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In ricordo di un Maestro: il Prof. Augusto Palmonari

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Academic year: 2021

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Il 20 ottobre 2016 ci ha lasciato il Prof Augusto Palmonari, Professore Emerito presso l’Alma Mater, Dottore honoris causa dalla Faculté de Psychologie et Sciences de l’Education dell’Università di Ginevra fondatore della Psicologia Sociale in Italia. Direttore della Scuola di Servizio Sociale IRESS di Bologna dal 1973 al 1977; Coordinatore del Dottorato di Ricerca in Psicologia, istituito presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna dal 1982 al 1991 e dal 1995 al 2000, Direttore dello stesso Dipartimento di Scienze dell’Educazione nel triennio 1985/87. È stato inoltre direttore del CIRUP (Centro Interdipartimentale di Ricerca Università per la Pace dell’Università di Bologna ) e del CIRVIS (Centro Interdipartimentale di Ricerca sulla Vittimologia dell’Università di Bologna). Responsabile dell’Unità di Ricerca su “Prevenzione della Tossicodipendenza” del Consiglio Nazionale delle Ricerche dal 1983 al 1988; Coordinatore del Gruppo Nazionale di Ricerca MURST su “Processi del sé e dell’identità: studi sull’influenza di situazioni sociali ordinarie e critiche” (1995/98) Coordinatore del Gruppo Nazionale di Ricerca MURST su “Stili parentali e processi di socializzazione in adolescenza” (2003/05).

Collaborando con prestigiose sedi europee e nord-americane per la ricerca in psicologia sociale, ha studiato il funzionamento dei gruppi sociali, le relazioni tra gruppi, i processi di influenza e di costruzione dell’identità sociale, la psicologia sociale dell’adolescenza.

Queste note sulla sua carriera, per quanto imponenti, non permettono tuttavia di comprendere l’importanza del ruolo svolto da Palmonari in ambito scientifico, accademico e soprattutto istituzionale. Egli, che ricordava la sua iniziale vocazione per la Psichiatria, e la sua successiva scelta di specializzarsi in Psicologia, è stato tra gli artefici della rivoluzionaria contaminazione tra queste due discipline. Determinante poi è stato il suo apporto nella costituzione della figura dell’assistente sociale.

Qualche mese fa, nonostante la malattia già lo avesse colto, prese parte al forum "Humanitas: quo vadis?” (curato dal Prof Gian Paolo Guaraldi e pubblicato su questa stessa rivista) con un lungo scritto, riportato solo parzialmente. Oggi si ritiene opportuno e prezioso proporre l’intervento del Prof Palmonari nella sua interezza, così che si possa meglio apprezzare la ricchezza delle sue parole.

Con toni autobiografici egli narra delle sue scelte accademiche: nel clima socio-politico dell’Italia degli anni ’60/’70, pur non essendo psichiatra, egli scelse di occuparsi di devianza minorile, recupero delle tossicodipendenze e deistituzionalizzazione, riconoscendo in questi temi un’importanza sociale, che valica i confini di una sola specialità medica, e ciò lo portò a strutturare il concetto di Psicologia Sociale. Mentre il gruppo di Basaglia si occupava di aprire le porte dei manicomi, egli contribuiva a tenere alta l’attenzione per il supermento delle istituzioni per minori disagiati, poiché considerava le due “battaglie” in continuità, antesignano sostenitore dell’assistenza territoriale anche per i minori.

Egualmente, mentre la Psichiatria classica trascurava l’età evolutiva, sulla scia del sua Maestro, Prof. Canestrari, egli si occupava di adolescenza con passione: ne è una prova la sua longeva collaborazione con la Casa Editrice il Mulino, con la quale pubblicò numerosi volumi, pietre miliari per chi oggi si accosta alla Psicologia dell’adolescenza.

Sulla base della sua esperienza egli aveva individuato ciò che oggi impedisce una presa in carico che prediliga la care rispetto alla therapy. Palmonari criticava il trattamento scotomizzato della persona che soffre, che scompone l’unicità del malato in organismi e appartati isolati: il progredire della scienza ci permette di trattare una patologia con le tecniche più all’avanguardia, ma non ci si sofferma più di tanto sul vissuto e sulla sofferenza dell’uomo. Ciò che secondo Palmonari allontana la società oggi dalla cura di chi soffre è indubbiamente la titanica burocrazia alla quale i curanti devono in larga misura adempiere, con il rischio paradossale che per documentare l’appropriatezza e l’efficacia del proprio lavoro clinico, si trascura la clinica stessa: si vedono più computer che pazienti.

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Testimone dei più radicali cambiamenti che il nostro Paese ha affrontato nei confronti della Salute Mentale, prima di altri ebbe l’idea, purtroppo mai concretizzatasi, di studiare gli esiti reali della deistituzionalizzazione, volendo egli verificare, a distanza anni, le condizioni sociali e di salute di coloro i quali avevano vissuto in prima persona il superamento degli ospedali psichiatrici. La ricerca non poté essere portata a termine per mancanza di fondi, sostenendo, in accordo con il saggio di Guaraldi, che nel mondo accademico la ricerca sociale sul campo è scarsamente apprezzata se non svalutata, e di conseguenza poco sostenuta. Lo studio non era certo da considerarsi come mera curiosità intellettuale, bensì come utile mezzo per far tesoro di sudate conquiste, che purtroppo rischiano di essere presto dimenticate. Egli si chiedeva infatti quanto oggi le esperienze del passato siano considerate come cultura consolidata o al contrario, di fronte alle difficoltà, si tenti con fatica di ricominciare sempre da capo.

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