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I controlli a distanza dell'attivita' lavorativa dopo le recenti riforme

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I CONTROLLI A DISTANZA DELL’ATTIVITÀ LAVORATIVA DOPO LE RECENTI RIFORME

Introduzione p. 5

Capitolo I

La previsione del divieto di controlli a distanza nella versione originaria dello Statuto dei lavoratori

1. Definizione di “controllo a distanza” p. 8 2. Il bilanciamento fra l’interesse tecnico-produttivo del datore di lavoro e l’interesse alla dignità del lavoratore p. 10 3. Il controllo a distanza nel previgente art. 4 dello Statuto dei

Lavoratori p. 12

4. I primi due commi dell’art. 4 St. Lav. nella interpretazione

dottrinale e giurisprudenziale p. 15

5. La tutela giurisdizionale e le sanzioni applicabili al datore di lavoro p. 20 6. I c.d. “controlli difensivi” e la tutela del patrimonio aziendale

p. 21 7. Le oscillazioni interpretative sui c.d. “controlli difensivi” p. 26 8. Evoluzione degli strumenti di controllo (e di lavoro) p. 32

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Capitolo II

L’avvento del Jobs Act e la riscrittura dell’art. 4 legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori)

Sezione I

1. La legge delega 10 dicembre 2014, n. 183 e l’emanazione del D.lgs.

151/2015 p. 38

2. Il nuovo art. 4 dello Statuto dei Lavoratori a distanza di oltre 40

anni p. 42

2.1 Le causali che giustificano l’utilizzo di strumenti di controllo a

distanza… p. 47

2.2 …E la garanzia procedurale prevista per la loro installazione p. 49 2.3 Le esenzioni riservate agli strumenti utilizzati “per rendere la prestazione lavorativa” e per la “registrazione degli accessi e delle

presenze” p. 55

3. Definizione della categoria “strumenti di controllo” e funzioni di controllo incorporate nei dispositivi utilizzati come strumenti di lavoro

p. 59 4. La ridefinizione dei c.d. “controlli difensivi” p. 64

Sezione II

1. Art. 4, comma 3, St. Lav.: il regime di utilizzazione delle informazioni raccolte tramite gli strumenti legittimamente installati nella gestione del rapporto di lavoro p. 66

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3 2. Il richiamo al D.lgs. 196/2003. Il nuovo presupposto legale di legittimazione al trattamento dei dati e la necessaria interazione fra la disciplina generale e quella speciale p. 70 3. L’opera di adattamento svolta dal Garante della privacy, indagini del datore di lavoro e procedimento disciplinare. p. 75 4. Contenuto e modalità di comunicazione dell’informazione adeguata

p. 83 5. I residui margini di intervento per la contrattazione collettiva di

prossimità p. 87

6. Apparato sanzionatorio e riflessi penali p. 91

Capitolo III

Nuove tecnologie: monitoraggi sui luoghi di lavoro

1. Il mutato contesto tecnologico p. 94

2. L’accesso ad internet p. 98

3. Le linee guida del Garante per posta elettronica ed internet; principi generali e suggerimenti per il datore di lavoro; prevenzione per l’uso

scorretto di internet p. 102

4. Posta elettronica, prescrizioni del Garante e risvolti penali p. 111

5. L’avvento del social network p. 119

6. Il social network e la sua interazione con l’art. 4 St. lav.; quando il social network è strumento di lavoro o di controllo? p. 122 7. I controlli mediante rilevazioni biometriche p. 128 8. Telefono aziendale, smartphone e Gps p. 134

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Introduzione

Lo Statuto dei lavoratori è datato 20 maggio 1970; ben 47 anni sono trascorsi dalla sua emanazione. Molte previsioni hanno subito modifiche nel corso di questo periodo, ma l’argomento, oggetto di approfondito studio e valutazione della seguente tesi, è rimasto immutato fino al 2015, esattamente fino all’emanazione del D.lgs. 14 settembre 2015, n. 151. Facciamo riferimento della disciplina dei controlli a distanza dell’attività lavorativa, regolata dall’art. 4 Statuto dei lavoratori.

Seppur non espressamente menzionato nel codice civile il datore di lavoro risulta titolare anche di un potere di controllo nei confronti dell’operato dei lavoratori; ed allora la previsione dell’art. 4 aveva (ed ha tutt’ora) lo scopo di porre dei limiti all’esercizio di tale potere, poiché all’epoca lo squilibrio fra parte datoriale e parte sottoposta era estremamente vistosa, nonché scarsa appariva l’attenzione posta ai diritti dei lavoratori (soprattutto) nei luoghi di lavoro. Con l’affermarsi nel tempo, anche a livello internazionale, di valori fondamentali relativi alla persona umana, primi fra tutti la dignità dell’essere umano, a prescindere dal contesto in cui egli è posizionato, abbiamo un progredire delle tutele che vengono approntate sui luoghi di lavoro, cercando di portare, quanto più possibile, ad un punto di equilibrio accettabile il rapporto fra datore di lavoro e lavoratore.

Inoltre, vediamo svilupparsi, a latere della normativa giuslavoristica, una disciplina specifica della riservatezza e della dignità dell’individuo, che si preoccupa di salvaguardare in maniera diretta tutte le informazioni personali di ciascuno; ad accentuare la volontà e l’impegno del legislatore a tutelare determinati valori della persona

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6 umana, viene istituita addirittura un’apposita autorità amministrativa, ossia il Garante per la protezione dei dati personali ed emanato un Codice di protezione dei dati personali.

Dunque, partendo da queste premesse, si intuisce come il seguente studio dovrà intersecare le norme di riferimento delle due discipline, cercando di ritagliarne i rispettivi spazi, anche se non si potrà fare a meno di notare alcune sovrapposizioni o situazioni delicate che la commistione fra le due fonti normative talvolta realizza.

Appare fondamentale dedicare un primo spazio all’esposizione di concetti relativi alla materia dei controlli a distanza nonché visionare l’impostazione del previgente art. 4 dello Statuto dei lavoratori, funzione svolta nel capitolo I. Al termine dello stesso vengono messe in luce le ombre scaturite dal trascorrere del tempo racchiuse nella citata norma.

Ciò pone le basi per capire il contesto in cui si colloca la riforma della disciplina dei controlli a distanza ed aprire le porte, nel capitolo II, alla nuova formulazione dell’art. 4 dello Statuto. In esso vengono analizzati nello specifico i singoli commi di cui si compone la disposizione in esame, nonché delle precise tematiche che si propone di regolare. Una particolare menzione deve esser fatta alla sezione II del capitolo II, nella quale si dedica esclusivo spazio alla materia della tutela dei dati personali, richiamando continuamente i vari interventi del Garante della privacy, risultati indispensabili nella gestione delle controverse fattispecie che la prassi ha posto di giorno in giorno.

Da ultimo, nel capito III, ci si affaccia sui prodotti dell’evoluzione tecnologica, ossia sugli strumenti informatici e avanguardistici, entrati, più o meno, nella disponibilità commerciale delle aziende, guardando al concreto utilizzo che le stesse ne fanno. In mancanza di

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7 leggi volte al indicare il corretto modo di servirsi di tali strumenti, non si può far altro che riferirci alle prescrizioni dell’Autorità garante preoccupate a disciplinarne l’uso nel modo maggiormente rispettoso della privacy dei lavoratori.

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CAPITOLO I

La previsione del divieto di controlli a distanza nella versione originaria dello Statuto dei lavoratori

1. Definizione di controllo “a distanza”

Fra i poteri attribuiti al datore di lavoro vi rientra anche il potere di controllo, il quale si presenta come una naturale prosecuzione del potere direttivo e consente allo stesso di verificare l’osservanza delle indicazioni e prescrizioni impartite ai lavoratori della propria azienda nello svolgimento della prestazione lavorativa.

L’attività di controllo rappresenta un’attività complessa che si compone di una fase di osservazione ed una fase che possiamo definire di giudizio, poiché le informazioni raccolte divengono lo strumento con cui il datore di lavoro costruisce una personale valutazione, un giudizio appunto, che sarà presupposto imprescindibile per l’esercizio del potere disciplinare. Attraverso il potere di controllo il datore di lavoro, in quanto creditore della prestazione lavorativa da parte del proprio dipendente, non solo prende conoscenza dei dati relativi al corretto svolgimento della stessa, ma si assicura anche le prove della inesatta esecuzione o del compimento di atti esulanti dalle sue mansioni o addirittura lesivi degli interessi dell’azienda.

Esistono varie modalità in cui può espletarsi il controllo datoriale, quello che qui viene preso in considerazione è il c.d. controllo “a distanza”, del quale però manca una definizione normativa precisa che lo qualifichi e ne delimiti i confini, e che consenta di ricondurre una

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9 determinata attività di sorveglianza svolta dal datore di lavoro nella categoria in questione.

La norma di riferimento che enuncia la disciplina dei controlli a distanza sull’attività lavorativa è l’art. 4, l. n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), il quale, come appena accennato, non ne contiene anche una definizione. Lo Statuto si occupa di tutelare i vari interessi in gioco bilanciandoli, ed in quest’ottica le previsioni statutarie sono, più che altro, volte a porre dei limiti ai poteri del datore di lavoro; si preoccupano dunque di ridurre il più possibile quell’enorme divario sempre esistito fra datore e lavoratore.

Così l’attività degli interpreti, in particolare della giurisprudenza1

, ha supplito a tale mancanza cercando di dare un inquadramento ed un contenuto giuridico alla categoria in questione. Pertanto è ritenuto “a distanza” quel controllo svolto, dal datore di lavoro o chi per esso, a distanza spaziale o temporale, attraverso l’utilizzo di strumenti tali da configurare un controllo indiretto dell’attività lavorativa, da non richiedere cioè la presenza sul posto di lavoro del datore o di un suo sottoposto gerarchico. L'art. 4 sarebbe quindi violato, secondo tale interpretazione, sia nell'ipotesi di una vigilanza continua e sincronica rispetto all'attività di lavoro che in quella di una sorveglianza saltuaria e posteriore allo svolgimento della prestazione2.

Non è dunque necessario che l’attività di sorveglianza sia svolta in maniera continua, così come essa può avvenire contemporaneamente alla prestazione lavorativa oppure in un momento successivo; il divieto contenuto nella norma è ritenuto operativo indipendentemente

1

Fra le varie pronunce ricordiamo Cass. 17 Giugno 2000, n. 8250, in Orient. giur. lav., 2000, p. 1327, ma già a partire da Cass. 18 febbraio 1983, n.1236, in Giust. civ., 1983, I, p.1755.

2 B. VENEZIANI, Sub art. 4, in Lo Statuto dei lavoratori, Commentario diretto da G. Giugni,

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10 dal luogo e dal tempo in cui l’attività di sorveglianza viene posta in essere. Fondamentale, affinché si abbia un controllo a distanza, è l’impiego di strumenti (nell’accezione generica del termine) che consentano di ricostruire a posteriori il comportamento del lavoratore, strumenti che siano in grado di memorizzare i dati inerenti l’attività lavorativa e che ne consentano la loro lettura in un secondo momento, in uno spazio ed un luogo diverso da quello in cui il controllo si svolge.

2. Il bilanciamento fra l’interesse tecnico-produttivo del datore di lavoro e l’interesse alla dignità del lavoratore

“L’ideale di ogni potente è sempre stato quello di vedere ogni gesto ed ascoltare ogni parola dei suoi soggetti (possibilmente senza essere visto né ascoltato)”3

. Questa citazione ci permette di creare un’immagine nitida e ben precisa di una classica realtà di lavoro, ipotizzando di osservare uno schermo diviso a metà, dove da un lato sono visibili i lavoratori che svolgono la loro attività, e dall’altro il datore-direttore-responsabile il quale, a sua volta, sta guardando in un monitor dal suo ufficio esattamente quello che vediamo noi nella prima metà dello schermo.

Dunque anche il datore di lavoro, dall’alto della sua posizione, potrebbe cadere in questa tentazione e sentirsi in potere di monitorare ogni momento dell’attività lavorativa dei propri sottoposti. E la realtà tecnologica attuale è in grado di fornirgli tutti gli strumenti idonei allo scopo.

3

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11 Qui tocchiamo il nodo centrale che sta alla base della disciplina in analisi, e cioè la contrapposizione fra gli interessi delle parti in gioco. Storicamente prevalente è sempre stato l’interesse tecnico-produttivo del datore di lavoro, il quale si trova costantemente avvolto da luci ed ombre, giacché, pur rivestendo il ruolo di “capo”, ruolo che comporta di per sé il potere-dovere di impartire ordini, talvolta mal accettati, offre posti di lavoro in una società in cui il lavoro rappresenta un requisito essenziale per la sopravvivenza. Ma nel tempo ha acquistato sempre più rilievo la posizione del lavoratore, il quale ha sopportato negli anni trattamenti a volte disumani, ed è arrivato attualmente a godere di numerose tutele. Proprio la situazione di svantaggio e di inferiorità da cui è partita la figura del lavoratore ha portato all’attenzione del legislatore un elemento caratterizzante la persona umana in tutte le posizioni cui essa può ricoprire in ambito lavorativo e non: la tutela della dignità, la quale assurge oramai a rango principale nella società internazionale, e ciò richiede la sua salvaguardia in ogni situazione che investe l’uomo.

Dunque in un contesto sociale in cui sempre più si insinua la percezione che quanto sia tecnicamente possibile sia anche lecito risulta quanto mai fondamentale porre dei limiti all’esercizio del potere di controllo di cui il datore di lavoro è titolare. Si perché se da un lato sussiste il diritto datoriale all’accertamento dell’esatto adempimento dell’obbligazione lavorativa, dall’altro lato c’è la tutela della libertà e dignità del lavoratore, sancita nella Carta Costituzionale e nel titolo primo dello Statuto dei lavoratori.

La ratio della norma statutaria è così quella di operare questo bilanciamento, poiché possono cambiare le modalità di tutela apprestate ma resta fermo il bene giuridico da proteggere, ossia il

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12 “diritto del lavoratore a svolgere la propria prestazione in un ambiente sereno, libero dai condizionamenti che potrebbero derivare da qualunque forma di controllo occulto e continuativo”4.

I controlli sono essenziali alla realizzazione dell’interesse datoriale, ma al tempo stesso possono presentare modalità lesive della dignità dei lavoratori5; lo Statuto regola ora in maniera dettagliata ogni forma di controllo ed in particolare quello “a distanza”.

Vediamo come l’art 4 St. lav. realizza questo bilanciamento partendo dalla sua nascita che risale ad oltre quarant’anni oramai.

3. Il controllo a distanza nel previgente articolo 4 St. lav.

La norma statutaria, nella sua formulazione originaria, fondava per la prima volta in maniera esplicita6 il potere del datore di lavoro di controllare a distanza l’attività del lavoratore, in quanto funzionale a garantire la realizzazione del suo interesse tecnico-organizzativo, ma al contempo ne fissava i limiti per tutelare il contrapposto interesse del lavoratore alla propria dignità personale7. Infatti lo Statuto non voleva neutralizzare i poteri del datore di lavoro ma piuttosto predisporre una regolamentazione capace di razionalizzarne8 le modalità di esercizio.

4

I. ALVINO, I nuovi limiti al controllo a distanza dell’attività dei lavoratori nell’intersezione fra

le regole dello statuto e quelle del Codice della privacy, in Labour and Law Issues , 2016, vol. 2,

no. I, p. 9.

5

Sul punto A. BELLAVISTA, Il controllo sui lavoratori, Giappichelli, 1995, p. 21; P. CHIECO,

Privacy e lavoro, Cacucci, 2000, p. 333; E. COSTANZO, Statuto dei lavoratori: commento sistematico alla Legge 20 maggio 1970, n. 300, Giuffrè, 1971, p. 38.

6

Nessuna norma del Codice civile, infatti, menziona il potere di controllo, anche se è evidente che solo a seguito dell’esercizio del potere di controllo il datore di lavoro dispone delle informazioni necessarie per esercitare il potere disciplinare.

7 M.T. CARINCI, Il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori dopo il “Jobs Act” (art. 23

d.lgs. 151/2015): spunti per un dibattito, in Labour and Law Issues, 2015, vol. I, no. I, p. III.

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13 Il legislatore dell’epoca era consapevole che i controlli a distanza rappresentavano una delle forme di controllo più pericolose, poiché dotate di altissime potenzialità invasive ed irrispettose della riservatezza altrui: infatti, grazie ad essi, il datore poteva sorvegliare aree molto più ampie ed in ogni momento rispetto a quanto gli permettessero gli altri tipi di controllo diretto previsti agli artt. 2 e 3 dello Statuto. Ciò lo si evince già dalla relazione ministeriale di accompagnamento alla legge 300/1970, la quale precisava che “la vigilanza sul lavoro, ancorché necessaria nell'organizzazione produttiva, va mantenuta in una dimensione umana, cioè non esasperata dall'uso di tecnologie che possono rendere la vigilanza stessa continua ed anelastica, eliminando ogni zona di riservatezza e di autonomia nello svolgimento del lavoro”9.

Era forte questa preoccupazione ed era avvertita l’esigenza di evitare di creare la situazione su descritta, rendendo così quelle parole, oltre che molto attuali, premonitrici di una larga diffusione di strumenti informatici sempre più invasivi e di una realtà tecnologica che non conosce barriere.

L’art 4 ante riforma era rubricato “impianti audiovisivi”: riflettendo la tecnologia dell’epoca, il legislatore del 1970 perseguiva l’obiettivo di restringere l’uso delle telecamere a circuito chiuso che permettevano di visualizzare l’attività dei lavoratori all’interno delle unità produttive10. Difatti, il comma primo prevedeva un espresso divieto

9 Cass. 17/06/2000, n. 8250, in Notiz. giur. lav. 2000, p. 711; in dottrina si veda anche C. ZOLI, Il

controllo a distanza del datore di lavoro: l’art 4, l. n. 300/1970 tra attualità ed esigenza di riforma, in Riv. it. dir. lav., 2009, 4, p. 485.

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14 generale “di uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”11.

In particolare il citato comma vietava il cosiddetto controllo “intenzionale”12

sull’attività lavorativa effettuato appunto mediante l’utilizzazione di impianti audiovisivi o di altre apparecchiature finalizzate a tale scopo. Quindi veniva vietato in maniera assoluta l’utilizzo di apparecchiature di controllo al solo fine di verificare l’adempimento della prestazione da parte del dipendente.

Mentre, al comma secondo, si stabiliva che i predetti impianti e apparecchiature dalle quali sarebbe potuto derivare anche la possibilità di un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, potevano essere installate se necessarie ai fini produttivi e organizzativi ovvero richiesti dalla sicurezza sul lavoro e solo previo accordo con le rappresentanze sindacali oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro provvedeva l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorreva, le modalità per l’uso di tali impianti.

Il comma 2 ha inteso contemperare l’esigenza di tutela del diritto dei lavoratori a non essere controllati a distanza con quella del datore di lavoro relativamente all’organizzazione, produzione e sicurezza del lavoro, individuando una precisa procedura esecutiva e gli stessi soggetti ad essa partecipi13; e persegue questo obbiettivo, come abbiamo visto, ponendo dei limiti14 .

11 Art. 4, co. 1, l. n. 300/1970.

12 A. BELLAVISTA, op. cit., Giappichelli, Torino, 1995, p. 59. 13

Cass. 17/07/2007, n. 15892, in Guida lav., 2007, 44, 25.

14 La norma configurava prima di tutto un limite esterno al potere datoriale di controllo ed in

seconda battuta un limite interno: il divieto generale di controllo a distanza segnava un limite invalicabile per il potere di controllo, fino a che esso non venisse rimosso ad opera dell’autorizzazione sindacale o amministrativa (limite esterno); ottenuta l’autorizzazione, invece, il potere di controllo doveva essere esercitato in conformità alle esigenze tecnico-produttive o di

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15 Contro il provvedimento dell'Ispettorato era prevista la possibilità di proporre ricorso gerarchico al Ministero del lavoro e politiche sociali, in alternativa al ricorso in sede giudiziale, da parte del datore, delle rappresentanze sindacali o, in mancanza, dalla commissione interna, oppure dai sindacati di cui all’art 19 dello Statuto dei Lavoratori. Illustrata la normativa ci sono alcuni punti da analizzare.

4. I primi due commi dell’art. 4 St. Lav. nella interpretazione

dottrinale e giurisprudenziale

Anzitutto, come si evince dai primi due commi, il legislatore poneva una distinzione fra controllo “intenzionale” e “controllo preterintenzionale”, vietando il primo e consentendo invece il secondo a determinate condizioni; in particolare, mentre nel caso di controllo intenzionale l’installazione di dispositivi di sorveglianza era preordinata ad ottenere informazioni sull’adempimento della prestazione lavorativa o, più in generale, su comportamenti esulanti da essa (vietato dunque dal comma I), nel controllo preterintenzionale l’installazione di tali dispositivi era “tollerata” dal legislatore quando era resa necessaria da esigenze organizzative, produttive e di sicurezza del lavoro, nonostante ne potesse derivare anche un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori come “sottoprodotto non voluto”15. Il divieto sancito nel comma I doveva considerarsi violato anche nel caso di sola installazione non seguita da messa in funzione delle

sicurezza individuate proprio al momento dell’autorizzazione (limite interno). In questo senso P. LAMBERTUCCI, Potere di controllo del datore di lavoro e tutela della riservatezza del

lavoratore: i controlli a “distanza” tra attualità della disciplina statutaria, promozione della contrattazione di prossimità e legge delega del 2014 (cd. Jobs Act), in. Working Papers C.S.D.L. “Massimo D’Antona”, n. 255/2015.

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16 apparecchiature di controllo, poiché ciò che veniva punita (e tutt’ora è punita) è la mera potenzialità lesiva delle suddette e non la loro effettiva operatività16. La differenziazione fra astratta idoneità al controllo e concreta esistenza dello stesso è dunque da rifiutare, anche perché l'art. 4 non distingue tra atto e potenza, bensì solo tra intenzionalità e preterintenzionalità17.

Così non risultava indispensabile, per compromettere i beni tutelati dalla norma, che l’apparecchiatura fosse accesa, poiché la norma, come anticipato, mirava a colpire la mera potenzialità di controllo18. Non solo, non era necessario nemmeno che il controllo fosse continuo nel tempo, potendo dispiegarsi anche in maniera intermittente e saltuaria19 o semplicemente discontinua, perché esercitato, ad esempio, in locali dove i lavoratori possono trovarsi occasionalmente20.

Il controllo tecnologico era trattato dal legislatore storico con una certa diffidenza anche perché implementava, in maniera spropositata, il potere del datore di lavoro, in quanto gli consentiva di procurarsi delle prove precostituite di eventuali infrazioni commesse dai lavoratori21 da utilizzare in qualunque momento, rendendolo un

16

G. DE FAZIO, Sulla responsabilità del prestatore di lavoro per abuso dei beni aziendali, in

Resp. civ. prev. 2003, 02, p. 341.

17 P. ZANELLI, Innovazione tecnologica, controlli, riservatezza nel diritto del lavoro, in Dir. inf.,

1988; G. GHEZZI - F. LISO, Computer e controllo dei lavoratori, in Giorn. dir. lav. e relazioni

ind.,1986, p. 353.

18 F. FOCARETA, Il controllo informatico della prestazione di lavoro, in Riv. trim. dir. e proc.

civ, 1986, p. 558.

19

Cass. 6 marzo 1986, n. 1490, in Mass. giur. lav., 1986, p. 498; B. VENEZIANI, Sub art. 4, op.

cit., pp. 23 ss.

20 Cass. Pen. 15/10/1996, n. 9121, in Dir. prat. lav., 1996, 45, p. 3251; Cass. 06/03/1986, n. 1490,

in Dir. prat. lav., 25, p. 1589; Trib. Catanzaro 26/05/2006, in Guida lav., 2007, 38, 28; sul punto si segnala anche il provvedimento del Garante della privacy 09/02/2012, n. 56, in

www.garanteprivacy.it.

21 C. SMURAGLIA, Progresso tecnico e tutela della personalità del lavoratore (a proposito

dell’installazione di impianti di ripresa televisiva nelle fabbriche), in Riv. giur. lav., 1960, I, p.

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17 sorvegliante “onniveggente ed invisibile”22

. Inoltre questo tipo di controllo era (ed è) connotato da un forte carattere di anonimato, che comporta come conseguenza diretta l’impossibilità per il lavoratore di difendersi nell’immediatezza del fatto, esprimendo le proprie ragioni per spiegare la condotta tenuta.

Alla luce di queste osservazioni si intuisce come la norma statutaria difenda la dignità del lavoratore e tenda ad evitare che un controllo a distanza, anonimo, invasivo e totale sull’attività lavorativa renda il luogo di lavoro un posto disumano e, con la minaccia di una supervisione costante, richieda un impegno lavorativo di stampo stakanovistico23.

Un altro punto da analizzare riguarda il richiamo della norma alla “attività dei lavoratori”; si tratta di individuare quale siano tecnicamente i comportamenti che possono o no essere controllati. Con particolare riferimento all’art 4 St. lav., il dibattito in dottrina si focalizzò sulla possibilità o meno di riconoscere in capo al lavoratore controllato uno specifico diritto alla riservatezza24. L’interpretazione maggioritaria stabiliva che la lettura ampia25 della locuzione “attività dei lavoratori” era idonea a ricomprendere nel divieto non solo i comportamenti strettamente strumentali all’adempimento dell’attività

22 M. FOUCAULT, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino, 1976, p. 218. L’autore mette in luce

come i mezzi tecnici di sorveglianza amplificano il potere del sorvegliante creando così una situazione di forte squilibrio fra le parti.

23 In proposito si veda G. PERA, Sub art. 4, in C. ASSANTI - G.PERA, Commento allo statuto dei

lavoratori, Cedam, Padova, 1972, pp. 24 ss.

24 In dottrina vi erano diversi orientamenti, che oscillavano da chi intendeva riconoscere appunto

un diritto alla riservatezza in capo al lavoratore, che avrebbe escluso la possibilità di controllo di qualsiasi comportamento posto in essere dal lavoratore sul luogo di lavoro (si veda per tutti A. GARILLI, Tutela della persona e tutela della sfera privata nel rapporto di lavoro, in Riv. crit. dir.

priv., 1992, II, pp. 321 ss.), a chi invece negava l’esistenza di un tale diritto in quanto

incompatibile con la condizione di subordinazione del prestatore (G. PERA, Sub art. 4, in C. ASSANTI - G.PERA, Commento allo statuto dei lavoratori, Cedam, Padova, 1972, p. 28).

25

In proposito M.T. SALIMBENI, Il controllo a distanza sull’attività dei lavoratori: la

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18 lavorativa, ma anche tutte quelle attività che esorbitassero dal momento tecnico funzionale della subordinazione, denominate in dottrina “licenze comportamentali”26

(solitamente svolte in luoghi non strettamente legati allo svolgimento della prestazione e destinati esclusivamente ai lavoratori, quali spogliatoi, bagni, armadietti, sala mensa e luoghi ricreativi). In maniera ancora più semplice, la stessa espressione “attività dei lavoratori” si presta ad un’accezione che supera il mero adempimento della prestazione e sembra voler abbracciare l’intero comportamento umano nel luogo di lavoro.

Il controllo tecnologico, infatti, come è stato precedentemente evidenziato, può presentare le pericolose caratteristiche della continuità, intesa come durata costante, attuabile in qualunque momento, e dell’anelasticità, cioè la rigidità e minuziosità del monitoraggio, in grado di “registrare i momenti di distrazione e di disimpegno che sono naturalmente presenti nel lavoro di chiunque e che si devono tollerare”27.

L’applicazione dell’art. 4 è, peraltro, necessaria anche quando il lavoratore sia soggettivamente consapevole dell’esistenza e del funzionamento di un’apparecchiatura che, pur essendo inglobato nel complesso aziendale e pertanto necessariamente destinato alla produzione, consenta al contempo il controllo a distanza della sua attività lavorativa28.

26

F. LISO, Computer e controllo dei lavoratori, in Giorn. dir. lav. e rel. ind., 1986, pp. 366 ss.

27 G. PERA, sub art 4, cit., p. 25.

28 Cass. 18/02/1983, n. 1236, in Mass. giur. lav., 1983, p. 143; più recentemente Cass. 23/02/2010,

n. 4375, in Guida dir., 2010, 12, 92, che non ha ritenuto rilevante, al fine di escludere la violazione dell’art. 4, comma 2, St. Lav., il fatto che la lavoratrice, licenziata per aver utilizzato con finalità personali ed in modo protratto internet, “era a conoscenza sia del divieto di accesso ad internet non giustificato da esigenze di ufficio sia della riserva di controllo sulla osservanza del divieto formulata dalla società”.

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19 Rimane un ultimo punto da analizzare, riguardo la garanzia procedurale prevista dal comma II, il quale prescriveva appunto che, per l’installazione degli impianti di sorveglianza (“impianti audiovisivi ed altre apparecchiature”), in presenza di una delle causali sopra citate, il datore di lavoro vi potesse materialmente procedere soltanto “previo accordo con le rappresentanze aziendali”.

Il legislatore, tenendo a mente la ratio della disposizione in esame, ossia il contemperamento degli interessi in gioco nel contratto di lavoro subordinato, rimise direttamente alle parti il potere e la capacità di regolare questo bilanciamento, preferendo, in prima istanza, la via negoziale rispetto all’autorizzazione del soggetto pubblico, cioè l’Ispettorato del lavoro, cosciente che niente meglio dell’autonomia privata avrebbe saputo regolare una questione così delicata.

Dunque, l’installazione era condizionata al raggiungimento di un accordo sindacale29 o all’ottenimento del provvedimento autorizzativo di tale operazione; soluzioni entrambe ritenute capaci di assicurare un’effettiva verifica sulla reale presenza, nella singola unità produttiva, della causali giustificative. Le rappresentanze sindacali dei lavoratori avevano così la possibilità di analizzare gli impianti da installare in azienda per verificare la sussistenza o meno della possibilità di un controllo a distanza30.

29 La norma fa espresso riferimento alle RSA, costituite ai sensi dell’art 19 St. Lav.; nell’ipotesi in

cui queste non fossero state costituite subentravano le commissioni interne. La questione che si poneva sul punto, riguardava un contrasto interpretativo relativo all’ipotesi in cui sul luogo di lavoro fossero presenti più RSA. Ci si chiedeva se l’accordo, per essere valido, dovesse essere sottoscritto da tutte le RSA oppure se fosse sufficiente la maggioranza dei consensi. In dottrina era prevalsa quest’ultima interpretazione anche in ragione del principio generale che informa ogni sistema rappresentativo, in base al quale “ferma la possibilità di tutti di concorrere, la maggioranza ha diritto di governare”, G. PERA, Sub art. 4, op. cit., p. 35; A. FRENI – G. GIUGNI, Lo Statuto

dei lavoratori, Giuffrè, Milano, 1971, p. 83.

30

Il datore di lavoro non può inibire questo diritto di ispezione da parte delle rappresentanze sindacali altrimenti compie una limitazione dell’attività sindacale ed incorre nell’applicazione dell’art 28 St. Lav.

(20)

20 Sulla base di un accertamento effettuato, in fase precontrattuale, della non contrarietà dello strumento a siffatte esigenze le parti perverranno alla stipula di un accordo che ha tutti i caratteri di un contratto collettivo, unilateralmente impegnativo per il solo datore di lavoro31. L’accordo produce effetti non solo nei confronti dei lavoratori sindacalizzati, ma anche verso tutti gli altri alle dipendenze dell’azienda, in quanto si va a procedimentalizzare un potere del datore di lavoro e non i rapporti fra esso ed il singolo lavoratore.

In caso di mancato accordo tra le parti l'ordinamento non impedisce al datore di lavoro di attuare le forme di controllo a distanza se sussistono le esigenze meritevoli previste dal comma secondo, ma dovrà essere autorizzato dall'Ispettorato del lavoro. Il contenuto del provvedimento dell'Ispettorato riguarderà l'opportunità ed eventualmente le modalità di impiego dei mezzi di controllo a distanza.

5. La tutela giurisdizionale e le sanzioni applicabili al datore di lavoro

Ovviamente alla violazione della norma seguono determinate sanzioni o, più in generale, determinati effetti giuridici. Nonostante la lettera dell’art 4 St. lav. nulla dicesse in merito, le informazioni raccolte dagli strumenti illegittimamente installati non potevano essere utilizzate dal datore a proprio favore ne in un eventuale processo giudiziale ne a fondamento di un provvedimento disciplinare. Questo vuoto normativo fu colmato dall’interpretazione giurisdizionale, la quale, anche se non sempre unanime nello stabilire quando i dati raccolti

(21)

21 dagli strumenti installati in violazione della norma statutaria fossero utilizzabili32, preponderava nel ritenere tali dati giudizialmente inammissibili33.

Come già stato detto non è rilevante la funzionalità o l’utilizzo degli impianti, ciò che rileva è semplicemente lo loro installazione senza il rispetto del comma II, art 4 St. Lav.

Inoltre il datore incorreva anche in sanzioni di tipo penale, poiché, attraverso richiami fra norme, l’inosservanza dell’art 4 St. Lav. comportava l’applicazione dell’art 38 dello stesso; più precisamente era l’art 171 del codice della privacy34 che rimandava35 alla sanzione penale prevista nell’art 38 St. Lav. Si trattava di un reato contravvenzionale che poteva essere punito con l’ammenda o con l’arresto da 15 giorni ad 1 anno, e, nelle ipotesi più gravi, tali pene potevano applicarsi congiuntamente.

6. I c.d. “controlli difensivi”

32 Questo contrasto giurisprudenziale introduce il concetto dei c.d. “controlli difensivi”, che

saranno trattati nei paragrafi immediatamente successivi, i quali hanno creato delle oscillazioni fra le sentenze dei giudici; rappresentano un’invenzione giurisprudenziale che ha consentito di disapplicare l’art. 4 in presenza di determinate circostanze e rendere così utilizzabili le informazioni raccolte in violazione delle norme statutarie sui controlli del datore di lavoro, fra cui, anche e soprattutto, sui controlli a distanza.

33

Cass. 16 giugno 2000, n. 8250, in Guida dir., 2000, p. 38, con nota di RICCIARDI, secondo la quale “l'uso di una telecamera a circuito chiuso, finalizzata a controllare a distanza anche l'attività dei dipendenti, è illegittimo ai sensi dell'art. 4 della l. n. 300 del 1970; ne consegue, sul piano processuale, che non può attribuirsi alcun valore probatorio al fotogramma illegittimamente conseguito”; Trib. Milano 9 gennaio 2004, in Riv. crit. dir. lav., 2004, p. 648, ha statuito che sono del tutto inutilizzabili ai fini disciplinari i dati risultanti da una apparecchiatura di controllo a distanza che permetta il controllo dell'osservanza da parte dei lavoratori dei loro doveri di diligenza nel rispetto dell'orario di lavoro e che sia installata in assenza del preventivo accordo con le RSA o dell'autorizzazione amministrativa; da ciò è conseguita l'illegittimità del licenziamento che risulti fondato sui dati risultanti da tale controllo a distanza.

34

L'articolo 171 così disponeva: “ La violazione delle disposizioni di cui agli articoli 113, comma 1, e 114 (che richiama l'art. 4 St. lav.) è punita con le sanzioni di cui all'art. 38 della legge 20 Maggio 1970 n. 300”.

(22)

22 La categoria dei controlli difensivi non è prevista in nessuna norma dello Statuto dei Lavoratori; si tratta di una invenzione di origine giurisprudenziale. L’art 4 St. Lav. non conteneva, fra le causali che consentivano l’utilizzo degli strumenti di controllo a distanza, la tutela del patrimonio aziendale e si presentava molto rigido nella sua struttura; il punto di partenza della nascita ed evoluzione della categoria in esame è proprio la tutela del “patrimonio aziendale”. Tuttavia il concetto di patrimonio aziendale non era estraneo allo Statuto dei Lavoratori poiché era alla base dei controlli previsti ex art. 2 St. Lav.

Questa tipologia di controllo nasce, come accennato, principalmente dalla elaborazione giurisprudenziale, in occasione della interpretazione ed applicazione degli artt. 2 e 3 St. lav36., ma ben presto le difficoltà maggiori cominciarono a riscontrarsi nelle controversie relative all’applicazione dell’art. 4, comma 2, St. lav., a causa, soprattutto, dello sviluppo tecnologico degli strumenti di controllo che, come è stato ampiamente analizzato nei paragrafi precedenti, portava con se tutte quelle potenzialità invasive della sfera privata dei lavoratori.

Il testo previgente inibiva al datore di lavoro ogni controllo sullo svolgimento dell’attività lavorativa, in particolare vietava i controlli meccanici sulla corretta esecuzione della prestazione e rendeva inutilizzabili i dati provenienti da tali controlli.

Ma questo atteggiamento di forte chiusura nei confronti della sorveglianza tramite apparecchiature meccaniche della condotta dei lavoratori rischiava di sostanziarsi in una quasi impossibilità, per il

36

La teoria dei controlli difensivi nasce e si sviluppa sul concetto di autodifesa privata dell’imprenditore, ed è stata elaborata dalla giurisprudenza a seguito dell’applicazione delle regole dettate dal legislatore per i controlli umani, di cui artt. 2 e 3 St. lav.

(23)

23 datore di lavoro, di accertare la condotta del dipendente, sul luogo ed in orario di lavoro, anche, e soprattutto, quando quest’ultima fosse illecita.

Il sistema normativo che ne derivava da questa impostazione restava imperturbabile davanti alla commissione di illeciti anche di natura penale a causa della sua inflessibilità, e non consentiva agli imprenditori di tutelare le proprie aziende dalle stesse condotte illecite, da parte dei propri dipendenti, che miravano a danneggiare il patrimonio aziendale37.

Così, per superare questa rigidità normativa, parte della giurisprudenza38 ritenne legittimo l’utilizzo delle informazioni raccolte dai datori di lavoro, con strumenti di controllo a distanza, su comportamenti illeciti dei propri dipendenti ed il loro utilizzo a fondamento e giustificazione di provvedimenti disciplinari e di licenziamento. Tutto ciò sulla base, appunto, che il controllo difensivo, ossia quello con il quale il datore si difende dai comportamenti illeciti39, non rientra nel campo di applicazione dell’art. 4 St. lav.

37 DE LUCA TAMAJO, I Controlli sui lavoratori, Controlli sui lavoratori, in G. ZILIO GRANDI

(a cura di), I poteri del datore di lavoro nell’impresa, Atti del Convegno di studi, Venezia, 2003, p. 30.

38

La prima sentenza con la quale la giurisprudenza di legittimità ha affrontato il tema della inclusione o meno dei controlli difensivi nell’area di applicazione dell’art. 4 St. lav. è Cass. 3 aprile 2002, n. 4746, in Giur. lav., 2002, n. 21, p. 10, con nota di L.NOGLER, Abuso di telefono

aziendale: la decisione su controlli e rimedi. La Cassazione così stabiliva sul quinto motivo del ricorso: “Ai fini dell'operatività del divieto di utilizzo di apparecchiature per il controllo a

distanza dell'attività dei lavoratori previsto dall'art. 4, l. n. 300 citata, è necessario che il controllo riguardi (direttamente o indirettamente) l'attività lavorativa, mentre devono ritenersi certamente fuori dell'ambito di applicazione della norma i controlli diretti ad accertare condotte illecite del lavoratore (c.d. controlli difensivi), quali, ad esempio, i sistemi di controllo dell'accesso ad aree riservate, o, appunto, gli apparecchi di rilevazione di telefonate ingiustificate. Nella specie, pertanto considerato il tipo di lavoro cui era addetto il (Omissis), il tribunale avrebbe dovuto valutare il comportamento del datore di lavoro come inteso a controllare la condotta illecita del dipendente e non l'attività lavorativa svolta dal medesimo.

39 La giurisprudenza definisce “controlli difensivi” i “controlli diretti ad accertare condotte illecite

del lavoratore”. Cfr., da ultimo, Cass. 4 aprile 2012, n. 5371, e Cass. 23 febbraio 2012, n. 2722,

(24)

24 Il controllo difensivo concettualmente trova legittimazione proprio nel diritto di proprietà, sancito a livello costituzionale dall’art. 41, che permette al titolare del diritto di salvaguardare i propri beni per goderne liberamente ed evitare che questi vengano danneggiati.

Così, la diversità dell’interesse datoriale e la particolare modalità della fonte lesiva, consentirebbero al datore di porre in essere un controllo che potremmo definire straordinario, poiché non compreso nelle previsioni del titolo I dello Statuto dei lavoratori, il quale, a sua volta, ammetterebbe il ricorso a tecniche di vigilanza estrinsecate anche in forma occulta40. Come sopra accennato, questa interpretazione nasce dai controlli umani ex artt. 2 e 3 St. lav41, e trova successivamente applicazione anche con riferimento all’art. 4 St. lav.

In particolare, la Suprema Corte ritenne che le garanzie42 poste dal legislatore a tutela del lavoratore con la previsione dei suddetti articoli, dovessero valere solo in ordine all’accertamento dei comportamenti leciti; quando, invece, i controlli avessero assunto natura difensiva, poiché riguardavano “il corretto adempimento delle prestazioni lavorative al fine di accertare mancanze specifiche dei dipendenti già commesse o in corso di esecuzione”, essi potevano legittimamente avvenire anche occultamente43 o per mezzo di investigatori privati44.

40 P. MONDA, Il personale di vigilanza: divieto di controlli occulti e possibili controlli difensivi,

in Diritti Lavori Mercati, 2010, p. 3.

41 Con riguardo all’impiego di investigatori privati a scopo difensivo, v. Cass. 12 ottobre 2015, n.

20440, in Diritto & Giustizia, 2015; Cass. 8 giugno 2011, n. 12489, Mass. giu. lav., 2012, p. 563, nota di M.T. SALIMBENI; Cass. 4 dicembre 2014, n. 25674, in Foro it., 2015, p. 1671.

42 Pubblicità e trasparenza del controllo.

43 Cass. 14 luglio 2001, n. 9576, in Not. giur. lav., 2002, p. 34.

44 Tra le tante Cass. 18 settembre 1995, n. 9836, in Foro it., 1996, pp. 609 ss.; Cass. 5 maggio

(25)

25 Tali accertamenti occulti non sono dunque finalizzati alla verifica dello svolgimento della prestazione45, ma alla verifica della commissione di illeciti da parte del dipendente46. Solitamente si tratta di violazioni penalmente rilevanti che possono ledere il patrimonio aziendale47, qui inteso non soltanto come il complesso di beni materiali che compongono l’azienda, ma anche di quelli immateriali, come ad esempio l’immagine esterna48 dell’impresa accreditata presso il pubblico; può, però, anche trattarsi di “illeciti civili di natura extracontrattuale o comportamenti non strettamente riferibili al facere lavorativo”49

.

Deve comunque trattarsi di controlli ex post, cioè attuati dopo la perpetrazione del comportamento illecito50 o quando ci siano elementi tali da far ritenere che gli illeciti siano in corso51. Inoltre, i controlli

45 Oggetto del controllo occulto non può essere “né l’adempimento, né l’inadempimento

dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera”: v. Cass. 7 giugno2003, n. 9167 in Foro it., 2003; Cass. 9 luglio 2008, n. 18821, in Notiz. giur. lav., 2009, p. 193; Cass. 9

giugno 2011, n. 12568, in

http://www.legge-e-giustizia.it/index.php?option=com_content&task=view&id=4123&Itemid=131.

46

La rassegna giurisprudenziale sui controlli difensivi è ampia e variegata: sull’uso improprio dei permessi per l’assistenza dei disabili, v. Cass. 4 marzo 2014, n. 4984, in Riv. giur. lav., 2014, III, p. 444, con nota di M. RUSSO, Abuso dei permessi per assistenza disabili e controlli occulti; sull’uso personale e ingiustificato del telefono aziendale, v. Cass. n. 4746/2002, cit.

47 M. RUSSO, Quis custodiet ipsos custodes? I “nuovi” limiti all’esercizio del potere di controllo

a distanza, inLabour and Law Issues, 2016, Vol. 2, No. 2, R. 21 ss.

48 Cass. 23 Febbraio 2012, n. 2722, in Foro. it., 2012, pp. 1421 ss. Nella fattispecie la Corte fu

chiamata a pronunciarsi sul caso di un dipendente, impiegato presso un istituto di credito (con funzioni di quadro direttivo e di addetto all'ufficio Advisory Center), licenziato per giusta causa in quanto accusato di aver divulgato, tramite e-mail dirette ad estranei, notizie riservate riguardanti un cliente dello stesso istituto e di aver posto in essere, grazie alle informazioni in questione, operazioni finanziarie con vantaggio personale.

49

P. TULLINI, Videosorveglianza a scopi difensivi e utilizzo delle prove di reato commesse dal

dipendente, in Riv. it. dir. lav., 2011, I, p. 86.

50 Secondo L. NOGLER, Sulle contraddizioni logiche della Cassazione in tema di diritto alla

riservatezza del lavoratore subordinato, in Resp. civ. prev., 1998, I, p. 111, ad essere ex post non

sarebbe il controllo occulto, ma la verifica della sua legittimità e, di conseguenza, l’utilizzabilità delle prove così raccolte: “se viene accertato che il lavoratore ha commesso il fatto illecito allora l'esercizio del potere di controllo è legittimo; se, viceversa, viene provata la non imputabilità del danno patrimoniale al lavoratore allora l'esercizio del potere di controllo viene considerato illegittimo”.

51 Alcune pronunce considerano sufficiente “il sospetto o anche la mera ipotesi che illeciti siano in

corso di esecuzione”: Cass. 9 luglio 2008, n. 18821, cit.; in dottrina, v. R. IMPERIALI - R. IMPERIALI, Controlli sul lavoratore e tecnologie, Milano, 2012, p. 218.

(26)

26 occulti, pur se con finalità difensiva, devono essere caratterizzati dall’inevitabilità52

e rispettare il principio di proporzionalità e adeguatezza tra il mezzo adoperato e la finalità dell’accertamento53.

7. Le oscillazioni interpretative sui c.d. “controlli difensivi”.

La prima teorizzazione della categoria dei controlli difensivi si è avuta in occasione delle pronunce sulla legittimità dei sistemi di controllo dell’accesso ad aree riservate o degli apparecchi di rilevazione delle telefonate ingiustificate54, per poi essere utilizzata anche con riferimento all’utilizzo di internet e della posta elettronica55

.

Il percorso che seguì la giurisprudenza di legittimità nella costruzione dell’orientamento dei controlli difensivi a distanza fu tutt’altro che lineare, e, come spesso accade, la posizione iniziale venne lentamente a modificarsi.

Con specifico riferimento ai controlli a distanza, il punto di partenza di questa evoluzione è rappresentato da un’importante sentenza del 200256 , nella quale la Suprema Corte affermò, con argomentazione sintetica e da alcuni ritenuta meramente assertiva57, la totale esclusione dall’ambito di applicazione dell’articolo 4 St. Lav, delle forme di controllo dirette ad accertare condotte illecite del

52 Sul punto, v. Trib. Milano 26 luglio 2012, in Riv. critica dir. lav., 2012, III, p. 738; Trib. Varese

3 luglio 2013, in De Jure; Trib. Milano 23 aprile 2015, in De Jure.

53 M. RUSSO, Quis custodiet ipsos custodes? I “nuovi” limiti all’esercizio del potere di controllo

a distanza, in Labour and Law issues, 2016, Vol. 2, No. 2, R. 22.

54 Cass. 3 aprile 2002, n. 4746, cit.

55 La prima sentenza di legittimità in materia di monitoraggio degli accessi ad internet è

relativamente recente: Cass. 23 febbraio 2010, n. 4375, in Riv. giur. lav., 2010, II, p. 462, con nota di A. BELLAVISTA;Riv. it. dir. lav., 2010, II, 564, con nota di R. GALARDI.

56

Cass. 3 aprile 2002, n. 4746, cit.

57 L. NOGLER, Potere di controllo e utilizzo privato di telefono cellulare, in Guida. lav, 2002, n.

(27)

27 lavoratore58. Operava così una distinzione all’interno di questa categoria di controlli in relazione alla finalità che intendeva perseguire.

L’art. 4 St. Lav., secondo questa impostazione, consentiva di distinguere i controlli sull’attività dei lavoratori (sempre vietati dal primo comma), i controlli richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro (ammessi solo previo rispetto della procedura di autorizzazione prevista dal secondo comma) ed infine i controlli volti ad accertare condotte illecite dei lavoratori. Questi ultimi, in quanto non contemplati dalla norma, erano ritenuti sempre ammessi. Ne conseguiva l’inapplicabilità della norma ai datori di lavoro che avessero impiegato strumenti tecnologici, non per controllare l’attività lavorativa o per perseguire finalità organizzative, produttive o di sicurezza del lavoro, quanto piuttosto per individuare comportamenti illeciti dei dipendenti59; finalità, quest’ultima, che proprio perché non contemplata dalla norma in esame sarebbe stata dunque liberamente perseguibile dal datore di lavoro nell’esercizio del potere di controllo conferitogli dall’ordinamento60

.

Dunque si ritenne applicabile la procedura stabilita dal secondo comma dell’art. 4 St. Lav. ante riforma anche ai controlli difensivi per accertare comportamenti illeciti dei dipendenti, ma soltanto quando

58 I. ALVINO, I nuovi limiti al controllo a distanza dell’attività dei lavoratori nell’intersezione fra

le regole dello Statuto dei lavoratori e quelle del Codice della privacy, in Labour and Law issues,

2016, Vol. 2, No. 1, p. 12.

59

I. ALVINO, cit., p. 13. L’autore considera che questa conclusione sarebbe imposta anche dalla natura penale della fattispecie disciplinata dall’articolo 4, secondo comma, che ne preclude qualunque interpretazione analogica. La giurisprudenza penale qualifica la condotta vietata dall’art. 4 St. Lav. come un reato di pericolo, cosicché si configura la fattispecie penale ogni qual volta sia installata un’apparecchiatura di controllo vietata, quindi in assenza di autorizzazione sindacale o amministrativa, a prescindere dal fatto che il datore di lavoro poi se ne avvalga effettivamente (cfr., da ultimo, Cass. pen. 30 gennaio 2014, n. 4331, in Foro it., 2014, II, 129).

(28)

28 questi ultimi avessero riguardato l’esatto adempimento dell’obbligazione lavorativa e non, invece, quando effettuati per la tutela di beni estranei al rapporto di lavoro61.

Questa soluzione si sposava bene tanto con alcune osservazioni di carattere logico quanto con altre di natura penale; in particolare risulterebbe paradossale invocare la disciplina dell’art. 4 St. Lav. per impedire che un’azione illecita, commessa da un dipendente nei confronti del proprio datore di lavoro, o meglio, del suo patrimonio aziendale, venga debitamente punita. Si verrebbe così a creare una situazione in cui la vittima di condotte illecite, talvolta delittuose, sia privato degli strumenti idonei a tutelarsi da tali condotte, avvenute nella propria impresa ed a danno della stessa, e trovandosi altresì preclusa non solo la possibilità di ottenere un eventuale risarcimento del danno, ma addirittura la facoltà di esercitare un proprio potere, ossia quello disciplinare, non essendogli consentito l’utilizzo delle informazioni raccolte senza rispetto della proceduta ex art. 4 St. Lav. e risultando così il provvedimento privo di fondamento.

Ma ancora più paradossale sarebbe l’ipotesi di configurare, in capo al datore di lavoro, una responsabilità penale ex art. 38 St. Lav. per non aver rispettato le garanzie procedurali nella installazione degli strumenti di controllo. Senza tali dispositivi sarebbe molto difficile scoprire gli autori di illeciti sul luogo di lavoro.

Ma la ricostruzione ed il fondamento giustificatorio della categoria dei controlli difensivi non riscosse molto successo, suscitando critiche da parte della dottrina e non avendo spesso l’avallo dei giudici.

61 Cfr. Cass. 17 luglio 2007, n. 15892, in Riv. giur. lav., 2008, 2, II, pp. 358 ss., con nota di A.

BELLAVISTA, Controlli a distanza e necessità del rispetto della procedura di cui al comma 2

dell’art. 4 Stat. lav. e in Riv. it. dir. lav., 2008, II, pp. 794 ss., con nota di M. L. VALLAURI, È davvero incontenibile la vis expansiva dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori?; Cass. 23 febbraio

(29)

29 In particolare fu messa in discussione la creazione ex novo di una categoria autonoma di controllo accanto a quello intenzionale (vietato) e preterintenzionale (lecito a determinate condizioni), per poi sottrarlo alle garanzie statutarie previste per la tutela della dignità e riservatezza del lavoratore. Inoltre fu interpretata come un’operazione inutile62

l’aver creato una figura di controllo per tutelare il patrimonio aziendale, poiché, anche se non vi è alcun riferimento ai controlli sugli illeciti dei lavoratori, l’architettura dello Statuto è congeniata in maniera tale da soddisfare l’esigenza di tutela dello stesso patrimonio aziendale cui fa riferimento la categoria dei controlli difensivi, in particolare agli artt. 2 e 6 St. Lav.63.

Nella pratica era poi estremamente complicato porre in essere un’attività di controllo sul comportamento illecito del lavoratore senza che questo non toccasse l’attività lavorativa; indubbiamente un controllo svolto durante l’orario di lavoro comporta logicamente l’acquisizione di informazioni anche sulla diligenza della prestazione lavorativa. In particolare la dottrina aveva rilevato che, per quanto il controllo fosse finalizzato ad accertare condotte illecite del lavoratore, l’attività necessaria a realizzarlo era inevitabilmente suscettibile di rilevare informazioni relative alla complessiva attività svolta dal lavoratore64.

62

P. LAMBERTUCCI, Potere di controllo del datore di lavoro e tutela della riservatezza del

lavoratore: i controlli a “distanza” tra attualità della disciplina statutaria, promozione della contrattazione di prossimità e legge delega del 2014 (c.d. Jobs act), in WP CSDLE “Massimo D’Antona”.it, n. 255/2015, p. 10.

63 Rispettivamente riguardanti l’utilizzo delle guardie giurate e le perquisizioni personali. Dunque,

secondo questa osservazione critica, il legislatore non tralascia la cura del complesso di beni materiali ed immateriali facenti capo all’impresa, non contemplando la commissione di illeciti da parte dei lavoratori, ma opta per una protezione che passi attraverso modalità di controllo trasparenti e non occulte.

64 In proposito C. ZOLI, Il controllo a distanza del datore di lavoro: l’art. 4, l. n. 300/1970 tra

attualità ed esigenze di riforma, in Riv. it. dir. lav., 2009, fasc. I, p. 500; P. TULLINI, Comunicazione elettronica, potere di controllo e tutela del lavoratore, in Riv. it. dir. lav., 2009,

(30)

30 Ecco perché, alla luce di queste critiche, la giurisprudenza di merito si è spesso discostata, sia pur nella maggior parte dei casi non dichiarandolo espressamente, dalla soluzione netta enunciata dalla Cassazione nella citata sentenza del 200265. Il contrappeso che spostò le decisioni dei giudici e modificò l’orientamento iniziale, consisteva nell’osservazione secondo cui la “insopprimibile esigenza di evitare condotte illecite da parte dei dipendenti non può assumere portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore”66, per cui "tale esigenza" “non consente di espungere dalla fattispecie astratta i casi dei c.d. controlli difensivi ossia di quei controlli diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori, quando tali comportamenti riguardino l'esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro e non la tutela di beni estranei al rapporto stesso” Così la Suprema Corte ha poi mutato orientamento67 e, condividendo l’impostazione più moderata sposata dai giudici di merito, ha affermato che non è possibile espungere tout court la categoria dei controlli difensivi dalla fattispecie astratta disegnata nel secondo comma dell’art. 4 St. Lav68

.

Analizzando le successive sentenze si evince, infatti, che quando dal controllo difensivo si possono ricavare anche dati relativi all’attività

fasc. I, p. 323, qui 329, la quale argomenta che “i controlli difensivi non costituiscono una species

estranea allo Statuto, ma sono riconducibili all’area del controllo preterintenzionale”.

65 Per una sintesi dei principali orientamenti assunti dalla giurisprudenza di merito sul tema si veda

M. L. VALLAURI, È davvero incontenibile la forma espansiva dell’art. 4 dello Statuto dei

lavoratori?, in Riv. It. dir. lav., 2008, fasc. II, p. 718.

66 Cass. 23 febbraio 2012, n. 2722, in Riv. giur. lav., 2012, IV, p. 740, con nota di G. GOLISANO,

Il controllo della posta elettronica e accertamento ex post degli abusi del dipendente; concetto

espressamente affermato in Cass. 17 luglio 2007, n. 15892.

67

La Cassazione ha espressamente riconosciuto il cambiamento di orientamento interpretativo in Cass. 18 aprile 2012, n. 16622, in Foro it., 2012, I, p. 3328.

68 I. ALVINO, I nuovi limiti al controllo a distanza, in Labour and Law Issues, 2016, Vol. 2, No.

(31)

31 lavorativa ed, in particolare, relativi allo svolgimento della prestazione in termini di diligenza e corretto adempimento, questo debba considerarsi una species di controllo preterintenzionale ai sensi dell’art. 4, comma secondo69

.

In questo modo veniva ridimensionata l’area di applicazione dei controlli difensivi, ma non eliminata la categoria, nella quale vi rientravano solamente i controlli privi di interferenze di alcun genere con l’attività lavorativa e diretti ad accertare comportamenti illeciti idonei a pregiudicare “beni estranei al rapporto di lavoro”. Difficoltoso separare i vari elementi come messo in luce dalla dottrina; i due profili già mostrano una inscindibilità oggettiva, che diventa ancora più forte e intricata quando l’impresa si avvale di sofisticate tecnologie informatiche caratterizzate dalla possibilità tecnica di monitorare costantemente l’attività lavorativa e, contemporaneamente, l’attività non lavorativa70.

Resta da evidenziare un ultimo aspetto che mette in cattiva luce la categoria in esame aggiungendosi alle critiche; dalle analisi fin ora svolte si intuisce che la qualifica di un comportamento come illecito era effettuabile unicamente ex post, cioè dopo lo svolgimento della condotta e dell’accertamento a distanza. Questa situazione creava un

69 Cfr. Cass. 23 febbraio 2010, n. 4375, in Giust. civ., 2011, p. 1049, con nota di BUFFA, “In

tema di controllo del lavoratore, le garanzie procedurali imposte dall'art. 4, comma 2, della legge n. 300 del 1970 (espressamente richiamato anche dall'art. 114 del d.lgs. n. 196 del 2003 e non modificato dall'art. 4 della legge n. 547 del 1993, che ha introdotto il reato di cui all'art. 615 ter c.p.) per l'installazione di impianti ed apparecchiature di controllo richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, trovano applicazione anche ai controlli c.d. difensivi, ovverosia a quei controlli diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori, quando tali comportamenti riguardino l'esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro e non la tutela dei beni estranei al rapporto stesso”.

70

Vedi P. Tullini (a cura di), Tecnologie della comunicazione e riservatezza nel rapporto di

lavoro. Uso dei mezzi elettronici, potere di controllo e trattamento dei dati personali, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, Cedam, Padova, 2010.

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32 aumento significativo dei poteri e della discrezionalità del datore di lavoro, poiché, disapplicando l’art. 4 in caso di comportamento illecito, gli venivano concessi tempo e spazio per scegliere quali strumenti utilizzare, all’insaputa del lavoratore, e soprattutto per valutare liberamente ed unilateralmente, una volta raccolti dati informativi sui comportamenti dei propri dipendenti, come servirsene71.

Dunque se si ritiene di voler tutelare la dignità, libertà e riservatezza del lavoratore sul luogo e durante il tempo di lavoro, non si può concedere una discrezionalità così ampia al datore di lavoro, il quale, per scovare comportamenti illeciti, deve necessariamente porre in essere controlli di tipo occulto, invasivi e continuativi, sui lavoratori della propria azienda.

Volendo effettuare un bilancio sulla vicenda giurisdizionale relativa ai controlli a distanza, possiamo affermare che ogni fattispecie richiede un’attenta analisi, poiché, l’aver ricondotto i controlli difensivi nell’alveo della norma statutaria, non soltanto per l’interpretazione giurisprudenziale, ma (ora), come vedremo nel proseguo, anche per la riscrittura della norma stessa, non rende così scontata la decisione del giudice, trovandosi sempre egli nella situazione di dover valutare e bilanciare gli interessi delle controparti.

8. Evoluzione degli strumenti di lavoro (e di controllo).

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Il realizzarsi di tale circostanza appare in contrasto con la giurisprudenza penale, la quale considera la violazione dell’art. 4 come un reato di pericolo, con la conseguenza che il reato si consuma con la sola installazione di strumenti finalizzati al controllo in assenza delle specifiche causali di cui al comma 2, sul punto, Cass. pen. 12 novembre 2013, n. 4331, Foro it., 2014, p. 129.

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33 Il progresso tecnologico ha investito la vita dell’uomo in ogni settore, privato, pubblico ed ovviamente lavorativo. Il datore di lavoro ha dovuto e deve tuttora stare al passo con le nuove realtà informatiche, che immettono nel mercato strumenti lavorativi dotati di maggior produttività e maggior economicità. Da sempre le aziende, grandi o piccole che siano, per sopravvivere nella odierna realtà economica, rincorrono le innovazioni tecnologiche da sfruttare per la propria attività; ma tutto questo comporta parallelamente un accavallarsi di dettagli e di sfumature che rendono difficilmente applicabili ai casi concreti le norme esistenti, le quali rischiano costantemente di trovarsi in qualche maniera aggirate o disapplicate. Come illustrato, ad esempio, dalla categoria giurisprudenziale dei controlli difensivi, il diritto fa fatica a stare al passo con la realtà tecnologica, ed essa, col suo progredire minaccia sempre più quei valori essenziali della persona umana, quali, la riservatezza e la dignità. Si intuisce, infatti, come questi ultimi siano ogni giorno vittime delle potenzialità lesive di tutti quegli strumenti, di lavoro o di controllo che siano, capaci in qualunque momento di violare ogni diritto esistente a tutela della persona umana.

Calandoci nella concreta realtà lavorativa, dobbiamo evidenziare come la norma fosse però stata emanata in un contesto produttivo in cui gli impianti di controllo consistevano in congegni esterni rispetto agli strumenti produttivi utilizzati quotidianamente dal lavoratore per rendere la prestazione. Non esisteva il rischio di una commistione fra le due fattispecie, concettualmente e materialmente inquadrabili in maniera autonoma.

La scossa iniziale arrivò dall’utilizzo dei computer, una vera e propria rivoluzione, che nacquero come strumenti di lavoro e si resero ben

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34 presto indispensabili nelle imprese di qualunque genere. Fu così che i primi problemi applicativi emersero proprio quando, a seguito dell’utilizzo sui luoghi di lavoro dei computer e, in tempi più recenti, di smartphone e di tablet, il controllo a distanza era reso possibile dalla consultazione delle informazioni memorizzate in questi “strumenti di lavoro”, poiché il progresso rendeva gli stessi strumenti sempre più elaborati e ricchi di possibilità tali da diventare per il datore di lavoro al contempo anche strumenti di controllo72.

La situazione rischiava di degenerare, si rendeva indispensabile trovare un equilibrio nell’applicazione dell’art. 4 St. Lav., equilibrio che si è cercato di raggiungere a suon di sentenze, ma mai trovando una vera armonia. Come è stato ampiamente analizzato nei paragrafi precedenti, il percorso giurisprudenziale dei controlli difensivi ha cercato di porre un rimedio alla complicata questione che si era posta in applicazione dell’art. 4 Sta. Lav., ma spesso restavano margini discrezionali nella valutazione dei controlli concretamente posti in essere, analizzando gli strumenti di volta in volta utilizzati ed il loro modo di utilizzo. In particolare, con riferimento alla procedura concorsuale prevista per l’installazione degli strumenti di controllo, gli interpreti notavano, con una crescente risolutezza nel tempo, come apparisse anacronistica una disposizione che obbligasse il datore di lavoro a prendere parte alle trattative sindacali per concordare, ad esempio, l’installazione di ciascun computer e che, soprattutto, non permettesse di utilizzare a fini disciplinari i dati e le informazioni

72 Questi strumenti consentivano, da un lato, il miglioramento della produzione e

dell’organizzazione del lavoro, dall’altro, di raccogliere dati sull’attività lavorativa del dipendente. Grazie alle caratteristiche in essi incorporate il datore di lavoro poteva effettuare un vero e proprio controllo a distanza sul contegno dei propri sottoposti durante l’orario di lavoro.

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