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Il riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche di invalidità del matrimonio nel sistema italiano di diritto internazionale privato e processuale

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di laurea

IL RICONOSCIMENTO DELLE SENTENZE ECCLESIASTICHE

DI INVALIDITÀ DEL MATRIMONIO NEL SISTEMA ITALIANO

DI DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO E PROCESSUALE

Il Candidato

Il Relatore

Rachele Felici

Prof. Antonio Marcello Calamia

(2)

2

Alla mia famiglia

che ha sempre creduto in me

(3)

3

I

L RICONOSCIMENTO DELLE SENTENZE ECCLESIASTICHE

DI INVALIDITÀ DEL MATRIMONIO NEL SISTEMA ITALIANO DI DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO E PROCESSUALE

Indice

Introduzione ... 5

Capitolo I LA DISCIPLINA DEL MATRIMONIO CONCORDATARIO 1.1 . Genesi del matrimonio concordatario ... 7

1.2 . La disciplina del matrimonio nel Concordato lateranense ... 8

1.3 Le modifiche apportate dall’Accordo di Villa Madama ... 12

1.3.1 Le pubblicazioni ... 15

1.3.2 La trascrizione dell’atto di matrimonio ... 17

Capitolo II LA DELIBAZIONE DELLE SENTENZE ECCLESIASTICHE DI NULLITÀ MATRIMONIALE: PROCEDIMENTO E RAPPORTI CON IL DIRITTO INTERNAZIONALE E COMUNITARIO 2.1 Giurisdizione ecclesiastica e giurisdizione civile sul matrimonio: una breve cronistoria ... 20

2.2 Sull’inapplicabilità della legge 218/95 alle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio ... 23

2.2.1 Sulla ultrattività degli artt. 796 e 797 c.p.c. in materia di delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale ... 27

(4)

4

2.3 I requisiti per la delibazione della sentenza ecclesiastica: non contrarietà all’ordine pubblico (rinvio) e tutela del diritto di

difesa: il caso Pellegrini ... 32

Capitolo III L’ORDINE PUBBLICO QUALE LIMITE ALLA DELIBAZIONE DELLE SENTENZE DI NULLITÀ ECCLESIASTICHE 3.1 Il concetto di ordine pubblico: una breve cronistoria ... 48

3.2 Sentenze di nullità ecclesiastiche e contrarietà all’ordine pubblico ... 54

3.2.1 La delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale per simulazione unilaterale ... 59

3.2.2 La sentenza 19809/2008 della Corte di Cassazione ... 64

3.2.3 La convivenza tra i coniugi successiva alla celebrazione del matrimonio ... 68

3.3 Il riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche nell’ordinamento comunitario ... 75

Conclusioni ... 79

Bibliografia ... 82

(5)

5

Introduzione

Nel periodo compreso tra i Patti Lateranensi del 1929 e la fine degli anni Settanta, lo Stato Italiano ha recepito automaticamente le sentenze ecclesiastiche di declaratoria di nullità matrimoniale canonica.

Nel 1984, con gli accordi di Villa Madama, è venuto meno il regime di riconoscimento automatico di dette decisioni. Il nuovo sistema prevede che la Corte d’Appello territorialmente competente sia tenuta, in seguito alla domanda di delibazione, a conoscere la causa, ad assicurarsi che le parti abbiano potuto esercitare il diritto di agire e di resistere nel giudizio di fronte al tribunale ecclesiastico e che sussistano le condizioni richieste dall’art. 797 c.p.c. per riconoscere agli effetti civili le sentenze ecclesiastiche.

Si sono così create delle divergenze tra la disciplina civilistica delle invalidità matrimoniali per vizi e difetti del consenso e quella canonica. Mentre il codice civile riconnette alla convivenza prolungata tra i coniugi dopo il matrimonio una qualche efficacia preclusiva alla proposizione della relativa azione di invalidità, il codice di diritto canonico considera, al contrario, irrilevante l’instaurazione di una convivenza tra i coniugi più o meno lunga. Numerose sono pertanto state le sentenze ecclesiastiche dichiarative di nullità di matrimoni longevi, in cui si è realizzata una comunione di vita spirituale e materiale e che quindi non potevano essere dichiarati nulli dal giudice civile..

La Corte d’Appello potrebbe negare il riconoscimento della sentenza canonica per contrarietà all’ordine pubblico italiano.

Questi sono i punti principali del presente lavoro, il quale sarà suddiviso in tre capitoli.

Nel primo di questi si tratterà la disciplina del matrimonio all’interno del Concordato Lateranense, passando poi alle modifiche che sono

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6

state apportate dalla accordo di Villa Madama per considerare i criteri di competenza, la circolazione delle sentenze e la trascrizione dell’atto di matrimonio.

Nel secondo capitolo sarà considerata la disciplina applicabile, analizzando la legge n. 218/1995 per il riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche, gli ormai abrogati articoli 796 e 797 c.p.c. ed il DPR n. 396/2000.

Continuando, nel terzo capitolo si analizzeranno le sentenze della Corte di cassazione per evidenziare i cambiamenti che sono stati apportati, in particolar modo con la sentenza numero 16379 del 2014. Infine sarà introdotto il concetto di principio di ordine pubblico, sia a livello internazionale che interno, considerando le conseguenze che esso ha sulla convivenza tra i coniugi, e i fallimenti del sistema della delibazione all’interno delle sentenze ecclesiastiche.

(7)

7

Capitolo I

L

A DISCIPLINA DEL MATRIMONIO CONCORDATARIO

1.1 GENESI DEL MATRIMONIO CONCORDATARIO

In origine il matrimonio era regolato solo dalle norme di diritto canonico. È con il codice civile del 1865 che viene introdotto nel nostro ordinamento l’istituto del matrimonio civile1

.

Di conseguenza, in virtù del principio separatista, i cittadini cattolici che volevano contrarre un valido matrimonio sia nell’ordinamento canonico che in quello statale avrebbero dovuto procedere ad una doppia celebrazione: una di fronte al ministro di culto cattolico e l’altra di fronte all’ufficiale di stato civile.

Questo fino all’11 febbraio del 1929, data in cui lo Stato italiano - nella persona del capo del governo Benito Mussolini - e la Chiesa cattolica - nella persona del Cardinale Segretario di Stato Pietro Gasparri - stipularono i Patti Lateranensi2, formati da un Trattato ed un Concordato3, e resi esecutivi con legge del 27 maggio 1929, n. 8104.

Segnatamente, l’articolo 34 del Concordato riconosce al matrimonio celebrato secondo le norme di diritto canonico la possibilità di produrre effetti civili fin dal giorno della sua celebrazione mediante

1 Articolo 93 del codice Pisanelli.

2 I Patti Lateranensi rappresentano l’avvenuta conciliazione tra Stato e Chiesa,

nonché il superamento della Legge delle Guarentigie del 1871, legge mai accettata da Papa Pio IX poiché avente natura di atto unilaterale e privativa del potere temporale della Chiesa.

3

Oltre ad alcuni allegati al Trattato, tra cui la Convenzione finanziaria.

4 Legge 27 maggio 1929, n. 810, Esecuzione del Trattato, dei quattro allegati

annessi e del Concordato, sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e l’Italia, l’11 febbraio 1929, in Gazzetta Ufficiale 5 giugno 1929, n. 130.

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8

la trascrizione dell’atto di matrimonio stesso nei registri di stato civile5.

Nasce così il c.d. «matrimonio concordatario» o, più precisamente, il «matrimonio canonico trascritto»6.

L’articolo 34 del Concordato ha dato vita a un sistema di matrimonio basato sulla divisione delle competenze tra Chiesa Cattolica e Stato, affidando alla prima la disciplina del negozio matrimoniale e la piena giurisdizione per valutare la validità del matrimonio, ed al secondo la disciplina degli effetti civili prodotti dal matrimonio con piena giurisdizione in tale ambito7.

A seguito del Concordato del 1929 sono stati quindi introdotti i principi di pluralismo e libertà matrimoniale, vale a dire la possibilità per i cittadini italiani di contrarre un valido matrimonio scegliendo fra i vari riti previsti dall’ordinamento giuridico italiano, ossia tra matrimonio civile, matrimonio canonico trascritto e matrimonio celebrato dinanzi a ministri di culto cattolici.

1.2 LA DISCIPLINA DEL MATRIMONIO NEL CONCORDATO LATERANENSE

La disciplina del matrimonio canonico trascritto è contenuta nell’articolo 34 del Concordato del 1929.

Si tratta di un articolo molto lungo e complesso, il quale, oltre ad attribuire efficacia civile ai matrimoni canonici tramite la trascrizione

5 L’articolo 34 del Concordato recita infatti: «lo Stato italiano, volendo ridonare

all’istituto del matrimonio, che è base della famiglia, dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al sacramento del matrimonio, disciplinato dal diritto canonico, gli effetti civili».

6 P. MONETA, Matrimonio religioso e ordinamento civile, II ed., Giappichelli,

Torino, 1996, pp. 7 e ss.

7 M. CANONICO, Sentenze ecclesiastiche ed ordine pubblico: l’ultimo vulnus

inferto al Concordato dalle Sezioni unite, in Dir. fam. e pers., n. 37, 2008, pp. 1895

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9

nei registri di stato civile, evitando così agli sposi cattolici l’onere di una doppia celebrazione - come osservato nel precedente paragrafo -, riserva ai Tribunali ed ai dicasteri ecclesiastici la giurisdizione esclusiva per le cause riguardanti la nullità dei matrimoni concordatari e la dispensa pontificia8, provvedimento con cui il Pontefice dichiara lo scioglimento del matrimonio rato, vale a dire celebrato tra battezzati, e non consumato, non accompagnato cioè dall’unione fisica dei coniugi. Lo Stato tuttavia mantiene la propria giurisdizione esclusivamente per la cause di separazione coniugale9. L’articolo 34 prescriveva inoltre il regime di efficacia automatica nell’ordinamento statale delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale10, particolarità non di poco conto se si considera che all’epoca i matrimoni civili erano indissolubili; l’istituto del divorzio viene infatti introdotto solo nel 1970 con la legge n. 89811.

Secondo quanto previsto dall’articolo 34, la Corte d’Appello territorialmente competente, ovvero quella nella cui circoscrizione si trova il Comune presso il quale è stato trascritto l’atto di celebrazione del matrimonio, era chiamata a compiere d’ufficio, un esame meramente formale della sentenza canonica.

Sostanzialmente il giudice statale si limitava a verificare che la sentenza ecclesiastica si riferisse ad un matrimonio canonico trascritto a norma dell’articolo 34 del Concordato, senza entrare nel merito della decisione stessa.

8 Articolo 34, quarto comma: «Le cause concernenti la nullità del matrimonio e la

dispensa dal matrimonio rato e non consumato sono riservate alla competenza dei tribunali e dei dicasteri ecclesiastici».

9 Articolo 34, settimo comma: «Quanto alle cause di separazione coniugale, la

Santa Sede consente che siano giudicate dall’autorità civile».

10

G. DALLA TORRE, La revisione del Concordato lateranense. Una vicenda

lunga quarant’anni, in Iustitia, 2-3, 2004, pp.145 e ss.

11

Legge 1 dicembre 1970, n. 898, Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, in Gazzetta Ufficiale 03/12/1970, n.306.

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Tale procedimento si concludeva mediante un’ordinanza, provvedimento molto più semplice e con minori garanzie per le parti rispetto alla sentenza in quanto richiede soltanto una sommaria motivazione e che, in caso di esito positivo degli accertamenti compiuti, rendeva automaticamente esecutiva la decisione ecclesiastica agli effetti civili ed ordinava all’ufficiale di stato civile l’annotazione della sentenza stessa nei registri matrimoniali.

La particolarità del provvedimento emesso dalla Corte d’Appello è che pur essendo qualificato come un’ordinanza, si considera avente natura costitutiva poiché è questa e non la decisione ecclesiastica ad avere forza cogente nell’ordinamento statale ed a modificare lo status matrimoniale dei coniugi12.

Successivi cambiamenti si sono verificati in seguito ai vari avvenimenti storici che si sono succeduti, tra cui l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana e le novità avanzate dalla legislazione interna in materia matrimoniale; è cominciato in questo modo il processo di revisione del Concordato del 192913.

Con la legge 1 dicembre 1970, n.898 è stato infatti introdotto nell’ordinamento giuridico italiano l’istituto del divorzio che rende possibile la cessazione degli effetti civili non solo del matrimonio contratto civilmente, ma anche del matrimonio concordatario in virtù della pronuncia di un giudice statale.

Si è così discusso sulla legittimità costituzionale di tale legge, dal momento che si verifica l’intervento del giudice italiano in un ambito che l’articolo 34 del Concordato riserva alla giurisdizione esclusiva dei Tribunali ecclesiastici.

La Corte costituzionale, con le sentenze 169/1971 e 176/1973, ha confermato tuttavia la legittimità costituzionale della legge.

12 Cass. civ., 5 marzo 1932, in Dir. eccl., 1932, 189. 13

S. DOMIANELLO (a cura di), Gli effetti economici dell’invalidità dei matrimoni

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Ha precisato, infatti, che la giurisdizione esclusiva dei Tribunali ecclesiastici sussiste solo nel momento costitutivo del matrimonio ma non si estende anche al rapporto coniugale ed al suo mantenimento, che risulta perciò soggetto alla giurisdizione statale. Altro momento che segna un aumento della distanza tra matrimonio civile e matrimonio canonico si ha con la riforma del diritto di famiglia del 1975, che modifica l’articolo 84 del codice civile, innalzando a 18 anni l’età minima per contrarre un valido matrimonio civile.

L’ordinamento canonico mantiene invece i precedenti limiti di età, sedici anni per l’uomo e quattordici per la donna.

Conseguentemente i minori di età che non possono sposarsi per il diritto civile, se cattolici, possono contrarre un valido matrimonio canonico.

Ovviamente, come la Corte costituzionale ha precisato nella sentenza 16/1982, è vietata la trascrizione dei matrimoni canonici celebrati tra soggetti che non hanno l’età richiesta dall’articolo 84 del codice civile e che non abbiano ottenuto l’autorizzazione alla celebrazione dello stesso da parte del Tribunale per i minorenni.

Rappresenta tuttavia una pietra miliare del diritto ecclesiastico la sentenza 18/1982, poiché è l’unica ad aver dichiarato l’incostituzionalità di una norma di derivazione pattizia (articolo 34 del Concordato) in quanto contraria ai principi supremi dell’ordinamento costituzionale.

Con la stessa, la Corte costituzionale ha dichiarato infatti l’illegittimità costituzionale delle norme di attuazione del Concordato nella parte in cui non consentivano alle Corti d’Appello la possibilità di accertare il rispetto dei diritti di agire e di resistere nel giudizio di fronte ai Tribunali ecclesiastici e che nella sentenza canonica non vi fossero disposizioni contrarie all’ordine pubblico italiano.

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Il diritto di agire e la tutela dell’ordine pubblico rientrano infatti tra i principi supremi dell’ordinamento italiano e devono necessariamente essere rispettati.

Con la stessa sentenza la Corte costituzionale ha dichiarato anche l’incostituzionalità delle norme di origine concordataria in materia di esecutività della dispensa pontificia con cui il Papa scioglie il matrimonio rato e non consumato. Anche in questo caso risulta violato il diritto alla tutela giurisdizionale poiché la dispensa è concessa a conclusione di un procedimento di natura amministrativa. Tale provvedimento, essendo emesso al verificarsi di determinate condizioni (inconsumazione del rapporto coniugale ed esistenza di una giusta causa), è infatti considerato dallo Stato italiano un atto di natura amministrativa che come tale non può produrre effetti nel nostro ordinamento giuridico.

Resta comunque ferma la possibilità di ottenere una separata sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, posto che l’articolo 3 della legge sul divorzio annovera tra le cause di scioglimento del vincolo proprio l’ipotesi della mancata consumazione del rapporto coniugale.

1.3 LE MODIFICHE APPORTATE DALL’ACCORDO DI VILLA

MADAMA

A seguito delle vicende succedutesi nel corso degli anni, il 18 febbraio 1984 la Repubblica italiana e la Santa Sede hanno firmato un accordo di revisione del Concordato lateranense, il c.d. Accordo di Villa Madama14.

14 L. LACROCE, M. MADONNA, Il matrimonio concordatario nella

giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Il diritto ecclesiastico, 3-4, 2012, pp.

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L’accordo di Villa Madama ha mantenuto il sistema del riconoscimento civile del matrimonio canonico, introducendo novità in merito al regime del matrimonio a livello sostanziale e processuale.

A livello sostanziale, l’Accordo non fa riferimento al sacramento del matrimonio e non gli riconosce importanza civile in maniera automatica in seguito alla trascrizione su iniziativa del ministro di culto cattolico.

Dal punto di vista processuale invece, recependo appieno le novità introdotte dalla Corte costituzionale con la sentenza 18/1982, l’Accordo ha abrogato la riserva di giurisdizione ecclesiastica all’interno delle cause di nullità del matrimonio concordatario, superando l’automaticità e l’ufficiosità che caratterizzava il regime concordatario di attribuzione degli effetti civili alle sentenze matrimoniali ecclesiastiche15.

Il motivo di ciò è dato dal fatto che dagli anni ‘70 in poi è sorta l’esigenza di adottare un vero e proprio giudizio di delibazione di fronte alla Corte d’Appello territorialmente competente non solo per il riconoscimento delle sentenze straniere, ma anche per il riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche16.

Tale giudizio si attiva su istanza di parte e si conclude non più con un’ordinanza, come previsto nel previgente sistema, ma con una sentenza. In particolare, il procedimento da seguire per giungere alla sentenza è quello ordinario se la domanda è proposta da una sola parte con atto di citazione, mentre trova applicazione il rito camerale

15 C. MARINO, La delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità

matrimoniale nel sistema italiano di diritto internazionale privato e processuale,

Giuffrè, Milano, 2005, pp. 9 e ss.

16 A. BETTETINI, Brevi riflessioni sulla recente giurisprudenza apicale in ambito

ecclesiastico, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica

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se la domanda è invece proposta da entrambe le parti mediante deposito del ricorso17.

I poteri della Corte d’appello, a seguito dell’Accordo del 1984, si sono notevolmente ampliati: essa esegue sulle sentenze ecclesiastiche gli stessi controlli previsti per il riconoscimento delle sentenze straniere, non attribuendo efficacia civile alle decisioni canoniche che risultino contrastanti con i principi supremi dell’ordinamento. Pertanto il matrimonio, nullo per l’ordinamento canonico, manterrà la propria efficacia e validità nell’ordinamento civile.

Precisamente, la nuova disciplina matrimoniale è contenuta nell’articolo 8 dell’Accordo del 1984, che si compone di due parti: la prima dedicata al riconoscimento degli effetti civili del matrimonio canonico e la seconda dedicata all’attribuzione degli effetti civili alle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale.

Segnatamente, l’articolo 8 comma 1 subordina l’efficacia civile del matrimonio canonico ad una serie di adempimenti: pubblicazioni nella casa comunale, lettura da parte del parroco celebrante degli articoli 143, 144 e 147 del codice civile riguardanti diritti e doveri dei coniugi e redazione dell’atto di matrimonio in duplice copia, una da inserire nei libri parrocchiali e l’altra da spedire, entro cinque giorni, all’ufficio comunale ai fini della trascrizione dell’atto di celebrazione del matrimonio nei registri di stato civile18.

17 Cass. Sez. Un., sent. 1212/1988, in Dir. eccl., 1988, II.

18 Articolo 8 comma 1: «Sono riconosciuti gli effetti civili ai matrimoni contratti

secondo le norme del diritto canonico, a condizione che l’atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile, previe pubblicazioni nella casa comunale. Subito dopo la celebrazione, il parroco o il suo delegato spiegherà ai contraenti gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli articoli del codice civile riguardanti i diritti e doveri dei coniugi, e redigerà quindi, in doppio originale, l’atto di matrimonio, nel quale potranno essere inserite le dichiarazioni dei coniugi consentite secondo la legge civile».

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1.3.1 LE PUBBLICAZIONI

Le pubblicazioni presso la casa comunale di residenza degli sposi, di cui all’articolo 93 del codice civile19

, vengono considerate come la prima forma di adempimento richiesta per la trascrizione del matrimonio nei registri dello stato civile e permettono ai soggetti legittimati di proporre opposizione al matrimonio.

La stessa disposizione è prevista anche nel diritto canonico che, al di là degli effetti civilistici, prevede le pubblicazioni presso la parrocchia per verificare che non vi siano impedimenti alla celebrazione del matrimonio religioso20.

Le pubblicazioni, secondo l’articolo 96 del codice civile21

, devono essere richieste da entrambi gli sposi e devono restare affisse all’albo comunale per almeno 8 giorni, perdendo efficacia nel caso in cui il matrimonio non venga celebrato nei 180 giorni successivi.

La trascrizione del matrimonio può avvenire anche senza le previe pubblicazioni, una volta accertato che non vi siano circostanze che ne impediscano l’efficacia civile. In tal caso viene affisso un avviso di avvenuta celebrazione del matrimonio, procedendo poi alla trascrizione dell’atto 10 giorni dopo tale pubblicazione.

L’ufficiale dello stato civile, dopo 3 giorni dal compimento della pubblicazione, deve:

- rilasciare il nulla-osta quando non vi siano state opposizioni o qualora non sussistano impedimenti alla celebrazione, con il

19 Articolo 93 cc: «La celebrazione del matrimonio deve essere preceduta dalla

pubblicazione fatta a cura dell’ufficiale dello stato civile».

20 C. CARDIA, Matrimonio concordatario. Nuovo equilibrio tra ordinamenti, in

G. DALLA TORRE, C. GULLO, G. BONI (a cura di), Veritas non auctoritas facit

legem. Studi di diritto matrimoniale in onore di Piero Antonio Bonnet, Libreria

editrice vaticana, Città del Vaticano, 2012, pp. 179 e ss.

21

Articolo 96 cc: «La richiesta della pubblicazione deve farsi da ambedue gli sposi

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quale viene garantita agli sposi la trascrizione del matrimonio dopo essere stato celebrato;

- non rilasciare il nulla-osta nel caso in cui venga presentata opposizione, fino a quando quest’ultima non sia respinta o non sia confermata la sua infondatezza.

Se risultano cause preclusive al matrimonio successive al rilascio del nulla-osta, l’ufficiale dello stato civile sarà tenuto a procedere alla trascrizione dell’atto matrimoniale, informando contemporaneamente il procuratore della Repubblica per un’eventuale impugnazione. Dopo tre giorni dalla pubblicazione, i soggetti legittimati si possono opporre alla celebrazione tramite proposta al Tribunale territorialmente competente e l’ufficiale dello stato civile dovrà provvedere alla notifica presso il parroco.

Ai sensi dell’articolo 102 del codice civile, possono opporsi i genitori degli sposi, gli ascendenti o collaterali entro il terzo grado. Tale diritto, nel caso in cui l’opposizione si basi sull’ articolo 89 del codice civile22, spetta anche ai parenti del precedente coniuge in caso di scioglimento del precedente matrimonio o di nullità. Ad ogni modo il Pubblico Ministero è sempre tenuto all’opposizione al matrimonio quando è a conoscenza di un impedimento o di infermità mentale di uno dei coniugi.

L’ufficiale dello stato civile, in caso di opposizione, deve sospendere immediatamente il rilascio del nulla-osta o la trascrizione in attesa di pronuncia del giudice quando il matrimonio sia stato già celebrato senza pubblicazioni23.

22 Codice Civile, articolo 89 - Divieto temporaneo di nuove nozze. 23

P. DI MARZIO, Il matrimonio concordatario e gli altri matrimoni religiosi con

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1.3.2 LA TRASCRIZIONE DELL’ATTO DI MATRIMONIO

Il secondo adempimento richiesto dall’Accordo del 1984 per attribuire efficacia civile al matrimonio canonico è la trascrizione dell’atto di celebrazione nei registri di stato civile.

Essa svolge una duplice funzione: da un lato certifica l’avvenuta celebrazione del matrimonio e dall’altro permette la costituzione dello status coniugale civile24.

La trascrizione può essere tempestiva, tardiva o ritardata.

È tempestiva quella che avviene su richiesta scritta del parroco celebrante da presentarsi entro 5 giorni dalla celebrazione del matrimonio all’ufficiale di stato civile del comune in cui il matrimonio è stato celebrato, il quale provvede entro 24 ore dal ricevimento dell’atto di matrimonio riportandolo integralmente nei registri di matrimonio.

La trascrizione è invece tardiva se viene effettuata a distanza di diversi anni dalla celebrazione del matrimonio canonico purchè vi sia la comune volontà tra le parti ed a condizione che entrambe abbiano conservato ininterrottamente lo stato libero dal momento della celebrazione del matrimonio a quello della richiesta di trascrizione. Tale forma di trascrizione non pregiudica i diritti che terzi nel frattempo abbiano legittimamente acquisito (ad esempio la comunione dei beni non potrà essere opposta al terzo che abbia acquisito diritti da uno dei coniugi su uno dei beni oggetto della comunione)25.

Tuttavia, la trascrizione tardiva del matrimonio canonico non è possibile quando si verifica la morte di uno dei coniugi, dato che

24 L. SPINELLI, La trascrizione del matrimonio canonico, Giuffrè, Milano, 1975,

pp.195 e ss.

25 O. FUMAGALLI CARULLI, Matrimonio ed enti tra libertà religiosa e

intervento dello Stato. Con un saggio di Alessandro Perego, Vita e Pensiero,

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18

viene a mancare proprio il requisito dell’attuale volontà delle parti. La trascrizione ritardata ha invece luogo, ai sensi dell’articolo 13 della legge matrimoniale - ovvero l. n. 847/192926 - non abrogata dall’Accordo del 1984, qualora il matrimonio canonico sia stato celebrato senza l’effettuazione delle pubblicazioni civili, sempre che non ricorrano le cause di intrascrivibilità previste dalla legge.

Il matrimonio canonico infatti, secondo quanto previsto nel precedente sistema concordatario, non poteva essere trascritto nei seguenti casi:

- se uno dei coniugi risulta già legato ad altra persona da matrimonio civilmente valido;

- se le persone unite in matrimonio canonico risultano già legate tra loro da matrimonio civilmente valido;

- se uno dei due coniugi è interdetto per infermità mentale. L’Accordo del 1984 prevede che la trascrizione non possa aver luogo in due casi, vale a dire:

- matrimonio celebrato dal minore che non abbia ottenuto l’autorizzazione al matrimonio da parte del Tribunale per i minorenni, rilasciata al minore che abbia compiuto i sedici anni in presenza di maturità psicofisica o di gravi motivi; - quando tra gli sposi vi è un impedimento che la legge civile

considera inderogabile (es. interdizione per infermità di mente di uno dei coniugi, sussistenza tra gli sposi di un matrimonio civilmente valido, impedimenti derivanti da delitto o da affinità in linea retta).

Nonostante la sussistenza di una causa preclusiva, la trascrizione è comunque ammessa quando, secondo la legge civile, l’azione di nullità o annullamento non potrebbe più essere proposta, per cui qualora sia decorso il termine previsto dalla legge civile per proporre

26 Legge 27 maggio 1929, n. 847, Disposizioni per l’applicazione del Concordato

dell’11 febbraio 1929 fra la Santa Sede e l’Italia, nella parte relativa al matrimonio, in Gazzetta Ufficiale 8 giugno 1929, n. 133.

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19

impugnazione contro un matrimonio invalido, le parti unite nel matrimonio canonico, possono chiedere la trascrizione di quest’ultimo dal momento che non sussiste più nessun impedimento al suo riconoscimento civile27.

Al di fuori di questo caso espressamente previsto dall’articolo 8 dell’Accordo di Villa Madama, la trascrizione compiuta in presenza di uno degli impedimenti previsti dalla legge civile potrà essere impugnata di fronte al giudice civile per ottenerne l’annullamento che comporta la perdita di efficacia civile ex tunc del matrimonio.

27 C. MARINO, La delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità

matrimoniale nel sistema italiano di diritto internazionale privato e processuale,

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20

Capitolo II

L

A DELIBAZIONE DELLE SENTENZE ECCLESIASTICHE

DI NULLITÀ MATRIMONIALE: PROCEDIMENTO E RAPPORTI CON IL DIRITTO INTERNAZIONALE E

COMUNITARIO

2.1 GIURISDIZIONE ECCLESIASTICA E GIURISDIZIONE CIVILE SUL MATRIMONIO: UNA BREVE CRONISTORIA

Come già ampiamente argomentato nel primo capitolo, il rapporto tra il matrimonio canonico ed il matrimonio civile, e di conseguenza tra giurisdizione canonica e giurisdizione civile, è stato molto influenzato dalle vicende storiche e dai rapporti tra i due Stati nel corso del tempo.

Prima di analizzare il procedimento di delibazione attualmente vigente, ed i suoi rapporti con gli ordinamenti sovranazionali, è doveroso ripercorrere i suoi passaggi storici, anche al fine di comprendere le questioni ancora oggi irrisolte.

In virtù del Concordato lateranense, frutto della risoluzione della

“questione romana” tra Stato italiano e Papato, la giurisdizione sul

matrimonio era affidata in via esclusiva agli Enti ecclesiastici. Il riconoscimento della efficacia delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio era automatico.

Si trattava, in virtù della riserva assoluta di giurisdizione prevista dall’art. 34 del Concordato28

, di un controllo solo formale da parte della Giurisdizione Statale, il cui unico onere era la verifica

28 L. 810 del 27 Maggio 1929, Esecuzione del Trattato, dei quattro allegati annessi,

e del Concordato, sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e l’Italia, l’11 Febbraio 1929.

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21

dell’effettiva trascrizione dei matrimoni oggetto della sentenza ecclesiastica e l’autenticità (secondo il diritto canonico) della sentenza, senza eseguire alcuna valutazione di merito29.

Tale procedimento, con l’avvento della Costituzione Repubblicana del 1948, si è posto evidentemente in contrasto con i principi di indipendenza, uguaglianza e laicità della neonata Repubblica.

Nonostante ciò, e nonostante una crescente attenzione delle corti di merito e della Suprema Corte al diritto di difesa, soltanto quando le concezioni dominanti nella società italiana mutarono, in particolare con la legge sul divorzio, fu la Corte Costituzionale ad impegnarsi nel verificare «quanto dell'equilibrio dei rapporti Stato-Chiesa previsto dai Patti Lateranensi potesse considerarsi compatibile con la Costituzione repubblicana, anche in riferimento al riconoscimento degli effetti civili alle pronunce ecclesiastiche di nullità matrimoniale»30.

Come già sottolineato però la Corte Costituzionale con sentenza n. 18 del 2 febbraio 198231 - dopo aver ripetutamente affermato la possibilità per le decisioni canoniche di produrre effetti civili - ha dichiarato l'incostituzionalità (della norma di attuazione) del ricordato art. 34 del Concordato lateranense, nella parte in cui

29 C. MARINO, La delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità

matrimoniale.., op. cit. p. 17.

30

R. GIOVAGNOLI, M. FRATINI, Il diritto di accesso. Percorsi

giurisprudenziali, Giuffrè, Milano, 2008, p. 356.

31

Corte cost. sent. n. 18 del 2 febbraio 1982, edita, tra l'altro, in Giur. cost., I, 1982, p. 138, con nota di R. NANIA, Il Concordato, i giudici, la Corte; in Foro it., I, 1982, p. 934, con nota di S. LARICCIA, Qualcosa di nuovo, anzi d'antico nella

giurisprudenza costituzionale sul matrimonio concordatario; in Giust. civ., I, 1982,

p. 874 con note di F. UCCELLA, Prime osservazioni sulle sentenze nn. 16 e 18 del

1982 della Corte costituzionale in materia di diritto matrimoniale concordatario e,

pp. 1448 e ss., di C. CARDIA, Una ridefinizione del matrimonio concordatario; in

Giur. it., I, 1982, p. 965, con nota di F. FINOCCHIARO, I Patti lateranensi e i “principi supremi dell'ordinamento costituzionale”; in Dir. fam., I, 1982, p. 328,

con note di F. DALL’ONGARO, Sulle modifiche introdotte nella legislazione

matrimoniale concordataria dalla Corte costituzionale, con le sentenze nn. 16, 17 e 18 del 1982, e di G. BALDISSEROTTO, Infradiciottenni, ordine pubblico, matrimonio rato e non consumato e, p. 742, di G. CASSANDRO, Dispensa canonica dal matrimonio non consumato e principi costituzionali.

(22)

22

ammetteva il riconoscimento degli effetti civili alla dispensa pontificia dal matrimonio rato e non consumato, in quanto tale dispensa non è un provvedimento giurisdizionale ma amministrativo ed ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme di attuazione del Concordato (art. 34, comma 6, del Concordato lateranense, unitamente all'art. 17 della legge matrimoniale), nella parte in cui non prevedevano che alla Corte d'appello competesse, in sede di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale, verificare che nel processo di fronte ai tribunali ecclesiastici fosse stato rispettato il diritto di difesa delle parti e che la sentenza ecclesiastica non contenesse disposizioni contrarie all’ordine pubblico italiano.

La questione è stata, quindi, consolidata in seguito agli accordi di Villa Madama, modificativi del Concordato lateranense del 1929. Tali accordi, sottoscritti a Roma nel Febbraio 198432, prevedono che «le sentenze di nullità del matrimonio pronunciate dai tribunali

ecclesiastici, che siano munite del decreto di esecutività del superiore organo ecclesiastico di controllo sono, su domanda delle parti o di una di esse, dichiarate efficaci nella Repubblica italiana con sentenza della Corte d'appello competente» (art. 8.2, l. n.

121/85).

È stato approntato quindi un procedimento giurisdizionale di riconoscimento dell’efficacia della sentenza ecclesiastica che, sostanzialmente, ricalca quello previsto per la delibazione delle sentenze straniere.

Tale procedimento di delibazione delle sentenze straniere, previsto dagli artt. 796-797 c.p.c. è sostanzialmente venuto meno con l’avvento della riforma del diritto internazionale privato, attuata con la legge 218/95.

32 L. 121 del 25 Marzo 1985, Ratifica ed esecuzione dell’accordo, con protocollo

addizionale, firmato a Roma il 18 Febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede.

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23

Il procedimento di riconoscimento automatico delle sentenze straniere è stato però ritenuto inapplicabile alle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale, per i motivi che verranno approfonditi nel proseguo del capitolo33.

Numerose pronunce, sia della Suprema Corte di Cassazione che della Corte Costituzionale, hanno deliberato sul tema della delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio, che rimane comunque attualmente regolato dagli artt. 796 e 797 c.p.c., che, seppure abrogati dall’art. 73 della l. n. 218/95, continuano ad esplicare la loro efficacia in virtù del rinvio materiale effettuato dalla legge 121/1985, applicativa degli accordi di Villa Madama.

2.2 SULLA INAPPLICABILITÀ DELLA LEGGE 218/95 ALLE SENTENZE ECCLESIASTICHE DI NULLITÀ DEL MATRIMONIO

L'art. 64 della l. n. 218/95, legge di riforma del diritto internazionale privato, dispone che, al ricorrere di determinate condizioni: «La

sentenza straniera è riconosciuta in Italia senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento».

L'art. 67, comma 1, prevede, inoltre, che qualora si verifichi un «caso

di mancata ottemperanza o di contestazione del riconoscimento della sentenza straniera o del provvedimento straniero di volontaria giurisdizione, ovvero quando sia necessario procedere ad esecuzione forzata, chiunque vi abbia interesse può chiedere alla Corte d'appello del luogo di attuazione l'accertamento dei requisiti del riconoscimento».

33 A. LICASTRO, Problemi e prospettive del diritto ecclesiastico internazionale

dopo la legge n. 218 del 1995, Giuffrè, Milano, 1997, p. 182, ha sottolineato che

«il procedimento previsto» dal Concordato lateranense «per dare efficacia in Italia alle pronunzie dei tribunali ecclesiastici dichiarative della nullità di matrimoni canonici trascritti» aveva «carattere ufficioso o formale», ma «il meccanismo si incrinò in maniera rilevante e definitiva a seguito della sentenza n. 18 della Corte costituzionale».

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24

Problematico risulta quindi stabilire quale sia la disciplina ora applicabile al procedimento di riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale. In altre parole, è necessario capire se la materia in esame continui ad essere regolata dagli artt. 796 e 797 c.p.c o se debba invece applicarsi l’art. 64 della l. n. 218/95.

Le soluzioni possono essere varie.

Innanzitutto potremmo ammettere che le sentenze ecclesiastiche siano automaticamente riconosciute nel nostro ordinamento in virtù del sopra citato art. 6434 qualora ritenessimo tali decisioni equiparabili ed assimilabili alle sentenze straniere35. Questa soluzione potrebbe essere corretta dal momento che, come sancito dall’art. 7 della Costituzione, la Chiesa è «un ordinamento giuridico indipendente e sovrano ed è un soggetto di diritto internazionale pacificamente ammesso a stipulare trattati internazionali - e dunque concordati - in condizioni di parità con gli altri Stati»36. Questa tesi non è però accettabile perché, a differenza dei rapporti con gli Stati stranieri, il rapporto fra Stato e Chiesa è del tutto peculiare: essi coesistono sullo stesso territorio ed esercitano i loro poteri sugli stessi individui. Quindi, ammettere che le sentenze ecclesiastiche sono automaticamente riconosciute nel nostro ordinamento - e che dunque la legge di diritto internazionale privato possa essere applicata anche nei confronti di dette pronunce - significherebbe

34

In senso contrario si esprimono, tradizionalmente, sia la giurisprudenza, cfr., ad es., Cass. sent. 5 ottobre 1956, n. 3368, in Dir. eccl., II, 1961, p. 50; Cass. 22 marzo 1995, n. 3314, edita in Fam. e dir., 1995, p. 334 e ss., con nota di M.F. MATERNINI, La tutela giurisdizionale nella giurisprudenza successiva alla

sentenza 18/82 della Corte Costituzionale, in Riv. dir. civ., I, 1987, p. 187.

35 M. TEDESCHI, Ancora su giurisdizione canonica e civile, problemi e

prospettive, in Dir. fam., 1993, pp. 1223 e 1228, ha sostenuto che «quella canonica

è la giurisdizione di un ordinamento confessionale, in nessun modo assimilabile a quella di uno Stato straniero... né si può considerare il diritto canonico alla stregua del diritto di uno Stato estero».

36

F. CARINGELLA, R. GIOVAGNOLI, Studi di diritto civile. Famiglia e

(25)

25

affermare una sorta di giurisdizione concorrente tra Stato e Chiesa così che «gli aventi diritto potrebbero richiedere tutela giurisdizionale indistintamente ai giudici dell’uno o dell’altro ordinamento»37, conclusione questa che andrebbe gravemente a compromettere la sovranità dello Stato.

Una seconda soluzione potrebbe essere allora quella di ritenere che lo Stato italiano abbia voluto equiparare alle sentenze straniere solo le decisioni canoniche di nullità matrimoniale38.

Anche questa spiegazione, tuttavia, non appare del tutto convincente. Ciò perché le modalità di riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche non sono mai state identiche a quelle dettate per il riconoscimento delle sentenze straniere.

L’art. 4 lett. b) del Protocollo Addizionale agli Accordi di Villa Madama prevede infatti che «ai fini dell’applicazione degli articoli

796 e 797 del codice italiano di procedura civile, si dovrà tener conto della specificità dell’ordinamento canonico dal quale è regolato il vincolo matrimoniale che in esso ha avuto origine» e che «in ogni caso non si procederà a riesame del merito».

Sembra pertanto che da questa disposizione possa trarsi una sorta di

favor nei confronti della delibazione delle sentenze ecclesiastiche

poiché tale norma va a temperare il rigore delle condizioni richieste dagli artt. 796 e 797 c.p.c. per il riconoscimento delle sentenze straniere.

37 R. GIOVAGNOLI, Separazione e divorzio: percorsi giurisprudenziali, Giuffrè,

Mlano, 2009, p. 378.

38 G. BADIALI, Il riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche di nullità dei

matrimoni nel nuovo sistema italiano di diritto internazionale privato, in Riv. dir. int., 2000, pp. 31, 48, 50; G. MASSETANI, La efficacia delle sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dal giudice ecclesiastico, in Foro it., V, 1997, p. 149, «le

sentenze del giudice ecclesiastico sono efficaci nei termini previsti dalla l. 218/95. La sentenza ecclesiastica risulta immediatamente efficace per l'ordinamento italiano alle stesse condizioni di ogni sentenza straniera, e il giudizio di accertamento dei requisiti di efficacia si rende necessario solo “in caso di mancata ottemperanza o di contestazione del riconoscimento della sentenza” a termini del riportato art. 67».

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26

Parte della dottrina ha però sottolineato che l’Accordo di Villa Madama sembra, al contrario, richiedere condizioni addirittura più severe rispetto a quelle dettate per le sentenze straniere. A sostegno di questa tesi viene richiamato l’art. 8, n. 2 lett. b) dell’Accordo, il quale attribuisce alla Corte d’appello il compito di verificare, durante il giudizio di delibazione, che nel processo di fronte ai tribunali ecclesiastici sia stato rispettato il diritto delle parti di agire e resistere in giudizio. Controllo questo ulteriore rispetto a quelli dettati dall’art. 797 c.p.c.

L’Accordo del 1984 ha quindi introdotto un regime proprio e specifico per il riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale e proprio in virtù della specialità della disciplina convenzionale rispetto a quella generale, contenuta nell’art. 64 della l. n. 218/95, appare corretto affermare che la disciplina pattizia debba prevalere benché la disciplina ordinaria sia ad essa posteriore, «argomentando così a contrario dal noto principio secondo cui lex

posterior derogat legi priori generali»39.

Ad ulteriore conforto della tesi circa la non applicabilità della l. n. 218/95 al riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche possiamo richiamare l’art. 63 del DPR n. 396 del 3 novembre del 2000 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile), ai sensi del quale «risultano trascrivibili le sentenze e gli altri atti con cui si pronuncia all’estero la nullità, lo scioglimento, la cessazione degli effetti civili di un matrimonio, mentre non sono trascrivibili nei registri matrimoniali le sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale, ma solo le sentenze della Corte d’appello che abbiano riconosciuto alle stesse effetti civili»40

.

39 R. GIOVAGNOLI, M. FRATINI, Il diritto di accesso. Percorsi

giurisprudenziali, Giuffrè, Milano, 2008, p. 358.

40 F. CARINGELLA, R. GIOVAGNOLI, Studi di diritto civile.., op. cit., p. 251.

Per le osservazioni su tale norma, P. MONETA, Matrimonio religioso ed

(27)

27

2.1.1 SULLA ULTRATTIVITÀ DEGLI ARTT. 796 E 797 C.P.C. IN MATERIA DI DELIBAZIONE DELLE SENTENZE ECCLESIASTICHE DI NULLITÀ MATRIMONIALE

Posto quindi che le sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale non sono equiparabili alle sentenze straniere e che dunque possono trovare esecuzione nel nostro ordinamento solo a seguito del giudizio di delibazione con cui la Corte d’appello riconosce alle stesse effetti civili, occorre ora stabilire quali siano le norme applicabili al giudizio in questione41.

In sostanza, dal momento che, l'art. 8, comma 2, lett. c), degli Accordi di Villa Madama prevede che nel procedere alla delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale la Corte d'appello debba verificare il rispetto delle condizioni «richieste dalla

legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere», poiché queste ultime sono state modificate dalla legge di

riforma di diritto internazionale privato, parte della dottrina ritiene che anche nei confronti delle decisioni canoniche dovrebbero ora applicarsi le nuove disposizioni, e non più quelle dettate dalle norme processuali vigenti al momento della stipula dell’Accordo di Villa Madama42.

Tale tesi dottrinale, seppure autorevole, si scontra con diversi dati normativi.

Ferme restando le previsioni di cui all'art. 8, comma 2, lett. c), infatti, pare opportuno ribadire che gli Accordi di Villa Madama prevedono espressamente che nel procedere al giudizio di delibazione delle

41 M. RICCA, Sopravvivenza della delibazione matrimoniale e riforma del sistema

italiano di diritto internazionale privato. Vecchie eccezioni che assurgono a regole e regole vecchie che degradano ad eccezioni, in Dir. Eccl., 1997, p. 87.

42 Su tale tesi, minoritaria, M.F. MATERNINI, Ancora sulla delibazione delle

sentenze ecclesiastiche, Giuffrè, Milano, 1998, p. 134; M. TEDESCHI, Manuale di diritto ecclesiastico, Giappichelli, Torino, 1999, p. 126.

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28

sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale dovranno applicarsi le disposizioni dettate dagli artt. 796 e 797 c.p.c.

Inoltre, l'art. 2, comma 1, della l. n. 218/95 dispone che le previsioni di tale legge «non pregiudicano l'applicazione delle convenzioni

internazionali in vigore per l'Italia». Da questa disposizione si

ricava, dunque, che la legge di riforma di diritto internazionale privato non opera nelle materie già disciplinate pattiziamente, quale la materia de qua43.

Dovrebbe altrimenti affermarsi che sarebbe possibile per lo Stato modificare con una propria legge, ordinaria ed unilaterale, norme che sono invece il frutto di una legislazione concordata44.

Nella sua sentenza n. 8764 del 30 Maggio 2003, la Suprema Corte ha ritenuto che «per escludere, in limine, l'applicabilità alla materia de

qua» delle previsioni di cui alla l. n. 218/95, «non è del tutto corretto richiamare (soltanto) il suo articolo 2, comma 1, ... in quanto la materia stessa è interamente “coperta” dal c.d. “principio concordatario”, nei termini risultanti dai Patti Lateranensi e, in particolare, per quanto in questa sede rileva, dall'art. 8 dell'Accordo del 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense... principio, questo, il quale, in quanto “accolto” dall'art. 7 Costituzione attribuisce alle norme pattizie una rilevanza costituzionale che, sotto il profilo della resistenza all'abrogazione, assimila tali fonti normative alle norme costituzionali, con la conseguenza che esse non possono essere modificate, in mancanza di

43 F. CARINGELLA, R. GIOVAGNOLI, Studi di diritto civile.., op. cit., pp.

351-352.

44 S. FERLITO, Il concordato nel diritto interno, Jovene, Napoli, 1997, p. 142,

secondo cui «ciò che il legislatore può (materialmente) fare - salvo poi a valutarsene (legalmente) gli effetti di liceità o illiceità sia sul piano internazionale che costituzionale - è dettare leggi, ordinarie o costituzionali, contraddittorie agli impegni assunti; egli può... violare i Patti... ma non può unilateralmente modificare tali impegni, né con legge ordinaria né con legge costituzionale, perché il titolo costitutivo degli impegni in parola non è nella legge, bensì in un atto negoziale la cui modifica non rientra nella disponibilità di una sola delle parti».

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29

accordo delle parti contraenti, se non attraverso leggi costituzionali».

Occorre anche, quindi, ricordare l'incidenza decisiva esercitata in materia dalle decisioni della Corte costituzionale45.

Anzi, può dirsi che proprio la tematica in esame abbia indotto la Consulta ad interrogarsi su alcuni problemi fondamentali ed a precisare pure i caratteri ed i limiti della propria competenza giurisdizionale. La Corte ha così affermato che il richiamo ai Patti Lateranensi operato dall'art. 7 della Costituzione ha «prodotto diritto», equiparandosi le norme concordatarie alle norme costituzionali, ma non attribuendo alle prime la capacità di prevalere sui «principi supremi» dell'ordinamento costituzionale dello Stato. In sintesi, la Corte ha in primo luogo accolto la tesi che al di sopra della Costituzione in senso formale esiste una Costituzione in senso materiale, costituita da «principi supremi» cui pure le norme della Costituzione formale non possono derogare. In secondo luogo ha affermato la propria competenza a giudicare della legittimità costituzionale delle norme della Costituzione formale che si pongano in contrasto con quelle della Costituzione materiale. Ha quindi concluso che le norme dei Patti Lateranensi e quelle che hanno provveduto alla loro revisione, essendo equiparate alla Costituzione formale ma non a quella materiale, in relazione a quest'ultima e pertanto all'eventuale lesione dei principi supremi dell'ordinamento

45

La Cassazione ha richiamato a sostegno della propria tesi l'orientamento espresso dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 16 del 7 febbraio 1978, I, edita in Foro it., I, 1978, p. 265, con nota s.t. di A. PIZZORUSSO; ed in Giur. it., I, 1978, p. 1160, con nota di S. MERZ, Il referendum abrogativo dopo la sentenza

della Corte costituzionale; e nel senso dell'inapplicabilità della riforma di cui alla l.

n. 218/1995 con riferimento al suo articolo 2, comma 1, le sentenze dello stesso giudice di legittimità: Cass. sent. n. 7276 del 10 luglio 1999, pubblicata in Foro it., I, 1999, p. 2504 con nota s.t. di G. BALENA; in Corr. giur., I, 1999, p. 1249, con nota di R. BOTTA, Sugli effetti civili della dispensa dal matrimonio rato e non

consumato, in Giust. civ., I, 1999, p. 2283, con nota di F. FINOCCHIARO, Resurrezione e morte della dispensa super rato; ed in (La) Nuova giur. civ. comm.,

I, 2000, p. 62, con nota di V. ROMA, Inapplicabilità della legge 31 maggio 1995

n. 218 ai provvedimenti ecclesiastici di dispensa super rato e alle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio.

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30

costituzionale dello Stato, possono essere sottoposte a giudizio di legittimità costituzionale46.

Tanto premesso, anche se le norme del Concordato lateranense sono state interamente sostituite dal Nuovo Accordo di Villa Madama, si può affermare, come sostenuto dalla Suprema Corte, che il nuovo patto ha operato soltanto una modifica del Concordato lateranense, e deve quindi ritenersi che le nuove norme abbiano le stesse proprietà delle norme concordatarie del 1929: siano perciò equiparate alle norme costituzionali e rimangano pertanto insuscettibili di essere modificate da norme di legge ordinaria, quali sono quelle previste dalla l. n. 218/95.

In definitiva, sembra corretto ritenere che la Corte d'appello, nel giudizio di delibazione delle decisioni ecclesiastiche di nullità matrimoniale, dovrà continuare ad applicare le disposizioni di cui agli artt. 796 e 797 c.p.c. seppur abrogate, in generale, dalla l. n. 218/8547.

Mettendo a confronto le condizioni di cui all’art. 797 c.p.c. e quelle previste dall’art. 64 della l. n. 218/95 emergono alcune differenze48

.

46 Cfr. Corte cost. sent. n. 203 del 12 aprile 1989, edita in Foro it., I, 1989, p. 1333,

con nota di N. COLAIANNI, Il principio supremo di laicità dello Stato e

l'insegnamento della religione cattolica; in Giur. cost., I, 1989, p. 890, con nota di

L. MUSSELLI, Insegnamento della religione cattolica e tutela della libertà

religiosa; ed in Dir. fam., I, 1989, p. 443, con nota di S. BORDONALI, Sulla “laicità” dell'ora di religione; e Corte cost., sent. n. 13 del 14 gennaio 1991, in Giur. cost., I, 1991, p. 2384, con nota di M. D'AMICO, L'insegnamento della religione cattolica nella scuola statale: una questione ancora aperta; ed in Dir. fam., I, 1991, p. 457, con note di G. PUMA POLIDORI, Noterelle polemiche in tema di ora di religione, facoltà di scelta e libertà di coscienza e, p. 865, di L.

BARBIERI, Dal diritto al principio supremo di libertà religiosa.

47 F. MODUGNO, Considerazioni preliminari sulle intese tra Stato e Chiesa nel

c.d. sistema delle fonti, in Studi in onore di Lorenzo Spinelli, Modena, 1989, pp.

955 e ss.

48 Per una sintetica analisi delle analogie e delle differenze che derivano nel

riconoscimento delle sentenze straniere dall'applicazione del regime previsto dagli artt. 796 ss. c.p.c., e di quello introdotto dagli artt. 64 ss. della l. n. 218/95, cfr. A. SAGGIO, Efficacia di sentenze ed atti stranieri (artt. 64-71), in Corr. giur., 1995, pp. 1259 e ss.; e G. COMOLLI, La legge 218/1995 ed il riconoscimento nello Stato

(31)

31

Ad esempio, l’art. 797, n. 5 c.p.c. prevede che la sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale potrà essere delibata se non «contraria ad altra sentenza pronunciata da un giudice italiano», pur soltanto in primo grado, mentre la sentenza straniera potrà essere automaticamente riconosciuta a condizione che non sia contraria ad una sentenza italiana passata in giudicato (art. 64, lett. c), l. n. 218/95.

Ancora, in base alla previsione di cui all'art. 797, n. 6, c.p.c., la sentenza ecclesiastica non potrà essere delibata qualora penda «davanti a un giudice italiano un giudizio per il medesimo oggetto

tra le stesse parti, istituito prima del passaggio in giudicato della sentenza straniera». Diversamente, l'indicato conflitto viene risolto

dalla l. n. 218/95, art. 64, lett. e) ed f), secondo il criterio della prevenzione. Pertanto, la decisione straniera potrà essere automaticamente riconosciuta nel nostro ordinamento se il processo straniero è iniziato prima di quello italiano avente il medesimo oggetto e tra le stesse parti ed a condizione che non si sia ancora concluso con sentenza passata in giudicato.

Infine, l'art. 797, n. 7, c.p.c., prevede che la sentenza ecclesiastica potrà essere delibata se «non contiene disposizioni contrarie

all'ordine pubblico italiano»49, mentre l'art. 64, lett. g), della l. n. 218/95 prevede che la sentenza straniera potrà essere automaticamente riconosciuta nel nostro ordinamento se non produce effetti contrari all'ordine pubblico. «Si tratta di una differenza fra essere e divenire, fra ciò che è sempre ed in ogni caso contrario all'ordine pubblico (art. 797) e ciò che, pur formalmente non contrario, potrebbe divenirlo se messo in esecuzione»50.

49

Qualificato dalla Corte costituzionale, sent. n. 18 del 2 febbraio 1982, cit., come il complesso «delle regole fondamentali poste dalla Costituzione e dalle leggi a base degli istituti giuridici in cui si articola l'ordinamento positivo nel suo perenne adeguarsi all'evoluzione della società».

(32)

32

2.3 I REQUISITI PER LA DELIBAZIONE DELLA SENTENZA ECCLESIASTICA: NON CONTRARIETÀ ALL’ORDINE PUBBLICO

(RINVIO) E TUTELA DEL DIRITTO DI DIFESA: IL CASO

PELLEGRINI

Come sopra ricordato, l'Accordo di revisione del Concordato lateranense prevede che le sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale siano «dichiarate efficaci nella Repubblica italiana con

sentenza della Corte d'appello competente», previo accertamento di

una serie di requisiti che ne assicurino la compatibilità con alcune esigenze essenziali proprie dell'ordinamento giuridico italiano. Il modello di riferimento di questa disciplina concordataria è indubbiamente quello del riconoscimento delle sentenze straniere, sia pure con alcuni adattamenti imposti dalla speciale natura delle sentenze ecclesiastiche51. Tant'è vero che lo stesso testo concordatario, dopo aver esplicitamente indicato alcuni controlli che la Corte d'appello è chiamata a compiere - tra cui la verifica del rispetto del diritto di agire e di resistere nel giudizio di fronte ai tribunali ecclesiastici -, rinvia alle «altre condizioni richieste dalla

legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere»52.

Lo Stato italiano è chiamato a compiere sulle sentenze ecclesiastiche un duplice controllo: uno di natura processuale e l’altro di natura sostanziale. Occorre, cioè, sotto il primo profilo, che nel procedimento davanti ai Tribunali ecclesiastici sia stato «assicurato

50 G. COMOLLI, La Legge 218/1995 ed il riconoscimento nello stato delle

sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio, in Dir. Fam., 1997, p. 1442. R.

GIOVAGNOLI, Separazione e divorzio.., op. cit. p. 380.

51 N. MARCHEI, La delibazione delle sentenze ecclesiastiche ed i poteri istruttori

della Corte d'appello, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista

telematica (www.statoechiese.it), luglio 2007, pp. 1-11.

52

P. MONETA, Poteri dello Stato e autonomia della funzione giudiziaria Ecclesiastica, in www.ascait.org, maggio 2011.

(33)

33

alle parti il diritto di agire e di resistere in giudizio, in modo non difforme dai principi fondamentali dell'ordinamento italiano». Il secondo profilo, di natura sostanziale, esige invece che la sentenza ecclesiastica non risulti contraria ai “principi dell'ordine pubblico italiano”.

Al secondo punto, oggetto di trentennale dibattito sia dottrinale che giurisprudenziale, è dedicato il capitolo terzo.

In questo paragrafo approfondiremo invece il primo aspetto, ovvero l’accertamento di natura processuale.

Per quanto riguarda il controllo processuale, la Corte d'appello deve verificare che nel giudizio ecclesiastico siano stati rispettati gli «elementi essenziali del diritto di agire e di resistere a difesa dei propri diritti», con riferimento «a quel minimo essenziale di possibilità di difesa».

Segnatamente, compito del giudice italiano è quello di accertare il rispetto del principio del contraddittorio, che si atteggia diversamente in ragione dei diversi tipi di processo, dinanzi ad un giudice imparziale. La Corte d’appello, pertanto, non è chiamata a riscontrare se nel processo di fronte ai tribunali ecclesiastici siano state rispettate tutte le norme canoniche, ma ad essa è attribuito il compito di appurare che le parti abbiano avuto la possibilità di difendersi in contraddittorio fra loro53.

Importanza fondamentale in tale contesto ha rivestito la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul “Caso Pellegrini”54.

53 T. DI IORIO, Diritto di difesa e riconoscimento dell'efficacia civile delle

sentenze canoniche di nullità matrimoniali, in Dir. fam., I, 2004, p. 82.

54 Tra i tanti lavori si segnala in particolare: La sentenza della Corte europea dei

diritti dell'uomo del 20 luglio 2001, Atti delle Giornate di studio Università di Teramo 11-12 aprile 2003 Giuffrè, Milano, 2004; L. MELILLO, Il caso Pellegrini

tra qualificazione internazionalistica e qualificazione concordataria: “equo processo”, “giusto processo” e giudizio ecclesiastico di nullità del matrimonio, in

Aa.Vv., La sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 20 luglio 2001, Roma, 2004.

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Con sentenza del 20 luglio 2001 nel caso Pellegrini c. Italia, la Corte europea dei diritti dell'uomo si è pronunciata sulla questione della compatibilità con l'art. 6 della Convenzione europea, che sancisce il diritto ad un equo processo, di un provvedimento italiano di delibazione di una sentenza ecclesiastica che aveva dichiarato la nullità di un matrimonio concordatario.

La ricorrente, che aveva contratto nel 1962 un matrimonio concordatario, cioè un matrimonio canonico con effetti civili nell'ordinamento italiano, aveva chiesto nel 1987 e poi ottenuto, con sentenza del 2 ottobre 1990, dal Tribunale di Roma la separazione personale dal marito ed un assegno di mantenimento a carico di quest'ultimo. Subito dopo la domanda di separazione, tuttavia, il marito aveva chiesto al tribunale ecclesiastico regionale del Lazio la dichiarazione di nullità del matrimonio invocando l'esistenza fra i coniugi di un rapporto di consanguineità essendo la madre di lei cugina del padre di lui. La ricorrente era stata quindi convocata innanzi al tribunale ecclesiastico per essere interrogata. Durante l'interrogatorio la ricorrente aveva ammesso di essere a conoscenza del rapporto di consanguineità che la legava al marito. Il 10 dicembre 1987, al termine di un procedimento abbreviato ai sensi del can. 1688 del codice di diritto canonico in quanto l'impedimento matrimoniale risultava con certezza da documenti che le parti non avevano contestato, il tribunale ecclesiastico rese la sentenza con cui dichiarava la nullità del matrimonio. Tale sentenza venne impugnata dalla ricorrente innanzi alla Romana Rota ritenendo che il procedimento in prima istanza si fosse svolto in violazione dei suoi diritti di difesa e del principio del contraddittorio dal momento che non era stata previamente informata della domanda presentata dal marito al tribunale ecclesiastico e non aveva potuto preparare una difesa e farsi assistere da un difensore. Innanzi al giudice ecclesiastico di appello la ricorrente fu informata di poter presentare

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le sue osservazioni nel termine di venti giorni, ciò che fece ma senza farsi assistere da un difensore. Con sentenza del 13 aprile 1988, comunicata peraltro alla ricorrente soltanto nel dispositivo e successivamente resa esecutiva dall'organo ecclesiastico superiore di controllo, la Romana Rota confermò la sentenza di prima istanza. Il marito della ricorrente si rivolse allora, il 25 settembre 1989, alla Corte d'appello di Firenze per ottenere, ai sensi dell'art. 8, par. 2, del Concordato tra l'Italia e la Santa Sede dell'11 febbraio 1929 come modificato dall'Accordo del 18 febbraio 1984, la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale, evidentemente al fine di sottrarsi al provvedimento del Tribunale di Roma che medio

tempore si stava occupando della richiesta di separazione personale e

che, come si è accennato, si sarebbe pronunciato l'anno successivo accogliendo la richiesta e condannandolo al pagamento di un assegno di mantenimento a favore della moglie. Innanzi alla Corte d'appello la ricorrente ribadì le sue doglianze rispetto alla violazione dei propri diritti di difesa nel procedimento ecclesiastico di prima istanza, aggiungendo che altre violazioni del suo diritto alle garanzie processuali erano state commesse anche nel procedimento ecclesiastico di appello.

Con sentenza dell'8 novembre 1991, la Corte d'appello di Firenze accolse la richiesta di delibazione della sentenza ecclesiastica che aveva pronunciato la nullità del matrimonio, respingendo la domanda della ricorrente di condannare il marito a versarle una rendita vitalizia o in subordine un assegno provvisorio. Secondo la Corte d'appello, infatti, l'interrogatorio della ricorrente innanzi alle autorità ecclesiastiche poteva ritenersi sufficiente ai fini dell'equità del procedimento. La moglie ricorse quindi in Cassazione, ribadendo ancora la violazione dei suoi diritti di difesa, ma senza successo. Anche la Corte di cassazione, con sentenza del 10 marzo 1995, sostenne che il diritto ad un processo in contraddittorio e il diritto di

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