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Ideologia in azienda. La distribuzione dei benefit ai dipendenti come comportamento ideologico

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Academic year: 2021

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Ideologia in azienda.

La distribuzione dei benefit ai dipendenti come

comportamento ideologico

Olimpia Giuliana Loddo

Dipartimento di Giurisprudenza, Università degli Studi di Cagliari

[email protected]

1. Fatti sociali, autointerpretazione e ideologia

Il filosofo del diritto Hans Kelsen nel libro Reine Rechtslehre (Kelsen 1934, tr. it. p. 49) descrivendo il fenomeno dell’“autointerpretazione del ma-teriale sociale” scrive: “Un fatto sociale può […] benissimo portare con sé una qualificazione di se stesso, cioè una enunciazione di ciò che significa. L’uomo che agisce annette infatti al suo stesso atto un determinato significato che si esprime in un modo qualsiasi e che viene inteso da coloro cui l’atto viene rivolto”.

Ad esempio, il giudice che pronuncia una sentenza, il donatore che com-pie una donazione, il venditore che comcom-pie una vendita manifestano in modo esplicito ai destinatari il senso dei loro comportamenti.

Tuttavia, non necessariamente il senso dell’atto manifestato dall’agente corrisponde al senso dell’atto ufficialmente accolto. Ad esempio, il 9 maggio 1978, le Brigate Rosse avevano cagionato la morte di Aldo Moro agendo come se tale uccisione fosse l’esecuzione di una sentenza capitale, ma la

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condotta dei brigatisti era stata ufficialmente considerata non l’esecuzione di una pena capitale, ma un brutale omicidio.

Si verifica un fenomeno diverso, quando il significato ufficiale del com-portamento coincide con quello dichiarato dall’agente, ma tale significato è in tutto o in parte difforme dalle ragioni che normalmente ne determinano l’adozione nell’ambito di un particolare contesto sociale. Chiamo tale com-portamento ‘comcom-portamento ideologico’.

Ad esempio, sono comportamenti ideologici alcune forme di distribuzio-ne di bedistribuzio-nefici compiute dai datori di lavoro distribuzio-nei confronti dei lavoratori (ad esempio: premi fedeltà, premi di rendimento, agevolazioni, buoni pasto) che hanno un senso ufficiale non coincidente con i motivi che solitamente spin-gono i datori di lavoro ad adottarle. Nel presente articolo mi soffermerò su questo particolare tipo di condotte datoriali.

Il presente articolo è diviso in tre paragrafi: nel § 1. chiarirò il concetto di “comportamento ideologico”; nel § 2. mi soffermerò su alcuni esempi di comportamenti ideologici compiuti in un contesto aziendale; nel § 3. analiz-zerò il problema della qualificazione del comportamento datoriale come “fa-vorevole al lavoratore”.

2. Comportamenti ideologici

Nel saggio Ideology Gustav Bergmann (Bergmann 1951, p. 210) defini-sce come segue le asserzioni ideologiche: “Chiamo ideologica un’asserzione del tipo tale che è un giudizio di valore travestito da [disguised as] o confuso con [mistaken for] un’asserzione di fatto”.

Inoltre, Bergmann sostiene che un giudizio di valore, quando è “travesti-to da giudizio di fat“travesti-to” (un’asserzione ideologica) potenzi la sua forza persu-asiva26. Ad esempio, secondo Bergmann, la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America non avrebbe prodotto i medesimi effetti se la fra-se “consideriamo questi giudizi di valore auto-evidenti” avesfra-se sostituito la celebre formula “consideriamo queste verità auto-evidenti”.

Anche altri atti, diversi dalla formulazione di un giudizio di valore pos-sono assumere una forma ideologica. Invero, è connesso a una particolare qualificazione di un comportamento sociale il senso di ‘ideologia’ al quale fa riferimento lo psicologo sociale Stanley Milgram quando scrive (Milgram, 1974 p. 146): “Ogni situazione possiede un tipo di ideologia, che chiamiamo “definizione della situazione” e che è l’interpretazione del significato di

26 Considerazioni analoghe appaiono nel libro di Theodor Geiger, Ideologie und .

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un’occasione sociale. Essa [l’ideologia] fornisce la prospettiva attraverso la quale gli elementi di una situazione acquistano coerenza”.

Nel corso di un suo celebre esperimento, Milgram aveva riscontrato che le persone sono propense ad accettare la definizione di un comportamento fornita da un’autorità da essi reputata legittima, indipendentemente dalle loro convinzioni morali. Nel corso dell’esperimento alcuni soggetti erano stati spinti dallo scienziato (un’autorità) a considerare la somministrazione di do-lorose e pericolose scosse elettriche a una persona come un atto doveroso perché necessario ai fini del buon esito di un importante esperimento scienti-fico. Secondo Milgram (Milgram, 1974 p. 145): “Un atto visto in una partico-lare prospettiva può sembrare scellerato [heinous], la stessa azione in un’altra prospettiva può sembrare legittima [warranted]. Le persone sono propense ad accettare la definizione di un atto fornita da un’autorità legittima”.

Milgram sostiene che la ridefinizione di una particolare condotta da parte di un’autorità può portare un soggetto a compiere degli atti che, in assenza di quella ridefinizione, considererebbe spregevoli. Ad esempio, secondo Mil-gram, attraverso il medesimo meccanismo, si era giunti in epoca nazista a giustificare le persecuzioni razziali.

3. Comportamenti ideologici in azienda

L’esperimento Milgram, pur essendo stato oggetto di numerose critiche, ha il pregio di evidenziare un meccanismo di ridefinizione di una condotta da parte di un’autorità che caratterizza situazioni (decisamente meno brutali delle persecuzioni razziali) che ritroviamo nella nostra quotidianità. Talvolta i più comuni comportamenti sociali possono presentare una auto-qualificazione ideologica, infatti, perché ciò avvenga è sufficiente che la qua-lificazione ufficiale della condotta non corrisponda alle ragioni per le quali tale condotta viene generalmente adottata in un particolare contesto sociale.

Ad esempio, alcune prassi aziendali (finalizzate alla gestione del perso-nale) che consistono nella elargizione di alcuni benefit ai dipendenti possono avere un carattere ideologico. Infatti, il comportamento di un datore di lavoro può essere ideologico quando la sua condotta è caratterizzata da una discre-panza tra il senso manifestato dall’agente (il medesimo senso che ad essa si attribuisce usualmente) e le motivazioni che generalmente inducono un sog-getto che ha un particolare ruolo in un certo contesto sociale a tenere quella condotta.

I benefit già dal nome si presentano come dei benefici gratuiti destinati ai dipendenti, come degli atti di liberalità che manifestano una gestione filan-tropica dell’azienda. Tuttavia, essi sono perlopiù utilizzati perché sono

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attrat-tivi, fidelizzanti, assumono valenza di status symbol, differenziano le persone all’interno dell’azienda, sono elementi motivanti27.

Il giurista americano Peter Meijes Tiersma considera l’elargizione reite-rata di un benefit un particolare tipo di unilateral contract che può determina-re, quindi, il sorgere di un vincolo in capo al datore di lavoro.

Tuttavia, Tiersma riconosce che dietro l’elargizione di un benefit al lavo-ratore, può celarsi una strategia di gestione del personale adottata dal datore di lavoro. In questo senso (utilizzando un lessico assiologicamente e deonti-camente neutrale) Tiersma distingue diversi tipi di benefit in base alle reali ragioni che generalmente spingono i datori di lavoro a tenere delle particolari condotte. In particolare, Tiersma (Tiersma, 1992 p. 62) distingue gli incentive

bonuses dai retention bonuses: “Mentre gli incentive bonuses hanno l’obiettivo di indurre i lavoratori a lavorare alacremente e a aumentare i pro-fitti, l’obiettivo di un retention bonus è quello di indurre il lavoratore a resta-re al servizio del datoresta-re di lavoro per un certo periodo di tempo”. Anche l’elargizione di benefits in natura, come la somministrazione del vitto ai di-pendenti può avere “motivi di ordine pratico, attinenti all’organizzazione del lavoro, che richiedono la riduzione al minimo della sospensione dal lavoro per pausa pranzo”28.

Indubbiamente, è difficile pensare che gli obiettivi che ho citato possano coincidere con uno scopo di liberalità. Tuttavia il datore di lavoro general-mente presenta i benefit come degli atti di liberalità, come dei benefici gratui-ti, il senso “ufficiale” ma ideologico della condotta datoriale emerge nella stessa denominazione di alcune di queste pratiche: ‘premi’, ‘buoni’, ‘agevo-lazioni’, etc..

La ragione per la quale il benefit viene adottato solitamente non viene pa-lesata esplicitamente ai destinatari, perché, probabilmente, se così non fosse, l’elargizione del benefit perderebbe buona parte della sua efficacia ai fini del conseguimento degli obiettivi connessi alla gestione del personale.

4. I ‘benefit’ sono sempre un bene per il lavoratore?

Il termine ‘benefit’ autointerpreta la condotta datoriale come pratica fa-vorevole al lavoratore. Gli stessi benefit possono essere qualificati alternati-vamente come favorevoli o sfavorevoli a seconda degli interessi che si ritiene più opportuno tutelare.

Nell’ordinamento italiano, alcune forme di conferimenti in natura sem-brano essere considerate favorevolmente dal legislatore (che le incentiva

at-27 Cfr. Vavassori, 2004. 28

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traverso sgravi fiscali). Questo presumibilmente perché il legislatore intende dare la possibilità ai datori di lavoro di ridurre il costo del lavoro senza dan-neggiare in modo troppo evidente il lavoratore dal punto di vista economico. Nell’ordinamento belga gli stessi conferimenti in natura sono disincenti-vati perché considerati potenzialmente svantaggiosi per i lavoratori. Questo accade poiché nell’ordinamento giuridico belga è ritenuto particolarmente ri-levante il principio della libera disponibilità del salario in base al quale: “È proibito al datore di lavoro limitare, in qualsiasi modo, la libertà del lavorato-re di disporlavorato-re del suo salario a suo piacimento”29.

Infatti, sulla base del principio della libera disponibilità del salario l’ordinamento del Belgio prevede delle forti limitazioni alle modalità di retri-buzione in natura e, conseguentemente, all’elargizione dei benefit.

La diffidenza dimostrata dall’ordinamento belga nei confronti dei benefit sembra essere giustificata, almeno in parte, da alcune osservazioni degli eco-nomisti Armen A. Alchian e Harold Demsetz, i quali ritengono che i c.d.

benefit (soprattutto quando sono costituiti da conferimenti in natura) possano addirittura ledere gli interessi economici dei lavoratori. Secondo Alchian e Demsetz, l’elargizione dei benefit può nascondere alcune forme di “opportu-nismo contrattuale” del datore di lavoro (cioè di free riding e di shirking30 da-toriale: ovvero il datore di lavoro potrebbe raccogliere i frutti del lavoro dei suoi dipendenti senza contribuire adeguatamente ai costi della loro produzio-ne). Non sempre, infatti, il valore (monetario) di un benefit può essere con-trollato agevolmente dal lavoratore. Scrivono Alchian e Demsetz(Alchian e Demsetz, 1972 p. 790): “Alcuni tipi di prestazioni sono difficili da valutare e sono maggiormente soggette allo shirking del datore di lavoro. I fringe

benefit spesso sono in forma contingente non monetaria: l’assicurazione me-dica, ospedaliera e per infortunio, le pensioni di anzianità sono prestazioni in parte in natura [partly in kind] [offerte] dai datori di lavoro ai lavoratori. Non tutti i lavoratori sono in grado di comprendere il valore di queste retribuzioni tanto facilmente come per i compensi in denaro”.

In questo caso i comportamenti datoriali non sono solo caratterizzati da un’autointerpretazione difforme dal reale motivo della loro adozione, ma vengono presentati in ambito aziendale come vantaggiosi per i lavoratori,

an-29Art. 3 della legge del 12 aprile 1965 la Loi concernant la protection de la

ré-munération des travailleurs [Gesetzes vom 12. April 1965 über den Schutz der

Entlo-hnung der Arbeitnehmer].

30 Il termine ‘shirking’ indica un particolare tipo di free riding: Ecco la

definizio-ne di ‘free-rider’ che fornita da Lars Udhen (2006 p. 292): “Qualcuno che raccoglie i frutti del lavoro altrui in un’impresa collettiva o, più precisamente, chi gode di benefi-ci derivanti da beni collettivi senza contribuire ai costi della loro produzione”.

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che se potrebbero determinare un vantaggio quasi esclusivamente per il dato-re di lavoro e (a particolari condizioni) risultadato-re sfavodato-revoli per i dipendenti.

Bibliografia31

Alchian, A. / Demsetz, H. (1972) Production, Information, Costs and Economic Or-ganization. In: “The American Economic Review”, vol. 62, 777-795.

Bergmann, G. (1951) Ideology. In: “Ethics”, vol. 61, 205-218.

Bianchi N. / Cintolesi E. / Civitareale S. (2000) Rimborsi spese e fringe benefits in a-zienda, Giuffrè, Milano.

Geiger, T. (1953) Ideologie und Wahrheit. Luchterhand, Neuwied-Berlin, 1968. Kelsen, H. (1934) Reine Rechtslehre. Einleitung in die rechtswissenschaftliche

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Milgram, S. (1974) Obedience to authority: an experimental view. Tavistock, London. Richard, T. (2008) Free Riding. Harvard University Press, Harvard.

Tiersma, P. M. (1992) Acceptance and Promise. In: “U. C. Davis Law Review”, vol. 26, 1-86.

Udhen, L. (2006) Free-Rider. In: International Encyclopedia of Economic and Sociol-ogy. Routledge, New York-Oxon, 292-293.

Vavassori, M. (2004) Gli stipendi degli italiani, ETAS, Milano.

$ełaniec, W. (1991) Zarys filozoficznej teorii ideologii [Lineamenti di una teoria filo-sofica dell’ideologia]. Tesi di dottorato. Università Cattolica di Lublin (KUL), Lu-blin.

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Sono grata a tutti i componenti del seminario di Sant’Alberto di Butrio in par-ticolare al Prof. Giuseppe Lorini e al Prof. Amedeo G. Conte, al Prof. Wojciech $eła-niec, ringrazio inoltre la Prof. Anna Pintore, il Prof. Mario Jori, il Dr. Renato Boniardi e i due referees anonimi, per i consigli e gli interessanti spunti che mi sono stati forniti

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