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Che cosa significa "l'architettura della città"?

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Academic year: 2021

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a cura di Fernanda de Maio, Alberto Ferlenga, Patrizia Montini Zimolo

Fernanda De Maio, laureatasi presso la Facoltà di Architettura di Napoli, è stata borsista

dell’Akademie Schloss Solitude di Stoccarda dove ha condotto una ricerca su Paul Bonatz, i cui esiti sono poi confluiti nella monografia Wasser-Werke (Edition Solitude, Stuttgart).

È dottore di ricerca in Progettazione urbana e dal 2005 professore associato presso l’Università Iuav di Venezia. Come componente dello studio Na.o.Mi. ha partecipato a diversi concorsi

di architettura nazionali e internazionali esposti in mostre, tra cui l’8. Biennale di Architettura di Venezia e La Biennale di Arti Visive di Venezia del 2001, ottenendo segnalazioni e premi. Coordina ricerche e seminari nazionali e internazionali e suoi saggi e progetti sono stati pubblicati in libri e riviste internazionali di settore.

Alberto Ferlenga si laurea in Architettura al Politecnico di Milano. Professore ordinario di Progettazione architettonica presso l’Università Iuav di Venezia, dopo esserlo stato

per dodici anni all’Università “Federico II” di Napoli, è stato visiting professor in diverse università del Nord e del Sud America. È stato a lungo redattore di «Lotus» e poi di «Casabella».

Dal 2008 dirige la Scuola di dottorato dell’Università Iuav di Venezia. Fonda e anima molti seminari e workshop internazionali, il dottorato internazionale di architettura Villard d’Honnecourt e diverse collane editoriali. Curatore di importanti mostre, tra cui quella su Aldo Rossi al Beaubourg del 1991 e le successive alla Triennale di Milano e al Maxxi. Sue sono, tra le altre, le monografie Electa su Aldo Rossi e Dimitri Pikionis. Progetti e realizzazioni sono pubblicati

sulle principali riviste internazionali.

Patrizia Montini Zimolo è architetto e professore di Composizione architettonica e urbana all’Università Iuav di Venezia, dove è stata assistente di Aldo Rossi dal 1987 al 1997 e attualmente è membro del collegio docenti del Dottorato in Composizione architettonica.

La sua attività di progetto e di ricerca, centrata sul rapporto architettura/città e sulla registrazione dei differenti fenomeni urbani, è stata ampiamente documentata in esposizioni di architettura, tra cui la Biennale di Architettura di Venezia del 1985 e la Triennale di Milano del 1995, e in pubblicazioni italiane e straniere. Ha svolto attività d’insegnamento e promosso workshop internazionali in università europee. Negli ultimi anni sta sviluppando esperienze

di progettazione sull’architettura sostenibile in territorio africano.

Tra le sue pubblicazioni: Berlino ovest, tra continuità e rifondazione (Officina, Roma 1987), L’architettura del museo (Città studi, Milano 1995), Il progetto del monumento tra memoria

e invenzione (Mazzotta, Milano 2000), Aldo Rossi e Venezia, il teatro e la città (Unicopli, Milano 2002), Sotto sopra. Le forme del movimento nella città antica (in Forme del movimento.

Progetti per infrastrutture lineari in contesti storici e ambientali di rilievo, a cura di Gianni Fabbri, Officina, Roma 2008). A LD O R OSSI, L A ST ORI A DI UN LIBR O

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ISBN 978-88-7115-851-8 e 35 ,00

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POLIGRAFO

Pubblicato nel 1966 da Aldo Rossi, allora poco più che trentenne, L’architettura della città si è da subito rivelato una pietra di paragone con cui la cultura architettonica avrebbe dovuto confrontarsi negli anni a venire, diffondendosi nelle università di tutto il mondo e contribuendo in modo decisivo alla crescita di una generale consapevolezza

sull’importanza dello studio della città, non solo nei suoi aspetti economici e politici, ma, soprattutto, in quelli architettonici e formali.

I contributi raccolti in questo volume ripercorrono e illuminano, a quasi cinquant’anni dalla sua prima edizione, il contesto storico e culturale da cui il libro trae origine e delineano lo specifico apporto di Aldo Rossi alla ridefinizione di una teoria dell’architettura, rivelando come i temi e le questioni da lui portate in luce siano ancora la base di discussioni ampie e attuali.

Ed è proprio in questa “attualità” del testo – nei suoi effetti diretti, indiretti

o collaterali – che si valuta la portata innovativa di un lavoro intellettuale che è anche racconto autobiografico: il tentativo esaltante, ma allo stesso tempo complesso, di ri-nominare un mondo dopo che i presupposti teorici delle passate letture sono venuti meno.

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Aldo Rossi, lA stoRiA di un libRo

L’architettura della città, dal 1966 ad oggi

a cura di

Fernanda De Maio Alberto Ferlenga Patrizia Montini Zimolo

with english translation

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traduzioni

Fulvia Andri Fernanda De Maio María García Garmendia Alexander Pellnitz Milvia Vallario

progetto grafico

Il Poligrafo casa editrice Laura Rigon

copyright © dicembre 2014 Università Iuav di Venezia Il Poligrafo casa editrice Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova

piazza Eremitani - via Cassan, 34 tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it

ISBN 978-88-7115-851-8

Comitato scientifico per le iniziative editoriali dell’Università Iuav di Venezia

Guido Zucconi (presidente), Andrea Benedetti, Renato Bocchi

Serena Maffioletti, Raimonda Riccini, Davide Rocchesso, Luciano Vettoretto I volumi della collana Iuav - Il Poligrafo

sono finanziati o cofinanziati dall’Ateneo

Il presente volume raccoglie gli atti del Convegno internazionale di studi

“L’architettura della città di Aldo Rossi nel 45° anniversario della prima pubblicazione” Venezia, Palazzo Badoer, 26-28 ottobre 2011

Scuola di Dottorato, Università Iuav di Venezia

ringraziamenti

Archivio Progetti Iuav, Germano Celant, Fondazione Aldo Rossi, Peter Hefti,

Marilena Malangone, Molteni&C, Fausto Rossi, Vera Rossi, Chiara Spangaro, Pietro Tomasi

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indice

11 Nota dei curatori

introduzioni

15 A due anni dal ’68

L’architettura della città e la conquista di una libertà intellettuale Alberto Ferlenga

23 Le lezioni veneziane

Patrizia Montini Zimolo

39 Alla ricerca della propria architettura

Fernanda De Maio

Parte prima

il contesto culturale alle origini del saggio

49 Aldo Rossi e la Marsilio

Cesare De Michelis

55 Il razionalismo esaltato di Aldo Rossi

Antonio Monestiroli

63 «Eravamo tutti comunisti»

Gianni Fabbri

71 Città, periferia, territorio

Mary Louise Lobsinger

81 The Arezzo connection.

Brevi note sul rapporto tra Ludovico Quaroni e Aldo Rossi Pippo Ciorra

87 Da “giovane delle colonne” a L’architettura della città

Serena Maffioletti

103 Dal Manuale d’urbanistica a L’architettura della città: le radici del testo

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109 Progetti e contributi teorici di Rossi, 1962-1963: verso la fondazione di una “metodologia scientifica” per L’architettura della città

Beatrice Lampariello

123 Cut-ups: L’architettura della città come collage

Diogo Seixas Lopes 133 Da Barcellona a Santiago.

Visioni della Spagna ne L’architettura della città

Carolina B. García Estévez

143 La bella e moderna città policentrica veneta

Manlio Michieletto

Parte seconda

la geografia della diffusione

155 Alcune precisazioni relative ai viaggi di Aldo Rossi in America Latina

Tony Díaz Del Bó

163 Letture di L’architettura della città in America Latina: uno scambio tra argentini e cileni alla fine degli anni Settanta

Horacio Torrent, Gisela Barcelos de Souza

177 Tradurre Rossi: da Buenos Aires a New York

Ana Maria León

191 The architecture of the city: Rossi e gli “alleati” d’oltreoceano Ernesto Ramon Rispoli

201 L’architettura della città: da Zurigo a Nantes Thierry Roze

213 Rossi e la Germania.

Traduzione e ricezione del libro L’architettura della città

Alexander Pellnitz

229 L’architettura come fatto Vassiliki Petridou 237 Aldo Rossi in Svizzera

Alessandro Pretolani

Parte terza

le conseguenze di un insegnamento

247 Se ogni città possiede un’anima

Luca Ortelli

255 La città in sospensione: Aldo Rossi e la permanenza patologica Can Onaner Sezione Prima il contesto cultu-rale alle origini del saggio the cultural context for the essay

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265 Che fine ha fatto l’architettura analoga?

Il significato dell’immagine in Aldo Rossi e Valerio Olgiati Cameron McEwan

299 Il fatto urbano e il frammento architettonico.

Note su alcune congetture della forma urbana 1963-1973

Roberto Damiani

309 Attualità della città per parti

Lina Malfona

315 L’architettura della città e l’architettura dei luoghi.

Per una possibile costruzione rossiana della nozione di paesaggio

Chiara Visentin

325 >1966>architettura razionale_1973>oggi

Renato Capozzi, Ivano La Montagna, Federica Visconti

337 «La città ha per fine se stessa» Jean-Philippe de Visscher

349 Che cosa significa “l’architettura della città”?

Pier Paolo Tamburelli

355 Autonomia dell’architettura e dispositivi critici. Per una genealogia di figli unici

Francesca Belloni

Parte quarta

mostra

367 L’architettura della città: dal libro alla mostra

Antonella Indrigo

373 Aldo Rossi: cenni biografici

375 Abstracts

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che cosa significa “l’architettura della citt”?

pier paolo tamburelli

1. per intendere il senso di L’architettura della città è necessario ricostruire il pun-to di osservazione che aldo rossi sceglie per scrivere il libro. anzitutpun-to è importan-te sottolineare che rossi scrive L’archiimportan-tettura della città come archiimportan-tetto “moderno”. rossi critica il Movimento Moderno in architettura a partire da una compiuta, e in qualche misura persino scontata, esperienza della modernità. Questa modernità “vis-suta” – piuttosto che teoricamente affermata – di rossi dipende dal suo profondo rapporto con la Milano innovativa e cosmopolita degli anni Sessanta1 ed è

fonda-mentale per capire il grande ottimismo del libro di rossi. Il cosmopolitismo della città e del mondo intellettuale che la circondano ha immediate conseguenze sul libro. Le fonti di L’architettura della città sono infatti estremamente eterogenee, includendo autori contemporanei estranei all’architettura (anche autori “di moda”, in un certo senso), classici e autori locali riletti alla luce di un’esperienza internazionale. Questo cosmopolitismo di partenza, oltre ad inserire da subito L’architettura della città in un dibattito internazionale, consente una valutazione spassionata della situazione culturale italiana, su cui, per rossi, vale la pena di dare un giudizio articolato, non appiattito in un autoproclamato provincialismo. rossi non si mette mai nella nefasta posizione dell’emarginato, della voce che predica nel deserto. Sa di essere ascoltato. I suoi argomenti sono esposti senza rancore, senza esagerazioni che li possano rendere immediatamente innocui, immediatamente improduttivi.

L’architettura della città restituisce ancora oggi il contesto in cui è stato prodotto.

Il libro è scritto avendo presenti i quartieri INa-casa, i soggiorni con il tavolo di formi-ca e i bicchieri Duralex, i primi televisori e i primi programmi della televisione italia-na con Miitalia-na e adriano Celentano. L’architettura della città è molto meno “autonoma” di quanto si creda e l’impegno politico di rossi non è nell’adesione a un fantomatico “progetto dell’autonomia”2, ma nel confronto quotidiano e realista con la città

con-temporanea. anche l’ipotesi di città che emerge dal libro non è qualcosa di astratto, ma è chiaramente basata sui problemi e sulle potenzialità delle città italiane degli anni Sessanta. La proposta di L’architettura della città per le città italiane dell’epoca non è né incomprensibile, né assurda e nemmeno troppo originale. L’architettura della città è il tentativo di immaginare nuovamente la possibile coesistenza dei differenti pezzi di città. Il problema, che va visto alla luce di quello che per rossi è il completo fallimento dei “quartieri”, del “neorealismo”, e di tutta la stagione dell’edilizia sociale italiana del dopoguerra, è di costruire un’interpretazione della città che possa comprendere la complessità dei differenti episodi e allo stesso tempo suggerire un modo per combi-nare tra loro questi episodi.

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pier paolo tamburelli 350

2. anche se L’architettura della città e Complexity and Contradiction in Architecture3

segnano in qualche modo uno spartiacque – e quindi questi due libri vengono solita-mente letti assieme al dibattito che ne segue – è importante individuare i problemi che definiscono lo spazio in cui si colloca il libro. esso si inscrive infatti all’interno di un dibattito internazionale ben preciso e si pone di fronte ad alcune opzioni ben definite. I problemi di rossi sono gli stessi dei suoi coetanei europei: gli stessi degli Smithsons, di Stirling, di Ungers, di Van eyck. per tutti questi architetti è fondamentale l’espe-rienza dell’ultimo Le Corbusier.

Nel dicembre 1960 rossi scrive per «Casabella» un saggio sul convento di La tou- rette. egli riassume così la percezione del lavoro recente dell’architetto svizzero:

Nell’opera di Le Corbusier si indicavano alcune nuove e pericolosissime tendenze, alcune prospettive minacciose e alcune questioni insolute, tali da considerare precario l’avvenire stesso dell’architettura moderna.4

Le Corbusier è quindi “pericolosissimo” e “minaccioso”, eppure:

io credo che la complessità sempre maggiore degli avvenimenti, la difficoltà a definire i confini stessi dell’architettura in un’epoca che rende labili i confini di ogni disciplina, il crollo delle teorie non suffragate dalle opere e dagli avvenimenti, tutte queste cose tendo-no a dare ragione, sempre di più, all’opera di Le Corbusier.5

rossi dà ragione a Le Corbusier, ma su cosa? In effetti rossi non sembra sapere bene su cosa Le Corbusier abbia ragione. È ammirato come artista dalla capacità di Le Corbusier di salire ogni volta sulla luna tenendosi per il codino come il barone di Münchhausen, ma non può che rilevare la totale mancanza di spiegazioni da parte del maestro svizzero. Gli edifici dell’ultimo Le Corbusier sembrano annunciare una nuova architettura, sembrano stabilire un nuovo legame con «la complessità sempre maggiore degli avvenimenti», ma non espongono minimamente la nuova lettura del-la società e deldel-la città che sottintendono. In un certo senso L’architettura deldel-la città è un tentativo di costruire questa teoria mancante. Il convento di La tourette e il Campidoglio di Chandigarh – oltre ai primissimi edifici di rossi – sono forse anche gli edifici che meglio illustrerebbero l’architettura che il libro lascia intravedere.

rossi riconosce nell’ultimo Le Corbusier un problema e vede la necessità di una revisione dei principi del Movimento Moderno molto più profonda di quella tentata da alcuni compagni di Le Corbusier, come ad esempio quella che informa i Nine Points

on Monumentality di Giedion, Léger e Sert (1943) e poi The Eternal Present di Giedion

(1964). per rossi, la monumentalità invocata da Giedion, Léger e Sert non può esse-re pensata senza metteesse-re in crisi l’«obsoleta mentalità funzionalista» del Movimento Moderno. La logica che regge l’argomento dei tre studiosi è infatti ancora del tutto atomizzante, costruzionista e procede «dal semplice al complesso», come è evidente nella stesura di questo manifesto6.

Se Le Corbusier fornisce a rossi il problema, adolf Loos e Claude Lévi-Strauss ne danno la soluzione.

Loos + Lévi-Strauss non è un accoppiamento scontato. rossi fa reagire il lavoro di un antropologo francese contemporaneo e quello di un architetto viennese del pri-mo Novecento, costruendo un geniale cocktail interdisciplinare che pone le premesse per una critica radicale dei presupposti dell’architettura contemporanea. Loos sembra richiedere un approccio antropologico, comparativo all’architettura. Nel passo

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imme-cosa significa “l’architettura della citt” 351

diatamente precedente il celebre apologo sul tumulo nel bosco, che sembrerebbe pre-supporre un’origine mitica e universale per i valori incorporati nell’architettura, Loos infatti scrive: «presso i Cinesi il colore del lutto è il bianco, per noi è il nero. I nostri ar-chitetti non riuscirebbero quindi a suscitare con il nero uno stato d’animo gioioso»7.

L’architettura si definisce rispetto al suo contesto culturale e anche, all’inverso, diventa uno strumento fondamentale per la comprensione della società che l’ha pro-dotta. Questo legame complesso tra l’immobilità della città e le contraddizioni che l’hanno prodotta viene riconosciuto da Loos e da Lévi-Strauss a partire da due punti di osservazione differenti ma del tutto convergenti. Loos e Lévi-Strauss, in modi dif-ferenti ma complementari, dicono che la complessità depositata nella città non ci è estranea. La chiave non è stata buttata.

Combinando questi due autori, rossi scopre uno spazio teorico inesplorato, un territorio nuovo e antico su cui affacciarsi. L’importanza di L’architettura della città coincide con la comparsa di questo territorio.

rossi riconosce nell’impostazione teorica di Loos un’ipotesi di fondazione dell’architettura che può essere usata per mettere in discussione le premesse dell’ar-chitettura moderna. Loos scrive:

L’uomo singolo è incapace di creare una forma, quindi anche l’architetto. L’architetto tenta e ritenta di realizzare questo fatto impossibile e sempre senza alcun risultato. La forma o l’ornamento sono il risultato di una collaborazione inconscia degli individui che costituiscono un intero ciclo culturale.8

Loos offre a rossi, nel suo modo tipicamente implicito, una possibilità per pen-sare un’origine plurale per l’architettura, per riconoscerne la natura da subito com-plessa, non interamente razionale, per opporsi alla narrazione lineare proposta dal Funzionalismo. analogamente Lévi-Strauss suggerisce a rossi un metodo di studio che procede a partire dall’insieme e che presuppone la complessità senza per questo cedere a tentazioni irrazionali. Inoltre propone uno stile di analisi realista, che tende ad ordinare e comparare fenomeni senza necessariamente “spiegarli” (esaurirli); uno stile naturalmente sospettoso rispetto alla possibilità di scoprire un “contenuto” ca-pace di spiegare integralmente l’oggetto della ricerca. anche per Lévi-Strauss, come per Loos, rispetto alla città non occorre “aggiungere”, occorre “comprendere”. È di Lévi-Strauss la definizione di città su cui rossi costruisce il suo libro e che ripeterà innumerevoli volte: «La ville... la chose humaine par excellence»9.

3. L’architettura della città è un titolo complicato, banale e allo stesso tempo

para-dossale, terribilmente sfuggente, e anche in questo rappresenta perfettamente il libro che introduce.

L’architettura della città parla di architettura, non di città, ma parla di architettura

a partire dal fatto che l’architettura «presuppone la città». Nel titolo del libro è possibile intendere la preposizione articolata “della” in due differenti sensi grammaticali: come genitivo oggettivo, nel senso di “l’architettura che produce la città” (e quindi “l’organiz-zazione della città” ovvero un libro “sulla città”) e come genitivo soggettivo, nel senso di “l’architettura che è prodotta dalla città” (e quindi “gli edifici a partire dalla città” ovvero un libro “sull’architettura”). Ovviamente rossi non fa nulla per eliminare questa ambi-guità, e certamente l’architettura produce anche la città, ma tutto questo viene dopo e il libro, almeno su questo, è chiaro: «l’architettura presuppone la città»10.

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pier paolo tamburelli 352

Di conseguenza il soggetto del libro è l’architettura, le “parti di città” che pos-sono essere pensate solamente a partire dal tutto, dallo sfondo costituito dalla città. rossi presenta, seppure in modo oscuro, la tesi principale del libro, la sua “rivoluzione copernicana”, a partire proprio dal titolo. Da subito L’architettura della città esclude la possibilità di un approccio costruzionista, che proceda «dal semplice al complesso». per rossi, l’architettura può essere compresa solamente andando «nella direzione op-posta», dalla città all’architettura, «dal complesso al semplice». “Complessità” è forse la parola preferita di rossi in L’architettura della città11. Ogni minima parte della città

è complessa, plurale: «io credo che i fatti urbani siano complessi in sé e che a noi sia possibile analizzarli ma difficilmente definirli»12.

La complessità della città precede logicamente ogni architettura: questa la tesi fondamentale di L’architettura della città. La città può essere compresa solo a patto di non scomporla. I fatti urbani sono conoscibili solo nella loro relazione reciproca, solo all’interno del sistema città. L’architettura è quindi da subito costretta a fare i conti con la pluralità della città, è da subito prigioniera dello scambio linguistico. La città, come totalità, come “mondo”, precede i singoli edifici. essi acquistano senso solamen-te su quello sfondo.

Nel titolo del libro “città” è al singolare, perché rossi non ritiene possibile uscire dalla città al punto di poter riconoscere città differenti. e in questo risiede forse la maggior modernità di rossi, nell’impossibilità di evadere dal mondo urbanizzato, nel descrivere un soggetto inesorabilmente prigioniero di scritture urbane che sono, almeno parzialmente, comprensibili, ma che nondimeno sono date, ineludibili. rossi si muove in un mondo già affollato di oggetti, di desideri, di paure precedenti, un mondo fatto di strutture già in atto, di progetti già realizzati, di ambizioni già tradotte in materia. La percezione della città in L’architettura della città è del tutto soggettiva, la caratteristica ricchezza delle descrizioni di rossi può essere intesa solo a partire da questa esperienza vissuta, dalla sua molteplicità, dalle sue contraddizioni:

avviene altresì che mentre noi visitiamo questo palazzo, e percorriamo una città abbia-mo esperienze diverse, impressioni diverse. Vi sono persone che detestano un luogo per-ché è legato a momenti nefasti della loro vita, altri riconoscono a un luogo un carattere fausto; anche queste esperienze e la somma di queste esperienze costituiscono la città. In questo senso, sebbene sia estremamente difficile per la nostra educazione moderna, noi dobbiamo riconoscere una qualità allo spazio. Questo era il senso con cui gli antichi consacravano un luogo ed esso presuppone un tipo di analisi molto più approfondita di quella semplificatoria che ci viene offerta da alcuni test psicologici che sono relativi solo alla leggibilità delle forme.13

La città cui fa riferimento L’architettura della città è questo cumulo del tutto age-rarchico di cose. In questa città i “fatti urbani” si ammucchiano senza dare luogo a un ordine superiore. I desideri e le ambizioni si affiancano senza concordare. La città per rossi è davvero «l’insieme dei fatti», secondo la definizione di Tractatus 1.1, la catasta delle case raggruppate «così come le ho trovate». eppure è proprio questo insieme di “fatti urbani” ammucchiati senza una ragione univoca – la città – a essere il presup-posto dell’architettura. Inutile cercare una fondazione più solida.

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cosa significa “l’architettura della citt” 353 1 Questa interpretazione della cultura milanese degli anni Sessanta (e più in generale della città e

dell’Italia corrispondenti) è forse esageratamente positiva. In ogni caso, a settembre 2011, una buona opi-nione dell’Italia degli anni tra la resistenza e il 1968 ci pare politicamente doverosa.

2 P.V. Aureli, The Project of Autonomy, princeton architectural press, New York 2008.

3 R. Venturi, Complexity and Contradiction in Architecture, Museum of Modern art, New York 1966. 4 A. Rossi, Il convento de la Tourette di Le Corbusier, «Casabella Continuità», 246, 1960, ora in Id., Scritti scelti sull’architettura e la città. 1956-1972, Clup, Milano 1975, p. 136.

5 Ivi, p. 137.

6 S. Giedion, F. Léger, J.L. Sert, Nine Points on Monumentality, «Harvard architecture review»,

4, 1943.

7 A. Loos, Trotzdem, Herold, Vienna-Monaco 1962, ed. it. adelphi, Milano 1972, p. 255.

8 A. Loos, Ornamento ed educazione (1924), in Nonostante tutto, Vienna-Monaco, 1962, ed. it.

adelphi, Milano, 1972, p. 327, citato in A. Rossi, Adolf Loos, 1870-1933, «Casabella Continuità», 233, 1959, ora in Id., Scritti scelti sull’architettura e la città, cit., p. 84.

9 A. Rossi, L’architettura della città, Marsilio, padova 1966, p. 27 nota 2. 10 Ivi, p. 151.

11 Si vedano, ad esempio: «tipo come qualcosa di permanente e di complesso» (p. 32), «complessità

dei fatti urbani» (p. 50), «evoluzione urbana come fatto complesso» (p. 202), «la complessa struttura della città» (p. 229) ecc.

12 A. Rossi, L’architettura della città, cit., p. 25. 13 Ivi, pp. 23-24.

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