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La costruzione del paesaggio nell’età dei Lumi (1749-1777). L’arte dei giardini tra medicina dello spirito e morale sensitiva

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La costruzione del paesaggio nell’età dei Lumi

(1749-1777).

L’arte dei giardini tra medicina dello spirito e

morale sensitiva

L’âge des lumières nutrì per la questione del paesaggio un interesse profondo, seppure poco sistematico e difficilmente riconducibile a un discorso unitario. Uno degli aspetti che emerse con maggiore nettezza, in particolar modo a partire dagli anni Sessanta del diciottesimo secolo, fu il legame indissolubile – che sotto certi aspetti venne a configurarsi come una vera e propria “filiazione” – tra pittura e paesaggio. Il termine “paysage” – che deriva da “pays”, di cui funse per qualche tempo da sinonimo – fu infatti inizialmente utilizzato per indicare l’omonimo sottogenere della pittura, di stile eroico o campestre, esemplificato dai capolavori di autori come Lorrain, Poussin e Salvator Rosa. Questa concezione del paesaggio, estremamente specifica e restrittiva, trova probabilmente la sua sintesi più efficace nell’omonima voce dell’Encyclopédie, redatta da Jaucourt:

PAYSAGE, s. m. (Peinture.) c’est le genre de peinture qui représente les campagnes et les objets qui s’y rencontrent. Le paysage est dans la Peinture un sujet des plus riches, des plus agréables et des plus féconds. En effet, de toutes les productions de la nature et de l’art, il n’y en a aucune que le

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peintre paysagiste ne puisse faire entrer dans la composition de ses tableaux […].1

Proprio in quanto oggetto estetico o, per riprendere una suggestiva definizione del Marchese Girardin, in quanto «vaste tableau sur le terrain»2, il paesaggio appare

perennemente sospeso tra naturalezza e storia, tra spontaneità e artificio.

Da questa definizione “ambigua” discese, in Francia più ancora che in Inghilterra, una sostanziale identificazione (non assoluta, ma indubbiamente significativa, soprattutto per quel che concerne le sue implicazioni filosofiche) tra la questione del paesaggio in generale e quella, apparentemente più circoscritta, dell’art des jardins, sulla scia della celebre affermazione attribuita a Pope secondo cui «all gardening is landscape painting»3. Nel corso del Settecento, infatti, la nozione di

“paysage” e quella di “jardin” si compenetrarono a tal punto da far sì che il giardino venisse considerato un paesaggio traslato dalla tela al terreno, in grado di riprodurre artificialmente la perfetta naturalezza,

1 Voce «Paysage», in Encyclopédie ou dictionnaire raisonné des

sciences, des arts et des métiers, 17 vol., Briasson-David-Le Breton, Paris;

poi S. Faulche, Neuchâtel 1751-1765, vol. XII, p. 212.

2 R.-L. DE GIRARDIN, De la composition des paysages, suivi de

Promenade ou itinéraire des jardins d’Ermenonville, a cura di M. Conan,

Editions du Champ Urban, Paris 1992, p. 18.

3 Affermazione di Alexandre Pope riportata da J. SPENCE, Anecdotes, Observations, and Characters of Books and Men, a cura di J. M. Osborn,

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servendosi però paradossalmente – come ebbe modo di osservare Watelet – di «effets que l’art ne peut imiter»4.

La fusione tra paesaggio e giardino si concretizzò, com’è noto, nel prevalere del giardino all’inglese (chiamato non a caso anche jardin pittoresque o, a partire dai primi anni dell’Ottocento, jardin paysager) sul giardino alla francese. Mentre quest’ultimo era caratterizzato da forme regolari e superfici livellate, piante tagliate geometricamente e specchi d’acqua accuratamente incastonati tra viali a forma di quadrato o cerchio, nel caso del giardino all’inglese si prediligeva l’irregolarità e il disordine. Esso veniva a configurarsi essenzialmente come un tappeto erboso steso su un terreno accidentato, dove gli arbusti e i fiori di campo dovevano apparire disseminati dai capricci del sole e del vento, in mezzo a foreste, boschetti incolti e acque correnti o stagnati5.

Il trionfo del giardino all’inglese fu un trionfo teorico prima ancora che pratico. Se il primo autentico jardin

4 C.-H. WATELET, Essai sur les jardins, Prault-Saillant & Nyon-Pissot, Paris 1774, p. 98.

5 Sul giardino paesaggistico esiste una letteratura molto ampia. Ci limitiamo a rinviare – oltre che al classico contributo di M.-L. GOTHEIN, Geschichte der Gartenkunst (Jena 1914); trad. inglese A History of Garden Art, Hacker Art Books, New York 1979 – a J. CARRÉ, A. PARREAUX e M.

PLAISANT (a cura di), Jardins et paysages: le style anglais, 2 vol., Publications de l’Université de Lille III, Lille 1977; D. WIEBENSON, The picturesque Garden in France, Princeton University Press, Princeton 1978;

J. D. HUNT, Gardens and the Picturesque: Studies in the History of Landscape Architecture, MIT Press, Cambridge (Mass.) 1992; T. CALVANO,

Viaggio nel pittoresco: il giardino inglese tra arte e natura, Donzelli, Roma

1996 e F. FRANCHI, Promenade au pays des émotions: le jardin des

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paysager francese fu la celebre tenuta di Ermenonville (1766-1776), dove venne data sepoltura a Rousseau, seguito dal parco di Le Rency (1769-1783) e da quello di Monceau (1773), una vivace riflessione sul giardino paesaggistico si era già sviluppata a partire dal 1749. In quell’anno furono infatti date alle stampe le Lettres édifiantes et curieuses di Jean-Denis Attiret. Questo missionario gesuita di stanza a Pechino offrì la prima dettagliata descrizione del Yüan-ming Yüan, il Giardino dei Giardini dell’Imperatore della Cina, esempio emblematico di Sharawadgi, vale a dire l’arte dell’irregolarità e della “naturalizzazione” dell’artificio6.

A partire dalla pubblicazione dell’opera d’Attiret, sino a giungere a quella di De la composition des paysages del già citato Girardin (1777), si susseguirono numerosi scritti tesi esplicitamente a indagare il valore non solo estetico, ma anche epistemologico e politico, del giardino paesaggistico. Queste opere si caratterizzarono per una notevole eterogeneità letteraria: si spaziava dal semplice manuale pratico all’album descrittivo, dal saggio erudito al trattato. Un esempio particolarmente riuscito di questa “contaminazione” stilistica è offerto dall’opera dell’Abate Jacques Delille Les jardins, ou l’art d’embellir les paysages (1782), poema didascalico in quattro canti, preceduto da una lunga prefazione teorica. Un ruolo fondamentale fu inoltre giocato dai numerosi romanzi che, sulla scia della Nouvelle Héloïse di Rousseau (1761),

6 Cfr. J. BALTRUSAITIS, Aberrations (Paris 1957); trad. it. Aberrazioni,

Adelphi, Milano 1983, pp. 116-154; C. MURRAY, Sharawadgi: The

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fecero penetrare con forza il giardino all’inglese nell’immaginario collettivo.

Si proverà a mettere in luce come, tra le numerose suggestioni che s’intrecciarono in questo fecondo dibattito, sia possibile individuare anche alcune premesse medico-fisiologiche e filosofiche generalmente trascurate dalla (pur ricchissima) letteratura critica dedicata al soggetto in questione. Ci si propone innanzitutto di fare emergere come nel processo di “costruzione” del paesaggio tipico dell’arte dei giardini confluì il contributo della cosiddetta “medicina dello spirito”, una branca parigina della scuola di Montpellier che incentrava la sua riflessione terapeutica sulla possibilità d’individuare corrette disposizioni fisiologiche per favorire il benessere spirituale. La stessa necessità di “servirsi” del paesaggio per favorire l’insorgere di determinati sentimenti trova un pendant filosofico importante nell’idea di “morale sensitiva”, teorizzata apertamente da Rousseau, ma implicitamente rintracciabile in diversi autori a lui contemporanei.

I. La questione del paesaggio, pur nascendo come una problematica prettamente estetica, si colorò ben presto di sfumature etiche. Il paysage, infatti, anche inteso in quella sua connotazione spaziale e “materiale” tipica del jardin, può essere compreso esclusivamente alla luce della relazione che viene a instaurarsi tra il luogo stesso e lo spettatore. Il suo senso più profondo, come ebbe modo di osservare nuovamente Jaucourt, non risiede a ben vedere negli oggetti che esso designa, quanto piuttosto

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nel modo in cui questi oggetti vengono percepiti: «Cette sorte d’imitation [le paysage héroïque] ne sauroit nous émouvoir que dans les momens de la mélancholie, où la chose imitée par le tableau peut sympathiser avec notre passion. Dans tout autre état le paysage le plus beau […] ne nous intéresse pas plus que le feroit la vûe d’un canton de pays affreux ou riant»7.

Per questo motivo, lo studio del paesaggio contribuì in maniera non irrilevante all’elaborazione della categoria dei “caractères”, vale a dire le disposizioni psicofisiologiche suscitate da un ambiente specifico. La trattatistica sui giardini abbonda infatti di tentativi di descrivere questa sorta di “dialogo” che s’instaura tra il soggetto e il paesaggio, attraverso le delineazione di classificazioni spesso ardite e talvolta confuse. Watelet, che fu tra i primi in Francia ad accostare l’arte dei giardini alla pittura, distingue tra giardini nobili, dilettevoli, seri, tristi, magnifici, voluttuosi, terribili e meravigliosi. Quest’ultimo genere, a sua volta, è suddiviso in giardino poetico, in grado di trasportare l’osservatore in epoche e luoghi remoti, e giardino fiabesco, che spalanca di fronte all’io una dimensione completamente nuova8. Girardin, dal canto suo, introduce

apertamente una dicotomia tra i paesaggi pittoreschi, che affascinano l’occhio, e i paesaggi filosofici, che plasmano lo spirito9. Al di là della specificità delle singole

tassonomie proposte, tutte queste classificazioni appaiono

7 Voce «Paysage», in Encyclopédie, cit., vol. XII, p. 212.

8 Cfr. C.-H. WATELET, op. cit., p. 80 e ss.

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accomunate dal riconoscimento dello stretto legame che esiste tra la dimensione fisiologica e quella psicologica o, per utilizzare una coppia concettuale particolarmente fortunata nel Settecento, tra il “physique” e il “moral”. Letourner, celebre traduttore di Shakespeare in francese, non esitò a introdurre l’aggettivo “romantique” proprio per designare questa prerogativa del giardino all’inglese:

Le mot anglais [romantique] est plus heureux et plus énergique [que romanesque et pittoresque]. En même temps qu’il renferme l’idée de ces parties groupées d’une manière neuve et variée, propre à étonner les sens, il porte de plus dans l’âme le sentiment doux et tendre qui naît à leur vue, et joint ensemble les effets physiques et moraux de la perspective.10

Il fatto che lo studio del giardino paesaggistico implichi una comprensione globale della sensibilità umana (jardin de la sensibilité è un’altra delle espressioni con cui venne indicato il giardino all’inglese) giustifica l’interesse che la tematica suscitò anche nella letteratura medica, in particolare nell’ambito della cosiddetta “medicina dello spirito”. Con questa espressione si indica una branca della medicina vitalistica, coltivata da médecins-philosophes di ambiente parigino attorno alla metà del secolo11. Rispetto ai confrères di Montpellier,

10 P. LETOURNER, Discours extrait des différentes préfaces, nota di p.

CXVIII; citazione tratta da F. FRANCHI, op. cit., p. 66.

11 Accanto ai contributi classici di J. ROGER (Les Sciences de la vie

dans la pensée française au XVIIIe siècle, Albin Michel, Paris 1963) e di L.

DULIEU (La Médecine à Montpellier, Presses Universelles, Avignon 1975, vol. III), si rimanda ai seguenti lavori più recenti: A.C. VILA, Enlightenment and Pathology, Johns Hopkins University Press, Baltimore 1998; R. REY,

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questi autori accentuarono la volontà di sviluppare una psico-fisiologia in grado di spiegare in modo esauriente il ruolo della sensibilità nella natura umana. Le loro opere, nonostante alcune oscillazioni riguardanti la patologia o la nosologia, sono accomunate da due importanti assunzioni di fondo: (i) la malleabilità reciproca di mente e corpo e (ii) la volontà d’individuare corrette disposizioni fisiologiche, ottenibili anche tramite manipolazioni esterne, in grado di favorire il benessere psicologico e morale.

I risultati più significativi e che ebbero una maggiore risonanza furono quelli ottenuti da Antoine Le Camus, la cui opera più importante, intitolata proprio La Médecine de l’esprit (1753), si può considerare un manifesto programmatico dell’intero movimento. L’originalità di questo scritto consisteva nel fatto di trattare non delle affezioni del cervello o della loro classificazione, come la maggior parte delle opere coeve dedicate a un argomento analogo, bensì delle cause fisiche suscettibili d’influire sulle disposizioni dell’anima, e dei mezzi per prevenirne e guarirne le perturbazioni.

In particolar modo nelle ultime due parti dell’opera – dedicate rispettivamente all’indagine pratica delle cause fisiche che influiscono sullo spirito e all’uso terapeutico in senso morale di tali cause (la “medicina dello spirito” vera e propria) – Le Camus delinea quella che si può considerare una vera e propria “scienza delle sensazioni”, che trova nel paesaggio uno dei suoi terreni di

du XVIIIe siècle à la fin du Premier Empire, Voltaire Foundation, Oxford

2000; E. A. WILLIAMS, A Cultural History of Medical Vitalism in

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applicazione privilegiati, come emerge già dall’incipit del secondo libro:

Il n’est rien de désuni dans la nature. Tout s’y lie à tout: et l’homme, cet être que son orgueil voudroit séparer des autres, y est tellement uni à l’air, à l’eau, au feu, à la terre, qu’il cesse d’être si on le sépare de ces éléments qui lui conservent la vie, qui contribuent à sa santé, et qui modifiant différemment son corps, doivent nécessairement modifier différemment son esprit. Tout ce qui produit, environne ou entretient notre corps, peut donc apporter des changements notables dans nos âmes.12

La medicina dello spirito è così costruita a partire dall’ambiente esterno, in cui vanno ricercate «toutes les causes matérielles qui forcent l’âme et le corps à exercer des fonctions conformes à leur nature»13. Tra queste cause

fisiche in grado di spiegare i mutamenti spirituali, quelle legate esclusivamente al soggetto (la generazione, il sesso e l’età) sono infatti difficilmente controllabili, mentre la figura del medico sembra poter incidere profondamente su quelle legate all’esteriorità, come il clima, le stagioni o il regime di vita.

Il rapporto con il paesaggio, in tale prospettiva, diviene parte integrante sia dell’igiene, cioè quella parte della medicina «concernant la conduite qu’il faut tenir pour la conservation de la santé actuellement existente»14,

sia della terapeutica, che si occupa di ristabilire la salute

12 A. LE CAMUS, La Médecine de l’esprit, Ganeau, Paris 1753, 2 vol.,

vol. I, p. 179.

13 Ivi, p. XIV.

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perduta. Poiché la patologia scaturisce da una mancanza di equilibrio tra il fisico e il morale, che conduce a uno snaturamento del secondo aspetto, nulla vieta di servirsi della dimensione fisica per riconquistare la serenità spirituale.

Per mostrare la validità della tesi secondo cui la «nature des idées [est] conforme aux lieux où l’on est», Le Camus si sofferma significativamente su una dettagliata descrizione dei sentimenti suscitati sullo spettatore da differenti giardini, paesaggistici e non. Si tratta di un esempio eclatante di come il paesaggio possa essere “costruito” per assolvere una specifica funzione morale: «Pour rendre la chose encore plus sensible, parcourons différens lieux que l’art a arrangé pour nos plaisirs, en cherchant à exciter en nous divers séntimens ausquels l’ame la moins souple ne peut se refuser». Il parco di Bagnolet, ad esempio, rende inclini alla solitudine e predispone alla meditazione: «On y réfléchit malgré soi, et l’on n’y connoît d’autre étude que la Morale et la Philosophie». Il giardino di Saint Cloud, grazie alla sua cascata, favorisce invece l’estro poetico: «Celui qui se promene dans le Parc de Saint Cloud erre avec les Nymphes et les Nayades; son cœur se dispose insensiblement à la tendresse, et au pied de la Cascade il médite les saillies d’une Chanson, les murmures de l’Elégie, ou la chûte d’un Madrigal». Versailles, dal canto suo, in quanto emblema del “vecchio” giardino geometrico e artificiale, non può che suscitare sentimenti ambigui e negativi, legati al trionfo dell’apparenza sociale: «Il semble que toutes les démarches et tous les

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gestes soient à découvert: on dissimule, et par une addresse de la vanité on cherche à paroître ce qu’on n’est pas»15.

Al termine di quest’analisi Le Camus, coerentemente con l’impianto empiristico di stampo lockiano che caratterizza la sua opera, invita il lettore a verificare di persona la correttezza della sua ipotesi, passeggiando dapprima nei giardini di Luxembourg e poi in quelli delle Tuileries, per accorgersi delle «diverses motions des sens» che derivano dai differenti paesaggi. Questa sorta di esperimento, pur implicando precise premesse mediche (una teoria umorale rivisitata, l’attribuzione di un ruolo specifico alle fibre e al sistema nervoso, la necessità di un equilibrio tra testa e diaframma, ecc.), ha un esplicito obiettivo “psicologico”:

Une autre conséquence bien naturelle, c’est que l’on peut quelquefois aider la faculté qui est en nous de raisonner par la situation des lieux qu’on doit choisir la plus conforme à fa-voriser le genre d’ouvrage sur lequel nous nous exerçons, et à fournir des images les plus propres à féconder notre imagina-tion.16

Il valore morale e filosofico di una simile operazione è evidente, al punto che lo stesso Le Camus non esita a individuare come interlocutori privilegiati della sua opera «les Philosophes qui s’adonnent plus volontiers à la

15 Tutte le citazioni del paragrafo sono tratte da A. LE CAMUS, op. cit., vol. II, pp. 174-175.

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Morale», i quali «trouveront une ample matière à leur réflexions»17.

Se dunque, da un lato, il compito del medico è analogo a quello del filosofo, dall’altro lato è assimilabile a quello di un abile giardiniere: «L’éducation morale […] ressemble à la culture des plantes. Celles-ci portent de plus ou de moins excellents fruits, à raison des soins que se donne le jardinier»18.

Questa metafora del medico giardiniere, usata con insistenza da Le Camus19, troverà una fedele application

romanesque nell’opera di Jean-Baptiste Louvet de Couvray Les Amours du chevalier de Faublas (1787). Il romanzo mette in scena le tragiche avventure di un giovane provinciale libertino trasferitosi a Parigi con il padre e la sorella, che cade in preda a una vera e propria pazzia dovuta agli eccessi della sua esistenza. La malattia di Faublas viene curata grazie all’intervento del dottor Willis, il cui personaggio si può considerare la fedele trasposizione letteraria di un esponente della “medicina dello spirito”. Costui mette infatti in atto una vera e propria tecnica di controllo dell’interiorità e dei sentimenti, basata su di una particolare disposizione dell’ambiente circostante. Per questo motivo prescrive a Faublas un soggiorno forzato in una casa di campagna immersa in un giardino paesaggistico, ideato al preciso fine di restaurare il disturbato equilibrio spirituale del giovane, annullando gli ardori libertini. Il padre di

17 Ivi, vol. I, p. XIV.

18 Cfr. ivi, p. 258.

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Faublas descrive questo luogo “terapeutico” nei seguenti termini:

J’ai trouvé dans le village de Dugny, près le Bourget, à trois lieues de Paris, une maison qui m’a paru convenable aux desseins de Willis. Elle est environnée d’un vaste jardin anglais que traverse une rivière assez large, mais peu profonde, et dont les eaux coulent toujours paisibles. Ses bords sont plantés de peupliers, de saules pleureurs et de cyprès. Dans ce séjour des regrets, tout semble d’abord fait pour appeler les tristes souvenirs; mais pourtant la beauté du lieu, son aspect tranquille et l’air plus pur qu’on y respire doivent promptement écarter les passions violentes et disposer l’âme à la mélancolie tendre20.

Proprio grazie alla mediazione del giardino, che da elemento esterno si trasforma in una manifestazione dell’interiorità e in uno strumento di ritorno a sé, Faublas riuscirà infine a riacquistare la ragione e ad accettare le sue esperienze intime più dolorose (nel caso specifico, la morte di due sue amanti).

II. Nel romanzo di Louvet de Couvray è più che mai evidente come l’arte del giardino sia considerata al

20 J.-B. LOUVETDE COUVRAY, Les Amours du chevalier de Faublas (1787), L. Boulanger, Paris 1894, pp. 526-527. Sul giardino progettato da Willis si rimanda a S. LE MÉNAHÈZE, Le jardin pittoresque entre ouverture

et exclusion: les paradoxes de l’intimité, in Jardins et intimité dans la littérature européenne (1750-1920), a cura di S. Bernard-Griffiths, F. Le

Borgne e D. Madelénat, Presses Universitaires Blaise-Pascal, Clermont-Ferrand 2008, pp. 41-53; E. LAVEZZI, La répétition théâtrale dans Faublas

de Louvet et Adieu de Balzac, in Espaces, objets du roman au XVIIIe siècle:

hommage à Henri Lafon, a cura di J. Berchtold, Presses Sorbonne Nouvelle,

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contempo parte integrante della medicina e della morale. La metafora medica era d’altronde penetrata profondamente nella trattatistica sui giardini, a tal punto che già Watelet, pur adottando un punto di vista prevalentemente estetico, se n’era servito per mettere in rilievo l’enorme influenza che il paesaggio può avere sulle emozioni dell’anima:

Alors l’hommetourmenté de son désœuvrement, demande aux objets dont il est entouré, des impressions qui manquent trop souvent à son âme vide ou languissante; et devenue difficile dans le choix des sensations, comme un malade dans celui des mets qui lui sont offerts, il porte ses désirs jusqu’à la sensualité; ce sentiment délicat qui exige les relations les plus parfaites entre les objets extérieurs, les sens et l’état de l’âme.21

Grazie al triplice progresso verso cui è in grado d’innalzare la natura (dalla semplice utilità alla comodità, sino a giungere al godimento sensuale), il giardino diventa per Watelet il luogo per eccellenza dove la necessità fisiologica, estetica e morale possono coincidere.

La rilevanza apertamente filosofica ed etica del paesaggio sarà accentuata, pochi anni più tardi, da Jean-Marie Morel, celebre architetto specializzato proprio nella progettazione di giardini paesaggistici, nonché artefice dei lavori preparatori per Ermenonville. L’arte che egli illustra nella sua Théorie des jardins (1776) è infatti una vera e propria “filosofia del giardino”, una

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tecnica tesa a raggiungere la felicità esclusivamente attraverso la scelta e la disposizione degli oggetti circostanti:

Si je savois comment des objets hors de l’homme agissent sur lui, comment des êtres insensibles et souvent immobiles mettent ses sens en mouvement, et comment ensuite de pures sensations produisent des sentimens; si je pouvois calculer jusqu’à quel point l’éducation et l’habitude […] influent sur ses goûts, ses jugements et modifient ses affections; de ces connaissances physiques et morales, j’en déduirais aisément les causes de la convenance et de la disconvenance qui font que les objets, selon la manière dont ils lui sont présentés, l’attirent ou le repoussent, l’égayent ou l’attristent, en un mot lui plaisent ou lui déplaisent. Sans doute que ces principes, bien développés et appliques à l’art des Jardins, repandroient un grand jour sur la matière qui j’ai à traiter, mais cette tâche est trop au-dessus de mes forces: il n’appartient qu’à cette partie de la Philosophie, qui fonde le profondeur de la Méthaphysique, d’arriver jusqu’à ces premiers éléments.22

Questo nuovo status attribuito al paesaggio nella seconda metà del Settecento verrà rimarcato con lucidità, agli albori del secolo successivo, da Alexandre de Laborde, importante archeologo e uomo politico che fu anche uno dei primi “storici” dei giardini paesaggistici. Nella sua Description des nouveaux jardins de la France et de ses anciens châteaux (1808) Laborde annovera apertamente l’arte dei giardini tra le scienze morali, considerandola, più nello specifico, come una branca della filosofia che si deve occupare dello studio delle

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«lois de cette espèce de symphathie» che regolano il rapporto tra l’io e il paesaggio:

L’art des jardins, dont le but consiste à imiter la nature, à la transporter sous nos yeux devient alors, si on le considère philosophiquement, une science morale qui tient autant au sentiment qu’à l’imagination, et qui peut contribuer beaucoup à détruire ou à conserver les impressions que l’on éprouve.23

La reiterata affermazione della valenza terapeutica ed etica del giardino all’inglese non può essere banalmente considerata uno sterile topos letterario. Essa, al contrario, rivela un orizzonte di pensiero condiviso al quale può essere ricondotta una parte significativa della riflessione settecentesca sul paesaggio, vale a dire la morale sensitive. Questa «school of thought», pur essendo indubbiamente «closely associeted with Jean-Jacques Rousseau, who invented its name, if not its basic principles»24, si è sviluppata indipendentemente dalla sua

opera e ne ha, almeno in parte, fornito il materiale di riflessione.

L’idea di potersi servire della dimensione fisico-fisiologica per favorire quella morale rappresentò sempre uno dei grandi sogni intellettuali di Rousseau. Durante il soggiorno all’Ermitage del 1756, egli aveva addirittura progettato di scrivere un’opera, intitolata La Morale sensitive ou le Matérialisme du sage, nella quale si proponeva d’indagare l’influenza che gli oggetti esterni

23 A. DE LABORDE, Description des nouveaux jardins de la France et de

ses anciens châteaux, Delance, Paris 1808, p. 2. 24 A. C. VILA, op. cit., p. 182.

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hanno necessariamente sull’interiorità a causa della natura primariamente recettiva dell’essere umano, per poi auspicare una riforma dell’animo che, invece di compiersi mediatamente attraverso prescrizioni e ordinanze razionali, si potesse compiere immediatamente grazie all’ausilio del mondo esterno:

En sondant en moi-même et en recherchant dans les autres à quoi tenoient ces diverses manieres d’être je trouvai qu’elles dépendoient en grande partie de l’impression antérieure des objets exterieurs, et que modifiés continuellement par nos sens et par nos organes, nous portions sans nous en appercevoir, dans nos idées, dans nos sentimens, dans nos actions mêmes l’effet de ces modifications.

L’obiettivo del saggio sarà allora quello di riuscire a creare «un régime extérieur qui varié selon les circonstances pouvoit mettre ou maintenir l’âme dans l’état le plus favorable à la vertu», sino a «forcer l’économie animale à favoriser l’ordre moral qu’elle trouble si souvent!»25.

Un simile progetto, incentrato sulle nozioni di remède e régime, e sulla volontà di far coincidere i due termini, mostra la perfetta convergenza tra un ideale medico e un ideale filosofico, al contempo estetico ed etico. La “moralizzazione” dell’igiene resa possibile dalla “costruzione” dell’ambiente esterno consente infatti a Rousseau di raccogliere una sfida teorica estremamente ardua, cioè quella di fondare un “nuovo” materialismo

25J.-J. ROUSSEAU, Confessions, in Œuvres complètes, a cura di B.

Gagnebin e M. Raymond, Gallimard, Paris 1959-1995, 5 vol., vol. I, pp. 408-409.

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ugualmente distante dal riduzionismo del morale al fisico e dal rigido dualismo tra questi due aspetti26. Il tentativo

di far interagire la sensibilità fisica e quella morale, mettendo la prima al servizio della seconda, trova una magistrale trasposizione letteraria nella più celebre descrizione settecentesca di giardino all’inglese, vale a dire l’Eliso della Nouvelle Héloïse.

L’undicesima lettera della quarta parte del fortunatissimo romanzo epistolare, che già Gilson considerava una realizzazione paesaggistica del progetto concepito all’Ermitage27, racchiude l’intera teoria

dell’interazione tra l’individuo e l’ambiente, nonché della valenza terapeutica di quest’ultimo sull’anima. L’influsso dell’economia animale sull’ordine morale è infatti manifesto sin dalle prime righe della descrizione del giardino, quando Saint-Preux, dopo averne varcato la soglia, si rende conto che la disposizione degli oggetti che lo circondano «a changé sur-le-champ tout l’état de [s]on ame. J’ai cru voir l’image de la vertu où je cherchois celle du plaisir»28. Questa esperienza è così

forte da far perdere al giovane la percezione del mondo esterno:

26 Per indicazioni bibliografiche sulla complessa questione della morale sensitiva mi permetto di rinviare a M. MENIN, Il libro mai scritto. La morale

sensitiva di Rousseau, Il Mulino, Bologna 2013; ID., “Forcer l’économie animale à favoriser l’ordre moral”. La dialectique de la liberté et de la nécessité selon Rousseau: de La Morale sensitive à La Profession de foi, «Revue Philosophique de Louvain», 112 (1), 2014, pp. 1-26.

27 Cfr. E. GILSON, La méthode de M. de Wolmar, in Les idées et les lettres, Vrin, Paris 19552, pp. 275-298, in particolare p. 293 e ss.

28 J.-J. ROUSSEAU, Nouvelle Héloïse, in Œuvres complètes, cit., vol. II, p. 486.

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En entrant dans ce prétendu verger, je fus frappé d’une agréable sensation de fraîcheur que d’obscurs ombrages, une verdure animée et vive, des fleurs éparses de tous côtés, un gazouillement d’eau courante et le chant de mille oiseaux, porterent à mon imagination du moins autant qu’à mes sens; mais en même tems je crus voir le lieu le plus sauvage, le plus solitaire de la nature, et il me sembloit d’être le premier mortel qui jamais eût pénétré dans ce désert.29

La dimensione altra dell’Eliso, che è richiamata a partire dal suo nome mitologico, non è semplicemente imputabile alla sua separatezza materiale, ma in particolar modo all’effetto morale che suscita sull’anima e sull’immaginazione oltre che sui sensi. La sua capacità di rispecchiare la purezza e l’innocenza della condizione originaria scaturisce in realtà da una raffinata costruzione dell’ambiente circostante, che ricorda sotto molti aspetti l’arte dello Sharawadgi descritta da Attiret, la cui opera era ben nota a Rousseau30. Nel verger métamorphosé di

Julie, dove la natura è educata per essere selvatica, si rinviene solo quello che ci deve naturalmente essere: non c’è nulla di esotico, di artificiale o di estraneo alla natura stessa. In esso si ritrova, in altre parole, unicamente ciò che vi si sarebbe potuto trovare anche spontaneamente, se

29 Ivi, p. 471.

30 Cfr. L. MARIN, L’Effet Sharawadgi ou le jardin de Julie: notes sur un

jardin et un texte, «Traverses», 5 e 6, 1976, pp. 114-131 e G. QIANG, Rousseau et le jardin chinois, in Jean-Jacques Rousseau et la lecture, a cura

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si fossero cioè prodotte tutte quelle condizioni favorevoli che solo l’intervento di Julie ha saputo e potuto riunire31.

Per questi motivi l’Eliso è costruito «sans ordre et sans symétrie», attraverso «des allées tortueuses et irrégulieres» immerse tra «mille fleurs des champs […] qui sembloient croître naturellement avec les autres»32. La

linea retta, simbolo di una cultura violenta, non può che essere condannata poiché distrugge e sciupa la vera dimensione naturale, che è generalmente occultata agli occhi umani e può essere recuperata solo rispettandone le leggi:

Je me figure […] un homme riche de Paris ou de Londres, maître de cette maison et amenant avec lui un architecte cherement payé pour gâter la nature. Avec quel dédain il entreroit dans ce lieu simple et mesquin! Avec quel mépris il feroit arracher toutes ces guenilles! Les beaux alignemens qu’il prendrait!33

Il giardino alla francese, esattamente come nella Médecine de l’esprit di Le Camus (altra opera conosciuta da Jean-Jacques) viene descritto, non senza una buona dose di ironia, come un giardino completamente snaturato. Tutto ciò che assume una funzione culturalmente positiva nell’Eliso si ribalta in esso nella

31 Sull’Eliso come giardino paesaggistico cfr. E. COCCO, Etica ed estetica del giardino, Guerini e Associati, Milano 2005, p. 131 e ss.; E.

FIORANI, Il naturale perduto. Una crisi ecologica nella modernità, Dedalo,

Bari 1989, p. 114 e ss.

32 J.-J. ROUSSEAU, Nouvelle Héloïse, in Œuvres complètes, cit., vol. II,

p. 473.

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manifestazione più deleteria della cultura stessa. Dopo aver deriso i «petits bosquets à la mode, si ridiculement contournés qu’on n’y marche qu’en zigzag et qu’à chaque pas il faut faire une pirouette» e dopo aver notato come «on croiroit que la nature est faite en France autrement que dans tout le reste du monde, tant on y prend soin de la défigurer»34 viene prefigurato, con pochi ma decisivi

tratti, il falso giardino, che altro non è se non una sorta di teatralizzazione della natura stessa, ove si assiste al completo trionfo dell’apparenza:

Je suis persuadé que la tems approche où l’on voudra plus dans les jardins rien de ce qui se trouve dans la campagne; on n’y souffrira plus ni plantes, ni arbrisseaux: on n’y voudra que des fleurs de porcelaine, des magots, des treillages, du fable de toutes couleurs et de beaux vases pleins de rien.35

Il “paysage” dell’Eliso non ripropone dunque banalmente una naturalezza originaria (come quella dello stato di natura36), indubbiamente innocente ma priva di

implicazioni normative, ma implica un’attenta “costruzione” morale del paesaggio. Proprio poiché si tratta, come ha osservato Starobinski, di «une nature reconstruite par des êtres raisonnables qui ont passé de l’existence sensible à l’existence morale»37, l’Eliso può

34 Ivi, pp. 479 e 481.

35 Ivi, p. 480.

36 Cfr. A. LOCHE, Immagini dello stato di natura in Jean-Jacques Rousseau, Angeli, Milano 2003, in particolare pp. 199-204.

37 J. STAROBINSKI, Jean-Jacques Rousseau. La transparence et

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assurgere a simbolo di quel bonheur pacato e puro che Julie ha raggiunto attraverso la vita coniugale condotta nella comunità di Clarens. Questa convinzione circa la possibilità di costruire un regime esterno favorevole alle disposizioni morali è sintetizzata da Rousseau attraverso un’efficace formula messa in bocca proprio alla protagonista del suo romanzo epistolare: «II est vrai, dit-elle, que la nature a tout fait, mais sous ma direction, et il n’y a rien la que je n’aie ordonné»38.

***

In conclusione, l’analisi delle suggestioni medico-fisiologiche (la medicina dello spirito) e filosofiche (la morale sensitiva) che confluirono nella riflessione francese settecentesca sul paesaggio fa emergere come la tematica del giardino riveli per tappe successive la propria fecondità, che non si esaurisce in alcun modo nell’ambito estetico e letterario, ma assume precise connotazioni morali, sino a diventare espressione di un peculiare sentimento dell’esistenza.

L’immagine del giardino come «premier bienfait de la Divinité [et] premier séjour de l’homme heureux»39,

evocata non a caso dal Marchese Girardin in apertura della sua celebre opera, era ormai stata completamente capovolta. Il trionfo del giardino paesaggistico, vero e proprio Eden laico del diciottesimo secolo, sancisce la consapevolezza di come la vera dimensione naturale non

38 J.-J. ROUSSEAU, Nouvelle Héloïse, in Œuvres complètes, cit., vol. II, p. 472.

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possa essere mai banalmente data, ma debba essere continuamente scelta e conquistata. L’uomo del Settecento, in altre parole, proverà a costruire incessantemente il paesaggio circostante allo stesso modo in cui si sforzerà di costruire pazientemente la sua fragile felicità terrena40, nella speranza che «le plaisir de cultiver

son jardin» possa rivelarsi «le moyen le plus sûr de prévenir les maux de l’âme et du corps»41.

MARCO MENIN

(Università degli Studi di Torino Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione)

40 Cfr. R. MAUZI, L’idée du bonheur dans la littérature et la pensée

françaises au XVIIIe siècle, Colin, Paris 1960. Secondo Mauzi, «l’influence

des sensations sur l’âme constitue la clé du sentiment de la nature au XVIIIème siècle, qui n’est pas une exaltation gratuite, un pur élan de la sensibilité, mais une expression particulière du sentiment de l’existence. Il s’élabore, et la nuance affective dont il se colore dépend de la disposition matérielle des objets, de la manière dont les sensations se transmettent à l’âme» (ivi, pp. 319-320).

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