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Dinamica di popolazione e reclutamento del gambero rosa, Parapenaeus longirostris (Lucas, 1846) nel Mar Ligure e Mar Tirreno centro-settentrionale

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Academic year: 2021

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Università degli Studi di Pisa

Dipartimento di Biologia

Corso di Laurea Magistrale in Biologia Marina

Tesi di Laurea

Dinamica di popolazione e reclutamento del gambero rosa,

Parapenaeus longirostris (Lucas, 1846) nel Mar Ligure e Mar

Tirreno centro-settentrionale

Candidato

Relatori

Dott. Elia Biasissi

Prof. Alberto Castelli

Dott. Paolo Sartor

Matricola

536436

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-INDICE-

RIASSUNTO……….4

1. INTRODUZIONE ………6

1.1.

Inquadramento sistematico……….15

1.2.

Distribuzione geografica e habitat………..16

1.3.

Anatomia di P. longirostris………17

1.4.

Riproduzione, sviluppo e sex ratio………..20

1.5.

La pesca di Parapenaeus longirostris……….21

2. AREA DI STUDIO……….23

3. MATERIALI E METODI……….30

3.1.

Caratterizzazione della pesca di P. longirostris………30

3.2.

Campionamento………..32

3.3.

Analisi dei dati………44

3.3.1. Standardizzazione delle catture

………...44

3.3.2. Rapporto sessi (sex ratio)

………..45

3.3.3. Maturità sessuale (taglia di prima maturità)

……….….45

3.3.4. Studio della demografia

………..47

3.3.5. Identificazione delle reclute di P. longirostris

……….49

3.3.6. Mappatura delle reclute e identificazione delle aree di nursery………

………..50

3.3.7. Influenza di fattori ambientali sul reclutamento

………..50

4. RISULTATI………..…53

4.1.

Caratterizzazione della pesca mirata a Parapenaeus

longirostris nella GSA9. ………53

4.2.

Distribuzione e abbondanza di P. longirostris nella

GSA9……….59

(3)

4.4.

Caratterizzazione aree di nursery di P. longirostris………..76

4.5.

L’influenza dei fattori ambientali sul reclutamento di P.

longirostris………78

5. DISCUSSIONE………..83

6. CONCLUSIONI………..………..93

7. BIBLIOGRAFIA……….95

8. RINGRAZIAMENTI………..107

(4)

-RIASSUNTO-

Parapenaeus longirostris, comunemente conosciuto come gambero rosa, è uno dei più abbondanti

crostacei decapodi presenti nel Mediterraneo. È una specie necto-bentonica, distribuita su fondi molli in un ampio intervallo di profondità, tra 10 e 800 m, anche se le maggiori concentrazioni sono tra 200 e 400 m. P. longirostris svolge un importante ruolo nelle comunità demersali della piattaforma e scarpata continentale. È una specie commerciale con buon valore di mercato e rappresenta uno dei principali target della pesca a strascico. La produzione ittica di questa specie, anche in seguito all’incremento della sua biomassa verificatosi negli ultimi venti anni, è in costante aumento.

La biologia e dinamica di popolazione di P. longirostris sono già state oggetto di numerosi studi. È necessario però approfondire ulteriormente tali conoscenze, al fine di valutare lo stato di questa importante risorsa e fornire elementi utili per una sua corretta gestione. Questa Tesi mira ad approfondire le conoscenze sulla dinamica di popolazione del gambero rosa nel mar Ligure e Mar Tirreno centro-settentrionale, con particolare attenzione al reclutamento e all’influenza dei parametri ambientali su questo fenomeno. Gli obiettivi specifici del lavoro sono i seguenti: - Descrivere i principali aspetti dello sfruttamento del gambero rosa da parte della pesca. - Identificare alcuni aspetti della biologia riproduttiva (rapporto sessi e taglia di prima maturità) - Identificare le principali componenti demografiche/classi di età. - Identificare le reclute e le principali aree di nursery. - Valutare l’evoluzione temporale del reclutamento e l’influenza dei parametri ambientali su questo fenomeno. Lo studio è stato effettuato nel tratto di mare, dalla linea di costa fino a 800 m di profondità, compreso tra le coste liguri, toscane e laziali, comprendendo pertanto il Mar Ligure ed il Mar Tirreno settentrionale e centrale. Le stime di capacità e sforzo di pesca, sbarcato e scarto del gambero rosa sono stati acquisite dagli archivi ministeriali e comunitari; questo ha permesso di caratterizzare la pesca di P. longirostris. I dati utilizzati provengono dalle campagne sperimentali di pesca a strascico (trawl surveys), effettuate annualmente dal 1994 al 2016 nell’area investigata dal MEDITS, un progetto che rientra nel programma di Raccolta Dati sulla Pesca stabilito dall’Unione Europea. Si tratta di campagne annuali che constano di un protocollo condiviso da ogni stato membro, per quanto riguarda attrezzo e piano di campionamento, raccolta ed analisi dei dati.

Nell’area di studio sono state realizzate, per ciascun anno, 120 stazioni di campionamento (“cale”), disposte secondo un piano di campionamento stratificato (strati batimetrici 10-50 m, 50-100 m; 100-200 m; 200-500 m; 500-800 m). Il numero di cale effettuate all’interno di ciascuno strato è stato proporzionale alla superficie dello strato stesso; l’allocazione delle cale all’interno di ciascuno strato è stata casuale. Per ciascuna cala, su ogni esemplare catturato di P. longirostris sono stati rilevati i seguenti parametri: taglia (lunghezza carapace, LC, al mm inferiore), peso individuale (al decimo di grammo), sesso e stadio maturativo delle gonadi (attraverso analisi macroscopica dell’apparo riproduttore e delle gonadi). Le catture sperimentali (MEDITS) di ciascuna cala, in numero ed in peso, sono state standardizzate alla superficie investigata (metodo della swept area), sulla base della distanza percorsa (in m) e dell’ampiezza verticale della rete (in m), misurati per ogni cala. Il rapporto sessi (sex ratio) della popolazione è stato calcolato sia in forma scalare, sia in forma vettoriale. Sono stati catturati esemplari con taglie comprese tra 12 e 44 mm LC; la specie presenta un dimorfismo sessuale in base alla taglia: oltre 30 mm LC quasi tutti gli esemplari catturati erano femmine. La taglia di prima maturità delle femmine è risultata compresa tra 24 e 25 mm LC.

L’individuazione delle reclute è stata effettuata tramite l’uso del metodo di Bhattacharya, in grado di scomporre la distribuzione di taglie nelle diverse mode. La struttura demografica degli esemplari di P.

longirostris catturati ogni anno è risultata composta da 3-4 componenti modali; è stato ipotizzato un ciclo

vitale breve, di 3-4 anni.

La lunghezza corrispondente al valore medio della prima classe modale più due deviazioni standard è stata considerata la taglia entro la quale individuare le reclude dagli individui esaminati. Tale taglia è variata,

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nel periodo indagato, tra 13 e 19 mm LC. Seguendo questo approccio, per ogni cala è stato calcolato il numero di reclute per Km2. La mappatura di tali valori ha permesso di identificare spazialmente le aree di nursery, che sono risultate localizzate in aree stabili nel tempo, tra 80 e 220 m, caratterizzate dalla presenza di facies al crinoide Leptometra phalangium. Gli indici di densità delle reclute della specie, come quelli dell’intera popolazione, risultano in costante e significativo aumento, seppure con fluttuazioni interannuali, dal 1994 ad oggi. Un’analisi di regressione multivariata, utilizzando modelli GAM, è stata applicata per studiare l’evoluzione della densità delle reclute in relazione a fattori ambientali (es. profondità, temperatura dell’acqua, velocità del vento, concentrazione di clorofilla). L’analisi GAM ha evidenziato un effetto significativo della temperatura del mare superficiale (SST) sull’ dell’indice di densità delle reclute oltre ad un effetto significativo della concentrazione di clorofilla (CHL) e dell’interazione della profondità con il tempo in relazione all’aumento dell’indice di densità delle reclute. Tale risultato è in accordo con l’assunzione che questa specie risulta essere affine alle acque calde e che la temperatura superficiale sia correlata anche con quella di ambienti più profondi.

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1. INTRODUZIONE

Dagli albori della civiltà ad oggi il mare riveste un ruolo fondamentale per l’uomo, sia per la sua enorme estensione sul pianeta, sia per l’aspetto socio-economico che ha ricoperto e ricopre tutt’ora nella nostra società. Quando si parla di mare, è inevitabile parlare della pesca. Nel corso dell’evoluzione umana, questa attività ha giocato un ruolo sempre più importante tanto come fonte di cibo quanto in termini di reddito; vi sono molti paesi, soprattutto in Asia ed Africa, ove gran parte del fabbisogno alimentare, dell’occupazione e dell’economia sono legati alla pesca (FAO, 2016).

L’aumento della popolazione mondiale ha portato anche ad un progressivo aumento della richiesta di alimento proveniente dal mare. Pertanto, negli ultimi decenni, assieme all’avanzamento tecnologico si è osservato un deciso aumento della pressione della pesca sugli stock ittici.

L’accezione, comune a fine ‘800, che le risorse ittiche fossero pressoché inesauribili, è stata sfatata delle evidenze dei fatti e dai primi studi degli effetti prodotti dalla pesca sugli stock1. Tutte le specie ittiche (le specie oggetto di sfruttamento da parte della pesca) hanno il pregio di essere risorse rinnovabili, ma non inesauribili, se sfruttate in modo eccessivo o senza opportuni criteri gestionali.

Gli stock ittici, costituendo dunque una risorsa esauribile, hanno bisogno di ricerche mirate volte ad identificare specifiche metodiche e livelli di pesca tali da mantenere livelli di sfruttamento sostenibile (Sparre et al., 1998).

Nel momento in cui si sfrutta una risorsa in modo non appropriato ed il tasso di prelievo supera i tassi di accrescimento e riproduzione della risorsa, si possono verificare alterazioni reversibili e/o irreversibili della consistenza e della potenzialità riproduttiva della risorsa stessa che, sono in grado di portarla ad una estrema rarefazione o, in casi estremi, anche all’estinzione (Ulgiati e Brown, 2003). 1 Uno stock ittico è una parte di una popolazione, di solito appartenente ad una specie presente in un’area o in aree distinte, che è sfruttata da parte della pesca. Si tratta pertanto della frazione sfruttabile di una popolazione. Si tratta di un concetto operativo, non propriamente biologico, in quanto si riferisce alla biomassa o al numero di individui oggetto di pesca in riferimento ad una determinata area (Bombace e

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Tuttavia diversi autori sostengono che l’estinzione di una specie marina, ad eccezione di mammiferi marini o specie particolarmente sensibili o longeve, come Elasmobranchi o rettili marini, sia una situazione poco probabile a verificarsi (Beverton e Holt, 1957; Garrod e Knight, 1979; Burgess, 1980; Pitcher e Hart, 1992). Si ritiene infatti che, anche in caso di stock ittici fortemente impattati, le strategie di accrescimento e riproduzione possano comunque garantire il mantenimento di un livello di popolazione a livelli di sicurezza nei confronti dell’estinzione.

Una situazione invece ben più frequente, causata dalla pressione di pesca eccessiva, è la forte diminuzione dell’abbondanza della risorsa, che porta al crollo dei rendimenti di pesca e alla crisi economica dell’intero settore. In biologia della pesca, si parla di “overfishing” quando, tramite l’aumento del tasso di sfruttamento della risorsa, aumenta la cattura totale di pesci verso il limite di rendimento massimo. Superato il limite, un ulteriore aumento del tasso di sfruttamento provoca una riduzione della biomassa totale e delle dimensioni medie degli esemplari. Questo provoca, in seguito, un crollo della proporzione sempre più crescente, al punto che il naturale reclutamento e la riproduzione degli adulti non riescono a mantenere il livello della popolazione (Worm et al., 2009).

Già nel corso del Novecento, quando gli studi sui principali stock ittici erano ancora all’inizio, vennero rilevati numerosi esempi di overfishing su importanti stock ittici che sostenevano l’alimentazione e la pesca di interi paesi. Esempi classici sono quelli della pesca dell’acciuga (Engraulis ringens) lungo le coste del Pacifico. Questa attività sosteneva un’importante ruolo socio economico in Perù, dove si ebbe un calo repentino delle catture a causa dell’eccessivo sfruttamento della risorsa e al fenomeno di El Niňo. Si assistette a questo evento per la prima volta negli anni ’70/’80 del secolo scorso quando, a fronte di uno dei più grandi livelli di sbarcati annui di questa specie, si aggiunse un fenomeno particolarmente potente di El Niňo che causò la mancata risalita di nutrimento dalle acque fredde profonde e il conseguente calo della pesca di questa specie causando una grave crisi economico-sociale nelle popolazioni che basavano il loro sostentamento su questa attività.

Un altro esempio è dato dalla pesca del nasello (Merluccius merluccius) in Mediterraneo che, in seguito ad una pesca intensiva e non controllata esercitata negli

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anni 1980-1990, ha evidenziato una marcata diminuzione dello stock (Colloca et al., 2011). Possiamo anche citare il caso della grande crisi della pesca della sardina del Pacifico (Sardinops coerulea), risalente agli anni ‘30 del secolo scorso. Durante la prima metà del Novecento lungo la costa pacifica del Nord America si assistette ad un rapido incremento della pesca di questa specie con un elevato sforzo di pesca. Questo portò ad un rapido esaurimento dello stock negli anni ’50 e ad una grave crisi economica che perdurò per parecchi decenni. Solo negli anni ‘80/’90 ci fu un recupero parziale dello stock grazie anche a delle politiche di conservazione e limitazione della pesca (Hill et al., 2005). Infine, può essere citato il caso del tonno rosso (Thunnus thynnus), specie di estrema importanza sia a livello economico che ecologico (è un predatore apicale); la pesca eccessiva e la gestione non efficace di questa specie hanno portato all’implementazione di un piano di ricostituzione dello stock. Il tonno rosso ha raggiunto il massimo delle catture negli anni ’90 con 50.000 tonnellate dopodiché, grazie ad una politica di conservazione con l’imposizione di quote di pesca per ogni stato, è diminuita ed è rimasta costante ad una quota accettabile di 10.000 tonnellate (ICCAT, 2014). I principali effetti dell’overfishing si manifestano, nell’immediato, con una marcata diminuzione della consistenza dello stock e, in tempi successivi, con una riduzione della taglia media del pescato. Il progressivo aumento dello sforzo di pesca che si è verificato negli ultimi 30 anni ha fatto sì che, attualmente, la maggior parte degli stock ittici mondiali sia considerata in “overfishing”. Recenti stime della FAO (2016), riportano che, a livello mondiale, la quota degli stock ittici sfruttati a livelli biologicamente sostenibili è diminuita dal 90% del 1974 al 70% del 2013 e i dati, ancora provvisori del 2015, non sembrano evidenziare un miglioramento di questo trend. I dati FAO rilevano che il 31,4% degli stock ittici è risultato sfruttato in modo insostenibile o si trova in overfishing. La percentuale di stock pescati a livelli biologicamente insostenibili è aumentata, soprattutto alla fine degli anni '70 e ‘80, dal 10% nel 1974 al 26% nel 1989.

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Guardando al Mediterraneo, le ultime stime riportano che l’85% degli stock ittici si situa in overfishing rispetto al valore di riferimento di rendimento massimo sostenibile (Colloca et al., 2011). Inoltre, per molte delle specie regolarmente pescate nei nostri mari si riscontrano strutture demografiche alterate (alcune classi di età sono poco numerose), dovute principalmente ad una inadeguata politica di gestione della pesca e ad una errata selettività degli attrezzi da pesca (Colloca et al., 2011). Una delle principali problematiche per lo sfruttamento ottimale delle risorse è data dalla ricerca del miglior compromesso tra livello di pesca e resa economica; si tratta di un compromesso difficile da raggiungere, dato che la sostenibilità è un processo a lungo termine, che impiega decenni per avere dei risultati, mentre la necessità di resa economica è avvertita nell’immediato. Una seconda problematica deriva dalla mancata, e sovente impraticabile, ripartizione e condivisione equa della risorsa tra i soggetti che la sfruttano. Le risorse ittiche, infatti, oltre ad essere rinnovabili ma esauribili, sono risorse comuni e ad accesso libero. Questo aspetto può portare ad un’errata percezione del reale sforzo di pesca: ogni pescatore, infatti, tende a minimizzare il proprio impatto sulla pesca reputandolo ininfluente e, pertanto, finisce per considerare privo di conseguenze un suo eventuale impegno in prima persona (Cataudella e Spagnolo, 2011).

Queste due problematiche fanno sì che ogni pescatore punti da subito al massimo sfruttamento della risorsa, non preoccupandosi del possibile futuro impoverimento dello stock e dell’eventuale danno che tale comportamento potrebbe causare all’ecosistema. Questo atteggiamento porta inevitabilmente al sovrasfruttamento dello stock.

Per far fronte alla complessità del problema intorno agli anni ’50 del secolo scorso è nata la Biologia della Pesca, grazie ai contributi decisivi di studiosi come Schaefer, Beverton, Holt, Richer e Gordon. Questa disciplina, attraverso un approccio multidisciplinare, ha l’obiettivo di valutare lo stato degli stock, di studiare le interazioni tra pesca e risorse ittiche e di proporre soluzioni gestionali per uno sfruttamento sostenibile.

Fino ad una ventina di anni fa, gran parte degli studi di biologia della pesca venivano realizzati secondo un approccio monospecifico; in seguito le ricerche si sono evolute verso una visione più globale dell’ecosistema marino, che ha preso in esame sia le

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interazioni trofiche tra specie sia le interazioni abiotiche e antropiche. Una delle componenti essenziali dell'Approccio Ecosistemico per la Gestione della pesca (EAF, Ecosystem Approach for Fisheries Management, FAO, 2003, Murawski, 2000) è l'analisi quantitativa degli effetti della pesca mediante modelli ecosistemici. Si tratta di costruzioni matematiche di elevata complessità che tentano di costruire un modello dell’ecosistema marino, teoricamente con un elevato grado di realismo, per valutare gli effetti della pesca sulle risorse e sull’ecosistema (Sartor et al., 2014). Se si guarda al Mediterraneo, gli impatti della pesca sugli ecosistemi marini sono stati documentati da tempo (Tudela, 2004); molte aree del Mediterraneo sono state dichiarate tra le ecoregioni più impattate del mondo (Halpern et al., 2008, Micheli et al., 2013); tale effetto è attribuibile non solo al marcato sforzo di pesca ma anche alla pressione antropica e all’industrializzazione.

Il funzionamento dell’ecosistema marino si basa su una rete di interazioni tra ambiente e organismi governata da delicate relazioni intra ed inter-specifiche. Se, in seguito alle pressioni antropiche, questi equilibri si alterano, si può arrivare a compromettere l’intero ecosistema. Questa considerazione è valida soprattutto nell’area Mediterranea, dove la pesca si effettua per larga parte con attrezzi poco selettivi, con catture multispecifiche, spesso caratterizzate da una elevata quantità di scarto (Farrugio et al., 1993).

Contrastare il sovrasfruttamento delle risorse per garantire un futuro sostenibile alla Pesca e agli ecosistemi marini sono i principali obiettivi delle politiche gestionali della FAO (per il Mediterraneo, del GFCM, General Fisheries Commission for the Mediterranean) e della Politica Comune della Pesca (PCP) dell’Unione Europea. Infatti, da qualche decennio, l’Unione Europea si è attivata per mettere in atto una politica comune della pesca che mira alla protezione e conservazione degli ecosistemi marini. La PCP viene attuata grazie all’emanazione di leggi e regolamenti condivisi dagli stati membri, che dispongono specifiche misure gestionali, come stagioni di pesca, attrezzi consentiti, quantitativi massimi di cattura, taglie minime di sbarco. Dal 2002 l’Unione Europea ha implementato un sistema unitario e standardizzato di monitoraggio dei dati, biologici ed economici, sulla pesca: il DCF (Data Collection Framework, Reg. UE 199/2008). Da una quindicina di anni, quindi, tutti i paesi membri

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sono tenuti a raccogliere i dati sulla pesca, secondo un protocollo condiviso e standardizzato. La raccolta dei dati si esplica attraverso due approcci:

- Il monitoraggio attraverso campagne di pesca scientifica (“fisheries independent data”). In questo ambito rientrano le campagne di pesca a strascico sperimentale MEDITS (Bertrand et al., 2007), svolte da tutti gli stadi membri utilizzando lo stesso attrezzo di campionamento e la stessa metodologia (A.A. V.V., 2016). L’obiettivo del MEDITS è disporre di serie storiche di dati sulla distribuzione, abbondanza, struttura demografica e biologia delle specie ittiche.

- Campionamenti sugli esemplari sbarcati ed osservazioni a bordo di pescherecci (“fisheries dependent data”). L’obiettivo è quello di monitorare le popolazioni sfruttate dalla pesca, gli sbarcati e lo scarto delle specie commerciali. I dati raccolti dal DCF vengono analizzati periodicamente, sotto il coordinamento dello STECF (Comitato Tecnico, Scientifico ed Economico della Commissione Europea), per la valutazione dello stato di sfruttamento dei principali stock. I risultati di tutto il processo di valutazione delle risorse sono a disposizione degli stati membri per la predisposizione di misure di gestione della pesca.

Per garantire una pesca sostenibile, un approccio gestionale particolarmente interessante è dato dalla protezione, tramite appositi regolamenti, di aree di particolare rilevanza, chiamate Essential Fish Habitat (EFH) (Carlucci et al., 2009). Si tratta di aree marine e del relativo habitat ove una data specie o più specie svolgono importanti fasi del loro ciclo vitale, come la riproduzione o il reclutamento (Rosenberg et al., 2000). La pesca regolamentata in tali aree può rivelarsi uno strumento utile per proteggere determinate porzioni demografiche di una specie (es. reclute, riproduttori), specie se queste sono soggetto di eccessiva pressione di pesca. Tra queste, rivestono un ruolo fondamentale le aree di “nursery”, tratti di mare ove si aggregano i giovanili e/o reclute di importanti specie commerciali. È ormai noto che, per molte specie il sovrasfruttamento è originato da una eccessiva mortalità da pesca sulle fasi giovanili (“growth overfishing”). Pertanto, ridurre la pressione di pesca nelle aree ove le reclute si aggregano può essere un valido strumento per migliorare lo stato di uno stock (Rice, 2005).

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Il concetto di area di nursery racchiude al suo interno anche il concetto di recluta la cui definizione è, anche in questo caso, difficile in quanto tende a modificarsi al variare del campo di studio in cui il termine si utilizza.

Solitamente, in biologia della pesca, per recluta si intende la fase vitale in cui un individuo entra nella frazione sfruttata della popolazione (FAO, 1997) mentre, se si prendono in considerazione gli studi atti ad identificare le aree di nursery, si considerano reclute gli individui del primo anno di età, individui della prima coorte o della frazione degli immaturi sessualmente. In generale con il termine reclutamento si tende ad identificare quella fase vitale in cui un individuo si incorpora ad una fase vitale differente da quella precedente. Ad esempio, si parla di “reclutamento all’attrezzo” quando gli esemplari raggiungono una taglia e/o si trovano in una ambiente tali da poter essere sfruttati dalla pesca, oppure si parla di “reclutamento al fondo” quando esemplari da una fase pelagica passano alla fase bentonica o demersale2.

Va da sé che la scelta della definizione da utilizzare in questo campo di studi si ripercuote poi sui risultati e, di conseguenza, sulla veridicità dell’assegnazione dell’area alle cosiddette aree nursery.

Le aree di nursery possono trovarsi a diverse profondità ed essere caratterizzate da diverse tipologie di fondale; in Mediterraneo si può dunque partire dalle fanerogame marine in ambiente superficiale (es. praterie di Posidonia oceanica), fino ad arrivare ad ambienti più profondi, caratterizzati dalla presenza di crinoidi (es. la specie Leptometra phalangium) o coralli bianchi (la specie Lophelia pertusa). Queste aree rivestono una notevole importanza anche in vista del fatto che, secondo alcuni autori (Fiorentino et al., 2003, Colloca et al., 2009), sono stabili nel tempo e permettono quindi un ambiente ideale e protezione di più lunga durata per le reclute. Prima di individuare le misure gestionali di un’area, innanzitutto bisogna identificarla e caratterizzarla in quanto nursery; a fini operativi, secondo alcuni autori (Beck et al., 2001) il valore di un’area per una specie dipende dal suo contributo alla popolazione parentale, misurato come numero di individui che raggiungono la maturità sessuale per unità di area. Questa procedura è assai delicata: potrebbe infatti indurre

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all’involontaria sovrastima del valore di alcune aree; per tale motivo Dahlgreen et al. (2006) hanno identificato l’Effective Juvenile Habitat” (EJH) come habitat che contribuiscono in maniera cospicua al mantenimento della popolazione adulta indipendentemente dal loro apporto di unità per area. Nonostante questo campo di studi sia relativamente recente, la definizione di tali aree è un elemento importante per la messa in atto di misure di protezione; essa consente infatti di istituire aree marine protette o Zone di Tutela Biologica (ZTB) dove sia le attività antropiche sia quelle di pesca sono regolate o vietate. L’istituzione di queste aree ha il duplice scopo di protezione delle risorse ittiche che si trovano in età immatura e la protezione di habitat fragili e strutturanti. In definitiva lo studio delle nursery e la loro protezione include la possibilità di gestire e tutelare habitat a rischio, come è previsto dall’Ecosystem Approoach to Fishery Management (EAFM) e dal codice FAO (Colloca e Sartor, 2009).

Questo lavoro di tesi mira a investigare e fare luce sulla dinamica di popolazione del gambero rosa, Parapenaeus longirostris, crostaceo decapode che nel corso del tempo è divenuto di notevole importanza commerciale per la pesca mediterranea. Questa specie riveste un ruolo importante nello sbarcato commerciale dei natanti che effettuano la pesca a strascico in Mediterraneo (Carlucci e Gancitano, 2017). Il presente studio si è incentrato anche sull’analisi di alcuni aspetti della biologia di questa specie, in particolare la riproduzione.

L’area di studio del presente lavoro è la GSA 9 (FAO-GFCM Geographic Sub Areas), ovvero il tratto di mare che comprende Mar Ligure, mar Tirreno Settentrionale e Centrale, ovvero le acque antistanti alle regioni Liguria, Toscana e Lazio. In quest’area vi è un’alta presenza di pescherecci professionali di cui una buona parte pratica la pesca a strascico su alti e bassi fondali.

Riguardo il gambero rosa, negli ultimi decenni si è assistito ad un generale incremento, in tutte le marinerie italiane, ma soprattutto in alcune aree, come nel mar Tirreno, delle catture di questa specie, tanto che P. longirostris ha visto accrescere la sua presenza sul mercato ed è diventata una dei principali obiettivi della pesca a strascico (Colloca et al., 2014; Carlucci e Gancitano, 2017). Seppure al momento gli studi sullo stato di sfruttamento di P. longirostris indichino che la pesca

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viene ancora praticata ad un livello sostenibile, il maggior interesse verso questa specie, rende ancora più importante disporre di conoscenze approfondite sulla dinamica di popolazione marina e sulla biologia riproduttiva di quest’ultima.

Gli obiettivi specifici del presente lavoro di tesi sono i seguenti:

- Caratterizzare la pesca e la biologia del gambero rosa, analizzando i dati disponibili dalle serie storiche degli sbarcati e delle campagne di pesca sperimentale MEDITS nell’area geografica GSA9, nel periodo 1994-2016.

- Studiare la dinamica di popolazione della specie, indentificando le principali componenti demografiche, con particolare attenzione alle reclute.

- Studiare l’evoluzione spazio temporale dell’abbondanza delle reclute, investigando l’influenza di fattori ambientali

- Identificare le principali aree di nursery, caratterizzandole in termini di specie accessorie e tipologia di habitat.

I risultati di questo lavoro, oltre ad aumentare ed aggiornare le conoscenze sul gambero rosa nel Mar Ligure e nel Tirreno centro-settentrionale, hanno anche l’obiettivo di identificare le aree maggiormente rilevanti per il reclutamento della specie.

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1.1.

Inquadramento sistematico

Figura 1. Parapenaeus longirostris, Lucas 1846

Il gambero rosa Parapenaeus longirostris (Fig. 1), Lucas 1846, appartiene al Phylum Artropoda, animali adattati a vivere in tutti gli ambienti, dalle profondità del mare alle alte latitudini e mostrano un’estrema varietà di strategie adattative. Sono dei protostomi bilateri metamerici, caratterizzati da una cuticola prodotta dall’epidermide, che avvolge completamente il corpo chiamata esoscheletro.

Il gambero rosa fa parte del Subphylum Crustacea, e alla Classe Malacostraca, a cui appartengono specie commercialmente importanti come aragoste, Palinurus elephas (Linneo, 1758), astici, Homarus gammarus (Linneo, 1758), scampi, Nephrops norvegicus (Linnaeus, 1758), gamberi viola, Aristeus antennatus, (Risso 1816), gamberi rossi, Aristaeomorpha foliacea (Risso 1827) e mazzancolle, Melicertus kerathurus (Forskål 1775).

P. longirostris appartiene alla famiglia Penaeidae; la Tab. 1 mostra l’inquadramento sistematico del gambero rosa.

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Tabella 1. Inquadramento sistematico di P. longirostris.

1.2.

Distribuzione geografica e habitat

Il gambero rosa presenta un’ampia distribuzione geografica che si estende dall’Atlantico fino a tutto il Mar Mediterraneo (Holthuis, 1980). In particolare, nel Mediterraneo, la specie è presente spesso su fondali fangosi e sabbiosi in associazione con altre specie come N. norvegicus, il pennatulaceo ottocorallo Funiculina quadrangularis (Froglia, 1982a; Nouar e Maurin, 2001; Cartes et al., 2004; Nouar et al., 2011) e al crinoide Leptometra phalangium (Colloca et al., 2003, 2004; Reale et al., 2005; Fanelli et al., 2007).

I fondali in cui è presente P. longirostris vanno dai 20 ai 700 metri (Sbrana et al. 2006) anche se le profondità in cui è più abbondante la specie si attestano tra i 150 e i 400 metri; P. longirostris pertanto è una specie tipica della piattaforma e della scarpata continentale.

Phylum Arthropoda Subphylum Crustacea Classe Malacostraca Sottoclasse Eumalacostraca Superordine Eucarida Ordine Decapoda Sottordine Dendrobranchiata Superfamiglia Penaeoidea Famiglia Penaeidae Genere Parapenaeus Specie P. longirostris

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1.3.

Anatomia di P. longirostris

Figura 2. Anatomia di un Crostaceo decapode Il gambero rosa (Fig. 2) è un decapode bentonico di medio-piccole dimensioni che può raggiungere i 19 cm di lunghezza totale e i 50 mm di lunghezza del carapace (LC), negli esemplari di sesso femminile; i maschi raggiungono una taglia massima inferiore, in genere non superiore a 33 mm LC (Ardizzone et al., 1990). Una evidente caratteristica del gambero rosa, presente anche in tutti gli altri membri del phylum Crustacea, è l’esoscheletro. Questa è una struttura autoprodotta dalla sottostante epidermide formata principalmente da chitina, il più abbondante biopolimero presente in natura, impregnato da sali di calcio. L’esoscheletro ha funzione di protezione e di impalcatura, su cui si innestano i muscoli. Il gambero rosa presenta un corpo liscio e compresso lateralmente di colore rosa pallido tendente all’arancione. All’apice del carapace presenta un rostro ben sviluppato leggermente incurvato verso l’alto. Il rostro è di colore rosso e la lunghezza è variabile in base alla grandezza dell’animale e al sesso, presenta 7 dentelli equidistanti sulla parte dorsale ed è liscio nella parte ventrale (Carlucci e Gancitano, 2017), il rostro prosegue posteriormente in una carena fino a quasi il bordo del carapace. Ai lati del carapace sono evidenti due suture.

Il corpo di P. longirostris, come negli altri Peneidi, è diviso in una parte anteriore di cui fanno parte la regione cefalica e il torace e in una parte posteriore costituita

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dall’addome. Il cefalotorace è diviso in 13 somiti che l’evoluzione ha portato a saldarsi per formare il carapace, ad ogni somite è annessa una coppia di appendici che possono essere più o meno sviluppate e specializzate.

Le prime appendici che troviamo sono le antennule e le antenne, queste sono ben sviluppate e hanno funzione di percepire l’ambiente circostante. A queste seguono le mandibole, le I mascelle e le II mascelle; le prime hanno funzione di masticazione e triturazione del cibo mentre le seconde due servono alla manipolazione dello stesso. Al di sotto del secondo paio di mascelle si trova lo scafognatide, una struttura atta alla circolazione all’interno del carapace e quindi alla perfusione degli organi respiratori. Retrocedendo verso la parte toracica si possono distinguere tre massillipedi, appendici deputate anch’esse alla manipolazione del cibo, seguiti da 5 paia di pereiopodi deputati alla deambulazione sul substrato. Guardando l’addome si può vedere che a differenza del carapace ogni somite ha una sua placca di esoscheletro meno spesso e resistente rispetto al carapace, queste placche sono formate da una parte dorsale (tergite), una parte ventrale (sternite) e da due parti laterali (pleuriti). A ogni somite corrispondono un paio di appendici dette pleopodi che rendono il gambero rosa un discreto nuotatore.

Tra il primo paio di pleopodi, nei maschi, è distinguibile il petasma (Fig. 3 e Fig. 4), l’organo sessuale parzialmente disgiunto e simmetrico che permette al maschio di “agganciarsi” alla femmina durante l’accoppiamento. L’ultimo somite come appendici ha gli uropodi e sono strettamente interconnessi con il telson appuntito a formare una coda postanale a forma di ventaglio.

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L’anatomia interna di P. longirostris non differisce troppo da quella presente in altri crostacei e in generale da quella degli Artropodi. Se si parte dalla regione anteriore il primo organo facilmente visibile sono i due occhi, questi sono occhi composti formati da ommatidi che poggiano su peduncoli mobili. Oltre alla presenza di occhi, il gambero rosa, possiede anche altri tipi di recettori come: statocisti poste normalmente sotto le antennule, chemocettori ed organi tattili posti solitamente sulle antenne e sulle setole in diverse parti del corpo. Il cervello è posto al di sotto del carapace: è costituito da 3 gangli sopraesofagei fusi insieme e collegati tramite nervi circumenterici ad un ganglio sottoesofageo (gnatocerebro); dal ganglio sottoesofageo seguono due cordoni che presentano un paio di gangli ad ogni somite. Sotto il cervello si trovano le ghiandole antennali in diretto contatto con l’esterno in grado di fungere da sistema escretore e da sistema osmoregolatore. Il trasporto dei gas respiratori nei crostacei avviene tramite un liquido detto emolinfa contenente pigmenti respiratori (emocianine), questo, grazie alla cavità emocelica, è in diretto contatto con tutti gli organi. Il sistema circolatorio dei crostacei è di tipo aperto. Il cuore è sospeso in una cavità pericardica posta al di sotto del carapace (dorsale) e tratta solo sangue arterioso. Il sangue dopo essere arrivato nel cuore dal seno pericardico tramite gli ostii viene pompato attraverso due arterie cefaliche verso la parte frontale (dove è presente un cuore cefalico per garantire la spinta) e da un’arteria dorsale addominale verso il restante corpo dell’animale. L’arteria dorsale addominale porta l’emolinfa nei seni ventrali dove è a diretto contatto con gli organi e può avvenire lo scambio di gas. Effettuato lo scambio di gas l’emolinfa prende la via dei seni branchiocardici che portano prima alle branchie e poi nel seno pericardico.

La scambio di gas con l’esterno nei crostacei avviene tramite le branchie. Esse sono poste sotto il carapace su entrambi i lati del corpo, il flusso di acqua è unidirezionale. Le branchie essendo poste sotto il carapace per essere irrorate costantemente dall’acqua hanno due strutture specializzate (scafognatidi) che creano un flusso di acqua continuo all’interno del carapace che passa prima verso il basso dove vi sono presenti più lamelle branchiali e torna all’uscita, posta anch’essa anteriormente, passando da sopra le lamelle.

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Il sistema digerente è composto da una bocca posta in posizione ventrale che comunica con uno stomaco di grande dimensioni posto posteriormente al cerebro ed anteriormente al seno pericardico. Questo è predisposto per la triturazione del cibo grazie anche alla sua comunicazione con la ghiandola digestiva posta vicino allo stesso con funzione sia di secrezione di enzimi digestivi che di assorbimento di alcuni nutrienti. Posteriormente allo stomaco entra in comunicazione con l’intestino medio dove avviene un’ulteriore assorbimento ed infine con l’intestino posteriore che sfocia nell’ano posto al di sotto del telson. L’intestino posteriore ha l’importante funzione di regolare l’equilibrio idrosalino insieme alle ghiandole antennali.

1.4.

Riproduzione, sviluppo e sex ratio

P. longirostris è una specie a sessi separati (dioica), caratterizzata da un dimorfismo sessuale abbastanza accentuato anche se, per un occhio inesperto, può passare inosservato. Il maschio è distinguibile dalla femmina in quanto all’altezza del primo paio di pleopodi, tra le due appendici, presenta il petasma. L’organo riproduttore maschile consta di due gonadi appaiate poste nel cefalotorace da cui dipartono dei dotti che sono sottili e spiralati che terminano nelle spermatofore. L’organo riproduttore femminile è formato da due organi pari posti dorso lateralmente all’intestino, rispetto alle gonadi maschili occupano molto più spazio lungo il corpo. Questi organi a seconda dello stadio maturativo possono occupare gran parte del corpo delle femmine e apparire biancastre da immature fino ad un verde molto intenso quando la femmina è fertile. Nell’apparato riproduttore femminile è presente a livello dei gonopori una sacca detta spermateca o thelycum che nel caso di P. longirostris è chiuso. L’accoppiamento avviene esclusivamente dopo che la femmina ha effettuato la muta e il suo esoscheletro è ancora molle, il maschio si affianca, “ribalta” la femmina e la afferra tramite il petasma. Il maschio rilascia gli spermi non flagellati nel thelycum dove avverrà in un secondo momento la fecondazione. La fecondazione deve, ovviamente, avvenire dopo la muta della femmina e prima della successiva muta, altrimenti la spermatofora andrebbe persa insieme all’esoscheletro. Le uova, dopo essere fecondate, vengono emesse all’esterno.

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Come riscontrato in altri crostacei peneidi, la taglia dell’animale è direttamente correlata alla fecondità delle femmine: il numero di uova può variare da un minimo di 23000 per le femmine più piccole a circa 200000 per quelle di grandi dimensioni (Mori et al., 2000). Quando si schiudono, prima di assumere la forma adulta, le larve passano attraverso diversi stadi: nauplius, zoea ed infine mysis. Gli stadi larvali hanno vita pelagica, vengono trasportati dalle correnti consentendo una miglior colonizzazione degli ambienti circostanti. La mysis infine diventa una post larva del tutto simile all’adulto passa ad una vita legata al fondo, come negli adulti (Heldt, 1938).

La riproduzione del gambero rosa avviene tutto l’anno, anche se esistono picchi stagionali. In Mediterraneo la maturità̀ sessuale di P. longirostris si raggiunge, in entrambi i sessi, nel primo anno di vita (Froglia, 1982a; Ardizzone et al., 1990). La taglia di prima maturità̀ nelle femmine oscilla tra 20 e 25 mm LC (Carlucci e Gancitano, 2017).

1.5.

La pesca di Parapenaeus longirostris

La pesca di questa specie avviene unicamente o principalmente con reti a strascico e con il passare degli anni, dato il suo generale aumento è diventata una specie importante dal punto di vista commerciale (Bombace e Lucchetti, 2011). Dato lo strumento utilizzato la pesca del gambero rosa è una pesca multispecifica, infatti generalmente questo tipo di attrezzo viene principalmente impiegato per catturare specie di interesse economico più elevato come lo scampo, il gambero viola, il gambero rosso, il nasello e altre specie commerciali. Ultimamente però la crescita del mercato di questo crostaceo ha portato i pescatori a porre maggiore attenzione a questa specie soprattutto nelle zone in cui è presente in maggior quantità come nel Tirreno settentrionale, nel canale di Sicilia e nello Ionio anche se ultimamente anche nell’Adriatico si comincia a riscontrare un aumento. le catture più abbondanti di questa specie durante l’arco dell’anno avvengono nei mesi invernali anche se generalmente si pesca tutto l’anno.

In tutte le aree in cui questa specie è distribuita si sono susseguiti studi riguardanti lo sfruttamento di questa specie ed è risultata una generalizzata condizione di sfruttamento sostenibile degli stock con qualche eccezione (Cardinale et al., 2011;

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Cardinale et al., 2012; Ben Meriem et al., 2014). Nonostante lo sfruttamento che sembra essere sostenibile è stato comunque consigliato, in via precauzionale, di non aumentare lo sforzo di pesca per questa specie (Carlucci e Gancitano, 2017).

Esistono legislazioni che regolano l’apertura delle maglie delle reti a strascico ma queste non influiscono molto sulla pesca del gambero rosa. A supporto di questo fatto c’è il calcolo dello scarto di questa specie nelle diverse strascicate che risulta essere trascurabile con valori che oscillano tra 0,35 e 1,24 % del totale delle specie catturate (Sbrana et al., 2006).

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2. AREA DI STUDIO

L’area di studio di questo studio è la sub-area FAO-GFCM GSA9 (Geographical Sub Area 9); si tratta di un’area che comprende due mari (Mar Ligure e Mar Tirreno centro-settentrionale) e tre regioni (Liguria, Toscana e Lazio) (Fig. 5).

Figura 5. GSA 9

Il Comitato Generale per la Pesca in Mediterraneo (GFCM, General Fishery Committee for the Mediterranean) della FAO ha suddiviso il Mediterraneo in 30 subaree geografiche, dalle caratteristiche morfologiche, ambientali e di tipologia di pesca, più omogenee possibili. Tali aree sono il riferimento per tutte le misure gestionali (es. piani

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di gestione, misure di regolamentazione dello sforzo di pesca), per i piani di campionamento e per la valutazione sullo stato di sfruttamento delle risorse. La GSA9 si estende per 42.410 Km2 con una lunghezza lungo la costa di 1245 Km di cui 330 Km appartenenti alla Liguria, 600 Km appartenenti alla Toscana comprese le coste dell’arcipelago toscano ed infine 290 Km di costa laziale. Le coste comprese nella GSA 9 sono caratterizzate da una sostanziale eterogeneità per quanto riguarda le caratteristiche sia dei litorali che di caratteristiche delle acque. La costa della Liguria si può dividere in una parte del Ponente con una piattaforma continentale molto vicina alla costa e caratterizzata da numerosi canyon che risalgono dalle profondità marine e da una parte di Levante con fondale che degrada meno velocemente.

La Toscana è anch’essa divisibile in due principali tipi di costa, con coste a lento degrado e sabbiose e coste rocciose e alte. Le prime sono presenti da La Spezia fino a Livorno mentre le seconde sono caratteristiche delle zone a sud di Livorno e dell’arcipelago toscano. La morfologia della costa e dell’arcipelago impediscono l’entrata di acque profonde in quanto le profondità sono modeste in confronto alle altre due coste. Inoltre, a causa della limitata comunicazione con gli altri mari, il mar Tirreno settentrionale assume caratteristiche generali diverse e può essere considerato un mare a sé.

La piattaforma continentale laziale è più limitata nel settore centrale (con una estensione di 20 km), ed è più estesa (30-40 km) nei settori settentrionale e meridionale. In questo tratto di costa è di fondamentale importanza per la geomorfologia marina il fiume Tevere che, date le sue grosse dimensioni, forma un cono sommerso e determina proprietà chimico, fisiche e trofiche diverse dalle zone circostanti. Nell’estremo sud della GSA 9 si trova l’arcipelago Pontino caratterizzato da fondali molto ripidi e da canyon che risalgono da fondali molto alti. All’interno di quest’area si trova un incontro di due correnti prevalenti (Fig. 6): - Corrente levantina (LW) - Corrente atlantica (AW)

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Figura 6. Principali correnti della GSA 9

La GSA 9 è caratterizzata da una serie di vortici ciclonici originati dal vento con all’interno acqua fredda profonda ricca di nutrienti che crea fenomeni di upwelling molto importanti per l’area presa in considerazione. Particolarmente importante è l’incontro tra la corrente della Corsica occidentale e la corrente della Corsica orientale, queste due formano la potente Corrente Ligure fondamentale per la formazione di una delle zone più importanti di upwelling del mediterraneo. Questo fenomeno di risalita di acque profonde è responsabile di una particolare ricchezza di nutrienti che riesce a sostenere anche grossi animali come i cetacei tanto da far nascere nel 1999 il Santuario Pelagos dei Mammiferi Marini Mediterranei. Questi fenomeni di upwelling sono particolarmente accentuati nella stagione invernale.

I popolamenti bentonici delle isole dell’Arcipelago Toscano mostrano un’elevata eterogeneità.

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I fondi mobili presenti al largo della Toscana ospitano popolamenti riconducibili, per la maggior parte, alla serie dei detritici che, a profondità maggiori vengono sostituiti dai popolamenti dei fanghi. I sedimenti dei settori orientale, meridionale, occidentale dell’isola d’Elba ospitano già a profondità inferiori a 50 m la biocenosi del Detritico del Largo, caratterizzata dalla dominanza del crinoide Leptometra phalangium. I fondali duri costieri presentano le biocenosi tipiche delle pareti verticali. Le praterie di fanerogame marine sono particolarmente rigogliose soprattutto lungo le coste delle isole dell’Arcipelago Toscano, in particolare a Pianosa.

Per quanto riguarda il Lazio, i fondali tra 10 e 20 m di profondità sono generalmente caratterizzati dalla biocenosi delle Sabbie Fini Ben Calibrate (SFBC) a cui si succedono verso il largo i fondi misti sabbio fangosi che costituiscono un ambiente di passaggio verso i Fanghi Terrigeni Costieri (VTC), che si distribuiscono sulla porzione profonda della piattaforma continentale. Fondi detritici (DC) sono presenti al margine di secche rocciose e oltre il limite inferiore delle praterie di Posidonia. Il margine della piattaforma continentale si caratterizza per la presenza di fondi detritici su cui raggiunge concentrazioni elevate il crinoide L. phalangium.

La GSA 9 si caratterizza anche per le elevate densità di reclute di molte specie demersali. Questo comporta ingenti catture da parte della pesca commerciale di esemplari di piccole dimensioni di molte specie, spesso destinate ad essere scartate a seguito delle disposizioni dei regolamenti sulla taglia minima di cattura delle specie ittiche. L’elevata concentrazione di forme giovanili di specie ittiche nella GSA 9 è dovuta alla presenza di habitat peculiari caratterizzati da livelli elevati di produttività e ricchezza specifica. E’ stato evidenziato nella GSA 9 il ruolo dei fondi a crinoidi, costituiti dalla specie L. phalangium (Colloca et al., 2004, 2006; Reale et al., 2005) per il reclutamento di molte specie demersali: si tratta di una facies della biocenosi del Detritico del Largo, che è caratterizzato da un’elevata diversità biologica e da alti valori di produzione secondaria; è stata inoltre rilevata una maggiore abbondanza della comunità ittica rispetto a quella dei fondi adiacenti. Vi sono elevate densità di giovanili di specie demersali e bentopelagiche, come nasello, gambero rosa, merluzzetto cappellano e totano.

Lungo tutte le coste si possono trovare numerose praterie della fanerogama marina Posidonia oceanica, anch’essa ha un’elevata importanza in questi mari in quanto svolge

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diverse funzioni ecologiche che determinano le caratteristiche dell’ambiente costiero della GSA 9.

Dal punto di vista antropico tutta la linea di costa è fortemente antropizzata con numerosi porticcioli che alterano la normale linea di costa e spiagge in cui è stato permesso il ripascimento alterando la naturale granulometria dei fondali sabbiosi costieri oltre che aumentando la sedimentazione a danno, per esempio, delle praterie di P. oceanica. Ad aggravare la situazione sono le numerose fabbriche lungo i fiumi che sboccano in questo tratto di mare e il grande traffico marittimo. Nella GSA9 esistono numerose Aree Marine Protette, aree finalizzate alla protezione di ambienti naturali di particolare pregio, ove l’attività di pesca e le altre attività antropiche sono regolamentate. Inoltre, dal 1998, nella GSA 9 sono state istituite delle Zone di Tutela Biologica (Z.T.B.) interdette all’attività di pesca (Decreto MIPAAF del 16 giugno 1998): Zona A (al largo delle coste dell’Argentario – Kmq 50); Zona B (al largo delle coste meridionali del Lazio – Kmq 125). Queste zone sono localizzate all’interno di importanti aree di nursery. A seguito del Decreto MIPAAF del 22 gennaio 2009, in entrambe le Z.T.B. la pesca professionale con reti a strascico è consentita solo nel periodo compreso tra il 1° luglio ed il 31 dicembre. È consentito l’uso di reti a circuizione, reti da posta, nasse e palangari. I mari della GSA 9 sono sfruttati sia dalla pesca a strascico, sia dalla pesca artigianale. Le più importanti flottiglie con reti a strascico, da Nord a Sud, sono presenti a Sanremo, Imperia, Santa Margherita Ligure, La Spezia, Viareggio, Livorno, Piombino, Porto Santo Stefano, Porto Ercole e Fiumicino. Stime recenti, attestano che la flotta da pesca che opera nel mar Ligure e nell’alto e medio Tirreno è composta da 1687 imbarcazioni e 127.391 di potenza motore (kW) (dati Fleet Register dell’Unione Europea alla data del 01/01/2015). Essa è caratterizzata dall’elevata presenza di imbarcazioni della pesca artigianale, tuttavia in quest’area i pescherecci a strascico contribuiscono con i più alti livelli di produzione. Dal punto di vista strutturale, la flotta a strascico della GSA 9 si compone di 320 battelli per un tonnellaggio complessivo pari a 11.243 GT ed una potenza motore di 65.671 kW Lo

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strascico rappresenta il 71,2% ed il 51,6% della capacità di pesca nella GSA 9, misurata rispettivamente in termini di GT e kW.

Lo sforzo di pesca esercitato dalle imbarcazioni a strascico non è omogeneamente distribuito nella GSA 9, con zone caratterizzate da livelli diversi di sforzo di pesca e di tasso di sfruttamento. Nella Liguria di Ponente la pesca sulla piattaforma è limitata e la maggior parte delle imbarcazioni, specialmente quelle di Sanremo ed Imperia, si dedicano alla pesca batiale mirata alla cattura del gambero viola (Aristeus antennatus). Nella Liguria di Levante i fondi fangosi circa-litorali sono più ampi e la pesca riguarda anche specie di piattaforma, quali il moscardino bianco e la triglia di fango. In quest’area opera la principale flottiglia della Liguria, che fa base nel porto di Santa Margherita Ligure. Le coste settentrionali della Toscana (Mar Ligure sud-orientale) sono influenzate dagli apporti di acque dolci provenienti dai fiumi Magra, Serchio ed Arno, che arricchiscono di nutrienti l’area costiera. La piattaforma è molto ampia ed è caratterizzata da fondi mobili adatti alla pesca a strascico. Tali condizioni hanno indotto lo sviluppo della flottiglia di Viareggio, che costituisce la più importante flottiglia costiera del Mar Ligure. Nella porzione centrale della sub-area, la piattaforma è relativamente allargata ed è caratterizzata dalla presenza delle isole della porzione settentrionale dell’Arcipelago Toscano. In tale area, l’attività di pesca non è molto importante, con l’eccezione della flottiglia di base nel porto di Livorno. A sud dell’Isola d’Elba (Toscana meridionale) la piattaforma è leggermente più stretta, e la pesca si concentra sulla scarpata continentale. In quest’area operano le flottiglie a strascico di Porto Santo Stefano, Porto Ercole, Castiglione della Pescaia, sia sui fondali della piattaforma che della scarpata, con pesca mirata a gamberi bianchi, scampi e gamberi rossi. Nel Lazio lo sforzo di pesca a strascico è piuttosto omogeneamente distribuito sia sulla piattaforma che sulla scarpata. La piattaforma è meno estesa tra Capo Linaro e Capo Circeo (20 km), ampliandosi (30-40 km) nei settori settentrionale (tra l’Argentario e Capo Linaro) e meridionale (tra Capo Circeo e Gaeta).

La flottiglia artigianale della piccola pesca conta circa 1300 imbarcazioni, distribuite lungo tutta la costa e nelle isole. Si tratta generalmente di imbarcazioni di piccole dimensioni (2,0 GT). I più elevati livelli di attività si registrano per le imbarcazioni laziali mentre i minimi per quelle liguri. Nonostante gli attrezzi utilizzati dalla marineria della

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piccola pesca della GSA 9 siano molteplici, la maggior parte delle imbarcazioni utilizza le reti da posta, il tramaglio e la rete ad imbrocco, in numerose varianti a seconda dei porti del periodo dell’anno e delle specie da insidiare.

Le imbarcazioni dedite alla pesca con la rete a circuizione rappresentano un’altra importante componente della flotta peschereccia della GSA 9. Sono presenti circa 50 imbarcazioni che esercitano una pesca mirata alla cattura dei piccoli pelagici, acciuga, Engraulis encrasicolus, e sardina, S. pilchardus. Si tratta delle imbarcazioni più grandi operanti nell’area, soprattutto quelle registrate nei porti toscani. Le imbarcazioni sono localizzate principalmente in Liguria e in Toscana. I piccoli pelagici rappresentano un’importante risorsa per la GSA 9 tanto da richiamare, nel periodo estivo, anche imbarcazioni registrate nei porti del Tirreno meridionale e in Sicilia.

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3. MATERIALI E METODI

3.1.

Caratterizzazione della pesca di P. longirostris

La prima parte di questo lavoro di tesi è stata incentrata alla caratterizzazione della pesca del gambero rosa, P. longirostris, nell’area di studio, la GSA9 (Mar Ligure e Mar Tirreno centrale e settentrionale). A questo proposito sono stati raccolti i seguenti dati: - Dati su capacità di pesca (numero di barche) e sforzo di pesca (giornate di pesca

* tonnellaggio, GT = gross tonnage).

- Dati su sbarcato totale e scarto di P. longirostris.

Questi dati sono stati acquisti dal sito https://stecf.jrc.ec.europa.eu/data-dissemination, disponibile presso la web page del JRC (Joint Research Center) della Commissione Europea, con sede a Ispra (VA).

I dati raccolti nell’ambito del DCF (Data Collection Framework) vengono inviati ogni anno dagli Stati membri alla Commissione Europea. Il JRC si occupa di organizzare questi dati in un database e di renderli disponibili per la consultazione.

Dal sito del JRC sono stati acquisiti, per ciascun anno (per il periodo 2003-2016) i dati su P. longirostris (denominato secondo il codice FAO come DPS=Deep sea Pink Shrimp) nell’area GSA 9, pescato con la rete a strascico (codice OTB). I dati annuali del JRC sono divisi ulteriormente per tipologia di pesca (fishery) e per trimestri dell’anno (quarter), questo implica un’ulteriore elaborazione dei dati per ottenere dei riferimenti annuali. Il calcolo del numero di barche operanti in quest’area è stato possibile eseguendo una media del numero di pescherecci operanti nei quattro diversi trimestri dell’anno in quanto, una semplice somma, non avrebbe tenuto conto del fatto che, in trimestri diversi, parte dei pescherecci conteggiati nel primo trimestre sarebbero stati gli stessi presi in considerazione nel trimestre seguente.

Diversamente è stato fatto per le giornate di pesca per cui è stata eseguita la somma delle giornate per ogni trimestre dell’anno perché, il dato di giornate in mare, non ha problemi di sovrapposizione nei diversi trimestri e può quindi essere sommato, ottenendo il numero totale di giornate di pesca nell’arco dell’anno.

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Le informazioni sul naviglio hanno permesso di valutare l’andamento della capacità di pesca (numero di barche per anno), l’attività di pesca (numero di giornate di pesca per anno) e di stimare lo sforzo da pesca, espresso come (GT * giornate di pesca per anno). Lo sforzo di pesca dell’area considerata è stato calcolato rapportando: il numero di vascelli presenti nell’area con il numero di giorni in cui effettivamente pescavano. Questo dato è stato alla base del successivo calcolo della CPUE (cattura per unità di sforzo, CPUE = Catch Per Unit of Effort), attraverso la seguente formula: CPUE =$# L= landing (sbarcato) della specie espresso in kg. F= sforzo di pesca nell’area espresso come GT * giornate di pesca per anno. Al fine di caratterizzare al meglio la pesca di P. longirostris si è calcolata la % di scarto; essa è stata messa in rapporto allo sbarcato totale della specie. Questa è una misura che indica la percentuale in peso che viene rigettata in mare e fornisce informazioni riguardo l’andamento nel tempo della frazione scartata di questa specie. La percentuale di scarto è stata calcolata tramite la seguente formula: % Scarto =(#'%)% ×100 S= scarto espresso in tonnellate L= sbarcato espresso anch’esso in Kg Oltre ai dati ufficiali DCF, sono state raccolte informazioni attraverso un’attenta analisi e revisione delle relazioni tecniche pubblicate dal CIBM di Livorno sul monitoraggio della pesca nella GSA9. In questo modo sono state raccolte informazioni integrative sullo sbarcato e sullo scarto del gambero rosa, in particolar modo sulla struttura in taglia degli esemplari che vengono usualmente commercializzati o scartati. Questa tipologia di dati non è possibile ottenerla attraverso lo sbarcato commerciale in quanto, nella normale azione di pesca, lo scarto viene interamente rigettato in mare. I dati riguardanti lo scarto provengono pertanto da periodici imbarchi effettuati durante tutto l’anno, a bordo di diversi pescherecci dove, oltre a raccogliere dati riguardanti lo sbarcato, viene campionato lo scarto che viene successivamente analizzato in laboratorio. L’analisi dello scarto prevede l’identificazione di tutte le specie presenti, la conta del numero di esemplari per ogni specie ed il peso totale degli esemplari. Nel caso di specie di interesse commerciale, come P. longirostris, l’analisi prevede anche la misura della taglia.

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Per completare l’analisi dello scarto del gambero rosa si è andati ad investigare il numero di esemplari sotto e sopra la taglia minima di riferimento per la conservazione (MCRS = 20 mm) nello sbarcato e nello scarto. Infine sono stati raccolti dati di sbarcato di gambero rosa, attraverso i report pubblicati annualmente (Annuari) dall’ISTAT dal 1972 al 1999. Questo ha consentito di integrare i dati di sbarcato di P. longirostris acquisiti dal DCF. I dati ISTAT su P. longirostris sono disponibili aggregati assieme a quelli di un altro crostaceo decapode, la mazzancolla (Melicertus kerathurus), anche perché, in quel periodo, lo sbarcato del gambero rosa non era molto rilevante in termini quantitativi. Il dato preso in considerazione è pertanto una sovrastima della reale presenza di gambero rosa in quegli anni, fattore da tenere in considerazione nella successiva analisi e comparazione dei dati ISTAT con i dati DCF. Inoltre i dati ISTAT sono disponibili separatamente per regione; pertanto, per ottenere i dati della GSA9, sono stati sommati i dati di Liguria, Toscana e Lazio.

3.2.

Campionamento

I dati utilizzati per il presente lavoro provengono dalle campagne annuali di pesca sperimentale MEDITS (Mediterranean International Trawl Survey) realizzate dal 1994 al 2016 nell’area di studio, la GSA9 (Mar Ligure e Mar Tirreno Centro-Settentrionale). Il progetto MEDITS ha avuto inizio nel 1994, sotto la spinta di quattro Paesi mediterranei, Italia, Francia, Spagna e Grecia. Furono pianificate le campagne sperimentali, attraverso una rigorosa metodologia di campionamento, che permettesse di valutare lo stato delle risorse ittiche (Bertrand et al., 2007). Nel 1996 e negli anni successivi altri Stati mediterranei hanno aderito al progetto: attualmente le campagne MEDITS sono svolte da Spagna, Francia, Italia, Malta, Slovenia, Croazia, Montenegro, Albania, Grecia e Cipro. A partire dal 2002 la campagna MEDITS è entrata a far parte del programma di raccolta dati dell’Unione Europea (DCF, Data Collection Framework). Il programma esegue specifici Regolamenti Comunitari (es. Reg. 1342/2002 o 199/2008) che impongono un piano di monitoraggio delle risorse ittiche ai paesi membri, al fine di valutare lo stato di sfruttamento delle risorse e di applicare misure gestionali per lo sfruttamento sostenibile da parte della pesca. Si tratta di un progetto di ricerca e di monitoraggio delle risorse demersali, svolto attraverso una metodica di campionamento detta trawl survey,

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che si prefigge di valutare e monitorare, lo stato delle risorse nei mari Mediterranei dell’Unione Europea. I trawl survey rappresentano il mezzo più comunemente usato per lo studio di abbondanza e distribuzione delle risorse demersali e per stimarne i principali parametri biologici e di dinamica di popolazione (Bombace e Lucchetti, 2011). Le campagne MEDTS si svolgono attraverso un protocollo standardizzato, per quanto riguarda l’attrezzo, il disegno di campionamento, la modalità di raccolta e di analisi dei dati (A.A. V.V., 2016). Essa viene effettuata ogni anno nel periodo compreso tra Maggio e Settembre. Il trawl survey viene realizzato attraverso pescate sperimentali, le cale, secondo un disegno di campionamento di tipo casuale stratificato. In ciascuna campagna, le cale da effettuare sono ripartite in 5 strati batimetrici; il numero di cale per strato è proporzionale alla superficie dello strato stesso, le cale sono allocate in maniera casuale all’interno di ciascuno strato. Nell’area oggetto del presente studio, la GSA9, sono state effettuate 153 cale nelle campagne dal 1994 al 2001 e 120 nelle campagne dal 2002 al 2017 (Tab. 2). Tabella 2. Campagna MEDITS: allocazione delle cale nei diversi strati batimetrici nella GSA9 Strati batimetrici Superficie (Km2) Numero cale 1994-2001 Numero cale 2002-2017 Strato A (10-50m) 5.762 20 14 Strato B (51-100m) 5.992 21 19 Strato C (101-200m) 10.878 39 30 Strato D (201-500m) 10.587 42 35 Strato E (501-800m) 9.191 31 22 Piattaforma (10-200m) 22.636 80 63 Scarpata (200-800m) 19.778 73 57 Totale (10-800m) 42.410 153 120

La Fig. 7 mostra, come esempio, la disposizione delle 120 cale nella GSA9 nella campagna MEDITS 2015.

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Figura 7. Posizionamento delle cale nella campagna MEDITS 2015.

Tutta l’attrezzatura utilizzata per il campionamento è standardizzata dal protocollo MEDITS (A.A.V.V., 2016), così da garantire la comparabilità dei dati nei diversi anni e nei diversi Paesi. La Fig. 8 mostra uno schema generale di una rete a strascico in azione con la denominazione dei suoi componenti principali. Questa consta di due cavi di traino che collegano la barca in movimento ai due divergenti; essi sono in comunicazione tramite i calamenti alla rete. La rete è costituita da due lime: in alto si può notare la lima dei galleggianti che ha il compito di mantenere la bocca della rete aperta mentre in basso vi è la lima dei piombi che mantiene la rete a contatto con il fondo. In fondo alla rete si trova il sacco finale dove si accumula il pescato.

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Figura 8. Schema generale di una rete a strascico

La Fig. 9 mostra uno schema della rete usata per i campionamenti MEDITS; si tratta di una rete appositamente disegnata, a partire da una rete a strascico commerciale, dall’Istituto di ricerca francese IFREMER, per poter essere utilizzata su diverse tipologie di fondali e per garantire la massima efficienza di cattura di specie demersali.

Tutte le unità di ricerca che effettuano le campagne MEDITS utilizzano la stessa tipologia di rete, la GOC 73. Si tratta di una rete formata da 4 paratie particolari in quanto l’apertura verticale è leggermente maggiore consentendo così la cattura di più specie demersali rispetto a quelle normalmente utilizzate per la pesca commerciale. Il sacco finale ha delle maglie di lato 20 mm che consentono la cattura di organismi appartenenti al più ampio intervallo di taglia possibile.

La lima dei sugheri è composta da 40 galleggianti del diametro di circa 20 cm, che garantiscono l’apertura verticale della rete. Alla lima dei piombi è assicurata una catena di pesi di 120 kg che permettono alla rete di restare strettamente a contatto con il fondo.

Lima dei galleggianti

Sacco finale

Lima dei piombi

Calamenti Divergenti

Armatura Cavi di traino

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Figura 9. Schema generale della rete utilizzata nelle campagne MEDITS.

Le principali specie bersaglio della rete a strascico appartengono alla categoria delle risorse nectobentoniche o “demersali” che comprende tutte quelle specie che vivono principalmente in prossimità del fondo e sfuggono alla cattura della rete a strascico solo quando si trovano a una distanza dal fondo maggiore dell'apertura verticale della stessa rete. Tra queste specie rientra anche il gambero rosa, obbiettivo di questo lavoro di tesi. Le risorse ittiche infatti, in funzione delle loro caratteristiche ecologiche, presentano una differente disponibilità all'attrezzo di campionamento, in questo caso la rete a strascico e si possono suddividere in quattro raggruppamenti ecologici, comprese quelle demersali (Fig. 10) (Froglia, 1982b):

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− Specie pelagiche che vivono nella colonna d'acqua, ma possono anche trovarsi in prossimità del fondo: vengono catturate occasionalmente ed hanno scarsa importanza per la pesca a strascico;

− Specie bentoniche, che vivono sulla superficie del fondo e/o possono infossarsi in esso; la loro catturabilità risulta quindi essere inversamente proporzionale alla loro capacità di affossarsi nel sedimento e direttamente proporzionale all'aderenza della rete sul fondo ed alla sua capacità di smuovere il sedimento; − Specie bentoniche con abitudini fossorie, capaci di scavare tane nelle quali

passano parte della loro vita; la loro catturabilità è subordinata alla loro posizione rispetto alla tana durante il passaggio della rete. Fig. 10. Raggruppamenti ecologici degli organismi interessati dalla pesca a strascico: (A) specie pelagiche gregarie; (B) specie demersali; (C) specie bentoniche che si infossano nel sedimento; (D) specie bentoniche che conducono parte della loro vita in tane scavate nel sedimento. In figura sono mostrate anche specie non catturabili dalla pesca a strascico (da Froglia, 1982b). I divergenti utilizzati sono del tipo Morgère WHS lunghi 2,05 metri e larghi 1,25 metri per un peso di circa 350 Kg (Fig. 11).

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Figura 11. Divergente Morgère WHS utilizzato nelle campagne MEDITS.

Per l’effettuazione delle campagne MEDITS, vengono utilizzati pescherecci professionali; nel corso degli anni sono state utilizzate diverse imbarcazioni. Nella campagna 2016 nella GSA9 si è utilizzato il motopeschereccio “Sant’Anna” appartenente alla marineria di Mazara del Vallo (Fig. 12 e Tab 3). Figura 12. Il motopeschereccio “Sant’Anna”.

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