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Il ruolo della Fiberoptic Endoscopic Evaluation of Swallowing (FEES) e della High-resolution Manometry (HRM) nella diagnostica della disfagia faringea nelle malattie neurodegenerative

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e

Chirurgia

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CORSO DI LAUREA IN MEDICINA E CHIRURGIA

“Il ruolo della Fiberoptic Endoscopic Evaluation of Swallowing

(FEES) e della High-Resolution Manometry (HRM) nella

diagnostica della disfagia faringea nelle malattie neurodegenerative”

RELATORE

Chiar.mo Prof. Bruno Fattori

CORRELATORE

Chiar.mo Dott. Andrea Nacci

CANDIDATO

Salvatore Osvaldo Romeo

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A mamma e papà

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INDICE

Prefazione

………..1

1. ANATOMO-FISIOLOGIA DELLA DEGLUTIZIONE

1.1 FENOMENOLOGIA DELLA DEGLUTIZIONE ADULTA………5

1.2 ASPETTI NEUROFISIOLOGICI DELLA DEGLUTIZIONE………15

2. DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE DELLA DISFAGIA

2.1 CLASSIFICAZIONE ETIOLOGICA………...25

2.2 CLASSIFICAZIONE PATOGENETICA………....……….28

2.3 CLASSIFICAZIONE FISIOPATOLOGICA………32

2.4 CLASSIFICAZIONE TOPOGRAFICA………....33

3. DIAGNOSI STRUMENTALE DELLA DISFAGIA FARINGEA

3.1 VIDEOFLUOROSCOPIA (VFS)………..37

3.2 FIBEROPTIC ENDOSCOPIC EVALUATION OF SWALLOWING (FEES)……41

3.3 HIGH-RESOLUTION MANOMETRY (HRM)………...48

3.4 ORO-PHARINGO-ESOPHAGEAL SCINTIGRAPHY (OPES)………..56

4. ESPERIENZA PERSONALE

4.1 SCOPO DELLO STUDIO……….67

4.2 MATERIALI E METODI………..68

4.3 RISULTATI………...74

4.4 DISCUSSIONE………..84

Bibliografia

………..89

(4)

1

PREFAZIONE

Più dell’80% dei pazienti affetti da patologie neurodegenerative sviluppa disfagia nel corso della propria malattia. I disordini della deglutizione comportano una riduzione della qualità della vita, rendono complicata l’assunzione dei farmaci per via orale, implicano uno stato di malnutrizione e disidratazione, oltre ad un aumentato rischio di inalazione del bolo, con conseguente maggior rischio di insorgenza di polmoniti “ab ingestis”, riconosciute come una delle maggiori cause di morte nella Malattia di Parkinson.

L’atto deglutitorio, d’altra parte, è un processo complesso, mosso da un fine gioco di pressioni e che richiede una precisa coordinazione di contrazione\rilasciamento muscolare a livello delle strutture implicate, al fine di consentire una efficace progressione del bolo dalla cavità orale fino in esofago.

L'obiettivo di questo lavoro di tesi è stato quello di valutare la disfagia faringea in un gruppo di pazienti affetti da patologie neurodegenerative (Malattia di Parkinson e Parkinsonismi) utilizzando e confrontando tra loro i risultati di due diverse metodiche di indagine: Fiberoptic Endoscopic Evaluation of Swallowing (FEES) e High-Resolution Manometry (HRM).

La FEES e la Videofluoroscopia (VFS) sono considerati gli esami gold standard per lo studio della disfagia faringea e orofaringea. La FEES è un esame di tipo qualitativo che fornisce precise immagini endoscopiche degli atti deglutitori del paziente, consentendo in modo semplice ed accurato di valutare eventuali alterazioni dell’atto deglutitorio. La HRM, esame che solo recentemente è stato proposto per lo studio della disfagia faringea, è, invece, un esame di tipo quantitativo che fornisce valori pressori dei vari distretti anatomici coinvolti nell’atto deglutitorio, analizzando i quali è possibile ottenere informazioni

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2 importanti e molto accurate circa la funzionalità di tali distretti. Infatti, la HRM permette di ricavare informazioni inerenti la forza di contrazione e l'efficacia delle fasi di rilasciamento delle strutture muscolari, andando così a valutare la validità della spinta prodotta dai muscoli preposti alla progressione del bolo e il rilassamento delle strutture che devono invece essere pervie durante l’atto deglutitorio. Attraverso la HRM, quindi, è possibile potenzialmente ricavare importanti informazioni di natura fisiopatologica relative al processo deglutitorio nei pazienti disfagici.

In questa tesi ho valutato la disfagia faringea per boli di varie consistenze (liquido, semisolido e solido) con la FEES e la HRM in un gruppo di pazienti affetti da Malattia di Parkinson e Parkinsonismi, operando un confronto tra le informazioni fornite dall’uno e dall’altro esame, nell’intento di individuare correlazioni e/o discordanze tra i reperti endoscopici e quelli manometrici. Inoltre, studiando i risultati della HRM, ho ottenuto informazioni relative alla funzionalità delle strutture muscolari coinvolte nella deglutizione in questo gruppo di pazienti, al fine di elaborare una ipotesi fisiopatologica sulla causa della disfagia presente nei soggetti affetti da Sindromi Parkinsoniane.

Nei pazienti neurodegenerativi arruolati nello studio con anamnesi positiva per disfagia, la HRM risultava patologica anche quando la FEES dava un risultato completamente negativo. Lo studio delle pressioni massime (Pmax) e medie (P-pre \ P-in \ P-post) rilevate a livello delle strutture faringee coinvolte nella deglutizione ha fornito informazioni di notevole rilevanza sia nei pazienti con esame video-endoscopico normale, sia in quelli con FEES moderatamente o francamente patologica. In particolare, le Pressioni massime rilevate a livello del velo palatino, del pistone linguale, dell’ipofaringe e dello sfintere esofageo superiore erano nettamente ridotte rispetto ai soggetti normali (p < 0,0001). Questo dato era confermato per tutti i boli testati, indipendentemente dalla consistenza, ad

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3 esprimere un deficit funzionale di spinta muscolare: in tutti i soggetti in studio affetti da sindromi parkinsoniane la forza propulsiva fornita al bolo, indipendentemente dalla sua consistenza, è nettamente ridotta in particolare per deficit della base lingua. Andando, poi, ad analizzare le Pressioni medie prima, durante e dopo il passaggio del bolo (P-pre, P-in, P-post) abbiamo ottenuto informazioni importanti sulla fisiopatologia della disfagia che caratterizza questi pazienti. Infatti, a livello del muscolo cricofaringeo abbiamo osservato un aumento altamente significativo, rispetto ai soggetti normali, soprattutto per la pressione intrabolo (P-in) (p < 0.0001) indipendentemente dal tipo di consistenza, espressione di un mancato perfetto rilasciamento dello sfintere esofageo superiore. Questi dati manometrici dimostrano che la presenza dei ristagni, la riduzione della progressione del bolo in faringe e il conseguente rischio di inalazione sono causati in parte dalla mancata spinta a livello del pistone linguale e del velo palatino e, in parte, dal mancato adeguato rilasciamento dello sfintere esofageo superiore, ed in particolare del muscolo cricofaringeo, che fa sì che il bolo possa trovare come via alternativa alla sua progressione, le vie respiratorie, con conseguente penetrazione\inalazione. Tali dati manometrici, altamente significativi, sono rilevati anche quando la FEES risulta ancora nella norma, ciò a sottolineare che l’alterata dinamica muscolare dei distretti faringei giustifica e spiega i quadri di disfagia ancor prima che l’esame videoendoscopico della deglutizione risulti patologico.

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4

1. ANATOMO-FISIOLOGIA DELLA DEGLUTIZIONE

La deglutizione rappresenta un processo funzionale estremamente complesso ed articolato, dipendente dal coinvolgimento coordinato e sequenziale di numerose strutture nervose e muscolari. La complessità della funzione deglutitoria è rappresentata prevalentemente dalla presenza di due regioni in cui si verifica un “incrocio” tra la via aerea e quella digestiva: una posta a livello rino-orofaringeo e l’altra a livello ipofaringo-laringeo. La fisiologia della deglutizione prevede la comprensione di quei meccanismi che integrano e coordinano il processo respiratorio con il processo deglutitorio, rendendoli un’unica entità funzionale che da una parte garantisca la protezione costante ed efficace della via respiratoria dall’ingresso di sostanze alimentari e che dall’altra assicuri il regolare passaggio del materiale alimentare dalla cavità buccale alle vie digestive inferiori (Miller, 1982; Krespi 1988; Schindler O, 1990; Kahrilas, 1994; Logemann, 1995; Piemonte, 1997; Nacci, 2005). L’organizzazione funzionale delle vie aero-digestive, inoltre, è complicata ulteriormente dal dover svolgere altri atti importanti, sia per la vita di relazione sia per la protezione delle strutture coinvolte; ricordiamo tra questi la masticazione, la fonazione, la tosse, l’eruttazione, la starnutazione, il vomito e la mimica facciale, che sollevano non pochi problemi di correlazione anatomo-funzionale e che sono tuttora oggetto di studio approfondito.

Il processo deglutitorio può assumere indifferentemente i caratteri di atto volontario o involontario: in funzione dell’alimentazione viene attivato volontariamente e quindi proseguito con modalità “automatica”; in funzione difensiva, invece, viene attivato involontariamente al fine di ingerire secrezioni nasali e/o salivari accumulatesi nelle prime vie aereo-digestive. È stato calcolato che nell’arco di 24 ore vengono mediamente eseguiti

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5 590 atti deglutitori, di cui soltanto il 25% durante i pasti (deglutizione volontaria), il 67% durante la veglia (deglutizione prevalentemente involontaria) ed il restante 8% durante il sonno (deglutizione involontaria) (Uziel, 1986).

Tradizionalmente la deglutizione viene suddivisa in “fasi” con riferimento alla sequenzialità ed alla localizzazione del processo ed in considerazione della progressione del materiale alimentare che, dalla cavità orale, viene diretto verso lo stomaco. A seconda dei vari Autori, tale suddivisione riconosce da tre a sei “fasi”, correlate da un punto di vista anatomico e fisiologico alla cavità orale, alla faringe ed all’esofago (Logemann, 1983; Uziel, 1986; Krespi 1988; Kahrilas, 1994; Piemonte, 1997; Nacci, 2005). A nostro avviso la suddivisione più esaustiva e completa è quella proposta da Schindler e coll. (2001-2011), che comprende la fenomenologia della deglutizione in sette fasi: fase anticipatoria, fase di preparazione extraorale, fase buccale, fase orale, fase faringea, fase esofagea e fase gastrica (Schindler A, 2001-2011).

1.1 FENOMENOLOGIA DELLA DEGLUTIZIONE ADULTA

Fase anticipatoria.

È spesso trascurata e consiste in tutte quelle modificazioni che coinvolgono il cavo orale e faringeo prima che il cibo oltrepassi lo sfintere labiale; ha la funzione di preparare le strutture deglutitorie e digestive a svolgere al meglio queste due funzioni (Owens, 2000). Alla base della fase anticipatoria vi sono da un lato gli input sensoriali visivi ed olfattivi e dall’altro i ricordi espliciti ed impliciti comprendenti quindi anche quelle forme di memoria sensoriale che non raggiungono il contenuto di coscienza; queste componenti hanno la capacità di determinare una modificazione del tono della muscolatura liscia e striata delle strutture coinvolte ed una modificazione delle secrezioni salivari e gastriche. La fase anticipatoria, quindi, può assumere il significato di “preparazione” ad una migliore

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6 degustazione, deglutizione e digestione del cibo, ma assumere anche il significato di “difesa” nei confronti di alimenti non graditi. La teleologia di questa fase è evidente: favorire l’assimilazione di sostanze favorevoli al mantenimento ed allo sviluppo ed evitare il contatto con sostanze potenzialmente nocive. Risultano altresì evidenti le implicazioni culturali ed esperienziali che fanno parte del singolo individuo: basti pensare all’effetto che ha su di noi la visione di cibi orientali come insetti o serpenti o come cambiano le nostre sensazioni, che possono giungere al rifiuto, dopo aver fatto indigestione di un cibo a noi precedentemente gradito (Schindler A, 2001-2011).

Fase di preparazione extraorale.

Comprende le modificazioni di viscosità, consistenza, temperatura e dimensioni dell’alimento prima che sia introdotto nel cavo orale (Schindler O, 1998). Anche su questa fase, come su quella anticipatoria, gioca un ruolo fondamentale il fattore culturale ed esperienziale ed è proprio su questi momenti della “deglutizione” che l’arte culinaria ha investito molte delle sue attenzioni. Quello che ci preme sottolineare, in accordo con altri Autori (O’Gara, 1990; Fujiu-Kurachi, 1999; Nacci A, 2005; Schindler A, 2001-2011), è l’importanza fondamentale di questa fase da un punto di vista riabilitativo: la modificazione e la manipolazione delle caratteristiche dell’alimento è uno dei capisaldi della riabilitazione della deglutizione.

Fase buccale (o di preparazione orale).

In questa fase (Figura 1) si verificano le modificazioni dell’alimento fino alla sua trasformazione in bolo attraverso, tra l’altro, la masticazione e la salivazione del cibo (Schindler O, 1990). I fenomeni osservabili in questa fase sono: la chiusura dello sfintere labiale per la contrazione del muscolo orbicolare ed il movimento latero-laterale e rotatorio della mandibola per contrazione alternata dei muscoli elevatori e dei loro antagonisti (temporale, buccinatore, pterigoidei che permettono l’elevazione della mandibola e

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7 muscoli sovra- e sottoioidei che ne permettono l’abbassamento). Inoltre si osservano il tono buccale e facciale legato alla contrazione dei muscoli facciali (in particolar modo del buccinatore) ed i movimenti laterali e rotatori della lingua per contrazione della complessa muscolatura linguale. Oltre a questi eventi, durante la fase buccale della deglutizione si verifica la protrusione anteriore del palato molle, che permette di allargare la via nasale, restringere l’ingresso oro-faringeo e ridurre la possibilità di caduta prematura non intenzionale del cibo in faringe. L’estremità anteriore della lingua è spinta verso gli incisivi superiori, mentre la base si solleva posteriormente e si accosta al palato molle contribuendo così a chiudere l’istmo palato-linguale. Il momento più critico di questa fase è rappresentato dal movimento della lingua, che permette il posizionamento dell’alimento sulla superficie dei denti, il mescolamento con la saliva ed altri liquidi ed il riposizionamento sui denti senza che materiale alimentare possa cadere accidentalmente in faringe o spargersi irregolarmente in bocca. Dopo che il bolo ha raggiunto la consistenza necessaria alle successive fasi della deglutizione, la lingua circonda il cibo e lo raccoglie verso la parte anteriore/centrale del palato (la lingua assume quindi una posizione simile a quella adottata nella produzione del fonema /sc/) e si prepara, così, alla fase successiva della deglutizione. Lo scopo della preparazione orale è quello di trasformare l’alimento in una consistenza adeguata alla deglutizione masticando e mescolando il cibo alla saliva e/o ad altri liquidi. Si comprende quindi come nella fase di preparazione orale risieda, più che nelle altre fasi, il piacere edonistico per i cibi; è inoltre in questa fase che hanno luogo le funzioni “intelligenti”, cognitive e volitive, della bocca che permettono di decidere il destino di quanto introdotto nel cavo orale (Schindler O, 1990; Schindler A, 2001-2011). Fase orale.

La fase orale (Figura 2) comincia nel momento in cui la lingua dà inizio al movimento posteriore del bolo ed ha fine nel momento in cui viene “triggerato” il riflesso deglutitorio,

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8 terminando così il controllo volontario della deglutizione (Logemann, 1983). Durante la fase orale la lingua si muove in alto e indietro mettendosi in contatto con il palato, determinando un’azione di schiacciamento e di rotolamento del bolo; questo viene spinto fino al confine posteriore (orofaringe) mentre la mandibola è mantenuta serrata per azione dei muscoli temporale, massetere, pterigoideo interno e, con minor partecipazione, pterigoideo esterno. La mandibola, quindi, diventa il perno rispetto al quale i muscoli sopraioidei sollevano la laringe per portarla in posizione di difesa e protezione della via aerea (Spiro, 1994; Piemonte, 1997). Nella fase orale, quindi, la posizione iniziale del bolo alimentare è determinata da movimenti alternati di contrattura e rilasciamento della muscolatura linguale, che concentrano il bolo in una sorta di incavo del dorso linguale e successivamente lo spingono posteriormente. Il volume massimo del bolo invece è condizionato da fattori qualitativi quali consistenza e viscosità: i liquidi consentono boli di maggiori dimensioni, fino a 20 ml, mentre alimenti solidi ed asciutti consentono dimensioni non superiori a 7-8 ml (Piemonte, 1997). L’azione propulsiva della lingua deriva da un movimento centripeto ascrivibile al muscolo genio-glosso, con la punta della lingua fissata sul palato duro a livello dei denti incisivi superiori e i lati della lingua sulla faccia orale dell’arcata dentale superiore. Questo processo ha durata inferiore al secondo e prevede la chiusura dello sfintere labiale, il movimento labiale suddetto ed il mantenimento di un adeguato tono della muscolatura buccale per evitare che il bolo cada nei solchi laterali. Solo dopo questa preparazione è possibile l’avvio volontario della fase orale di deglutizione, che prevede il rapido spostamento antero-posteriore del bolo fino all’imbocco dell’orofaringe ad opera, come detto, della motilità linguale. La contrazione coordinata, sinergica e progressiva dei muscoli linguali intrinseci ed estrinseci (stilo-glosso, palato-glosso, faringo-palato-glosso, muscoli traversi e longitudinali della lingua), infatti, determina la comparsa di un movimento simil-peristaltico che spinge posteriormente il bolo fino

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9 all’imbocco delle fauci, con l’avvio della fase orofaringea della deglutizione. Nel momento in cui sta per essere elicitato il riflesso deglutitorio si assiste ad un’ulteriore funzione cognitivo-decisionale, dovendosi analizzare le caratteristiche del bolo e l’eventuale trasferimento nella restante porzione del canale digestivo (Schindler A, 2001-2011). Fase faringea.

La fase faringea comincia nel momento in cui il bolo oltrepassa lo sfintere palato-glosso e termina con il superamento dello sfintere crico-faringeo (o esofageo superiore). Sicuramente è la fase più complessa della deglutizione in quanto, in un tempo variabile a seconda del volume e delle caratteristiche del bolo, ma comunque in un tempo inferiore al secondo, si verificano quelle complesse modificazioni che portano il canale faringeo da una configurazione respiratoria ad una deglutitoria, per tornare subitaneamente a quella respiratoria iniziale. È proprio per la sua complessità che la fase faringea viene ulteriormente suddivisa da alcuni Autori in: fase oro-faringea, fase faringea prossimale, fase faringea distale e fase faringo-esofagea (Logemann, 1983; Uziel, 1986; Krespi 1988; McConnel, 1994; Kahrilas, 1996; Piemonte, 1997).

- Fase oro-faringea (Figura 2): in questa fase il bolo impegna e supera il confine tra cavo orale e faringe rappresentato dall’istmo delle fauci (Uziel, 1986; Kahrilas, 1994). L’atto di deglutizione, che fino a questo punto era volontario e quindi suscettibile di arresto in ogni momento, diventa adesso involontario e non più controllabile a livello psichico; l’unica possibilità di contrastare il prosieguo della funzione deglutitoria è rappresentata dal riflesso vomico. L’area “trigger” che attiva la deglutizione involontaria sembra essere localizzata in una zona compresa tra pilastri palatini anteriori, faccia buccale del velo palatino e base della lingua (Schindler A, 2001-2011). Secondo evidenze anatomo-fisiologiche, la zona “trigger” avrebbe sede variabile in funzione dell’età: a livello del pilastro palatino

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10 anteriore nei giovani adulti ed in corrispondenza della base linguale negli ultra-sessantenni (Piemonte, 1997). Non solo non è stata ancora chiaramente definita la precisa sede della zona “trigger”, ma non è stata ancora precisata nemmeno l’esatta natura dei complessi stimoli (o stimolo) che elicitano la deglutizione faringea. Probabilmente lo stesso bolo non è il solo stimolo necessario: la presenza del bolo potrebbe infatti rappresentare “l’allarme” affinché venga reso noto al SNC che esiste materiale (cibo, saliva, liquido o altro) da deglutire. Lo stesso movimento della lingua, quando spinge posteriormente il bolo ed entra in contatto con l’area dell’orofaringe e, in particolare, dell’istmo delle fauci, potrebbe stimolare i recettori posti sia a livello della regione orofaringea sia a livello della base linguale (Schindler O, 1990). Qualunque sia l’esatto stimolo e la sede della zona “trigger”, i recettori, che veicolano l’informazione al centro della deglutizione nella formazione reticolare del tronco, derivano la loro innervazione dal IX e X paio di nervi cranici. Si ipotizza che il riconoscimento centrale degli stimoli afferenti venga effettuato da un sistema di riconoscimento gestaltico, che elabora lo stimolo in rapporto alla configurazione d’insieme dei fenomeni percettivi e cognitivi, posto a livello della formazione reticolare del tronco e capace di identificare e riconoscere lo stimolo come appropriato per l’evento deglutizione, generando così, solo dopo questo processo, la appropriata risposta neuromuscolare che si estrinseca con l’elicitazione della deglutizione faringea (Schindler O, 1990).

Indipendentemente dal complesso meccanismo di elaborazione centrale dello stimolo recettoriale periferico, la fase oro-faringea inizia con il sollevamento del velo palatino, che si porta a contatto della parete faringea posteriore per chiudere la rinofaringe ed impedire il reflusso nasale del bolo. Contemporaneamente si apre lo sfintere buccale posteriore (sfintere palatoglosso), rappresentato dai pilastri palatini e dalle logge tonsillari. La lingua,

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11 attraverso la contrazione sul piano sagittale del muscolo io-glosso, si trasforma in un piano inclinato posteriormente che favorisce la progressione del bolo oltre lo sfintere buccale posteriore, all’interno del cavo faringeo (Schindler O, 1990; Schindler A, 2001-2011).

- Fasi faringee (prossimale e distale) (Figura 3 A e B): le due fasi faringee comprendono i momenti critici del processo deglutitorio, in quanto corrispondono all’attraversamento ed al superamento dell’incrocio tra vie aeree e vie digestive (Logemann, 1983; Uziel, 1986; Krespi 1988; Palmer, 1988; McConnel, 1994; Kahrilas, 1996; Piemonte, 1997; Nacci, 2005). La fase faringea prossimale è caratterizzata dalla chiusura del lume laringeo e dall’iniziale impegno del bolo nell’imbuto faringo-laringeo; la fase faringea distale è caratterizzata dal superamento dell’imbuto da parte del bolo e dalla progressione di questo in ipofaringe. Le fasi faringee prossimale e distale sono strettamente embricate tra loro da un punto di vista funzionale e quindi possono essere descritte nel loro insieme. I momenti fondamentali di queste fasi sono rappresentati dalla chiusura dello sfintere velo-faringeo (cominciata già nella fase oro-faringea), dalla chiusura dello sfintere laringeo e dalla progressione del bolo fino allo sfintere esofageo superiore. La chiusura dello sfintere velo-faringeo, già attuata nelle fasi conclusive della fase oro-faringea, si rafforza ed assume particolare rilievo in questo momento, perché la fase faringea prossimale è la fase di maggior rischio di reflusso alimentare nasale (Uziel, 1986; Schindler O, 1990; Bourguignat, 1996; Conessa, 2005). Il velo palatino si solleva ed arretra grazie alla contrazione dei muscoli peristafilini interni e faringo-stafilini, mentre la chiusura dello sfintere viene rinforzata e completata dall’avanzamento della parete posteriore faringea per effetto della contrazione di fibre oblique e traverse del muscolo costrittore superiore della faringe. L’azione dello sfintere velo-faringeo si realizza e perdura

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12 per un tempo molto breve (0,4 secondi) ed è strettamente correlata e contemporanea al transito del bolo. Successivamente il velo si rilassa e si predispone al successivo atto di deglutizione (Piemonte, 1997). La chiusura dello sfintere laringeo durante le fasi faringee rappresenta il principale meccanismo di protezione delle vie aeree inferiori ed è attivata principalmente dal nervo laringeo superiore (Ohmae, 1995; Piemonte, 1997). La protezione delle vie aeree, però, si realizza anche grazie al sollevamento ed incassamento della laringe, meccanismo che ha avuto inizio già durante la fase orale. L’elevazione laringea è sostenuta dalla complessa muscolatura estrinseca, con aumento del tono dei muscoli sovralaringei ed inibizione del tono di quelli sottolaringei (Schindler A, 2001-2011). Il processo occlusivo della laringe, quindi, è anch’esso un fenomeno complesso che inizia a livello delle corde vocali vere e progredisce superiormente alle false corde, all’epiglottide ed alle pliche ari-epiglottiche. In progressione sequenziale quindi avremo: chiusura delle corde vocali vere per contrazione dei muscoli tiro-aritenoidei inferiori e medi, crico-tiro-aritenoidei laterali ed intertiro-aritenoidei; chiusura delle false corde per azione dei muscoli tiro-aritenoidei; retroflessione dell’epiglottide per innalzamento dell’osso ioide dato dalla contrazione dei muscoli sopraioidei e per contrazione delle fibre ari-epiglottiche dei muscoli interaritenoidei. Nonostante la retroflessione dell’epiglottide sia l’aspetto più ovvio della chiusura laringea anche da un punto di vista radiologico, tale chiusura è garantita in particolar modo dalla chiusura delle corde vocali vere e, in seconda istanza, da quella delle false corde. L’esperienza clinica, difatti, dimostra che l’integrità anatomo-funzionale dell’epiglottide non è strettamente necessaria alla protezione delle vie aeree inferiori. In realtà, nel momento in cui il vestibolo laringeo è già chiuso dall’adduzione delle corde vocali vere e false e dal

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13 movimento indietro della base della lingua, l’epiglottide non ha ancora completato il proprio movimento di retroflessione (Schindler O, 1990). Il movimento dell’epiglottide durante la chiusura della via aerea si pensa che risulti dalla combinazione di tre forze: la pressione del bolo dall’alto, la trazione in basso delle forze muscolari (muscolo ari-epiglottico per es.) e la pressione combinata della base della lingua che si muove all’indietro e della laringe che si spinge in alto, piegando così l’epiglottide in basso sopra l’aditus laringeo. La progressione del bolo in faringe dipende da quattro differenti forze (Uziel, 1986; Krespi, 1988; Schindler O, 1990; McConnel, 1994; Piemonte 1997): la spinta propulsiva della base linguale, la peristalsi faringea, la forza di gravità e l’aspirazione del bolo verso il basso. La spinta propulsiva della base della lingua è prodotta dai muscoli stilo-glosso e palato-stilo-glosso e precede di poco la peristalsi faringea, la quale è caratterizzata da un’onda migrante in senso cranio-caudale che si propaga verso l’ipofaringe. La peristalsi faringea è sostenuta dalla contrazione dei muscoli costrittori della faringe superiore, medio ed inferiore. La contrazione in senso cranio-caudale è favorita dal decorso obliquo delle fibre muscolari e determina, oltre all’onda peristaltica, anche il sollevamento del canale faringeo ed un restringimento del suo spazio aereo (Piemonte, 1997). Anche la forza di gravità gioca un ruolo di notevole importanza, contribuendo alla progressione del bolo sia in posizione eretta che seduta. La progressione del bolo, infine, dipende anche da un’azione di aspirazione verso il basso che si produce a livello dell’ipofaringe per l’attrazione in alto ed in avanti dell’unità faringo-laringea, legata a sua volta alla contrazione di alcuni muscoli sopraioidei e del muscolo tiro-ioideo ed al rilassamento del muscolo sterno-tiroideo (Piemonte, 1997). Nelle fasi faringee, quindi, il bolo alimentare raggiunge e supera la faccia linguale (retroflessa)

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14 dell’epiglottide, viene suddiviso in due porzioni sostanzialmente uguali e giunge così ai seni piriformi, dove può progredire agevolmente trovandosi ormai in un canale esclusivamente a funzione digestiva (Piemonte, 1997; Schindler A, 2001-2011;).

- Fase faringo-esofagea (Figura 4): rappresenta la parte finale della fase faringea. Il confine tra ipofaringe ed esofago è rappresentato dallo sfintere esofageo superiore (SES), corrispondente alla cosiddetta “bocca di Killian”, costituito dal muscolo crico-faringeo, dalle fibre caudali del muscolo costrittore faringeo inferiore e dai primi due centimetri di muscolatura esofagea (Ogura, 1964; Uziel, 1986; Jacob, 1989; Logemann, 1995; Kahrilas, 1996; Piemonte, 1997). In condizioni di riposo il SES si presenta in fase di contrattura tonica in modo da mantenere chiuso lo sfintere, evitare l’ingestione di aria in esofago e contribuire all’azione dello sfintere esofageo inferiore nel prevenire il reflusso gastro-esofageo (Uziel, 1986; Kahrilas, 1996; Piemonte 1997). Durante la fase faringo-esofagea, il SES passa da una contrattura tonica ad un rilassamento ed infine ad una apertura con meccanismo biomeccanico. Il rilassamento avviene grazie ad una diminuzione dell’attività tonica vagale sul muscolo crico-faringeo e precede l’apertura del SES di circa 100-150 msec. L’apertura dello sfintere, invece, avviene prevalentemente per un meccanismo biomeccanico passivo ed è conseguenza dell’innalzamento e della protrusione dell’unità faringo-laringea, del suo allontanamento dal rachide cervicale e del contemporaneo rilassamento del muscolo crico-faringeo (Jacob, 1989; Piemonte, 1997). Dopo il passaggio del bolo, il SES si richiude con tono maggiore rispetto alla contrattura basale per evitare che avvenga un reflusso esofago-faringeo. A questo punto, l’unità faringo-laringea si riabbassa e torna alla sua posizione più arretrata, il piano glottico si riapre e l’epiglottide torna alla sua

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15 posizione pressoché verticale; la funzione respiratoria può quindi riprendere regolarmente fino ad un successivo atto deglutitorio.

Fase esofagea.

La fase esofagea (Figura 5) inizia con il passaggio del bolo oltre lo sfintere esofageo superiore e termina con il superamento dello sfintere esofageo inferiore (SEI). Durante questa fase, quindi, il bolo attraversa l’esofago e viene rapidamente spinto verso la cavità gastrica per effetto di due forze: la peristalsi esofagea e la forza di gravità (Uziel, 1986; Krespi, 1988; Kahrilas, 1996; Piemonte, 1997; Schindler A, 2001-2011). La peristalsi esofagea è caratterizzata dall’azione di fibre circolari della muscolatura esofagea che si rilassano a valle e si contraggono a monte del bolo alimentare e dall’azione di fibre longitudinali che si contraggono per avvicinare l’esofago distale al bolo ed all’onda peristaltica che sta progredendo. La fase esofagea ha una durata variabile tra gli 8 ed i 20 secondi (Logemann, 1983; Schindler A, 2001-2011).

Fase gastrica.

Comprende il tempo in cui il cibo oltrepassa lo sfintere esofageo inferiore e permane nello stomaco fino a che non si scarica nel duodeno. Gli sfinteri pilorico ed esofageo inferiore mantengono il loro tono mentre lo svuotamento gastrico avviene prevalentemente grazie all’azione della muscolatura liscia delle pareti dello stomaco (Schindler A, 2001-2011). Nella Figura 6 è possibile osservare le diverse fasi della deglutizione in un esame di videofluorografia digitale di un soggetto normale.

1.2 ASPETTI NEUROFISIOLOGICI DELLA DEGLUTIZIONE

La conoscenza della regolazione nervosa della deglutizione è indispensabile sia da un punto di vista diagnostico sia da un punto di vista riabilitativo, in quanto ogni manovra o esercizio di rafforzamento muscolare o di stimolazione sensoriale trova le sue basi nella

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16 neurofisiologia del processo deglutitorio (Schindler A, 2001-2011). Come abbiamo visto, la deglutizione è il risultato dell’attività coordinata e sequenziale di numerose strutture nervose e muscolari; affinché l’elevato numero di strutture coinvolte nella deglutizione (cavo orale, faringe, laringe, esofago) siano strettamente coordinate, è necessario un controllo nervoso centrale estremamente efficiente, sia da parte delle ricche e precise afferenze sensitive, sia da parte delle numerose ed altrettanto rapide efferenze motorie (Uziel, 1986; Krespi, 1988; Cunningham, 1990; Miller, 1993; De Campora, 1994; Piemonte, 1997). Ancora oggi la neurofisiologia della deglutizione non è stata del tutto chiarita, probabilmente in rapporto alla sua correlazione con altre funzioni quali la fonazione e la respirazione e per l’intrinseca complessità di un processo che prevede una duplice modalità di attivazione, una volontaria e l’altra involontaria, alla quale corrispondono centri nervosi e input afferenti in parte differenti (Uziel, 1986; Sessle, 1989; Schindler O, 1990; Piemonte, 1997). Il coordinamento neurofisiologico della funzione deglutitoria avviene a livello del tronco encefalo, in particolare nel bulbo, dove è presente uno specifico centro della deglutizione (Miller, 1982; Uziel, 1986; Krespi, 1988; Sessle, 1989; Miller, 1993; Logemann, 1995; Nacci, 2005) (Figura 7). Tale centro riceve afferenze sia di tipo periferico sensitivo-sensoriale dai nervi trigemino, glossofaringeo e vago, correlate all’attivazione involontaria della deglutizione, sia di tipo centrale discendenti provenienti dal giro precentrale, frontale anteriore e collicolo superiore, che sono invece deputate all’attivazione volontaria dell’atto deglutitorio (Figura 7) (Uziel, 1986; Sessle, 1989; Capra, 1995; Piemonte, 1997). Le afferenze centrali sono meno rapide ed efficaci rispetto a quelle che attivano la deglutizione involontaria, ma presentano sicuramente un effetto facilitatore sulla via riflessa e diventano di importanza irrinunciabile durante il trattamento riabilitativo in caso di deficit anatomo-funzionali (Piemonte, 1997). In condizioni normali, la stimolazione più efficace ai fini dell’attivazione involontaria

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17 dell’atto deglutitorio è rappresentata dallo stimolo meccanico sui recettori dei nervi vago e glossofaringeo (particolarmente quelli posti a livello dell’istmo delle fauci e della base della lingua), anche se un ruolo di supporto potrebbe essere svolto dai recettori gustativi e termici (Piemonte, 1997; Schindler A, 2001-2011). Le afferenze mediate dal nervo laringeo superiore rivestono invece particolare importanza nel proteggere le vie aeree inferiori dall’inalazione di cibi solidi e liquidi e di semplici secrezioni fisiologicamente prodotte a livello di cavo orale e faringe.

Il centro della deglutizione viene suddiviso da un punto di vista funzionale in tre parti: una parte afferente o sensitiva, una parte motoria ed una parte deputata all’integrazione delle afferenze ed alla programmazione dell’atto motorio. La parte afferente è rappresentata dal nucleo solitario, a livello del quale giungono afferenze sensitive dei nervi glossofaringeo, vago e faciale e dal nucleo gelatinoso di Rolando che riceve afferenze sensitive da fibre del nervo trigemino. La parte motoria comprende i nuclei motori del nervo trigemino e del nervo faciale, il nucleo ambiguo ed il nucleo del nervo ipoglosso (Figura 7) (Schindler O, 1990; Piemonte, 1997; Schindler A, 2001-2011). La parte di integrazione risulta costituita da una rete di interneuroni capaci di integrare le afferenze e programmare il comando motorio che in ultima analisi conduce all’atto deglutitorio; questo sistema interneuronico, quindi, rappresenta la parte neurologicamente più delicata perché ha in sé funzioni di integrazione dell’input sensoriale e funzioni di programmazione dell’output motorio, che determina la contrazione sequenziale di tutti i muscoli coinvolti nella deglutizione (Figura 8) (Piemonte, 1997; Nacci, 2005; Schindler A, 2001-2011). Gli interneuroni sono raccolti in due gruppi denominati rispettivamente “dorsale” e “ventrale”. Il primo riceve afferenze sensitive dai nervi periferici, le elabora, le “processa” e, grazie ad altri interneuroni a diversa velocità di trasmissione (interneuroni precoci, lenti o molto lenti), determina la sequenzialità cronologica della deglutizione attraverso una coordinata stimolazione dei

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18 nuclei dei nervi motori. Il gruppo ventrale è invece responsabile della coordinata distribuzione delle efferenze ai nuclei motori ed in particolar modo del collegamento funzionale tra fase faringea e fase esofagea (Cunningham, 1990; Piemonte, 1997; Schindler A, 2001-2011). L’output motorio, oltre a regolare in modo coordinato i muscoli coinvolti nella deglutizione, assicura la trasmissione dei riflessi per i centri respiratori e per la funzione del nervo frenico, in modo che anche la funzione respiratoria sia coordinata ed interconnessa con quella deglutitoria.

Figura 1. Fase buccale. Il bolo è raccolto sul dorso della lingua; la protrusione anteriore

del palato molle ed il sollevamento posteriore della base della lingua determinano la chiusura dell’istmo palato-linguale (Nacci, 2005).

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19 Figura 2. Fase orale e fase oro-faringea. La lingua, con la punta fissata sul palato duro, dà

inizio al movimento posteriore del bolo, che giunge all’imbocco delle fauci. Il sollevamento del velo palatino chiude il rinofaringe ed impedisce il reflusso nasale. Il piano inclinato posteriormente rappresentato dalla lingua favorisce la progressione del bolo nel cavo faringeo (Nacci, 2005).

Figura 3A e 3B. Fasi faringee prossimale e distale. Si rafforza la chiusura velo-faringea

mentre si verifica la retroflessione dell’epiglottide. La laringe si solleva e contribuisce alla chiusura dello sfintere laringeo; il bolo così giunge ai seni piriformi dove progredisce agevolmente (Nacci, 2005).

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20 Figura 4. Fase esofagea. Apertura del SES per innalzamento e protrusione

faringo-laringea e rilassamento del muscolo crico-faringeo. Il bolo progredisce nell’esofago cervicale (Nacci, 2005).

Figura 5. Fase esofagea. Superato il SES, il bolo progredisce nell’esofago e le strutture

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21 Figura 6. Fasi della deglutizione alla videofluorografia digitale in soggetto normale.

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22 Figura 7. Schematizzazione della neurofisiologia della deglutizione (Nacci, 2005).

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23 Figura 8. Rappresentazione schematica della zona di integrazione interneuronale presente

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2. DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE DELLA DISFAGIA

Per “disfagia” si intende un’alterazione o un impedimento della deglutizione secondaria alla compromissione qualitativa e/o quantitativa del transito alimentare nelle vie digestive (Krespi e Blitzer, 1988; Schindler O, 1990; Kahrilas, 1994; Logemann, 1995; Piemonte, 1997). Nel processo della deglutizione, sono interessate diverse strutture anatomiche quali cavo orale, faringe ed esofago e sono coinvolte in rapida successione cronologica strutture nervose e muscolari che assicurano, in condizioni normali, l’arrivo del bolo a livello gastrico (Palma, 1997). Da queste considerazioni e, soprattutto, da un accurato studio della fisiologia della deglutizione, si evince quanto l’atto deglutitorio sia complesso e necessiti di una perfetta attivazione e coordinazione di tutte le strutture coinvolte: le vie recettoriali afferenti, le strutture nervose centrali dove risiede il centro della deglutizione, le vie motorie efferenti (Piemonte 1997). Un disturbo della deglutizione, quindi, si può verificare sia per patologie locali del primo tratto aereo-digestivo, sia per patologie neurologiche centrali o periferiche, sia per malattie primariamente muscolari. Da non dimenticare, inoltre, che molte malattie sistemiche e disturbi psicosomatici possono interferire con il processo di deglutizione, sino a causare una franca disfagia. Il sintomo “disfagia”, infatti, è molto frequente e si stima che i soggetti adulti che lamentano questo disturbo siano circa il 7% di quelli che si recano ad una visita di medicina generale; la percentuale aumenta sensibilmente raggiungendo il 25% se il campione considerato è quello di pazienti ospedalizzati (Layne, 1989; Lindgren, 1991).

Nonostante l’importanza clinica della disfagia e l’elevata frequenza con la quale il medico deve affrontare i disturbi della deglutizione, alcuni aspetti del processo deglutitorio non sono ancora completamente chiariti, soprattutto per quanto riguarda la componente

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25 sensitiva afferente e la neuroregolazione del sistema nervoso centrale (Piemonte, 1997). Una definizione più precisa ed approfondita degli aspetti neurofisiologici e fisiopatologici della deglutizione è fondamentale per un miglior approccio clinico-diagnostico e terapeutico della disfagia. Risulta evidente, inoltre, per la complessità del processo e per le numerose strutture neuromuscolari coinvolte, quanto anche l’inquadramento e la classificazione delle disfagie siano ancora oggi problemi di non facile soluzione. Le diverse classificazioni proposte sono infatti suscettibili di un’ampia differenziazione, basata sui diversi criteri utilizzati: anatomici, topografici, cronologici, etiologici, patogenetici, fisiopatologici, clinici (Piemonte, 1997).

Ciò che ci preme sottolineare, è che l’inquadramento generale delle disfagie non deve essere visto come un asettico esercizio didattico-classificativo, ma piuttosto come la possibilità di fornire uno strumento con finalità applicative, che possa guidare di volta in volta il medico o il riabilitatore alla scelta più adeguata, sia essa chirurgica o non chirurgica.

Tra le classificazioni più comunemente utilizzate, verranno trattate quelle basate su criteri etiologici, patogenetici, fisiopatologici e topografici (Piemonte, 1997).

2.1 CLASSIFICAZIONE ETIOLOGICA

Schematizzare le disfagie secondo una classificazione etiologica risulta impresa non facile, essendo numerosissime le malattie che possono essere responsabili di alterazione della deglutizione. È innegabile, però, che una corretta diagnosi etiologica rappresenta il punto di partenza per attuare provvedimenti terapeutici specifici ed individualizzati. Tra le varie disfagie (Tabella 1) ricordiamo quelle malformative (ereditarie e non ereditarie), quelle immunitarie, degenerative ed infettive. La disfagia può avere inoltre una etiologia vascolare (centrale o periferica), dismetabolica, tossica o traumatica.

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26 Un capitolo a parte è rappresentato dalle disfagie iatrogene, legate alla terapia chirurgica ed alla radiochemioterapia.

Disfagia post-terapia chirurgica. La funzionalità dell’apparato della deglutizione viene sistematicamente compromessa non solo da interventi chirurgici riguardanti le vie aero-digestive superiori, ma anche da quelli di pertinenza otoneurochirurgica. La disfagia che ne consegue viene provocata dalla perdita o dalla rimozione parziale o totale degli organi della deglutizione, ma anche dall’alterazione della funzione sensitivo/motoria delle terminazioni nervose e dalla conseguente modificazione della peristalsi, della coordinazione sfinterica, della motilità degli organi coinvolti e del riflesso deglutitorio (Grandis, 1997; Arias, 2004). Un esempio in questo senso è rappresentato dai possibili disturbi della deglutizione conseguenti ad interventi di uvulopalatoplastica o uvulopalato-faringoplastica, che vengono effettuati in caso di roncopatia cronica (Jaghagen, 2004). In oncologia, invece, il grado di danno e la possibilità di un recupero spontaneo della funzione deglutitoria dipendono dalle condizioni generali del paziente e, soprattutto, dalla sede ed estensione della resezione (e quindi dalla estensione della neoplasia) (Caliceti, 2004). Da non trascurare, inoltre, che anche la scelta pre-operatoria della tecnica ricostruttiva è fondamentale per il ripristino di una corretta alimentazione (Caliceti, 2004). Nel caso in cui non si verifichi un adeguato recupero della deglutizione, sarà necessario non solo attuare procedure riabilitative più “aggressive” ma, dove necessario, programmare ulteriori tecniche ricostruttive, finalizzate al miglioramento se non alla risoluzione del problema (Grandis, 1997).

Disfagia post-chemioradioterapia. Nel trattamento dei tumori del distretto testa-collo, sono previste indicazioni per la chemioradioterapia esclusiva e per la radioterapia post-chirurgica. La disfagia è una delle conseguenze più impegnative da affrontare non solo nel periodo post-chirurgico ma anche dopo chemioradioterapia. Secondo alcuni Autori, in

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27 pazienti trattati con radiochemioterapia per un tumore del distretto testa-collo, la qualità della vita e la presenza di sintomi psichici quali ansia e depressione si correlano in maniera statisticamente significativa con il grado di disfagia, indipendentemente da altre variabili (dolore, qualità della voce, menomazione estetica, ecc.) (Nguyen, 2005).

Le alterazioni funzionali che si verificano a carico degli organi deputati alla deglutizione e rilevabili attraverso videofluoroscopia ed endoscopia a fibre ottiche, anche dopo un follow-up di 48 mesi dalla fine del trattamento, sono rappresentate da: riduzione del movimento posteriore della base della lingua, ridotto movimento di elevazione della laringe, mancata completa chiusura laringea, non perfetta retroflessione dell’epiglottide, mancata coordinazione tra le diverse fasi della deglutizione e prolungamento del tempo di transito faringeo (Eisbruch, 2004; Nguyen, 2004). Queste alterazioni funzionali si associano e trovano giustificazione nelle anomalie anatomiche rilevabili alla tomografia computerizzata ed interessanti prevalentemente i muscoli costrittori faringei, la regione glottica e la laringe sopraglottica. Le alterazioni anatomiche dimostrabili dopo radio-chemioterapia sono rappresentate da un aumento di spessore delle strutture muscolari e sembrano essere responsabili sia della disfagia sia dell’aspirazione di bolo nelle vie aeree che, talvolta, è asintomatico ed insidioso per la perdita del riflesso della tosse (Eisbruch, 2004; Nguyen, 2004). Questi sintomi possono perdurare per periodi più o meno lunghi, in rapporto alla sede ed all’estensione del tumore primitivo, ma anche alla modalità di somministrazione e di frazionamento della radio-chemioterapia (Eisbruch, 2004). È possibile che le anomalie funzionali che determinano la disfagia e l’aspirazione possano essere, almeno in parte, prevenute da una adeguata terapia riabilitativa di tipo profilattico (Kotz, 2004).

La chemioradioterapia determina, oltre alle anomalie anatomiche e funzionali suddette, tutta una serie di complicanze ed effetti collaterali soprattutto a carico del cavo orale, che

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28 contribuiscono a determinare e mantenere nel tempo il sintomo “disfagia”. Tra queste ricordiamo: mucositi, ulcerazioni, lesioni gengivali, xerostomia, dolore orale, emorragie, carie, candidosi, ipogeusia, disgeusia, trisma e osteoradionecrosi.

2.2 CLASSIFICAZIONE PATOGENETICA

La classificazione patogenetica riveste sicuramente una notevole importanza per la sua stretta correlazione con gli aspetti clinici, diagnostici e terapeutici (Piemonte, 1997). Seguendo un criterio patogenetico, è possibile suddividere le disfagie in: meccaniche, motorie, respiratorie e funzionali (Tabella 2).

Disfagia meccanica. Le disfagie meccaniche sono conseguenti a processi ostruttivi o costrittivi che determinano un evidente impedimento alla progressione del bolo nella via digestiva. Tra queste suddividiamo ulteriormente le:

- disfagie di tipo intraluminale (corpo estraneo esofageo per es.),

- disfagie di tipo ostruttivo/costrittivo per patologie flogistiche o neoplastiche della faringe e dell’esofago,

- disfagie da compressione estrinseca legate a tumori tiroidei, aneurismi aortici, flogosi delle parti molli cervicali ecc.

Nelle disfagie meccaniche devono essere comprese anche quelle legate ad edemi o esiti cicatriziali post-operatori ed esiti di radiochemioterapia per neoplasie del distretto testa-collo (Piemonte, 1994; 1997).

Disfagia motoria. Le disfagie motorie sono la conseguenza di una alterazione della funzione neuro-muscolare che si realizza a carico dei distretti coinvolti nel processo della deglutizione (Uziel, 1986; Brin, 1988; Schindler O, 1990). Le disfagie motorie possono essere ulteriormente suddivise in quattro sottogruppi (Piemonte, 1997):

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29 - disfagie da alterazione del meccanismo di innesco della deglutizione,

- disfagie da malattie della muscolatura orale e faringea,

- disfagie da malattie che coinvolgono la muscolatura liscia esofagea.

Le disfagie da alterato meccanismo di preparazione orale comprendono quelle patologie che interferiscono con la funzionalità del cavo orale nel produrre correttamente il bolo alimentare. Oltre alle patologie motorie propriamente dette ad etiologia flogistica, iatrogena, traumatica, ecc., possiamo includere in questo tipo di disfagie quelle derivate da scialopatie ed odontopatie.

Le disfagie da alterato meccanismo di innesco della deglutizione sono quelle determinate da una compromissione della fase oro-faringea e sono caratterizzate dall’impossibilità di avviare il processo automatico ed involontario dell’atto deglutitorio. In questo sottogruppo sono comprese patologie periferiche e centrali e quindi affezioni che colpiscono le vie afferenti sensoriali oppure la regione di controllo neuromotorio denominata centro della deglutizione (Piemonte, 1997).

Le disfagie da malattie della muscolatura striata orale e faringea comprendono le affezioni della componente nervosa efferente motoria, della giunzione neuromuscolare o della componente propriamente muscolare delle strutture coinvolte nella deglutizione.

Tra le prime ricordiamo malattie neurologiche quali poliomielite e sclerosi laterale amiotrofica. La poliomielite acuta, malattia attualmente molto rara, si associa a disfagia nel 10-15% dei pazienti per interessamento dei motoneuroni bulbari, mentre nei soggetti con esiti di poliomielite la disfagia è riferita in oltre il 20% dei casi. Tra questi, alcuni possono essere inquadrati clinicamente nella sindrome post-poliomielitica, caratterizzata da un lento e progressivo deterioramento dei motoneuroni residui e sovrautilizzati, che determina, tra l’altro, debolezza oro-faringea progressiva e quindi disfagia ingravescente (Buchholz, 1991). Per quanto riguarda la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), malattia degenerativa del

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30 motoneurone più comune nell’adulto, la degenerazione determina disturbi muscolari sia di tipo spastico sia di tipo atrofico. Il quadro clinico è caratterizzato da fascicolazioni generalizzate, progressiva atrofia dei muscoli scheletrici, spasticità, segni piramidali, disartria e dispnea, oltre, naturalmente, a disfagia. La disfagia nel paziente affetto da SLA è legata soprattutto alle alterazioni della fase orale, che si riflettono direttamente sulla seconda fase, quella faringea. Per le anomalie della motilità linguale, l’alimentazione diventa lenta, la masticazione lunga e difficoltosa. I pazienti affetti da SLA con coinvolgimento bulbare dimostrano in genere i maggiori disturbi della deglutizione (così come di inalazione), anche se spesso la disfagia è presente anche in quelli affetti da SLA con sintomi prevalentemente non bulbari (Kidney, 2004; Leder, 2004).

Le disfagie da coinvolgimento della giunzione neuromuscolare sono rappresentate essenzialmente dalla miastenia grave. In questa malattia autoimmunitaria, gli anticorpi diretti contro i recettori dell’acetilcolina riducono gli impulsi a livello della placca neuromuscolare, generando sintomi che si aggravano durante l’attività muscolare. Anche per quanto riguarda la deglutizione, quindi, il sintomo “disfagia” ha la caratteristica di aggravarsi con lo sforzo muscolare, per cui le maggiori difficoltà si verificano verso la fine del pasto (Miani, 1997).

Le disfagie possono essere anche una conseguenza di affezioni infiammatorie e/o degenerative della componente muscolare; tra queste ricordiamo la distrofia muscolare, la polimiosite, la dermatomiosite, ecc. La distrofia muscolare che più spesso determina disfagia è quella di Fuchs-Kiloh-Nevin o distrofia oculo-faringea, che provoca un progressivo indebolimento della muscolatura faringea ed oculomotrice e che quasi sempre si associa a disfonia per il contemporaneo interessamento della muscolatura laringea (Miani, 1997). La disfagia è comunque presente in molti altri tipi di distrofia, per l’interessamento della muscolatura cranio-facciale e la conseguente alterazione delle fasi

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31 buccale ed orale (difficoltà ad aprire la bocca ed a mantenere chiuso lo sfintere labiale, riduzione del movimento latero-laterale e rotatorio della mandibola, minor attività contrattile della muscolatura linguale, ecc). La disfagia è un sintomo spesso precoce ed importante nella polimiosite, rara malattia flogistica della muscolatura striata, che colpisce prevalentemente i muscoli del tronco e dei cingoli. La polimiosite riconosce una etiopatogenesi di tipo immunitario e si associa spesso a malattie del collageno quali panarterite e lupus eritematoso sistemico; ha un andamento a poussée ed anche il sintomo “disfagia” segue l’andamento della malattia, con fasi intercritiche e fasi di peggioramento (Schindler O, 1990).

La disfagia può essere una conseguenza dell’interessamento della muscolatura liscia esofagea: in questo sottogruppo possono essere elencate numerose patologie caratterizzate da un’alterata funzione della contrattilità e della peristalsi esofagea oppure da alterazione del meccanismo di inibizione motoria della deglutizione. Tra le prime ricordiamo la distrofia miotonica e la sclerodermia, tra le seconde, lo spasmo esofageo, l’acalasia classica, il “curling” esofageo e la sindrome di Barsony-Teschendorff (Piemonte, 1997). Disfagia respiratoria. Le disfagie respiratorie sono conseguenti a disordini del coordinamento deglutitorio/respiratorio e quindi sono legate ad una non perfetta coordinazione delle strutture che permettono la chiusura/apertura alternata della via digestiva e della via respiratoria (Piemonte, 1989; 1997). In questo ambito rivestono particolare importanza le cause iatrogene quali esiti di laringectomia parziale, tracheotomia, ecc. (Piemonte, 1989).

Disfagia funzionale. Le disfagie funzionali sono caratterizzate da disturbi soggettivi in assenza di alterazioni organiche che giustifichino il disturbo. Tra queste ricordiamo la fagofobia (paura di deglutire), la disfagia da psicopatia isterica, da disturbi ansioso-depressivi o da schizofrenia (bolo isterico).

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32 2.3 CLASSIFICAZIONE FISIOPATOLOGICA

La classificazione fisiopatologica identifica la sede e le conseguenze funzionali della disfagia, sulla base della suddivisione in fasi del processo deglutitorio (Tabella 3) (Uziel, 1986; Schindler O, 1990; 1998; Logemann, 1995; Piemonte, 1997;). In questo senso è giustificato suddividere le disfagie in quattro sottogruppi:

- deficit della fase buccale,

- deficit della fase orale ed orofaringea,

- deficit delle fasi faringee prossimale e distale, - deficit della fase faringo-esofagea ed esofagea.

Questo tipo di criterio classificativo riveste particolare importanza ai fini della programmazione terapeutica, in quanto l’identificazione della fase interessata e, quindi, della sede di lesione può rappresentare una utile guida sia per il medico sia per il riabilitatore (Logemann, 1995; Piemonte, 1997).

Disfagia da deficit della fase buccale. La disfagia legata ad un deficit della preparazione orale del bolo è caratterizzata dall’incapacità o dalla difficoltà di assumere ed elaborare il cibo a livello labiale ed orale. Di conseguenza si verificano una anomala trasformazione dell’alimento in “bolo” ed un difficoltoso trasporto in vicinanza dell’istmo delle fauci, dove viene innescata la fase involontaria della deglutizione. In questo gruppo sono comprese tutte quelle patologie che alterano la prensione del cibo, la masticazione, la salivazione, la motilità labiale, mandibolare, linguale e facciale.

Disfagia da deficit della fase orale ed orofaringea. La disfagia legata ad un deficit della fase orale ed orofaringea è caratterizzata dalla incapacità di trasportare il bolo alimentare all’istmo delle fauci e quindi di innescare il riflesso involontario di deglutizione (Piemonte, 1997). In questo sottogruppo, quindi, sono comprese le patologie contraddistinte da una inadeguata motilità linguale e, soprattutto, le patologie neurologiche centrali e periferiche

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33 che impediscono l’arrivo di un adeguato input sensoriale oppure influiscono negativamente sulle strutture nervose di coordinamento e controllo della deglutizione. Tra le disfagie legate a deficit della fase orale e orofaringea, però, dobbiamo comprendere anche quelle caratterizzate da disfunzioni dell’output muscolare dell’istmo delle fauci e della porzione craniale della faringe.

Disfagia da deficit delle fasi faringee. La disfagia da deficit delle fasi faringee prossimale e distale è in genere legata a patologie che impediscono una corretta coordinazione tra l’attività deglutitoria e quella respiratoria, con conseguenti episodi di aspirazione più o meno sintomatici e manifestazioni bronco-polmonari “ab ingestis” (Piemonte, 1997). Disfagia da deficit della fase faringo-esofagea ed esofagea. Questo tipo di disfagia è legata a spasmi della muscolatura sfinterica esofagea, ad alterazioni della peristalsi esofagea e ad incontinenza dello sfintere esofageo inferiore.

2.4 CLASSIFICAZIONE TOPOGRAFICA

La classificazione topografica presenta alcune similitudini con la classificazione fisiopatologica per l’esistenza di una stretta correlazione tra sede di malattia (orale, faringea, esofagea) ed interessamento di una o più fasi della deglutizione. La classificazione topografica, inoltre, può essere considerata un approfondimento di altre classificazioni, in particolar modo di quella motoria. Le disfagie motorie, infatti, possono essere suddivise da un punto di vista topografico in (Schindler O, 1990; Piemonte, 1997):

- disfagia da sofferenza del I motoneurone, - disfagia da sofferenza del II motoneurone,

- disfagia da alterazione dell’innervazione sensoriale,

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34 Disfagia da sofferenza del I motoneurone. Sono disfagie secondarie a sofferenza delle vie motorie cortico-pontine e cortico-bulbari dirette ai nuclei motori del nervo trigemino, facciale, glossofaringeo, vago ed ipoglosso. Possono essere anche una conseguenza dell’interessamento delle strutture che regolano il tono, l’automatismo e la coordinazione motoria quali le vie extrapiramidali ed i centri cerebellari. Tra le disfagie da lesione del I motoneurone, ricordiamo le sindromi pseudobulbari da disturbi ischemici o emorragici cerebrali e da trauma cranico (Miani, 1997; Piemonte, 1997).

Disfagia da sofferenza del II motoneurone. Sono disfagie legate all’interessamento dei nuclei motori dei nervi cranici (V, VII, IX, X e XII). Tra gli esempi di malattie del II motoneurone ricordiamo: poliomielite, difterite, neoplasie, traumi, siringobulbia, ecc. Disfagia da alterazione dell’innervazione sensoriale. Le disfagie da interessamento dell’innervazione sensoriale sono lesioni ad etiologia varia, che compromettono l’innesco della deglutizione involontaria e la protezione delle vie aeree.

Disfagia da sofferenza dell’effettore muscolare o neuromuscolare. È caratteristica di patologie quali miastenia, polimiosite, miotonia, distrofia muscolare; sono malattie che compromettono la giunzione neuromuscolare o direttamente l’effettore muscolare delle prime vie digestive.

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35 Tabella 1. Classificazione etiologica della disfagia.

Etiologia Malformativa Immunitaria Degenerativa Infettiva Vascolare Dismetabolica Tossica Traumatica Iatrogena

Tabella 2. Classificazione patogenetica della disfagia.

Disfagia meccanica: - intraluminale;

- di tipo ostruttivo/costrittivo; - da compressione estrinseca. Disfagia motoria:

- da alterato meccanismo di preparazione orale;

- da alterazione del meccanismo di innesco della deglutizione; - da malattie della muscolatura striata orale e faringea;

- da malattie che coinvolgono la muscolatura liscia esofagea. Disfagia respiratoria:

- cause iatrogene con dissociazione delle vie aereo-digestive; - ostruzione delle vie aeree;

- mancato coordinamento della funzione respiratoria e di chiusura laringea. Disfagia funzionale:

- disfagia da disturbo ansioso/depressivo; - disfagia da isterismo;

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36 Tabella 3. Classificazione fisiopatologica della disfagia.

Deficit della fase buccale

Deficit della fase orale ed orofaringea

Deficit delle fasi faringee prossimale e distale Deficit della fase faringo-esofagea ed esofagea

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3. DIAGNOSI STRUMENTALE DELLA DISFAGIA FARINGEA

3.1 VIDEOFLUOROSCOPIA (VFS)

La videofluoroscopia è una tecnica di indagine radiologica che consente di studiare in maniera dinamica l’atto deglutitorio. L’esame consiste nella registrazione delle immagini fluoroscopiche che compaiono nel monitor di un normale apparecchio radiologico telecomandato durante la deglutizione di un bolo radiopaco. Rispetto alla cinematografia (registrazione cinematografica su nastro) essa comporta alcuni vantaggi rappresentati da una minore esposizione alle radiazioni, da un minor costo e dalla possibilità di rivedere immediatamente, nel corso dell’esame, le immagini registrate. Sebbene la frequenza delle immagini sia minore rispetto alla cinematografia (25-30/sec contro le 50-100/sec), queste sono qualitativamente in grado di fornire una soddisfacente definizione morfologica delle strutture anatomiche. La loro registrazione, inoltre, permette sia una valutazione complessiva dell’evento, effettuata in tempo reale, sia l’osservazione del comportamento delle differenti componenti anatomico-funzionali resa possibile attraverso l’analisi rallentata delle immagini giungendo, se necessario, fino al fermo immagine. In questo modo è possibile individuare alterazioni visibili solo transitoriamente e rilevare anche minime aspirazioni non visibili all’esame radiologico tradizionale. La disponibilità di un cronometro digitale in centesimi di secondo consente, inoltre, di ottenere misure temporali precise degli eventi che si verificano durante le varie fasi della deglutizione.

Nella pratica clinica l’esame viene effettuato secondo una metodica standard (Jones, 1991). Il paziente può essere posto in stazione eretta o seduto (Rubesin, 1999). Si effettua dapprima uno studio radioscopico diretto della regione cervicale in proiezione latero-laterale per identificare e valutare alcune strutture anatomiche di riferimento quali: il

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38 rachide cervicale, i tessuti molli prevertebrali, la base della lingua, l’osso ioide, la laringe, il palato molle. Queste strutture possono essere osservate anche durante il movimento prodotto dalla fonazione o dall’esecuzione di una o più deglutizioni “a secco”. La fase successiva dell’esame prevede la somministrazione di una dose singola di bolo radiopaco (solido, semisolido o liquido) la cui quantità e consistenza sono stabilite in relazione al caso, come anche la modalità di somministrazione (cucchiaio, siringa, bicchiere, cannuccia, etc) (Logemann, 1983; Jones, 1991). Si possono quindi somministrare boli di volume crescente e di consistenza diversa, utilizzando cibi di sapore accettabile miscelati con bario solfato. Ciò consente di: valutare i pazienti che lamentano disfagia in seguito all’assunzione di certi alimenti, individuare le consistenze responsabili di aspirazione, differenziare i pazienti che presentano aspirazione per una sola consistenza da quelli che presentano aspirazione per più consistenze, identificare le consistenze più sicure per l’alimentazione orale del paziente (Martin-Harris, 2000).

La registrazione viene iniziata in proiezione latero-laterale per individuare subito un’eventuale inalazione o una stasi del bolo, e per analizzare i movimenti della lingua, del velo palatino, della mandibola, della parete faringea, dell’osso ioide e dell’epiglottide. L’esame procede quindi in proiezione antero-posteriore allo scopo di individuare la sede e l’asimmetria di un’eventuale stasi del bolo, ed effettuare lo studio iniziale della fase esofagea della deglutizione, che prosegue poi con il paziente in clinostatismo per meglio valutare la peristalsi e la presenza di un’eventuale patologia della giunzione gastro-esofagea. La modifica della postura del capo può evidenziare anomalie della deglutizione non rilevabili con il capo in posizione neutra, può inoltre consentire l’individuazione delle posture (flessione del capo, rotazione del capo, etc.) mediante le quali il paziente è in grado di deglutire senza incorrere in episodi di aspirazione (Logemann, 1994; Martin-Harris, 2008).

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39 La videofluoroscopia permette lo studio accurato delle fasi orale, faringea ed esofagea (e delle relative sottofasi) della deglutizione (Figura 9 e 10) (Martin-Harris, 2008).

Figura 9. Fase Orale della deglutizione in proiezione LL di Videofluoroscopia

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40 Figura 10. Fase Faringea della deglutizione in proiezione LL di Videofluoroscopia

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41 Di notevole importanza è la possibilità, quindi, di evidenziare eventuali alterazioni a carico della fase orale e/o della fase faringea della deglutizione. Nei pazienti affetti da paralisi bulbare o pseudo-bulbare, per la prevalenza dei fenomeni spastici a carico del muscolo linguale, si assiste ad un notevole ritardo del trasferimento del bolo in orofaringe (Rubesin, 1999). I pazienti affetti da malattia di Parkinson presentano frequenti alterazioni della chiusura dello sfintere labiale e dei movimenti linguali con tremori, oscillazione della lingua e fenomeni di “pumping” conseguenti ad una disorganizzazione della motilità linguale; tale condizione rende apprezzabile un ritardo nella fase orale e nel trasferimento del bolo in faringe (Logemann, 1998).

La videofluoroscopia viene attualmente considerata il “gold standard” per la diagnosi e la pianificazione terapeutica della disfagia orofaringea (Wilson, 1990; Leighton, 1994; Mari, 1997; Briani, 1998; Kawai, 2003; Martin-Harris, 2008; Fattori, 2016). Infatti, essa consente, tra l’altro, di evidenziare la presenza di aspirazione di bolo nelle vie aeree, evenienza strettamente correlata al rischio di sviluppare polmoniti “ab ingestis” (Pikus, 2003). Tuttavia, la sua limitata ripetibilità, dovuta alla non trascurabile radio-esposizione del paziente, non permette di considerarla una metodica ideale, soprattutto nell’ambito di un programma di follow-up che prevede la necessità di ripetere più volte l’esame radiografico. Inoltre, essa presenta il limite di richiedere la collaborazione del paziente (che deve poter essere trasportato nella sede idonea all’esecuzione dell’esame), di non quantificare l’aspirazione, e di non rilevare l’aspirazione salivare.

3.2 FIBEROPTIC ENDOSCOPIC EVALUATION OF SWALLOWING (FEES)

Questa tecnica viene ormai utilizzata routinariamente quale metodica di primo impiego, in virtù della facilità di esecuzione, della elevata tollerabilità da parte del paziente (con possibilità di bedside examination) e dei bassi costi (Aviv, 2000; Nacci, 2016). Inoltre,

Riferimenti

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