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Il gesso come risorsa naturale origine e distribuzione dei giacimenti di gesso in Piemonte

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Academic year: 2021

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22 July 2021

AperTO - Archivio Istituzionale Open Access dell'Università di Torino

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Il gesso come risorsa naturale origine e distribuzione dei giacimenti di gesso in Piemonte

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Ed. CIRAAS

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IL GESSO COME RISORSA NATURALE: ORIGINE E

DISTRIBUZIONE DEI GIACIMENTI DI GESSO IN PIEMONTE

Il minerale gesso

Con il nome di “rocce gessose” o “pietra da gesso” si intendono sia i depositi di gesso, sia quelli di anidrite naturale.

Il gesso è un solfato di calcio biidrato (CaSO4 * 2 H2O), la cui forma pura contiene in peso

il 46,5% di SO3, il 32.6% di CaO ed il 20,9% di H2O (Grill, 1963). Cristallizza solitamente nel

sistema monoclino, presentando durezza compresa tra 1,5 e 2,5 nella scala di Mohs (solitamente si assume un valore pari a 2) ed una massa volumica mediamente compresa tra 2.30 e 2.37 g/cm3

La struttura cristallina del solfato di calcio, in tutte le sue forme anidre ed idrate, è costituita da catene in cui si alternano ioni Ca

(Deer et al., 1966).

++

con ioni tetraedrici di SO4

--Tendenzialmente è incolore o trasparente oppure presenta un colore dal bianco al grigio; in presenza di impurezze quali ossido di ferro, argilla o sostanze organiche può invece presentare sfumature gialline, marroni o rossastre. I grossi cristalli di gesso, dal classico aspetto trasparente o incolore, prendono il nome di selenite; gli aggregati compatti di solfato di calcio biidrato, dall’aspetto saccaroide, traslucido o ceroide, prendono invece il nome di alabastro gessoso, piuttosto abbondante in Toscana nella provincia di Pisa ed utilizzata in campo artistico.

, che tendono a rimanere intatte durante i cambiamenti di fase (Magnan, 1972).

Il termine sericolite viene invece utilizzato nel caso in cui tali aggregati siano composti da cristalli fibrosi con lucentezza sericitica. Tale forma cristallina si trova principalmente in corrispondenza alle zone di taglio o nei riempimenti di fratture, rivestendo una scarsa importanza in termini economici (Appleyard, 1983).

Localmente i cristalli di gesso presentano tipiche geminazioni quali la geminazione a “coda di rondine” (piano di contatto secondo (100)) e quella di interpenetrazione (piano di contatto secondo (101)).

Come già evidenziato da Le Chatelier alla fine del 1800, il solfato di calcio biidrato, che presenta un contenuto in acqua pari al 20,93% in peso, risulta particolarmente sensibile al calore e, se sottoposto a cottura, può perdere l’acqua di cristallizzazione contenuta nel reticolo delle singole molecole, completamente oppure in parte. I primi tre quarti di acqua di cristallizzazione risultano

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estremamente più semplici da eliminare che non l’ultimo. In questo modo si posso generare i seguenti composti:

a. gesso emiidrato α e β (CaSO4 . ½ H2

b. anidrite α (CaSO

O), con un contenuto in acqua variabile da 5 a 7% secondo Turco (1961), per effetto di un riscaldamento a temperature prossime a 128 °C;

4

c. anidrite β (CaSO

) o anidrite solubile, con un riscaldamento a temperature superiori a 180 °C;

4

d. anidrite γ (CaSO

), insolubile in acqua, con un riscaldamento a temperature superiori ai 300 °C e pari a circa 360 °C;

4

Figura 1

), ), insolubile in acqua, per effetto di un riscaldamento a circa 1118 °C ( ; Figura 2).

In natura le temperature di transizione da una forma all’altra sono tendenzialmente inferiori in acqua pura e si abbassano ulteriormente con l’aumentare della pressione oppure in presenza di NaCl o di solfati di Na, Mg e K.

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Figura 2: temperature medie della trasformazioni industriali (Croce et al., 1992)

Il gesso emidrato (detto anche gesso cotto o gesso da presa o gesso da modellatori) si ottiene in seguito alla perdita di una molecola e mezza di acqua di cristallizzazione a partire dal gesso biidrato, giàper effetto di un riscaldamento a 128°C per un tempo variabile da 1 a 3 ore (Deer et al. 1966). Le due forme allotropiche α e β rappresentano i due stati limite del solfato di calcio emidrato, in realtà ne esistono infinite varietà che rappresentano fasi intermedie, le quali tuttavia non rivestono particolare importanza in campo applicativo. La forma α si ottiene in seguito a disidratazione in condizioni di pressione superiore a quella atmosferica, viceversa la forma β si origina a pressione atmosferica. Entrambi hanno una struttura cristallina romboedrica: l’emidrato α risulta costituito da cristalli ben formati, grossi e trasparenti e presenta migliori caratteristiche meccaniche ed una maggior durezza superficiale; la forma β presenta invece cristalli piccoli di sfaldamento, risulta più agevole da produrre consentendo maggiori tempi di lavorazione, essendo a presa più lenta.

La perdita di molecole di acqua comporta un riassestamento del reticolo ed una riduzione di volume iniziale. Ciò provoca la formazione di ampi canalicoli parallelamente alle catene di CaSO4

Il peso specifico del gesso emidrato varia da 2,5 a 2,75 g/cm

in cui l’acqua di cristallizzazione residua va a localizzarsi in posizioni ben precise e con legami piuttosto deboli. Se polverizzato ed impastato con acqua, esso riprende con facilità l’acqua persa ed indurisce formando un aggregato cristallino compatto (Ullmannn’s, 1985).

3

Il principale prodotto di cottura richiesto nell’industria del gesso è l’emidrato β; la produzione della varietà α risulta invece limitata ad un nu mero ristretto di impianti e deputata a particolari applicazioni.

e la solubilità in acqua risulta maggiore rispetto al gesso biidrato originario.

L’anidrite naturale è un solfato di calcio anidro (CaSO4) che cristallizza nel sistema

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volpinite, che è stata utilizzata in passato come pietra da decorazione per interni sotto il nome di

“Bardiglio” di Bergamo.

L’anidrite naturale mostra un colore chiaro da grigio a bluastro e presenta una durezza pari a 3-3.5 nella scala Mohs. Il peso specifico risulta variabile tra 2,899 e 2,985 g/cm3 (Insalaco, 2002), con un valore medio di circa 2,95.g/cm3

In alcuni casi è possibile che all’interno del reticolo cristallino il calcio venga sostituito da Sr e Ba, mentre altri elementi possono essere presenti in qualità di impurezze.

, mentre l’indice di rifrazione assume un valore medio pari a 1,59 (Havard, 1960). La solubilità dell’anidrite diminuisce con l’aumentare della temperatura (Deer et al., 1966) e risulta pari a 2 g/l a temperatura ambiente; per tale ragione, è piuttosto raro trovarla in affioramento in ambienti umidi (Appleyard, 1983).

Per le sue applicazioni in campo edilizio, dopo una opportuna macinazione, vengono addizionati appositi catalizzatori in grado di facilitarne e velocizzarne il processo di idratazione.

L’anidrite solubile, o anidride α, nota anche come gesso da fabbrica o gesso da costruzione, possiede un peso specifico variabile tra 2,44 e 2,45 g/cm3

Date le elevate temperature necessarie, si possono incontrare alcune difficoltà nell’ottenere anidrite α in forma pura (in quanto durante il processo di cottura si può arrivare alla trasformazione in anidrite β). Tale forma cristallina corrisponde infatti ad una fase instabile dell’anidrite: essa è la forma più reattiva in quanto è in grado di reidratarsi per generare nuovamente la forma biidrata del solfato di calcio o gesso propriamente detto. In assenza di correzioni mediante additivi, dopo 30 minuti il 95% della massa di anidrite α si è trasformata in biidrato ed in meno di 2 ore la trasformazione è completa (Duriez et Arrambide, 1962).

ed è caratterizzata da una presa lenta (Turco, 1961). L’anidrite α cristallizza in un sistema esagonale e, pur essendo una fase anidra, sembra conservare ancora, in tracce non stechiometriche, un residuo di acqua di cristallizzazione (Croce, 1992).

Per tali ragioni la forma di anidrite più utilizzata nell’industria del gesso è quella β, che ne

rappresenta una varietà decisamente più stabile e facilmente ottenibile allo stato puro, mentre quella α rappresenta un formidabile acceleratore di presa, oltre che un ottimo agente disidratante, rivestendo però un ruolo marginale nelle normali miscele (Croce, 1992).

L’anidrite β, invece, detta anche gesso morto o gesso surcotto o gesso cotto a morte, cristallizza nel sistema ortorombico e presenta una disposizione degli ioni molto più compatta. L’assenza di canalicoli, ove l’acqua può prendere posizione come accade nella varietà di anidrite α,

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conferisce una resistenza ed una durezza maggiori rispetto a quelle di qualunque altro prodotto di cottura del gesso.

La temperatura di formazione varia da 300 a 700 °C: quanto più alta è la temperatura di cottura, tanto minore sarà la reattività all’acqua, fino ad ottenere un prodotto assolutamente stabile e non più in grado di fare presa con l’acqua. Per temperature di cottura ridotte infatti (circa 350 °C), il reticolo cristallino non è ancora completamente formato, aumentando invece la temperatura, i difetti strutturali scompaiono e il prodotto si stabilizza, aumentando in densità e assumendo un comportamento simile a quello dell’anidrite naturale.

Nell’industria del gesso si predilige quello che viene definito “surcotto attivo”, ossia anidrite β ottenuta da temperature di cottura di poco superiori a quelle di equilibrio (circa 350 °C) ed in grado di fare ancora presa, anche se molto lentamente (solitamente nell’arco di 7 giorni). Essa viene infatti impiegata per la produzione di premiscelati per intonaco a base di emidrato. Al momento dell’impasto con acqua essa è infatti in grado di dare corpo e plasticità all’impasto, migliorando la solidità dell’intonaco in opera grazie alla sua più compatta struttura cristallina. Tuttavia, per facilitare e velocizzare il processo di idratazione, si usa solitamente addizionare l’anidrite β con catalizzatori ed acceleratori di presa quali calce e solfati.

Quando il gesso o l’anidrite α sono state cotte a temperature superiori del necessario, il tempo di presa si allunga notevolmente fino a superare i 7 giorni. In questi casi si parla di gesso cotto a morte che è considerato un materiale con carica pressoché inerte che potrà contribuire alla formazione della struttura cristallina in tempi notevolmente differiti (Duriez et Arrambide, 1962).

A 1180 °C si assiste infine ad una parziale dissociazione del solfato di calcio anidro insolubile (anidride β), con liberazione sino al 3% di CaO e formazione di solfato di calcio basico detto anidrite γ. Il prodotto ottenuto viene commercialmente definito gesso idraulico o gesso a

lunga presa e risulta in grado di fare presa solamente dopo parecchie settimane. Il suo peso

specifico è compreso tra 2,8 e 2,9 g/cm3

Anche se già alla temperatura di 1100 °C ha inizio una fase di instabilità, il processo di dissociazione vero e proprio si ha per temperature superiori che vanno da 1360 a 1450 °C circa, a seconda del grado di purezza del solfato di calcio. Oltre tali temperature il prodotto fonde e si assiste ad una dissociazione completa in ossido di calcio (CaO), anidrite solforosa (SO

. Essendo contaminato dalla presenza di CaO, il gesso idraulico non viene considerato una fase pura e data la sua instabilità a temperatura ambiente (durante la fase di raffreddamento si ritrasforma infatti in anidrite β), riveste un ruolo marginale tra le materie prime per l’industria del gesso.

2) e ossigeno

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Alle normali condizione di pressione e temperatura ambiente (P=1 atm e T< 40 °C) ed in presenza di acqua, i prodotti della disidratazione del gesso (emidrati e anidriti) tendono a reidratarsi e ritrasformarsi in solfato di calcio biidrato, mediante reazioni esotermiche che comportano anche un aumento di volume ed una riduzione del peso specifico. La velocità del processo di reidratazione varia a seconda della temperatura ambiente, della varietà di solfato di calcio di partenza e della sua densità e solubilità. In particolare la temperatura svolge un ruolo importante in quanto una sua diminuzione favorisce il processo di idratazione, ma al contempo riduce la velocità di dissoluzione dell’emidrato e dell’anidrite; dunque, l’effetto finale dipende da quale dei due processi prevale (Ullmannn’s, 1985). Il solfato di calcio biidrato così ottenuto cristallizza in un sistema monoclino e presenta struttura molecolare lamellare, costituita da due strati di CaSO4 ed uno di acqua.

Il gesso e l’anidrite naturale, materie prime per l’industria del gesso, se sottoposte a processi di disidratazione (mediante cottura detta anche calcinazione1

I giacimenti di solfato di calcio devono pertanto essere considerati come dei sistemi dinamici, nei quali il minerale è in grado di riorganizzarsi variando la forma e la posizione dei singoli elementi chimici all’interno della struttura cristallina, in condizioni di temperatura ed umidità differenti.

) e reidratazione, si trasformano in varietà allotropiche tra loro differenti, sia per forma e struttura cristallina, sia per le proprietà fisiche, chimiche e tecnologiche che ne derivano.

I Giacimenti di gesso nell’area piemontese

I giacimenti Triassici (250 - 200 milioni di anni)

Nell'arco alpino sud occidentale esistono, in associazione alle dolomie ed ai calcari del Trias, numerosi affioramenti di rocce evaporitiche, costituiti da lenti e banchi irregolari di anidriti e gessi.

I gessi Triassici sono in genere microcristallini e sono frequentemente associati, più o meno intimamente, a rocce carbonatiche (generalmente pseudocarniole); spesso la loro origine è legata all’idratazione superficiale di anidriti, verso le quali si ha un graduale passaggio in profondità. Benché sia solitamente ridotto il contenuto in ossidi e minerali argillosi, i gessi triassici sono quasi sempre frammisti a calcite ed anidrite, che li rendono inadatti per alcuni impieghi. I giacimenti sono per lo più situati ad alte quote, hanno forme marcatamente irregolari e cubature limitate.

1 Il termine “calcinazione” viene utilizzato in modo improprio per quanto riguarda la cottura del gesso in

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In un passato non troppo remoto, alcuni di questi affioramenti sono stati oggetto di coltivazione per l'estrazione del gesso (Valle di Susa, Valle della Stura di Demonte); si tratta tuttavia di giacimenti discontinui e di dimensioni sempre assai ridotte, in genere inferiori in pianta a 0.2-0.3 km2

Tali giacimenti sono caratterizzati da una notevole irregolarità e da una ridotta accessibilità; le cubature generalmente molto modeste e la frequente presenza di anidrite e carbonati, rendono i gessi triassici poco interessanti dal punto di vista estrattivo e la loro coltivazione risulta economicamente non conveniente. Benché dalla metà del XIX secolo, sin dopo la seconda guerra mondiale, l’attività estrattiva del gesso abbia costituito una risorsa non indifferente a livello locale, con produzioni d’insieme non trascurabili nel panorama regionale (sino a qualche decina di migliaia di t/a), dalla seconda metà del XX secolo ogni attività di estrazione è completamente cessata. La tipologia di cava adottata è stata quasi sempre quella a cielo aperto, ad eccezione di alcune situazioni di archeologia industriale ancora osservabili a Demonte (CN) o in sinistra orografica della Dora Riparia in Alta Val Susa, presso Ulzio, ove si possono osservare caverne e stazioni teleferiche.

e con potenza, misurata nella direzione di minor sviluppo (vale a dire, in genere, ortogonalmente al versante), raramente superiore alla decina di metri.

I giacimenti Miocenici (23 - 5 milioni di anni)

La zona più interessante dal punto di vista giacimentologico è invece rappresentata dalle zone collinari del Piemonte centromeridionale, appartenenti al cosiddetto Bacino Terziario Piemontese.

Il Bacino Terziario Piemontese (TBP) è costituito da depositi la cui sedimentazione è iniziata a partire dall’Eocene superiore ed è proseguita fino al Messiano. Il TPB è delimitato:

• a S e SW dall’arco delle Alpi occidentali (“Alpi Liguri”);

• a NE dall’estremità nord-occidentale dell’Appennino settentrionale; • a N e NW dai depositi della Pianura Padana.

Sulla base del tipo di substrato, dell’evoluzione tettonica e delle caratteristiche sedimentarie delle successioni, il TPB è stato suddiviso in due grandi domini tettonostratigrafici principali: il Monferrato a nord ed il Bacino Terziario Piemontese s.s. (composto a sua volta dai settori denominati rispettivamente: Collina di Torino, Langhe, Alto Monferrato e area Borbera –Grue). Il Bacino Terziario Piemonte è caratterizzato da rocce sedimentarie d'età Cenozoica (ultimi 65 milioni di anni) quali argille, marne, calcari più o meno marnosi, sabbie, arenarie variamente cementate, conglomerati e depositi evaporitici, di età messiniana (7.25 – 5.33 milioni di anni), tra cui il gesso ("Formazione Gessoso Solfifera").

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Il Messiniano è tipicamente rappresentato, in tutta la regione mediterranea, da rocce sedimentarie testimonianti condizioni di salinità “anomale”, ipersaline (rocce evaporitiche) o ipoaline (sedimenti lacustri o di acque salmastre), intercalate a sedimenti marini profondi.

Questa anomala successione verticale di rocce, riconosciuta fin dagli anni ‘50, portò a sviluppare per la prima volta il concetto di “crisi di salinità messiniana” e ad ipotizzare l’isolamento del Mediterraneo, in conseguenza dell’interruzione delle comunicazioni con l’Atlantico. Nel Mediterraneo si instaurarono dapprima condizioni di circolazione ristretta e di ossigenazione ridotta, con il conseguente sviluppo di depositi euxinici (il “Tripoli”). In seguito, con l’isolamento totale del Mediterraneo, si verificò una brusca caduta del livello marino, il disseccamento totale della colonna d’acqua e la deposizione di evaporiti primarie, in specchi d’acqua a bassissima profondità (laghi alcalini e playas), situati nelle zone più depresse del bacino, migliaia di metri al di sotto del livello marino mondiale. L’erosione rimontante dei corsi d’acqua sviluppatisi ai bordi del Mediterraneo permise la formazione di un bacino lacustre. All’inizio del Pliocene, le comunicazioni attraverso lo stretto di Gibilterra furono improvvisamente ristabilite ed il Mediterraneo fu invaso da acque di origine atlantica. Durante questo evento, che viene considerato come la fine della “crisi di salinità”, il livello marino aumentò bruscamente, la salinità tornò a valori normali e si poterono depositare sedimenti marini profondi direttamente al di sopra delle aree precedentemente emerse o coperte da acque dolci poco profonde.

Il primo modello prevede che le evaporiti mediterranee si siano generate in bacini poco profondi, che successivamente sarebbero andati incontro a subsidenza tettonica locale.

Il secondo modello propone che le evaporiti mediterranee siano precipitate da un bacino profondo, caratterizzato da acque profonde.

Tuttavia, l’ipotesi del disseccamento del Mediterraneo risulta essere ancor oggi la più accettata (e.g. Cita, 1982).

Negli anni ‘90 Clauzon et alii (1996) avanzarono l'ipotesi che le evaporiti costituirebbero in realtà due corpi distinti a seguito del verificarsi di due fasi successive di deposizione evaporitica, in due ben distinti contesti deposizionali. Nella prima fase, le evaporiti si sarebbero deposte solo ai margini del Mediterraneo, in risposta ad un modesto abbassamento del livello marino; nella fase successiva, la precipitazione evaporitica in acque poco profonde si sarebbe spostata nelle porzioni più depresse del bacino, in risposta ad una catastrofica caduta del livello marino di circa 1500-2000 m (legata alla definitiva chiusura delle connessioni con l’Oceano Atlantico) che avrebbe condotto al disseccamento completo del Mediterraneo (acme della “crisi di salinità”).

Il gesso di età messiniana presenta un abito generalmente macrocristallino, anche se la grana può variare, nei differenti livelli di uno stesso giacimento, da millimetrica a decimetrica; frequente è

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l'inquinamento per ossidi di ferro e minerali di argille, che talora formano sacche di notevoli dimensioni all'interno dei livelli di gesso, riempiendo cavità legate al carsismo. La geometria dei giacimenti risulta tendenzialmente rappresentata da masse o lenti con banchi di gesso ed intercalazioni di argille e marne.

Dal punto di vista granulometrico è possibile individuare sia gesso macro che microcristallino. Si hanno infatti alternanze dell’una o dell’altra tipologia di cristalli, ma anche compresenza all’interno del medesimo banco di gesso. Il gesso microcristallino presenta solitamente una maggior purezza, in quanto, negli aggregati di cristalli di gesso selenitico o nelle gessoruditi, alcune impurezze di natura argilloso-marnosa, contenenti a loro volta microcristalli di gesso, tendono ad inserirsi tra gli spazi lasciati liberi causando una riduzione del grado di purezza della materia prima.

Se gesso selenitico e gesso microcristallino sono distribuiti in modo piuttosto uniforme un po’ in tutti i giacimenti, indipendentemente dalla loro ubicazione geografica, è invece piuttosto raro osservare altre forme di cristallizzazione quali l’alabastro, il gesso balatino o quello lamellare (Dalla Torre, 1966).

La presenza di macrocristalli di gesso geminati fornisce delle valide indicazioni sulla polarità2

Come accennato precedentemente, la Formazione Gessoso Solfifera affiora in corrispondenza a due settori del Bacino Terziario Piemontese (BTP), allungati in direzione EW; in particolare i più importanti depositi di gesso sono concentrati nei domini geologico-strutturali delle Langhe e del Monferrato, rispettivamente a Nord ed a Sud della città di Asti (

della sequenza, seguendo la cosiddetta regola di Mottura. Essa afferma che l’apertura dei geminati a coda di rondine è sempre verso il tetto della successione; di conseguenza la stratificazione risulta sempre ortogonale alla direzione di accrescimento dei cristalli (Rigo de Righi, 1953).

Figura 3). In quest’ultimo in particolare modo, sono presenti le attuali principali attività estrattive (Figura 4).

2 Nel caso di giacimenti cupuliformi (ad esempio il giacimento di Sarmaziano in Sicilia) un’altra indicazione in

merito alla giacitura degli strati è fornita della convessità della cupola. Nel caso di simili geometrie, il gesso deriva tendenzialmente da processi di idratazione di anidriti, durante i quali viene registrato anche un aumento di volume testimoniato proprio dalla geometria cupuliforme attuale del giacimento. Le forze di cristallizzazione devono aver provocato una deformazione perpendicolare alla superficie degli strati, pertanto la superficie convessa della cupola rappresenta sempre il tetto dello strato in quanto la il rigonfiamento dello strato deve essere avvenuto sempre in

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Figura 3: schema geologico del Bacino Terziario Piemontese(Fornaro et al., 2002):

1) Unità Liguri esterne del Monferrato

2) Unità subliguri del Monferrato, 3) Oligocene 4) Miocene medio-inferiore 5) Miocene medio-superiore 6) Messiniano 7) Pliocene 8) Depositi quaternari

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Figura 4: distribuzione della Formazione Gessoso Solfifera nel Piemonte centro-meridionale (Estratto DPAE Regione Piemonte, 2002)

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La Formazione dei depositi di gesso

Pochi autori in passato hanno dedicato ricerche specifiche al Messiniano del Bacino Terziario Piemontese e fino a qualche anno fa, il poco materiale disponibile risulta fornito da Sacco (1889-90, 1925), Bonsignore et al. (1969) e Sturani (1973; 1975; 1976).

Secondo tali autori il Messiniano può presentare una potenza complessiva fino a circa 400 metri e risulta composta da un livello carbonatico basale, da evaporiti (rappresentate da strati di gesso separati da marne e carbonati vacuolari ed algali) e, infine, da sedimenti post-evaporitici, costituiti da marne grigie con cristalli aciculari di gesso, argille varicolori, arenarie e conglomerati anche grossolani.

In particolare nel Monferrato, secondo Bonsignore et al. (1969), la Formazione Gessoso Solfifera risulta rappresentata dall’alto verso il basso, da:

- argille marnose e marne con colorazione variabile da grigio bluastro a giallo ocra, passanti gradualmente alle Argille di Lugagnano;

- marne argillose grigio azzurrognole, a volte sabbiose con inclusioni ed intercalazioni gessoso-selenitiche a grana grossa;

- calcari a cellette o cariati di colorazione biancastra, alquanto resistenti;

- lenti, generalmente molto potenti, di gesso selenitico, in cristalli di dimensioni centimetriche;

- marne calcaree a scheletro siltoso di colore grigio scuro, in bancate compatte e con stratificazione poco evidente.

Più particolareggiata risulta invece la descrizione di Sturani (1973; 1976), il quale individua all’interno della successione messiniana monferrina differenti litotipi quali: argille, silts, siltiti marnose, sabbie fini e gesso. Sturani (1976) descrive la presenza sia di gesso in grossi cristalli esaedrici selenitici, ingobati in marne euxiniche laminate e ricche di solfati, sia gesso a grana fine, laminato ritimicamente e localmente ricristallizzato in cristalli più grandi selenitici, sia gesso in livelli clastici. Sono inoltre stati riconosciuti banchi di gesso selenitico, spesso geminato, con cristalli di taglia più piccola (da decimetrica a millimetrica) solitamente posizionati nella parte alta di ciascuno strato riconoscibile. Sturani, notò infine la presenza di livelli di marne, di colore scuro e potenza variabile da pochi centimetri ad alcuni metri, associate a gesso e calcari, secondo frequenti rapporti di alternanza.

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- Messiniano inferiore pre-evaporitico, caratterizzato dall’alternanza ritmica di sabbie fini gradate, silts e argille laminate, con locali intercalazioni diatomitiche, deposto in un bacino poco profondo (200-500 m di profondità) su fondali scarsamente ossigenati;

- Messiniano evaporitico, caratterizzato dalla presenza del cosiddetto “calcare di base” e da banchi di gesso con intercalazioni argilloso-siltose e marnose;

- Messiniano superiore post-evaporitico, costituito da depositi di ambiente lagunare-salmastro, palustre e di piana alluvionale, con alternanze di sabbie fini e argille omogenee grigio azzurrognole regolarmente stratificate. Il passaggio alle soprastanti formazioni plioceniche avviene mediante una brusca transizione a sedimenti in facies di mare aperto. Tuttavia, nonostante una discreta superficie di affioramento della Formazione Gessoso Solfifera in Piemonte, le aree in Italia in cui tale formazione risulta maggiormente osservabile sono quelle dell’Appennino settentrionale ove affiora, anche se in modo discontinuo, per una lunghezza di oltre 100 chilometri lungo l’asse appenninico emiliano-romagnolo ed umbro-marchigiano. La fascia di affioramento, in alcuni tratti, si estende per una larghezza pari ad una trentina di chilometri. In particolare un enorme interesse scientifico ed economico è rivestito dalla cosiddetta “Vena del Gesso”, rappresentata da un lungo e continuo affioramento di gesso in direzione NW-SE per una lunghezza di circa 15 chilometri nella parte occidentale dell’Appennino Romagnolo.

Dall'analisi dei depositi di gesso affioranti in Piemonte ed in altre regioni italiane, sono stati individuati nella successione messiniana un livello di base, rappresentato da argilliti euxiniche pre-evaporitiche, seguite da alternanze di gesso, carbonati e marne argillose e, nella parte alta della sequenza, da sedimenti clastici post-evaporitici. L’ambiente euxinico di deposizione dei livelli basali è stato a lungo imputato, per l’intera area mediterranea, ad una ristretta circolazione di acque, legata alla cosiddetta “crisi di salinità”3

Al di sopra di tale intervallo è presente il livello basale della Formazione Gessoso Solfifera in s.s., composto da carbonati algali noti come “Calcare di base”. L’origine algale è stata loro attribuita anche grazie al contributo di Sturani, il quale osservò, in alcuni affioramenti piemontesi, la presenza di stromatoliti e strutture da disseccamento. La presenza di tale livello al di sopra dei depositi pre-evaporitici testimonia un evidente cambiamento di ambiente deposizionale con un drastico abbassamento del livello dell’acqua all’interno del bacino. Al di sopra di tali carbonati si osservano le alternanze di livelli di gesso, marne argillose e carbonati, che si ripetono ciclicamente

.

3

A questo proposito si contrappongono due ipotesi. La prima presuppone una separazione completa del Mediterraneo dall’Atlantico per oltre un milione di anni con l’iniziale formazione di una serie di “laghi”, all’interno dei quali per effetto dell’evaporazione sarebbero precipitati sali quali gesso e salgemma, fino ad un loro totale

disseccamento e trasformazione in una zona arida e asciutta proseguito sino all’apertura dello stretto di Gibilterra all’inozio del Pliocene (Hsu et al., 1972; Cita, 1982). La seconda ipotesi prevede invece l’esistenza di alcune sporadiche

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nell’intervallo considerato. I sedimenti postevaporitici riconoscibili in quest’area, sono composti da marne contenenti cristalli aciculari di gesso, argille varicolori ed anche conglomerati e sabbie grossolane di probabile ambiente fluvio-lacustre.

All’interno dei cosiddetti depositi evaporitici della Formazione Gessoso Solfifera, sono ovunque riconoscibili diversi cicli di deposizione, i quali presentano alcune differenze a seconda dell’area di deposizione sia per lo spessore dei singoli livelli, sia per la completezza della sequenza evaporitica in affioramento. All’interno di ciascun ciclo, sono stati riconosciuti 6 membri (Vai&Lucchi, 1976; Figura 5). Ciascun ciclo comincia con una facies rappresentata da silt e silt argillosi fittamente fogliettati con sottili e locali intercalazioni di sabbie finissime (primo membro). La loro origine è imputata alla deposizione di sedimenti terrigeni fini e di resti organici in un ambiente deposizionale tranquillo, riconducibile al fondale di un bacino posto ad una profondità non ben definita. A giudicare dal contenuto fossilifero, dovevano ancora essere presenti scambi con il mare aperto. Il secondo membro è rappresentato da frammenti algali immersi in un cemento carbonatico e/o gessoso, brecce ed arenarie di spessore compreso tra 30 e 60 cm, a granulometria da fine a grossolana, composte da frammenti di gesso e carbonati e, in minor misura, quarzo, feldspato, mica e frammenti vegetali. E’ inoltre possibile riconoscere, nella parte alta del secondo membro, masse lenticolari, della potenza di 5-30 cm, di gesso in cristalli selenitici di lunghezza pari alla potenza dei singoli strati, interrotti localmente da alghe e da superfici da dissoluzione.

Il terzo membro riconoscibile nei cicli evaporitici del Messiniano è costituito da grossi cristalli di gesso selenitico, spesso geminato, che si distribuisce in banchi di spessore variabili da 80 cm a 30 metri. I più importanti giacimenti di gesso ricadono in questo intervallo di sedimentazione, in corrispondenza al quale sono presenti le maggiori concentrazioni di solfato di calcio biidrato che conferiscono al deposito caratteri di elevata purezza. E’ in questa facies che si rinvengono cristalli geminati di gesso di lunghezza fino ad un metro, con splendide geminazioni che danno utili informazioni in merito alla polarità dello strato. I banchi di gesso mostrano una gradazione per ciò che concerne la granulometria dei cristalli, la quale tende a diminuire verso la parte alta del banco. E’ possibile ritrovare una ripetizione di tali livelli gradati all’interno dello stesso membro. La presenza di residui algali all’interno dei singoli cristalli testimonia l’origine primaria di tale gesso, il quale è cristallizzato in seguito al probabile apporto, all’interno del bacino, di acque salmastre di provenienza marina. Al diminuire della concentrazione di sali disciolti, la dimensione dei cristalli tende a diminuire, fino ad arrestarsi, per poi riprendere con cristalli di grossa taglia all’arrivo di un nuovo apporto salino.

Il quarto membro individuato risulta composto da livelli selenitici di potenza centimetrica (1-20 cm), che si sovrappongono per potenze fino a 10 metri. Ciascun livello è formato, nella sua parte

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inferiore, da cristalli di taglia millimetrica che tendono invece a crescere verso l’alto, fino ad avere cristalli selenitici geminati con cui ciascun livello si chiude. Negli spazi interstiziali e tra un livello e l’altro sono presenti dei depositi fini terrigeni e/o carbonatici.

Il quinto membro risulta formato da livelli di gesso selenitico di taglia millimetrica, contenenti noduli e lenti di cristalli di selenite di taglia maggiore e colore più limpido. Tali inclusi di gesso, derivanti dalla trasformazione di anidrite, sono maggiormente concentrati nella parte alta del membro, ove è possibile riconoscere anche sottili livelli di gesso, formati da frammenti di cristalli selenitici orientati parallelamente od obliquamente alla superficie di stratificazione. Tali livelli, dello spessore di circa un centimetro, sono alternati a livelli, di circa ugual spessore, costituiti da cristalli aciculari di gesso con asse di allungamento variamente orientato rispetto alla superficie di stratificazione. Nella parte alta del membro, compare infine una facies terrigena composta da silt, arenarie siltose e peliti carbonatiche, al cui interno si possono riconoscere ancora noduli di selenite con le medesime caratteristiche di quelli appena descritti.

L’ultimo membro (sesto) del ciclo deposizionale è rappresentato da un livello di potenza compresa

tra 30 centimetri ed 1 metro, costituiti da cristalli di selenite disposti in modo caotico all’interno di una matrice argillosa o argilloso-carbonatica. E’ inoltre possibile riconoscere noduli di marna, frammenti di legno ed aggregati di cristalli di gesso selenitico per i quali si riconosce un aumento nella dimensione dei cristalli, verso l’alto della successione.

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Figura 5: schema illustrativo delle facies che compongono i singoli cicli evaporitici messiniani

(Vai&Lucchi, 1976)

La potenza di ciascun ciclo varia da 5 a 35 metri e, tendenzialmente, i cicli più potenti sono quelli presenti nella parte inferiore e media della formazione. In ciascun ciclo sono particolarmente sviluppate le facies a selenite grossolana primaria, mentre le facies gessoruditiche

8ossia composte da frammenti di cristalli di gesso) occupano solo un 10% di ciascun ciclo in termini di potenza, diventando più frequenti, fino a divenirne i componenti principali, solamente negli ultimi cicli della parte superiore della Formazione Gessoso Solfifera. In accordo con le teorie in merito ai processi di “cannibalismo” del gesso, all’aumentare di gesso selenitico di formazione primaria, diminuisce la componente di gesso clastico rimaneggiato e vice versa.

Alle variazioni verticali di spessore di ciascun ciclo e di ciascun membro, si ricordano infine l’assoluta variabilità laterale delle singole facies.

Una approfondita conoscenza stratigrafica della successione messiniana e della sua suddivisione in cicli, risulta dunque fondamentale per l’interpretazione ed il riconoscimento dei singoli affioramenti osservabili nelle differenti aree della penisola. Anche ai fini estrattivi, è infatti di fondamentale importanza la comprensione del giacimento nella sua interezza e risulta pertanto utile capire in quale parte della successione ci si possa trovare per poter fare previsioni in merito ai depositi a tetto ed a letto dei livelli osservabili.

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In merito alla possibile genesi della successione registrata in ciascun ciclo deposizionale sopra descritta, alcuni autori (Vai& Ricci Lucchi, 1976; Ricci Lucchi, 1973; Hardie&Eugster, 1971) hanno ipotizzato un ambiente deposizionale corrispondente ad una laguna di profondità variabile, in corrispondenza ad ambienti bacinali, quali il Bacino Terziario Piemontese.

La profondità dell’acqua doveva raggiungere al massimo qualche decina di metri, risultando fortemente influenzata sia dalla evaporazione sia dalla velocità di sedimentazione all’interno del bacino. Una simile ipotesi spiegherebbe sia la presenza di depositi evaporitici, sedimenti algali e terrigeni di natura continentale, sia la crescente velocità di sedimentazione con il conseguente accumulo di depositi sul fondo del bacino stesso. Sarebbero inoltre anche plausibili sia l’ipotesi di uno smantellamento di depositi gessosi in prossimità del margine del bacino e la loro rideposizione in ambiente bacinale più profondo, in seguito all’azione di corsi d’acqua in ambiente deltizio, sia la predominanza di meccanismi di deposizione gravitativa legati a probabili ambienti di scarpata sottomarina (Figura 6). Figura 6: processo di risedimentazione di gesso soggetto a cannibalismo (Ricci&Lucchi, 1975).

La deposizione di potenti banchi di gesso, fa tuttavia presupporre anche la presenza di un collegamento ad un ambiente di mare aperto da cui, occasionalmente, potevano provenire apporti di acqua salata. La ripetizione dei singoli cicli sarebbe invece da imputarsi a cause di natura tettonica od eustatica.

Rispetto a quanto fino ad ora esposto, tuttavia, si devono segnalare le più recenti osservazioni di Dela Pierre et al. (2003), relative, in particolare, ad alcuni affioramenti di atà messiniana presenti lungo la valle incisa dal Torrente Versa (nei pressi dell’abitato di Montiglio Monferrato), Tali affioramenti mostrano un insieme caotico di sedimenti, costituiti da una matrice marnoso-argillosa nella quale risultano inglobati blocchi di svariate dimensioni (dal decimetro alle centinaia di metri),

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costituiti da differenti litotipi. I blocchi di dimensioni maggiori (estensione pluriettometrica e potenza pluridecametrica) sono costituiti da alternanze di gessi selenitici e di peliti. Oltre ai gessi, sono presenti altri litotipi costituiti da:

blocchi, di dimensioni metriche, di dolomie e brecce a matrice dolomitica e calcari dolomitici vacuolari di origine evaporitica;

blocchi, da plurimetrici a metrici, di calcari micritici e brecce carbonatiche cementate con modelli interni di Lucinidi, per i quali è stata dimostrata un’origine diagenetica collegata a emissione di metano (Clari et alii, 1994);

blocchi (da decametrici a metrici) di natura calcareo- dolomitica, riccamente fossiliferi.

Localmente sono stati anche rinvenuti litotipi di età più antica, rappresentati da sedimenti di età oligocenica (33 – 23 milioni di anni), ubicati ad Ovest di Murisengo, attribuibili alla cosiddetta Formazione delle “Marne di Antognola”, ed altri di età tortoniana (11 milioni – 7 milioni di anni), a S di Murisengo, ascrivibili alla Formazione della “Marne di Sant’Agata Fossili”. Entrambi gli affioramenti sono inglobati nella suddetta matrice marnoso argillosa e sono stati pertanto interpretati come singoli blocchi contenuti nel medesimo deposito caotico in cui sono riconoscibili le “lenti” di gesso” interessate da attività estrattiva.

Nei blocchi di gesso è riconoscibile il carattere ciclico, tipico della Formazione Gessoso Solfifera descritta da Sturani (1976) e Vai&Lucchi (1976), segnato, in questo caso, dalla ripetizione di livelli gessosi di potenza plurimetrica e livelli pelitico-marnosi di spessore centimetrico-decimetrico. Ogni ciclo è costituito da un intervallo terrigeno, che registra le condizioni di massima profondità del bacino di sedimentazione, e da un banco di gesso selenitico, che testimonia la precipitazione del gesso da acque ipersaline. All’ interno degli intervalli terrigeni, localmente, sono riconoscibili un livello inferiore di peliti scure, maggiormente ricco di componente organica, ed una porzione superiore costituita da peliti finemente laminate (Figura 7).

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Figura 7: livello terrigeno composto da peliti scure e soprastanti peliti laminate (cava Codana, Montiglio M.to)

All’interno dei banconi di gesso sono inoltre riconoscibili due tipologie di gesso: quella selenitica grossolana, con individui decimetrici, a volte geminati, che rappresentano l’inizio della sedimentazione in ciascun ciclo all’interno del bacino evaporitico (gesso macrocristallino), e quella a grana minuta, con cristalli da millimetrici a centimetrici (gesso micricristallino) (Figura 8). Si riconoscono inoltre porzioni di gessoruditi (depositi costituiti da frammenti di gesso) che testimoniano periodiche emersioni della piattaforma.

L’area dove meglio si è potuta osservare la natura caotica dei depositi messiniani è situata presso Località Parona, lungo il versante orografico sinistro del Torrente Versa, a NW dell’abitato di Montiglio M.to. Qui è stata osservata (Clari et al. 2000; Dela Pierre et al., 2000, Dela Pierre et al., 2002.; Cavagna et al., 2002) la presenza in affioramento di blocchi carbonatici, che indicano una sedimentazione carbonatica di mare poco profondo.

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Figura 8: l’immagine mostra la sovrapposizione di gesso macrocristallino (Gs) e gesso microcristallino (Gmc), separati da intercalazioni marnosa (Mb).

In particolare è stata segnalata la presenza di:  rudstones bioclastiche e lumachelle conchigliari;  brecce monogeniche a clasti di sedimenti conchigliari;  conglomerati poligenici;

 calcari a grana fine cementati.

Le rudstones bioclastiche sono caratterizzate da una matrice costituita da un detrito bioclastico (composto da frammenti organici di taglia millimetrica), contenente fossili interi o in frammenti; le

lumachelle conchigliari sono invece caratterizzate da un'elevata porosità e sono costituite da

associazioni faunistiche oligotipiche.

Le brecce monogeniche sono costituite da clasti angolosi di lumachelle conchigliari a fossili dissolti, aventi dimensioni variabili da pochi centimetri ad alcuni metri, immersi in una matrice costituita da microcristalli di dolomite.

I conglomerati poligenici sono rappresentati invece da sedimenti contenenti clasti arrotondati, da millimetrici a decimetrici,di :

 calcari a grana fine grigiastri molto cementati, attraversati da un reticolato di vene ad apertura millimetrica;

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 lumachelle conchigliari a fossili dissolti;

 grainstones (rocce carbonatica composte da granuli di taglia arenitica senza matrice fine e con pori intergranulari completamente o parzialmente riempiti di cemento);

 calcari dolomitici vacuolari, caratterizzati da cavità prismatiche submillimetriche, collegate alla dissoluzione di minerali evaporatici (Figura 9);

 clasti di rocce vulcaniche di provenienza extrabacinale. Il cemento tra i clasti è rappresentato da cristalli di calcite.

Queste rocce risultano confrontabili con i carbonati metano-derivati descritti negli ultimi anni in diverse località del Monferrato (Clari et al., 1994; Cavagna et al., 2002). Si tratta di masse carbonatiche «anomale» caratterizzate da valori estremamente negativi dell’isotopo 13C (tra -20 %o e -35%/; PDB), che sono state interpretate come il prodotto della cementazione di originali sedimenti terrigeni a seguito della presenza di fluidi ricchi in idrocarburi leggeri.

Figura 9: particolare di un blocco di calcari vacuolari, nel riquadro in rosso si possono osservare le tipiche cavità prismatiche legate alla dissoluzione di cristalli di gesso.

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Tutti i litotipi citati, sono presenti in blocchi inglobati in una matrice fine marnoso-siltosa di colore bruno, che contiene clasti da decimetrici a millimetrici di marne e siltiti poco cementate, definita “mud breccia” (Figura 10). Al suo interno è stata riconosciuta una fauna oligotipica, costituita da fossili datati al Tortoniano superiore - Messiniano inferiore (10 – 5 milioni di anni circa), al Miocene inferiore-medio (23 – 10 milioni di anni circa), all'Oligocene (34 – 23 milioni di anni circa) e all’Eocene (56 – 34 milioni di anni circa).

Questa associazione di litotipi, differenti per natura e dimensione e limitata arealmente ad una estensione di circa 1 km2, è stata indicata informalmente come “Complesso Caotico di Parona”; nella recente cartografia geologica (Foglio 157 “Trino” – scala 1: 50.000, 2003), la Formazione Gessoso Solfifera, sulla base delle particolari caratteristiche mostrate in corrispondenza della Valle Versa, è stata dunque denominata “Complesso Caotico di Valle Versa”.

Figura 10: particolare della mud-breccia all’interno della quale risultano dispersi i blocchi riconosciuti da Dela Pierre et al. (2002)

La precisa ricostruzione dell’origine dei sedimenti affioranti in quest’area è ostacolata dal fatto che essi sono conservati come blocchi e quindi gli originali rapporti stratigrafici tra le diverse litofacies sono attualmente indecifrabili. Tuttavia, l’aspetto caotico del deposito, può

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essere ricondotta allo smembramento della originaria successione evaporitica messiniana (Clari et al., 2000). La fase pre-evaporitica sarebbe infatti testimoniata dalla presenza dei blocchi di rudstone bioclastiche e di lumachelle conchigliari; la fase evaporitica da quella dei blocchi di gesso alternati a marne e quelli di brecce monogeniche, mentre la fase post-evaporitica sarebbe da associare ai blocchi di conglomerati poligenici.

Simili caratteristiche stratigrafiche sarebbero difficilmente spiegabili ricercandone la causa nelle sole oscillazioni eustatiche connesse con la crisi di salinità del Mediterraneo (Clauzon et al. 1996, Hsu et al, 1972, Roveri et al., 2001). Per tale ragione si è pertanto fatto ricorso a possibili concause quali l’azione di processi gravitativi indotti da movimenti tettonici e/o risalita di fluidi ricchi in metano, così come proposto da Roveri et al. (2003) per la “Vena del Gesso” emiliano-romagnola (corrispettivo della Formazione Gessoso Solfifera in Emilia Romagna). Durante tali processi la sequenza evaporitica messiniana sarebbe stata coinvolta da importanti frane sottomarine e scollata dal rispettivo substrato, con un “rimescolamento” delle litologie, precedentemente deposte in sequenza, sino ad una loro conseguente caoticizzazione. In particolare, secondo Dela Pierre et al. (2002), eventi tettonici tardo-miocenici (come suggerito dalla presenza di blocchi del Messiniano post-evaporitico) avrebbero portato ad una frammentazione della successione bacinale, con la conseguente formazione di blocchi isolati. Tali movimenti sarebbero dunque responsabili della deformazione e del tilting del complesso pre-messiniano, provocando conseguentemente lo scollamento basale della sequenza evaporitica e ponendo le condizioni per il verificarsi di frane sottomarine in grado di coinvolgere enormi volumi di materiale.

Tuttavia, il ritrovamento di blocchi di carbonati metano derivati, sia a Parona, sia in altre località del Monferrato, ad esempio a Marmorito (Clari et al., 1988), ha sollevato anche l’ipotesi di un contributo di possibili meccanismi diapirici, collegati alla risalita verso la superficie di fluidi freddi in sovrappressione, ricchi in idrocarburi, quali metano, per effetto della dissociazione di gas idrati. Tale risalita può essere associata, ad esempio, al repentino abbassamento della massa d’acqua, legata al disseccamento del Mediterraneo, oppure a cause tettoniche, come ad esempio processi di sollevamento e/o tilting. Rocce carbonatiche, legate alla circolazione di fluidi ricchi in metano, sono state rinvenute all’interno delle argille euxiniche della Formazione Gessoso-Sofifera (Dela Pierre et al., 2002). Nella risalita verso la superficie, i fluidi in sovrappressione possono infatti trascinare quantità notevoli di sedimenti fini e non consolidati, dando origine a diapiri di fango costituiti da depositi caotici del tutto analoghi a quelli prodotti dalle suddette frane sottomarine.

La scarsità di affioramenti non consente di chiarire in maniera soddisfacente i rapporti geometrici (di intrusione e/o di sovrapposizione) con i depositi limitrofi: i caratteri

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rinvenuti nell’area sono pertanto compatibili con un'origine sia gravitativa che diapirica. Questi due meccanismi sono però difficilmente distinguibili nel registro stratigrafico a causa della forte convergenza di facies dei loro prodotti.

D’altro canto il diapirismo e l’espulsione di fluidi da un lato ed i processi di risedimentazione gravitativa dall’altro sono spesso associati e possono avere una causa comune, quale ad esempio la deformazione tettonica di successioni sedimentarie, non ancora o solo parzialmente consolidate (depositi sciolti). I movimenti tettonici possono infatti favorire, da un lato, la risalita di fluidi lungo superfici di discontinuità e, dall’altro, innescare fenomeni gravitativi a grande scala.

I soprastanti depositi pliocenici (5 – 2 milioni circa di anni), rappresentati da limi, limi sabbiosi, sabbie e arenarie calcaree fossilifere, mostrano una giacitura suborizzontale ed una potenza omogenea, talora notevole, a testimonianza del fatto che la tettonica eventualmente responsabile dello smembramento dell’originario bacino di sedimentazione sarebbe iniziata e conclusa nel Messiniano stesso (tettonica sin-sedimentaria tardo messiniana).

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