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John Hejduk : poesia come teoria

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Academic year: 2021

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Università Iuav di Venezia Dipartimento di Culture del Progetto

Nella ricerca 7

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In copertina:

Egle Renata Trincanato, Schizzi per una collezione di moda, Fondo Egle Renata Trincanato - Archivio Progetti Iuav Immagini introduttive ai saggi:

Fotogrammi dal film Lektionen in Finsternis (Apocalisse nel deserto), di Werner Herzog, 1992, p. 6 Progetto Re-Cycle, variazioni del logo dinamico, p. 14

Peggy Bridgeman sulla sinistra dimostra a Ruth Harris la tecnica corretta mentre il loro supervisore, Lee Fiscus, osserva attentamente, nello stabilimento Gary della Tubolar Alloy Steel Corporation, sussidiaria della United States Steel Corporation, fotografia di M. Marshall, U.S. National Archives and Records Administration, public domain via Wikimedia Commons, p. 32

Paesaggio montano, L. A. Borrelli, p. 52

Trincea sulle Dolomiti, Collezione Silvio Minto, Archivio Storico Dal Molin (www.archiviostoricodalmolin.com), Bassano del Grappa, p. 74

La présence d’esprit, René Magritte, 1960, p. 98

Fotogramma dal film One week, di Buster Keaton, 1920, p. 118 Primo schizzo per la Libellula, Gundula Rakowitz, p. 136

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a cura di Angela Mengoni e Gundula Rakowitz

Immaginari e progetto

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Università Iuav di Venezia

Dipartimento di Culture del Progetto

Collana Nella Ricerca Direttore Carlo Magnani Comitato scientifico

Lorenzo Fabian, Viviana Ferrario, Sara Marini, Mauro Marzo, Angela Mengoni, Micol Roversi Monaco, Valerio Paolo Mosco, Gundula Rakowitz

Impaginazione

Andrea Turato, Patchwork studiArchitettura - Padova Copyright

© 2016 Editori: Iuav Dipartimento di Culture del Progetto e Mimesis editore Pubblicato durante le iniziative per la celebrazione del 90esimo dello Iuav Prima edizione settembre 2016

ISBN DCP Iuav 9788894056969 ISBN Mimesis 9788857538013

Per le immagini contenute in questo volume gli autori rimangono a disposizione degli eventuali aventi diritto che non sia stato possibile rintracciare

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

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Introduzione. Immaginari e progetto Angela Mengoni

Progetto ReCycle. Strategie per pubblicare e comunicare il progetto di riciclo Giulia Ciliberto

Ad personam Margherita Ferrari

Un punto di vista sulla Grande Guerra: l’architetto di un nuovo paesaggio Antonella Indrigo

Con occhi di straniero. Riscoprire il paesaggio attraverso immagini e racconti della Grande Guerra

Claudia Pirina

John Hejduk. Poesia come teoria Susanna Pisciella

La forza delle immagini Paola Virgioli Spettri di imaginatio Gundula Rakowitz Le autrici Sommario 7 15 33 53 75 99 119 137 165

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Immaginari

e progetto

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John Hejduk. Poesia come teoria

Susanna Pisciella

Le poesie di Hejduk ripercorrono la millenaria migrazione della forma attra-verso la pluralità di immagini ‒ mitologiche, teologiche, letterarie ‒ che sono al fondamento della sensibilità polifonica occidentale. Portano in superficie le grandi contraddizioni del sapere del nostro tempo, sempre in bilico tra identità e secondarietà, tra arbitrarietà e singolarità e trasformano queste contrad-dizioni in rappresentazioni. Il corpo delle poesie ri-territorializza il pensiero oggi de-territorializzato, offrendosi come serbatoio di civiltà (pluralità), in un tempo in cui il sapere tecnico-scientifico impone una cultura monologica. Riattraversando quei giacimenti figurativi che crediamo assopiti ma che invece agiscono, persistenti oggi come ieri, sul nostro immaginario. Si è scritto molto negli ultimi anni sulla sua opera, tuttavia è proprio dalla lettura d’insieme delle poesie che emerge il progetto sociale e la visione etica a fondamento della sua architettura e dei suoi disegni.

Lo scopo del lavoro1 è rendere attiva all’interno della teoria architettonica que-sta preziosa eredità lasciata da Hejduk, forse la più nascoque-sta e delicata della sua opera. Ancora oggi, infatti, i suoi versi sono quasi sconosciuti proprio a causa del linguaggio estraneo agli standard della letteratura architettonica

1 “John Hejduk. Poesia nella forma”, assegno di ricerca finanziato da Università Iuav di Venezia, dipartimento di Culture del Progetto. Assegnista: Susanna Pisciella; responsa-bile scientifico: prof. Renato Rizzi; periodo di svolgimento: a.a. 2015. Settore scientifi-co-disciplinare: ICAR 14.

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tradizionale. Del resto Hejduk non ha mai scritto nulla di teorico in senso cano-nico e tutti i suoi testi richiedono un certo sforzo di decriptazione del senso metaforico. Alla peculiarità del linguaggio poetico si aggiunge inoltre una diffi-coltà che può essere insuperabile: il modo della loro pubblicazione. Infatti sono sparse nei diversi libri, prive di alcuna introduzione o spiegazione e associate a storie, miti, allegorie con le quali intrattengono un rapporto apparentemente non logico né consequenziale. Questo contribuisce all’idea che si tratti di testi arcani, incomprensibili, quasi formule di un rituale perso. È Hejduk stesso a ren-derne criptico il contenuto fin dal principio, come si vedrà, rivelandolo solo un anno prima di morire. E anche questo dettaglio meriterebbe una storia a sé. La maggior parte dei poemi pubblicati nei libri di progetto, infatti, altro non sono che uno straordinario esercizio di osservazione e descrizione di immagini che egli si trova davanti, talvolta più di una, per lo più dipinti e sculture dei più grandi geni dell’arte europea. Ma Hejduk, quando dispone i componimenti nei vari libri, elimina non solo le immagini che li hanno generati, ma anche qualsiasi tipo di riferimento. La loro cancellazione in qualche modo decapita i versi del loro senso, facendone frammenti di azioni, espressioni, corpi, dei quali non si colgono né causa né contesto. Apparizioni. E la loro fascinazione risiede proprio in questo, nella capacità mitopoietica di Hejduk di generare storie che diventano poi autonome. E che a loro volta producono i progetti, quasi per concrescita, lenta, geologica. Permeando le diverse architetture, queste figure che ricorrono in forme analoghe nei diversi programmi architettonici, generano periodicità. I modi della formazione delle poesie ricordano la luminescenza di quelle crisalidi abbandonate dal corpo degli insetti che poco prima le abitavano e che Hejduk osserva in camminata per gli sterrati texani (Serata a Llano) e che sente ancora cantare nell’albero, ma non vede più. La partenza della vita, della sostanza interiore, abbandona la forma che, illuminandosi, diventa l’opera, migrando in una dimensione metafisica, atemporale. È questa la storia delle poesie separate dalle immagini che le hanno prodotte e alimentate. È questa anche la storia dell’anima nel preciso momento della morte, quando alla par-tenza dalla carne “l’anima fu illuminata dall’interno” (The Sleep of Adam). Rinvenire le immagini originarie e ri-associarle alle poesie è un lavoro a volte difficoltoso perché il riferimento, spesso generico, talvolta è completamente assente e solo la specificità della descrizione o la presenza di qualche indizio conduce al ritrovamento. La riprova della correttezza del riferimento è, però, sempre l’improvviso senso che assumono i versi, che permettono di apprez-zare le considerazioni critico-compositive di Hejduk, di entrare all’interno del suo sguardo e comprendere, seguendo il percorso inverso alla sua creazione, i modi stessi di elaborazione del progetto. Il patrimonio simbolico sollevato dalle

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poesie contribuisce poi significativamente alla conoscenza dell’articolazione narrativo-simbolica che sottende la sua intera opera, sia architettonica che pit-torica. Per svolgere questo lavoro abbiamo tradotto centocinquantasei poesie, tutte quelle pubblicate in una vita, per un totale di quasi seimila versi. L’ovvia impossibilità di tradurre fedelmente il linguaggio poetico fa sì che le traduzioni lavorino in appendice con un ruolo di eventuale supporto alla lettura, accom-pagnate dalla ri-contestualizzazione delle singole poesie all’interno dell’opera architettonica, seguendo gli indizi di cui sono disseminati i libri di Hejduk. L’esito del lavoro è la ricomposizione delle poesie in cinque libri che le raccol-gono tutte e che sono dedicati rispettivamente ai cinque temi più importanti che emergono dall’insieme di tutti i versi:

Volume I. Antico Testamento (3 poesie) Volume II. Nuovo Testamento (76 poesie) Volume III. Geni (47 poesie)

Volume IV. Luoghi (29 poesie) Volume V. La casa (1 poesia)

Il lavoro ha preso avvio dalle due raccolte che John Hejduk è riuscito a pub-blicare poco prima di morire: Such Places as Memory (MIT Press 1998) e Lines no fire could burn (Monacelli Press 1999). Per comprendere le intenzioni che sottendono l’opera poetica e il tipo di lavoro necessario, è utile ripercorrere le tappe fondamentali della loro pubblicazione.

Nel 1980 esce la prima raccolta, quaranta componimenti sotto il titolo signi-ficativo The Silent Witnesses and Other Poems. Il libro è pubblicato in tiratura limitata dallo IAUS, Institute for Architecture and Urban Studies diretto da Peter Eisenman, nell’ambito dell’importante progetto culturale che porta l’istituto a coinvolgere intellettuali e architetti internazionali nella promozione di una nuova sensibilità architettonica. Il libro oggi è praticamente introvabile, tuttavia se ne ha una buona restituzione all’interno di Mask of Medusa2 dove costitu-isce il sesto capitolo ‒ frame 6 ‒ sui sette che descrivono i diversi periodi dal 1947 al 1983. Le poesie sono divise in quattro gruppi da dieci: il primo e l’ultimo dedicati ai grandi geni della pittura europea, soprattutto italiana. I due centrali ai luoghi autobiografici che ha vissuto o attraversato, in particolare il secondo a città europee e il terzo a città americane. Questa suddivisione è alla base dell’articolazione dei volumi III e IV di questo lavoro.

2 J. Hejduk, Mask of Medusa, works 1947-1983, Rizzoli International Publications, New York 1985, Frame 6, The Silent Witnesses and Other Poems.

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Due anni dopo, nel 1982, in Perspecta n. 19 ripubblica Silent Witnesses, questa volta però non si tratta di poesie, ma di sessantacinque immagini in bianco e nero, nessuna delle quali opera sua, disposte sei per pagina, di dimensioni 2x3 inches (circa 5x7,6 cm). Nessun testo o didascalia le accompagna, solo il numero progressivo che non rimanda ad alcuna legenda. La pubblicazione ha l’aspetto di una versione contemporanea del genere rinascimentale libro degli emblemi, dove il lettore è prima di tutto osservatore vigile, interrogato sul senso stesso delle immagini. Non a caso la prima pagina è dedicata a La présence d’esprit di René Magritte, 1960. Ovvero allo scollamento tra percezione consue-tudinaria ‒ oggetti famigliari nei contesti soliti ‒ e la ri-contestualizzazione di questi oggetti: straniamento. Ciò che accade in quasi tutti i progetti architet-tonici di John Hejduk. È il caso di Wedding in a Dark Plum Room, le Masques, Cathedral, dove può capitare che The House of the Musician di Berlin Masque diventi The Old Farmer’s House in Lancaster/Hanover Masque, o che il profilo di The House of the Suicide diventi il profilo sommitale degli Angel Catchers di Bovisa, etc.In un continuo cambio di contesto, carattere e funzione, al quale oppone resistenza la permanenza della forma.

Una metamorfosi di richiami analogici per un’articolazione sempre maggiore dei personaggi architettonici chiamati a mettere in scena i diversi progetti. In particolare, La présence d’esprit di Magritte viene ritagliata e successiva-mente specchiata e ruotata, mostrando come i tre personaggi del dipinto, un uomo, un corvo e un pesce, se presi singolarmente ci sono famigliari, mentre ricomposti insieme nel dipinto, tutti e tre delle stesse dimensioni, diventano improvvisamente surreali e perciò interrogativi. Inoltre le traiettorie dei loro sguardi sembrano costruire i tre assi dello spazio euclideo: il corvo le ascisse, il pesce le ordinate e l’uomo l’asse “z” che perfora il piano di rappresentazione entrando nel nostro spazio. A ben guardare nessuno dei tre ci stacca gli occhi di dosso…testimoni silenziosi, Silent Witnesses, che da una dimensione inu-suale, straniante, osservano quello che noi crediamo reale, normale. Noi e il nostro spazio. Le successive cinquantasette immagini, L’allegoria di Primavera, Botticelli; M.me D’Haussonville, Ingres; Ragazza addormentata e Lettera d’a-more, Vermeer; New York movie e Domenica mattina, Hopper; Sant’Anna, Leonardo; Bacco, Michelangelo; Il mattino dopo, Münch, etc., sono alcune delle immagini descritte e poi cancellate della raccolta Silent Witnesses and Other Poems. La volontà di nascondere questi riferimenti diviene prassi in tutte le pubblicazioni a seguire, nelle quali le poesie sono apparizioni enigmatiche che Hejduk mette in relazione via via con i diversi progetti o gruppi di progetti, alter-nando descrizioni molto precise dei materiali, a testi dalla forma critica e dal contenuto simbolico-onirico (A Wissahickon Tale, Northern Episode, The Builder

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in Stone, etc).3 Generando storie e leggende che danno una tridimensionalità temporale ai progetti, quasi fossero lì da sempre, introducendo l’idea che il senso dell’architettura stia proprio in ciò che la nostra mente economico-ma-tematica potrebbe considerare non solo inutile, ma dispendioso: l’interiorità. Le poesie lavorano all’interno dei libri di Hejduk (Vladivostok, 1989; Soundings, 1993; Adjusting Foundations, 1995; Pewter Wings, Golden Horns, Stone Veils, 1997) come testimoni di una profondità ulteriore che spesso tende a sfuggire, soprattutto oggi che la tecno-scienza pretende di avere il privilegio di penetrare tutte le cose, mapping che esaurisce la conoscenza.

Proprio oggi invece più che in qualsiasi altro momento storico, questa illusione ci costa la totale opacizzazione della vista e è questo il messaggio che sembra darci il progetto che nel 1976 a Venezia usa per la prima volta il titolo Silent Witnesses, in occasione della prima biennale di architettura. Hejduk aveva pre-sentato un progetto che suddivideva il periodo 1878-1998 in quattro segmenti di trent’anni ciascuno rispettivamente dedicati a Proust (Pastoral Time 1879-1908), Gide (Mechanical Time 1908-1938), Camus (War Time 1938-1968), Robbe-Grillet (Ice Time 1968-1998) e Hawkes (Grey Matter 1998). Progressivamente, quelle che erano quattro case nel primo periodo diventano tre, poi due, poi una. Il piano visivo, inizialmente presente ma inevidente, diventa sempre più visibile finché, nel tempo della guerra, è presenza diretta, inevitabile.

È il tempo dello scontro frontale ma anche il tempo della scoperta del rapporto soggetto-oggetto, della messa in discussione della realtà del rapporto. Il 1976, quando il progetto è realizzato, è l’era della Guerra Fredda. Il tempo in cui non solo ciò che appare può essere messo in discussione, ma soprattutto occorre considerare che possa essere vicino a noi eppure non apparire affatto. Il som-mergibile di Ice Time afferma la necessità di introdurre un nuovo piano dello sguardo, quello in grado di vedere gli “invisibili”. Questo nuovo piano, in parte teorizzato nel celebre scritto The Flatness of Depth in risposta a Colin Rowe e Robert Slutzky, è il piano sul quale lavorano tutte le poesie, che si offrono quali testimoni in grado di vedere l’interiorità invisibile. Quel luogo nel quale tutto è sempre sincrono, lo spazio più cubista immaginabile. Hejduk riesce a trasferire questo modo della visione anche nel progetto di architettura. In Cathedral le diverse dimensioni si sovrappongono: prospetto, sezione interna e prospetto opposto si mostrano contemporaneamente all’interno del medesimo profilo di disegno. Sovrapposti uno sull’altro, eppure distinti e visibili contemporanea-mente: trasparenza letterale. Cathedral è anche il progetto dell’estrema raccolta

3 J. Hejduk, A Wissahickon Tale in Mask of Medusa, 1985, Frame 7; Ministry of Culture. Northern Episode in Vladivostok, 1989; The Builder in Stone in Adjusting Foundations, 1995.

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di tutti i progetti-personaggi di una vita all’interno di uno stesso luogo, come fosse il rituale dell’estremo saluto. Nello stesso periodo, 1998-1999, un anno prima di morire, Hejduk riunisce tutte le poesie e escono le due raccolte Such Places as Memory e Lines No Fire Could Burn, che diventano il materiale di par-tenza di questo lavoro.

Such Places as Memory mette insieme ottantatré poesie scritte lungo tutto il corso della sua vita. La raccolta è priva di immagini, eppure ricorda l’album delle fotografie di una vita. Ogni componimento è un’immagine a sé, per lo più pittorica, talvolta architettonica, più raramente cinematografica. Anche una superficiale conoscenza delle altre pubblicazioni di Hejduk rivela imme-diatamente come si tratti di un libro autobiografico fatto di viaggi, momenti di studio, attraversamenti, riflessioni. Il titolo stesso anticipa che si tratta sì di luoghi, ma filtrati dalla dimensione interiore della memoria. Che in altre parole non ci si deve aspettare una cronologia rigorosa, ma piuttosto l’affiorare di eventi. Apparizioni. La raccolta si apre con The Hesitation of Orpheus, e si chiude con Medusa. Due miti legati alla morte attraverso due imprese impossibili: per Perseo affrontare una morte quasi sicura ‒ Medusa ‒ uscendone vivo. Per Orfeo attraversare a ritroso la morte per riportare alla vita Euridice. Due metafore dell’opera d’arte che accompagnano tutto il lavoro di Hejduk; la prima ricorda come l’arte nasca proprio dall’intima necessità di superare la morte e per Hejduk la morte diviene il tema fondamentale che permea tutti i lavori: disegni, poe-sie, architetture. Medusa ci dice invece della opportunità salvifica di guardare l’opera attraverso il riflesso delle molte altre opere per non restare pietrificato dal suo sguardo fisso. E il libro raccoglie circa un centinaio di capolavori di geni Europei, tra i quali moltissimi italiani: Michelangelo, Leonardo, Duccio di Buoninsegna, Ambrogio Lorenzetti, Simone Martini, Vittore, Carpaccio, Paolo Uccello, Tintoretto, etc. oltre a Dürer, Hans Holbein, Ingres, Braque, Hopper, Vermeer, etc. la costruzione delle riserve iconologiche dei progetti. Medusa rap-presenta anche la sfida: può l’arte raprap-presentare autenticamente il dolore? La stessa questione sottende la domanda del progetto Bovisa, dove gli abitanti sono ossessionati dalla cattura degli angeli, che ingabbiano e poi crocifiggono: gli angeli grideranno? Se sì, con quale mezzo si potrà registrarne il grido? Con quale mezzo rappresentare il dolore di Medusa? “No mythologies can elabo-rate/ the pain at the roots”4 perché il dolore è difficilmente trasferibile.

Nel tentativo di penetrare il più possibile l’anima delle cose che descrive, Hejduk ricorre a tutti i media disponibili, sfruttando le possibilità

sincroni-4 J. Hejduk, Medusa in Such Places as Memory, MIT Press, 1998, trad. “Non c’è mitologia che possa elaborare/il dolore alle radici”.

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che e sinestetiche che il linguaggio poetico offre, mettendo insieme costrutti di parole che provengono da contesti semantici e sensoriali diversi: “buried topography”; “inhaling a vacancy”; “evaporation of white”, etc. Una lettura non accompagnata dalla visione delle immagini descritte, oltre a risultare oscura, non permetterebbe di cogliere la lezione di osservazione che Hejduk invece ci offre in questa raccolta più che mai. Di ogni immagine, infatti, si può cogliere la ricerca del principio geometrico-compositivo che la vivifica, a volte piccoli det-tagli, spesso suggestioni che imprimono una nuova forza che parte dall’interno dell’immagine, come per esempio in Oslo Room, dove descrive il dipinto The Day After di Münch “Limp flesh arm/ and black hair/ extend towards the floor/ (…) She lies two degrees/ down from an exact/ horizontal/ her white blouse open/ sweet breast exposed/ The mattress cover/ billows/ (…) Although drunk or dead/ mouth nose eyes/ might be kissed”5 mentre a fianco al letto, sul tavolino, stanno due bottiglie, un vino e forse un brandy, vuote. Le poche parole di Hejduk innescano immediatamente una tensione tra le bottiglie e la ragazza, che non appare più immobile, ma una docile fibra di una dinamica ondulatoria e molle, quella della sua percezione interiore mentre dorme un sonno stordito che tra-smette a tutta la stanza. La capacità di Hejduk di attraversare continuamente la soglia tra dimensione esterna-visibile e interiore-impercettibile si riflette nei disegni ‒ nelle dodici tavolette di Enclosures più che mai ‒ e nei progetti architettonici, per esempio The Builder in Stone (Adjusting Foundations, 1995), lo scalpellino che dedica tutta la vita a costruirsi tre strutture: il proprio luogo di lavoro, in mattoni; la propria chiesa, in granito grigio; la propria tomba, in granito nero. Erette come tre stele, una di fianco all’altra, rielaborano il progetto appena precedente per The House of the Still-Life Painter, “il pittore di nature morte”, appunto. Ulteriore interpretazione del tema della morte, forse il più caro a Hejduk, sicuramente il più ricorrente.

Allo stesso modo coglie in pochi versi la natura geometrico-compositiva di moltissimi altri dipinti, come Processione in Piazza San Marco di Gentile Bellini, “monk processionals paced the square”.6 O La Battaglia di San Romano di Paolo Uccello “San Romano’s empty helmets/ all move to a hidden vanishing point (…) Micheletto’s plumed riders prepare/ to leave the varnished frame”.7 O

5 J. Hejduk, Oslo Room in Such Places as Memory, cit. trad. “Braccio floscio/e capelli neri/ sparsi sul pavimento/(…) Lei giace due gradi/più in giù dell’esatta/posizione orizzon-tale/la blusa bianca aperta/mostra un seno dolce/il coprimaterasso/ondeggia/(…) sia ubriaca o morta/bocca naso occhi/si potrebbero baciare”.

6 J. Hejduk, Sant’Ursula’s Dream, Such Places as Memory, cit. trad. “i monaci in proces-sione misuravano la piazza”.

7 J. Hejduk, Tuscan Wheat, Such Places as Memory, cit. trad. “gli elmetti vuoti di San Romano/si muovono tutti verso un punto di fuga nascosto/(…) i cavalieri piumati di

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Il giorno dopo di Edvard Münch, 1894 “Limp flesh harm/and black hair/extend towards the floor/Perhaps the wrist bleeds/ into the palm/ or is it the/red of paint/ brushed in/She lies two degrees/down from an exact/horizontal/her white blouse open/sweet breast exposed/The mattress cover/billows/from the fold/A weighted black stocking/concaves turquoise blue/silk blanket/The heavy cloth of skirt/bent under knees/pyramid thrust/The Siena bed/slides deep/Although drunk or dead/mouth no see yes/might be kissed”

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ancora San Giorgio e il Drago di Paolo Uccello “Uccello’s white charger/ gallops legs up foreshortened”.8 Dettagli che appaiono all’improvviso a chiarire quali forze compositive agiscono nell’opera e la rendono tale, mettendo in discus-sione l’immagine originaria che se ne aveva. Una modalità di osservazione sintetica e allo stesso tempo fissa sulle singole parti, ognuna a costituire un’im-magine indipendente, come accade in architettura dove è impossibile avere una visione d’insieme con un solo sguardo: “each form of representation is partial with regards to the entire”.9 E tuttavia l’architettura è l’unica arte che si può vedere dall’interno “Architecture can be observed both from a distance and internally. We can become physical-organic participators. We become enclosed. Interior watchers”.10 Nelle poesie manca qualsiasi tipo di punteggiatura. Le immagini originarie, sparendo, producono nuove immagini, sotto-immagini, le quali hanno la durata di un verso, a volte di un paio o più e sono loro a dettare durata e ritmo della scrittura “etched cows move/ towards vertical banks/ one slips on the rail/ or is it the horizon line”.11

Dalla raccolta Such Places as Memory derivano i quattro volumi I, III, IV, V. Il terzo raccoglie le opere dei geni dell’arte a cui si è accennato e è il più corposo con 47 poesie. I volumi IV e V hanno invece un tono più esplicitamente autobiografico e raccolgono i luoghi di una vita.

Il libro IV Luoghi comincia con la poesia P.S. 47. BX. 1936 che, decifrato, signi-fica Public School n. 47, Bronx, 1936. Il primo verso: “I confess”. “I confess/ I was born/ in the Bronx County”. C’è Kutná Hora, la cittadina boema dove è nato ide-almente, dalla quale proviene tutta la sua famiglia e che rimane il connettore di fondo del suo legame con l’Europa. Con Rilke, anch’egli praghese, e con l’i-dea di estrema bellezza e insieme terribilità degli angeli. E con Kafka, anche lui praghese, col quale condivide la sfida di testimoniare la duplicità delle cose, l’impossibilità di affermare in modo definitivo “questo è effettivamente quello”. In questo libro c’è anche molta America: Lampasas, Austin, New York, Chicago, Nantucket, etc. Oltre a moltissima Europa: Venezia, Berlino, Oslo, Gröningen, Cefalù, Roma, etc.

Micheletto si apprestano/ a lasciare la cornice dipinta”.

8 J. Hejduk, A Monster Slain, Such Places as Memory, cit. trad. “il destriero bianco di Uccello/con le zampe al galoppo scorciate in prospettiva”.

9 J. Hejduk, The Flatness of Depth, in Mask of Medusa, Rizzoli, 1985, trad. “In architet-tura… ogni forma di rappresentazione è comunque parziale rispetto all’intero.

10 J. Hejduk, The Flatness of Depth, in Mask of Medusa, cit. trad. “L’architettura può essere osservata sia a distanza sia dall’interno. Possiamo divenirne parte fisico-organica. Restarne acclusi. Osservatori interni”.

11 J. Hejduk, France is Far in Mask of Medusa, cit. trad. “mucche incise si muovono/per risalire la scarpata/una scivola sul binario/o forse è la linea di orizzonte”.

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La lezione di piano di Henri Matisse, 1916 “sounds in deep perspective/barreling within spirals/forward dart/upon the frame/ of time ellipses/the brass metronome/cask of oak/the pendulum stuck/ at thirty-two degrees/the ovality of/a silence/a high chair matron/observes the note/the wood shut-ters meet/the iron grille at/one hundred and eighty/the corner statue/ indeterminate definitely small/tends to fold/in upon itself/ the triangular sliver/overlooks the singular/ ivory key/densities silently implode”

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L’ultimo volume, il quinto, invece, contrae il vasto mondo iconologico di Hejduk all’interno del luogo per eccellenza, la casa. La sua casa nel Bronx, a lato della stessa Broadway Street sulla quale si affaccia la Cooper Union, la scuola dove ha iniziato i suoi studi da architetto, dove ha conosciuto la moglie e dove è stato Dean per trentasei anni fino alla morte. Un pendolo quotidiano tra la casa e la scuola e di nuovo la casa, lungo la stessa strada. La delicatezza con la quale riesce a vivificare e a rendere prodigioso ogni dettaglio domestico ricorda le atmosfere evocate da Emily Dickinson, che Hejduk amava molto. Il libro si compone di una sola poesia, Sentences on a House and Other Sentences, che è divisa in due parti. La prima dedicata alla casa, la seconda alla morte. A quanta morte, insieme a tanta vita, è già contenuta nella casa che abitiamo e a come essa conviva con noi, quotidianamente “The closets of the house enclose the cloth of death”.12 Death è contenuta in ogni verso, in ogni azione domestica, per un totale di ottantaquattro volte.

Il primo volume dei cinque ricomincia proprio da qui, dalla dimensione indivi-duale e egualitaria della morte, che colpisce chiunque all’improvviso e che è un tema che riconnette direttamente alla tradizione protestante europea, in parti-colare tedesca e boema, dalla quale Hejduk appunto proviene e che si riflette nel rigore civico dei progetti urbani e nella dimensione fortemente individua-le-interiore di tutte le singole architetture che li compongono. Il primo verso del libro inizia all’interno dell’anima che, al momento della morte “in quel preciso momento” s’illumina per essere trovata dalla Morte “At that precise moment/ the illumination/of the body/inside/provides the internal/light/for Death’s entry/ so that he is able to search out/the soul”.13 La poesia è The Sleep of Adam, con la quale Hejduk riprende la tradizione della Danza Macabra descrivendo sette delle cinquantotto xilografie che compongono La Danza della Morte di Hans Holbein e aggiungendo una storia nella storia tradizionale. Nel libro di progetto per Collapse of Time racconta di quando si era trovato in mano il libro delle incisioni di Holbein, dello stupore per le enormi distanze che la Morte doveva attraversare per raggiungere singolarmente e personalmente ogni uomo sulla terra. Sempre per strada, “a journeyman”, un viaggiatore o anche, letteralmente, un “operaio qualificato” che svolge il suo macabro mestiere “his appearance known, his timing unknown”.14 Non deve stupire che Hejduk si riferisca alla

12 J. Hejduk, Sentences on a House and Other Sentences, in Mask of Medusa, cit. trad. “Gli armadi di casa contengono già l’abito di morte”.

13 J. Hejduk, The Sleep of Adam in Mask of Medusa, cit. trad. “In quel preciso momento/ l’illuminazione/del corpo/dentro/fornisce l’interna/luce/per l’accesso di Morte/così che possa trovare/l’anima”.

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morte usando il maschile, perché in effetti in inglese Morte è un lui. E la sto-ria-nella-storia che Hejduk compone sarebbe impensabile in italiano, oltre che di difficile traduzione. Infatti, nella struttura canonica della Danza Macabra, che inizia dalla Genesi e passa per la cacciata di Adamo e Eva, la cui disobbedienza è il motivo scatenante della perdita dell’immortalità, Hejduk inserisce la storia della passione “adulterina” tra Eva e Morte. All’insaputa di Adamo, che intanto dorme, come ci dice il titolo, partecipando con la sua ingenuità a portare Morte sulla terra. Anche qui come altrove, Hejduk racconta l’origine delle cose con tono ovidiano: la creazione della notte avviene per l’accidentale rottura della boccetta delle anime dei suicidi, la cui oscurità è tale da incupire il mondo intero. L’attrazione tra Eva e Morte crea invece il senso del duro e del morbido attraverso il desiderio morboso di Morte ‒ osso cavo ‒ di palpare la carne che gli manca ‒ Eva, le sue convessità ‒. L’attrazione di Morte per la pelle dei vivi è il tema ossessivo del poema: incontrandosi, loro esperiscono l’interiorità, Morte l’esteriorità. L’ultima poesia del primo libro è Obsessions of Dürer, la descri-zione di trentuno su trentasei xilografie della Piccola Passione di Albrecht Dürer che inizia con la Genesi e termina con il Giudizio Universale, attraversando i momenti canonici della vita di Cristo, dall’Annunciazione alla Crocifissione e Resurrezione. A dispetto dell’assoluta fedeltà della descrizione alle incisioni, Hejduk inserisce un’ultima strofa che aggiunge un’immagine inesistente nella raccolta: Death of the Virgin. Obsessions of Dürer è il componimento dal quale si originano i progetti Journey I e Journey II descritti in Pewter Wings e fa da con-nettore tra gli episodi veterotestamentari descritti nel volume I e invece quelli neotestamentari del volume II.

Lines No Fire Could Burn non è esattamente una raccolta, ma il risultato di una stesura unitaria, consequenziale, narrativa. Con le sue settantatré poesie costituisce il corpo del volume II. Inizia con la Crocifissione To absorb the Sins of Man, cui segue la retrospettiva dell’Annunciazione alla Vergine, e si conclude con la sua morte Death of the Virgin. Il tema è la Passione del Figlio, vista attra-verso il dolore inimmaginabile della Madre. E attraattra-verso l’impossibilità di Lui, morente, di consolarla. La relazione che lega madri e figli è un tema che ha radici profonde nell’opera di Hejduk e proviene da quel destino, misterioso e esclusivo della donna, di sdoppiarsi “Woman to me is the most mystical phe-nomenon around. (…) The reason why there are more females being painted than males”.15 Nel progetto Victims II c’è un particolare tipo di cimitero

femmi-suo tempismo”.

15 J. Hejduk, in Mask of Medusa, cit, p. 124, trad. “La donna per me è il fenomeno più mistico che ci sia (…) Motivo per cui ci sono più donne dipinte che uomini”.

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Natività da La Piccola Passione, di Albrecht Dürer, 1509-1511

“The shepherds’ knees bled/when they knelt in adoration the wood shafts held/ sprouted white chrysanthemums/ the north star burst/showering the evergreens/with pellets of mercury/the wings of the angel/ covered Joseph’s cheek/and shielded the child/from the flames/of the sun”

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Cristo inchiodato alla Croce da La Piccola Passione, di Albrecht Dürer, 1509-1511 “The awl spiralled/the wood sliver up/ as the peeling of the skin/of a fruit/ iron pincers and spikes/lay on the earth/the horizontal member/of the wood cross/was supported at the ends/by two rocks/the nail was placed/at the center/of the palm/ as the hammer was raised/the soldiers standing/indifferent”

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nile, The Cemetery of the Mothers of the Children, perché una donna, quando fa esperienza della maternità, è madre prima che donna. Lo aveva già dimo-strato nel progetto dedicato a Jan Palach, poeta suicida a Praga per contestare l’invasione russa della Cecoslovacchia: The House of the Suicide e The House of the Mother of the Suicide. La proiezione di questa visione getta ombre persino sull’Annunciazione Will There Be Blood: il giardino si fa color seppia, poi cipressi diventano neri e lei sente inquietudine. L’arcangelo che appare ad annunciarle la nascita “che cambierà ogni cosa” è splendido, glorioso. Ma lei abbassandosi il velo gli chiede “and who will bring/ the announcement of a death”.16

Non ci sono punti interrogativi o altri segni d’interpunzione che distinguano le domande dalle risposte o le pause dalla continuità dei versi. Il respiro è interamente affidato alla potenza delle parole-immagini. Persino l’angelo dell’Annunciazione avverte la colpa insita nella duplicità oscura della sua mis-sione, ma ha dovuto obbedire al volere di Dio, del quale tutti gli angeli temono l’ira, come in The Sleep of Adam. Ma mentre lì gli angeli costituiscono una collettività indistinta e vista fluttuare da fuori, qui sono invece visti nella loro singolarità interiore, riflettendo in questo modo il passaggio dal linguaggio epi-co-arcaico dell’Antico Testamento a quello più umano del Nuovo Testamento. Gli angeli sono l’elemento fondante di Lines, la parola che ricorre maggior-mente: ottantacinque volte in settantatré poesie. Con una differenza. Nella prima parte l’angelo cerca, esegue, nella seconda parte è cercato. La parola più ricorrente nella seconda parte infatti è “cattedrale”, il luogo nel quale più facil-mente gli angeli si manifestano perché le cattedrali sono fatte per “assorbire le pene del dolore” e ognuna ha una diversa densità dell’aria. Auguste Rodin passa intere nottate dentro le cattedrali in attesa della loro apparizione, per poterli riprodurre in bronzo, o in pietra. Braque li attende nel proprio studio per fissarli sulla carta. Gli angeli diventano i testimoni, i mediatori necessari per accedere alla dimensione irrappresentabile dell’amore, del dolore, del perdono “it’s the time to draw angels”.17 Passione, morte, resurrezione sono all’origine dell’arte occidentale, della ricerca di rappresentare con trasparenza reale ciò che l’oc-chio naturale non può vedere “permanent remembrance/ was created then”18 “churches would be built/ over centuries/ (…) sculptures would be made/ placed

16 J. Hejduk, Will There Be Blood in Such Places as Memory, cit. trad. “e chi porterà invece/ l’annunciazione di una morte (?)”.

17 J. Hejduk, The architect who drew angels, interview by David Shapiro, Architecture and Urbanism n. 244, 1991.

18 J. Hejduk, Permanent Remembrance in Lines No Fire Could Burn, Monacelli Press, 1999 trad. “il ricordo permanente/ fu creato allora”.

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on and in cathedrals/ (…) music would be composed”.19 Da qui l’ossessione di Rodin, Rilke e Braque per gli angeli. Da qui l’identificazione autobiografica con loro e il ruolo di testimone in prima persona degli eventi di Cristo in quei giorni, al punto da confondere la propria memoria con quella stessa di Cristo morente, immaginando nello stordimento che viene dall’indescrivibile dolore del corpo (chiodi, spine, sangue, ferite alcuni tra i termini più ricorrenti) la possibilità di frazioni di memoria “la più profonda sulla terra/ ricordo il sapore del tuo latte”.20 L’agonia spegne i colori del mondo che diviene silenzioso. Il corpo in tutto il poema è passivo ‒ orizzontale, ferito o deposto ‒ e i versi si trasferiscono nell’interiorità, dove la pressione del sangue è assordante “As earthness faded/ he heard the thunder/ of his heart/his ears then closed/to all external/he felt his blood move/in extraordinary flow/(…) he died/his vision inverted/for the first time/he felt the weight/of his soul”.21 Nel momento della tregua dalle sevizie, prima di morire, i sensi acquistano la capacità di visualizzare con nitidezza anche i più piccoli stimoli che arrivano da fuori. In questo stato di ipersensibilità è scritto l’intero poema, che misura i cambi di pressione dell’aria con gli occhi, attraverso il variare colore delle cose. L’atto della visione ‒ vedere, guardare, occhi ‒ ricorre almeno novantuno volte. Non mancano i suoni ‒ canto, silenzio, lamento ‒ che sono richiamati almeno ottantotto volte. La visione messa in atto nelle poesie è theoria, visione progettuale.

Anche l’uso della terza persona, come fa notare Joan Ockman, He di He-jduk è ancora una prima persona che lo chiama in causa in tutti i testi. Per quella sua attitudine a invitare personalmente l’osservatore/il lettore a partecipare in prima persona al rituale che ogni progetto costruisce.

Scene che cambiano, personaggi architettonici che restano e si rivestono per tentare di costruire l’interiorità di una nuova civiltà, quella del dopoguerra, che porta dentro di sé la memoria cupa della seconda guerra mondiale, la follia delle ideologie, l’Olocausto. Da qui i progetti Victims, Berlin Night, Bovisa, Vladivostok e i loro programmi, liturgie insolite. Perché questa idea non può prescindere da una riscrittura radicale di valori, leggi, ruoli e soprattutto immaginari. “I cannot do a building without building a new repertoire of characters, of stories, of language and

19 J. Hejduk, Sounds of Creation in Lines No Fire Could Burn, cit. trad. “chiese sarebbero state erette/per secoli/(…) si sarebbero fatte sculture/collocate sopra e dentro le catte-drali/(…) si sarebbe composta musica”.

20 J. Hejduk, All This Before Me, in Lines No Fire Could Burn, cit.

21 J. Hejduk, Within, in Lines No Fire Could Burn, cit. trad. “Come i sensi terrestri sbiadi-rono/sentì il tuono/ del suo cuore/le orecchie chiudersi/a tutto l’esterno/sentì il sangue circolare/con flusso mai sentito/(…) spirò/la vista si rovesciò/per la prima volta/avvertì il peso/della sua anima”.

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it is all parallel. It’s not just building per se. It’s building worlds. It’s building worlds”.22 Al contrario di Such Places, nessuna delle poesie di Lines compare nelle altre pubblicazioni, a parte l’ultima, Death of the Virgin. La raccolta è pubblicata per la prima e unica volta nel 1999 e non è accompagnata da alcun testo intro-duttivo, solo una pianta e una vista interna della cattedrale di Santiago de Compostela. Esce un anno prima della morte di Hejduk, in contemporanea all’elaborazione delle trentadue tavole di Enclosures, dove la rappresentazione è divisa ossessivamente in due parti: cielo e terra e, tra i due: angeli. E esce due anni dopo i disegni per Cathedral, la basilica dentro la quale precipitano trentatré architetture, per la maggior parte di carattere sacro, provenienti da Soundings e dalle raccolte successive. Non più progetti che si riuniscono a for-mare città, ma architetture di tutta una vita che entrano nella stessa scatola muraria ‒ enclosed ‒ per formare, tutte insieme, un’unica architettura. Cappelle, battisteri, lucernari attraversano pareti e soffitti, entrando o rimanendo aggrap-pati alle superfici come le statue delle cattedrali gotiche “attaching the fate of subject/ to object”.23 Mentre altre venticinque formano la processione di quelle che da lontano si avviano verso la Cattedrale, verso una nuova natività.

22 J. Hejduk, introduzione a Sanctuaries, Whitney Museum Prints, New York, 2002, trad. “Non posso concepire un edificio senza costruirmi un nuovo repertorio di personaggi, storie, linguaggi e una cosa va di pari passo con l’altra. Non si tratta semplicemente di costruire fisicamente. Si tratta di costruire mondi. Si tratta di costruire mondi”.

23 J. Hejduk, Chartres Dusk, in Such Places as Memory, cit. trad. “fissando il destino del soggetto/ all’oggetto”.

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Bibliografia essenziale di John Hejduk

Hejduk J., The silent witnesses and other poems, IAUS, New York 1980. Hejduk J., Lines no Fire Could Burn, Monacelli Press, New York 1999. Hejduk J., Such Places as Memory, Monacelli Press, New York 1999.

Hejduk J., Mask of Medusa: works 1947-1983, Rizzoli International Publications, New York 1985.

Hejduk J., Soundings, Rizzoli International Publications, New York 1993. Hejduk J., Pewter Wings Golden Stone Veils. Wedding in a dark plum room, Monacelli Press, New York 1997.

Hejduk J., Adjusting Foundations, Monacelli Press, New York 1995. Hejduk J., Berlin Night, NAI Publishers, Rotterdam 1993.

Hejduk J., Riga, Vladivostok, Lake Baikal, Rizzoli International Publications, New York 1989.

Hejduk J., Collapse of Time, AA Prints, Londra 1986.

Hejduk J., Sanctuaries, Whitney Museum Prints, New York 2002.

Bibliografia essenziale su John Hejduk

Ockman J., John Hejduk, Architecture as Passion Play, «Casabella», n. 649, 1997. Rizzi R., John Hejduk. Incarnatio, Marsilio Editori, Venezia 2010.

Rossetto A., John Hejduk. Cathedral, tesi di dottorato discussa presso l’Univer-sità Iuav, Venezia 2013.

Shapiro D., The architect who drew angels, intervista a J. Hejduk, «Architecture and Urbanism», n. 244, 1991.

Slutzky R., Introduzione alla Cooper Union, una pedagogia della forma, in «Lotus International», n. 27, 1980.

Somol R. E., Informing Objecthood, in «A+U», n. 327, 1997.

Tafuri M., La sfera e il labirinto. Avanguardie e architetture da Piranesi agli anni ’70, Edizioni Einaudi, Torino 1980.

Teyssot G., Conversazioni con John Hejduk, in «Lotus International», n. 44, 1984. Vidler A., John Hejduk: architettura vagabonda. Fanstasticherie di un architetto alla giornata, in «Lotus International» n. 68, 1991.

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Giulia Ciliberto

Nata a Napoli nel 1984, è una progettista e ricercatrice operante principal-mente nell’ambito del design per la comunicazione, il web e l’editoria. Nel 2012 ha conseguito il diploma di laurea magistrale in Comunicazioni Visive e Multimediali presso l’Università Iuav di Venezia, ateneo dove sta attualmente svolgendo il dottorato in Architettura, Città e Design, curriculum Scienze del Design. La ricerca di tesi, inerente all’ambito dei fondamenti del design della comunicazione, è supportata dal regolare svolgimento di attività di tutoraggio e assistenza alla didattica nel medesimo campo disciplinare. Dal 2012 fa parte dell’Associazione Italiana degli Storici del Design nel ruolo di redattrice della rivista AIS/Design – Storia e Ricerche, e dal 2014 collabora con il Prato Publishing House (PD) in qualità di direttrice della rivista online Progetto Re-Cycle.

Margherita Ferrari

Architetto, laureata presso l’Università Iuav di Venezia con la tesi Progettare con Joule. Considerazioni in merito ai rapporti tempi-costi delle architetture tempo-ranee. Nel 2014 ha vinto il concorso per l’assegno di ricerca FSE in partenariato con l’Università Iuav, dipartimento di Culture del Progetto, Cold formed steel. Un’opportunità di svolta per il settore edilizio (docente responsabile MariAntonia Barucco). Ha contributo alla pubblicazione Progettare e costruire in acciaio sagomato a freddo (MA. Barucco, a cura di, Edicom 2015), con il capitolo “Progettare in acciaio sagomato a freddo”. Dal 2016 è dottoranda presso l’Uni-versità Iuav di Venezia in Nuove tecnologie per il territorio, la città e l’ambiente, tema Tecnologia dell’architettura.

Antonella Indrigo

Architetto, dal 2005 è Dottore di Ricerca in Composizione Architettonica titolo conseguito presso l’università IUAV di Venezia. È docente a contratto di Composizione architettonica e urbana presso IUAV, l’Università degli studi di Trento e dal 2009 presso l’Università degli studi di Udine Dipartimento Politecnico di Ingegneria e Architettura. È autrice del libro Lo spazio della memo-ria. I monumenti alla Resistenza nella diversità dei linguaggi (Mimesis 2013). Ha scritto diversi saggi in volumi tra cui “Villaggio ENI, Corte di Cadore. Edoardo Gellner” (in Architettura del Novecento. Opere, progetti luoghi), “Marcello D’Olivo. Alla ricerca di un nuovo paesaggio” (in Africa, big change, big chance). Svolge attività professionale dal 2002, ha vinto concorsi nazionali e internazionali di progettazione e diverse realizzazioni sono state pubblicate tra cui la Casa

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d’an-golo, edificio selezionato per il Premio Luigi Piccinato Premio per l’urbanistica e la pianificazione territoriale.

Angela Mengoni

Ricercatore presso l’Università IUAV di Venezia. Dopo il dottorato in semiotica presso l’Università di Siena è stata post-doctoral fellow al Centre for Philosophy of Culture dell’Università di Lovanio KUL e, dal 2009 al 2012, ricercatore presso eikones centro del Fondo nazionale svizzero per la ricerca dedicato alla teoria e critica dell’immagine Bildkritik. Macht und Bedeutung der Bilder, all’Università di Basilea. Dal 2010 è membro del gruppo di ricerca ACTH ‒ Art contemporain et temps de l’histoire (EHESS, Paris ‒ École Nationale des Beaux-Arts, Lyon) che esplora i rapporti tra arte contemporanea e regimi di storicità. I suoi interessi di ricerca riguardano la semiotica e la teoria dell’arte e dell’immagine, il rap-porto tra immagine e memoria, le rappresentazioni del corpo nell’arte della tarda modernità e la sua relazione con una biopolitica dei corpi (Ferite. Il corpo e la carne nell’arte della tarda modernità, Siena 2012), le teorie del montaggio (Interpositions. Montage d’images et production de sens, con A. Beyer e A. von Schöning, Paris 2014).

Claudia Pirina

Architetto, dottore di ricerca in Composizione architettonica all’Università Iuav di Venezia dove svolge attività di ricerca e didattica, e si occupa dell’organiz-zazione di convegni e mostre. È stata docente presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Parma. Partecipa a convegni e seminari nazionali e interna-zionali, e a concorsi di progettazione, vincendo premi e menzioni. Pubblica sue ricerche in diversi saggi in Italia e all’estero che indagano i maestri dell’architet-tura spagnola, il rapporto tra architetdell’architet-tura e arti, e la costruzione del paesaggio contemporaneo in relazione alle stratificazioni avvenute a seguito della Grande Guerra. Dal 2010 è membro dell’unità di ricerca Iuav “Architettura, archeologia, paesaggi: teatri di guerra”. Dal 2013 collabora con il Comitato d’Ateneo per il Centenario della Grande Guerra dell’Università di Padova ed è membro del comitato scientifico del Veneto Memorial della Grande Guerra di Montebelluna. Alla ricerca universitaria affianca il lavoro professionale, dedicandosi alla realiz-zazione di progetti in Italia e all’estero.

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Susanna Pisciella

Svolge attività di ricerca presso lo IUAV di Venezia. Ha collaborato con l’HCU di Amburgo e insegnato Progettazione Architettonica all’UNIPR di Parma. Tra le sue pubblicazioni recenti Il Daìmon di architettura in tre volumi (Mimesis 2014) e Il Cosmo della Bildung (Mimesis 2016) scritti con Renato Rizzi, col quale colla-bora da molti anni.

Gundula Rakowitz

Architetto, dottore di ricerca, ricercatrice in Composizione architettonica e urbana presso l’Università Iuav di Venezia, membro del Consiglio del curricu-lum in Composizione architettonica della Scuola di dottorato Iuav, insegna Progettazione architettonica presso il Dipartimento di Culture del Progetto. La sua ricerca è attualmente rivolta al tema del theatrum mundi in Istanbul, Venezia e Vienna, al tema della Wunderkammer e dello Zwischenraum. Recenti pubbli-cazioni: Gianugo Polesello. Dai Quaderni (Poligrafo 2015), Tradizione Traduzione Tradimento in Johann Bernhard Fischer von Erlach (Firenze University Press 2016), Entwurff Einer historischen Architektur ‒ Progetto di un Architettura storica. Johann Bernhard Fischer von Erlach (Firenze University Press 2016).

Paola Virgioli

Laureata allo IUAV con lode, studente Erasmus presso l’ETSA di Barcellona, borsista Leonardo, ha lavorato come architetto sia all’estero che in Italia. Ha partecipato al programma internazionale Proyectar el Paisaje, trasformazione ambientale delle cave del Barranco de Badajoz a Tenerife; è stata invitata, assieme ad un gruppo di architetti, a redigere il progetto per il Centro di coordi-namento e documentazione degli archivi dell’architettura del XX secolo in Sicilia; ha collaborato, presso lo Iuav Studi & Progetti, ad una ricerca finalizzata a veri-ficare la fattibilità delle Difese locali per Venezia. Partecipa positivamente a vari concorsi: per la riqualificazione dell’area SOA di Aldeno la progettazione di resi-denze a Montebelluna; l’insediamento residenziale a Castelfranco e Casanova a Bolzano la riqualificazione di spazi degradati a Barcellona, Racons Publics. Pubblicazioni: Venezia sistema Mose (curatela per IUAV/Marsilio 2009), Thirty-five Italian schools to save: the “Valdadige” schools designed by the Studio Architetti Valle (in catalogo Do.Co.Mo.Mo International/Casa da Arquitectura 2016).

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Finito di stampare nel mese di settembre 2016 da Digital Team - Fano (PU)

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