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Male metafisico e semplice privazione

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Academic year: 2021

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Male metafisico e semplice privazione

Il male è presente nel mondo, inutile negarlo. I pensatori di ogni epoca si sono interrogati su questo problema, ma mai (o quasi) ne hanno negato l'esistenza; e la disputa sulla presenza del male nel mondo non poteva che essere la questione cruciale anche nella Teodicea: su tale questione Leibniz si assume in prima persona un compito apologetico fondato sulla certezza a priori della santità, della bontà e della giustizia di Dio, in modo da ammettere che Dio poté permettere il male senza venir meno a tutti quegli attributi della sua divinità. A questo riguardo, nella Prefazione della Teodicea il filosofo tedesco precisa: «Quanto all'origine del male, vista in relazione a Dio, faremo un'apologia delle sue perfezioni, in grado di mettere in rilievo la sua santità, la sua giustizia, la sua bontà, non meno della sua grandezza, della sua potenza e della sua indipendenza. Faremo vedere come sia possibile che tutto dipenda da lui, come egli concorra a tutte le azioni delle creature e come anche – se proprio lo volete – crei continuamente queste creature, senza tuttavia essere l'autore del peccato. Si mostrerà anche in che modo deve concepirsi la natura privativa del male, faremo anzi di più: mostreremo come il male abbia una fonte diversa dalla

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volontà di Dio e che per questo è giusto dire, a proposito del male di colpa, che Dio non lo vuole ma lo permette solamente. Ma – e questa è la cosa più importante – mostreremo come Dio abbia potuto permettere sia il peccato, sia la miseria, e persino concorrervi e contribuirvi, senza pregiudizio della sua santità e della sua bontà suprema, per quanto, assolutamente parlando, avrebbe potuto evitare tutti questi mali»1. È necessario precisare che, prendendo questa

posizione, Leibniz non intendeva assolutamente negare o minimizzare l'esistenza e la drammaticità del male, cosa che invece molti avversari sottolinearono dopo aver studiato i contenuti della Teodicea.

A livello speculativo e metafisico Leibniz elabora una spiegazione sulla causa del male che riesce (almeno in parte) a non coinvolgere né l'uomo né Dio, proprio come cercherà poi di fare Rousseau. L'origine del male infatti «va ricercata nella natura ideale della creatura, in quanto questa natura è racchiusa nelle verità eterne presenti nell'intelletto di Dio, indipendentemente dalla sua volontà. Bisogna infatti considerare che c'è un' i m p e r f e z i o n e o r i g i n a r i a n e l l a c r e a t u r a, già prima del peccato, perché la creatura è per sua essenza limitata; di conseguenza, non può sapere tutto, può ingannarsi e commettere altri errori. […] Dio è l'intelletto, mentre la necessità, ovvero la natura essenziale delle cose, è l'oggetto 1 G.W. v. Leibniz, Saggi di Teodicea, cit., Prefazione, pp. 57-58.

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dell'intelletto, in quanto consiste nelle verità eterne. Ma questo oggetto è interno, trovandosi nell'intelletto divino. E sempre in questo intelletto si trova, oltre alla forma primitiva del bene, anche l'origine del male. Si deve infatti mettere la r a g i o n e d e l l e v e r i t à e t e r n e al posto della materia, quando si tratta di cercare l'origine delle cose. Questa ragione è la c a u s a i d e a l e del male (per così dire), così come lo è del bene; ma, per essere esatti, il formale del male non ha alcuna causalità e f f i c i e n t e, perché esso, come vedremo, consiste nella privazione, cioè in qualcosa che la causa efficiente non produce»2. Qui, utilizzando come uno scudo il concetto di male come

semplice privazione, Leibniz trova, nella ragione delle verità eterne3

presenti nell'intelletto divino, una sorta di escamotage: in questo modo Dio risulta innocente dall'accusa di aver creato il male perché queste verità eterne presenti nell'intelletto di Dio riescono, essendo «assolutamente necessarie», ad essere indipendenti dalla sua volontà. Di conseguenza Leibniz può ammettere che, data l'imperfezione della creatura per via della sua limitazione, la causa del male si trova nella natura ideale della creatura stessa, la quale però non si può accusare proprio per l'intrinsecità di questa causa alla sua natura. L'obiettivo di Leibniz, (dimostrare razionalmente che né Dio né l'uomo hanno colpe 2 G.W. v. Leibniz, Saggi di Teodicea, cit., Parte prima, p. 170.

3 Queste verità della ragione vengono definite nel secondo paragrafo del Discorso preliminare sulla

conformità della fede con la ragione (p. 76 della Teodicea) come «assolutamente necessarie, di modo

che l'opposto implichi contraddizione. Tali sono le verità che hanno necessità logica, metafisica o geometrica e che non possono essere negate senza cadere in manifesta assurdità».

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riguardo al male) era molto difficile da raggiungere, e questa spiegazione sembra più che altro un ingegnoso espediente per assolvere sia Dio che il genere umano da tale accusa.

Ma queste sono soltanto le operazioni preliminari, la delimitazione del campo della contesa attraverso i tre tipi di male che Leibniz individua nel mondo: «Il male metafisico consiste nella semplice imperfezione, il male fisico nella sofferenza, il male morale nel peccato. Ora, sebbene il male fisico e il male morale non siano necessari, basta che, in virtù delle verità eterne, siano possibili. E poiché questa immensa regione della verità contiene tutte le possibilità, vi devono anche essere un'infinità di mondi possibili, e il male deve entrare in parecchi di essi, e perfino il migliore di tutti deve racchiuderne. È questo ciò che ha determinato Dio a permettere il male»4. E proprio su questa differenziazione verteranno i punti cruciali

della teodicea di Leibniz, nonché le conseguenti dispute che questo scritto susciterà. Il mondo morale è stato creato in base a quello naturale o viceversa? Qual'è il più importante agli occhi di Dio? E agli occhi degli uomini? Oppure queste due visioni del mondo si pongono su due piani diversi e non sono di conseguenza comparabili?

Prima di continuare è necessaria una precisazione relativa alla dottrina del male come semplice privazione, la quale deriva dalla 4 G.W. v. Leibniz, Saggi di Teodicea, cit., Parte prima, p. 171.

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nozione metafisica del male come non-essere risalente agli Stoici. Pensando che la presenza dei mali si rispecchiasse in quella dei beni, in modo che non sarebbe potuta esistere la giustizia se non ci fossero state colpe e offese, oppure la verità senza la menzogna e via così, gli Stoici, e in particolare Crisippo, ritenevano che i cosiddetti mali non fossero tali di per sé, in quanto necessari all'ordine e all'economia dell'universo. E dal momento che non si può dover amare una cosa e poi considerarla cattiva, il punto di vista stoico arriva a reputare buona ogni cosa esistente e a ridurre il male appunto al non-essere. Questa riduzione del male diventerà in seguito molto più esplicita con il neoplatonismo, in particolare con Plotino: «Se tali sono gli enti e tale è ciò che è al di là degli enti [cioè Dio] il male non esiste né in quelli né in questo, giacché sia l'uno che l'altro è bene. Resta dunque che, se esiste, esiste in ciò che non è; e che sia una specie di non-essere e si trovi perciò nelle cose mescolate di essere o partecipanti al non-essere»5. In seguito l'identificazione del male con il non-essere

diventerà un perno centrale della filosofia cristiana: tale idea verrà ripresa da Clemente Alessandrino, da Origene e da Sant'Agostino, che la trasmetterà al mondo occidentale: «L'essere comunque non è in senso assoluto un male e questo concetto è soltanto di privazione del bene»6.

5 Plotino, Enneadi, tr. it. a c. di V. Cilento, Napoli, Bibliopolis, 1986, p. 241.

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In questo modo si giunge a una definizione negativa della genesi del male, alla quale Leibniz dà continuità rispondendo alle osservazioni scettiche di Bayle. Secondo il filosofo di Lipsia Dio è responsabile solamente dell'aspetto materiale del male, e non anche dell'aspetto formale, che consiste proprio nella privazione: «Supponiamo che la corrente di uno stesso fiume porti con sé parecchi battelli, che differiscono tra loro solo per il carico: gli uni trasportano legname, gli altri pietre; gli uni più carichi, gli altri meno. Dato ciò, accadrà che i battelli maggiormente carichi andranno più lentamente degli altri […] Paragoniamo ora la forza, che la corrente esercita e trasmette ai battelli, con l'azione di Dio, che produce e conserva quanto di positivo c'è nelle creature, e che dà loro perfezione, essere e forza; paragoniamo, dico, l'inerzia della materia con l'imperfezione naturale delle creature, e la lentezza del battello carico con il difetto che si trova nelle qualità e nelle azioni della creatura: troveremo che non c'è nulla di così calzante come questo paragone. La corrente è la causa del movimento del battello, ma non del suo ritardo; Dio è la causa della perfezione nella natura e nelle azioni della creatura, ma la limitazione della ricettività di questa è la causa dei difetti che sono nella sua azione. Perciò i platonici, Sant'Agostino e gli scolastici hanno avuto ragione a dire che Dio è la causa dell'aspetto materiale del male, che 2006, p. 555.

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consiste nel positivo, e non dell'aspetto formale, che consiste nella privazione. Allo stesso modo si può dire che la corrente è la causa dell'aspetto materiale del ritardo, senza per ciò esserlo anche di quello formale; ossia è la causa della velocità del battello, senza però essere la causa dei limiti di questa velocità. Così Dio è tanto poco la causa del peccato, quanto la corrente del fiume è la causa del ritardo del battello»7. Leibniz ravvisa in Dio un dualismo tra intelletto e volontà,

dove il primo è artefice delle nature essenziali delle cose, mentre la seconda conduce tali nature essenziali al livello dell'essere. Dio così può, col proprio volere, creare il mondo, ma non può mutarne l'essenza, e non può nemmeno essere accusato di aver posto di proposito il male nel mondo.

Intelletto e volontà, come detto, sono i due principali attributi di Dio, i quali fanno in modo che l'Onnipotente sia « l a r a g i o n e p r i m a d i t u t t e l e c o s e »8. Poiché «si deve dunque cercare la

r a g i o n e d e l l ' e s i s t e n z a d e l m o n d o, che è l'insieme delle cose contingenti, si deve cercarla nella s o s t a n z a c h e h a i n s é l a r a g i o n e d e l l a p r o p r i a e s i s t e n z a, e che, di conseguenza, è necessaria ed eterna.»9. Un ulteriore implicazione

consiste nel fatto che la causa sia intelligente: dal momento che

7 G.W. v. Leibniz, Saggi di Teodicea, cit., Parte prima, p. 178.

8 G.W. v. Leibniz, Saggi di Teodicea, cit., Parte prima, p. 156.

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questo mondo è caratterizzato dalla contingenza e che potrebbero esistere infiniti altri mondi possibili, Leibniz ritiene che Dio, prima di scegliere quale mondo attuare, abbia vagliato tutti i mondi possibili. E questo compito di mettere a confronto una sostanza esistente con tutte le varie possibilità non poteva che essere riservato all'intelletto, in quanto possessore di tutte queste idee; eppure la scelta finale, la determinazione del mondo esistente, è compito della volontà divina. La volontà però, come ci spiega l'autore della Teodicea nella Parte seconda della sua opera, è formata da tre gradi distinti, ognuno con dei compiti specifici: «La v o l o n t à a n t e c e d e n t e o r i g i n a r i a ha per oggetto ciascun bene e ciascun male in sé, liberi da qualsiasi combinazione, e tende a favorire il bene e a impedire il male; la v o l o n t à m e d i a tende alle combinazioni, come quando si unisce un bene a un male, e così, ogni volta che il bene vi superi il male, si avrà una qualche inclinazione per questa unione; la v o l o n t à f i n a l e e decisiva, invece, risulta dalla considerazione di tutti i beni e di tutti i mali che rientrano nella nostra decisione, cioè risulta da una combinazione totale»10. E, dal momento che Dio ha fornito di ragione

gli esseri umani, contrariamente a quanto ha fatto con tutti gli altri animali, i mali derivano per concomitanza dalla natura umana. É stata quindi la volontà antecedente di Dio a regalarci la ragione,

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considerandola sicuramente un bene; e sempre questa volontà ha impedito i mali relativi. Ma quando prendiamo in esame i mali scaturiti dall'uso della ragione, il risultato sarà proprio un composto ottenuto dall'azione di questi mali e della ragione, e questo composto sarà oggetto della volontà media di Dio, la quale si prefiggerà come obiettivo la produzione oppure la distruzione di tale composto (a seconda che prevalga il male o il bene). Dunque solo nel primo di questi tre gradi la volontà non ha riguardo per l'inclinazione, mentre negli altri due gradi c'è sempre un motivo che inclina, e questo motivo è il meglio (in Dio) o ciò che la ragione ritiene sia meglio (nell'uomo).

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