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Il lavoro parasubordinato fra evoluzione storica e attualità

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

IL LAVORO PARASUBORDINATO FRA

EVOLUZIONE STORICA E ATTUALITÀ

La candidata Il Relatore

Marzia Lucarini Prof. Oronzo Mazzotta

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INDICE

CAPITOLO 1.0 – Introduzione………...1

CAPITOLO 2.0 – Il prototipo normativo della parasubordinazione: l’art. 409 c.p.c. ………..12

2.1 La continuità……….………....15

2.2 La prevalente personalità………...……….…………..18

2.3 Il coordinamento………...20

2.4 La disciplina del lavoro parasubordinato prima del 2003……….…23

2.5 Rassegna casistica………...28

CAPITOLO 3.0 – Il disegno evolutivo della disciplina………..33

3.1 La legge Biagi e il lavoro a progetto……….40

3.1.1 Il campo di applicazione………46

3.1.2 Tutele e obblighi del lavoratore a progetto (cenni)…………....49

3.1.3 L’apparato sanzionatorio………51

3.2 La riforma Fornero e il ruolo del progetto……….…57

3.2.1 La presunzione dell’art. 69-bis………...60

CAPITOLO 4.0 – Il Jobs Act………64

4.1 Obiettivi e superamento del lavoro parasubordinato……….64

4.2 L’art. 2 e l’estensione della disciplina del lavoro subordinato……..71

4.2.1 L’etero-organizzazione………...84

4.2.2 Il settore del food delivery………..93

4.3 Ipotesi di esclusione dall’applicazione della disciplina…………...101

4.4 Le collaborazioni coordinate e continuative nella Pubblica Amministrazione………107

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CAPITOLO 1.0 – Introduzione

Il rapporto di lavoro subordinato è, più o meno da sempre, il nucleo su cui si è concentrata gran parte della disciplina del diritto del lavoro. Infatti, la subordinazione, fino ad alcuni anni fa, così come contemplata dall’art. 2094 c.c., era considerata la forma tipica dei rapporti di lavoro in generale; il lavoro autonomo si limitava a coprire l’ambito residuale, accogliendo le fattispecie che non rientravano nello schema della subordinazione classica.

Nel diritto del lavoro lo studio della parasubordinazione per lungo tempo non ha potuto godere di un ruolo di rilievo, a causa della maggiore attenzione dedicata al lavoro subordinato, beneficiario di un più alto livello di tutela e garanzie. Nonostante ciò, la disciplina è destinata a dare spazio a nuove forme di lavoro flessibile, in linea con le esigenze del mercato.

Il codice civile, all’art. 2222, si limitava inizialmente ad includere nella fattispecie del lavoro autonomo il contratto d’opera e l’esercizio delle professioni intellettuali. Con il contratto d’opera «una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo

un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente». Il legislatore del 1942 non poteva

sapere, però, che dopo non moltissimi anni questa disciplina si sarebbe rivelata non esauriente, poiché esistono forme di collaborazione che non appartengono alle due fattispecie previste e rimangono pertanto escluse dallo schema normativo1. Proprio

per questo motivo, negli anni successivi, si è dovuto porre rimedio a tale lacuna. In Italia il grado di flessibilità della disciplina lavoristica è aumentato senza incidere sulla fisionomia tradizionale del rapporto di lavoro, ovvero quello del lavoro dipendente a tempo indeterminato, ma piuttosto rendendo più semplice il ricorso alle forme di lavoro atipiche, quali ad esempio le collaborazioni coordinate e continuative.

Le imprese hanno promosso e accolto di buon grado tale transizione, perché, nelle situazioni più difficili sul piano dell’andamento economico, hanno sempre

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dimostrato una certa resistenza alla stipula di nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato2. Questi non solo comportano una serie di oneri che potrebbero

ritenere eccessivamente gravosi a seconda delle circostanze, ma le forme di lavoro flessibile danno la possibilità agli imprenditori di avvalersi dei servizi offerti dai lavoratori nei momenti di maggior bisogno e, successivamente, di interrompere il rapporto quando vengono meno le esigenze a cui dovevano far fronte tramite l’assunzione di nuovo personale.

Sul piano delle tutele, però, questo comporta il rischio che questi lavoratori percepiscano uno scarso reddito durante la loro esperienza lavorativa, una bassa pensione al termine di essa e, in generale, condizioni lavorative peggiori anche per quanto riguarda la stabilità lavorativa, la tutela della professionalità, l’accesso al credito e alla formazione3. Il pericolo è ancora più accentuato se si considera che i

lavoratori flessibili sono spesso gli elementi deboli del mercato, come le donne e giovani, e che non necessariamente riusciranno ad ottenere un impiego più stabile col tempo.

Si sono così formate due grandi fasce diverse di lavoratori: quelli standard, beneficiari di un livello di tutela adeguato, e quelli flessibili e precari. Il ricorso ai contratti di collaborazione ha avuto molto successo per diverse ragioni: essi sono in grado di adattarsi allo svolgimento di ogni genere di mansione, i lavoratori – non essendo subordinati – non sono costretti a seguire uno specifico orario di lavoro e il rapporto si rivela, in generale, meno gravoso per il datore di lavoro rispetto a un classico contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Questa flessibilità in certi casi può anche avvantaggiare i lavoratori, ad esempio le donne, impossibilitate a svolgere un lavoro a tempo pieno se hanno dei figli di cui doversi prendere cura.

Tuttavia, per altri, un contratto di collaborazione rappresenta semplicemente una fase di passaggio necessaria per raggiungere il vero obiettivo: il contratto di lavoro a tempo indeterminato. Questo è vero specialmente per i lavoratori parasubordinati

2 R. DEL PUNTA, Il lavoro difficile. Prime riflessioni sulla riforma Fornero, in Iride, 2012, fasc.

2, p. 232.

3 F. BERTON – L. PACELLI – G. SEGRE, Il lavoro parasubordinato in Italia: tra autonomia del

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in senso stretto, ovvero i collaboratori con un’unica fonte di reddito e con mansioni diverse dall’amministratore, sindaco o revisore di società: questi soggetti sono spesso la componente più debole della parasubordinazione. Secondo un’indagine svolta basandosi su informazioni raccolte dal 1996 al 1999 dall’archivio WHIP (Work Histories Italian Panel), estratto a sua volta dall’archivio INPS, costoro sono per lo più giovani, spesso donne, ricevono bassi compensi annui e svolgono attività che non richiedono elevate qualifiche, come vendite a domicilio oppure operazioni di marketing4.

Il netto contrasto tra le tutele previste per il lavoro subordinato e quello autonomo ha portato il legislatore a occuparsi dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (cfr. art. 409, n. 3, c.p.c.). Il motivo di questa differenza di trattamento è da riscontrare nell’utilizzo del concetto formale di subordinazione come criterio di individuazione della fattispecie di riferimento fondamentale della disciplina protettiva, indipendentemente dalla situazione effettiva del lavoratore5. Il

legislatore, così, sposta l’attenzione dal rapporto di lavoro dipendente a quello atipico, allo scopo di garantire la dovuta protezione ai lavoratori coinvolti in un rapporto parasubordinato.

Il riconoscimento di questa nuova categoria, quindi, è fondamentale in un contesto storico contraddistinto dalla necessità di offrire tutela a quei lavoratori che si trovano in una condizione di particolare debolezza contrattuale nei confronti del datore al lavoro, ma il cui rapporto non abbia le caratteristiche della subordinazione vera e propria. Sebbene la fattispecie del lavoro subordinato abbia giocato un ruolo decisivo nell’ambito della disciplina della materia, l’avanzare del tempo ha portato alla formazione di nuove forme lavorative dalle caratteristiche più diverse; il legislatore, in questo contesto, ha dovuto scegliere se stravolgere l’attuale sistema e introdurre un tertium genus da affiancare alla subordinazione e all’autonomia, o se ricondurre forzatamente i nuovi tipi di rapporti alle categorie tradizionali di lavoro.

4 BERTON – PACELLI – SEGRE, op. cit., p. 59.

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Il riconoscimento del lavoro parasubordinato è importante anche per contrastare il problema della precarietà, ormai sempre più diffusa, perché porta alla mancanza di stabilità, di sicurezza e di crescita professionale del lavoratore, col risultato, in particolar modo nell’ultimo caso, di rendere l’azienda poco competitiva nel mercato dal punto di vista produttivo. Bisogna sottolineare, però, che i contratti di lavoro parasubordinato hanno comunemente vita breve; il lavoratore che opera con questo tipo di regime potrà quindi godere di un impiego, con tutti i benefici che ne derivano, ma questo non gli permetterà comunque, nella maggioranza dei casi, di ottenere una garanzia di stabilità sotto il profilo lavorativo.

L’ordinamento dunque ammette l’estensione delle garanzie spettanti ai lavoratori parasubordinati per migliorare le condizioni lavorative di coloro che offrono una prestazione di diversa natura, con l’obiettivo di assicurare un livello di tutela minima per tutti. Si tratta di un traguardo certamente importante, ed è dovere del legislatore fare in modo che ogni forma di lavoro offra l’opportunità di condurre una vita dignitosa, per garantire il benessere dei cittadini. D’altro canto, è la Costituzione stessa ad assumersi l’impegno di promuovere le condizioni utili a rendere effettivo sul piano concreto il diritto al lavoro, e l’ordinamento non poteva quindi sottrarsi dall’attuare questo compito: considerata la diffusione del lavoro parasubordinato, e considerate le problematiche che erano ad esso collegate, era necessario offrire una disciplina esauriente in grado di tutelare tutti coloro che desideravano svolgere un’attività di questo tipo.

Stabilita la necessità del lavoratore che opera in regime di parasubordinazione di essere tutelato come si deve, occorre chiedersi in quale modo, sul piano concreto, può essere messo in atto un sistema di garanzie. Ci sono diversi modi, in questi casi, di offrire una protezione adeguata, ma uno dei più importanti è intervenire sotto il profilo contrattuale: e per farlo si possono seguire diverse vie6.

6 F. Amato (a cura di), I “destini” del lavoro, autonomia e subordinazione nella società

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Una di esse è rappresentata dall’allargamento dell’area protetta del diritto del lavoro, possibile da attuare in due diversi modi. La prima prevede la riqualificazione di una parte del lavoro autonomo come subordinato e la conseguente estensione delle garanzie che gli sono proprie. Questo significa che il rapporto di lavoro parasubordinato verrebbe considerato parte della fattispecie del lavoro dipendente a tutti gli effetti, con un conseguente allargamento dell’originale concetto di subordinazione, che arriverebbe così a includere rapporti lavorativi che inizialmente vi erano estranei.

L’alternativa è la mera estensione del livello di tutela proprio del lavoro subordinato, mantenendo una qualificazione “stretta” del concetto di subordinazione. Quest’ultima soluzione permette di mantenere inalterata sia l’area ricoperta dall’art. 2094 c.c., che in questo modo non viene soggetto ad alcuna modifica, che la natura sostanziale e formale del rapporto parasubordinato. Il legislatore ha deciso di intraprendere questa via, in tempi recenti, con riguardo ai rapporti di lavoro etero-organizzato, introdotti per la prima volta con il decreto n. 81 del 2015.

Un’altra possibile soluzione è il superamento della bipartizione tra lavoro subordinato e autonomo, e la costruzione di una base contrattuale minima, ma comune, come area di applicazione del diritto del lavoro. Si tratta di elaborare un livello di tutela minimo e inderogabile, lasciando le parti libere di decidere le altre e ulteriori garanzie spettanti al lavoratore.

L’ultima possibilità presa in esame è quella dell’eliminazione della regola della tipicità e della apertura ai contratti atipici. Considerato però che dietro alcuni contratti si nasconde l’intento di evadere la disciplina inderogabile della subordinazione, è difficile rinvenire un interesse meritevole di tutela che possa spingere al riconoscimento di questi rapporti atipici. Questa soluzione stravolgerebbe completamente l’attuale sistema della disciplina in materia di lavoro, ancora più del superamento del binomio tradizionale del lavoro autonomo e subordinato, ed è difficile immaginare che il legislatore possa intraprendere questa via nel prossimo futuro, considerato che si tratta di un provvedimento alquanto estremo.

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È importante ricordare che la legge non dà una definizione precisa della parasubordinazione: questo termine non costituisce un tertium genus rispetto al lavoro subordinato e autonomo7 e viene utilizzato per riferirsi a diversi tipi di

rapporti aventi alcune caratteristiche in comune: l’esempio più importante è rappresentato dalla posizione di debolezza economica del lavoratore rispetto al committente, tale da giustificare l’estensione di alcune tutele previste per il lavoro subordinato. Santoro Passarelli, in un importante studio in materia8, aveva

considerato tale debolezza un elemento costitutivo della fattispecie del lavoro parasubordinato, in considerazione del fatto che questa condizione non è, come invece potrebbe apparire, esclusiva dei rapporti di lavoro subordinato. Si tratta infatti di una situazione che può coinvolgere diversi tipi di lavoratori, non necessariamente dipendenti, e risulta quindi piuttosto chiaro che anche i lavoratori parasubordinati possono trovarsi in una condizione di svantaggio a causa della loro debolezza sul piano contrattuale.

Nonostante questo tipo di situazione trovi spesso riscontro nella realtà, questa linea di pensiero non risulta del tutto convincente: alla luce degli sviluppi successivi e di altri contributi dottrinari, sembra oggi più opportuno ritenere l’elemento della debolezza contrattuale semplicemente una delle diverse ragioni socio-economiche che storicamente hanno spinto il legislatore a tutelare questa categoria di lavoratori9.

In conclusione, si può dire che il lavoro parasubordinato si colloca nell’ambito del lavoro autonomo: il collaboratore organizza la propria attività, assumendosi il rischio economico, senza essere soggetto al potere disciplinare, organizzativo e direttivo del committente. La sua storia ha inizio con l’approvazione della legge n. 741 del 14 luglio 1959, anche nota come legge Vigorelli, la quale stabilì che nel proprio ambito di applicazione dovessero essere ricompresi anche i rapporti di collaborazione che si concretassero “in prestazione d’opera continuativa e

coordinata”.

1.1 La qualificazione del rapporto e il valore del nomen iuris

7 F. DI NUNZIO, Problemi di disciplina del contratto d’opera, Torino, 2000, p. 98. 8 G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro parasubordinato, Milano, 1979, p. 16. 9 DI NUNZIO, op cit., p. 103.

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I rapporti di lavoro parasubordinato trovano spesso la loro origine in un contratto in forma scritta, ma, ovviamente, in mancanza di essa e in caso di controversia fra le parti, il giudice può qualificarli come tali in considerazione degli elementi effettivamente presenti nel caso concreto, in particolar modo se riscontra che i requisiti della continuità e del coordinamento persistono nel tempo. Spetta quindi al giudice individuare gli elementi caratterizzanti il rapporto, ed è sulla base di questi che lo riconduce alla fattispecie a cui appartiene.

Qualificare il rapporto di lavoro, però, potrebbe non rivelarsi un’impresa così semplice: nonostante la Suprema Corte riconosca l’importanza del nomen iuris utilizzato dalle parti, permangono incertezze quando questo non sembra riflettere adeguatamente la realtà. In casi come questo occorre determinare quale valore attribuire alla qualificazione operata dalle parti e agli altri elementi eventualmente presenti all’interno del rapporto.

La sentenza della Cassazione n. 11711 del 19 novembre 1988 dichiara che “la

volontà diversa espressa dai contraenti non assurge ad elemento decisorio della controversia qualora alla medesima volontà le parti non si siano attenute se risulta che nello svolgimento del rapporto questo si è concretizzato nel senso della subordinazione” ed è dello stesso parere anche una successiva sentenza10, che

afferma che “ai fini della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e rapporto

di lavoro subordinato, occorre fare riferimento non già al nomen iuris utilizzato dalle parti nella stipula del contratto di lavoro o alla volontà delle medesime risultante dal contratto, bensì al concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro”. Il nomen iuris si trova, così, ad assumere un ruolo secondario e sussidiario ai fini della

qualificazione del rapporto, per evitare che le parti, nel tentativo di eludere gli oneri previdenziali e gli obblighi contrattuali, nascondano un rapporto di lavoro subordinato sotto le spoglie di una collaborazione coordinata e continuativa. Si può constatare, quindi, la presenza di diverse linee di pensiero.

La prima prende la strada della valorizzazione della qualificazione operata dalle parti nel contratto, a volte ritenendola più o meno vincolante11, altre considerandola

espressiva di un significato meramente indiziario, ricercando poi, nell’effettivo

10 Sent. Cass. n. 6570/2000. 11 Sent. Cass n. 4948/8.

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svolgimento del rapporto, degli elementi veramente significativi ai fini dell’individuazione della volontà delle parti, considerata la possibilità di simulazione o anche di modifica durante il corso del rapporto12. Valorizzare

eccessivamente la volontà delle parti, però, può portare a una facile scorciatoia per chi desidera nascondere un rapporto di lavoro in nero, spacciandolo per un rapporto legittimo: le parti potrebbero stipulare un contratto di lavoro, ben consapevoli che questo rientra nell’area della subordinazione, ma dichiarare che la loro intenzione era quella di formare un rapporto di collaborazione. Se il giudice decidesse di dare troppa importanza alla qualificazione che le parti hanno attribuito al contratto, queste potrebbero non avere difficoltà a distorcere la vera natura del rapporto, in modo tale da non doversi sobbarcare gli oneri conseguenti alla stipulazione di un contratto di lavoro subordinato vero e proprio.

Questo tipo di orientamento porta anche a un aggravamento, di fatto, dell’onere della prova, poiché il giudice potrebbe preferire valorizzare la volontà delle parti a scapito di altri elementi, come la continuità e l’osservanza di un preciso orario di lavoro13, o addirittura ritenere irrilevante la prova dedotta dal lavoratore

relativamente al concreto svolgimento del rapporto, in presenza di un regolamento convenzionale che attribuisce al rapporto il nomen iuris di lavoro autonomo, in mancanza di specifica contestazione14.

La Corte costituzionale ha deciso di prendere posizione, negando valore decisivo alla volontà delle parti. Con due sentenze, la n. 121 del 1993 e la n. 115 del 1994, ha affermato che non è consentito al legislatore di “negare la qualificazione

giuridica di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura ove da ciò derivi l’inapplicabilità delle norme inderogabili previste dall’ordinamento per dare attuazione ai principi, alle garanzie e ai diritti dettati dalla Costituzione a tutela del lavoro subordinato” e di “autorizzare le parti ad escludere direttamente o indirettamente, con la loro dichiarazione contrattuale, l’applicabilità della disciplina inderogabile prevista a tutela del lavoro a rapporti che abbiano contenuto e modalità di esecuzione propri del rapporto di lavoro

12 Sent. Cass. n. 3853/1995 e n. 4220/1992. 13 Sent. Cass. n. 2690/1995.

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subordinato”. Per questo, risulta più opportuno considerare la volontà delle parti

come semplice indizio15.

Un’altra sentenza della Cassazione16, uniformandosi a un precedente

orientamento17, afferma però che per qualificare un rapporto non si può prescindere

dalla ricerca della volontà delle parti, perché nonostante sia certamente doveroso verificare il contenuto del contratto questo non comporta la totale irrilevanza della dichiarazione di volontà. Di conseguenza, se le parti dichiarano di aver attribuito al loro rapporto una certa qualificazione, il giudice non può discostarsene in mancanza di elementi concreti.

Ai fini di una corretta qualificazione del rapporto di lavoro, inoltre, è necessario individuare la linea di confine che separa la parasubordinazione da altre fattispecie, in particolar modo quella del lavoro dipendente.

Era stata inizialmente proposta un’interpretazione restrittiva del testo dell’art. 2094 c.c., secondo la quale la caratteristica fondamentale della subordinazione sarebbe la completa e continua soggezione del lavoratore al datore di lavoro nel corso dello svolgimento del rapporto, da non confondersi con la soggezione, significativamente più debole, del lavoratore parasubordinato al potere direttivo del committente18.

Tale interpretazione, però, crea delle difficoltà di applicazione con riguardo a soggetti che sono tradizionalmente considerati lavoratori subordinati, ad esempio i lavoratori a domicilio, che svolgono la loro attività rispettando le direttive che vengono loro fornite solo all’inizio dell’opera e non durante19.

In tempi più recenti i giudici, chiamati a decidere sulla natura subordinata o meno di un rapporto, sembrano tenere in grande considerazione elementi come l’orario di lavoro o la soggezione del lavoratore al potere organizzativo e direttivo del committente20, ricavando spesso questi elementi dalla prova testimoniale, poiché il

giudice, ai fini della decisione, sente il bisogno di affidarsi agli occhi di altri soggetti che in prima persona hanno avuto percezione delle caratteristiche concrete della

15 Amato (a cura di), op cit., p. 88. 16 Sent. Cass. n. 206/2017. 17 Sent. Cass. n. 2690/1995.

18 Sent. Cass. n. 1182/1993 e n. 1219/1994. 19 Amato (a cura di), op. cit., p. 89. 20 Sent. App. n. 467/2016.

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prestazione svolta21. Altre importanti pronunce della Cassazione22 individua gli

indici sussidiari, ovvero quelli sufficienti a qualificare un rapporto di lavoro come subordinato: se la modalità di esecuzione della prestazione risulta “estremamente

elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione”, tali indici

sono la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro, la presenza di una minima organizzazione imprenditoriale e la sussistenza di un potere effettivo di autorganizzazione del lavoratore.

Per rendere più semplice la qualificazione del rapporto di lavoro la Cassazione, recentemente, sembra essere giunta all’individuazione di un elemento utile a distinguere il rapporto parasubordinato da quello dipendente: la mono committenza. In particolare, se il lavoratore, tramite accordo, ha espresso la volontà di non prestare la propria attività ad altri, è probabile che ci si trovi in presenza di un rapporto di lavoro subordinato nascosto sotto le false spoglie della parasubordinazione23.

La grande dicotomia costituita dal lavoro subordinato e da quello autonomo è stata rafforzata tramite il Jobs Act – oggetto di approfondimento nel capitolo 4 – che ha stabilito una distinzione tra il lavoro etero-organizzato, ovvero organizzato dal committente, e quello semplicemente coordinato, riconducibile all’art. 409 c.p.c. e svolto dal lavoratore con un’organizzazione autonoma. Al lavoro etero-organizzato, come stabilito dal tanto discusso art. 2 del decreto, viene estesa la disciplina originariamente prevista per il lavoro dipendente, prova che il legislatore non riesce facilmente a distanziarsi da questo storico binomio, ritenuto ancora fondamentale per la disciplina del diritto del lavoro24. Si è preferito, quindi, abbandonare l’idea

di rivoluzionare e modernizzare l’attuale struttura del sistema in materia, e inglobare nelle vecchie categorie le forme di lavoro che hanno trovato sviluppo in tempi recenti.

21 S. D’ASCOLA, Non solo autonomia e subordinazione: uno sguardo alla giurisprudenza sulla

qualificazione del contratto di lavoro, in ADL Argomento di diritto del lavoro, 2017, fasc. 1, p.

283.

22 Ad esempio Sent. Cass. n. 18320/2016. 23 Sent. Cass. n. 10235/2016.

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Infine, per quanto riguarda la certificazione, l’art. 80 del decreto 276 del 2003 dispone che “le parti e i terzi nella cui sfera giuridica l’atto stesso è destinato a

produrre effetti, possono proporre ricorso […] per erronea qualificazione del contratto oppure difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione”, e che le parti del contratto oggetto di certificazione possono

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CAPITOLO 2.0 - Il prototipo normativo della parasubordinazione: l’art. 409 c.p.c.

L’art. 409 c.p.c. è uno dei tasselli fondamentali in materia di parasubordinazione. Originariamente relativo alla competenza per materia della magistratura del lavoro, tramite la legge n. 533 del 1973 diventa, fra le altre cose, uno strumento finalizzato ad estendere le garanzie processuali proprie del rapporto di subordinazione anche a rapporti di varia e altra natura.

L’articolo in esame, come previsto dal testo entrato in vigore nel 1973, stabilisce l’applicazione della disciplina ai “rapporti di agenzia, di rappresentanza

commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”. La formula utilizzata è simile a quella presente

nell’art. 2 della legge n. 741 del 1959 (legge Vigorelli), con riferimento alla delega al Governo ad emanare norme giuridiche con lo scopo di assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e normativo nei confronti di tutti gli appartenenti a una medesima categoria.

Il testo non descrive una fattispecie precisa e determinata, ma si limita piuttosto ad elencare i tratti caratteristici che i rapporti di collaborazione hanno in comune, ed indica una modalità peculiare di svolgimento di alcuni rapporti diversi tra loro, ma aventi comunque ad oggetto attività lavorative: si tratta di rapporti che mantengono la loro disciplina sostanziale ma, in aggiunta, un altro livello di tutela, tra cui l’estensione del rito del lavoro. Uno degli elementi in comune tra questi rapporti è, spesso, la dipendenza economica e una situazione di svantaggio, sotto il profilo contrattuale, rispetto al committente. Bisogna però ricordare che questa componente non è necessariamente presente: la fattispecie può coprire, ad esempio, anche un lavoratore altamente qualificato e quindi non economicamente dipendente. Non essendo parte di uno dei tre criteri distintivi della collaborazione, la dipendenza e la debolezza contrattuale non possono essere considerati un elemento decisivo ai fini della qualificazione del rapporto, e pertanto anche un lavoratore che non si trovi in uno stato di soggezione socioeconomico ha diritto a

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usufruire del livello di tutela riconosciuto ai collaboratori coordinati e continuativi, purché il suo rapporto possa essere identificato come tale25.

L’art. 409 c.p.c., quindi, non introduce un nuovo tipo contrattuale, ma individua le diverse caratteristiche che possono essere proprie del rapporto di collaborazione e che possono derivare sia da schemi contrattuali tipici, come quello del contratto di agenzia, che da quelli atipici, riconosciuti dall’art. 1322 c.c.26. Una sentenza della

Cassazione afferma chiaramente che “ai fini della competenza per materia del

giudice del lavoro, ai sensi dell’art. 409 c.p.c., n.3, non è indispensabile qualificare esattamente il rapporto dedotto in giudizio, ma è sufficiente che lo stesso presenti i requisiti dalla norma previsti, che lo facciano rientrare nell’ampia e indeterminata categoria dei cosiddetti rapporti di parasubordinazione, menzionati insieme con i rapporti di agenzia e rappresentanza commerciale”27.

Considerata l’espressione flessibile, è naturale che in essa vengano compresi non solo i rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale, ma anche rapporti come il contratto d’opera (art. 2222 c.c.), di mandato (art 1703 c.c.) e di spedizione (art. 1737 c.c.) purché si concretizzino in una prestazione continuativa, coordinata e prevalentemente personale e in assenza di un’organizzazione imprenditoriale. Possono essere compresi nella fattispecie anche alcuni rapporti associativi di lavoro, tra i quali l’associazione in partecipazione e i rapporti associativi nell’impresa familiare28. La Cassazione, con la sentenza n. 16582 del 2002, afferma

che “nell’ambito dei c.d. rapporti di lavoro parasubordinato, le cui controversie

sono assoggettate al rito del lavoro, ai sensi dell’art. 409 n. 3 c.p.c., sono da includere – purché si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale – tutti quei rapporti aventi ad oggetto prestazione di facere riconducibili allo schema generale del lavoro autonomo, ancorché rientranti in figure contrattuali tipiche, non ostandovi il fatto che il

25 G. FERRARO, Tipologie di lavoro flessibile, 2009, Torino, p. 251 e ss.

26 G. SANTORO PASSARELLI, I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le

collaborazioni continuative e coordinate ex art. 409 n. 3 c.p.c., in “Massimo D’Antona”.IT, 2015,

p.3.

27 Sent. Cass. n. 1553/1999. 28 FERRARO, op. cit., p. 251.

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prestatore d’opera svolga la sua attività in autonomia e con responsabilità e rischi propri”.

L’articolo in esame è di particolare importanza, specialmente se si considera che l’art. 429 c.p.c., nel suo testo originario ma ormai abrogato, non prevedeva questo tipo di rapporti nell’ambito di applicazione delle controversie individuali di lavoro. Il legislatore del 1973 ha riconosciuto, tramite la nuova disposizione, l’esigenza di estendere un certo livello di garanzie anche alle collaborazioni coordinate e continuative. Questo ha portato alla diffusione dell’espressione “lavoro parasubordinato”, fino a quel punto sconosciuta nel linguaggio giuridico, riferita a quei lavoratori non subordinati ma comunque in una condizione di dipendenza29.

Il testo dell’art. 409 c.p.c. è stato oggetto di un’altra, più recente modifica. L’art. 15 della legge n. 81 del 2017 aggiunge una precisazione: “la collaborazione si intende

coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l'attività lavorativa”. In questo modo, l’autonomia organizzativa diventa un elemento

costitutivo della fattispecie e si rende necessario un accordo relativo alle modalità di coordinamento della prestazione oggetto del contratto. Questo accordo, però, non potrà in alcun modo modificare le caratteristiche della fattispecie della parasubordinazione, perché in tal caso sussiste il rischio di elusione della disciplina del lavoro subordinato30.

Il lavoro subordinato si distingue dalla collaborazione poiché prevede un vero e proprio potere direttivo del datore di lavoro, al contrario della semplice coordinazione tra le due parti; tuttavia, individuare la linea di confine tra il lavoro coordinato e quello organizzato si rivela più difficile. Quest’ultimo è disciplinato, come vedremo più avanti in maniera più approfondita, dal decreto legislativo n. 81 del 2015. Nella sua formula originaria esso disponeva che la prestazione del collaboratore, esclusivamente personale, avvenisse secondo modalità di esecuzione “organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”: tuttavia, tramite una recente modifica, il richiamo a questi due elementi viene

29 GRIECO, op. cit., p. 21.

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eliminato e così il lavoro etero organizzato rimane caratterizzato dalla prevalenza della personalità della prestazione, comunque organizzata dal committente. È possibile concludere che il tratto caratteristico del lavoro organizzato sia la forte ingerenza organizzativa, da parte del datore di lavoro, sul fronte spazio-temporale, che va così a diminuire la discrezionalità del collaboratore31.

Gli elementi costitutivi della fattispecie del lavoro parasubordinato sono tre: la personalità della prestazione, la continuità e il coordinamento. La sussistenza dei requisiti può essere valutata in virtù delle modalità di svolgimento del rapporto, ma può essere difficile individuarli con esattezza, in mancanza di una precisa definizione giuridica.

Ciò nonostante, questi rapporti possono avere in comune anche altri elementi, come l’assenza di rapporto diretto da parte del prestatore con il mercato dei beni e dei servizi, esclusività o assoluta prevalenza del compenso rispetto alle altre fonti di reddito da lavoro del prestatore, la corresponsione di una retribuzione periodica e l’iscrizione alla Gestione separata istituita presso l’Inps.

2.1. La continuità

La prima condizione che il rapporto di collaborazione deve soddisfare per poter essere compresa nella fattispecie dell’art. 409 c.p.c. è quello della continuità. Per analizzare questo elemento è necessario fare riferimento anche alla legge n. 276 del 2003, conosciuta come legge Biagi, che sarà oggetto di esame approfondito in seguito.

Quando si parla di continuità dell’opera l’interprete prende in considerazione sia il significato latino di opus, ovvero di risultato, che quello di operae, riferito a una prestazione di comportamento. Una prestazione può definirsi continua nel caso dell’esecuzione prolungata di un’attività o di una ripetizione, nel tempo, di più opere collegate tra loro32.

La sentenza n. 7785 del 20 agosto 1997 della Suprema Corte stabilisce che la continuità “ricorre quando la prestazione non sia occasionale ma perduri nel tempo

31 A. PERULLI, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioni organizzate dal

committente, in “Massimo D’Antona”.IT, 2015, p. 43.

32 SANTORO PASSARELLI, I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le

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ed importi un impegno costante del prestatore a favore del committente”. Questo

elemento è proprio anche del rapporto di lavoro subordinato, con cui le parti soddisfano, in via reciproca, i loro interessi duraturi, ed è possibile ravvisarlo anche in alcune forme di lavoro autonomo, come il contratto di agenzia, di deposito, e di mandato a tempo33.

Essenziale, per soddisfare la condizione della continuità, è che la prestazione di lavoro sia volta a soddisfare un interesse durevole del committente, più ampio di quello derivante dal singolo adempimento34. Possiamo dedurre, pertanto, che

l’ambito della parasubordinazione non comprenda il contratto d’opera ad esecuzione istantanea, anche se la stessa risulti prolungata nel tempo, poiché in questo caso non sussiste un interesse durevole delle parti35: di conseguenza, non

può configurarsi la condizione della continuità quando il contratto prevede il compimento di un’unica opera, indipendentemente da quanto tempo sia necessario per realizzarla36.

Non è rilevante, invece, se la prestazione è esclusiva o meno, e sono ammesse periodiche interruzioni in considerazione della natura dell’opera. Il requisito della continuità si ritiene soddisfatto anche in presenza di una reiterazione di prestazioni istantanee, quando esse si ripetono grazie alla successione ripetitiva e costante di contratti nel tempo37. Nel caso di un’unica prestazione continua lo svolgimento

dell’attività costituisce l’adempimento vero e proprio dell’obbligazione, ed è in esso che si configura il carattere della continuità; invece, nell’ipotesi di una prestazione periodica, l’attività del lavoratore è preparatoria, riguarda la fase esecutiva dell’obbligazione e la continuità si rileva al momento della reiterazione degli adempimenti istantanei. Questo significa che, mentre il primo tipo di prestazione comporta necessariamente un’obbligazione di mezzi, la seconda può essere sia di mezzi che di risultato38.

33 SANTORO PASSARELLI, Il lavoro “parasubordinato”, cit., p. 60. 34 SFERRAZZA, op. cit., p. 25.

35 FERRARO, op. cit., p. 253; SANTORO PASSARELLI, Il lavoro “parasubordinato, cit., p. 61. 36 Sent. Cass. n. 1495/1996.

37 Sent. Cass. n. 4410/1978.

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Il carattere della continuità è escluso quando risulti meramente occasionale o soltanto il risultato di contingenze di fatto non previste né prevedibili nel momento dell’instaurazione del rapporto39. La sussistenza di questo requisito richiede, infatti,

che le singole prestazioni siano collegate tra loro e coordinate con l’attività del committente, e non può essere valutata in senso meramente cronologico40.

Non è necessario che la continuità della prestazione sia stata prevista nel contratto, è sufficiente che questo carattere sia stato effettivamente presente nel concreto, e in questo caso è irrilevante l’accertamento della volontà delle parti in merito all’effettiva continuità della prestazione, accertamento che si rivelerebbe in ogni caso alquanto difficoltoso. Per il beneficiario della prestazione è comunque più conveniente definirne in via preventiva il carattere continuo, invece che affidarsi al susseguirsi di diversi contratti41.

E poiché la prestazione deve mirare a soddisfare l’interesse durevole dell’altra parte, se ne può dedurre che la continuità deve riferirsi non solo alla sua esecuzione, ma anche all’adempimento dell’obbligazione. Nel caso di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, o nell’ipotesi in cui sia stato posto un termine di cessazione del rapporto, alla maggiore o minore durata dell’esecuzione della prestazione non equivale una pari variazione della controprestazione: l’adempimento non è previsto in ragione dell’oggetto della prestazione, ma piuttosto del tempo per il quale è stata resa, e pertanto non può definirsi istantaneo42.

La stessa logica deve applicarsi nel caso in cui la retribuzione sia determinata basandosi sulla quantità di lavoro reso, cioè a cottimo. Se la prestazione è diretta a soddisfare l’interesse durevole della controparte, l’adempimento è da considerarsi continuativo, e si può configurare un inadempimento solo se il lavoratore ha prodotto una quantità inferiore a quella ritenuta normale in considerazione del tempo trascorso. Nulla impedisce, quindi, che il carattere della continuità sia configurabile anche in un’obbligazione di mezzi43.

39 Sent. Cass. n. 1215/1982. 40 FERRARO, op. cit., p. 253.

41 SANTORO PASSARELLI, Il lavoro parasubordinato, cit., p.64. 42 Ivi, p. 61.

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L’assenza del requisito della continuità è una caratteristica del rapporto di procacciamento di affari, con cui una parte si impegna a raccogliere proposte di contratti o ordinazioni da clienti per trasmetterli, successivamente, al preponente da cui ha ricevuto l’incarico. Questo tipo di rapporto è considerato il frutto di un contratto atipico di collaborazione, poiché presenta tratti tipici sia del lavoro autonomo che di quello subordinato, e si distingue da quello del contratto di agenzia poiché quest’ultimo presuppone una stabile attività di promozione da parte dell’agente. Essa non dev’essere necessariamente continua o periodica, poiché la prestazione dipende esclusivamente dalla sua iniziativa, ma nel caso in cui presenti effettivamente i caratteri della continuità e periodicità la competenza funzionale spetta al giudice del lavoro ai sensi dell’art. 409 n. 3 c.p.c.44.

2.2 - La prevalente personalità

Il requisito della prevalente personalità è forse il più importante per ricondurre un rapporto nell’ambito della normativa prevista dall’art. 409 c.p.c.. Anche altre fattispecie ne sono caratterizzate, come il contratto d’opera, la piccola impresa, l’impresa artigiana e il lavoro autonomo a domicilio. In presenza degli elementi della continuità e della coordinazione è quindi possibile che queste tipologie contrattuali vengano a concretizzarsi in un rapporto di lavoro parasubordinato. Ovviamente la prevalenza costituisce solo il livello minimo richiesto, perché la prestazione può essere anche esclusivamente e del tutto personale. Al lavoratore è concesso di avvalersi di collaboratori, ma la prestazione deve essere per la maggior parte frutto del suo lavoro, e non devono sussistere elementi atti a superare la presunzione connessa all’esiguità del loro numero e della marginalità del lavoro dei dipendenti rispetto a quello svolto dal lavoratore45. Il numero degli ausiliari non ha

un valore decisivo, perché è comunque necessario considerare anche la natura eventualmente secondaria della loro prestazione46. L’attività deve risultare

prevalentemente personale anche con riferimento alle altre componenti del processo produttivo utilizzate nello svolgimento della prestazione47.

44 Sent. Cass. n. 7799/1998.

45 Sent. Cass. n. 2462/1996 e n. 5698/2002; FERRARO, op. cit., p. 254. 46 Sent. Cass. n. 9547/2001.

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Il testo dell’art 409, n. 3 c.p.c. richiama alla mente la figura del piccolo imprenditore. L’art. 2083 c.c. definisce piccoli imprenditori “coloro che esercitano

un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”. Una parte della dottrina riteneva questa figura

equivalente a quella del lavoratore autonomo, considerato che l’organizzazione non è un elemento necessario per l’identificazione della fattispecie; in realtà, però, i due casi rimangono distinti perché non è possibile considerare l’attività dei membri della famiglia del collaboratore come personale48, e l’attività del lavoratore

autonomo non è necessariamente organizzata e professionale. Ciò nonostante questo non comporta incompatibilità tra le due figure, quindi il piccolo imprenditore rimane libero di stipulare contratti d’opera49. Tramite la previsione di

questo requisito vengono esclusi dall’ambito di applicazione della disciplina gli imprenditori non piccoli50.

Ai fini della valutazione sulla personalità della prestazione rimane escluso che il lavoratore possa avvalersi di una propria organizzazione di beni e persone che abbia maggior rilevanza in confronto all’esecuzione della prestazione del suo lavoro personale51.

Se il soggetto incaricato di compiere l’opera o il servizio ha la funzione di un datore di lavoro nei confronti dei propri collaboratori non è possibile trovarsi in presenza di un rapporto coordinato e continuativo52. Questo rapporto è escluso anche quando

il prestatore d’opera “abbia organizzato la sua attività con criteri imprenditoriali

tali da far ritenere che egli si sia limitato a coordinare e a dirigere l’opera dei suoi collaboratori, senza alcun coinvolgimento personale nella prestazione53”, oppure se la prestazione è svolta “non già da un singolo professionista ma indistintamente

dai professionisti associati nell’ambito di uno studio […] per la stessa identità collettiva del soggetto che la svolge54”.

La Cassazione, tramite alcune sentenze, ha stabilito che il lavoro non può ritenersi prevalentemente personale nell’ipotesi di ricorso alla formula societaria di esercizio

48 Sent. Cass. n. 5325/1981.

49 SANTORO PASSARELLI, Il lavoro “parasubordinato”, cit., p. 79. 50 DI NUNZIO, op. cit., p. 107; Sent. Cass. n. 6659/1986 e n. 2354/1986. 51 PALLINI, op. cit., p. 122.

52 BORZAGA, op. cit. 53 Sent. Cass. n. 11326/1994. 54 Sent. Cass n. 8412/1995.

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di un’impresa, a meno che non si tratti di una società di fatto e, in certi casi, di ditta individuale55.

Rimangono rilevanti elementi come l’incidenza dell’attività dei collaboratori, la natura esecutiva o secondaria della stessa e i fattori di produzione utilizzati. La dimensione dell’impresa che si serve della collaborazione, tuttavia, non rileva in alcun modo.

Bisogna sottolineare la difficoltà della valutazione della personalità della prestazione, specialmente per quanto riguarda il lavoro intellettuale, contrapposto a quello manuale. Secondo la Corte di Cassazione è importante esaminare il contributo in considerazione dell’infungibilità di questo, poiché il lavoratore si è assunto l’obbligo della prestazione in virtù delle “proprie cognizioni teoriche, della

sua specifica preparazione, della sua particolare esperienza e del livello di responsabilità che gli compete rispetto a quello proprio di tali terzi”56.

È da considerarsi personale, per esempio, l’attività dell’agente, anche nel caso in cui venga assistito da altri agenti dello stesso preponente57, o quella di un gestore

di un impianto di distribuzione di carburanti, non titolare dell’impresa, che organizza i beni aziendali e sopporta il rischio economico58.

2.3 Il coordinamento

Il requisito della coordinazione si ritiene soddisfatto quando sussiste un nesso funzionale tra l’attività del lavoratore con quella del destinatario della prestazione professionale, realizzato tramite l’inserimento della prestazione nell’organizzazione del committente, che impartisce le direttive generali rispettando però l’autonomia del lavoratore.

Il requisito del coordinamento è visto da una parte della dottrina come superfluo, poiché l’attività del collaboratore è sempre volta a soddisfare un qualche tipo di utilità del committente, e persino come contraddittorio, perché mette a rischio la natura autonoma della prestazione59.

55 Sent. Cass. n. 6323/1980, n. 4073/1983 e n. 1707/1980. 56 Sent. Cass n. 652/1992, n. 4909/1984 e n. 5701/1984. 57 Sent. Cass n. 687/1994.

58 Sent. Cass. n. 7111/1995. 59 Ivi, p. 132.

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Il risultato ottenuto deve rispettare i criteri qualitativi, quantitativi e funzionali dell’impresa committente60. La Corte di Cassazione ritiene che sussista il requisito

della coordinazione nel caso di una connessione funzionale che porti l’opera o il servizio realizzati a rappresentare il risultato della collaborazione in modo che opera e servizio contribuiscano a raggiungere i fini del committente61, quando il datore di

lavoro fissa le direttive di massima, o se stabilisce, anche solo approssimativamente, il modo di esecuzione della prestazione del collaboratore62.

Il lavoratore può essere assoggettato al rispetto di determinati orari o di un determinato luogo di esecuzione della prestazione lavorativa, in virtù delle esigenze strutturali e organizzative aziendali63. In sostanza, l’attività del collaboratore deve

concretarsi in un’ingerenza non invasiva della struttura organizzativa del committente64; la coordinazione può essere intesa quasi come sinonimo della

subordinazione sotto il profilo tecnico e funzionale, ma non sotto quello disciplinare, quello relativo alla diligenza, alla fedeltà, alla vigilanza e alla gerarchia65.

Il committente potrà poi coordinare la prestazione con altre attività di lavoro estranee al rapporto per perseguire il risultato finale che intende raggiungere, senza che questo infici in alcun modo la natura autonoma dell’organizzazione del lavoratore.66

Per quanto riguarda il rapporto della coordinazione con la subordinazione, possiamo dire che il lavoro subordinato si distingue da quello coordinato e continuativo perché il primo presenta il carattere della eterodirezione, mentre il secondo viene svolto in relativa autonomia, pur tenendo in considerazione la necessaria presenza della coordinazione con l’attività del committente. La linea di confine tra autonomia e subordinazione è data, dalla parte del committente, dall’impossibilità di chiedere una prestazione o lo svolgimento di un’attività non prevista dal progetto o dal programma; dalla parte del lavoratore, invece, dalla predeterminazione delle modalità e dei tempi dell’esecuzione della prestazione. Il

60 FERRARO, op. cit., p. 254. 61 Sent. Cass. n. 14722/1999. 62 Sent. Cass. n. 2005/1997. 63 Sent. Trib. di Roma n. 76/1999. 64 Sent. Cass. n. 7785/1997. 65 SFERRAZZA, op. cit., p. 24.

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committente, in questo caso, ha il mero potere di conformazione della prestazione e non un vero e proprio potere direttivo. Non si tratta quindi di una semplice eterodirezione quantitativamente più debole rispetto a quella del lavoro dipendente, ma di una differenza sotto il punto di vista qualitativo67.

Nella giurisprudenza, a riguardo, si sono sviluppati due orientamenti. Il primo sostiene che, perché un rapporto possa considerarsi coordinato e continuativo, debba mancare la subordinazione, ovvero l’assoggettamento gerarchico del lavoratore. Successivamente se ne è sviluppato un altro, che affermava che il lavoro dipendente fosse caratterizzato invece da una più generale sottoposizione alle direttive del datore di lavoro68.

Il lavoratore coordinato non può essere obbligato a rimanere a disposizione del committente, ma non può nemmeno modificare unilateralmente le modalità di esecuzione della prestazione, perché esse devono essere pattuite nel contratto o determinate tramite un accordo tra le parti di volta in volta, con riguardo anche al tempo e al luogo in cui dev’essere svolta l’attività. Questo può rendere difficile la distinzione tra lavoro coordinato e quello a chiamata o intermittente69.

Nel caso in cui il collaboratore si accordi con il committente sulle modalità, sul luogo e sul tempo di adempimento della prestazione, tale accordo non dev’essere confuso con quello riferito all’assegnazione di mansioni superiori o equivalenti, poiché quest’ultimo comporta una modificazione dell’oggetto del contratto70. Se,

invece, il collaboratore le determina autonomamente, il committente ha semplicemente il potere di verificare la rispondenza della sua attività alle condizioni stabilite nel contratto71.

Il lavoratore, nell’adempimento della prestazione, deve anche considerare le possibili modificazioni dell’organizzazione dell’impresa del committente e adeguarvisi, a meno che non rendano impossibile il perseguimento del risultato atteso o siano imprevedibili al momento della conclusione del contratto. In questi

67 AA. VV. (a cura di M. Persiani), I nuovi contratti di lavoro, 2010, Milano, p. 133. 68 BORZAGA, op. cit.

69 SANTORO PASSARELLI, I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le

collaborazioni continuative e coordinate ex art. 409 n. 3 c.p.c., cit., p. 6.

70 SANTORO PASSARELLI, Il lavoro “parasubordinato”, cit., p. 68. 71 Persiani (a cura di), op. cit., p. 133.

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casi le parti hanno comunque la possibilità di trovare un accordo, e la volontà dovrà essere espressa secondo i modi previsti dall’art. 2113 c.c.72.

Il lavoratore deve compiere tutti gli atti accessori che possano assicurare il coordinamento della prestazione con l’attività del committente, anche se non espressamente richiesto73.

Nell’ipotesi di inadempienza del prestatore di lavoro rimane esclusa la responsabilità disciplinare, poiché non sussiste dipendenza gerarchica74.

2.4 La disciplina del lavoro parasubordinato prima del 2003

Esaminate le caratteristiche e le peculiarità del lavoro parasubordinato è necessario individuare a quali norme è soggetto.

La garanzia più importante di cui può godere questo tipo di rapporto è sicuramente quello dell’applicazione del rito del lavoro, così come stabilito dall’art. 409 c.p.c., e quindi della disciplina introdotta dalla legge n. 533 del 1973.

Per quanto riguarda la diligenza, ovvero il criterio con cui ci si accerta della conformità del comportamento del lavoratore a quello dovuto e, eventualmente, della sua responsabilità, occorre sottolineare che essa è configurabile anche per il lavoratore parasubordinato. Il Codice civile utilizza diversi concetti di diligenza, ravvisabili negli art. 1176 e 2104: il primo fa riferimento alla diligenza per le normali obbligazioni e per quelle relative all’esercizio di un’attività professionale, mentre il secondo riguarda il lavoratore subordinato. È pacifico che in caso di parasubordinazione si applichi l’art. 2104 co.1, senza però tenere in considerazione il co.2, poiché esso presuppone il potere disciplinare e di organizzazione delle modalità, del tempo e del luogo della prestazione75.

E’ espressamente applicabile anche il regime delle rinunce e transazioni che hanno per oggetto i diritti del lavoratore derivanti da disposizioni inderogabili previsto dall’art. 2113 c.c.. L’impugnazione deve essere proposta entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o, se intervenute dopo la cessazione, dalla data della

72 PALLINI, op. cit., p. 137.

73 SANTORO PASSARELLI, Il lavoro “parasubordinato”, cit., p. 67. 74 Ibid.

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rinunzia o della transazione, con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, a pena di decadenza. La mancata impugnazione rende validi gli atti dispositivi. In via generale le ipotesi di inderogabilità riguardano il compenso, la sicurezza e l’igiene sul lavoro, i diritti sindacali, il diritto alla salute, ai trattamenti non discriminatori e ai contributi76.

Si applica al lavoratore parasubordinato anche l’art. 429, co. 3 c.p.c., relativo alla valutazione dei crediti di lavoro. Sebbene non sia espressamente prevista l’estensione di questa disciplina ai collaboratori, un’ordinanza della Corte costituzionale chiarisce che essa deve ritenersi applicabile in considerazione della rilevanza dello squilibrio contrattuale tra il lavoratore e il committente, anche se lo stesso non può dirsi dei normali rapporti di lavoro autonomo, che rimangono così esclusi77.

La Corte costituzionale si è espressa relativamente all’estensione della disciplina dello sciopero nei servizi pubblici essenziali. Disciplinato dalla legge n. 146 del 1990, la Corte lamenta l’esclusione dei lavoratori autonomi dalla normativa, e afferma che “un’adeguata disciplina, ormai indilazionabile, è strumentale alla

salvaguardia dei principi e valori costituzionali”, lasciando al legislatore il compito

di “definire in modo organico le misure atte a realizzare l’equilibrata tutela dei beni

coinvolti”78. Qualche anno dopo la legge n. 83 del 2000 cerca di colmare questa

lacuna, includendo nell’ambito di applicazione i lavoratori autonomi, i professionisti e i piccoli imprenditori quando la loro attività incide sulla funzionalità dei servizi pubblici essenziali. Anche se non viene fatta espressa menzione dei lavoratori parasubordinati si ritiene, in ogni caso, applicabile la disciplina sullo sciopero, in linea con una sentenza della Cassazione riferita ai medici convenzionati79.

Per quel che riguarda la retribuzione la Cassazione ha disposto che l’art. 36 Cost. – relativo alla proporzionalità ed equità del medesimo – non può ritenersi applicabile,

76 M. SQUEGLIA, Lavoro a progetto e collaborazioni coordinate e continuative, Napoli, 2004, p.

119.

77 Ord. Corte Cost. n. 65/1978; SANTORO PASSARELLI, Il lavoro “parasubordinato”, cit., p.

119.

78 Sent. Corte Cost. n. 171/1996. 79 Sent. Cass. n. 3278/1978.

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perché riguarda solo “il rapporto di lavoro subordinato e non può essere indicato

in tema di compenso per altre prestazioni lavorative, quali quelle del lavoro autonomo, mentre l’estensione normativa di talune regole proprie del lavoro subordinato a categoria di lavoro autonomo e l’applicabilità del rito del lavoro ai rapporti c.d. parasubordinati costituiscono mere eccezioni alla regole generale dell’inapplicabilità al lavoro autonomo di principi e regole tipiche del lavoro subordinato”80. Rimangono quindi esclusi i rapporti autonomi che si concretizzano

in collaborazioni coordinate e continuative: a queste si applica l’art. 2225 c.c., in virtù del quale il corrispettivo è determinato dal giudice in considerazione del risultato ottenuto e al lavoro normalmente necessario per ottenerlo, in mancanza di accordi tra le parti e se non può essere determinato tramite secondo le tariffe professionali o gli usi81.

Tra gli altri articoli applicabili è possibile rinvenire quello relativo alla conciliazione amministrativa e all’esecutività ex lege della sentenza di primo grado82, oltre a

quello sulla prescrizione delle indennità relative alla cessazione del rapporto, sull’obbligo del preavviso in caso di stipulazione di un contratto a tempo indeterminato e le norme generali in tema di risoluzione del contratto per scioglimento anticipato per motivi sopravvenuti83. Alcune norme si ritengono

applicabili al lavoro parasubordinato per analogia, ad esempio quella relativa al riconoscimento dei rapporti lavorativi di fatto anche in presenza di un contratto invalido84. Tra le norme, invece, considerate non applicabili, figurano quelle

relative all’automatica costituzione del rapporto a tempo indeterminato, nel caso in cui la collaborazione prosegua oltre la scadenza, e la disciplina sulla responsabilità del datore di lavoro per la sicurezza sul lavoro85.

Negli anni 90, a causa dell’aumento dei lavoratori in condizione di precarietà, si è avvertita la necessità di assicurare loro una tutela previdenziale nel rispetto del principio di equità garantito dal sistema pensionistico obbligatorio. Proprio per

80 Sent. Cass. n. 3400/1987 e n. 422/1995.

81 SANTORO PASSARELLI, I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le

collaborazioni continuative e coordinate ex art. 409 n. 3 c.p.c., cit., p.7.

82 FERRARO, op. cit., p. 257. 83 SQUEGLIA, op. cit., p. 118.

84 Sent. Cass. n. 9277/1993 e n. 930/1996. 85 Sent. Cass. n 9614/2001 e n. 933/1995.

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questo motivo la legge n. 335 del 1995, art. 2, co. 26, iscrive alla Gestione separata presso l’Inps coloro che esercitano per professione abituale, pur non esclusiva, le attività di lavoro autonomo di cui all’art. 49 del testo unico delle imposte sui redditi, nonché i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Tuttavia, questo provvedimento non si è rivelato sufficiente a garantire l’equità dei lavoratori, a causa delle aliquote eccessivamente elevate86.

Poiché la legge in esame non risultava sufficiente chiara – essendo spesso oggetto di ricorsi amministrativi e giudiziari – il legislatore ha deciso di integrare questa disciplina con alcuni interventi successivi. Il decreto ministeriale n. 281 del 1996 indica le modalità di versamento dei contributi, le aliquote e il procedimento per ottenere la restituzione di somme eventualmente eccedenti il limite stabilito; il decreto ministeriale n. 282 dello stesso anno, invece, prevede la corresponsione di una pensione di vecchiaia, di inabilità, di un assegno di invalidità e una pensione per i superstiti per gli iscritti e stabilisce la procedura per la relativa richiesta. Da ultimo, l’art. 1, 212 co. della legge n. 662 del 1996 indica le scadenze per i versamenti contributivi che devono rispettare i soggetti titolari di redditi di lavoro autonomo di cui all’art. 53 del testo unico delle imposte sui redditi.

Per quanto riguarda i soggetti tenuti all’iscrizione alla Gestione separata, l’ art. 50 – in origine, l’art. 49 – comprende i redditi derivanti dalla “collaborazione a

giornali, riviste, enciclopedie e simili […] nonché' quelli percepiti in relazione ad altri rapporti di collaborazione aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita, sempreché' gli uffici o le collaborazioni non rientrino nei compiti istituzionali compresi nell’attività di lavoro dipendente […] o nell'oggetto dell'arte o professione”.

Ai collaboratori spetta anche la corresponsione dell’indennità di maternità e degli assegni per il nucleo familiare a favore degli iscritti della gestione separata presso l’Inps, come previsto dalla legge n. 449 del 1997 all’art. 59 co. 16, ed essi avvengono nelle forme e con le modalità previste per il lavoro dipendente in virtù

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della legge n. 388 del 2000. Quest’ultima ammette anche la possibilità di totalizzazione dei periodi contributivi, ovvero l’unificazione degli stessi quando non sono coincidenti in via temporale e costituiti presso gestioni previdenziali differenti, poiché è necessario quando si desidera assicurare una sola prestazione pensionistica. Inoltre, il decreto legislativo n. 38 del 2000, come disposto dall’art. 5, rende applicabile l’assicurazione sugli infortuni sul lavoro anche ai lavoratori parasubordinati87.

Per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione, sussistono alcuni limiti al ricorso ai contratti di collaborazione. Inizialmente questi casi erano disciplinati dall’art. 7, co. 6, del decreto n. 29 del 1993, ma è stato successivamente sostituito dal decreto n. 546 dello stesso anno, che all’art. 5 stabilisce che le Pubbliche Amministrazioni possono avvalersi di collaborazioni solo quando sussistono delle esigenze a cui non possono far fronte con il personale di servizio, purché si tratti di incarichi individuali conferiti ad esperti di comprovata esperienza, determinando preventivamente la durata, il luogo, l’oggetto e il compenso del rapporto. Queste limitazioni mirano a spingere la Pubblica Amministrazione a valorizzare le professionalità interne alle amministrazioni e, soprattutto, a contenere la spesa pubblica88.

Il successivo decreto n. 165 del 2001, art. 7, stabilisce che le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali solo se l’oggetto della prestazione corrisponde alle proprie competenze e ad obiettivi e progetti specifici e determinati. Inoltre, la prestazione dev’essere temporanea e altamente qualificata, ed è necessario che venga accertata l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse già a disposizione. È stabilito anche un divieto di stipulare contratti di collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro: in questi casi il contratto è da considerarsi nullo e determina responsabilità erariale.

87 FERRARO, op. cit., p. 260. 88 Ivi, p. 262.

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Con la legge finanziaria del 2008 viene eliminato il riferimento agli “esperti di

comprovata esperienza”, stabilendo invece che essi debbano essere caratterizzati

da “particolare e comprovata specializzazione universitaria”. Si può prescindere da questo elemento solo in caso di stipulazione di contratti di collaborazione per attività che devono essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell’arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali, dell’attività informatica, o anche a supporto dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento o di certificazione dei contratti di lavoro.

2.5 Rassegna casistica

L’art. 409 c.p.c. è dotato di grande flessibilità, e per questo include una varietà di rapporti di diversa natura e soggetti dalla diversa forza contrattuale. La giurisprudenza ha esaminato diverse figure professionali per valutare la loro riconducibilità o meno alla fattispecie delle collaborazioni coordinate e continuative.

Si può dire, senza ombra di dubbio, che i rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale sono compresi nell’art. 409 c.p.c., perché così espressamente stabilito dal testo. Questi, come sancito dall’art. 1742 c.c., sono quei rapporti in cui una parte assume stabilmente l’incarico di promuovere la conclusione di contratti in una zona determinata per conto di qualcun altro, in cambio di una retribuzione. Secondo la giurisprudenza, è pacifico escludere la parasubordinazione se l’agente assume la forma di una società commerciale e se il lavoro personale dei soci è prevalente nella realizzazione dello scopo sociale, poiché la soggettività giuridica della società è separata da quella dei soci e quindi il suo lavoro non può essere prevalentemente personale89. Lo stesso problema non si verifica per il contratto di associazione in

partecipazione che, al contrario, non prevede la creazione di un’entità autonoma, e viene quindi facilmente ricondotto nell’area di applicazione dell’art. 409 c.p.c. quando la prestazione non viene resa in forma imprenditoriale90 o in sussistenza di

una posizione di preminenza dell’associante con un potere di direzione e controllo

89 Sent. Cass. n. 836/1982, n. 3375/1983 e n. 901/1984. 90 Sent. Cass. n. 6102/1980.

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dell’opera prestata dall’associato, in maniera continuativa e coordinata con la sua organizzazione91.

Per quanto riguarda i soci delle cooperative c’era inizialmente un dubbio sulla possibile applicabilità, nei loro confronti, del rito del lavoro, ma si è risolto con una risposta affermativa tramite la legge n. 142 del 2001.

Rientra nell’area dell’art. 409 n. 3 c.p.c. anche la figura dell’amministratore di società quando egli svolga un’attività di collaborazione con essa, come quella di consulenza legale o tecnica, oltre alle normali funzioni d’ufficio. Una sentenza della Cassazione chiarisce che, perché si possa configurare un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione, è “presupposto indefettibile che l’attività

dell’amministratore o del consigliere non si identifichi con le funzioni strettamente connesse alla carica e non coincida cioè con gli atti di rappresentanza e di gestione dovuti in funzione del mandato conferito”92. È più difficile, in caso contrario,

configurare una collaborazione: a causa del rapporto di immedesimazione che intercorre tra la società e l’amministratore non è chiaro se si possa considerare la sua attività di gestione come organizzata dalla persona giuridica93. La Cassazione

si è pronunciata sulla questione, affermando che anche in questa ipotesi è possibile ricondurre questa forma di lavoro all’art. 409 c.p.c., trattandosi di un’attività coordinata al raggiungimento dei fini della società, caratterizzata da continuità e da una subordinazione “sui generis” relativamente all’esecuzione delle delibere degli organi collegiali94.

La Suprema Corte, inoltre, ha ricondotto all’art. 409 c.p.c. anche l’attività del collaboratore svolta in un’impresa familiare, purché presenti le tre caratteristiche fondamentali della continuità, del coordinamento e della prevalenza della personalità nella prestazione95.

Un’altra delle forme di lavoro di collaborazioni coordinata e continuativa più comuni è sicuramente quella dei liberi professionisti, quindi avvocati, medici,

91 Sent. Cass. n. 3041/1979, n. 1764/1980, n. 6102/1980 e n. 3041/1979. 92 Sent. Cass. n. 4028/1980.

93 FERRARO, op. cit., p. 262. 94 Sent. Cass. n. 1722/1981.

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