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(1)

PER SAPERNE DI PI `

U

Evoluzione dell’idea di molecola

Evolution of the molecule concept

Antonio Di Meo ()

Gi`a Facolt`a di Lettere e Filosofia, Universit`a La Sapienza, Roma, Italia Clara Frontali (∗∗)

Gi`a Istituto Superiore di Sanit`a, Roma, Italia

Riassunto. Il lento cammino che ha portato, nella prima decade del Novecento, a dimostrare l’esistenza delle molecole e degli atomi `e stato caratterizzato —sia nelle ipotesi di Dalton e Gay-Lussac che nelle fondamentali intuizioni di Avogadro e Amp`ere— da una terminologia incerta e confusa. `E con Cannizzaro, intorno al 1860, che si precisa l’idea attuale di molecola. Negli stessi anni emerge dai lavori di Pasteur l’indicazione di una struttura tridimensionale delle molecole. Al volgere del secolo, tuttavia, parte della comunit`a scientifica rifiuta ancora l’esistenza di oggetti non osservabili sperimentalmente. E solo con la verifica` sperimentale, da parte di Perrin, della trattazione meccanico-statistica del moto browniano pubblicata da Einstein nel maggio 1905, che i termini molecola e atomo assumono concretezza e significato condivisi.

Abstract. The slow progress that led, in the first decade of the last century, to the demonstration of the existence of molecules and atoms, was characterized —both in the hypotheses of Dalton and Gay-Lussac and in the basic insights of Avogadro and Amp`ere— by the use of an uncertain and confuse terminology. The term “molecule” becomes clearly defined in its present meaning by Cannizzaro around 1860. In the same years the evidence of a tridimensional structure of molecules emerges from Pasteur’s work. However at the turn of the century the very existence of objects that cannot be experimentally observed is disputed by part of the scientific community. Only after the experimental verification, by Perrin, of the statistical-mechanical elaboration of the Brownian motion published by Einstein in May 1905, did the expressions molecule and atom gain reality and shared use.

1. Introduzione

Pu`o sorprendere il fatto che la parola “molecola” abbia assunto il significato che le attribuiamo oggi solo dopo il 1860. Per comprendere perch´e un concetto che a noi

() E-mail: dimeoantonio17@gmail.com (∗∗) E-mail: clara.frontali@inwind.it

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sembra relativamente semplice abbia impiegato tanto tempo per formarsi sar`a utile ripercorrerne la storia.

Derivato dal latino molecula, diminutivo di moles, il termine veniva utilizzato per indicare genericamente una piccola quantit`a di materia, confondendosi e talvolta sovrapponendosi a quelli di “particella”, “corpuscolo”, “parte”, e cos`ı via, ed infine a quello di “atomo”. I termini “molecola” e “atomo”, nel tempo, sono stati variamente coinvolti nelle ipotesi sulla struttura e sulla divisibilit`a della materia; ipotesi che peraltro, non avendo alcuna possibilit`a di essere dimostrate erano esclusivamente oggetto di esperimenti mentali.

La prima, incerta utilizzazione del termine che —sorprendentemente— si avvicina al suo significato attuale si deve al “filosofo naturale”, atomista, Pierre Gassendi (1592-1655), che lo usa per indicare particelle formate da pi`u atomi, questi ultimi considerati appunto indivisibili [1]. Tuttavia nel corso dei secoli XVII e XVIII il termine, largamente usato dai chimici e dai fisiologi, specialmente francesi, perder`a progressivamente l’aspetto di aggregazione di atomi.

Per Ren´e Descartes (1596-1650), invece, la materia era divisibile all’infinito, ed i limiti pratici di tale divisibilit`a dipendevano unicamente dall’incapacit`a umana di andare oltre un certo limite. Nella sua lettera del 1649, R´eponse de M. Descartes `a M. Morus [2] Descartes, in effetti, (in polemica con gli atomisti come Robert Boyle) sosteneva che per la struttura della materia si poteva parlare solo di particelle pensabili come indefinitamente divisibili, essendo l’estensione la loro propriet`a essenziale.

Se per gran parte dei secoli XVII e XVIII, dunque, l’uso del termine rimane fluido, talvolta allusivo, `e nel contesto dello studio delle reazioni chimiche, dei cambiamenti di stato e soprattutto dello stato aeriforme, che si sente l’urgenza di una miglior definizione del livello corpuscolare (particellare, atomico o molecolare) dei fenomeni indagati.

2. ‘Molecole costituenti’, ‘molecole integranti’ e gli atomi di Dalton

Nel corso del XVIII secolo i migliorati metodi dell’analisi chimica rivelavano una struttura della materia molteplice ed eterogenea. Si riconosceva l’esistenza di un limite alla divisibilit`a chimica: quelli che con i procedimenti disponibili non si riusciva a decomporre ulteriormente erano detti corpi semplici o elementi, dotati di propriet`a distintive. Nella terminologia dell’epoca si parlava di molecole costituenti e molecole integranti : le prime derivavano da una separazione fisica dei corpi e ne mantenevano tutte le propriet`a, eccettuata ovviamente la massa; le seconde, separate chimicamente, mostravano invece propriet`a differenti da quelle dei corpi dai quali derivavano. A queste si aggiungevano poi le ancora pi`u piccole molecole elementari. Su questi termini si costituir`a gran parte della fisica e della chimica dello stato aeriforme, che videro protagonisti —a cavallo dei secoli XVIII e XIX— Antoine-Laurent Lavoisier (1743-1794) e Pierre-Simon de Laplace (1749-1827).

Nella sua memoria del 1783, R´eflexions sur le flogistique [3] Lavoisier —nel por-tare un attacco a fondo contro i sostenitori della teoria del flogisto— trattando dei

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cambiamenti di stato riproponeva in maniera ampia e dettagliata la sua “ipotesi mo-lecolare”, gi`a esposta in precedenti lavori. Su questa ipotesi ritorner`a nel 1790, pi`u in dettaglio, il suo stretto collaboratore Armand-Jean-Fran¸cois S´eguin (1767-1835) nella memoria Sur quelques principaux ph´enom`enes chimiques [4] dove afferma:

“Tutti i corpi sono divisibili, ma si pu`o, col pensiero, arrivare a un tale punto di divisione, che le piccolissime porzioni supposte non possano pi`u essere di-vise senza cambiare di natura; sono queste ultime porziuncole che chiamiamo molecole. Le molecole sono o semplici, o composte; quando sono semplici, le si denomina assai indifferentemente molecole, atomi, molecole elementari. `E necessario osservare, relativamente a quest’ultima espressione, che nella nuo-va nomenclatura, il termine elemento `e sempre relativo allo stato delle nostre conoscenze; di conseguenza si attribuisce l’epiteto elementare, non soltanto a tutti i corpi semplici, ma anche a quelli i cui componenti non sono conosciuti.” ribadendo dunque la natura provvisoria dell’elenco lavoisieriano dei 33 elementi fino ad allora isolati. Notiamo che mentre risulta chiaro che cosa Lavoisier e S´eguin intendano per “elemento”, nella loro terminologia non c’`e distinzione tra atomo e molecola.

Forte della definizione lavoiseriana di elemento, John Dalton (1766-1844) ipotizz`o che ciascun elemento fosse caratterizzato dall’avere un proprio atomo, diverso da quelli di tutti gli altri elementi, soprattutto nel peso. L’atomo di Dalton [5] `e indivisibile e mantiene la propria individualit`a nelle reazioni chimiche in cui si combina con altri atomi a formare atomi composti (mentre atomi semplici sono quelli dei corpi semplici, o elementi ) secondo una legge detta delle proporzioni multiple. Nelle reazioni chimiche si conserva anche il peso atomico. Questo non `e determinabile in modo assoluto, ma `e valutabile relativamente al peso atomico di un elemento preso come riferimento. Assegnato un valore unitario all’atomo di idrogeno, Dalton assegnava all’ossigeno un peso atomico pari a 8, basandosi sulle quantit`a relative dei due elementi presenti nell’acqua, per la quale assumeva —seguendo un criterio di semplicit`a— una composizione esprimibile con la formula HO.

3. Le leggi delle molecole

Negli stessi anni Joseph Louis Gay-Lussac (1778-1850) enunciava la legge secondo la quale quando due sostanze gassose reagiscono tra loro per formare nuove sostanze, anch’esse gassose, i volumi dei gas reagenti e di quelli prodotti stanno tra loro in rapporti espressi da numeri interi e semplici. Anche la legge di Gay-Lussac, come quella di Dalton, suggeriva una natura discontinua delle sostanze in gioco. Essa presentava per`o vistose eccezioni se si accettava la visione di una interazione diretta, uno a uno, tra gli atomi dei corpi semplici reagenti. Cos`ı ad esempio nella formazione di acido cloridrico a partire da volumi uguali di idrogeno e cloro, il volume finale —anzich´e essere pari a quello dei due gas di partenza, dato che una particella di idrogeno e una di cloro associandosi dovevano dar luogo ad una sola particella di HCl— era esattamente doppio di quello atteso. `E a questo punto che entrano in scena Amedeo Avogadro (1776-1856) e Andr´e-Marie Amp`ere (1775-1836).

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Entrambi prendono le mosse dalla legge di Gay-Lussac. Il primo nel 1811 nel-la memoria Essai d’une mani`ere de d´eterminer les masses relatives des molecules ´

el´ementaires des corps, et les proportions selon lesquelles elles entrent dans ces com-binaisons [6]; il secondo nel 1814 con la Lettre de M. Amp`ere `a M. le Comte de Ber-thollet sur la d´etermination des proportions dans lesquelles les corps se combinent [7]. Per entrambi le sostanze gassose reagenti —sebbene semplici chimicamente— erano tuttavia in grado di dissociarsi in unit`a pi`u piccole per formare il prodotto finale anch’esso gassoso.

Per Avogadro, infatti, le molecole costituenti di un gas non coincidevano con le molecole elementari, ma risultavano dall’unione di pi`u molecole elementari (per noi: atomi), e potevano quindi suddividersi quando reagivano con altre sostanze, dando luogo a nuovi composti. Di fatto si ipotizzava la natura biatomica di gas come idroge-no, ossigeidroge-no, azoto, cloro, e ci`o in contrasto con chi (come l’autorevole chimico J¨ons Jacob Berzelius) negava la possibilit`a di associazione tra unit`a identiche, considerando l’interazione tra queste unit`a come essenzialmente di natura elettrostatica. Avogadro poteva cos`ı spiegare il fatto che facendo reagire un volume di H2 ed uno di Cl2 si ottenessero due volumi di HCl.

Implicita in questa posizione `e l’idea di mettere in relazione il numero di molecole con i volumi dei gas, considerati nelle stesse condizioni di temperatura e pressione:

“Bisogna dunque ammettere che esistono rapporti molto semplici tra i volumi delle sostanze gassose e il numero delle molecole semplici o composte che li formano. L’ipotesi che si presenta per prima a questo riguardo, e che sem-brerebbe la sola ammissibile, consiste nel supporre che il numero di molecole integranti in qualunque gas, `e sempre la stessa a parit`a di volume oppure `e sempre proporzionale ai volumi.” [6]

Posizione, questa, che egli ribadir`a successivamente in due memorie, l’una del 1814 [8], l’altra del 1821 [9]. In esse Avogadro fornisce un’indicazione estremamente importante: se volumi eguali di gas (nelle stesse condizioni di temperatura e pressione) contengono lo stesso numero di molecole, allora le densit`a di questi gas forniscono la misura relativa delle masse delle loro molecole. Si apriva cos`ı la strada —mediante la misura delle densit`a dei gas— al calcolo del peso molecolare relativo delle sostanze (e quindi dei pesi atomici degli elementi che le componevano, conoscendone da un’analisi chimica le abbondanze relative).

Nel 1814, Amp`ere [7] giunger`a in maniera indipendente alle stesse conclusioni, ma sulla base di una diversa ipotesi circa la struttura dei corpi e la loro capacit`a di com-binarsi. Egli, infatti, riteneva che essi fossero costituiti da molecole che aggregandosi davano luogo a particelle, enti fisici invarianti durante i cambiamenti di stato, dotate di una struttura spaziale poliedrica. Nelle reazioni allo stato gassoso erano queste particelle ad essere disgiunte in parti poi ricongiunte tra loro, risultando i loro numeri proporzionali ai volumi occupati. Era la forma geometrica dei corpuscoli dei reagenti a governare i fenomeni chimici allo stato gassoso.

Notiamo che n´e Avogadro n´e Amp`ere utilizzano il termine “atomi”, n´e quello di “molecole” come composte da questi. Ricordiamo infine che, mentre il principio di

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Fig. 1. – Stanislao Cannizzaro.

Avogadro nella sua formulazione moderna (volumi uguali di gas diversi nelle stesse condizioni di temperatura e di pressione contengono lo stesso numero di molecole) `e pienamente riconducibile al pensiero e alle intuizioni dello scienziato piemontese, la costante detta numero di Avogadro, fu a lui dedicata nel 1909 (cfr. sez. 7).

4. Stanislao Cannizzaro (1826-1910)

Dobbiamo a questa figura di scienziato e patriota (1) (fig. 1) la capacit`a di mettere

ordine nel caos terminologico della chimica di gran parte dell’Ottocento, a dimostra-zione del fatto che —come afferma Lavoisier— non si pu`o “migliorare una scienza senza migliorare il linguaggio e la nomenclatura che le appartengono”.

Nella Lezione sulla teoria atomica, tenuta a Genova nel 1858 [10], a proposito del fatto che la “mezza molecola” di idrogeno era la quantit`a minima di questo elemento che si ritrovava in tutti i composti idrogenati, egli affermava:

“Diamo a questa minima quantit`a il nome di atomo; per ci`o diciamo essere la molecola dell’idrogeno composta di due atomi. Nel dir ci`o noi non asseveriamo che ciascun di questi atomi non contenga parti distinte, ma non vogliamo altro esprimere che il seguente fatto: ciascuno di questi atomi non si subdivide mai in quella sfera di azioni chimiche che siamo giunti a produrre; potrebbe darsi che, estendendo i nostri mezzi analitici, giungeremo a scoprire una ulteriore divisione della mezza molecola di idrogeno.”

(1) Quando nel gennaio 1848 scoppiarono a Palermo i moti antiborbonici, Cannizzaro lasci`o i

suoi studi a Pisa per tornare nella sua Sicilia, dove prese parte attiva alla rivolta. A seguito del fallimento di questa, nel 1849, dovette riparare in Francia inseguito da una condanna a morte.

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(Circa una ulteriore divisibilit`a degli atomi, Cannizzaro rimarr`a possibilista, e tender`a a “scansare” la questione. N´e far`a ipotesi sulla natura del legame che tiene uniti gli atomi di una molecola.)

La posizione espressa nella Lezione viene ribadita nel Sunto di un corso di filosofia chimica [11], sempre del 1858, dove `e presente una decisa presa di posizione sulla validit`a del principio di Avogadro:

“Io credo che i progressi della scienza, fatti in questi ultimi anni, abbiano con-fermato l’ipotesi di Avogadro, di Amp`ere e di Dumas, sulla simile costituzione dei corpi allo stato aeriforme, cio`e che volumi eguali di essi, sieno semplici, sieno composti, contengono l’egual numero di molecole; non per`o l’egual nu-mero di atomi, potendo le molecole dei vari corpi, o quelle dello stesso corpo nei vari suoi stati, contenere un vario numero di atomi, sia della medesima natura, sia di natura diversa.”

arrivando cos`ı ad enunciare [11] la sua “legge degli atomi”:

“Una volta che si `e reso familiare ai giovani il valore dei numeri come sono disposti nel quadro precedente, `e facile condurli a scoprire la legge che resulta dalla loro comparazione. Comparate, dico loro, le varie quantit`a dello stesso elemento, contenute sia nella molecola del corpo libero, sia in quelle di tutti i diversi suoi composti, e non vi potr`a sfuggire la seguente legge: le varie quantit`a dello stesso elemento contenute in diverse molecole son tutte multiple intere di una medesima quantit`a, la quale, entrando sempre intera, deve a ragione chiamarsi atomo.”

Nel 1860, dopo aver sostenuto l’impresa garibaldina, Cannizzaro prese parte al primo congresso internazionale di chimica che si svolse a Karlsruhe, nel Baden-W¨ urt-temberg. Tra gli scopi del congresso vi era quello di raggiungere un accordo proprio sul significato da attribuire ai termini atomo e molecola. L’accordo non fu raggiunto, ma molti dei partecipanti poterono poi rileggere l’opuscolo a stampa del Sunto di Cannizzaro, che fu distribuito alla fine del congresso. A favore delle tesi di Canniz-zaro presero posizione Dmitrij Ivanoviˇc Mendeleev e Julius Lothar Meyer, entrambi autori, nel 1869, di un sistema periodico degli elementi basato sui pesi dei loro atomi, ricavati utilizzando il principio di Avogadro nella formulazione di Cannizzaro (2).

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E importante sottolineare come per Cannizzaro le nozioni di molecola e di atomo siano interdipendenti: lo afferma esplicitamente nel discorso di apertura del Congresso della Societ`a Italiana per il Progresso delle Scienze, da lui tenuto nel 1875 [12]

“Gli atomi cos`ı dimostrati non sono che una legge della composizione delle molecole, e non potr`a mai farsi dei primi un concetto indipendente da quello delle seconde.”

(2) Come oggi sappiamo, il corretto criterio ordinatore del sistema periodico non `e il peso atomico

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Altrettanto importante `e il suo esplicito riconoscimento [13] del fatto che era stato a partire dagli studi fisici sui gas che si era potuti arrivare a fare supposizioni fondate sulla composizione corpuscolare della materia e sui fenomeni chimici che in essa si svolgono:

“Non esito [. . . ] ad affermare che la base solida, la pietra angolare della teoria atomica moderna `e la teoria d’Avogadro e d’Amp`ere [. . . ] sulla costituzione de’ gas perfetti. [. . . ] Questa teoria `e il punto di partenza pi`u logico per rischia-rare le idee fondamentali di molecole e d’atomi e per dimostrischia-rare l’esistenza di quest’ultimi.”

Dunque per Cannizzaro gli atomi esistono, e se ne pu`o anche determinare il peso (relativamente alla “mezza molecola” di idrogeno) applicando la legge degli atomi, e cio`e ricavando il peso molecolare di composti gassosi dello stesso elemento dalla loro densit`a secondo l’indicazione di Avogadro, e quindi confrontando le rispettive composizioni al fine di determinare la quantit`a i cui multipli sono variamente presenti.

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E da notare infine come nella visione di Cannizzaro (cos`ı come in quella di Dalton) atomi e molecole siano caratterizzati fondamentalmente dal loro peso: infatti Canniz-zaro tendeva a ritenere irrilevanti le ipotesi geometrizzanti sostenute da Amp`ere, cos`ı come quelle derivanti dagli studi di Pasteur sulla chiralit`a (3).

5. Louis Pasteur (1822-1895)

Fin dal 1848 Pasteur aveva sostenuto la possibilit`a di un collegamento fra il mondo visibile delle strutture cristalline e quello invisibile delle molecole tramite gli studi di cristallografia e l’uso di quel reagente speciale che era la luce polarizzata. Se fino ad allora l’ipotesi atomico-molecolare era basata solo su dati chimici, per Pasteur occorreva considerare anche le propriet`a fisiche e quelle cristallografiche: in particolare l’attivit`a ottica.

Fin dai primi dell’Ottocento si era visto che questa era presente solo in cristalli dotati di strutture non sovrapponibili alla propria immagine speculare, e che le at-tivit`a ottiche delle due forme cristalline speculari —quando disponibili— risultavano di valore uguale ma di segno opposto. Il fenomeno non si osservava con cristalli di quarzo, dotati di struttura simmetrica. Esso si manifestava anche con alcune sostanze organiche.

Le ricerche di Pasteur si focalizzarono sugli acidi tartarici e sui loro sali, scoprendo che i cristalli del sale doppio di sodio e ammonio dell’acido tartarico erano in realt`a una miscela di due differenti tipi di cristalli, immagini speculari l’una dell’altra, ma non sovrapponibili comunque ruotate (fig. 2). Una volta disciolti separatamente in acqua i cristalli, le loro soluzioni ne mantenevano l’attivit`a ottica: ci`o indicava che tale propriet`a pi`u che ai cristalli era da attribuire alle molecole che li componevano.

(3) Il termine “chiralit`a” (dal greco χε´ıρ, mano) fu introdotto da Lord Kelvin nel 1894 per

indicare la simmetria di oggetti che, come le mani destra e sinistra, non sono sovrapponibili alla propria immagine speculare.

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Fig. 2. – I due antipodi ottici dei cristalli del tartrato doppio di sodio e potassio.

Dato che il sale “destro” e quello “sinistro” avevano tutte le altre propriet`a chimiche e fisiche identiche, la conclusione di Pasteur fu che le molecole possedessero strutture spaziali reciprocamente speculari, anche queste non sovrapponibili (chirali).

Sostenne inoltre che sostanze che non mostravano alcuna attivit`a ottica potevano risultare dalla mescolanza di un ugual numero di molecole destrogire e levogire, i cui effetti sulla luce polarizzata si compensavano.

In due lezioni tenute nel 1860 alla Societ´e Chimique de Paris [14], Pasteur espose i risultati generali delle sue esperienze sulla “dissimmetria molecolare” generalizzando tali osservazioni nel modo seguente:

“Se si considerano gli oggetti materiali [. . . ] sotto l’aspetto della loro forma e della ripetizione delle loro parti identiche, non si tarda a riconoscere che essi si dividono in due grandi classi [. . . ]: gli uni, se posti davanti a uno specchio, danno un’immagine a loro sovrapponibile; l’immagine degli altri, bench´e ne riproduca fedelmente tutti i dettagli, non potrebbe ricoprirli. [. . . ] Questi ultimi non possiedono un piano di simmetria. Sappiamo, d’altra parte, che i corpi composti sono aggregati di molecole identiche, formate esse stesse di insiemi di atomi elementari distribuiti secondo le leggi che ne regolano la natura, la proporzione e la disposizione. L’individuo, per ogni corpo composto, `e la sua molecola chimica, che `e un gruppo di atomi, ma non un gruppo alla rinfusa; al contrario in essa vi `e una disposizione molto ben determinata. [. . . ] [Le molecole, infatti, come gli oggetti di cui sopra], si distribuiscono in due classi: quelle a immagine sovrapponibile e quelle a immagine non sovrapponibile.” Tra le sostanze derivate da organismi viventi, osserv`o Pasteur, alcune erano solo destrogire e altre solo levogire (mentre la loro sintesi artificiale dava un prodotto otti-camente inattivo). Tale propriet`a poteva avere una ricaduta sulla loro reattivit`a chi-mica, poich´e messe a reagire con miscele di sostanze destro- e levogire si combinavano preferibilmente con uno solo dei due antipodi ottici (cos`ı come avviene generalmente nei sistemi viventi). Questa capacit`a delle sostanze otticamente attive di reagire tra di loro in maniera differenziata fu utilizzata da Pasteur per separare antipodi ottici non facilmente isolabili in altro modo. Ma questa stessa capacit`a lo port`o ad affermare

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che esistesse una “forza dissimmetrica” che distingueva il vivente dal mondo inorga-nico, e che era in grado di influenzare, orientandole, le affinit`a chimiche degli atomi e delle molecole in esso reagenti. L’interrogativo che si poneva Pasteur era quale fosse l’origine di questa forza. Forse poteva risiedere nell’azione della luce, del calore, del-l’elettricit`a, del magnetismo; oppure nella relazione del movimento della Terra con le correnti elettriche con la quale veniva spiegata l’esistenza dei poli magnetici terrestri. Il vivente sarebbe stato diverso se questa forza —ancora da definire— avesse invertito la prevalenza di un antipodo rispetto all’altro? Pasteur non dar`a risposte a queste domande, che a tutt’oggi per il vivente sono restate in parte inevase.

Da queste ricerche prender`a avvio una nuova disciplina: la stereochimica o la La chimie dans l’espace come scriver`a nel 1875 il chimico-fisico olandese Jacobus Henricus van ’t Hoff (1852-1911): la necessit`a di spiegarne le propriet`a ottiche portava a ipotizzare che le molecole avessero una struttura tridimensionale.

Nel 1874 lo stesso van ’t Hoff (Premio Nobel per la chimica nel 1901) ed il chimico Achille Le Bel (1847-1930) arrivarono contemporaneamente ad attribuire l’attivit`a ottica alla presenza nelle molecole di un atomo di carbonio asimmetrico (i cui quat-tro legami di valenza equivalenti, considerati disposti verso i vertici di un tetraedro regolare di cui il carbonio occupa il centro, sono saturati da gruppi diversi). L’i-potesi del carbonio tetraedrico, inizialmente avversata da molti chimici, si affermer`a definitivamente verso la fine del secolo.

6. Il moto browniano

Negli ultimi due decenni del 1800 divenne particolarmente aspra la polemica tra i sostenitori della visione detta “atomistica”, che aveva tra i suoi massimi esponenti Ludwig Boltzmann (1844-1906) e James Clerk Maxwell (1831-1879) (4), e la corrente

degli “energetisti”, che con Ernst Mach (1838-1916) e soprattutto Wilhelm Ostwald (1853-1932) insisteva sulla centralit`a e realt`a ontologica dell’energia nelle sue varie forme, relegando la visione “atomistica” al rango di un mero artificio, utile per il bilanciamento delle reazioni chimiche o per gli studi cinetici sullo stato gassoso. Per gli energetisti —in una forma di positivismo spinto all’estremo— i fatti da soli, senza alcuna costruzione concettuale, potevano e dovevano produrre conoscenza scientifica. Il fatto che fosse impossibile osservare direttamente gli atomi o le molecole impediva dunque di accettarne l’esistenza. Ancora agli inizi del ‘900 la comunit`a scientifica era divisa a questo proposito.

Tanto pi`u straordinaria ci appare oggi la pubblicazione, nel maggio del 1905, del-l’articolo ¨Uber die von der molekularkinetischen Theorie der W¨arme gefordete Bewe-gung in ruhenden Fl¨ussigkeiten suspendierte Teilchen [15] (Sul moto di piccole parti-celle sospese in liquidi in quiete secondo la teoria cinetico-molecolare del calore) del

(4) In realt`a Maxwell non parla di atomi ma di molecole composte da “porzioni di materia

distinte, tenute insieme da legami chimici”, mentre Boltzmann adotter`a la nomenclatura (atomi e molecole) che si afferma molto lentamente dopo il congresso di Karlsruhe.

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giovane Albert Einstein (allora 26enne impiegato dell’Ufficio Brevetti di Zurigo). Il lungo titolo dell’articolo non sembra tale da farne intuire la straordinaria portata. Ma questa si rivela se si considera che vi si tratta di un fenomeno —il moto browniano— che si pone al limite tra il macroscopico e il microscopico, rendendo osservabile l’effet-to di urti a livello molecolare su particelle in sospensione. La trattazione di Einstein apre di fatto la via allo studio dei processi stocastici.

Nel lontano 1837 il botanico scozzese Robert Brown (1773-1858) aveva osservato al microscopio il moto erratico di granuli di polline in sospensioni acquose, ed era stato in grado di escludere che fosse dovuto a correnti nel liquido, o a ipotetiche forze vitali, dato che lo stesso accadeva con particelle inorganiche di simili dimensioni. L’osservazione rimase senza spiegazione.

Nell’apertura del suo lavoro del 1905 Einstein fa riferimento alla questione: “ `E possibile che il moto qui discusso sia identico al cosiddetto “moto molecolare Browniano”; tuttavia i dati a me disponibili sono cos`ı imprecisi che non ho potuto formarmi un giudizio in proposito.”

Una particella, tipicamente di dimensioni dell’ordine di 1 μ, sospesa in un mezzo acquoso, subisce da parte delle molecole del mezzo un numero di collisioni per unit`a di tempo cos`ı elevato da rendere assolutamente impossibile seguire il suo moto istante per istante. Il procedimento seguito da Einstein `e di prevederne il comportamento medio assumendo che il suo moto sia determinato da due forze: a) quella di attrito con il fluido, espressa dalla legge di Stokes (−6πηrv, dove η `e la viscosit`a del fluido, r il raggio della particella, e v la sua velocit`a), e b) quella impulsiva, dovuto agli urti con le molecole del fluido. Assume altres`ı che il contributo b) sia di natura puramente casuale, su tempi (10−12–10−11sec) di molti ordini di grandezza inferiori al tempo tipico del contributo di Stokes (10−7sec).

Partendo da queste ipotesi Einstein deriva lo spostamento quadratico medio al tempo t, x(t)2, della particella dal suo punto di partenza. La media quadratica dello spostamento risulta essere proporzionale al tempo t tramite un coefficiente di diffusione D = kBT /6πηr, dove T `e la temperatura assoluta, e kB `e la costante di Boltzmann (pari al rapporto R/NA tra la costante dei gas e il numero di Avoga-dro, ovvero il numero di molecole (o atomi nel caso di una sostanza monoatomica) contenute in una mole di una generica sostanza).

La relazione linearex2 = 2Dt prevista da Einstein pone dunque in relazione una quantit`a misurabile (lo spostamento quadratico medio) con quantit`a “microscopiche” (NA). Einstein nota che se questa previsione risultasse errata, ci`o rappresenterebbe un valido argomento contro la teoria cinetico-molecolare, ed in chiusura auspica che “un ricercatore riesca presto a risolvere il problema qui posto che `e di tale impor-tanza per la teoria del calore”. L’imporimpor-tanza che riveste tale verifica riguarda da un lato la validit`a dell’ipotesi molecolare per la struttura della materia, dall’altro la vali-dit`a in senso statistico —e non assoluto— del secondo principio della termodinamica (apparentemente violato dal moto incessante delle particelle sospese, in condizioni di equilibrio termico).

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Fig. 3. – Tre delle tracce ottenute da Perrin. I punti indicano le posizioni delle particelle a intervalli di 30 sec. (1 div = 3,125 μ).

Tre anni dopo, nel 1908, la prova auspicata da Einstein fu annunciata da Jean-Baptiste Perrin (1870-1942). La preparazione di sospensioni di particelle sferiche (di lattice o di resine vegetali, in miscele di acqua e metanolo) di raggio uniforme, sele-zionate per mezzo di centrifugazioni ripetute, era stata particolarmente laboriosa. Si era trattato poi di ottenere condizioni tali che, nel campione da osservare al microsco-pio, le particelle sedimentassero formando un gradiente stabile di concentrazione sotto l’azione della gravit`a e del moto browniano. La diluizione del campione e l’ingran-dimento del microscopio erano regolati in modo che un campo visivo non contenesse pi`u di 4 o 5 granuli. Utilizzando un microscopio dotato di camera lucida (dispositivo che permette di osservare contemporaneamente la particella e la sua proiezione su un foglio di carta) Perrin e il suo assistente, alternandosi, poterono inseguire singole particelle marcandone la posizione sul foglio a intervalli di tempo di 30 secondi, “al richiamo uno dell’altro”.

Tre di tali percorsi sono mostrati in fig. 3, dove i punti marcati sono collegati da segmenti di retta. Utilizzando tracce di questo tipo, realizzate in molti esperimenti con granuli di vario diametro, fu possibile ottenere la conferma [16] della previsione della dipendenza lineare dal tempo dello spostamento quadratico medio, nonch´e una stima del numero di Avogadro in ottimo accordo con le stime ricavate con altri metodi, alcune delle quali ottenute dallo stesso Perrin. Questo risultato valse a Perrin il Premio Nobel nel 1926. (Era stato lo stesso Perrin, nel 1909, a proporre di dedicare alla figura di Avogadro la costante in questione.)

La limpidezza della prova spinse Ostwald ad ammettere che questi risultati “auto-rizzano anche lo scienziato pi`u cauto a parlare di prove sperimentali della costituzione atomistica della materia”. (Notiamo come con la dizione “costituzione atomistica” si intendesse ancora genericamente la struttura corpuscolare e discreta della materia.)

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7. Invertire la prospettiva

Nei corsi di fisica, sia a livello di scuola secondaria che a livello universitario, per fornire la nozione di molecola non si segue il complicato percorso che abbiamo qui descritto. Invertendo il processo storico si parla prima della struttura dell’atomo, e successivamente dell’interazione di pi`u atomi a formare una molecola (informazioni elementari in questo senso vengono impartite fin dalla scuola primaria).

Ci`o `e ben comprensibile, e didatticamente efficace. Il dibattito sull’esistenza di atomi e molecole che ha tenuto banco fino alla prima decade del ’900 oggi non ha pi`u diritto di cittadinanza. Il problema di come fosse possibile che due atomi iden-tici potessero combinarsi a formare una molecola —il problema che aveva ostacolato l’accettazione del principio di Avogadro, e che era rimasto aperto anche dopo gli esperimenti di Perrin— ha trovato soluzione a partire dagli anni ’30 del secolo scorso grazie alla teoria del legame covalente [17] formulata da Linus Pauling (1901-1994) nel 1931, a valle del suo soggiorno presso l’Istituto di Fisica Teorica di Monaco di Baviera, diretto da Arnold Sommerfeld. La meccanica quantistica ed il principio di esclusione di Pauli rendono ben conto della struttura degli orbitali atomici e della loro combinazione in orbitali molecolari.

Oggi procedimenti di chimica computazionale vengono applicati —con opportune approssimazioni— allo studio di strutture molecolari sempre pi`u complesse. Dagli anni ’90 del secolo scorso, inoltre, disponiamo di tecniche di ultramicroscopia (STEM, o Scanning Tunneling Electon Microscopy, e AFM, o microscopia a forza atomica) che permettono di visualizzare direttamente molecole e atomi.

La scelta didattica prevalente appare quindi del tutto ragionevole. Tuttavia ri-prendere il filo degli eventi che hanno portato a precisare l’idea di molecola dopo il 1860, e poi a dimostrarne l’esistenza attraverso lo studio del moto browniano, corri-sponde a un rovesciamento di prospettiva che pu`o gettare nuova luce su fatti e concetti dati per scontati, e far riflettere sui processi di formazione di paradigmi nel pensiero scientifico.

Letture consigliate

Ciardi M., Breve storia delle teorie della materia (Carocci, Roma) 2003.

Di Meo A., Atomi e molecole nella chimica del XIX secolo, in AA.VV. Molecole (CUEN, Napoli) 2001.

Cannizzaro S., Sunto di un corso di filosofia chimica, con commento e nota storica di L. Cerruti e introduzione di L. Paoloni (Sellerio, Palermo) 1991.

Cannizzaro S., La teoria atomica e molecolare, introduzione e cura di Di Meo A. (Teknos, Roma) 1994.

Einstein A., Investigation on the Theory of the Brownian Motion, edited by F¨urth R.(Dover Publ., Inc) 1956.

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Bibliografia

[1] Bernier F., Abr´eg´e de la philosophie de Gassendi, t. 7 (Anisson et Posuel, Lyon) 1678, p. 711.

[2] Descartes R., R´eponse de M. Descartes `a M. Morus, in Descartes R., Œuvres de Descartes, publi´ees par V. Cousin, Vol. 10 (Levrault, Paris) 1825, pp. 193 sgg.

[3] Lavoisier A.-L., “R´eflexions sur le phlogistique”, Mem. Acad. R. Sci. Paris, 1783 (1786) 505; anche in Œuvres de Lavoisier (Imprim´erie Imperiale, Paris) 1862, pp. 623–655.

[4] S´eguin A.-J.-F., Sur quelques principaux ph´enom`enes chimiques (1790), in Lavoisier A.-L.,

Memoires de chimie, ´edit´es par Mme A.-M. Paulze Lavoisier (Paris) 1805, pp. 150–151.

[5] Dalton J., A new system of chemical philosophy (1808) (Owen, London) 1965, pp. 162 sgg.

[6] Avogadro A., “Essai d’une mani`ere de d´eterminer les masses relatives des molecules ´el´ementaires des corps, et les proportions selon lesquelles elles entrent dans les combinaisons”,

J. Phys. (Paris), 73 (1811) 58. Questa e le altre due memorie di Avogadro tradotte in italiano

sono in Di Meo A., Storia della chimica in Italia (Theoria, Roma) 1989 (seconda ed. Vignola, Roma) 1995.

[7] Amp`ere A.-M., “Lettre de M. Amp`ere `a M. le Comte de Berthollet sur la d´etermination des proportions selon lesquelles les corps se combinent d’apr`es le nombre et les dispositions respec-tive des molecules dont leur parties int´egrantes sont compos´ees”, Ann. Chim. Phys., 90 (1814) 43.

[8] Avogadro A., “M´emoire sur les masses relatives des mol´ecules des corps simples, ou densit´es pr´esum´ees de leur gaz, et sur la constitution de quelques-uns de leur compos´es”, J. Phys.

(Paris), 78 (1814) 131.

[9] Avogadro A., “Nouvelles consid´erations sur la th´eorie des proportions d´etermin´ees dans les combinaisons, et sur la d´etermination des masses des mol´ecules des corps”, Mem. R. Accad.

Sci. Torino, 26 (1821) 1.

[10] Cannizzaro S., “Lezione sulla teoria atomica fatta nella R. Universit`a di Genova nell’anno 1958”, Liguria medica, nn. 5-6, riportata in Cannizzaro S., Scritti intorno alla teoria

mole-colare ed atomica, (Lo Statuto, Palermo) 1896, pp. 57–83. Anche in Di Meo A., Storia della chimica in Italia (Theoria, Roma) 1989.

[11] Cannizzaro S., “Sunto di un corso di filosofia chimica fatto nella R. Universit`a di Genova. Lettera del prof. Stanislao Cannizzaro al prof. S. De Luca”, Nuovo Cimento, 7 (1858) 321, riportato in Cannizzaro S., La teoria atomica e molecolare, introduzione e cura di Di Meo A. (Teknos, Roma) 1994.

[12] Cannizzaro S., “Discorso di apertura della Classe III del I Congresso della SIPS”, Gazz. Chim.

Ital., 5 (1875) 354, riportato in Cannizzaro S., Scritti intorno alla teoria molecolare ed atomica

(Lo Statuto, Palermo) 1896, pp. 333–355.

[13] Cannizzaro S., “Sui limiti e sulla forma dello insegnamento teorico della chimica”, Gazz. Chim.

Ital., 2 (1872) 302, riportato in Cannizzaro S., Scritti intorno alla teoria molecolare ed atomica

(Lo Statuto, Palermo) 1896, pp. 295–330.

[14] Pasteur L., “Recherches sur la dissym´etrie mol´eculaire des produits organiques naturels”, in

Le¸cons de chimie profess´ees en 1860 en la Soci´et´e chimique de Paris (Hachette, Paris) 1861,

pp. 1–26 e 27–48. Anche in Oeuvres de Pasteur, t. 1 (Masson, Paris) 1922, pp. 314–345.

[15] Einstein A., “ ¨Uber die von der molekularkinetischen Theorie der W¨arme gefordete Bewegung in ruhenden Fl¨ussigkeiten suspendierte Teilchen” Ann. Phys. (Leipzig), 17 (1905) 549.

[16] Perrin J., “Mouvement Brownien et r´ealit´e mol´eculaire”, Ann. Chim. Phys., 18 (1909) 5, tradutione inglese di Soddy F., Brownian Motion and Molecular Reality (Taylor and Francis, London) 1910.

[17] Pauling L., “The Nature of the Chemical Bond. Applications of Results Obtained from the Quantum Mechanics and from the Theory of Paramagnetic Susceptibility to the Structure of Molecules”, J. Am. Chem. Soc., 53 (1931) 1367, e The Nature of the Chemical Bond, and the

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