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NIETZSCHE: il trionfo di Dioniso

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Friedrich Nietzsche

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Vita ed opere

• 1844, nasce a Röcken in Sassonia.

• 1844-1868, compie i suoi studi al ginnasio di Pforta e approfondisce la filologia classica all’università di Bonn e di Lipsia.

• 1868, a Basilea ottiene la cattedra di filologia. Qui conosce il compositore Richard Wagner e ne diventa amico. In questo stesso periodo aderisce alla filosofia di

Schopenhauer.

• 1872, pubblica “La nascita della tragedia”. • 1873, pubblica le “Considerazioni inattuali”.

• 1878, con “Umano troppo umano” si consuma il distacco da Wagner e dalla filosofia di Schopenhauer.

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Vita e opere 2

• 1879, rinuncia alla cattedra a Basilea e comincia una serie di viaggi e spostamenti tra ristrettezze finanziarie e problemi di salute di origine nervosa (che si concretizzavano in fortissime emicranie, indebolimento della vista, disturbi digestivi, insonnia), i quali costituiscono il motivo principale del suo abbandono dell’insegnamento.

• 1881, pubblica “Aurora”.

• 1883, “La gaia scienza”. In questo periodo conosce Lou Salomé, donna di spiccatissime doti intellettuali e di grande fascino che, pur rimanendo a sua volta affascinata dalla personalità intellettuale di Nietzsche, rifiuta un rapporto che sia qualcosa di più della semplice amicizia e finisce con il fidanzarsi con Paul Rée, amico di Nietzsche.

• Tra il 1883 e il 1888 Nietzsche vive un periodo di grande produttività: “Così parlò Zarathustra” (1883-85); “Al di là del bene e del male” (1886); “La genealogia della morale” (1887); “Il crepuscolo degli idoli”; “L’Anticristo”, “Ecce homo” (1888).

• 1889, rimane vittima a Torino di un attacco di follia – forse di origine luetica - da cui non si sarebbe più ripreso. Trascorre gli ultimi anni della vita affidato alla sorella Elizabeth e si spegne completamente incosciente, a Weimar nel 1900, in un periodo in cui le sue opere e il suo pensiero cominciano a diffondersi e ad ottenere successo e notorietà.

(4)

Il contesto culturale

Nietzsche cresce in un periodo in cui il trionfante

positivismo ottocentesco comincia ad essere

criticato e, con esso, le speranze messianiche

affidate alla scienza e al progresso. Anche per

effetto delle crisi economiche, della great

depression e per le critiche alla società industriale

e alle sue sperequazioni provenienti da vasti

ambiti della cultura, si comincia a dubitare delle

(5)

LA VITA

• Il valore principale alla luce del quale Nietzsche sviluppa le sue critiche è quello della vita,

- quella concreta della natura e del mondo,

- intesa come rigoglioso crescere di forme sempre nuove, - senza un ordine predisposto e senza un fine prestabilito, - dunque senza una razionalità interna (cfr. Schopenhauer), - ma con un continuo incessante rinnovamento in cui i contrari

si fondono, come aveva voluto Eraclito, in una nobile armonia, creano una bellezza sublime e tremenda in cui

- distruzione, morte e tragedia sono poste sempre accanto a nascita, crescita e splendore.

(6)

La nascita della tragedia e il valore

dell’ arte

Il valore della vitalità naturale,

• ebbra,

•caotica

•e rigogliosa

è colto da Nietzsche innanzitutto nella grecità

arcaica e in ciò che ha rappresentato il culmine

della sua espressività artistico-religiosa:

(7)

Apollo e Dioniso

Nietzsche vede il sorgere della tragedia dalla combinazione di spirito

dionisiaco e apollineo.

Il dionisiaco (Dioniso è il dio selvaggio della natura, cui sono dedicati numerosi culti orgiastici) è esaltazione del lato oscuro e irrazionale della vita: ebbrezza, entusiasmo per il divenire delle cose, celebrazione della violenza oscura ma creatrice, dell’affermazione orgogliosa di sé e della propria volontà di espandersi senza scopi ultimi e senza finalità ultrasensibili.

(8)

Il dionisiaco e Schopenhauer

Il dionisiaco è esaltazione di quel mondo

della volontà schopenhaueriana nel suo

essere tremendo, ingiusto e votato alla

morte e alla caducità. La musica esprime

in modo eminente questo mondo di contrasti

senza nessuna razionalità formale che

possa sistematizzarlo in un concetto

definitivo e chiaro.

(9)

Apollo

L’apollineo (Apollo è il dio solare dell’Erklärung, della

chiarità stabile e compiuta) è caratterizzato dal

•sereno equilibrio,

•dalla proporzione delle forme e

•ha permeato di sé l’arte plastica.

Qui è la “nobile semplicità e quieta grandezza” di

Winkelmann, che dà ordine e compiutezza alle cose

secondo la loro intrinseca misura e qualità.

(10)

Nella tragedia …

L’arte tragica è

1) manifestazione del fondo oscuro e irrazionale della

vita dell’uomo, in cui non vigono giustizia e ordine,

2) ma dentro la chiara e compiuta espressione

apollinea di un racconto bello e compiuto.

Qui l’apollineo nasce come limitazione al dionisiaco,

che in sé conterrebbe un’informità e un’oscurità

inesprimibile e inattingibile, una limitazione, però,

solo sufficiente a comunicare la grandiosa oscurità

del mondo della volontà, senza sovrapporgli un

cappello rassicurante e un ordine dall’esterno.

(11)

Il disordine narrato

Così nella tragedia

“Dioniso parla per bocca di Apollo”:

l’unico modo per accostarsi alla caoticità dionisiaca dell’esistenza è quello di metterla in scena, di narrarla in una storia; l’unico ordine può essere nel racconto fedele alla vita.

La razionalità, confidando nell’autonomia di Apollo, vorrebbe invece imporre alla vita un ordine dall’esterno, un ordine che non è il suo e che appare essere come un “no” alla vita un suo rifiuto e una sua negazione.

(12)

Celebrare la vita

La visione della vita che dà la tragedia, che in forme piacevoli ne racconta i suoi aspetti terribili, permette di non fuggire di fronte al suo caos, ma al contrario di celebrarlo fino in fondo, trasformando la paura in entusiasmo, la voglia di fuggire nell’ascesi e nella noluntas schopenhauriana, in voglia di aderirvi fino in fondo, cogliendone gli aspetti positivi

• di una crescita incontrastata del sé,

•di un potenziamento di sé, tutto corporeo,

•di un volere che trova in sé la propria infinita soddisfazione. Qui sta la differenza più grande tra Nietzsche e Schopenhauer e la ragione della successiva presa di distanze del nostro filosofo dall’autore del “Mondo come volontà e rappresentazione”.

(13)

Nietzsche e Wagner

La rinascita della tragedia nei tempi moderni è opera di Wagner, in cui N. vede il genio che canta miti originari legati alla terra e alla celebrazione degli aspetti di enigmatica e oscura grandezza dell’esistenza umana.

Ma già nel 1876 con la quarta “Considerazione inattuale” e successivamente, nel 1878 con “Umano troppo umano” egli

prende congedo dal compositore,

ritenendolo responsabile di una “corruzione” della musica, quando essa finisce per non esprimere altro che la necessità schopenhaueriano-cristiana di una redenzione da una colpa originaria, cosa che emergerà in modo particolare nel violento pamphlet antiwagneriano

“Il caso Wagner” del 1888.

Qui, tra le altre cose, N. si appunterà anche contro il Parsifal (ultima opera di W. datata 1882) interpretato come un dramma intriso di cristianesimo decadente e corruttore in cui l’ex amico si era secondo N. “accasciato ai piedi della croce”.

(14)

Socrate “diseducatore”

Socrate è invece colui che nella Grecia ha più di tutti rappresentato lo spirito rinunciatario e pavido nei confronti della vita. In lui la logica e la razionalità hanno espresso la volontà di mettere un cappello ottimistico e sistematico (apollineo) sulla cieca volontà di vivere. Il suo intellettualismo ha significato

•repressione degli istinti, •razionalizzazione e

•primato dell’anima sul corpo,

un primato che Platone e il cristianesimo porteranno definitivamente a compimento. Il decadere dello spirito tragico sarà parallelo a tale progressiva intellettualizzazione della vita: in Euripide i contrasti e le contraddizioni dell’esistenza saranno risolte dal Deus ex machina, un dio calato dall’esterno a risolvere la vicenda tragica in un rassicurante happy end, garante dell’ordine morale stabilito.

(15)

Decadenza contro la vita

Da Socrate in poi,

con Platone e il cristianesimo,

verrà portata a compimento questa gigantomachia contro la vita, nel momento in cui il cappello razionalistico ed intellettualistico sul caos assumerà la forma della statuizione di un mondo vero e ultrasensibile, garante dell’ordine dell’universo immanente e, come tale in possesso di un essere migliore, pieno, totale, a fronte della insufficienza e mancanza del mondo concreto. Qui nascerà il mondo “vero” contrapposto alla falsità di quello che Nietzsche ritiene essere l’unico mondo di cui bisogna tener conto, quello in cui noi siamo immersi e che in nessun modo può essere negato.

(16)

Spiegazione psicologica

È significativa la spiegazione del perché Socrate abbia portato avanti un simile processo: si tratta di un movente psicologico che risiede nel particolare carattere socratico incline all’astratto, alla nevrosi di fronte all’esistenza, alla trasfigurazione intellettuale del mondo, alla ricerca di una rassicurazione che comporta la svalutazione di tutto quanto è istintività e corporeità.

Così egli crea un mondo a sua immagine e somiglianza e produce, con il suo allievo Platone, quegli assoluti razionali che hanno tanta forza quanta è la potenza della sua malattia intellettuale.

(17)

Malattia

Socrate crede di essere il medico che

conduce l’uomo oltre la tirannia dell’istinto

ma “la più cruda luce diurna, la razionalità

ad ogni costo, la vita chiara, fredda,

prudente, cosciente, senza istinti, in

contrasto agli istinti, era essa stessa

soltanto una malattia diversa … [Socrate] fu

semplicemente a lungo malato” (Crepuscolo

(18)

Il mondo vero

socratico-platonico-cristiano

La concezione di Socrate e Platone viene portata

a compimento con il cristianesimo che ne rafforza i

caratteri di negazione del mondo e che giungerà,

attraverso la storia del pensiero fino ai giorni

nostri.

Ma

la vitalità di questa ideologia, di per sé decadente,

a sua volta decade, e viene sempre più a mancare

l’impulso della sua forza psicologica originaria.

(19)

La decadenza

Nietzsche, grazie alla sua raffinatissima sensibilità, ritiene che in generale

la crisi delle filosofie razionaliste e positiviste sia il sintomo di una più generale

crisi della civiltà moderna,

di cui egli vuole certificare la morte e a cui egli vuole al contempo opporre una nuova immagine di civiltà e di umanità. Per fare ciò sono necessari nuovi valori e nuove idee.

Decadente è tutto quel pensiero che, nel corso della storia

dell’occidente, ha costruito una sovrastruttura di concetti che imbrigliano la vita negli schemi della morale fondata su improbabili mondi sovrasensibili gabellati come la vera realtà. Tutto ciò si è affermato diventando senso comune ed ha fondato un conformismo sociale, giustificato con sistemi di pensiero razionali, compiuti, ordinati e rassicuranti, su cui il mondo contemporaneo fonda la sua illusoria stabilità.

(20)

Il metodo genealogico

Il tema della decadenza della civiltà moderna è

analizzato attraverso un metodo che intende

ricostruire le tappe del suo sviluppo. Ricostruire

una genealogia significa cercare la spiegazione dei

fenomeni culturali del nostro tempo cercandone

l’origine, l’impulso originario da cui si sono

sviluppate discipline e ambiti del sapere come la

metafisica, la morale, la religione.

(21)

L’origine della metafisica

• In particolare “una storia della genesi del pensiero” ci fa capire come tutto quanto noi oggi riteniamo come assodato nell’ambito filosofico “è una quantità di errori e di fantasie che sono sorti a poco a poco nell’evoluzione degli esseri organici, che sono cresciuti intrecciandosi gli uni agli altri. E ci vengono ora trasmessi in eredità come il tesoro accumulato in tutto il passato, come tesoro perché il valore della nostra umanità riposa su di esso”. Genealogicamente ci rendiamo conto che il valore di questa “cosa in sé” che ci restituirebbe il significato profondo del Tutto è una realtà vuota di significato perché è il prodotto di una volontà originaria, quella socratico-platonica che semplicemente affermava se stessa e la sua particolarità, ammantandola di un aura universale e fondativa.

(22)

Questa originaria volontà particolare ha

creato un mondo di favola (Crepuscolo

degli idoli), cioè il mondo “vero” di

Socrate e Platone, ora comincia a

scricchiolare. I valori supremi appaiono

oggi venir meno. Tutto quanto noi

credevamo essere fondamentale

appare privo di vero significato.

Questo è il

NICHILISMO.

(23)

Nichilismo

Oggi conosciamo l’origine dei valori assoluti:

l’intento di qualcuno che all’inizio ha voluto

affermare se stesso, dicendo che tutto

quanto egli credeva vero, perché

funzionale alla sua vita, fosse un valore

assoluto, cioè valido per tutti. OGGI

conosciamo

l’origine

dei

valori

“abbastanza per non credere più in

nessun valore”.

(24)

Nichilismo passivo

• Nichilismo passivo: la percezione del crollo del vecchio mondo degli assoluti metafisici e morali in modo che lo spirito vi si trova depotenziato, ridotto ad un nulla:

Esso è “segno di debolezza: l’energia dello spirito può essere stanca, esaurita, in modo che i fini sinora perseguiti sono inadeguati e non trovano più credito” (Frammenti Postumi, 1887). Qui lo spirito è condotto quasi a rimpiangere il buon tempo andato quando la vita risultava pregna di significato a partire da quelle metafisiche che poi si sono rivelate infondate. Quindi il nichilista passivo non può più credere ma invidia ancora chi crede.

(25)

Nichilismo attivo

È la consapevolezza che il crollo del vecchio mondo può produrne uno nuovo: “Può essere segno di forza: l’energia dello spirito può essere cresciuta tanto che i fini sinora perseguiti (convinzioni articoli di fede) le riescano inadeguati” (Frammenti postumi, 1887).

Insomma ci si rende conto che il crollo degli ideali della metafisica libera finalmente le energie vitali che quelle verità avevano tenuti compressi con la prospettiva di un mondo più vero di quello della vita concreta e delle passioni, un mondo cui era possibile pervenire negando la vita stessa con un atteggiamento ascetico e contemplativo.

(26)

La scienza

• In “Umano troppo umano” e ne “La gaia scienza” N. ritiene che la

scienza sia

1) qualcosa di positivo perché, grazie al suo rigore genealogico, rappresenta un ottimo antidoto alle nebbie della metafisica, i cui concetti vengono empiricamente disarticolati e demistificati.

2) Tuttavia anche la scienza è diventata metafisica in quanto ha preteso ad un’assoluta oggettività che intende raggiungere un ideale di pacificazione, autosufficienza e rigore logico cui “i cattivi istinti degli uomini sarebbero estranei”. In questo caso la scienza contribuisce a smorzare la forza vitale, originaria e creatrice degli uomini in un sapere “disinteressato” che costruisce un ordine unitario e razionale. Questa è l’opinione prevalente in “Così parlò Zarathustra” e “La volontà di potenza”.

(27)

La storia (l’utilità)

Un’analoga ambivalenza si ritrova per N. nella storia,

cosa che è ravvisabile anche nel titolo dello scritto

dedicato a tale tema: “Sull’utilità e il danno della

storia per la vita”.

•1) Da un lato la storia può servire come stimolo per

la vita e per un’ azione grande e orgogliosa di sé in

tre modi: a) guardando ai grandi monumenti del

passato

(storia

monumentale);

b)

ponendo

attenzione

alle

piccole

testimonianze

della

quotidianità (storia antiquaria); c) stimolando il senso

critico (storia critica) che aiuta ad andare oltre

rispetto ad ogni tradizione quando questa diventa

una gabbia;

(28)

La storia (il danno)

2) dall’altro, se la consideriamo come la lettura di un passato inarrivabile (storia monumentale) o come il luogo di testimonianze da collezionare in modo erudito (storia antiquaria), oppure come lo strumento di un giudizio che presuppone il possesso di una giustizia definitiva (lo storicismo di impronta illuministica o hegeliana – storia critica), allora la storia diviene fonte di indebolimento della personalità umana perché espressione di un’inesistente coincidenza di reale e razionale che cospira contro la vita.

(29)

Critica della verità come compimento

della lotta contro la metafisica

In sostanza ogni aspetto della cultura, sia esso

scientifico o storico, che accolga la credenza in

un mondo vero e razionale implica ipso facto la

rinuncia alla vita reale e istintiva.

Tale

credenza

va

superata

mediante

la

consapevolezza che

NON ESISTE LA VERITÀ.

Il linguaggio della scienza e del sapere è pura

convenzione e non esiste nessuna oggettività che esso

possa cogliere.

(30)

Fatti e interpretazioni

• NON ESISTONO NEMMENO I FATTI ma

solo le interpretazioni che noi ne diamo.

La realtà è mutevole, è un flusso di contrari

senza un senso e una direzione. Non vi è

concetto che possa restituircene l’oggettiva

consistenza, ma solo un’interpretazione

che produca, in questa mutevolezza, una

coerenza funzionale alla nostra vita e al

suo bisogno di sicurezza o di espansione.

(31)

«Contro il positivismo, che si ferma ai fenomeni: “ci sono solo fatti”, direi: no, proprio i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni. Noi non possiamo constatare nessun fatto “in sé”; è forse un’assurdità volere qualcosa del genere. “Tutto è soggettivo” dite voi; ma già questa è una interpretazione, il “soggetto” non è niente di dato, è solo qualcosa di aggiunto con l’immaginazione, qualcosa di appiccicato dopo. È infine necessario mettere ancora l’interprete dietro l’interpretazione? Già questo è invenzione, ipotesi. In quanto la parola “conoscenza” abbia senso, il mondo è conoscibile; ma esso è interpretabile in modi diversi, non ha dietro di sé un senso, ma innumerevoli sensi. «Prospettivismo». Sono i nostri bisogni, che interpretano il mondo: i nostri istinti e i loro pro e contro. Ogni istinto è una specie di sete di dominio, ciascuno ha la sua prospettiva, che esso vorrebbe imporre come norma a tutti gli altri istinti» (F. Nietzsche, La volontà di potenza, tr. it. Bompiani, Milano, 1994. frm 7 [60]).

(32)

Il senso e l’interpretazione

Quello di N. è dunque un

prospettivismo radicale

Vi sono tanti sensi nel mondo quanti ve ne pongono i nostri bisogni di avere un senso e la nostra volontà di creare un senso. Di qui le innumerevoli interpretazioni o prospettive che ciascuno di noi può con pari legittimità esprimere sul mondo. Di qui anche l’idea (tipicamente nietzschiana, anche se non espressa in questo modo da Nietzsche) che

l’errore è una verità debole e la verità è un errore forte

cioè che, in fin dei conti, la verità di un’affermazione dipenda dalla forza con la quale essa è stata affermata.

(33)

L’io plurimo

Se la realtà è

una collezione di eventi in sé inintellegibile,

allo stesso modo

non esiste un soggetto unitario della

conoscenza

ma solo un fascio di pulsioni fluttuanti prodotte

come epifenomeno dell’organico in cui la

soggettività di volta in volta si identifica e

pone, ad arbitrio, il proprio essere unitario.

(34)

Dunque è dissolta la polarità soggetto-oggetto,

tipica di tutta la filosofia moderna a matrice

gnoseologica, proprio nel momento in cui ci si

disfa della metafisica dell’essere platonica di

matrice ontologica.

Ma, siccome l’unità del soggetto e dell’oggetto, così

come la stabilità dell’essere, trovavano il loro

ultimo fondamento nel Dio che ci è stato

tramandato dalla riflessione cristiana, dopo la

gnoseologia e l’ontologia

deve cadere anche la

TEOLOGIA

(35)

DIO E’ MORTO (La gaia scienza)

La teologia è già arrivata “stanca” al XIX secolo, già

indebolita nella sua forza vitale per la propria interna

consunzione e a causa della critica a essa rivolta

da tutto il pensiero moderno. Così muore quella

visione per la quale la realtà concreta aveva un suo

fondamento nell’assoluto.

Tutto ciò apre uno spazio abissale di fronte a noi, lo

spazio di una vita senza punti di riferimento, della

quale bisogna avere la forza di rendersi degni.

(36)

Fine del cristianesimo

Ma intanto non si può che gioire della fine di una

grande ideologia corruttrice che proviene da una

mentalità che santifica la debolezza, l’essere

malriusciti, sotto l’etichetta morale dell’essere buoni e

dell’amore per il prossimo. Tale impostazione rivaluta

tutto ciò che la vita considera deteriore e decadente,

ponendo il centro di gravità del mondo non nella vita

stessa ma nel “nulla” costituito dall’aldilà. La pienezza

e salute dell’altro mondo giustifica e santifica la

malattia di questo: qui sta la più grande corruzione.

(37)

Cristo

Se il cristianesimo corrompe, esso ha

rappresentato, soprattutto nella sua forma

paolina, la corruzione di tutto ciò che lo

stesso Cristo aveva rappresentato in termini

positivi, cioè un uomo capace di distruggere

l’ipocrisia morale del suo tempo, amando i

cattivi del suo tempo (prostitute, pubblicani

etc.) e non i buoni.

(38)

Cristianesimo e morale del risentimento

(una genealogia della morale)

Così come era avvenuto per Socrate, per i cristiani si afferma una morale della rinuncia, della rassegnazione, una morale che considera buono tutto ciò che è invece debole, inerme, depotenziato e che, d’altro canto, è a disposizione della massa con il suo conformismo, la sua mediocrità, pavidità, pusillanimità. Quando tale morale esprime la sua aspirazione a diventare morale di tutti e valida in assoluto si afferma come la morale degli schiavi che intende ridurre i signori al loro livello. Lo schiavo, risentito per la sua inferiorità e invidioso della forza del signore, si fa banditore di un criterio di comportamento - sii buono, arrendevole, non vendicarti, porgi l’altra guancia, abbi compassione, non fare violenza, etc. - cui anche il signore, così come ogni altro uomo, dovrebbe essere sottomesso. Così la forza aristocratica e vitale del dominatore si trova imbrigliata dalle macchinazioni di furbi intellettuali che, strisciando nella polvere, con intenzione obliqua e sleale, vorrebbero, attraverso un sistema di assoluti etici, trascinare nella polvere anche coloro che hanno la forza di volare alto.

(39)

La volontà di potenza degli schiavi

L’espressione più moderna della morale del risentimento è dal punto di vista filosofico l’ascetismo schopenhaueriano;

dal punto di vista sociale e politico il socialismo.

In tutte le manifestazioni di questo tipo di morale plebea Nietzsche ritrova genealogicamente il medesimo impulso psicologico che aveva visto in Socrate: rifiuto nevrotico della vita e al contempo volontà di imporre a tutti tale rifiuto. La morale è proprio dovuta all’originaria volontà degli impotenti di affermarsi sui potenti, screditando il concetto stesso di potenza giacché afferma se stessa non in virtù di se stessa ma in virtù di una verità oggettiva e universale, scaricando sull’assoluto la responsabilità di ciò che essa vuole. È dunque una costruzione artificiale, come tutte le dottrine assolute, e rimane a vantaggio esclusivo di chi la sostiene, fino a quando il suo impulso a dominare sarà sufficientemente forte.

(40)

Le finzioni smascherate e l’uomo

nuovo

Metafisica e morale risultano così essere quello

che sono realmente: delle finzioni che vanno

smascherate e demitizzate. Sono dei racconti

che hanno fatto il loro tempo e che adesso vanno

sostituiti. Colui che si pone questo compito sarà

colui che riuscirà ad attingere a un nuovo tipo di

umanità capace di vivere in un mondo senza

senso, senza ordine, senza dèi e senza doveri.

Zarathustra è per Nietzsche il profeta di questo

uomo nuovo.

(41)

Il superuomo e la trasvalutazione di

tutti i valori

“L’uomo è la corda tesa tra l’animale e il superuomo”, cioè non è un essere definitivo ma provvisorio. Egli va superato nell’uomo superiore o superuomo (secondo una traduzione “urbanizzante” è stato chiamato anche “oltreuomo” – cfr. Vattimo). Il superuomo libera il dionisiaco dalle catene della metafisica e della morale e si fa portatore di un nuovo “senso della terra” cioè di un nuovo attaccamento a tutto ciò che è terreno nella sua grandezza e nel suo essere terribile. In questo senso tutti i valori della vecchia civiltà sono trasvalutati ossia superati in nuove forme legate all’esistenza terrena del singolo e alla sua possibilità di grandezza.

(42)

“Tu devi” contro “io voglio”

la volontà di potenza

Il superuomo contrappone a quella morale che pretende da altri un dato comportamento coerente con la propria rinuncia, la sua propria volontà di essere e di esistere, il suo proprio essere al centro di un mondo in cui il valore è finalmente riconosciuto essere funzione della volontà e dell’arbitrio.

“Io voglio dunque sono”, anzi “io voglio e dunque il mondo è”. Il mio volere non è altro che espressione della mia irriducibile grandezza e della mia voglia di espansione per fare di me qualcosa di grande e imperituro qui sulla terra, qui nel mio corpo, qui nei miei istinti che non guardano ad altro che alla loro gloria e alla loro celebrazione.

Ogni uomo è una monade di volontà di potenza, cioè un centro di irradiazione di forza vitale, che si avventura in un mondo con l’energia creatrice di pensiero, azione, e bellezza.

(43)

Psicologia

•Se tutto è il prodotto della volontà di potenza del singolo, bisogna approfondire la genesi psicologica dei suoi pensieri, perché lì stanno le ragioni profonde dei prodotti del sapere, della cultura e della società. La psicologia diventa così “una morfologia e teoria evolutiva della

volontà di potenza” (Al di là del bene e del male, 23) Lì, nella volontà

di potenza, sta l’origine dei sistemi morali e sociali come in Marx stava nei rapporti di produzione. Se in Marx questi ultimi sono la ragione della divisione del mondo in dominatori e dominati, in Nietzsche l’atteggiamento psicologico nei confronti della vita è il motivo della divisione del mondo in plebei e aristocratici; gli uni vogliono fare della loro debolezza un merito e fondare l’intera società sulla loro incapacità di affrontare la vita, gli altri, liberi da ogni catena, vedono oltre ogni morale e sanno dare espressione compiuta ai profondi istinti vitali che caratterizzano l’umanità, senza giustificazione se non nella loro stessa forza e capacità di affermarsi. Dunque i deboli, strategicamente, dissimulano l loro volontà di dominio con i concetti di giusto e di buono, i forti dominano senza bisogno di concetti, in modo fedele alla loro vita.

(44)

L’eterno ritorno

La storia, come un linea di progresso che tende

verso ad un compimento, non esiste. In questo

modo è liquidata la visione escatologica e

finalistica tipica del cristianesimo. Come

alternativa Nietzsche assume l’antica visione

circolare della storia. La storia è un cerchio in

cui continuamente tutti gli avvenimenti ritornano

nello stesso modo in cui sono accaduti.

(45)

Interpretazione cosmologica

Un’interpretazione in senso cosmologico

(secondo il modello stoico) di tale schema

implicherebbe

l’inutilità

di

ogni

trasvalutazione, di ogni presa di coscienza,

di ogni cambiamento che, come tali, sono

già successi. La ripetizione regnerebbe

sovrana su tutto.

(46)

Interpretazione “morale”

Ma in Nietzsche non si tratta di inserire la vita dell’uomo in un nuovo schema, pur privo di uno sbocco sensato, bensì di invitare a pensare come se vi fosse l’eterno ritorno,

affermando la propria volontà in ogni istante come qualcosa che sarà valevole per l’eternità. Il circolo della

ripetizione non è così subìto come un cerchio in cui noi siamo inseriti a prescindere dalla nostra stessa volontà, ma come quel cerchio che noi abbiamo voluto affinché la nostra volontà in ogni istante fosse eterna. L’eterno ritorno è il modo per dare al nostro volere il carattere

dell’eterno e di dare a ciò che è il carattere di qualcosa di voluto. Io sono l’eterno e l’eterno è mio: questo è il

senso dell’amor fati, amore del destino come eternizzazione della potenza..

(47)

Dioniso e il Crocifisso (La volontà

di potenza, 1052)

Dioniso, figlio di Zeus e della principessa tebana

Semele, con la quale il re degli dèi ha tradito la

legittima sposa Era, viene per ordine di questa

fatto a pezzi dai Titani e gettato in un calderone

bollente, ma Zeus ricompone il suo corpo dandogli

la forma animale di una capretta (da qui il “canto

del capro” – tragòs odè – con cui un gruppo di

uomini travestiti da capri, precursore del coro

tragico, celebravano il dio greco) per difenderlo da

ulteriori insidie di Era.

(48)

Dioniso

Dioniso viene fatto a pezzi, Cristo muore in croce: quali

sono le differenze tra i due personaggi secondo N.?

“Non è una differenza nel martirio, piuttosto il martirio ha un altro senso”.

Dioniso è così forte e sovrabbondante di vita che accoglie il dolore nel suo corpo come qualcosa che non scalfisce la sua potenza ma anzi la potenza stessa

si esprime come un ritorno continuo dall’annientamento, un rinascere eterno dalle proprie spoglie nel ciclo vitale e panteistico della natura. Quindi la vicenda di Dioniso è emblema di un “essere che sia abbastanza beato da

(49)

Il Crocifisso

• Il Crocifisso è l’emblema della “sofferenza” diventata “la via che conduce all’esistenza beata”. La croce è illude sulla possibilità di un’ emancipazione definitiva dal dolore: con la vittoria del Crocifisso sulla morte a favore di tutta l’umanità, le si presenta il miraggio di una vita senza dolori. Ma, cercando l’eliminazione di una sua dimensione costitutiva come il dolore, il Crocifisso adombra l’idea di una vita che non è tale. Dunque egli finisce per negare la vita in

funzione di un’illusione, quella di un’esistenza liberata.

Ma chi vuole un’esistenza liberata (che, come tale, non esiste) non fa altro che pronunciare “una maledizione scagliata contro la vita” reale con “un dito levato a comandare di liberarsene”.

(50)

Il valore storico di Nietzsche

Il pensiero di Nietzsche è stato un grande «termometro» dello sviluppo della civiltà. Esso ha individuato un momento di crisi epocale, cioè di passaggio traumatico da un’epoca ad un’altra: dall’epoca della fede in valori assoluti, all’epoca del

disincanto e della disperazione. Quindi, come un medico abile, Nietzsche ha

diagnosticato una malattia del nostro tempo: l’incapacità di credere, il venir meno degli orizzonti infiniti delle verità assolute e degli ideali oggettivi e veri.

Tale incapacità è dovuta ad un peculiare sviluppo della storia e della cultura che ha visto piano piano soccombere i criteri metafisici su cui si pensava poggiasse la realtà (Dio, lo Spirito, gli assiomi della ragione e della scienza e le loro Verità indiscutibili), e al suo posto emergere dubbi, disincanti, delusione e disperazione. Infatti alla vita, messa al sicuro dentro le regole e gli scopi offerti dalla cultura e dalla religione è improvvisamente mancato sostegno e consolazione (cfr. lo scetticismo; l’ateismo; le lotte, durante il periodo della rivoluzione francese, contro i simboli del passato ormai ritenuti simboli di oppressione).

Nel contempo le macchine della produzione, dello Stato e della guerra accrescevano la potenza di pochi in un clima sempre più crudele e incurante della giustizia (cfr. la rivoluzione industriale e gli sviluppi tecnici successivi).

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Un’alternativa al nichilismo

• Ma Nietzsche non ha voluto limitarsi alla constatazione del diffondersi di

prospettive nichiliste, ha voluto opporre al nichilismo una soluzione (nichilismo attivo). L’ideale soggettivistico e relativistico del

SUPERUOMO, cioè di colui che «quando il deserto avanza non alberga in

sé deserti», cioè che non s’arrende alla desolazione di una civiltà che ha perso tutti i suoi punti di riferimento, ma è capace a partire dalla sua personale forza e vitalità, di produrne altri e più potenti.

• Si tratta di rifiutare come residui delle vecchie concezioni metafisiche anche

i nuovi fenomeni della democrazia, del liberalismo e del socialismo, effetti sociali del tentativo di trovare valori sostitutivi (Uguaglianza, Libertà, Fraternità, Sviluppo, Ricchezza, Progresso, Civiltà) delle antiche teologie per nascondere il vuoto immenso di significato che la loro fine ha lasciato.

Al suo posto c’è solo la volontà potentissima che genera e afferma sé

stessa, dando al soggetto umano la forza di diventare qualcosa,

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Un protofascismo?

La lettura di Nietzsche ha influenzato gran parte delle

élites culturali del primo Novecento, le stesse che poi,

in alcuni autori (G. Sorel, G. d’Annunzio, F. T.

Marinetti, O. Spengler, E. Jünger, A. Baumler etc.)

determineranno il clima nel quale avrebbero preso

piede i movimenti fascisti o parafascisti, i cui esponenti

(B. Mussolini, A. Hitler, J. Doriot, J. A. Primo de

Rivera, R. Ledesma Ramos, C. Z. Codreanu, F.

Szalasi, A. Pavelic, V. Quinsling, O. Mosley, etc. )

hanno letto od orecchiato Nietzsche.

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No, una possibile

interpretazione

Gli autori o i politici fascisti hanno dato un’interpretazione possibile di N. insistendo:

- sulla morale antiegualitaria e antidemocratica (anche se spesso il fascismo si presentava in forme popolari o democratiche).

Sul rifiuto dei valori borghesi della civiltà ottocentesca e illuministica (libertà , proprietà , eguaglianza, fraternità);

Sull’accettazione della volontà di potenza come motore non solo dell’individuo ma anche dello Stato.

Sulla considerazione positiva di tutto quanto è legato al conflitto, al combattimento, alla tragedia, al disprezzo del pericolo, all’audacia aristocratica contro la morale paurosa del gregge che ha bisogno di protezione.

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Anche se…

Per N. stesso non esistono fatti ma interpretazioni e le interpretazioni sono legittime nella misura in cui si sanno imporre. Dunque la suddetta interpretazione di N. come un predecessore dei fascismi, data dai fascisti stessi (ma non solo da loro), è legittima, ANCHE SE molti ammiratori di N. hanno sottolineato la grande distanza del filosofo di Röcken da alcuni aspetti di alcuni esperimenti fascisti o parafascisti, PER ESEMPIO:

- N., nonostante sia stato ammirato da Hitler, aborre ogni forma di antisemitismo, anche in forte polemica con l’antisemita R. Wagner;

- A N. non piace lo Stato e il suo culto: lo Stato è cosa delle masse amorfe, i migliori lo sono spesso nonostante lo Stato o contro di esso.

- A N. non interessa la politica come tale e il suo individualismo estremo è alternativo al comunitarismo fascista.

- Il fascismo nei suoi aspetti popolari ed egualitari è estraneo al nietzschianesimo.

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E adesso? (nietzschianesimo deteriore)

• Ancora oggi Nietzsche dice molto sul nostro modo di vivere e pensare.

Oggi ciò che all’epoca di N. era proprio delle élites culturali è diventato sensibilità popolare:

non c’è verità; tutto è relativo; ognuno si può costruire i propri valori che saranno tanto più forti quanto più saprà imporli anche per vie oblique; Dio è morto; nulla vale oltre la vita presente; la vita si può celebrare nei suoi aspetti di godimento orgiastico (droga, sesso libero etc.); il vuoto di senso si può colmare con le esperienze estreme ora fornite anche dall’industria dell’intrattenimento (l’esaltazione del rischio fine a se stesso).

Si tratta di un nietzschianesimo da basso impero, decadente e disperato che di Nietzsche esalta tutto quanto solleva dalle responsabilità, tutto ciò che è piacere e comodità a- o immorale, tutto ciò che è istintuale in senso basso e animalesco…è il tardo capitalismo che ha esaltato, nella sua dimensione consumistica ed edonistica, l’aspetto più crassamente materialistico di Nietzsche.

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E adesso? (nietzschianesimo

possibile)

Accanto a tali forme degeneri di nietzschianesimo è possibile pensare a forme diverse che del nostro filosofo sottolineino:

- l’anelito alla grandezza che va coltivato in tutti coloro che non si accontentano della loro immediata condizione di uomini comuni e che vogliono superare se stessi e i propri limiti;

- l’atteggiamento critico verso ogni imposizione che tenda a dominare il soggetto umano, cioè l’inaudita forza innovativa dell’intelligenza;

- Il sospetto verso le tradizioni trombonesche, le istituzioni «sacre» dello Stato e i suoi valori mistificatori (tutti quelli scritti con la maiuscola e inventati per irreggimentare l’uomo (compresi quelli che sono oggi più di moda: la Democrazia, il Rispetto, la Civiltà, i Diritti, la Libertà, la Cittadinanza etc.).

- la capacità dei forti di prendersi sulle spalle le responsabilità, di chiamarsi dentro, di opporre alla vigliaccheria delle masse, la propria faccia;

- la vitalità dinamica di chi, pur esercitando l’intelletto, ama l’azione generosa e vi si butta per il gusto di farlo, incurante delle conseguenze, dell’utile e della miseria capitalistica del profitto individuale.

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