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Il volgarizzamento italiano delle «Epistole di Seneca a Paolo e di Paolo a Seneca» secondo il codice Fr. 12235 della Bibliothèque Nationale de France

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Luca Bellone, Il volgarizzamento italiano delle «Epistole di Seneca a Paolo e di Paolo

a Seneca» secondo il codice Fr. 12235 della Bibliothèque Nationale de France, in L.

Bellone, M. Milani, G. Cura Curà, Filologia e Linguistica. Studi in onore di Anna

Cornagliotti, Alessandria, Dell’Orso, 2012, pp. 19-62.

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Il volgarizzamento italiano delle «Epistole di Seneca a Paolo e di Paolo a Seneca»

secondo il codice Fr. 12235 della Bibliothèque Nationale de France

0. PREMESSA

Il carteggio tra Seneca e San Paolo, sulla cui natura pseudoepigrafica è oggi concorde la maggior parte della comunità scientifica,1 è senza dubbio uno dei «documenti più enigmatici della

letteratura cristiana antica»:2 una collezione di quattordici brevi componimenti in latino che ha

raccolto l’attenzione dei Padri della Chiesa prima, del mondo umanistico poi, e che ha continuato a stimolare, in maniera ininterrotta, la curiosità e la riflessione degli studiosi fino alle epoche più moderne.

Nel corso di questo contributo si tenterà di ampliare il raggio della ricerca a un àmbito, quello dei volgarizzamenti italiani dell’epistolario, ancora sostanzialmente inesplorato; nella prospettiva di uno studio preparatorio all’edizione critica della tradizione manoscritta volgare dell’opera, verrà presentato il testo, con note e commento, tràdito da uno degli esemplari di riferimento più rappresentativi, il codice Fr. 12235 della Bibliothèque Nationale de France di Parigi, accompagnato da una breve rassegna preliminare riguardante alcuni aspetti peculiari della corrispondenza e della sua trasmissione.

1. INTRODUZIONE

1.1. Tradizione latina ed edizioni

La corrispondenza tra Seneca e San Paolo, a proposito della quale sono state di volta in volta riconosciute finalità e motivazioni diverse – dal tentativo di una conciliazione tra l’ideologia storica e quella cristiana alla necessità di un’educazione retorico-stilistica dell’apostolo (e, per estensione, della comunità cui egli apparteneva)3 –, è trasmessa, stanti gli esiti delle ricerche fin qui eseguite, da

oltre 400 manoscritti in latino4 conservati in diverse sedi europee, con una particolare

concentrazione in area francese; si tratta, come rilevato da più parti, di codici riconducibili, nel

1 Per un dettagliato resoconto a riguardo cfr. almeno L. BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio apocrifo di Seneca e San

Paolo, Firenze, Olschki, 1978, pp. 7 sgg. e M. NATALI, Anonimo. Epistolario tra Seneca e san Paolo, Milano, Rusconi,

1995; tra i contributi più recenti cfr. invece M.G. MARA, L’epistolario apocrifo di Seneca e San Paolo, in AA.VV., Seneca e i Cristiani, Atti del Convegno Internazionale. Università Cattolica del S. Cuore. Biblioteca Ambrosiana. Milano, 12-13-14 ottobre 1999, Milano, Vita e Pensiero, 2001, pp. 41-54, G. MAZZOLI, Paolo e Seneca: virtualità e aporie d’un incontro, in «Sandalion. Quaderni di cultura classica, cristiana e medievale», XXXI, 2008, pp. 50-64 e I. RAMELLI, L’epistolario Seneca-Paolo, in «Chaos e Kosmos», X, 2009, pp. 45-55. Ulteriori indicazioni saranno inoltre

fornite nel corso delle pagine che seguono.

2 E. FRANCESCHINI, Un ignoto codice delle epistole «Senecae et Pauli», in AA.VV., Mélanges Joseph de Ghellinck,

Gembloux, Duculot, 1951, 2 voll., I, pp. 149-70 (la citazione è a p. 150).

3 Si rinvia, per approfondimenti, almeno a BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., pp. 49 sgg. 4 I risultati degli ultimi censimenti sono segnalati in MARA, op. cit., p. 42.

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maggior numero dei casi, ai secoli XIV e XV.5 Sebbene abbia avuto a lungo una trasmissione

indipendente, date anche la sua natura e le sue dimensioni, a partire dal Trecento lo scritto venne per lo più collocato in appendice a molti degli esemplari che raccolgono l’insieme delle opere, epistolari e non, di Seneca.6

Tra i testimoni a stampa si segnalano almeno quello napoletano del 1475, inserito in un volume che comprende l’intero corpus senecano, quello romano, dello stesso anno, in cui il carteggio accompagna la più nota corrispondenza tra il filosofo e Lucilio, le due veneziane del 1490 e 1492 e le due tedesche, entrambe pubblicate a Colonia nel 1499.7 A pochi anni di distanza si colloca

l’edizione di Erasmo (Basilea, 1515, poi ristampata con alcune correzioni nel 1529 nella medesima sede);8 al suo interno viene rimarcata più volte la natura apocrifa dello scritto:

«His epistolis non video quid fingi possit frigidius aut ineptius et tamen quisquis fuit auctor, hoc egit, ut nobis persuaderet Senecam fuisse Christianum […]. Quam nihil est in Paulinis epistolis illo Pauli spiritu dignum, quam vix usquam audias nomen Christi, cum mille non soleat aliud crepare quam Iesum Christum […] Illud omnium impudentissimum quod cum faciat Senecam in Apostolo desiderantem copiam et cultum sermonis, tamen in his epistolis nihilo cultius scribit Seneca quam Paulus. Sed par est utriusque balbuties et sensum frigus atque ineptia».9

Ad uno stesso anno, il 1853, risalgono invece le prime due edizioni critiche del testo, ad opera rispettivamente di A. Fleury10 e di F. Haase.11 Il primo, sostenitore della tesi apocrifa tramandata da

Erasmo, utilizza un codice tolosano del secolo XV e tre esemplari parigini coevi;12 Haase si

concentra invece su due documenti più antichi, il primo, conservato a Strasbourg, del secolo IX,13 il

secondo, milanese, della fine del secolo XI.14

Di Claude W. Barlow è senza dubbio lo studio critico più completo: edito nel 1938, è basato sulla collazione di venticinque testimoni, per lo più inediti, redatti tra il secolo IX e il secolo XII.15

5 Cfr. soprattutto C.W. BARLOW, Epistolae Senecae ad Paulum et Pauli ad Senecam, New York, American Academy in

Rome, 1938, pp. 8 sgg., FRANCESCHINI, Un ignoto codice cit., pp. 149 sgg., BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., pp. 61 sgg., NATALI, op. cit., pp. 83 sgg.

6 Cfr. BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., pp. 35 sgg. 7 Cfr. BARLOW, op. cit., pp. 104 sgg.

8 Cfr. ERASMUS ROTERODAMUS, Senecae Opera, Basel 1529.

9 Il passo è tratto da BARLOW, op. cit., p. 105; cfr. anche W. TRILLITZSCH, Der Apokryphe Briefwechsel zwischen

Seneca und Paulus, in ID., Seneca im literarischen Urteil der Antike, Darstellung und Sammlung der Zeugnisse, Amsterdam, Hakkert, 1971, 2 voll., II, pp. 439-41.

10 Cfr. A. FLEURY, Saint Paul et Sénèque. Recherches sur les rapports du philosophe avec l’apôtre, et sur l’infiltration

du christianisme naissant à travers le paganisme, Paris, Ladrange, 1853.

11 Cfr. F. HAASE, L. Annaei Senecae Opera quae supersunt, Leipzig 1853, 3 voll., III, pp. 476-81. 12 Sono i mss. Lat. 2359, 6344, 6389, per cui cfr. anche BARLOW, op. cit., p. 121.

13 È il ms. C. VI. 5, per cui cfr. ibid.

14 È il ms. C. 90. Inf.; si veda ibid. Lo stesso Haase, nel 1872, consegna alle stampe una seconda edizione del carteggio

riveduta sulla base delle osservazioni degli studi di Wachsmuth (C. WACHSMUTH, Zu Seneca’s Briefwechsel mit dem Apostel Paulus, in «Rheinisches Museum», XVI, 1861, pp. 301-303) e Kraus (F.X. KRAUS, Der Briefwechsel Pauli mit Seneca, in «Theologische Quartalschrift», XLIX, 1867, pp. 603-24) inerenti, tra gli altri, il testimone strasburghese e quello milnese.

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Lo stemma codicum conseguente individua due rami fondamentali: il primo è rappresentato dal solo testimone P,16 copia diretta di Ω; il secondo, che discende da Ω attraverso un subarchetipo Σ –

secondo Barlow anteriore al sec. VIII –, è il modello dei due apografi α e β dai quali dipendono, attraverso ulteriori raggruppamenti e numerose contaminazioni orizzontali, i manoscritti presi in esame a eccezione di P.17

Sulla base di questa edizione si fondano tutti i successivi contributi sull’epistolario; tra essi andrà qui menzionato almeno il fondamentale saggio di Ezio Franceschini,18 nel quale lo stemma

precedentemente proposto viene arricchito grazie a un esemplare del secolo VIII, λ,19 assai prezioso

in quanto ad antichità e ad autorevolezza, rappresentante della famiglia di Σ secondo però una trafila indipendente rispetto ad α e β.

Non si possono tralasciare infine le due recenti monografie dedicate all’opera da Laura Bocciolini Palagi:20 in esse la studiosa ripropone, accompagnandolo con ampi commenti di ambito

filologico, linguistico e storico, il testo latino con apparato critico secondo l’edizione di Barlow riveduta grazie ai nuovi dati e agli emendamenti di Franceschini.21

1.2. Prime testimonianze e datazione del carteggio

La prima testimonianza certa dell’esistenza dell’epistolario è contenuta all’interno del capitolo XII del De viris illustribus di Girolamo, del 392; in esso, infatti, si legge:

«Lucius Annaeus Seneca Cordubensis Sotionis Stoici discipulus et patruus Lucani poetae continentissimae vitae fuit. Quem non ponerem in catalogo sanctorum, nisi me illae epistolae

provocarent quae leguntur a plurimis, Pauli ad Senecam aut Senecae ad Paulum, in quibus, cum

esset Neronis magister et illius temporis potentissimus, optare se dicit eius esse loci apud suos cuius sit Paulus apud Christianos. Hic ante biennium quam Petrus et Paulus coronarentur martyrio a Nerone interfectus est».22

Se, da una parte, come è già stato rilevato con ampiezza, tale passaggio «ha giocato un ruolo determinante nella conservazione del carteggio e nel suo successo attraverso i secoli»23 – al punto

che in un numero considerevole di testimoni della tradizione manoscritta latina (e romanza) viene

16 Si tratta del manoscritto Lat. 2772, per cui cfr. ibid, p. 121.

17 Per la rappresentazione dello stemma si rinvia a BARLOW, op. cit., pp. 166-67. 18 Cfr. FRANCESCHINI, Un ignoto codice cit.

19 È il manoscritto C. 72 Inf. della Biblioteca Ambrosiana di Milano.

20 Cfr. BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit. e ID., Epistolario apocrifo di Seneca e San Paolo, Firenze, Nardini Editore,

1985.

21 Si vedano ancora NATALI, op. cit., edizione recente, con note e ampia introduzione, che ripropone il testo edito da

Barlow, e gli studi inseriti nelle antologie apocrife di Erbetta (M. ERBETTA, Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Torino,

Marietti, 1969, 3 voll., III, pp. 85-92) e Moraldi (L. MORALDI, Apocrifi del Nuovo Testamento, Torino 1971, 3 voll., II,

pp. 1730-32, 1735-36, 1749-55).

22 Il passo del testo è tratto da J.P. MIGNE, Patrologiae cursus completus. Series latina, Paris, 1844-1865, 221 voll.,

XXIII, p. 662.

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premesso alle lettere in funzione di prologo –, dall’altra parrebbe dimostrare con evidenza come la corrispondenza fosse, a quella data, ben nota a un pubblico significativamente vasto («illae epistolae […] quae leguntur a plurimis»).

Non è possibile stabilire con certezza, sulla base del brano citato, se Girolamo avesse avuto in visione l’epistolario: l’esistenza di proposte assai divergenti tra gli studiosi della materia ne è una conferma.24 A favore dell’inammissibilità della tesi sono soprattutto Barlow,25 Trillitzsch26 e

Sevenster:27 essi, muovendo dal carattere spurio della corrispondenza, considerano assai poco

probabile che il Padre della Chiesa si sia lasciato “ingannare” da un’opera palesemente apocrifa. Opposto è invece il parere di Laura Bocciolini Palagi, secondo cui «il riecheggiamento preciso dell’epistola XII (XI)28 non lascia dubbi sul fatto che Girolamo aveva una conoscenza diretta di

quello stesso testo che è giunto anche a noi».29 Più cauto il giudizio di Arnaldo Momigliano: «S.

Girolamo, che scriveva allora a Betlemme, non asserisce di aver visto personalmente le lettere […]. Egli può aver avuto davanti a sé un manoscritto corrotto o può aver ricevuto da un corrispondente un’erronea impressione del contenuto della lettera 12. Allo stato attuale delle nostre conoscenze la conclusione più probabile è che la lettera 12 della presente corrispondenza tra S. Paolo e Seneca già esistesse al tempo di S. Girolamo e fosse a lui nota direttamente o indirettamente».30 Si segnalano a

latere le posizioni, oggi difficilmente sostenibili, di Fleury e Kreyher, secondo le quali sarebbe da postulare l’esistenza di due epistolari: uno, più antico, conosciuto da Girolamo; un secondo, posteriore, trasmesso dai codici conservati fino ai nostri giorni, che andrebbe inteso come il risultato di un tentativo di ricostruzione dell’originale perduto proprio sulla base della citazione contenuta nel del De viris illustribus. Non si dimenticherà infine di ricordare l’ipotesi di Carlo Pascal, che congettura una prima redazione greca della raccolta, la quale doveva contenere «esposizioni di dottrine morali che giustificassero l’assegnazione di Seneca tra i Santi del Cristianesimo»,31 e di cui

la seconda, in nostro possesso, non sarebbe che una parziale e deteriore traduzione compiuta in età medievale.32

24 Sulla fortuna di Seneca presso gli autori cristiani e in particolare in Girolamo, cfr. soprattutto L. TAKÁCS, Seneca e

Girolamo, in AA.VV., Seneca e i Cristiani cit., pp. 323-34.

25 Cfr. BARLOW, op. cit., p. 81.

26 Cfr. TRILLITZSCH, op. cit., II, pp. 159-60.

27 Cfr. J.N. SEVENSTER, Paul and Seneca, Leiden, Brill, 1961, p. 14.

28 Il riferimento alla lettera è rappresentato dal passo geronimiano «optare se dicit eius esse loci apud suos cuius sit

Paulus apud Christianos», che è indubbiamente interpretazione della corrispondente frase attribuita a Seneca nell’epistolario: «Nam qui meus apud te locus, qui tuus velim ut meus»; cfr., per approfondimenti, infra il paragrafo 4. «Note al testo», XI, 5.

29 BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., pp 14-15.

30 A. MOMIGLIANO, Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV, trad. it. a c. di A.D. Morpurgo, Torino,

Einaudi, 1968, p. 14.

31 Cfr. C. PASCAL, La falsa corrispondenza tra Seneca e Paolo, in AA.VV. Letteratura latina medievale, Catania 1909,

p. 130.

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Altrettanto arduo è stabilire con certezza se Girolamo ritenesse o meno autentico il carteggio: anche in questo caso, l’assenza di indizi che conducano chiaramente in un senso o nell’altro è stata determinante nella formazione di posizioni diverse e contrapposte tra gli esperti.33 Tra queste, anche

alla luce della documentazione in nostro possesso, la più condivisibile, proprio per la cautela che la distingue, pare essere quella espressa da Bocciolini Palagi: «Il fatto che non dichiari le lettere palesemente apocrife non significa che le ritenga autentiche: Girolamo cita questo carteggio che aveva allora una notevole diffusione senza pronunciarsi apertamente né contro né a favore della sua autenticità. Preferisce evidentemente che il lettore interpreti la notizia come meglio crede».34 Una

prudenza intenzionale, secondo la studiosa, che avrebbe avuto il non secondario fine di giovare al proposito ultimo del De viris ilustribus: «Girolamo non aveva alcun interesse né a passare sotto silenzio, né a bollare come apocrifa questa corrispondenza, dal momento che la notizia di un tale scambio di lettere tra Seneca, autorevole rappresentante della tradizione classica, e san Paolo, l’apostolo di Cristo, non poteva che tornare a vantaggio della causa del cristianesimo. Contro l’accusa così spesso rivolta ai cristiani di avere alle origini reclutato solo spiriti inferiori e gente senza cultura, quale argomento migliore ci poteva essere in favore della religione nascente, se non la simpatia e il sentimento di stima che Seneca avrebbe manifestato a Paolo? La notizia di un tale epistolario rispondeva polemicamente allo scopo che Girolamo perseguiva […]: quello cioè di innalzare il prestigio della letteratura cristiana, dimostrando che essa era degna di opporsi a quella profana».35

Al fine della datazione, il dato più significativo rimane tuttavia la menzione stessa del carteggio nell’opera geronimiana, che costituisce in definitiva il termine ante quem; il post quem è invece generalmente riconosciuto nelle Institutiones divinae di Lattanzio, composte tra il 303 e il 304 e successivamente riprese dallo stesso autore, fino alla loro elaborazione definitiva del 324. In esse, a proposito di Seneca, spesso ricordato e considerato «omnium Stoicorum acutissumus», acquisisce particolare rilievo il passo che segue:

«Quid verius dici potest ab eo, qui Deum nosset, quam dictum est ab homine verae religionis ignaro? […] Potuit esse verus Dei cultor si quis illi monstrasset, et contempsisset profecto Zenonem et magistrum suum Sotionem, si verae sapientiae ducem nanctus esset».36

33 Cfr. NATALI, op. cit., p. 9.

34 BOCCIOLINI PALAGI, Epistolario apocrifo cit., p. 21. 35 Ibid., pp. 21-22.

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Come ricordato da Natali, «se Lattanzio si dispiace che Seneca non abbia avuto una guida e non abbia conosciuto la vera religione, evidentemente all’epoca in cui egli scrive non si ha ancora notizia di uno scambio epistolare tra Seneca e San Paolo».37

Non molti anni dopo il De viris illustribus, la corrispondenza ritorna in una lettera di Agostino a Macedonio databile attorno al 413:

«Merito ait Seneca, qui temporibus Apostolorum fuit, cuius etiam quaedam ad Paulum leguntur epistolae: Omnes odit qui malos odit».38

Come già Girolamo, così il teologo d’Ippona, pur dimostrando di conoscere le lettere, rinuncia a una presa di posizione a favore o contro la loro autenticità: di esse ricorda una generica lettura («leguntur»), informazione che ne rivela, con buona probabilità – in quanto si tratta di un calco del passo geronimiano – una mancata conoscenza diretta.

A entrambe le testimonianze, tuttavia, va riconosciuto un ruolo determinante per la sopravvivenza e per la fortuna dell’opera nei secoli; ancora Bocciolini Palagi: «di fronte all’autorità di Girolamo e di Agostino […] i posteri non hanno osato per molto tempo contestare l’autenticità delle lettere che i due Padri della Chiesa non avevano espressamente dichiarate apocrife».39

1.3. L’epistolario e la leggenda del cristianesimo di Seneca

Chiunque abbia preso in esame il carteggio tra Seneca e San Paolo non ha potuto prescindere dalla nota leggenda del cristianesimo di Seneca;40 come rilevato da più parti, infatti, la sorte

dell’epistolario appare nei secoli saldamente vincolata all’evoluzione della presunta conversione del filosofo latino.

Se è senza dubbio inoppugnabile che vada attribuita a Girolamo «la genesi della linea interpretativa dei rapporti tra Seneca e Paolo e della posizione di Seneca rispetto al Cristianesimo»,41 è stato altresì ormai sufficientemente provato come in seguito, e fino a tutto il

Medioevo, il filosofo fosse considerato sì un amico del santo, «ma un amico che era pagano e che tale era rimasto anche durante la frequentazione con l’Apostolo».42

È sul finire dell’epoca medievale che va riconosciuta l’evoluzione di tale rapporto amichevole nella direzione di un “Seneca cristiano”: come ha notato Momigliano, infatti, il primo chiaro

37 NATALI, op. cit., p. 12.

38 Si tratta dell’Epistola 153, 14, tratta da MIGNE, op. cit., XXXIII, p. 659. 39 BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., p. 16.

40 Cfr., per un’ampia rassegna degli studi sull’argomento, almeno AA.VV., Scienza, cultura, morale in Seneca: atti del

Convegno di Monte Sant'Angelo, 27-30 settembre 1999, a c. di P. Fedeli, Bari, Edipuglia, 2001.

41 NATALI, op. cit., p. 63. 42 Ibid.

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accenno al cristianesimo di Seneca è attribuibile a Giovanni Colonna, in un passo del De viris

illustribus (1332):

«Hunc [Seneca] saepe credidi christianum fuisse, maxime cum magnus doctor Ieronimus ipsus in sanctorum catalogo ascribat […]. Sed potissime inductor ad credendum hunc fuisse christianum ex hiis epistolis notis toti orbi terrarum, quae inscribuntur Pauli ad Senecam et Senecae ad paulum».43

Assai significativo appare in questo passaggio il riferimento diretto all’epistolario, la cui esistenza e fama rappresentano per il domenicano la prova certa della conversione del latino.

Un autorevole continuatore di una simile posizione fu Giovanni Boccaccio; nel suo Commento alla Divina Commedia, egli ricorda infatti un episodio già tramandato dagli Annales tacitiani in relazione alla morte del filosofo e alla libagione per Giove Liberatore, interpretata come un’offerta a Cristo:

«Parendomi queste parole potersi con questo sentimento intendere: che esso, il quale, che si sappia, quantunque il battesimo della fede avesse, il quale i nostri santi chiamano «flaminis», non essendo rigenerato secondo il comune uso de’ cristiani nel battesimo dell’acqua e dello Spirito Santo, quell’acqua in fonte battesimale consecrasse a Giove Liberatore, cioè a Iesù Cristo […]. Né osta il nome di Giove, il quale altra volta è stato mostrato ottimamente convenirsi a Dio, anzi a lui, e non ad alcun’altra creatura; e così, consecratala, in questa essersi bagnato e divenuto cristiano col sacramento visibile, come con la mente era».44

L’autore toscano giustifica l’interpretazione cristiana del passo di Tacito proprio richiamandosi al carteggio:

«Esser parole scritte da san Paolo, le quali, bene intese, assai chiaro mi pare dimostrino san Paolo lui avere per cristiano».45

A partire dalla metà del Quattrocento, tuttavia, seppur a fronte del credito del quale l’opinione sul cristianesimo di Seneca continua a godere, si segnalano i primi, sporadici attacchi contro l’autenticità del carteggio: tra questi vanno certamente ricordati quelli condotti da Lionello d’Este e Lorenzo Valla.46 Tale tendenza si amplifica progressivamente nel corso dei secoli: il

Protestantesimo, la già ricordata posizione di Erasmo e la critica razionalistica del ’600 e del ’700 contribuiscono a screditare in maniera irreversibile la veridicità della corrispondenza; parallelamente a ciò, inoltre, prende piede anche l’infondatezza della leggenda cristianesimo del filosofo latino.47 L’immagine suggestiva di un Seneca cristiano rinasce almeno parzialmente in

43 Si cita da MOMIGLIANO, op. cit., p. 24.

44 G. BOCCACCIO, Esposizioni sopra la Commedia di Dante, a c. di G. Padoan, Verona, 1965, p. 258. 45 Ibid., p. 257.

46 Cfr. BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., p. 24 e gli studi ivi citati. 47 Cfr. ibid.

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epoca romantica, in quanto, come rilevato da Momigliano, «l’ipotesi della sua conversione attraeva in un’età di conversioni».48 In altre parole, la leggenda, in origine indissolubilmente legata

all’epistolario, dal Rinascimento comincia a vivere e a svilupparsi sulla base di una trafila autonoma e indipendente, secondo una tendenza che culminerà nell’Ottocento, secolo nel quale la cognizione del carattere apocrifo del carteggio non impedirà alla credenza del cristianesimo di Seneca di trovare tenaci e agguerriti sostenitori.49

Andrà quindi in definitiva ribadito come, allo stato attuale degli studi sull’argomento, l’epistolario non possa essere considerato la conferma scritta di una tradizione orale anteriore in cui già fosse riconoscibile la leggenda della conversione di Seneca e la notizia del rapporto amichevole tra questi e San Paolo, bensì, al contrario, l’origine della leggenda stessa: «a questa conclusione dobbiamo attenerci almeno finché non sarà possibile dimostrare […] che questa innovazione era già stata introdotta precedentemente, cioè finché non sarà possibile trovare delle testimonianze che infirmino o comunque ridimensionino l’esplicita e per ora determinante affermazione di Lattanzio che esclude l’esistenza di una diffusa leggenda dell’amicizia di Paolo e Seneca […] indipendente dal carteggio stesso».50

1.4. Unità del carteggio

Le difficoltà testuali ed esegetiche che caratterizzano alcuni passi dell’opera, sulle quali si tornerà in sede di commento al testo qui pubblicato, hanno indotto parte della comunità scientifica a formulare ipotesi diverse anche in relazione all’unità dell’epistolario e, conseguentemente, al suo autore.

Tra i sostenitori della tesi “unitaria”, che individua cioè nel carteggio un unico nucleo e una sola mano, si distingue soprattutto Momigliano.51 La tesi separatista, la quale presuppone che alla

base della corrispondenza sia riconoscibile l’unione di testi redatti in epoche differenti e da autori diversi, è stata proposta inizialmente da Westerburg e successivamente ripresa da Kurfess e Moraldi. Secondo il primo si potrebbe distinguere, nel carteggio, una sezione più antica, composta dalle lettere X, XI, XII e risalente al secolo IV (tale sezione rappresenterebbe il blocco citato da Girolamo), da una più recente, alla quale appartengono le restanti missive, che vide la luce attorno al secolo IX, durante il regno di Carlo Magno. Ne sarebbero conferma: la presenza, nel nucleo arcaico, della datazione52; alcune peculiarità linguistiche proprie delle sole carte in questione; il

48 MOMIGLIANO, op. cit., p. 343.

49 Cfr. BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., p. 28. 50 Ibid., p. 10.

51 Cfr. MOMIGLIANO, op. cit., p. 19: «Non mi è noto alcun argomento che davvero provi che le lettere (a parte le date)

siano state scritte da più autori […]; è difficile allo stato attuale delle nostre conoscenze immaginare un falsario posteriore al IV secolo capace di utilizzare con sottigliezza i consoli suffetti per datare le lettere».

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giudizio negativo, diverso rispetto al resto del corpus, sulla figura e sull’operato di Nerone. 53 A

detta di Kurfess e Moraldi, invece, le lettere aggiunte posteriormente al gruppo noto a Girolamo dovrebbero essere la XIII e la XIV: se queste fossero state lette dal padre della Chiesa, infatti, avrebbero senza dubbio svolto un ruolo di primo piano nell’ottica della collocazione di Seneca nel

Catalogo sanctorum.54 Il solo Kurfess, inoltre, cerca di provare la diversa origine dei due blocchi, e

la presenza conseguente di due autori, sulla base della differente considerazione in essi espressa verso gli Ebrei.55.

Su posizioni più caute, che si approssimano a quelle che sostengono l’unitarietà del carteggio senza tuttavia dimenticare le ragioni della tesi “separatista” – cui viene riconosciuto il merito di avere richiamato l’attenzione su alcuni aspetti contraddittori e problematici dell’epistolario –, si collocano Barlow e Bocciolini Palagi. Lo studioso, sulla base di un attento esame linguistico, situa l’epistolario nel secolo IV, ma lo ritiene di matrice collettanea; le incongruenze stilistiche, linguistiche e contenutistiche che lo contraddistinguono porterebbero a considerare il testo il frutto di un’esercitazione letteraria di un gruppo di due o tre scolari appartenenti a una scuola di retorica del secolo IV.56 Per Bocciolini Palagi, diversamente, il corpus epistolare sarebbe stato redatto nel

secolo IV da un unico autore, a eccezione della lettera XI, caratterizzata da una serie di tratti divergenti rispetto alle altre, i più evidenti dei quali, oltre a peculiarità di lingua e stile, sono i già citati giudizi espressi nei confronti dell’imperatore romano e degli Ebrei. La conclusione cui la studiosa giunge prevede che la lettera in questione sia stata aggiunta successivamente, da una mano diversa, «probabilmente con l’intento di ridimensionare la figura di Nerone, che poteva apparire fin troppo benevola, per adeguarla alla tradizione più diffusa in ambito cristiano, secondo la quale Nerone è il prototipo del tiranno, del persecutore, dell’Anticristo».57

2. LATRADIZIONEMANOSCRITTAITALIANA 2.1. I testimoni

La corrispondenza tra Seneca e San Paolo è tramandata da un buon numero di testimoni manoscritti di area italiana, a conferma della fortuna di cui godette in epoca medievale anche in ambito romanzo.

53 Cfr. E. WESTERBURG, Der Ursprung der Sage, dass Seneca Christ gewesen sei, Berlin, Grosser, 1881, pp. 20 sgg. 54 Cfr. MORALDI, op. cit., p. 1731.

55 Cfr. A. KURFESS, Der apocryphe Briefwechsel zwischen Seneca und Paulus, in E. HENNECKE, Neutestamentliche

Apokryphen, Tübingen, Mohr, 1964, 2 voll., II, pp. 84-89.

56 Cfr. BARLOW, op. cit., pp. 81 sgg.

57 BOCCIOLINI PALAGI, Epistolario apocrifo cit., p. 42. Anche la collocazione della lettera nei manoscritti potrebbe, del

resto, suscitare il sospetto dell’interpolazione: «Nei codici la lettera è inserita inspiegabilmente tra la X e la XII, che trattano ambedue la questione del prescritto, delle quali viene a interrompere bruscamente il filo logico» ( ibid. Per maggiori dettagli a riguardo si rinvia al paragrafo 4. «Note al testo»).

(11)

L’unico esemplare a oggi edito è quello tràdito dal codice Q VIII 11 (7) della Biblioteca Roncioniana di Prato, del secolo XIV; in esso il carteggio segue la raccolta delle Epistole di Seneca, una Pistola fatta per ser Andrea Lancia ciptadino fiorentino, l’Oratione di Seneca ad Nerone

Ciesare e la conseguente Risposta di Nerone ad Seneca, al parlamento facto. L’edizione, che risale

al 1861, è di Cesare Guasti: la trascrizione del testo, non sempre affidabile, è accompagnata da una scarna introduzione alla materia e non risulta supportata da un adeguato apparato di note critiche, né da un opportuno quanto necessario studio ecdotico che prenda in esame la tradizione latina dell’opera.58 Nel corso delle considerazioni preliminari lo studioso dà notizia di due ulteriori

esemplari della corrispondenza in volgare italoromanzo, i manoscritti 1094 e 1304 conservati nella Biblioteca Riccardiana di Firenze.

Nel 1976, a margine della comunicazione dei risultati di una ricerca condotta presso l’Università di Torino inerente un primo censimento dei volgarizzamenti italiani dei Vangeli Apocrifi neotestamentari, Anna Cornagliotti segnalò il reperimento di otto codici inediti contenenti l’epistolario,59 che vanno sommati ai tre precedentemente indicati da Guasti: Firenze, Nazionale, II I

26; Firenze, Nazionale, II I 73; Firenze, Nazionale, II I 74; Firenze, Nazionale, II I 102; Firenze, Nazionale, Pal. 541; Firenze, Riccardiana, 1321; Firenze, Riccardiana, 1541; Paris, BNF, Fr. 12235. È oggi possibile ampliare ulteriormente la recensio attraverso la testimonianza di cinque nuovi esemplari, anch’essi inediti, del carteggio in volgare:60

- Firenze, Laurenziana, Plut. XXVII 6; - Firenze, Laurenziana, Plut. XL 49; - Firenze, Nazionale, Panc. 56; - Firenze, Nazionale, Magl. XIII, 75; - Parma, Palatina, 289.

Alla luce di questi ultimi ritrovamenti, il quadro complessivo della tradizione è dunque così riassumibile:

1. Firenze, Laurenziana, Plut. XXVII 6 [Fl1] 2. Firenze, Laurenziana, Plut. XL 49 [Fl2]

3. Firenze, Nazionale, II I 26 [Fn1]

4. Firenze, Nazionale, II I 73 [Fn2]

5. Firenze, Nazionale, II I 74 [Fn3]

6. Firenze, Nazionale, II I 102 [Fn4]

58 Cfr. C. GUASTI, L’Epistole di Seneca a S. Paolo e di S. Paolo a Seneca volgarizzate nel secolo XIV, in, AA.VV.,

Miscellanea di opuscoli inediti o rari dei secoli XIV e XV - Prose, Torino, Unione Tipografico Editrice, 1861, pp. 289-302.

59 Cfr. A. CORNAGLIOTTI, I volgarizzamenti italiani degli apocrifi neo-testamentari, in AA.VV., Actes du XIIIe Congrès

International de Linguistique et Philologie Romanes tenu a l’Université Laval (Québec, Canada) du 29 août au 5 septembre 1971, a c. di M. Boudreault, F. Möhren, Québec 1976, pp. 669-687.

60 Tali nuovi reperimenti sono anch’essi frutto dell’attività svolta, in anni più recenti, da Anna Cornagliotti; a lei debbo

(12)

7. Firenze, Nazionale, Magl. XIII 75 [Fn5]

8. Firenze, Nazionale, Pal. 541 [Fn6]

9. Firenze, Nazionale, Panc. 56 [Fn7]

10. Firenze, Riccardiana, 1094 [Fr1] 11. Firenze, Riccardiana, 1304 [Fr2] 12. Firenze, Riccardiana, 1321 [Fr3] 13. Firenze, Riccardiana, 1541 [Fr4] 14. Paris, BNF, Fr. 12235 [Pn] 15. Parma, Palatina, 289 [Pp]

16. Prato, Roncioniana, Q VIII 11 (7) [Pr]

Un primo sondaggio testuale condotto su alcuni passaggi “sensibili” dei testimoni volgari recuperati ha permesso l’individuazione di due redazioni principali: la prima – cui appartiene, tra gli altri, l’unico esemplare edito, Pr –, che dipende da un capostipite riconducibile, sebbene entro un dettato scarsamente conservativo, alla famiglia latina α; la seconda, che si distingue per una veste linguistica, soprattutto in merito a lessico e sintassi, ancora fortemente subordinata alla lezione originaria, è invece da porre in relazione con probabilità a un archetipo discendente da un esemplare latino caratterizzato da una evidente interpolazione dei due rami di riferimento della trasmissione, α e β.

Data la fisionomia che, con le ultime individuazioni, la tradizione italiana della corrispondenza ha quantitativamente acquisito, è parso opportuno, in questa sede – al fine, da un lato, dell’integrazione dell’unica testimonianza fornita da Pr e, dall’altro, dell’avvio dello studio critico della tradizione volgare dell’epistolario attraverso un percorso filologicamente più probante –, limitare in via preliminare l’indagine a un solo esemplare, Pn, la cui lezione è una delle più significative tra quelle dei testimoni appartenenti alla seconda redazione.61

2.2. Il codice Fr. 12235 della Bibliothèque Nationale de France [Pn] 2.2.1. Sintesi descrittiva

Il codice Fr. 12235 della Bibliothèque Nationale de France, del secolo XIV, è un manoscritto pergamenaceo, miniato e ben conservato, composto di 135 carte, la cui numerazione, moderna in cifre arabe, è posta nell’angolo superiore destro; contiene le Epistres de Sèneque volgarizzate in francese (ff. 1r-131v) e il Carteggio tra Seneca e San Paolo in toscano (Pn, ff. 132r-134r).

Secondo quanto si ricava da alcune annotazioni autografe inserite nei fogli di guardia, il codice appartenne, almeno dal 1535, a Pierre Roland di Chambery, il quale lo cedette, nel 1558, al letterato e concittadino Pierre de la Porte.

(13)

Il volgarizzamento italiano si trova negli ultimi tre fogli dell’esemplare, aggiunti posteriormente: il testo, in scrittura semigotica, è su due colonne; lo specchio scrittorio ospita in media 34 righe per facciata.

I titoli delle lettere sono scritti con inchiostro rosso; le iniziali della prima parola di ogni lettera sono affrescate e stilate in rosso o azzurro. A partire dall’epistola III si rileva, a margine, la numerazione corrispondente, in cifre arabe (fino alla XI) e romane (dalla XII al termine), redatta da mano posteriore.

Le peculiarità di maggiore rilievo del testo volgare italiano sono senza dubbio, da un lato, un’eccessiva aderenza al dettato latino – in taluni casi a scapito della comprensione62 –, dall’altro, la

presenza di un fitto apparato di glosse, tanto interlineari, quanto marginali, anche di rilevante entità, inserite da mano coeva alla principale con funzione per lo più didascalica in riferimento ai passaggi reputati di più ardua comprensione.63

Incipit: «Nel nome del nostro Segnore Gesù Cristo. Santo Geronimo scrive di Seneca nel libro

chiamato Catalogo de’ Santi. Parole di San Geronimo». Dopo il prologo, costituito dal passaggio geronimiano, prende avvio la corrispondenza: «Lectere di Seneca, maestro di Nerone imperadore, a Paulo apostolo et di Paulo ad Seneca. Et prima di Seneca ad Paulo».

Explicit: «Qui finiscono le Pistole et comincia la soprascritta de la sepultura di Seneca», cui

segue il testo volgare del cosiddetto Epitaffio di Seneca, per cui si veda infra.64 2.2.2. Questioni ecdotiche

Da un’attenta analisi ecdotica è possibile asserire che Pn è copia di un volgarizzamento riconducibile all’archetipo Ʃ65 della tradizione latina; non condivide infatti alcuno degli errori

separativi di P contro i restanti testimoni di Ps.66 Si considerino almeno i casi che seguono:

Ʃ, VII: «Confiteor Augustum sensibus tuis motum»;

Pn, VII, 5: «Io confesso che Agusto è promosso per li tuoi intendimenti»; P, VII: «Confiteor autem sensibus tuis motum».

Ʃ, VII: «Qui postea Castor et Pollux sunt nominati»; Pn, VII, 8: «Li quali poi fuoro chiamati Castore et Polluce»;

62 Tale particolarità verrà analizzata infra, nel paragrafo 4. «Note al testo».

63 Nell’edizione del testo che segue le glosse vengono inserite nelle note a piè di pagina; laddove necessario, sono state

riprese e commentate nel paragrafo 4. «Note al testo».

64 Per ulteriori dettagli a proposito della descrizione codicografica cfr. A. MARSAND, I manoscritti italiani della regia

biblioteca parigina, Paris, Crozet, 1835, pp. 572-73.

65 Cfr. supra il paragrafo 1.1. «Tradizione latina e edizioni».

66 Con Ps si indica il testo latino del carteggio sulla base dell’edizione critica di Barlow; le famiglie e i diversi

(14)

P, VII: «Qui postea castus et Pollux sunt nominati».

Ʃ, XI (XII): «Cui Voluptas carnificina est et mendacium velamentum»;

Pn, XII, 9: «Al quale il desiderio et il carneggiamento et bugie è uno ricoprimento»;67

P, XI (XII): «Mendatu velamen eorum».

Ʃ, I: «Credo tibi, Paule, nuntiatum»; Pn, I, 2: «Io credo che a te fue detto»; P, I: «Credo tibi, Paule, nurtia testis».

Ʃ, VIII: «Neque, si non sit, proderit»; Pn, VIII: «Né, se non sia, gioverae»; P, VIII: om.

Ʃ, XI (XII): «Et impune in his tenebris loqui liceret, iam omnes omnia viderent»;

Pn, XII, 8: «Et sanza pena in queste tenebre fosse lecito loro di parlare, già tutti vedrebbono ogni

cosa»;

P, XI (XII): «Et impune viderent».68

In rapporto alle famiglie derivanti da Ʃ, è altresì ragionevole escludere la discendenza diretta di Pn da α; in molti dei passaggi individuati da Barlow per dimostrare l’esistenza dei due archetipi α e β, la lezione di Pn segue infatti il dettato di quest’ultimo in opposizione a quello del primo.69 Si

offrono di seguito alcuni esempi significativi:

β, III: «Si modo fors prospere annuerit»;

Pn, III, 3: «Et se ora prosperamente la fortuna70 concederae»;

α, III: «Si modo fors prospera annuerit».

β, VI: «Si patientiam demus»; Pn, VI, 4: «Se noi saremo patienti»; α, VI: «Si sapientiam demus».

β, VII: «Cui lecto virtutis in te exordio»;

Pn, VII, 6: «Al quale, lecto il principio de la vertude in te»; α, VII: «Cui perlecto virturis exordio».

β, VIII: «Licet non ignorem»;

Pn, VIII, 2: «Avegna che io sappia»; α, VIII: «Licet non ignoremus».

67 A proposito della lezione «il desiderio et il carneggiamento» cfr. infra il paragrafo 4. «Note al testo». 68 Per ulteriori esempi cfr. BARLOW, op. cit., pp. 27-41.

69 Si riproducono gli esempi nell’ordine con cui sono presentati in ibid., pp. 42 sgg. 70 A proposito della la lezione fortuna cfr. infra il paragrafo 4. «Note al testo».

(15)

β, XI (XII): «Cui voluptas carnificina est»;

Pn, XII, 9: «Al quale il desiderio et71 il carneggiamento»;

α, XI (XII): «Cui voluntas carnificina est».

β, XII (XI): «Vir tanto et dilectus omnibus modis»; Pn, XI, 2: «Tanto huomo et sì amato per tutti ’ modi»; α, XII (XI): «Vir tanto et a Deo dilectus omnibus modi».

β, XIII: «Quod saepius dixisse retineo»;

Pn, XIII, 4: «Quello che io mi ritegno a mente»; α, XIII: «Quod saepius dixisse te tineo».

β, XIV: «Novum hominem sine corruptela perpetuam animam parit»; Pn, XIV, 7: «Huomo nuovo sança corrompimento partorisce nuova anima»; α, XIV: «Novum hominem sine corruptela perpetuum animal parit».72

In una serie non occasionale di passaggi, tuttavia, il testo di Pn rivela tratti comuni a α in opposizione a β:

α, V: «Quae te remotum faciunt?»;

Pn, V, 2: «Che cose ti fanno tanto stare remoto da noi?»; β, V: «Quae te remoratum faciunt».

α, VII: «Vellem […] cum res eximias proferas»;

Pn, VII, 4: «Io vorrei che quando tu profferi grandi cose»; β, VII: «Vellem […] cures et cetera».

α, VII: «Legitime imbutus»;

Pn, VII, 6 : «Informato secondo legge»; β, VII: «Legi meae imbutus».

α, XIII: «Dixisse te teneo»;

Pn, XIII, 4: «Spesse volte ài detto»; β, XIII: «Dixisse retineo».73

È quindi lecito dedurre, come anticipato, che Pn sia la copia, diretta o mediata, di un antigrafo contenente il volgarizzamento di un esemplare discendente da β ma caratterizzato da significative e non sporadiche interpolazioni di α.

71 Per ulteriori riflessioni sulla lezione cfr. infra il paragrafo 4. «Note al testo».

72 Pn manifesta inoltre chiare divergenze nei confronti di λ, il testimone latino rinvenuto da Franceschini, per cui cfr.

supra il paragrafo 1.1. «Tradizione latina e edizioni»; una filiazione del codice parigino da tale esemplare appare del tutto improbabile.

(16)

Come rileva Barlow, del resto, già buona parte dei codici latini tardi, e in particolare quelli appartenenti ai secc. XI-XII, si segnala per una lezione frutto di un variabile ma intelligibile livello di contaminazione tra i due gruppi α e β: i codici rappresentanti di tale trasmissione orizzontale sono, nello specifico, C, D, G, H, J, K, N, Q e Z;74 molti di questi esemplari sono latori dei tratti

appena discussi a proposito di Pn.75

Al di là delle lezioni errate e imputabili con sicurezza a Pn o al suo archetipo, in diverse circostanze, laddove il dettato dell’esemplare studiato si allontana da Ps concorda significativamente con quello di uno almeno dei testimoni succitati.76 In tale direzione andranno

tenuti in particolare considerazione i codici H e J, dipendenti secondo l’editore del testo critico latino da un archetipo ρ, che doveva verosimilmente tramandare un dettato derivante da una sola delle due famiglie di riferimento α e β, ma con una fitta presenza di varianti interlineari e marginali del dettato della famiglia non utilizzata, e di volta in volta impiegate in maniera diversa dai copisti.77 Si riportano di seguito alcuni esempi dai quali appare evidente la corrispondenza tra ρ e Pn in opposizione a Ps:

Ps, VII: «Et dato ei exemplo Vatieni hominis rusticuli»; ρ, VII: «Et dato ei exemplo vatis enim hominis rusticuli»; Pn, VII, 8: «Et dato a∙llui l’exemplo de lo indovino villanello».

Ps, VIII: «Licet non ignorem Caesarem nostrum rerum admirandarum»; ρ, VIII: «Licet non ignorem Caesarem nostrarum rerum admirandarum»; Pn, VIII, 2: «Avegna che io sappia che Cesare si maravigli de le nostre cose».

Ps, VII: «Confiteor Augustum sensibus tuis motum»; ρ, VII: «Confiteor Augustum sensibus tuis permotum»;

Pn, VII, 5: «Io confesso che Agusto è promosso per li tuoi intendimenti».

Ps, X: «Quotienscumque tibi scribo et nomen meum subsecundo»; ρ, X: «Quotienscumque tibi scribo et nomen meum tibi subsecundo»; Pn, X, 2: «Quante volte ti scrivo et il nome mio ti soscrivo».

Ps, XII (XI): «Non ergo vis laeter si ita sim tibi proximus […]?»; ρ, XII (XI): «Non ergo vis latere ita sim tibi proximus […]?»;

Pn, XI, 3: «Non dunque ti vuoli allegrare se io ti sono prossimano […]?».

Nel primo esempio si rileva, in ρ, il travisamento dell’antroponimo Vatieni, interpretato erroneamente «vatis enim», cui con probabilità va connessa la lezione di Pn «de lo indivino», per

74 C = Berne 225 (sec. XI); D = Roma Vat. Reg. Lat. 1637 (sec. XII); G = Angers 284 (sec. XI); H = Roma Vat. Reg.

Lat. 119 (sec. XII); J = Strasbourg C. VI. 17 (sec. XI); K = Roma Vat. Reg. Lat. 147 (sec. XII); N = Münich Lat. 18467 (sec. XII); Q = Paris Lat. 12295 (sec. XII); Z = Metz 300 (sec. XI). Le sigle sono di Barlow.

75 Cfr. BARLOW, op. cit., pp. 64 sgg.

76 Si rimanda al paragrafo 4. «Note al testo» per esempi e ulteriori dettagli.

77 Cfr. BARLOW, op. cit., p. 66: «I believe that these two manuscripts were each copied from a single codex which

contained a large number of glosses. There is some variation in the exact degree of contamination in each, which could be explained by assuming that the scribes did not choose all of the variants before them».

(17)

cui si rinvia al paragrafo 4. «Note al testo». Nel secondo passaggio, ρ riporta nostrarum per «nostrum», attribuendo quindi la dipendenza del possessivo da rerum e non da Caesarem; in maniera analoga si comporta Pn («de le nostre cose»).78 La lezione promosso del terzo estratto pare

mero adattamento della corrispondente permotum di H-J. Il quarto esempio si segnala invece per la presenza di tibi, tramandato dai due soli testimoni di ρ e ripreso dall’esemplare volgare. Nell’ultimo caso va infine osservata una lezione erronea di Pn: nella lettera XII della corrispondenza latina, Seneca si rallegra per il rapporto amichevole con Paolo (il lat. proximus può infatti indicare in questo caso tanto la vicinanza materiale dei nomi dei due corrispondenti, presentati l’uno accanto all’altro in apertura di epistola, quanto la contiguità spirituale che unisce i loro animi) sulla base di un motivo ricorrente negli scritti di diversi autori latini, cristiani e non;79 nel volgarizzamento il

filosofo pare al contrario attribuire il sentimento di letizia all’apostolo: non si esclude che alla base dell’errore possa riconoscersi l’influsso di latere di ρ, inteso come laetere, seconda persona singolare di laetor, quindi ‘che tu sia lieto’.80

Allo stato attuale dell’analisi ecdotica eseguita attraverso la collazione sistematica con i rappresentanti della tradizione latina a disposizione, è opportuno in definitiva congetturare, per il volgarizzamento di cui Pn è copia, una filiazione dal ramo β con numerose interpolazioni di α, effetto probabile dell’influenza delle lezioni di una serie di esemplari latori di un dettato caratterizzato dalla contaminazione dei due gruppi principali, tra i quali pare lecito segnalare in particolare, anche alla luce dei passi appena commentati, i testimoni H-J.

78 Cfr. anche infra il paragrafo 4. «Note al testo». 79 Cfr. BOCCIOLINI PALAGI, Il carteggio cit., pp. 177-78.

80 Maggiori dettagli sulle caratteristiche di Pn tanto in relazione alle redazioni latine quanto in rapporto alla tradizione

(18)

3. ILTESTODI PN81

[0.] [132r] Nel nome del nostro Segnore Gesù Cristo. Santo Geronimo scrive di Seneca nel libro chiamato Catalogo82 de’ santi. Parole di San Geronimo.

1Lucio Anneo Seneca di Cordava, discepolo de la setta de li Stoici83 et çio del poeta Lucano,

fue di vita temperatissima; 2il quale io non porrei nel catalogo de’ santi se quelle lectere non mi vi

inducessero, le quali in molti luoghi si leggono essere scritte di Paulo a Seneca et di Seneca a Paulo.

3Ne le quali, con ciò sia cosa ch’elli fosse maestro84 di Nerone,85 et era Seneca potentissimo di

quello tempo, dice che elli desiderava d’essere appo li suoi di quello grado86 del quale era Paulo apo

li Cristiani. 4Costui, due anni innançi che Piero et Paulo fossero87 coronati di martirio, da Nerone fu

morto.88

Lectere di Seneca, maestro di Nerone imperadore, a Paulo apostolo et di Paulo ad Seneca. [I.] Et prima di Seneca ad Paulo.

1Seneca a Paulo salute.

81 Al fine della riproduzione fedele del testo tràdito da Pn, gli interventi sono stati limitati allo stretto necessario:

l’integrazione a testo di singole lettere o sillabe assenti per chiara e circoscritta omissione è segnalata con parentesi uncinate; le lezioni annullate dal copista, le dittografie, le glosse e le scrizioni interlineari vengono riportate nelle note a piè di pagina, mentre i probabili casi di lacune e le letture dubbie sono commentate nel paragrafo 4. «Note al testo». Si segnalano con l’apostrofo l’aferesi vocalica e sillabica, l’apocope e l’assenza di articolo determinativo; si utilizza il punto medio [∙] per indicare la caduta di una consonante finale e il raddoppiamento fonosintattico. Si mantiene la grafia del manoscritto con rispetto di tutte le alternanze grafiche: da tale proposito ci si allontana esclusivamente per la regolarizzazione dell’alternanza fra u e v e fra i e j: si utilizza sempre il segno u per indicare il suono vocalico e semivocalico e, di conseguenza, v per quello consonantico; allo stesso modo il segno i viene impiegato per la resa della vocale e semivocale anteriore i, mentre j esprime il solo suono consonantico palatale. Le abbreviazioni sono state sciolte in conformità alle lezioni scritte a tutte lettere, nel rispetto dell’uso prevalente del codice. Le lettere maiuscole e i segni d’interpunzione sono stati introdotti o regolarizzati secondo l’uso moderno. La numerazione delle carte dei codici viene indicata, nel testo, in carattere corsivo entro parentesi quadre; il cambio di colonna è segnalato mediante barra obliqua /. Ogni lettera è numerata, in apertura, accanto all’intestazione, in cifre romane e tra parentesi quadre; all’interno delle singole lettere è stata impiegata, in apice e in grassetto, una suddivisione in pericopi. I casi di omografia, non numerosi, si risolvono nella maniera che segue: a = ‘a’, a’ = ‘ai’; ai = ‘ai’, ài = ‘hai’; de = ‘di, de’, de’ = ‘dei’; i = ‘i’, i’ = ‘io’; se = ‘se’ (cong.), sé = ‘sé’, se’ = ‘sei (tu)’.

82 Sul margine sinistro, accanto al testo, si legge: «Catalogo, cioè sermone o anumeratione, o ordine, o brieve detto

d’uomini nobili».

83 A lato del passo in questione, sul margine di sinistra si legge: «Stoici furono filosofi o setta di scientiati, i quali

ponevano somma beatitudine essere ne le vertudi. Et furono chiamati stoici da stoa in greco, portico in latino, dove stavano ad Athene a filosofare».

84 Nell’interlinea, sopra maestro, si legge «vero maestro». 85 Nell’interlinea, sopra Nerone, si legge «crudelissimo».

86 Sul margine sinistro si legge: «O di fama, o di costume, o d’opinione».

87 Lezione che interviene a sostituzione della precedente furono, annullata da una serie di puntini sottostanti.

88 Sul margine sinistro si legge: «Secondo Santo Agostino, nel libro del vero cultivamento, Seneca non seppe la vera

(19)

2O Paulo, io credo che a te fue detto quello che noi tractamo ieri col nostro Lucilo,89 delle apocrifis90 et altre cose, però ch’elli erano meco alcuni compagnoni de le tue doctrine.91 3Noi

eravamo ritratti da parte nelli Orti Sallustiani,92 nel quale luogo, per cagione di noi, andando ellino

in altra parte, coloro de’ quali io dissi s’a/giunsero a noi, sì come ci parve certo, quivi dove noi desiderammo la tua presentia. 4Et questo voglio che tu sappie: che, lecto il tuo libretto, cioè alcune

de le tue pistole, le quali mandasti ad alcuna cittade93 o capo di provincia,94 che conteneano la vita

morale con maraviglioso confortamento, molto ci contentoe.955L’intendimenti delle quali non penso

essere detti da te,96 ma per te,97, et certo alcuna volta da te98 et per te, però che tanta è la maestade di

quelle cose, et risplendono di tanta nobilitade, che io penso che apena sarebbono sofficienti l’etadi degl’uomini a poterle imprendere et informarsene, venirne a perfectione.996Io desidero, frate, che tu

sie bene sano et salvo.

[II.] Da Paulo ad Seneca.

1Seneca Paulo salute.

2Le tue lectere allegro ieri ricevetti, alle quali ti potei immantenente rescrivere se io avessi

avuta la presença di quel giovane,100 lo quale io ti dovea mandare. 3Tu sai quando, et per cui, et in

che tempo, et a cui et che dare et che commettere si debbia. 4Adunque ti priego che non pensi ch’io

ti metta in non calere infino che io guardo la qualitade de la persona.101 Ma, ché in alcuno luogo tu

scrivi che∙lle mie pistole sono bene ricevute da voi, io giudico me felice per la sententia di tanto huomo.1025Né questo diresti tu, come uno soffistico iudice, [132v] tu, il quale se’ maestro di tanto

prencipe et etiandio di tutti maestro, se non perché tu dici il vero.103 Io desidero che tu lungamente

sie ben sano et salvo.

89 Nell’interlinea, sopra Lucilo, si legge «amico». 90 Nell’interlinea, sopra apocrifis, si legge «scritti».

91 Si legge, nell’interlinea, «al cui intellecto la ragione non agiugne mai ’l lume de la fede». 92 Nell’interlinea viene aggiunto «luoghi a Roma».

93 Nell’interlinea superiore si legge «a’ Filippesi». 94 Nell’interlinea superiore si legge «a’ Romani». 95 Nell’interlinea superiore si legge «fanoe».

96 Nell’interlinea superiore si legge «da∙ tuo ingegno naturale».

97 Nell’interlinea superiore si legge «cioè che lo Spirito Sancto parla per lui sì come per uno suo istrumento».

98 Sul margine destro, con segno di richiamo, è aggiunto «cioè per vertù di tuo ingegno in parte et parte per virtù di

Spirito Sancto».

99 Sul margine destro si legge «Informarsene quanto a lo ’ntellecto, venirne a perfectione quanto all’operatione d’esse». 100 Sul margine destro si legge: «di uno loro fedele messo».

101 Nell’interlinea superiore e, in seguito, sul margine destro, si legge: «per cui io mandi che non a ciascuno si conviene

conmettere l’ambasciata».

102 Nell’interlinea superiore viene aggiunto: «quanto tu se’».

103 Sul margine destro si legge: «‘Io mi tengo beato per la tua sentençia, ché veggio che bene è in me, ché tu nol diresti

(20)

[III.] Seneca a Paulo.104

1Seneca a Paulo salute.105

2Alcuni volumi compuosi et con sue divisioni diedi a loro ordine. Et sono disposto di

leggere quelli a Cesare.1063Et se ora prosperamente la fortuna concederae che elli rechi seco novelli

orecchi, forse tu vi sarai presente.107 4Et se no io ti renderoe die nel quale noi insieme rivedremo

questa opera. 5Or, potesse io fare di non publicare a Cesare questa scrittura, se io prima non la

conferisse teco, farelo voluntieri se questo solamente sanza periglio di pena fare si potesse,108 acciò

che tu vedessi de non essere lasciato di dietro.109

[IV.] Paulo a Seneca.

1Paulo a Seneca salute.

2Quannte volte io le tue lectere odo, imagino la tua presença; né alcuna cosa bramo de te

sennò che tu fossi ogni tempo con noi. 3Adunque quando primamente tu comincerai a venire,110

vedremoci insieme, parleremo di divino sermone et vedremo del prossimo. Io desidero te bene essere sano et salvo.

[V.] Seneca a Paulo.

1Seneca a Paulo salute.

2De la tua troppa lontananza ci dogliamo. Per111 che è questo? Che cose ti fanno / tanto112

stare remoto da noi? 3Se è la ’ndegnazione del segnore,113 ché dal costume et da l’antica setta114 tu ti

sie partito et altri ancora n’abbi convertiti, sarà luogo d’impetrare perdono per te; 4et desi stimare

che ciò è fatto per divina promissione et non mosso da leggerezza d’animo.115

104 A partire da questa lettera si rileva, a margine di ogni epistola, la numerazione corrispondente, in cifre arabe (fino

alla XI) e romane (dalla XII al termine), redatta da mano posteriore.

105 Sul margine sinistro si legge: «In questa lectera mostra Seneca che Sam Paulo era molto scienziato et in grande

amore di lui».

106 Nell’interlinea superiore si legge: «a Nerone».

107 Sul margine sinistro, evidenziato da un segno di richiamo (una a puntata), si legge: «cioè ragioneroe del bene ch’è in

te et se io vedrò che s’acosti manderò per te».

108 Sul margine sinistro si legge: «Per questa lectera puoi comprendere che fedele messo bisognava a Sancto Paulo et a

Seneca, però che se fosse pervenuta a le mani di Nerone sarebbe essuta in damno di ciascuno, però che ’l biasima».

109 Nell’interlinea superiore si legge: «quanto tu mi se’ a grado». Sul margine sinistro, invece, si legge: «Era pericoloso

dimostrare prima la sua opera ad altri che allo ’mperadore. Credo che questi volumi furono quelli che sono intitulati Di clementia a Nerone, però che dire la su sire ch’era novelli orecchi tu vi farai, però che pietade dovea lui dolce et pietoso».

110 Nell’interlinea superiore si legge: «a me da le parti dove sono». 111 Segue «questo», annullato da un tratto di colore rosso.

112 Segue «tardare», annullato da una serie di puntini sottostanti, sostituito dal successivo «stare». 113 Nell’interlinea superiore si legge: «Cesare».

114 Nell’interlinea superiore si legge: «pagana o giudaica»; sul margine destro invece: «setta viene a dire ‘divisione’». 115 A margine di quest’ultimo paragrafo si legge: «vuole dire ‘tu se’ stato tocco da Dio, te se’ convertito da l’anticha

(21)

[VI.] Paulo a Seneca et a Lucillo.116

1Seneca et Lucilo Paulo salute.

2Di quelle cose che mi117 scrivesti non lece parlare con la penna et collo incostro, de le quali

l’una nota et disegna alcuna cosa, l’altra manifestamente mostra,118 massimamente con ciò sia cosa

che io sappia in tra voi essere, cioè apo voi et in voi, coloro che m’intendono. 3Honore si dee

rendere a tutti, tanto maggiormente quanto maggiormente prendono cagione d’indignatione. 4A li

quali, se noi saremo patienti, al postutto loro con giusta parte119 vinceremo, se solamente120 questi

sieno tali che si pentano avere fallato. Siate bene sani et salvi. [VII.] Seneca a Paulo et a Teofilo.

1Seneca a Paulo et a Teofilo salute.

2Io confesso che io sono bene accepto per quello ch’io lessi ne le tue pistole, le quali

mandasti a’ Galathi, a quelli di Corintho et alli Achai, et così insieme viviamo, che etiamdio quelle [133r] lettere rendiamo col divino. 3Lo Spirito Santo in te et sopra te manifesta excelsi et alti assai

venerabili intendimenti. 4Io vorrei che quando tu profferi grandi cose, che l’ornamento del sermone

non mancasse a la maestade de quelle. 5Et acciò, frate, ché io non ti tolga alcuna cosa, overo sia

tenuto a la mia consciença, io confesso che Agusto121 è promosso per li tuoi intendimenti.122 6Al

quale, lecto il principio de la vertude123 in te, così parloe: ch’elli si potea maravigliare che colui124

ch’era informato secondo legge così sentisse.1257Al quale io rispuosi che li Dii erano usati di parlare

per la boccha de l’innocenti, non parlare per effecto di coloro126 che per la sua doctrina possono

alcuna cosa travalicare. 8Et dato a∙llui l’exemplo de lo indovino villanello,127 al quale con ciò fosse

cosa che apparissero due huomini nel campo di Rieti, li quali poi fuoro chiamati Castore et Polluce: assai pare ch’elli sia informato. Dio ti salvi.

116 Sul margine destro, a lato delle prime righe della lettera, si legge: «qui mostra Sancto Paulo sé temere di scrivere

manifesto la cagione del suo remoto stare, et parmi che dica che la ’ndignatione di Cesare verso lui però che ch’era di giudeo facto cristiano fosse la minima ma alcuna era, ma la manifest[…] era cagione d’averlo indegnato il convertire gli altri».

117 La lezione mi è inserita nell’interlinea con segno di richiamo.

118 Sul margine destro, evidenziato da un segno di richiamo (una b puntata), si legge: «massimamente et cetera: ‘non

bisogna di scrivere perché voi intendete quanto et più il mio dire suona’».

119 Nell’interlinea superiore si legge: «ragione».

120 Nell’interlinea superiore una c puntata richiama una glossa posta sul margine destro in cui è scritto: «se solamente et

cetera; pare che dica: ‘s’elli non difenderanno con protervitade loro parte, vorranno riconoscere con giusta ragione, vinceremo’».

121 Nell’interlinea superiore si legge: «Nerone».

122 Nell’interlinea superiore si legge: «scritti ne [le] lettere».

123 Nell’interlinea superiore si legge: «che li contonea in quelle lectere».

124 Nell’interlinea superiore si legge: «cioè tu che se’ legista de le leggi giudaice».

125 Nell’interlinea superiore si legge: «cioè sopra la legge dove tratta di fede et d’opera sopra natura». 126 Nell’interlinea superiore si legge: «de gran maestri».

(22)

[VIII.] Paulo a Seneca.

1Paulo a Seneca salute.

2Avegna che io sappia che Cesare si maravigli de le nostre cose, se alcuna128 volta elgli

cesserae di maravigliarsene, inpertanto non ti lasciare offendere, ma rimuovere lasciati. 3Io penso

che tu facesti grave cosa, ché tu volesti ançi mettere a∙llui la / innocenza, la qual cosa è al suo costume et a la doctrina sua contraria. 4Con ciò sia cosa ch’elgli adori li dii de’ pagani, io non

veggio onde ti sia comandato che tu volgli ch’elgli sappia questo, se non ch’io estimo che tu fai per troppo amore di me. 5Io ti priego che tu non facci questo nel tempo che verrae, però ch’elgli è da

guardare che, infino che tu ami me, tu non offenda129 il segnore,130 la cui offesa, s’ella persevera,

non nocerae né, se non sia,131 gioverae.132 6S’è la reina133 non isdegna; se ella è femina sie almeno

offesa.134

[IX.] Seneca a Paulo.

1Seneca a Paulo salute.

2Io so che tu non sei così commosso135 per cagione de te per le lectere, le quali io feci a te del

manifestamento de le tue lectere a Cesare, come per la natura de le cose stesse, le quali revocano sì le menti delgli uomini da tutte l’arti et costumi diritti, ché oggi non se ne maravigli: cert’ò io, se questo teme colui che, per molte speriençe notissimo. 3Adunque facciamo novellamente, che se

alcuna cosa leggiermente136 per lo tenpo passato è già facta, tu perdonerai. Io ti mandai il libro De la copia de le parole. Sie sano Paulo carissimo.

[X.] Paulo a Seneca.

[f.133v] 1Paulo a Seneca salute.

2Quante volte ti scrivo et il nome mio ti soscrivo, io fo cosa grave et sconvenevole a la mia

setta, però che io debbo, spesso sì como sono professo, con tutti essere tutte le cose, et quello osservare ne la tua persona che la legge romana concedette a l’honore del Senato: 3rilecta la lettera,

128 Ms.: segue i annullato da un tratto obliquo.

129 Sul margine destro, in corrispondenza di offenda, si legge: «dicendo cosa che li spiaccia». 130 Nell’interlinea si legge «Cesare».

131 Nell’interlinea si legge «offesa».

132 Sul margine destro, in relazione a gioverae, si legge: «forse si intende: ‘se non molesta Cesaro sarò più utile che più

tosto il recherae a lo ’ntendimento di san Paulo’».

133 Nell’interlinea si legge «imperadrice».

134 Sul margine destro si legge: «Estima che la ’mperadrice fosse apo Nerone quando Seneca recitava le parole di san

Paulo, et dice: ‘pur da ch’ella è femina che non ae intellecto di bene et di vertù, benché non mostri lo sdegno suo di fuori, si le noia udire di ciò […]’».

135 Nell’interlinea si legge «adirato».

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