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Requisiti ambientali per il progetto della città lagunare nella Sardegna Centro Occidentale

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Academic year: 2021

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Università degli Studi di Sassari Architettura ad Alghero

Dipartimento di Architettura, Design e Urbanistica Dottorato di Ricerca in Architettura e Pianificazione

XXVI ciclo

Requisiti ambientali per il progetto della città

lagunare nella Sardegna Centro Occidentale

Direttore della Scuola di Dottorato

Prof.ssa Paola Pittaluga

Relatori:

Prof.ssa Silvia Serreli

Prof. Gianfranco Sanna

Prof. Nicola Sechi

Tesi di dottorato di

Giovanni Maria Biddau

2014

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A mia Madre e a mio Padre… a mio fratello Carlo

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Giovanni Maria Biddau, Requisiti ambientali per il progetto della città lagunare nella Sardegna Centro Occidentale

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INDICE

ABSTRACT 5

OBIETTIVO 7

1. IL PROGETTO URBANO NEL PROCESSO DI COEVOLUZIONE TRA CITTA‟ E NATURA 10

1.1 Il campo di sperimentazione 11

1.2 Il rapporto tra città e natura: alcune interpretazioni 13

1.3 La componente naturale come parte della città 41

1.4 La ricerca di nuove forme di relazione tra città e natura 62

2. L‟ORIENTAMENTO AMBIENTALE DEL PROCESSO PROGETTUALE IN CONTESTI SENSIBILI 72

2.1 Processi progettuali in contesti ambientali sensibili: alcuni casi di studio 73

ETAR de Alcântara, Lisbona, PT 75

Roman Quarry Redesign, St. Margarethen, AU 81

Ballast Point Park, Birchgrove, AUS 87

Recupero paesaggisico della Vall de‟n Joan, Barcellona, ES 93

3. IL PROGETTO DELLE NUOVE CENTRALITA‟ E DEGLI SPAZI PUBBLICI DELLE LAGUNE:

SCENARI DI PROGETTO FRA CABRAS E SANTA GIUSTA 100

3.1 Il rapporto tra i sistemi urbani e i sistemi lagunari dell‟oristanese 105

3.2 Le prospettive progettuali nelle aree umide dell‟oristanese 133

3.3 Il progetto delle nuove centralità pubbliche delle lagune:

scenari di progetto fra Cabras e Santa Giusta 137

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Giovanni Maria Biddau, Requisiti ambientali per il progetto della città lagunare nella Sardegna Centro Occidentale

5 Scuola di Dottorato in Architettura e Pianificazione, XXVI ciclo Università degli Studi di Sassari.

ABSTRACT

Il presupposto della tesi considera la città e il territorio come due realtà inscindibili. L‟affiancamento delle tematiche ecologiche al progetto della città può essere rilevante per far emergere forme di progettazione che tengano conto di una fisiologia territoriale, in cui l‟attenzione agli aspetti dinamici e a processi ecologici che avvengono in esso appare fondamentale.

Partendo dal dibattito sulle situazioni della bassa densità insediativa e facendo particolare riferimento agli ambiti lagunari come spazi ambientali e insediativi di complessità ecologica, la tesi focalizza l‟attenzione sulla città come spazio territoriale interpretato come ecosistema eterotrofo e autotrofo complesso in continua evoluzione.

La tesi centra l‟attenzione in particolare su alcuni ambiti di criticità ambientale, come gli ambiti lagunari, sistemi urbani sensibili ai cambiamenti che avvengono nell'ambiente in relazione alle attività antropiche svolte a livello di bacino idrografico. Il contesto preso in considerazione è il territorio dell‟Oristanese nella Sardegna Centro Occidentale e, in particolare, gli ambiti territoriali delle lagune di Cabras e di Santa Giusta in cui uno dei problemi rilevanti è quello della gestione del ciclo integrato dell‟acqua, connesso al problema delle produzioni agricole e dell‟attività di pesca, ma soprattutto al futuro delle piccole realtà urbane e alla qualità degli spazi di fruizione ambientale di cui sono depositari.

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ABSTRACT

The assumption of the thesis is that the city and the territory be considered two inseparable realities. Placing ecological issues and city design side by side can have an important influence in developing planning forms that will take into account the physiology of the region, and pay significant attention to the dynamic aspects and ecological processes underway there.

Starting with the debate on low-density settlement situations and referring in particular to lagoon areas as ecologically complex environmental and settlement spaces, the thesis focuses on the city in terms of a territorial space interpreted as an intricate autotrophic and heterotrophic ecosystem in continuous evolution.

Attention is explicitly focused on some critical environmental spheres, namely the lagoon areas, urban systems that are sensitive to the changes occurring in the environment due to human activities carried out on a hydrographic basin scale. The context examined is the Oristano region in west-central Sardinia, especially the territorial areas of the Cabras and Santa Giusta lagoons, where one of the important issues is the management of the integrated water cycle, linked with agricultural and fishing problems, but above all with the future of the small urban realities and the quality of the spaces they own for fruition of the environment.

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Giovanni Maria Biddau, Requisiti ambientali per il progetto della città lagunare nella Sardegna Centro Occidentale

7 Scuola di Dottorato in Architettura e Pianificazione, XXVI ciclo Università degli Studi di Sassari.

OBIETTIVO

Il tema della bassa densità è il presupposto della ricerca per capire come il progetto dello spazio non sia più solo elemento di organizzazione di un paesaggio possibile ed esclusivamente input nell‟avvio di trasformazioni di territori caratterizzati da bassi livelli di concentrazione urbana.

L‟orientamento ambientale del processo progettuale nei contesti a bassa densità insediativa può essere rappresentato da tutte le forme della città contemporanea che vedono configurarsi una transizione dallo spazio chiuso della città storica allo spazio territoriale aperto. Tuttavia la progressiva scomparsa dei confini tra città e campagna e la loro continuità in un unico spazio urbano non corrisponde a un rafforzamento delle relazioni con gli elementi ambientali.1

Patrick Geddes afferma che la città consolidata è frutto di una dinamica evolutiva che “intreccia sempre diversamente nel tempo

innovazione e memoria, trasformazione delle tecniche ed ideali collettivi con la conservazione delle tradizioni e delle istituzioni più remote”.2 In questo senso la città è come un palinsesto3 che viene continuamente scritto, cancellato e riscritto dalle popolazioni che abitano il territorio, e quindi è riconoscibile nelle sue stratificazioni ed è fondamento per la sua trasformazione futura.

I piani e i progetti di trasformazione del territorio sono sempre più obbligati a confrontarsi con frammenti di città che entrano in conflitto con le dinamiche ambientali complesse. Infatti i funzionamenti ecologici del territorio sono sempre più influenzati dai legami che si instaurano tra nuove forme della città e modelli di funzionamento dei servizi urbani diffusi sul territorio.

1 Choay F. (1973), La città. Utopie e realtà, Einaudi, Torino.

Secchi B. (1984a), Il racconto urbanistico: la politica della casa e del territorio in Italia, Einaudi, Torino. Maciocco G. (1992), La pianificazione ambientale del paesaggio, FrancoAngeli, Milano.

2 Geddes P. (1949), Cities in evolution, William & Norgate, Londra.

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Il progetto delle trasformazioni urbane in piccole realtà immerse in una matrice altamente eterogenea a diverse percentuali di copertura agricola, pastorale e naturale richiede un processo di integrazione tra l‟organizzazione dei funzionamenti urbani e la gestione delle risorse territoriali.

In quest‟ottica, il lavoro di tesi fa emergere come una gestione efficiente di quest‟ultime, secondo i principi dell‟ecologia urbana, possa consentire una evoluzione della città a bassa densità corrispondente alle esigenze di qualità urbana che si lega a modalità diverse di gestione delle risorse (acqua, energia, ecc.), a modelli di produzione e di utilizzo delle stesse che non sono necessariamente legate a forme di trasmissione a lunga distanza.

Nei territori della dispersione insediativa il tentativo è quello di prendere in esame nuovi modelli di gestione urbana maggiormente contestualizzati in cui il trattamento di processi, legati per esempio all‟acqua, siano meno tecnicistici e in maggior misura basati sul concetto di distrettualizzazione. L‟interpretazione critica delle differenze di funzionamento di questi processi nella bassa densità insediativa può far comprendere come forme diffuse di edificato possano mettere in crisi modelli di gestione consolidati e legittimati da insediamenti ad alta densità e, pertanto, consentire una nuova organizzazione in spazi urbani differenti rispetto alla città compatta. La ricerca si interroga su come affrontare il problema della gestione della risorsa acqua, della salvaguardia delle aree umide e in particolare delle aree lagunari, della depurazione e dell'approvvigionamento idrico in contesti della diffusione insediativa. Per questo motivo, il campo di indagine centra l‟attenzione su alcuni ambiti di criticità ambientale, per esempio gli ambiti lagunari, ovvero sistemi urbani caratterizzati da condizioni sensibili, in cui il funzionamento dei processi ecologici può avvenire solo se la gestione riguarda l'intero ecosistema in termini tali che i carichi (inquinanti, prelievi di pesca, fruizione, ed in generale d'uso) non superino determinate soglie che consentano di mantenere le strutture e funzioni desiderate. All‟interno del campo di indagine la ricerca si focalizza su problemi legati alla gestione del ciclo integrato dell‟acqua, connessi al problema delle produzioni agricole e al futuro delle piccole realtà urbane dell‟area Oristanese nella Sardegna centro occidentale.

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Giovanni Maria Biddau, Requisiti ambientali per il progetto della città lagunare nella Sardegna Centro Occidentale

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1. IL PROGETTO URBANO NEL PROCESSO DI COEVOLUZIONE

TRA CITTA‟ E NATURA

Il presupposto della ricerca si sviluppa a partire dall‟interrogativo su quale debba essere il ruolo del progetto dello spazio e in particolare del progetto di architettura per rispondere alle criticità generatesi da una mancanza di un rapporto coerente tra dinamiche ecosistemiche, sviluppo urbano e qualità della vita per gli abitanti in contesti a bassa densità. La progressiva dilatazione delle forme della città, rispetto alle componenti della dimensione ambientale, incide sulla condizione delle dinamiche ecologiche. Il sistema morfologico delle aree della dispersione insediativa viene messo in crisi dall‟abbandono delle strutture economiche legate alla tradizione e ai processi dell‟economia rurale che ha dato forma ai paesaggi della campagna. Le stesse situazioni si rivelano anche ad opera delle reti di trasporto che grazie a strumentazione e tecniche moderne attraversano indifferentemente il territorio aumentando, di decennio in decennio, le distanze percorribili quotidianamente e incentivando il processo di pendolarismo delle popolazioni.

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Giovanni Maria Biddau, Requisiti ambientali per il progetto della città lagunare nella Sardegna Centro Occidentale

11 Scuola di Dottorato in Architettura e Pianificazione, XXVI ciclo Università degli Studi di Sassari.

1.1

Il campo di sperimentazione

Il campo di sperimentazione riguarda una particolare forma di città che sembra essere quella che più delle altre permetta di capire il processo di coevoluzione tra l‟urbano e l‟equilibrio degli ecosistemi ambientali.4 L‟insieme degli ecosistemi che costituiscono condizioni insediative a bassa densità. viene esplorato dalla tesi ed identificato come ambiente urbano. Queste modalità insediative si dispiegano attraverso forme e fenomeni distinti, spesso compresenti che si tenta più volte di definire con nuove terminologie. Tuttavia, ciò che se sembra interessante è comprendere le modalità di rigenerazione di territori spesso ridotti al margine che possono avvenire attraverso il ruolo del progetto dello spazio. Tuttavia, per formulare nuovi approcci del progetto ai processi di riattivazione del territorio della dispersione insediativa, è necessario richiedere il supporto delle scienze ecologiche e considerare come ecosistema. lo spazio della città, in tutte le sue forme sia naturali che artificiali.

Gli ambienti insediativi a bassa densità mostrano componenti ecosistemiche che permettono di leggere meglio questo processo. I piani e i progetti per il territorio sono sempre più obbligati a confrontarsi con la complessità, ovvero con frammenti di città che entrano in conflitto con i processi ambientali. Sembra necessario sottolineare che questi processi di intersezione delle nuove forme della città con gli ecosistemi autotrofi sono intrinsecamente legati ai funzionamenti ecologici del territorio. Gli insediamenti e le reti, con la comparsa industriale del XVIII secolo, hanno incentivato una politica di sopraffazione dei caratteri ambientali del territorio che ha ormai raggiunto livelli di irreversibilità altissimi. 5 Sembra per questo necessario promuovere una maggiore consapevolezza del ruolo e delle responsabilità dei progettisti nei confronti degli ecosistemi e delle dinamiche ecologiche, ma anche analizzare con sguardo critico la progettazione dei nuovi ecosistemi della città.

Partendo dal dibattito sui problemi della bassa densità insediativa e facendo particolare riferimento agli ambiti lagunari la tesi focalizza

4 Spaargaren G., Mol A. (1992), “Sociology, Environment and Modernity: Ecological Modernization as a Theory of Social Change”, in Society and

Natural Resources, 5.

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l‟attenzione sulla città come spazio territoriale interpretato come ecosistema eterotrofo e autotrofo complesso in continua evoluzione,6 partendo dal presupposto che la città e il territorio siano due realtà inscindibili.7

Il progetto urbano deve tener conto del fatto che il territorio può essere considerato come un campo in cui convivono ambienti ed entità non esclusivamente naturali.8 Attraverso l‟azione dell‟uomo, si configurano nuovi ecosistemi che costituiscono nuovi stati di equilibrio fra le componenti territoriali.

L‟affiancamento delle tematiche ecologiche al progetto della città può essere utile per far emergere forme di progettazione che tengano conto di una fisiologia9 territoriale, in cui l‟attenzione agli aspetti dinamici e a processi ecologici che avvengono in esso appare fondamentale.10 Uno dei caratteri dell'ecosistema urbano è la "transizione" e “l'instabilità”: questi suggeriscono alcuni requisiti di progetto legati alla definizione di figure aperte, anche nel campo dell'architettura, adattive e non compiute che tengono conto della città come entità territoriale dinamica.

La sensibilità per il ruolo positivo degli ecosistemi autotrofi, come tentativo di riequilibrare l‟artificialità della vita urbana che ha cominciato a dispiegasi nell‟ambito della tradizione progressista,11 si sta recentemente rafforzando ed emergono sempre più casi di progettazione urbana in rapporto con il contesto ambientale. Comprendere i presupposti teorici e culturali e le direzioni che questa attitudine progettuale suggerisce permette di definire quale sia il contributo operativo che questa direzione del progetto offra all‟evoluzione del disegno della città.

6 Tarsitano E. (2003) “Management, prevention and integrated control of urban parassitosis” in Urban Parasitology: Cities, animals and public health, Il Sole 24 ORE Edagricole, Bologna, Italy.

7 Clemente F. (1974), Op. cit. Maciocco G. (1992), Op.cit.

8 Schmithùsen (1961), “Allgemeine vegetationsgeographie”, De Gruyter &Co., Berlin. in Geneletti D., Pistocchi A. (2001), L'ecologia del paesaggio

come metodo nella Pianificazione territoriale: riflessioni su un caso di studio, Estimo e Territorio. LXIV.

9 Fisiologia del territorio intesa come studio dei funzionamenti dei sistemi di organizzazione a livello territoriale-regionale.

10 Lavers C.J., Haines-Young R. (1993), “Equilibrium landscapes and their aftermath: spatial heterogeneity and the role of new technology”, in Haines-Young R., Green D.R., Cousins S., (eds.), Landscape ecology and GIS, Taylor & Francis, London.

11 Choay F. (1973), Op.cit. “Uno spazio libero preesiste alle unità che vi sono disseminate, con un‟abbondanza di verde e di spazio che escludono un‟atmosfera tipicamente urbana. Il concetto classico della città si sgretola mentre si delinea quello della città – campagna.”

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Giovanni Maria Biddau, Requisiti ambientali per il progetto della città lagunare nella Sardegna Centro Occidentale

13 Scuola di Dottorato in Architettura e Pianificazione, XXVI ciclo Università degli Studi di Sassari.

1.2

Il rapporto tra città e natura: alcune interpretazioni

Per descrivere i fenomeni che regolano il rapporto tra ambiente urbanizzato e natura sembra importante una riflessione sul termine “città” e sulle molteplici interpretazioni e in particolare quelle di alcuni autori come Massimo Cacciari, Françoise Choay, Saskia Sassen. Parallelamente sembra necessario definare il concetto di “natura” come viene inteso nella tesi, partendo dai principi dell‟ecologia urbana attraverso le riflessioni di Ian L. McHarg, Ian Douglas, Howard e Eugene Odum, William Rees e Mathis Wackernagel.12

Francoise Choay13 afferma che prendendo in esame il termine città e intendendolo con accezione istituzionale, ci si riferisce a una condizione variabile di nazione in nazione. In Francia rappresenta una popolazione di almeno 2000 abitanti agglomerata in un solo municipio e organizzata attorno ad uno strumento amministrativo, giuridico e fiscale. In Italia, per fare un altro esempio, si parla di città quando il titolo viene concesso con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, ai comuni “insigni

per ricordi e monumenti storici e per l'attuale importanza”.14 Come in questi casi, tutte le nazioni presentano criteri di definizioni differenti e legati alla cultura dei luoghi. Nel linguaggio comune, tuttavia, Il termine città è legato ad una condizione in cui avviene uno scambio di beni e informazioni. Secondo alcuni autori corrisponde all‟appartenenza di una popolazione e di una entità spaziale e secondo altri all‟antico legame che intercorre fra i termini di Urbs e

Civitas. Se il primo rappresenta il territorio fisico della città, il

secondo descrive la comunità dei cittadini che la abitano o, come

12 Alcuni approfondimenti sui temi trattati dalla Urban Ecology e sull‟integrazione della componente urbana con i processi ecologici negli ecosistemi possono essere:

Alberti M. (2008), Advances in Urban Ecology, Springer, New York.

Marzluff J. M., Shulenberger E., Endlicher W.(2008), Urban Ecology, An International Perspective on the Interaction Between Humans and Nature, Springer, New York.

Niemelä, J. (1999), “Ecology and urban planning” in Biodiversity and Conservation, n.8, 1999.

Pickett S.T.A., Burch W.R., Dalton S.E., (1997b) “A conceptual framework for the study of human ecosystems in urban areas.” in Urban

Ecosystems, n.1, 1997.

13 Choay F. (1994) “Le règne de l‟urbain et la mortde la ville”, in AA.VV., La ville. Art etarchitecture en Europe 1870-1993, Centre G. Pompidou, Paris.

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afferma Massimo Cacciari in “La città”, ciò che viene prodotto dal mettersi insieme di diverse persone sotto medesime leggi al di là di ogni determinatezza etnica religiosa.15

Tuttavia la traduzione della parola “città” in francese è “ville” che deriva dalla parola “villa” ovvero l‟insediamento rurale antico che è spesso generatore delle città medievali. Lewis Mumford parte da questo termine per definire l‟appartenenza della città preindustriale alla campagna specificando che la città non era solo nella campagna ma faceva parte integrante di essa.16 Come afferma la Choay, e prima di tutti Mumford, la funzionalità reciproca che esisteva fra città e campagna venne distrutta dalla città industriale che rafforzò la differenza fra le due parti. L‟autrice muove dalla constatazione che i crescenti fenomeni di inurbamento sembrano relegare la città tradizionalmente intesa a ruoli quasi secondari, inducendo gli studiosi di fenomeni urbani a chiedersi se urbanizzazione sia in effetti sinonimo di produzione di città. Essa descrive la città come il “regno dell‟urbano”, e con questa locuzione si tende a manifestare un nuovo concetto di abitare il territorio, a scapito della città tradizionale, la quale viene sempre più relegata a ruoli marginali e svuotata di significati.17

Ciò che si cerca di definire con il termine “città” è un fenomeno troppo complesso che non può essere interpretato per mezzo di una lettura sistemica attraverso semplici catene causali tanto che gli storici, al fine di spiegare l‟evoluzione dalle dinamiche legate alla città preindustriale, danno particolare importanza ai fattori economico-politici (capitalismo e lotta di classe), demografici di crescita, sovraffollamento e velocità dei flussi (indicatori influenzati dall‟esodo rurale e dal miglioramento delle condizioni di igiene urbana). Se il ruolo ricoperto dalla tecnologia nella trasformazione della città europea sembra che non sia stato abbastanza riconosciuto nell‟analisi sull‟evoluzione dei fenomeni urbani, Saskia Sassen pone questo fattore al principio. Investigando le nuove gerarchie globali e regionali delle città, essa si sofferma sul senso del territorio divenuto

15 Cacciari M. (2004a), La città, Pazzini Editore, Rimini, pp. 8-9.

16 Mumford L. (1938) The Culture of Cities, Londres, Secker and Warburg, p.306.

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Giovanni Maria Biddau, Requisiti ambientali per il progetto della città lagunare nella Sardegna Centro Occidentale

15 Scuola di Dottorato in Architettura e Pianificazione, XXVI ciclo Università degli Studi di Sassari.

sempre più periferico, ed escluso dai grandi processi che fanno da volano alla nuova economia globale.18

Anche se il tema dell‟economia globale è argomento che oggi riguarda solo alcune città, dal momento che la maggior parte di esse hanno probabilmente avuto minime interazioni con questi tipi di economia, il contesto economico di globalizzazione e d‟uso della telematica ha portato molti studiosi a concludere che le economie locali e le forme urbane da esse rappresentate diventano inevitabilmente obsolete. Il ruolo che ha il territorio come elemento organizzante la città è da tenere in considerazione dato che molti esperti e politici sostengono che la fine dell'importanza economica delle città compatta sia determinata dalle tecnologie della globalizzazione e da nuove tecnologie di informazione.19 La Sassen osserva che esistono differenze fra il ruolo ricoperto dell‟agglomerato urbano di venti o trenta anni fa e quello odierno. Quelli che un tempo erano grandi centri industriali nei paesi altamente sviluppati, basati sulla concentrazione dei servizi e delle funzioni, hanno subito un forte calo. Questo andamento sembra essere dovuto da processi di dislocazione di fabbriche e catene produttive in paesi stranieri, dalla crescita di reti globali, di sportelli e filiali di istituzioni di interesse pubblico, sedi centrali di aziende importanti spostate al di fuori dei centri storici, spesso in aree periferiche.

Nonostante i segnali di rallentamento percepiti nell‟economia industriale, un numero sempre maggiore di grandi città vede aumentare la propria concentrazione di potere economico focalizzato attorno a un tipo di produzione postindustriale. Queste città, organizzandosi attorno a nuovi tipi di senior management, hanno sviluppato funzioni di finanza e servizi altamente specializzati alle imprese.20 Questo andamento sembrerebbe andare a discapito di una organizzazione della città che tenga conto delle risorse del proprio territorio, e che da esso parte per la gestione e il controllo degli sviluppi urbani.

18 Sassen S. (1994), Le città nell‟economia globale, Bologna, il Mulino. Anche nelle economie più avanzate, importanti centri manifatturieri e città-porto che nel passato venivano considerate centralità strategiche hanno perso o perdono funzioni e sono in forte declino

19 Sassen S. (2004) “Las economias urbanas y el debilitamiento de las distancias” in Ramos A.M. (a cura di), Lo Urbano en 20 Autores

Contemporaneos, UPC, Barcellona.

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L'orientamento delle città globali attorno ai mercati mondiali, per la finanza e servizi specializzati, porta a riflettere sopra questioni riguardanti la collaborazione con le strutture regionali, economiche e sociali. Le città, che spesso riflettono le caratteristiche del territorio al quale appartengono, tendono ad essere profondamente radicate nelle economie della regione e, nonostante i processi di globalizzazione, la maggior parte rimarrà tale. Tuttavia, quando una città diventa un luogo strategico dell'economia globale tende parzialmente a differenziarsi da un discorso di tipo regionale. Questa organizzazione di città (quella globale) sembra non favorire l‟integrazione e la conoscenza territoriale e si scontra con i tradizionali sistemi urbani. Il territorio comincia ad essere escluso dai principali processi economici che alimentano lo sviluppo economico nella nuova economia globale e, per questo motivo, appare sempre più periferico.

“I poteri che determinano la crescita metropolitana faticano sempre più a “territorializzarsi”, a “incarnarsi” in un ordine territoriale, a dar vita a forme di convivenza leggibili-osservabili sul territorio, spazialmente.”21

Come afferma Massimo Cacciari in “Quando la città non ha più confini”, possiamo chiamare città un‟area che “divora il territorio

circostante” in senso fisico ma anche concettuale. Pensando alla città

plurale nella sua composizione geografica come nei suoi abitanti, egli si riferisce alle questioni del superamento della città moderna verso una definizione di “metropoli” come luogo della “produzione

attraverso la produzione e dello scambio di merci”.22

Il territorio post-metropolitano appare come un insieme di eventi messi in connessione dai mezzi di comunicazione contemporanei e che attraversano paesaggi ibridi, talvolta senza particolare interesse. Al contrario di come poteva accadere con le forme di città compatta, non riesce a definire attraverso il concetto di confine uno spazio di tipo post-metropolitano. La sua organizzazione attraverso reti delle comunicazioni permette una sua espansione che tende all‟infinito. Per

21 Cacciari M. (2004b), “Quando la città non ha più confini”, in Bonomi A., Abruzzese A.(a cura di), La città infinita, Mondadori, Milano. 22 ibidem

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Giovanni Maria Biddau, Requisiti ambientali per il progetto della città lagunare nella Sardegna Centro Occidentale

17 Scuola di Dottorato in Architettura e Pianificazione, XXVI ciclo Università degli Studi di Sassari.

questo motivo il termine confine appare labile e in perenne crisi; momentaneo in quanto superabile con estrema facilità.23

Cacciari riflette sulla improgrammabilità dell'occupazione del territorio e afferma che la città è ovunque, non vi è più città e non si abitano più città, ma territori. Questo è uno dei motivi per cui il tentativo di fissare confini alla città diventa un‟esigenza occasionale, un bisogno tecnico amministrativo e perciò inconcepibile. Egli sostiene che in questo tipo di spazio esistano polarità, che a volte sono attività che possono essere definite come “centrali”. Le forme di connessione e della mobilità si orientano attorno a questi poli che, sempre più, possono organizzarsi ovunque sul territorio.

Secondo la Sassen bisogna pensare alla rete della città globale come un elemento costituente una geografia economica della centralità differente rispetto al passato. Cercando di rimanere all‟interno delle nuove forme urbanizzate è possibile tracciare una nuova geografia della centralità e della marginalità dalla quale scaturisca un disegno in cui grandi strutture e attrezzature collettive, centri commerciali metropolitani, con gli enormi investimenti nel settore immobiliare e delle telecomunicazioni, rappresentano nuovi centri, nuovi poli di interesse; mentre le aree urbane a basso reddito diventano sempre più periferiche e prive di risorse.24 Anche se la tendenza alla concentrazione porta alcuni tipi di popolazione a spostarsi verso centri urbani densi delle metropoli nazionali e regionali, lo spostamento di molte attività verso la periferia causa la progressiva saturazione della rete dei servizi25 e determina lo spopolamento del cento e di molti nuclei urbani storici. Esso porta a processi di dispersione che talvolta possono creare forme di città a bassa densità insediativa di tipo lineare o puntuali. Volendo esemplificare alcuni di questi casi ci si può riferire a urbanizzazioni lineari continue lungo la linea di coste o aste fluviali; oppure agglomerati compatti attorno a aeroporti, centri commerciali, centri di ricerca tecnologici e universitari, oppure, come afferma Choay, forme di dispersione nell‟area rurale definita in Francia con il termine Rururbanization.26

23 Cacciari M. (2004b), “Quando la città non ha più confini”, in Bonomi A., Abruzzese A.(a cura di), La città infinita, Mondadori, Milano. 24 Martinotti G. (1993), Metropoli. La nuova morfologia sociale della città, Bologna, Il Mulino.

25 Castells M. (2002), La nascita della società in rete, Università Bocconi, Milano. 26 Bauer G., Roux J. M. (1976), La Rurbanisation, París, Le Seuil.

Al lato: dispersione urbana e rapporto con le forme del territorio.

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Giovanni Maria Biddau, Requisiti ambientali per il progetto della città lagunare nella Sardegna Centro Occidentale

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Gli assi tradizionali di espansione della città non sono più le direttrici principali secondo le quali si localizzano gli “eventi” come li chiama Cacciari, frutto di decisioni di investimento produttivo.

“E questi eventi in quanto tali si modificano con una rapidità incredibile: la fabbrica non era certo la cattedrale, non aveva la stabilita dei vecchi centri della forma urbis, ma una certa stabilita l'aveva. Adesso la rapidità delle trasformazioni impedisce che nel giro di una generazione si conservino memorie del passato.”27

Le logiche che comandano le attuali forme di città sono le logiche del mercato e della speculazione che, attraverso la loro dinamicità, rendono interscambiabili i ruoli di centro e periferia. Secondo Cacciari non si seguono più griglie di funzioni che regolino la città all‟interno di un progetto complessivo. In questa condizione, quando il territorio viene coinvolto, assume un carattere di “specializzazione” e subisce nuove forme di centralizzazione territoriale che sono legate a operazioni di gestione e di controllo di alto livello economico finanziario.

Queste aree altamente specializzate assumono incrementi del loro reddito sempre crescenti, a discapito di quelle legate a un‟economia locale che vedono diminuirei loro. Quindi, se i servizi industriali riescono a sopravvivere con grosse difficoltà, quelli finanziari producono profitti sproporzionati rispetto al contesto.28

Si crea un divario che evidenzia una situazione di crisi che dovrebbe portare all‟avvio di un processo di ristrutturazione del sistema urbano, nel nostro caso europeo, in cui appare necessario ridefinire le posizioni e i ruoli delle città. Come suggerisce Bernardo Secchi (1999) bisogna ripartire non solo da una ridefinizione delle strategie economiche e produttive (con settori produttivi in cerca di innovazione) o delle politiche istituzionali (attraverso la ricerca di nuove forme di collaborazione), ma anche da strategie di pianificazione territoriale e urbana, facendo più attenzione al territorio e ai sistemi ambientali.

27 Cacciari M. (2004a), La città, Pazzini Editore, Rimini, p.33.

28 Sassen S. (1996), Losing control? Sovereignty in an age of globalization. (The 1995 Storr Lectures). New York: Columbia University Press.

Al lato: forme della dispersione urbana all‟interno della matrice ambientale.

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Giovanni Maria Biddau, Requisiti ambientali per il progetto della città lagunare nella Sardegna Centro Occidentale

21 Scuola di Dottorato in Architettura e Pianificazione, XXVI ciclo Università degli Studi di Sassari.

Nel contesto italiano, per cercare di sopperire alla mancanza di chiare politiche sulla gestione della città e del territorio, si è cercato di attuare una “mobilitazione individualistica”29 il cui risultato è stato il decentramento produttivo, l‟origine e la crescita di aree appositamente destinate alla produzione o al commercio e la formazione di un edificato diffuso sul territorio.

Questa condizione di dispersione delle forme insediative porta a interrogarsi sul rapporto tra la città (intesa come città compatta con limiti ben rintracciabili) e le forme insediativo-produttive esterne ad esse.30 Non è possibile comprendere la politica del territorio se non si fa attenzione ai cambiamenti delle forme della natura e le caratteristiche della città moderna e quelle della diffusione della città contemporanea.31

Fra i tanti strumenti della diffusione urbana Gustavo Giovannoni32 individuava le grandi reti di comunicazione e telecomunicazioni, inizialmente pensati e progettati per attuare un potenziamento delle qualità territoriali. Egli vedeva in loro un potere definito allora di

antiurbanizzazione in quanto, come contesto urbanizzato, ci si riferiva

solamente alle forme di città compatta. Nonostante ciò egli credeva che questi fossero strumenti che potessero portare a una diminuzione della densificazione della città ed essere produttrici di agglomerati minori meno densi. Allo stesso modo, Giovannoni pensava che questi mezzi, che presto diventeranno parte di una rete molto fitta di informazioni a livello mondiale, non fossero sufficienti a determinare la crescita della società la quale necessita di architettura e di luoghi legati al leisure. Si afferma la duplice scala spaziale della società: la scala territoriale e la scala locale.

La dinamica delle reti e dei servizi teorizzata da vari studi porta la città ad essere compresa in ambii urbani che si dilatano nel territorio. Ciò permette di considerare nuove forme di città e di trasformare la visione statica dei luoghi costruiti in una concezione promotrice di nuovi comportamenti dislocati sul territorio che,

29 Come suggerisce Bernardo Secchi in Secchi B. (1999), “Città moderna, città contemporanea e loro futuri”, in Dematteis G. (a cura di), I futuri

della città. Tesi a confronto, FrancoAngeli, Milano, pp.41-70. il termine è stato coniato da Alessandro Pizzorno.

30 Nuvolati G.., Piselli F. (2009), La città: bisogni, desideri, diritti. La città diffusa: stili di vita e popolazioni metropolitane, FrancoAngeli, Milano.

31 Bernardo Secchi in Secchi B. (1999) “Città moderna, città contemporanea e loro futuri”, in Dematteis G. (a cura di), I futuri della città. Tesi a

confronto, FrancoAngeli, Milano, pp.41-70.

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seguendo sistemi di integrazione non più solo materiali, ma anche immateriali, possono essere validi nella città compatta come nelle campagne, nei villaggi e nelle periferie, definendo ciò che può essere chiamato “Urbano”.33

Francoise Choay afferma che l‟avvento dell‟urbano, rappresentato anche dalla delocalizzazione e moltiplicazione delle interazioni fra individui, sia il momento di rottura della giunzione fra urbs e civitas.

“Le forme urbane europee occidentali derivano dai caratteri della civitas. La città contemporanea è la grande città, la metropoli (questo e infatti il tratto caratteristico della città moderna planetaria). Ogni forma urbis tradizionale è stata dissolta.”34

In questo momento ci si avvia verso una forma urbis unitaria attraverso un processo di decadenza di ogni identità urbana. Le nuove centralità sono i nessi di connessione tra luoghi di produzione e mercato. In questa nuova dinamica i tradizionali luoghi simbolici si dissolvono per essere sostituiti dalle nuove centralità della produzione, scambio, mercato. Cacciari pensa che, mentre prima le diverse forme produttive, residenziali e terziarie, riuscivano ad articolare lo spazio e definire delle regole che permettevano di individuare ciò che era centro e ciò che era periferia, attualmente si abita una città-territorio. Questa è una rappresentazione indefinita e indifferente ai luoghi in cui gli eventi avvengono senza un disegno unitario di insieme e che ci porta a chiederci se è possibile abitare senza luoghi.35

E‟ questo che porta la Choay a definire l‟urbano chiedendo di andare oltre la figura della città moderna, verso una nuova organizzazione che Bernardo Secchi attribuisce il significato di città

contemporanea. Caratteristiche principali di tale città sono

rintracciabili nella capacità di organizzarsi nella divisione spaziale e

33 Choay F. (1994) “Le règne de l‟urbain et la mortde la ville”, in AA.VV., La ville. Art et architecture en Europe 1870-1993, Centre G. Pompidou, Paris.

34 Cacciari M. (2004a), La città, Pazzini Editore, Rimini, p.29.

35 Webber M. (1964), “The Urban place and the non-place urban realm", in Webber M. (a cura di), Explorations into Urban Structure, The University of Pennsylvania Press, Philadelfia,

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23 Scuola di Dottorato in Architettura e Pianificazione, XXVI ciclo Università degli Studi di Sassari.

sociale del lavoro e di relazionarsi con i problemi gerarchici fra centro e periferia. Lo spazio urbano non appare più come una forma continua ma, al contrario, frammentaria in cui caratteristiche principali sembrano essere la dispersione delle persone e delle funzioni che regolano il funzionamento urbano. Questa città si mostra a tutte le scale molteplice ed eterogenea in uno spazio in cui gli elementi appaiono differenti per dimensione, distanza, epoca di costruzione. Rispetto alla città moderna ci si confronta con strutture istituzionali che non riescono più a rispondere a problematiche e richieste di gruppi sociali dalle origini diverse, sono i luoghi della copresenza di figure sociali, di tecniche produttive, di spazi che allo stesso tempo mostrano retaggi del passato e concezioni future. Le differenze rispetto al passato sono visibili negli spazi della produzione delle piccole e medie imprese in cui si cerca di superare quella che, nella città moderna, era l'opposizione tra l‟operaio, conoscitore delle tecniche e del datore di lavoro che deteneva il potere decisionale.36 La città così intesa, come luogo di dispersione e delle nuove tecnologie, rappresenta un allontanamento dalle strutture organizzative tipiche della città moderna verso processi di mixité e processi di coesione, anche nel campo dell‟architettura. Questo fenomeno e da legare a ciò che ha caratterizzato, in parte, il periodo moderno cioè il superamento, da parte delle tecniche costruttive avanzate, degli strumenti architettonici tradizionali. Se nella città antica, le forme insediative erano frutto di una tradizione e di pratiche costruttive condivise legate alla necessità, con la città moderna si è dimostrato come la tecnica potesse superare la reale domanda costruttiva. In questa condizione di potere, la tecnica e il progresso delle modalità costruttive hanno offuscato i saperi costruttivi e le tecniche emergenti dal territorio permettendo il proliferare di uno spazio architettonico e culturale, da aggiungere a quello esistente, che non è rappresentante delle capacità culturali dei luoghi.37 Per questo motivo Secchi afferma quanto questa condizione sia promotrice di uno spazio culturale eterogeneo, ma tuttavia privo di qualsiasi riferimento, caratteristica di frammentarietà

36 Secchi B., Vigano P. (1998), “Un programma per l'urbanistica”, in Urbanistica, n. 111.

37 Magnaghi A. (2001), “Una metodologia analitica per la progettazione identitaria del territorio”, in A. Magnaghi (a cura di), Rappresentare i luoghi,

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e instabilità della società contemporanea. Per questo motivo la città contemporanea, in continuo cambiamento, può solo dare origine a soluzioni momentanee dei problemi, ad una permeabilità dei vincoli normativi. La crisi urbana ha portato a queste degenerazioni ma anche alla riscoperta del territorio, delle sue qualità fisiche e di orientamento delle dinamiche urbane.38 Considerare il territorio in relazione alla città significa contrastare l‟omogeneità dei luoghi, delle popolazioni e delle economie prodotta dalla città moderna39 e dalla città globale.40

Città e Ambiente

Pensare una città territoriale significa anche prendere in considerazione, nel suo insieme, tutti gli elementi che sono parte del sistema ambientale naturale potenziando le nostre responsabilità nei suoi confronti attraverso la conoscenza ed il controllo dei cicli dell‟acqua, dell‟azoto, dell‟emissione di anidride carbonica, della temperatura atmosferica e delle variazioni climatiche. Una nuova etica nei confronti del territorio e dell‟ambiente naturale può aiutare a relazionarsi con i problemi derivanti dalla tutela del rischio idrologico e dell‟inquinamento (dell‟aria, del suolo e dell‟acqua).41 Tuttavia questi elementi di protezione si concretizzano spesso in progetti di aree protette delimitate concepite come riserve di naturalità e reti di corridoi ecologici. Considerando però le nuove forme della città contemporanea, con le sue caratteristiche di diffusione e bassa densità insediativa, possiamo rintracciare come il progetto dello spazio urbano tenti di confrontarsi con il tema della naturalità diffusa.

Lewis Mumford rivede nel pensiero di Mcharg: uno sguardo innovativo sul rapporto di città e natura che, nelle tematiche attuali, è a fondamento del rapporto tra forme edificate a diverse densità insediative. Sia la città che la campagna sono necessarie.

38 Maciocco, G. (1991b)(a cura di), Le dimensioni ambientali della pianificazione urbana. FrancoAngeli, Milano. 39 Secchi B., Vigano P. (1998), “Un programma per l'urbanistica”, in Urbanistica, n. 111.

40 Sassen S. (1994), Le città nell‟economia globale, Bologna, il Mulino. Anche nelle economie più avanzate, importanti centri manifatturieri e città-porto che nel passato venivano considerate centralità strategiche hanno perso o perdono funzioni e sono in forte declino

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Tuttavia, rispetto a questa necessità, sembra che la natura perda di qualità e di utilità. McHarg in questo senso riconosce, nel ruolo di restrizione e vincolo che la natura impone alla progettazione, uno strumento che permette di motivare le scelte della modificazione territoriale.42

Il termine “natura” non si riferisce a entità indipendenti dall'azione storica dell'uomo (come le stratificazioni e caratteristiche geologiche e morfologiche della terra, i sistemi idrologici marini e terrestri, l'atmosfera e le specie viventi in essa, animali e vegetali), ma comprende anche gli altri organismi che compongono il mondo organico e biologico e tutte le componenti del mondo inorganico. Tutte queste componenti fanno parte di quello che viene definito attraverso il termine “Ambiente”. La tesi si occupa dell‟Ambiente interpretando alcuni suoi ecosistemi43 e per questo motivo si ha bisogno di attuare alcune precisazioni suggerite dal campo dell‟ecologia urbana. In questo senso, per superare la dicotomia città-natura può essere utile introdurre il concetto di ecosistema costituito da livelli di autotrofia e eterotrofia.

Questo confronto è stato spesso legato a una visione ecosistemica della città che si è dimostrata molto dinamica negli anni e senza un indirizzo univoco.

La scuola di sociologia di Chicago44 agli inizi del XX secolo fu una delle prime a considerare il rapporto che intercorre fra città e ecosistema. E‟ una delle prime aperture verso una interdisciplinarità della disciplina urbanistica. Come afferma Virginio Bettini il campo dell‟ecologia umana può finalmente entrare in rapporto con materie di studio come le scienze architettoniche, ambientali, sociologiche ma anche ambientali e psicologiche che si occupano dell‟insediamento urbano.45 Le variabili di tipo fisico, ecologico e biologico si affiancano alle conoscenze sociologiche aprendo la strada ad interpretazioni della città di tipo ecologico. La città viene intesa, secondo questa concezione proposta da Bettini, come un sistema ecologico, habitat delle comunità umane al cui interno

42 McHarg I. L. (1969), Design with Nature. Natural History, New York.

43 Goudie A. (2005) L'impatto umano sull'ambiente naturale: Passato, presente e futuro, John Wiley & Sons

44 Le ricerche di R. Park, E. Burges, R. Mc Kenzie furono fra le prime a considerare il rapporto tra città e ecosistema. 45 Bettini V. (1990) L‟analisi ambientale, CLUP, Milano.

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assumono rilevante importanza gli elementi naturali, biotici e non, e le relazioni fra l‟ambiente e l‟uomo. Non si cerca, in questo caso, di minimizzare l‟importanza della struttura socio-economica della città. Si vuole, al contrario, evidenziare come le caratteristiche culturali e naturali, quali topografia, drenaggio delle acque, problemi di approvvigionamento idrico e di purezza atmosferica, debbano essere maggiormente considerate al fine di evitare gli squilibri, già presenti in molte aree metropolitane, attraverso una visione di coordinamento a livello territoriale. Bettini, attribuendo a Smith il primo approccio di ecologia applicata alla città, mette in evidenza come una analisi ecologica debba essere attenta a comprendere le relazioni di confine tra naturale e artificiale, ambiente antropizzato e ambiente naturale.46

Il geografo Ian Douglas afferma che gli insediamenti urbani possono essere considerati come ecosistemi secondo due linee interpretative. Nella prima la città appare coordinata secondo le regole di un sistema economico; in questo caso le città possono essere analizzate a partire dai flussi di moneta, beni, servizi e materiali.

Nella seconda si considera l‟insediamento urbano come un ecosistema in cui interagiscano le relazioni fra i flussi di energia, acqua ed elementi chimici.47

Nel tentativo di dimostrare la possibile relazione fra ecosistema e città, Douglas, riprendendo le parole di Eugene Odum (1988) afferma che nella città esistono relazioni ed interrelazioni fra organismi viventi e componente abiotica tipica di un ecosistema. Odum da anch‟egli una sua definizione di città (nel senso stretto del termine) da un altro punto di vista, la quale fa corrispondere il sistema urbano ad un ecosistema eterotrofo incompleto che dipende dalle aree limitrofe per acquisizione di cibo, energia, acqua, fibre e materiali, soprattutto se una città industrializzata. La differenza con un sistema eterotrofo naturale sta nel metabolismo molto più intenso per unità d‟aria, nella importante richiesta di entrata di materiali per la sopravvivenza interna e la notevole produzione di

46 Bettini V. (1988) Elementi di analisi ambientale, CLUP, Milano. p.78 47 Douglas I. (1983), The urban environment, Edward Arnold, London. p.7

Al lato: disegni tratti da McHarg I. L.

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sostanze di rifiuto velenose e sintetiche che rappresentano una notevole uscita.

Rispetto a questo tema appare molto interessante affrontare il problema del confine e di come si possa individuare un limite possibile di definizione della città da un punto di vista ecologico. Se consideriamo il confine come un comparto, una regione dall‟area ben definita, essa può essere costituita da limiti naturali come rive di un fiume, di laghi, di stagni, margini di una foresta o confini politici. Quest‟ultimo è spesso il caso della città compatta in cui i limiti sono di convenienza e disegnabili in modo geometrico. Tuttavia, paragonando la città a un ecosistema ci dobbiamo chiedere se sia possibile ancora intendere un confine come elemento politico e statico. Infatti una regione chiusa non permetterebbe la sopravvivenza del sistema che dipende dalla capacità di scambio del suo contenuto verso ed esternamente al sistema.

Se considerassimo la città (nel senso moderno del termine con caratteristiche di compattezza e quindi confine stabile e rintracciabile) come sistema di indagine, e il comparto esterno (le aree non densamente costruite e dove prevale l‟elemento naturale), saremmo di fronte a un ecosistema che risponderebbe solo in parte alle caratteristiche che un ecosistema dovrebbe possedere.

Un ecosistema, secondo Eugene Odum, è:

“una unità che include tutti gli organismi che vivono insieme (comunità biotica) in una data area e che interagiscono con l‟ambiente fisico, in modo tale che un flusso d‟energia porta a una ben definita struttura biotica e a una ciclizzazione dei materiali tra viventi e non viventi all‟interno del sistema (biosistema)”.48

Secondo questa definizione bisogna differenziare la struttura trofica fra gli strati di tipo autotrofo e gli strati ti tipo eterotrofo. Gli strati di

tipo autotrofo sono capaci di trovare al proprio interno le risorse

necessarie al loro sostentamento: in questo riconosciamo le aree verdi e i sistemi agricoli. Gli strati di tipo eterotrofo sono invece quei sistemi che hanno bisogno di trovare tali risorse nell‟ambiente

48 Odum E. P. (1988) Basi di ecologia, Piccin, Padova. Si veda anche Nebbia G. (2006), “L‟ecosistema urbano”, in Economia e Ambiente, 1-2/2006.

Odum H.T., Brown M.T. et al., (1995), Zonal Organization of Cities and Environment, p. 24

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esterno, ovvero un‟area di suolo e sedimenti dove prevale l‟utilizzazione, la trasformazione e la decomposizione della materia. La città compatta può essere assimilata ad un ecosistema dove prevale il metabolismo eterotrofo49 dipendente da ampie aree limitrofe, anche molto lontane, sia per l‟energia che per la materia (cibo, fibre, acqua, materiali da costruzione, minerali, ecc.). Tuttavia la città, definibile come ecosistema eterotrofo, differisce da un ecosistema autotrofo perché presenta un metabolismo molto più intenso per unità di area. Questo non vuol dire che all‟interno dell‟ecosistema città (con i confini ristretti precedentemente individuati) non sia possibile in ogni caso individuare uno strato superiore autotrofo che, limitatamente in quanto a dimensioni, può essere rappresentato da fasce verdi e corridoi ambientali presenti all‟interno di essa.

L‟intensità delle trasformazioni dei flussi di materia-energia e il rapporto quali-quantitativo sembra che permetta di individuare le differenze fra le forme della città e gli ecosistemi autotrofi. Quindi se le strutture ambientali riferite all‟agricoltura e alle aree dei processi dello spazio “non costruito” di un territorio possono essere definite ecosistemi autotrofi, l‟ecosistema urbano compatto può dunque essere assimilato a un sistema eterotrofo a elevata complessità. Esso dipende dai livelli di antropizzazione e di sviluppo sociale e tecnologico per soddisfare i bisogni della popolazione.50

La città, seguendo queste riflessioni, può essere considerata secondo due approcci: uno politico e geografico (un mero limite amministrativo e di convenienza), l‟altro, invece, che risponde alle dinamiche ecologiche.51 Quindi, mentre la città industrializzata viene gestita seguendo principi economici legati al capitale di beni e servizi, come produzione di beni, flussi di informazione, servizi per la mobilità, ciò che va al di la di questi limiti convenzionali dovrebbe focalizzare l‟attenzione con il concetto di capitale naturale. Il capitale

49 Ecosistema eterotrofo: la produttività primaria netta P è molto maggiore della respirazione ecologica R, la sostanza organica è consumata molto più in fretta di quanto viene prodotta; negli ecosistemi dove prevale il metabolismo eterotrofo prevalgono i “consumatori”, i quali utilizzano e decompongono i materiali complessi sintetizzati dagli organismi autotrofi (vegetali).

50 Rifkin J.(1980), Entropy. A New World View, Viking Press, New York. Rifkin esplicita il carattere della città che, fin dalle origini, sorgendo ai margini delle zone coltivate mostrava un rapporto di dipendenza dalle zone circostanti. Nel XIX secolo la città si trasforma da sistema dissipativo a bassa entropia in sistema dissipativo altamente entropico.

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naturale rappresenta la capacità degli ecosistemi naturali di produrre beni (suolo, aria, acqua, flora e fauna) e servizi ecosistemici che ne derivano.52

Per la difficoltà di rappresentare il consumo di risorse naturali associati con l'attività umana fu introdotto dagli studiosi Wackernagel M., Rees W.E. il concetto di “Impronta Ecologica”. Esso rappresenta “una misura dei requisiti biofisici di un‟economia”. Questo sistema di contabilità tiene traccia, dal lato della domanda (Footprint), di quanta superficie di terra e acqua una popolazione umana necessita dall‟ambiente naturale per effettuare tutto ciò di cui ha bisogno. Vengono quantificate le aree atte alla produzione di risorse che in seguito vengono consumate dalla popolazione e lo spazio necessario per gli edifici e le strade. Ovvero è la misura totale dell‟area produttiva richiesta per supportare la popolazione di un‟area urbana. E‟ chiaro che questa misura dipenda dallo stile di vita della popolazione e che sia quindi variabile a seconda del contesto.

“it reflects the land area (in various categories) necessary to sustain current consumption and waste discharge by people in this economy.”53

Se applichiamo questo concetto alla città essa può essere descritta in termini ecologici considerando i flussi di risorse naturali in entrata nel sistema (acqua, cibo, combustibili fossili, etc.), e i flussi in uscita, ovvero quelli che genera (rifiuti liquidi e solidi, emissioni di inquinanti). Questo bilancio, chiamato urban ecological footprint, permette di mettere in relazione il funzionamento della città con la domanda di capitale naturale da cui dipende. Questa domanda in ingresso nel sistema, molto spesso, non dipende solo dall‟ambiente di prossimità ma anche da regioni o comparti molto lontani. Rees spiega che questo sistema agisce su principi di importazione di

52 I beni e servizi ecosistemici che derivano da capitale naturale possono essere quantificati e calcolati (anche se con non poca difficoltà) e valutati secondo le regole dell‟economia in migliaia di miliardi di dollari all'anno. Essi costituiscono cibo, fibre, acqua, la salute, l'energia, la sicurezza del clima e di altri servizi essenziali e, tuttavia, né la dimensione capitale naturale né i servizi che da esso derivano vengono adeguatamente considerati rispetto al capitale sociale ed economico.

53“Rappresenta la quantità di terra (in varie categorie) necessaria per sostenere i consumi correnti e lo smaltimento dei rifiuti della gente in questa economia.” Wackernagel M. et.al. (1993), How big is our ecological footprint? A handbook for estimating a community‟s appropriated carrying

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carico e esportazione di degrado ecologico. Questo genere di impatto è misurabile proprio attraverso l‟ecological footprint. Si parla di estensioni di terreno che sono disponibili alla produzione di materie utili al metabolismo urbano, ma sono anche spazi che possono accogliere gli scarti di produzione o consumo provenienti dall‟insediamento.

Il passaggio da modelli di città di tipo industriale (caratterizzate dal confine definito e dal controllo delle distanze) a “città contemporanee” amplifica la difficoltà nel riuscire realmente a determinare lo spazio ambientale della città e quindi aumenta la complessità nel computo delle esigenze di una popolazione e di un insediamento. Se nel primo caso lo spazio ambientale di un insediamento rappresenta un intorno abbastanza circoscritto che permette, in effetti, una misura quantitativa e qualitativa, nel secondo caso questo spazio appare più dilatato e misurabile solo quantitativamente. Questa differenza rappresenta la capacità di controllo della città sul suo territorio. Infatti, mentre nel caso della città compatta di tipo moderno è possibile determinare le caratteristiche fisiche, biologiche ed ecologiche delle aree che costituiscono l‟ambiente urbano, nel caso della città contemporanea dilatata sul territorio queste caratteristiche non sono relazionate alla città ma sono frutto di politiche e mercati internazionali che determinano quali debbano essere le fonti di approvvigionamento, gli input del sistema urbano.54

Per spiegare questo concetto l‟urbanista Claudio Saragosa effettua un confronto fra la concezione Mumfordiana della città medievale compatta, la dimensione dell‟urban ecological footprint secondo Odum e le prospettive dell‟applicazione di questo metodo di analisi dell‟ambiente delle città contemporanee secondo Jeremy Rifkin. Le città medievali, secondo Lewis Mumford, avevano un assetto organizzativo che ruotava attorno al progresso della campagna che era capace, in quel periodo, di creare le risorse più che necessarie al mantenimento della popolazione insediata. Le città facevano parte della campagna perchè erano alimentate da questa (l‟ambiente della città) e, a parte alcune città particolarmente congestionate, si

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coltivava fuori dalle mura ma anche al suo interno, se possibile.55 In questo caso gli input erano fortemente dipendenti dall‟ambiente esterno alle mura e la città aveva un potere decisionale totale sulla qualità delle aree esterne e quindi del suo prodotto.

Facendo il confronto con una città attuale statunitense, Odum sottolinea che, se si considera lo strumento dello urban ecological footprint, si può quantificare la richiesta pro-capite di un distretto urbano americano.56 Una città di 2 milioni di persone consumerebbe circa 3125 miglia quadrate per la produzione di cibo, 8 miliardi di litri d‟acqua.57 Ma queste sono chiaramente delle situazioni in forte espansione e come suggerisce Rifkin esse vengono mantenute grazie a una specie di colonizzazione del mondo. In questi territori, afferma, sono già state superate le capacità di produzione dei loro ambienti locali, e sono tendenzialmente soggette al collasso. Nel caso di una città di circa un milione di abitanti la richiesta in ingresso è di circa 1800 tonnellate di cibo che vengono prodotte da un sistema agricolo fondamentalmente dipendente da combustibili fossili. Tuttavia, questa fonte energetica è necessaria a causa del bisogno dell‟agricoltura di avere forti rendimenti, della necessità del mantenimento di un sistema di trasporto su scala nazionale per servire le aree urbane disperse, ma, soprattutto, le grandi città.58 Amplificando il problema in assoluto (e allontanandoci un istante dalle dimensioni europee del problema), potremmo chiederci da dove provengono gli approvvigionamenti di grandi città come New York o Los Angeles sapendo che non arrivano, di certo, dalle zone agricole circostanti.

Secondo quanto affermano Rees e Wackernagel, la sfera ecologica delle forme urbane non coincide più con una localizzazione geografica stabile a causa dei fenomeni della densità di popolazione, della rapida crescita dei consumi di energia e materia pro-capite e della crescente dipendenza dal commercio che affliggono la contemporaneità.59

55 Mumford L. (1954) In the Name of Sanity, Harcourt Brace, New York. p.12

56 Essa corrisponde a una quantità di cibo prodotto da un ettaro di coltivazioni, una quantità di carta e legno prodotte da mezzo ettaro di foresta, 8000 litri d‟acqua al giorno pro capite

57 Odum E. P. (1988) Basi di ecologia, Piccin, Padova. p.67-68

58 Rifkin J. (1992) Beyond Beef: The Rise and Fall of the Cattle Culture, Dutton, New York. p.174-176

59 Wackernagel M., Rees W. E., (1996), Our Ecological Footprint: reducing human impact on the earth. New Society Publishers, Gabriola Island, BC, Canada.

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Questa propensione era già stata suggerita dai tentativi di misurazione della Carrying Capacity degli insediamenti urbani che rappresenta il numero massimo di individui di una data specie che un‟area di studio può sostenere indefinitamente senza che le risorse dello stesso si riducano o si degradino in modo significativo.60 La carrying capacity dipende da fattori di tipo culturale quali reddito medio pro-capite, il livello tecnologico e le aspettative di consumo di una popolazione, ma anche dalla produttività ecologica. Inoltre le possibilità in continuo aumento offerte dai mezzi di trasporto suggerisce un superamento delle distanze da regione a regione. Il commercio e l‟allargamento delle economia verso una dimensione globale facilita gli interscambi e minimizza le difficoltà produttive di alcuni ambienti ecologici tanto che, per questo molti mettono in discussione l‟applicazione dello strumento della carrying capacity alla città contemporanea. Lo strumento del‟impronta ecologica cerca di ribaltare quel concetto di analisi per orientarsi verso uno strumento che misura la superficie di territorio rispetto alla popolazione e non la popolazione per ogni unità di territorio.61 E‟ il ribaltamento del concetto di analisi che permette di capire che il carico legato alla popolazione incide da qualche parte sul territorio anche se nascosto dalle dinamiche delle tecnologie e dei commerci e che, se quest‟ultimo riduce le distanze da regione a regione, allo stesso tempo diminuisce anche le capacità di altri territori ovvero ne riduce la carrying capacity. Quindi attraverso lo strumento dell‟urban ecologic footprint è possibile determinare il livello di controllo quantitativo della città sul proprio ambiente di riferimento con il quale si attivano flussi di scambio di input e output, quindi di materia energia e informazioni.

La crescita delle strutture tecnologiche delle città ha permesso la dilatazione delle forme della città e l‟approvvigionamento delle stesse. Tuttavia, questi sistemi, in quanto spesso legati a risorse esterne alla regione di riferimento e spesso esauribile, appaiono fragili.

60 La definizione originale in Ehrlich, P. R. (1968).The Population Bomb, Ballantine Books, oppure in Ehrlich P. R., Ehrlich A. H. (2009). "The Population Bomb Revisited". Electronic Journal of Sustainable Development 1(3): 63–71. Altre definizioni di carrying capacity in Hui, C. (2006) “Carrying capacity, population equilibrium, and envrionment's maximal load”. Ecological Modelling, 192, 317–320.

61 Wackernagel M., Rees W. E., (1996). Op.cit. p.46

Al lato: la centrale termoelettrica di Fiumesanto, presso Porto Torres, e gli spazi della balneazione antistanti lo Stagno di Pilo

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37 Scuola di Dottorato in Architettura e Pianificazione, XXVI ciclo Università degli Studi di Sassari.

Questa condizione è comune in molte città contemporanee che sono state travolte da una condizione generalizzata di aumento di consumi, di richieste di prodotti, di produzione di rifiuti senza riuscire a creare, al proprio interno, una forma di equilibrio con il proprio territorio. Le città hanno cercato di sopperire alle richieste di energia attraverso una gestione orientata verso il consumo di forme non rinnovabili. Questa condizione, che ha permesso la crescita di popolazione nelle varie forme urbane, non appare più permissibile e, anche se si cerca sempre più di fare ricorso a risorse di tipo rinnovabili, bisogna fare attenzione al grado di sfruttamento di queste al fine di superare il loro limite di autorigenerazione. Rees e Wackernagel affermano che è proprio lo stock di capitale naturale rinnovabile di risorse ittiche, foreste, suolo fertile e acqua pulita a creare quella strozzatura nella crescita della città. Il fabbisogno economico di capitale naturale diventa uno dei punti principali su cui si focalizza lo studio dell‟impronta ecologica individuando nella capacità della natura di limitarsi proprio di uno dei punti di maggior limite.62

Affrontare la dicotomia città-ambiente

Rispetto alle questioni precedentemente affrontate sembra utile soffermare l‟attenzione verso modalità progettuali che permettano di capire come una gestione efficiente delle risorse del territorio, secondo i principi dell‟ecologia urbana, possa consentire la creazione di una struttura e una evoluzione della città. Si affronta questo tema in contesti problematici quali quelli della bassa densità insediativa in ambiti in cui sembra che non siano ancora del tutto precluse le possibilità di instaurare delle relazioni fra le esigenze di qualità urbana delle popolazioni e dinamiche ecologiche in termini contemporanei.

Nelle forme urbane a bassa densità, uno dei problemi sui quali sembra interessante confrontarsi può essere costituito dalla perdita e superamento della dicotomia città – natura. La distinzione che veniva considerata alla base fra contesti ad alta densità insediativa,

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