddetto “smog fotochimico” (Fishman et al., 1985): CO + 2O2 + hv → CO2 + O3

CH4 + 4O2 + 2hv → HCOH + H2O + 2O3

RH + 4O2 + 2hv → R’CHO + H2O + 2O3

Possono anche verificarsi fenomeni di intrusione del gas negli strati più bassi grazie a scambi tra stratosfera e troposfera, che avvengono solo in particolari condizioni meteorologiche (Junge, 1962). Questi e altri eventi, come le scariche elettriche durante i temporali, mantengono l’O3 “al suolo” ad una concentrazione di fondo pari a 10-20 ppb (1 ppb di O3 è

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Figura 4. a) Ciclo fotolitico indisturbato del biossido di azoto; b) interazione con gli

idrocarburi nella formazione dello smog fotochimico (da Lorenzini e Nali, 2005).

Dato che la sintesi dell’O3 richiede tempo e i precursori si spostano facilmente anche

a lunga distanza, è frequente il caso in cui la concentrazione dell’inquinante è superiore in aree poste alcune decine di chilometri sottovento rispetto ai centri urbani piuttosto che negli agglomerati. Inoltre, proprio nelle zone più inquinate si verificano con maggiore intensità le reazioni di “titolazione” che portano alla diminuzione dell’O3, in particolare la combinazione

con NO (Lorenzini e Nali, 2005). La possibilità di trasporto a lunghe distanze (anche a diverse centinaia di chilometri) dei precursori e dello stesso O3, in aree remote, rurali,

forestali e in alto mare, è ben dimostrata (Lorenzini et al., 1995; Kouvarakis et al., 2000; Guerra et al., 2004). I risultati di programmi di monitoraggio su scala internazionale hanno infatti confermato che il problema non è di soluzione locale, ma necessita di un intervento su scala multiregionale, attraverso piani di cooperazione.

Nel meccanismo di formazione dell’O3 troposferico svolgono un ruolo fondamentale

la componente antropogenica e quella meteoclimatica. Di conseguenza, questo inquinante è caratterizzato da una distribuzione geografica peculiare, strettamente legata alla concentrazione dei precursori e alle condizioni atmosferiche (intensità della radiazione, elevata temperatura e stabilità atmosferica). I profili giornalieri mostrano, infatti, un ben definito ritmo circadiano, caratterizzato da bassi livelli durante la notte e da un picco di concentrazione durante le ore centrali della giornata; esiste, poi, un’ampia variabilità

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9 stagionale con periodi estivi maggiormente soggetti al rischio per aumento dell’intensità (Figura 5). Generalmente, più alti livelli di O3 si registrano quando la temperatura

dell’ambiente raggiunge valori compresi tra i 27 e i 32 °C, ma in città situate ad altitudini elevate (ad esempio, Città del Messico), in cui la radiazione solare è più intensa, sono stati raggiunti notevoli livelli di concentrazione (>300 ppb) anche a temperature inferiori (McKee, 1993). Pertanto, il bacino del Mediterraneo, con estati calde e secche e inverni miti, si configura come regione ad alto rischio per lo smog fotochimico (Hidy e Mueller, 1986). Sono possibili alte concentrazioni anche nelle ore notturne dovute alla discesa dalla stratosfera, al trasporto orizzontale da altre località e alla ricaduta a terra dell’O3 intrappolato

di giorno in uno strato di inversione termica (Lorenzini e Nali, 2005). In relazione all’aumentata presenza di precursori e all’innalzamento delle temperature e della radiazione dovuti al cambiamento climatico, si stima una crescita della concentrazione di O3 dell’1-2%

all’anno (Loranger et al., 2004), con leggere riduzioni dei valori di picco e incrementi dei livelli medi e delle superfici nelle quali si superano le soglie di tossicità ambientale (Lefohn

et al., 2008).

Figura 5. Variazioni giornaliere e stagionali della concentrazione di ozono in località San Piero a Grado, nel Comune di Pisa (da Nali e Lorenzini, 2009).

1.3 Piante e ozono

Le piante sono i recettori più sensibili all’azione nociva dell’O3: non a caso, la prima

percezione di una problematica ambientale associata alla presenza di ossidanti atmosferici è legata all’individuazione di anomalie nella vegetazione (Haagen-Smith et al., 1952). Gli

0 6 12 18 24 0 10 20 30 40 50 60 estate primavera autunno inverno anno Tempo, ore C on ce nt ra zi on e di o zo n o, p pb

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10 effetti macroscopici si esplicano inizialmente in uno stato di clorosi fogliare diffusa, di non semplice individuazione perché aspecifica, seguita da una “bronzatura” o dalla comparsa di necrosi puntiformi (stippling) o localizzate (flecking). In ogni caso, le zone interessate sono limitate al tessuto a palizzata delle regioni internervali. L’elevata “divergenza sintomatica” provocata dall’O3 produce un’ampia differenziazione sia nel colore che nella distribuzione

delle lesioni che variano da specie a specie (Figura 6; Lorenzini e Nali, 2005). L’induzione prematura di senescenza appare, tuttavia, il sintomo più diffuso, non sempre rilevabile in aria ambiente. Per questo, si è affermato il concetto di danno “subliminale”, riferito agli effetti non osservabili macroscopicamente (Kley et al., 1999; Bussotti et al., 2003), ma che coinvolgono aspetti biochimici e fisiologici (comportamento stomatico, fotosintesi, metabolismo dei carboidrati, produzione di biomassa, rapporto parte aerea/radici, cere epicuticolari, metabolismo secondario) responsabili di riduzioni nella crescita e nei livelli quali-quantitativi della produzione, processi conosciuti come “sindrome da stress da O3”

(Peñarrubia e Moreno, 1999).

Quindi, seppur la manifestazione più appariscente sia la comparsa di un evidente quadro sintomatico a livello fogliare, la pianta esposta all’inquinante subisce alterazioni a carico dei più importanti processi metabolici, primari e secondari, con stati di sofferenza generalizzati e decrementi della biomassa, che possono ripercuotersi negativamente nella capacità di risposta ad altri stress combinati. Un organismo vegetale può, d’altro canto, contribuire, da un lato, all’abbattimento dell’inquinante, per lo più a seguito di assorbimento da parte delle superfici verdi traspiranti, dall’altro, favorirne la sua formazione per emissione di precursori, quali i composti organici volatili biogenici (BVOC). Sono molte, infatti, le piante che liberano idrocarburi volatili, che possono partecipare alla catena di reazioni che portano alla formazione e all’accumulo di O3 e di altre molecole rilevanti sotto il profilo

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11 Figura 6. Lesioni fogliari indotte dall’esposizione all’ozono osservate al microscopio stereoscopico: (a) tabacco (Nicotiana tabacum cv. Bel-W3); (b) vite (Vitis vinifera cv. Trebbiano); (c) ailanto (Ailanthus altissima); (d) pioppo (Populus deltoides x maximowiczii clone Eridano); (e) fagiolo (Phaseolus vulgaris cv. Pinto; (f): viburno (Viburnum tinus); (g) soia (Glycine max cv. Gemma); (h) robinia (Robinia pseudo-acacia). La barra equivale a 3 mm (da Lorenzini e Nali 2005).

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12 Figura 7. Schematizzazione delle molteplici interazioni ozono-pianta; gli organismi vegetali possono: manifestare sintomi e/o alterazioni impercettibili ad occhio nudo, di tipo cronico o acuto, se esposti all’inquinante; contribuire alla sua rimozione (per lo più a seguito di assorbimento fogliare) o, al contrario, alla sua formazione, per emissione di idrocarburi volatili precursori (da Lorenzini e Nali, 2005).

Le ragioni dell’elevata fitotossicità dell’O3 si ritrovano (i) nel suo alto potenziale

redox; (ii) nel suo coefficiente di diffusione, simile a quello dell’anidride carbonica (CO2) e,

quindi, nella bassa resistenza incontrata nella penetrazione fogliare e di membrana; (iii) nella sua elevata solubilità in H2O, e quindi nel liquido cellulare, dieci volte maggiore dell’O2; e

(iv) nella sua maggiore reattività con H2O in ambiente alcalino (Colbeck e MacKenzie,

1994). L’O3 reagisce con le piante nella loro fase solida (componenti cuticolari della foglia),

gassosa (idrocarburi emessi dalla pianta) e liquida. Quest’ultimo caso riguarda la dissoluzione dell’inquinante nel mezzo acquoso, seguita dalla reazione con i lipidi, le proteine e altre componenti cellulari (Rao et al., 2000). Gran parte degli studi hanno focalizzato l’attenzione su questo punto, poiché la sua dissociazione negli spazi intercellulari sembra avere i maggiori effetti negativi sulla pianta (Mudd, 1997).

Sintomi visibili Effetti subliminali Effetti secondari Assorbimento di ozono Emissione di idrocarburi comportamento stomatico fotosintesi metabolismo carboidrati produzione biomassa rapporto shoot/root cere epicuticolari metabolismo secondario qualità dei prodotti

risposta a stress idrico risposta a stress termico risposta a organismi nocivi

O

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Sintomi visibili Effetti subliminali Effetti secondari Assorbimento di ozono Emissione di idrocarburi comportamento stomatico fotosintesi metabolismo carboidrati produzione biomassa rapporto shoot/root cere epicuticolari metabolismo secondario qualità dei prodotti

risposta a stress idrico risposta a stress termico risposta a organismi nocivi

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13 In soluzione acquosa, l’O3 si degrada rapidamente, generando specie reattive dell’O2

(Reactive Oxygen Species, ROS), responsabili degli effetti fitotossici: l’anione superossido (O2•-) e il perossido di idrogeno (H2O2), ma anche - secondariamente alla reazione con altre

biomolecole - ossigeno singoletto (1O2) e radicale ossidrile (•OH). Quest’ultimo è il più

attivo e potenzialmente dannoso per le strutture biologiche; l’anione superossido (O2•-) e il

perossido di idrogeno (H2O2) sono meno reattivi e in grado di spostarsi per poche distanze

molecolari (Halliwell e Gutteridge, 1989). Sia O2•- che H2O2 reagiscono con i metalli di

transizione nello stato ridotto (specialmente Fe2+ e Cu+), rilasciati dalle metallo-proteine dopo l’attacco ossidativo delle stesse ROS, generando •OH secondo le reazioni di Fenton e Haber-Weiss:

H2O2 + Fe2+ OH- + •OH + Fe3+ (reazione di Fenton)

O2•- + Fe3+ O2 + Fe2+

H2O2 + O2•- O2 + OH- + •OH (reazione di Haber-Weiss)

L’O3 interagisce anche con molecole organiche contenenti doppi legami C-C,

andando così ad incrementare la produzione di radicali liberi, sia attraverso l’addizione del contaminante al doppio legame, con formazione dell’ozonide, sia tramite l’incorporazione di un atomo dell’inquinante in un prodotto ossidato, attraverso la formazione di epossido e O2•- (Kanofsky e Sima, 1995).

Sulla base della misurazione del flusso di O3 nella foglia, Laisk et al. (1989) hanno

suggerito che l’inquinante non penetra profondamente negli spazi intercellulari, ma si decompone rapidamente a livello della parete cellulare e della membrana plasmatica. Poiché entrambe contengono numerose molecole organiche con doppi legami C-C (gruppi fenolici, composti olefinici, proteine ammidiche, ecc.), il primo sito cellulare di reazione dell’O3 è

proprio questo. L’inquinante può partecipare direttamente alla reazione di ozonolisi, attaccando le molecole lipidiche insature e generando H2O2 e aldeidi, in particolare

malondialdeide (MDA) e 4-idrossinonenale (HNE) (Figura 5), ma anche alcani, epossidi, alcoli e altri prodotti di degradazione che possono facilmente interagire con DNA e proteine, con successiva formazione di pericolosi coniugati (Heath, 1987; Davies, 2001; Fam e Morrow, 2003). In alternativa può avvenire che l’•OH, o un’altra ROS, rimuova un atomo di idrogeno da un gruppo metile della catena, producendo - successivamente alla reazione con l’O2 - un radicale perossile (Halliwell e Gutteridge, 1989) nel processo che prende il

nome di perossidazione lipidica. Il danno alla membrana plasmatica che ne deriva: (i)

→ →

(17)

14 modifica il trasporto degli ioni; (ii) fa aumentare la sua permeabilità e crollare il suo potenziale; (iii) inibisce l’attività delle pompe protoniche e favorisce l’ingresso degli ioni Ca2+ dall’apoplasto. L’O3 ha anche la capacità di inattivare le proteine di membrana

attraverso reazioni di ossidazione e tramite la modificazione dei gruppi funzionali degli aminoacidi, quali cisteina, metionina e triptofano; nel primo, i gruppi -SH di due molecole vanno a formare ponti S-S, con conversione a cistina; nel secondo, l’atomo di zolfo è ossidato a sulfossido; nel terzo, si ha la rottura dell’anello pirrolico. L’aggressione alle proteine coinvolge anche gli enzimi in seguito ad alterazioni della struttura secondaria e terziaria (Kelly e Mudway, 2003), nonché le ATPasi associate alla pompa ionica di membrana che possono essere inattivate, influenzando il trasporto fino al dissesto dell’osmoregolazione (Singh et al., 2010).

Gli effetti fitotossici dell’O3 si esprimono anche a livello fisiologico. Se attualmente

è ormai comprovato che l’esposizione a tale composto determina una riduzione del tasso di fotosintesi netta (Heath, 1994; Pell et al., 1997; Farage e Long, 1999; Morgan et al., 2003), non è stato tuttavia ancora chiaramente identificato il sito cellulare bersaglio del danno da O3 (Guidi et al., 2002). I processi fotosintetici sono complessivamente inibiti sia dal ridotto

assorbimento di CO2, dovuto a una chiusura stomatica in presenza di O3, sia dall’interferenza

dell’inquinante nella fase di fissazione della CO2 (Heath, 1994; Pell et al., 1997; Farage e

Long, 1999; Morgan et al., 2003), a causa della diminuzione di concentrazione e attività della ribulosio-1,5-bisfosfato carbossilasi/ossigenasi (RuBisCO; Farage e Long, 1999; Fiscus et al., 2005). Numerosi Autori hanno correlato l’inibizione dell’attività fotosintetica, osservata nelle piante esposte a O3, ad una riduzione della conduttanza stomatica (Mansfield

e Pearson, 1996; Kollist et al., 2000; Tauszan et al., 2007). Secondo altri Autori, invece, questa sarebbe piuttosto il risultato indiretto di una diminuzione del livello di fotosintesi (Degl’Innocenti et al., 2003; Flowers et al., 2007). Il decremento del contenuto dell’enzima è stato invece associato a diversi meccanismi, come l’aumento della degradazione delle proteine legate alla sua produzione, l’inibizione della loro sintesi o la diretta frammentazione della proteina dovuta a fenomeni ossidativi operati dalle ROS, processi che potrebbero verificarsi contemporaneamente o meno, a seconda della concentrazione di O3, del tempo di

esposizione e dell’età delle foglie (Junqua et al., 2000). Diversi studi dimostrano che la riduzione di quantità e attività di RuBisCO interessa soprattutto le foglie mature, sulle quali si realizza anche la progressiva comparsa di sintomi (Pell et al., 1992; Brendley et al., 1998;

(18)

15 Lütz et al., 2000), mentre in quelle più giovani l’attività risulta essere stimolata rispetto ai controlli mantenuti in aria filtrata (Landolt et al., 1997; Gaucher et al., 2003).

La fitotossicità dell’O3 dipende essenzialmente da tre fattori: (i) la penetrazione

dell’inquinante nei tessuti fogliari, (ii) la sua influenza sui costituenti cellulari, e (iii) le eventuali reazioni di difesa adottate dalle piante. In Figura 8 sono rappresentati schematicamente i meccanismi di resistenza all’O3, secondo la “teoria generale della risposta

agli stress”.

Figura 8. Rappresentazione schematica, riferita all’ozono, delle componenti della resistenza di un organismo a un fattore di stress, in accordo con la teoria di Levitt (da Lorenzini e Nali, 2005).

La prima possibile strategia (esclusione) prevede la chiusura degli stomi con la conseguente diminuzione nell’assorbimento dei gas (compresa la CO2); questa via risulta

percorribile nel caso di esposizioni acute, quindi, limitate ad un periodo di tempo tale da non compromettere il processo fotosintetico (Wieser e Matyssek, 2007). Il secondo meccanismo di difesa consiste nell’attivazione di sistemi di detossificazione per le ROS (Castagna e Ranieri, 2009), così da confinare il danno ossidativo.

Gli organismi vegetali producono O2•- e H2O2 non solo come conseguenza della

fitotossicità dell’O3, ma anche come risultato del loro normale metabolismo aerobico, ovvero

in processi quali il trasporto di elettroni nei cloroplasti durante la fotosintesi e nei mitocondri con la respirazione (Foyer e Noctor, 2003). In condizioni non perturbate, nei tessuti cellulari

RESISTENZA ALL’OZONO

ESCLUSIONE DELL’OZONO

(Resistenza alla diffusione)

TOLLERANZA

ALL’OZONO

ESCLUSIONE DELL’EFFETTO

Detossificazione (sistemi enzimatici e “scavenger” antiossidanti)

Interruzione vie metaboliche di sintesi di sostanze tossiche

TOLLERANZA

DELL’EFFETTO

(Riparazione)

RESISTENZA ALL’OZONO

ESCLUSIONE DELL’OZONO

(Resistenza alla diffusione)

TOLLERANZA

ALL’OZONO

ESCLUSIONE DELL’EFFETTO

Detossificazione (sistemi enzimatici e “scavenger” antiossidanti)

Interruzione vie metaboliche di sintesi di sostanze tossiche

TOLLERANZA

DELL’EFFETTO

(19)

16 è mantenuto uno stato di equilibrio tra formazione e rimozione delle ROS, attraverso l’azione di sistemi antiossidanti di natura enzimatica e non: se questi non vengono attivati o falliscono nell’arrestare le reazioni a catena di auto-ossidazione, si ha morte cellulare. I più importanti

scavenger di natura enzimatica sono la superossido dismutasi (SOD), che converte O2•- in

H2O2; la catalasi (CAT), che converte H2O2 in H2O e O2 e le perossidasi (POD), che riducono

H2O2 a H2O con una gamma di donatori di elettroni. Tra i principali meccanismi antiossidanti

di natura non enzimatica si annoverano l’acido ascorbico nella forma ridotta (AsA, Vit. C), il glutatione (un tripeptide composto da glicina, acido glutammico e cisteina) e i composti fenolici, oltre a carotenoidi (es. -carotene, precursore della Vit. A) e tocoferoli (es. -tocoferolo, Vit. E) (Gill e Tuteja, 2010). L’AsA è l’antiossidante idrosolubile più abbondante nelle cellule vegetali e ha un ruolo centrale nella detossificazione (Shan e Liang, 2010). Esso agisce come scavenger sia direttamente contro le ROS, che come substrato per enzimi altamente specifici, quali l’ascorbato perossidasi (APX). È coinvolto anche in una serie di reazioni rigeneranti altre molecole antiossidanti all’interno della cellula: come riduttore nel

ripristino dell’-tocoferolo, nel ciclo delle xantofille (Gest et al., 2013) e nella restituzione in forma ridotta di fenoli ossidati (Ferreres et al., 2011). Il mantenimento del pool nello stato ridotto è assicurato dall’innesco di un’intricata rete di reazioni, coinvolgenti tra l’altro il glutatione, che nel complesso vanno a costituire il ciclo dell’ascorbato-glutatione, noto anche come ciclo di Halliwell-Asada (Foyer e Noctor, 2011). Nelle strategie adattative e difensive attivate dall’organismo vegetale in risposta a diversificate condizioni ambientali avverse e/o non ottimali, fondamentale, inoltre, sembra essere il ruolo assunto dai metaboliti secondari. Complesso è, al riguardo, il coinvolgimento del metabolismo aromatico, in particolare fenolico, e dei rispettivi enzimi connessi. Sono denominati globalmente “fenoli” i composti aromatici, in cui uno o più idrogeni dell’anello carbonioso planare benzenico sono sostituiti (in presenza o meno di altri radicali funzionali) rispettivamente da uno (monofenoli) o più gruppi ossidrilici (-OH) (polifenoli) (Khadem e Marles, 2010). Essi sono implicati nell’architettura cellulare, nella trasduzione del segnale e, in generale, nello sviluppo e nella strategia di difesa dell’organismo vegetale, quali componenti strutturali (ispessimenti della parete cellulare), ormonali-regolatori (interazioni con il trasporto dell’auxina), citotossici (fitotossine), fotosensibili (assorbono radiazioni nocive), membrana-protettori (ne riducono la fluidità e l’accesso alle ROS) e, appunto, antiossidanti-scavenger (Agati et al., 2013; Brunetti et al. 2013).

(20)

17 1.3 Salvia officinalis

La salvia comune (Salvia officinalis L.), appartenente alla famiglia delle Lamiaceae, è una pianta aromatica medicinale già nota nell’antichità, ampiamente coltivata e studiata (Figura

9); il nome ha la stessa radice di salvare e da esso deriva il tedesco Salbe (unguento

medicamentoso); celebre è il capo 57 del Regimen Sanitatis Salernitanum:

Cur moriatur homo, cui salvia crescit in horto? contra vim mortis non est medicamen in hortis. salvia confortat nervos manuumque tremores

tollit et eius ope febris acuta fugit. Salvia salvatrix, naturae conciliatrix.

Figura 9. Stampa fisiotipica per impressione con olio e nerofumo di una foglia di salvia realizzata da Leonardo da Vinci nel Codice Atlantico, Biblioteca Ambrosiana, Milano, 1508. La tipologia di raffigurazione scelta da Leonardo è una tecnica di conservazione botanica.

Originaria del sud Europa, diffusa nelle rupi aride e pietraie, studiata per le sue proprietà biologiche antiossidanti, è coltivata a scopo alimentare e farmaceutico nei Paesi del Mediterraneo grazie alla sua resistenza a stress ambientali. Alcuni studi hanno dimostrato che questa specie può tollerare una dose moderata di stress salino (Tounekti et al., 2012), contrastare un livello medio di siccità (Munné-Bosch e Alegre, 2003) e completare il suo ciclo vitale anche in condizioni di stress ossidativo da O3 attivando numerosi meccanismi di

fotoprotezione e antiossidanti, come l’aumento di acido jasmonico e acido salicilico (Marchica et al., 2019), fenoli e carboidrati idrosolubili (Pellegrini et al., 2015).

(21)

18 1.4 Scopo della tesi

L’inquinamento da O3 troposferico è aumentato significativamente nel corso degli ultimi

100 anni, destando non poche preoccupazioni per la salute umana, gli ecosistemi e la vegetazione. Al riguardo, un recente studio ha evidenziato che in Europa oltre 30 colture e 80 specie vegetali semi-naturali tipiche di 16 Paesi hanno mostrato, nel periodo compreso tra il 1994 e il 2006, danni da O3, consistenti in sintomi fogliari e in contrazioni della

produttività e della biomassa (Mills et al., 2011). La coincidenza di alte concentrazioni di O3 con le stagioni di crescita delle colture porta a significative riduzioni dei raccolti: in

Europa, si stima che il 4-12% delle rese di grano, il 3-4% delle rese di mais e il 20-24% delle rese di soia siano perse per l’inquinamento da O3 (Ainsworth, 2017). Numerosi studi di

modellizzazione hanno quantificato l’impatto attuale e futuro di O3 sulla produttività delle

colture: globalmente, si stima che le perdite agricole ammontino a 11-18 miliardi di dollari l’anno (Avnery et al., 2011); ipotizzando che la legislazione sulla qualità dell’aria attualmente approvata sarà pienamente attuata entro il 2030, senza un ulteriore sviluppo di nuove politiche di abbattimento, si prevede che la situazione globale peggiori principalmente per il grano e per il riso, con un’ulteriore riduzione rispettivamente del 2-6% e dell’1-2% a livello mondiale (Van Dingenen et al., 2009). Ciò considerato, assieme all’elevata variabilità sintomatica legata all’inquinante, fortemente aspecifica, risulta necessario lo sviluppo di nuove tecniche diagnostiche.

Lo scopo del presente lavoro è di esplorare le potenzialità della spettroscopia di vegetazione nel monitorare e caratterizzare, in modo rapido e non distruttivo, le risposte di

S. officinalis esposta artificialmente a un episodio di O3 (200 ppb per 5 h), in condizioni

controllate. Gli obiettivi specifici sono:

1. sviluppare modelli statistici per la stima di noti parametri ecofisiologici legati al processo fotosintetico/traspirativo e parametri biochimici relativi allo stress ossidativo indotto dall’inquinante e ai processi antiossidanti attivati dalla pianta; 2. valutare la capacità dell’hyperspectral phenotyping di identificare precocemente

eventuali stati di stress indotti dall’esposizione all’O3;

3. analizzare le variazioni di parametri ecofisiologici/biochimici derivati dagli spettri fogliari applicando sia degli indici di vegetazione, sia i coefficienti provenienti dai modelli statistici più complessi, al fine di comprendere le risposte fotosintetiche e antiossidanti coinvolte nell’interazione S. officinalis-O3.

(22)

19 L’intento di lungo periodo è lo sviluppo della spettroscopia di vegetazione, per fornire ai produttori e a tutto il comparto agricolo uno strumento rapido ed efficace per identificare e monitorare, con misure istantanee, l’eventuale presenza di condizioni di stress indotte da inquinanti ambientali.

(23)

20 2. MATERIALI E METODI

2.1 Allevamento del materiale vegetale, esposizione all’ozono e disegno sperimentale

L’indagine è stata condotta su piante di S. officinalis di quattro mesi allevate presso le strutture di San Piero a Grado del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali (DiSAAA-a) dell’Università di Pisa, in vasi di plastica (3,7 l di capacità), contenenti una miscela di terreno sterilizzato con vapore e torba (1:1, v/v). Una settimana prima dell’inizio dell’esposizione all’O3, 36 piante uniformi per età e dimensioni, di circa

25 cm di altezza, sono state collocate in cella climatica (dimensioni utili: 2,70 × 2,90 × 2,00 m), in aria filtrata (filtri a carbone attivo), con regime idrico ed edafico ottimale e condizioni luminose e igro-termiche controllate [25±1 °C, 85±5% di umidità relativa e 500 μmol di fotoni m-2 s-1 di radiazione fotosinteticamente attiva (PAR) fornita da lampade a incandescenza con 12 h di fotoperiodo].

Per l’esposizione artificiale all’O3, sono state utilizzate quattro camere di

fumigazione in perspex (Figura 10a), collocate all’interno della suddetta cella climatica, anch’esse ventilate, nelle quali è possibile l’arricchimento controllato dell’aria, previamente filtrata, con l’inquinante, mediante un idoneo meccanismo di insufflaggio e distribuzione. Il gas è generato a partire da O2 attraverso la scarica elettrica prodotta da uno specifico

generatore (Fisher 500, Fischer America Inc., Houston, TX USA; Figura 10b). La concentrazione raggiunta all’interno della camera, regolata su valori desiderati, agendo sull’intensità della scarica elettrica e sull’entità del flusso in entrata di O2, è stata monitorata

in continuo con un analizzatore fotometrico (Ecotech Acoem Group, mod. Serinus® 10, Milano, Italia). Un totale di 18 piante (nove per camera) sono state esposte a 200 ppb di O3

per 5 h, dalle 10:00 alle 15:00; le rimanenti 18 sono state mantenute in aria filtrata ([O3] < 5

ppb, controlli, nove individui per camera). Al termine della fumigazione, le piante sono rimaste all’interno dei rispettivi box. Durante l’esposizione, le condizioni ambientali sono state mantenute come precedentemente descritto. L’intera metodologia è stata eseguita in accordo con Cotrozzi et al., (2017).

Le analisi sono state effettuate a 0, 1, 2, 5, 8 e 24 h dall’inizio dell’esposizione. Cinque piante controllo e 6-10 piante ozonate sono state dedicate alle misure di

hyperspectral phenotyping e alla stima di alcuni parametri ecofisiologici e biochimici dai

(24)

21 spettroscopiche e mai campionate. Le rimanenti sono state destinate alla creazione dei modelli statistici, e quindi, misurate in sequenza per gli scambi gassosi, per la riflettanza e, infine, campionate. Queste piante sono state processate con tale protocollo anche ripetutamente (massimo quattro tempi consecutivi), al fine di raggiungere un totale di circa 80 misurazioni. Le analisi ecofisiologiche sono state condotte sulla seconda foglia completamente espansa, mentre foglie similari e coetanee (tre per pianta) sono state raccolte, poste a -80 °C e, successivamente, liofilizzate e destinate alle determinazioni biochimiche.

Figura 10. Dotazioni presenti nelle strutture del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa: a) camere di fumigazione in condizioni controllate; b) generatore di ozono.

2.2 Analisi spettroscopiche

Gli spettri di riflettanza fogliare sono stati raccolti mediante uno spettroradiometro full-range ASD FieldSpec-4 high resolution (Analytical Spectral Devices, Boulder, CO, USA; 350-2500 nm), utilizzando una leaf-clip dotata di una sorgente luminosa alogena interna e di un pannello nero di backrground in grado di assorbire tutta la radiazione trasmessa dalla foglia misurata (Figura 11). Sono state misurate due aree della pagina adassiale, uno spettro per area, per poi produrre un profilo medio per ogni foglia analizzata. La riflettanza relativa di ciascuna foglia è stata ottenuta rapportando la radianza fogliare a quella di un pannello bianco standard (riflettente al 99,9%), di cui è equipaggiata la leaf-clip. Tale misura di riferimento è stata effettuata ogni dieci rilevazioni spettrali.

(25)

22 Figura 11. Spettroradiometro ASD FieldSpec 4 (Analytical Spectral Devies, Boulder, CO, USA) con leaf-clip, in dotazione del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa.

2.3 Analisi degli scambi gassosi

Le misure di fotosintesi netta (A), traspirazione (E), conduttanza stomatica (gs),

concentrazione intercellulare di CO2 (Ci), e temperatura della superficie fogliare adassiale

(Tl) sono state condotte usando un sistema portatile per la misura degli scambi gassosi

LI-6400 dotato di una camera da 2×3 cm e una sorgente di luce LED LI-6400-02B (Li-Cor, Inc., Lincoln, NE, USA), operante a 400 ppm di CO2, temperatura ambiente (25±3 °C) e luce

saturante (1500 µmol m-2 s-1 di PAR). L’efficienza dell’uso dell’acqua istantanea

(Instantaneous Water Use Efficiency, WUEi) e intrinseca (Intrinsic Water Use Efficiency,

WUEin) sono state calcolate, rispettivamente, come A/E ed A/gs. L’efficienza istantanea di

carbossilazione (k) è stata calcolata come A/Ci.

2.4 Analisi biochimiche

La determinazione della perossidazione lipidica tramite il saggio delle sostanze reattive all’acido tiobarbiturico (TBARS) è stata effettuata secondo il metodo di Hodges et al. (1999). Circa 30 mg di materiale fogliare sono stati omogeneizzati con 750 μl di etanolo all’80%, sonicati per tre cicli da 10 minuti e centrifugati a 13.000g per 10 minuti a 4 °C. Successivamente, a 100 μl di surnatante sono stati aggiunti 400 μl di acido tricloroacetico (TCA) al 20% con acido tiobarbiturico (TBA) allo 0,5%. La miscela così ottenuta è stata incubata per 30 minuti a 95 °C e poi centrifugata a 12.000g per 10 minuti a 4 °C. È stata

(26)

23 quindi effettuata la determinazione dei livelli di MDA per via spettrofotometrica (Jenway 6505 UV-Via, Cole-Parmer, Stone, Staffordshire, UK), misurando le assorbanze a 440, 532 e 600 nm e applicando apposite formule per la correzione della torbidità non specifica.

Le proprietà antiossidanti sono state determinate tramite i saggi della capacità di assorbimento del radicale ossigeno (Oxygen Radical Absorption Capacity, ORAC) e della capacità antiossidante del radicale idrossile (Hydroxyl Radical Antioxidant Capacity, HORAC) secondo i metodi, rispettivamente, di Ou et al. (2001) e Ou et al. (2002). Circa 10 mg di materiale fogliare sono stati omogeneizzati con 1 ml di metanolo al 100%, sonicati per tre cicli da 10 minuti, incubati per una notte al buio a 4 °C e poi centrifugati a 13.000g per 15 minuti a 4 °C, per entrambe le analisi. Successivamente, 10 μl di surnatante sono stati miscelati con 170 μl di fluororesceina 200 μM e incubati a 37 °C per 20 minuti. L’attività antiossidante è stata indotta rispettivamente dal 2,2’-azobis-(2-amidino-propano) diidrocloruro (AAPH) per l’ORAC e dal complesso Co(II) per l’HORAC e quantificata con eccitazione a 480 nm ed emissione a 530 nm, mediante lo spettrofluorimetro Victor3 1420 Multilabel Counter (Perkin Elmer, USA). Il rapporto tra fluorescenza e assorbanza è stato calcolato con apposite curve di taratura realizzate con Trolox per l’ORAC e acido gallico per l’HORAC.

I contenuti in acido ascorbico totale (ASATOT) e in AsA sono stati determinati

secondo il metodo descritto da Kampfenkel et al. (1995), basato sulla riduzione dello ione ferrico (Fe3+) a ferroso (Fe2+) in presenza di acido ascorbico in soluzione acida e conseguente

formazione del chelato di colore rosso tra lo ione ferroso e la 4,7-difenil-1,10-batofenantrolina. Circa 10 mg di materiale vegetale sono stati estratti in 1 ml di TCA al 6%, sonicati per tre cicli da 10 minuti e centrifugati a 12.000g per 10 minuti a 4 °C. Per la determinazione dell’AsA, 50 μl di estratto sono stati aggiunti a 150 μl di tampone K/P 200 mM pH 7,4 e, per il contenuto totale (AsA + DHA), ad altri 100 μl di surnatante sono stati aggiunti 50 μl di DTT e 100 μl di tampone K/P 200 mM pH 7,4 e, dopo agitazione e incubazione per 15 minuti a 42 °C, 50 μl di N-etilmaleimide allo 0,24% (in etanolo 96%). Infine, ai campioni sono stati aggiunti 250 μl di TCA 10% (w/v), 200 μl di H3PO4 0,4% (in

etanolo 96%), 200 μl di 2,2’-dipyridyl (in etanolo 70%, v/v) e 100 μl di FeCl3 3%. Per il

bianco sono stati utilizzati 50 μl di TCA al 6% al posto dell’estratto. La reazione colorimetrica è stata lasciata sviluppare a 42 °C per 40 minuti in agitatore termostatato, al termine dei quali è stata registrata l’assorbanza alla lunghezza d’onda di 525 nm (utilizzando lo spettrofotometro sopra riportato). La quantificazione è stata effettuata costruendo una

(27)

24 curva di calibrazione per AsA e AsA + DHA a partire da concentrazioni note di acido ascorbico. La quantificazione della forma ossidata (DHA) è stata ottenuta per differenza tra il contenuto totale e la forma ridotta.

Per la determinazione del contenuto totale di glutatione (GSHTOT) e della sua forma

ossidata (GSSG) è stato seguito il protocollo di Sgherri e Navari-Izzo (1995), basato sul saggio enzimatico del ciclo GSSG-acido 5,5-ditiobis-2-nitrobenzoico (DTNB). Circa 10 mg di materiale vegetale sono stati estratti in 1 ml di TCA al 5%, sonicati per tre cicli da 10 minuti e centrifugati a 12.000g per 10 minuti a 4 °C. Per definire il contenuto di GSHTOT,

l’estratto vegetale acido (20 µl) è stato diluito mediante l’aggiunta di NADPH e una miscela di due reagenti costituiti da: reagente 1 (Na2EDTA 15 mM, DTNB 0,3 mM e BSA 0,04%) e

2 (Na2EDTA 1 mM, BSA 0,02% e 1,5 unità di glutatione reduttasi) immediatamente prima

di innescare la cinetica di reazione, per registrare allo spettrofotometro la velocità iniziale di formazione dell’acido 5,5-tiobis-2-nitrobenzoico (TNB) alla lunghezza d’onda di 412 nm. Il GSSG è stato determinato dopo rimozione della forma ridotta (GSH) dal campione, aggiungendo 20 µl di 4-vinilpiridina 95% e 80 µl di trietanolammina 25% (v/v) a 1 ml di estratto vegetale. L’addizione di trietanolammina ha permesso di ottenere valori di pH compresi tra 5,5 e 7,5, condizione necessaria affinché avvenga una completa derivatizzazione del GSH presente. La quantificazione è stata eseguita dopo 1 h di incubazione a temperatura ambiente, secondo le modalità già descritte per il GSHTOT. La

quantità di GSHTOT e GSSG è stata determinata ricorrendo ad una curva di calibrazione

costruita con concentrazioni note di GSH. Le concentrazioni di GSH sono state calcolate come GSHTOT-GSSG.

I pigmenti fotosintetici fogliari sono stati misurati secondo il metodo di Lichtenthaler (1987). Circa 10 mg di foglie sono stati estratti in 1 ml di acetone al 100%, sonicati per tre cicli da 10 minuti e centrifugati a 13.000g per 10 minuti a 4 °C. Le assorbanze dei surnatanti sono state determinate a 470, 645 e 662 nm mediante lo spettrofotometro descritto in precedenza e le concentrazioni di clorofilla (Chl) a e b e dei carotenoidi sono state calcolate come riportato da Lichtenthaler e Buschmann (2001). Il contenuto di Chl totale (ChlTOT) è

stato definito come Chl a + Chl b.

Il contenuto in fenoli totali è stato determinato secondo il metodo di Ainsworth e Gillepsie (2007). Circa 5 mg di materiale fogliare sono stati estratti in 1,9 ml di metanolo al 95%, sonicati per tre cicli da 10 minuti, centrifugati a 13.000g per 10 minuti a 4 °C e

(28)

25 mantenuti refrigerati e al buio per 48 h. Successivamente, 100 μl di surnatante sono stati miscelati con 200 μl di reagente Folin Ciocalteu al 10% e 800 μl di Na2CO3 700 mM. Dopo

2 h di incubazione a temperatura ambiente, l’assorbanza dei campioni è stata misurata a 765 nm. Il contenuto in fenoli totali è stato espresso in equivalenti di acido gallico, utilizzando tale composto per la creazione di un’apposita retta di taratura.

2.5 Calibrazione e validazione dei modelli

La PLSR (Wold et al., 2001) è stata utilizzata per generare dei modelli statistici in grado di stimare i suddetti parametri ecofisiologici e biochimici dai profili di riflettanza (non trasformati). Quando le variabili originali utilizzate per le stime sono fortemente collineari, come nel caso dei dati iper-spettrali, le tecniche di regressione classiche possono produrre dei coefficienti inaffidabili ed errori nelle previsioni (Grossman et al., 1996). Al contrario, la PLSR riduce l’elevato numero delle variabili originali in relativamente poche latenti, non correlate tra loro, diventando per questo il metodo più utilizzato per gli approcci chemiometrici (Bolster et al., 1996; Atzberger et al., 2010; Couture et al., 2016; Cotrozzi et

al., 2018). Per evitare un potenziale overfitting dei modelli costruiti mediante la PLSR, il

numero delle variabili latenti è stato selezionato cercando di minimizzare l’indicatore statistico definito come Predicted Residual Sum of Squares (PRESS, Chen et al., 2004), utilizzando un approccio di convalida incrociata leave-one-out. Una volta ridotte al minimo, le componenti estratte sono state combinate in un modello lineare al fine di stimare i parametri di interesse sulla base dei profili spettrali.

Le prestazioni dei modelli sono state valutate conducendo 500 permutazioni randomizzate del dataset originale, utilizzando l’80% dei dati per la calibrazione e il restante 20% per la convalida incrociata. Per ogni operazione, è stato calcolato il coefficiente di determinazione (R2), la radice quadrata dell’errore quadratico medio (root-mean- square

error, RMSE), espresso anche in percentuale (%RMSE), e la distorsione (bias) al fine di

analizzare le prestazioni del modello quando applicato al dataset per la convalida incrociata. Queste operazioni randomizzate hanno generato una distribuzione delle suddette statistiche, consentendo di valutare la stabilità dei modelli e le incertezze nelle previsioni. Inoltre, sono state ricavate le statistiche VIP (Variable Importance in Projection) che permettono di valutare l’importanza delle singole lunghezze d’onda nel descrivere la variazione sia dei parametri stimati, sia delle variabili originali: con valori di VIP più elevati si identificano le

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26 lunghezze d’onda con un maggiore contributo nella capacità previsionale dei modelli (Wold

et al., 2001; Chong e Jun, 2005).

Prima di sviluppare i modelli definitivi, sono stati effettuati tentativi preliminari al fine di identificare valori stimati anomali (outlier), potenzialmente dovuti ad errori operazionali durante le analisi spettrali, rilevabili da riflettanza elevata nel VIS o salti spettrali nel NIR che si verificano, solitamente, quando la leaf-clip non è completamente serrata, ma anche nelle più complesse misurazioni ecofisiologiche e biochimiche tradizionali (Couture et al., 2016; Cotrozzi et al., 2018). Gli outlier, pari a circa il 10% per i dati ecofisiologici e circa il 20% per quelli biochimici, sono stati quindi rimossi. La creazione dei modelli e l’analisi dei dati sono state eseguite utilizzando il pacchetto ‘pls’ in R (www.r-project.org).

2.6 Indici spettrali e previsione dei tratti fogliari

Sono stati calcolati alcuni indici spettrali largamente utilizzati: il PRI [PRI=(R531

-R570)/(R531+R570); Gamon et al., 1997], l’NDVI [NDVI570=(R780-R570)/(R780+R570); Gamon

et al., 1995]; il Chlorophyll Index [CI=(R750-R705)/(R750+R705); Gitelson e Merzlyak, 1994];

e il Plant Senescence Reflectance Index [PSRI=(R678-R500)/R750; Merzlyak et al., 1999],

quest’ultimo scalato [sPSRI=(PSRI+1)/2] per evitare valori negativi. È importante ricordare che la stima degli indici spettrali, così come dei parametri ecofisiologici e biochimici derivanti dai modelli PLSR più performanti, è stata effettuata dagli spettri delle piante dedicate all’hyperspectral phenotyping e quindi mai campionate o in qualche modo alterate.

2.7 Trattamento statistico dei dati

Per l’hyperspectral phenotyping, gli effetti del tempo, dell’O3 e della loro interazione sulle

firme di riflettanza sono stati valutati mediante la PERMANOVA (Anderson, 2001), utilizzando misure euclidee di dissimilarità e 10.000 permutazioni. La stessa procedura è stata utilizzata per valutare l’effetto dell’O3, mantenendo i tempi separati. Tali risposte

spettrali sono state visualizzate mediante la PCoA, applicata agli stessi dati utilizzati per la PERMANOVA, utilizzando il pacchetto ‘vegan’ in R (www.r-project.org; Dixon, 2003). Gli spettri sono stati, infine, analizzati con la PLS-DA (Chevallier et al., 2006) per determinare la loro capacità di classificare i vari gruppi sperimentali. La PLS-DA è un approccio statistico utilizzato con data-set molto ampi, in grado di ridurre la dimensione del dati originali e di massimizzare l’accuratezza delle previsioni delle classi; è inoltre un metodo

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27 appropriato quando le variabili originali hanno elevata collinearità (Couture et al., 2018). La PLS-DA è stata condotta sullo spettro full-range (400-2400 nm, le code sono state eliminate per l’eccessivo rumore), operando 500 iterazioni con diverse combinazioni tra i dati usati per la calibrazione e quelli per la validazione. I risultati di questa procedura ripetuta sono stati utilizzati per valutare l’accuratezza dei modelli. Il rapporto tra i dati dedicati alla calibrazione e alla validazione, così come il numero delle componenti (variabili latenti) da selezionare per ottenere i migliori risultati, sono stati identificati attraverso tentativi ripetuti, cercando di ottenere il valore minimo per l’indicatore statistico kappa relativo al modello di validazione. La PLS-DA è stata eseguita utilizzando i pacchetti ‘caret’ e ‘vegan’ in R (www.r-project.org; Dixon, 2003; Kuhn, 2008).

Per quanto riguarda i parametri stimati con gli indici spettrali e con i modelli PLSR, è stata preventivamente valutata la normalità della loro distribuzione mediante lo Shapiro-Wilk test. Successivamente, gli effetti del tempo, dell’O3 e della loro interazione su tali tratti

fogliari sono stati valutati mediante l’analisi della varianza (ANOVA) a due vie. I confronti tra le medie sono stati effettuati mediante il Fisher’s LSD post-hoc test. Effetti significativi sono stati considerati per P ≤ 0,05. Queste analisi statistiche sono state eseguite in JMP Pro 13 (SAS Institute Inc. Cary, NC, USA).

(31)

28 3. RISULTATI

3.1 Sviluppo dei modelli PLSR

I molteplici modelli preliminari, sviluppati utilizzando vari intervalli dello spettro fogliare e numeri delle componenti, al fine di ottimizzare le prestazioni estimative, sono riportati nell’Allegato A. I migliori risultati sono stati ottenuti con le seguenti regioni spettrali: 400-1000 nm per A e k; 400-2400 nm per E, WUEi, WUEin, Tl, HORAC, GSHTOT e ChlTOT;

950-2400 nm per gs e Ci; 400-750 + 1400-2400 nm per MDA; 1400-2400 nm per ORAC;

1100-1800 nm per DHA e DHA/ASATOT; 400-900 nm per GSH; 400-700 + 1600-1800 nm per

Chl a; 1100-1400 nm per Car; e 1100-1600 nm per Phen (Tabella 1). Una buona/ottima accuratezza nelle previsioni è stata ottenuta per i parametri ecofisiologici, con valori di R2 per la convalida incrociata pari a 0,65 per A, 0,80 per E, 0,70 per gs, 0,72 per Ci, 0,90 per

WUEi, 0,76 per WUEin, 0,67 per k e 0,80 per Tl. Capacità estimative più ridotte sono state

riscontrate, invece, per la biochimica, con un R2 di 0,65 per MDA, 0,71 per ORAC, 0,50 per HORAC, 0,45 per DHA, 0,63 per DHA/ASATOT, 0,58 per GSH, 0,67 per GSHTOT, 0,53 per

Chl a, 0,42 per ChlTOT, 0,59 per Car e 0,61 per Phen. Altre statistiche relative alle prestazioni

dei modelli sono riportate in Tabella 1 e nelle Figure 12-16.

I profili dei coefficienti standardizzati e delle statistiche VIP evidenziano l’importanza delle lunghezze d’onda da 450 a 750 nm per le stime di A e k, attorno a 700, 1450 e 1900 nm di E, WUEi, WUEin e Tl, e a 1400 e 1900 nm di gs e Ci (Figure 12 e 13).

Per le previsioni dei parametri biochimici, si evidenziano le regioni intorno a 700 e 1900 nm per MDA, a 1400 e 1900 nm per ORAC, a 700, 1400 e 1900 nm per HORAC, a 400 e 700 nm per GSH e GSHTOT e a 700 nm per Chl a e ChlTOT. Data l’elevata numerosità dei picchi

dei coefficienti e dei valori VIP relativi a DHA, DHA/ASATOT, Car e Phen, risulta

difficoltoso selezionare lunghezze d’onda più importanti di altre per la stima di queste variabili (Figure 14-16).

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29 Tabella 1. Regione spettrale, numero di componenti (Comp), coefficiente di determinazione (R2), errore quadratico medio (RMSE), distorsione (bias)

per la calibrazione (Cal) e per la validazione (Val) dei modelli finali sviluppati con la Partial Least Squares Regression (PLSR) per stimare parametri ecofisiologici e biochimici da dati spettrali di Salvia officinalis. Sono state condotte 500 simulazioni utilizzando l’80% dei dati per la Cal e 20% per la Val. I dati sono mostrati come media±deviazione standard. I valori di bias relativi alla calibrazione non sono mostrati in quanto risultati sempre < 0,001. Abbreviazioni: A, fotosintesi netta (µmol m-2 s-1); E, traspirazione (mmol m-2 s-1); gs, conduttanza stomatica (mol m-2 s-1); Ci, concentrazione intercellulare

di CO2 (μmol mol-1); WUEi, efficienza istantanea di uso dell’acqua (μmol mmol-1); WUEin, efficienza intrinseca di uso dell’acqua (μmol mol-1); k,

efficienza di carbossilazione istantanea (μmol m-2 s-1 Pa-1); Tl, temperatura fogliare (°C), MDA, malondialdeide (µmol g-1 PS); ORAC, capacità di

assorbimento dell’ossigeno radicale (µmol TE g-1 PS); HORAC, capacità antiossidante del radicale idrossile (µmol AGE g-1 PS); DHA, ascorbato ossidato

(mg g-1 PS); DHA/ASATOT, rapporto tra ascorbato ossidato e totale (mg g-1 PS); GSH, glutatione ridotto (µmol g-1 PS); GSHTOT, glutatione totale (µmol

g-1 PS); Chl a, clorofilla a (mg g-1 PS); ChlTOT, clorofilla totale (mg g-1 PS); Car, carotenoidi (mg g-1 PS); Phen, fenoli totali (mg AG g-1 PS).

Parametro Regione spettrale Comp Cal Val

(nm) R2 RMSE R2 RMSE bias

A 400-1000 11 0,84±0,02 0,81±0,04 0,65±0,13 1,17±0,19 -0,02±0,34 E 400-2400 23 1,00±0,00 0,08±0,01 0,80±0,08 0,62±0,11 -0,02±0,19 gs 950-2400 13 0,92±0,01 0,02±0,00 0,70±0,12 0,04±0,01 0,00±0,01 Ci 950-2400 15 0,96±0,01 5,88±0,51 0,72±0,13 15,57±2,95 -0,31±4,54 WUEi 400-2400 22 1,00±0,00 0,05±0,01 0,90±0,06 0,31±0,08 0,01±0,09 WUEin 400-2400 25 1,00±0,00 0,59±0,09 0,76±0,14 9,40±2,58 1,02±2,67 k 400-1000 13 0,88±0,02 2×10-4±2×10-4 0,67±0,14 43×10-4±7×10-4 0.00±0.00 Tl 400-2400 24 1,00±0,00 0,13±0,02 0,80±0,09 1,26±0,24 -0,06±0,35 MDA 400-750+1400-2400 10 0,84±0,02 2,33±0,13 0,65±0,15 3,51±0,58 0,07±1,16 ORAC 1400-2400 8 0,85±0,02 45,68±2,51 0,71±0,13 61,69±10,44 2,13±18,18 HORAC 400-2400 12 0,82±0,02 15,36±0,94 0,50±0,19 26,92±4,36 0,03±8,18 DHA 1100-1800 23 1,00±0,00 0,07±0,02 0,45±0,19 27,86±4,12 -0,09±8,73 DHA/ASATOT 1100-1800 16 1,00±0,00 0,01±0,00 0,63±0,15 0,06±0,01 0,00±0,02 GSH 400-900 13 0,90±0,03 0,22±0,01 0,58±0,24 0,43±0,07 0,00±0,13 GSHTOT 400-2400 11 0,88±0,02 0,32±0,02 0,67±0,16 0,52±0,09 0,02±0,16 Chl a 400-700+1600-1800 20 1,00±0,00 0,01±0,00 0,53±0,20 0,12±0,02 0,00±0,04 ChlTOT 400-2400 6 0,62±0,04 0,11±0,00 0,42±0,17 0,14±0,02 0,00±0,04 Car 1100-1400 11 0,96±0,01 0,01±0,00 0,59±0,15 0,04±0,01 0,00±0,01 Phen 1100-1600 18 1,00±0,00 0,56±0,12 0,61±0,19 32,37±6,83 -1,07±10,33

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