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Voce, percezione e pazienza: alcune riflessioni sull’insegnamento dell’italiano lingua non materna

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FEBBRAIO 2012

ANNO XLI

Periodico in collaborazione con British Council

Bureau de Coopération Linguistique et Artistique Consejería de Educación de la Embajada de España Goethe Institut

lingua e nuova didattica

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FE B B RAI O 2012

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Per Giuliana Bertoni Del Guercio di Maria Teresa Calzetti

Voce, percezione e pazienza: alcune riflessioni sull’insegnamento dell’italiano lingua non materna di Paolo Della Putta

Quando “la grammatica è una canzone dolce”… Per una grammatica educativa

di Maria Piscitelli

Francia e Italia a confronto: il progetto EsaBac di Francesca Traina

Teorie acquisizionali e Focus on form per la classe multilingue

di Anna Whittle

Questa pubblicazione viene realizzata con il contributo di

Poste Italiane spa - Sped. in abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv

. in L. 27/02/2004 n 46) art. 1, comma 1, DCB Milano -

Eur

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FEBBRAIO 2012

ANNO XLI

LEND - Lingua e Nuova Didattica, di cui la rivista è l’organo ufficiale, è un’associazione culturale senza fini di lucro, avente lo scopo

di condurre un lavoro di ricerca, sperimentazione e formazione degli insegnanti; di diffondere nuovi orientamenti didattici; di socializzare, confrontare e verificare esperienze e competenze, nell’ambito di un’azione mirante a rinnovare l’insegnamento nella scuola italiana, con particolare riguardo all’educazione linguistica (art. 2 dello statuto).

__________________________________ The British Council cooperates willingly in the production of this magazine, but, as a guest cultural institution in Italy, its interest is limited to the professional aspects of English language teaching. Neither does it necessarily support the opinions of contributors, nor can it be associated with aspirations of LEND that involve more than immediately professional issues.

__________________________________ Le Bureau de Coopération Linguistique et Artistique du Centre Culturel Français - Ambassade de France en Italie a offert sa collaboration aux responsables de la revue LEND. Sa contribution revêt un caractère purement professionnel et ne saurait l’engager en ce qui concerne les orientations de la revue sur tout autre plan.

__________________________________ La Consejería de Educación de la Embajada de España en Italia, responsable de las relaciones educativas entre ambos países, colabora en la realización de la rivista LEND en todo aquello relacionado con los aspectos profesionales de la enseñanza de la lengua española, no haciendo necesariamente suyas las opiniones y criterios expresados en sus artículos. __________________________________ Das Goethe-Institut Rom sieht in der Mitarbeit an der Zeitschrift LEND eine nützliche und ehrenvolle Aufgabe. Als ausländische Kulturorganisation, die in Italien Gastrecht genießt, beschränkt das Goethe Institut sich auf eine rein fachliche Mitwirkung und verhält sich gegenüber möglichen anderen Zielsetzungen, die in Beiträgen der Zeitschrift zum Ausdruck kommen könnten, neutral.

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lingua e nuova didattica Periodico di linguistica applicata e di glottodidattica a cura di Lingua e Nuova Didattica - LEND in collaborazione con: British Council,

Bureau de Coopération Linguistique et Artistique,

Consejería de Educación de la Embajada de España e Goethe Institut Autorizzazione del tribunale di Milano n. 407 del 22 maggio 1987 ISSN 1121-5291

direttore responsabile Elsa Del Col elsa.delcol@alice.it redazione

Elettra Mineni e.mineni@libero.it comitato di redazione Paola Bertocchini Cesarina Mesini Silvia Minardi Graziella Pozzo Franca Quartapelle Paola Tomai

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Volume: Camilleri A., 2006, Le ali

della Sfinge, Sellerio Editore, Palermo

Articolo di rivista: Mauro A., 2006, “La traduzione tecnico specialistica: problemi e soluzioni”, Lingua E Nuova

Didattica, anno XXXV, 2

Contributo in volume: Banfi E., Bernini G., 2003, “Il verbo” in Giacalone Ramat A. (a cura di),

Verso l’italiano. Percorsi e strategie di acquisizione, Carocci, Roma

Documenti: Commissione Europea, 1995, Libro Bianco: Insegnare e

apprendere. Verso la società della conoscenza, Bruxelles

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Per Giuliana

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Quando “la grammatica è una canzone dolce”…

Per una grammatica educativa

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Francia e Italia a confronto: il progetto EsaBac

di Francesca Traina

esperienze

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Teorie acquisizionali e Focus on form per la classe multilingue

di Anna Whittle

segnalazioni

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Moti

e commoti tra più culture: es geht von àse!

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Un cuore “lend” batte per l’Europa

Seminario nazionale di formazione e aggiornamento LEND

“Lingue per un cuore europeo”

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Quali possibilità per il Francese in Europa?

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Voce, percezione e pazienza: alcune riflessioni sull’insegnamento dell’italiano lingua non materna 9 contributi

Voce, percezione e pazienza:

alcune riflessioni sull’insegnamento

dell’italiano lingua non materna

di Paolo Della Putta

Introduzione

Con questo articolo vorrei contribuire a sviluppare alcune riflessioni già in atto ma forse ancora troppo silenti in seno alle ricerche e alla pratica didattica dell’insegnamento dell’italiano come lingua non materna.

L’intento è costruttivo e si basa sulla convinzione (già espressa da Ciliberti 2003) che riflettere sulla pratica e sulla teoria glottodidattica sia un momento fondante della vita professionale di ogni insegnante.

La mole di lavoro fatta sull’insegnamento dell’italiano per stranieri in questi ultimi quindici anni è notevole e ha raggiunto risultati ragguardevoli: oggi chi si avvicina a questa professione può contare su un novero ampissimo di tecniche e attività da presentare nelle sue lezioni, può scegliere fra un’ampia mole di materiali didattici da usare e può aggiornarsi con facilità su come sfruttare al meglio le potenzialità delle glottotecnologie (si veda Balboni 2008 per una completa e ragionata rassegna).

La mia riflessione vuole nascere da una piccola provocazione: e se ci fossimo spinti eccessiva-mente oltre? E se ci fossimo concentrati eccessivaeccessiva-mente sulla produzione e sulla genesi di nuove tecniche, nuove attività e nuovi materiali dimenticando quali sono le basi, i fondamenti ultimi, del nostro lavoro?

L’insegnante di italiano come lingua straniera si deve occupare essenzialmente di una cosa: aiutare i suoi allievi ad avere un’interazione efficace con “l’italofonia”, ovvero a socializzare, ad entrare in contatto con tutto il mondo che si esprime usando la lingua italiana. L’interazione è, fondamentalmente, questione interpersonale, ovvero accade fra esseri umani in diversi contesti ma avviene anche, per estensione, con testi riprodotti in diverse condizioni e con diversi mezzi: libri, giornali, siti web, avvisi, film e così via (per approfondimenti cfr. Ciliberti 2003:65).

Paolo Della Putta insegna italiano L2 presso il centro linguistico dell’Università di Pavia e presso l’Accademia delle Belle Arti

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Le tecniche didattiche, l’introduzione in classe delle glottotecnologie, la preparazione e la pianificazione delle lezioni sono essenziali: un bravo insegnante sa cosa scegliere per la sua classe e lo sa fare con coscienza, conoscendo i pro e i contro di ciò per cui opta. C’è, però, un aspetto che potremmo chiamare fenomenico che non può sfuggire a chi si occupa di insegnamento linguisti-co: tutta la programmazione e le scelte che facciamo a monte si trasformano in realtà in classe e prendono forma in modo necessariamente diverso di volta in volta perché gli attori del processo didattico sono sempre diversi. Nel “qui e ora” del nostro lavoro le cose accadono, si manifestano, e un insegnante consapevole non può occuparsi solo di cosa portare nelle sue lezioni ma deve anche riflettere su come quello che ha programmato e pianificato a priori si trasforma in realtà e di come questa realtà debba essere proficua per l’apprendimento linguistico dei suoi studenti. Rod Ellis (1999:208 e segg.) sottolinea efficacemente questo punto proponendo due diverse prospettive da cui possiamo analizzare l’insegnamento, una esterna e una interna; della prima fanno parte la metodologia, l’estensione del sillabo, la selezione delle attività di classe e la scelta o la creazione dei materiali; della seconda fanno parte, invece, gli eventi interazionali (interactional events) che accadono durante la messa in pratica di tutte le componenti facenti parte della prospettiva ester-na. Secondo questo punto di vista, la pianificazione delle attività di classe non può bastare per decidere se una lezione è utile o meno all’apprendimento linguistico degli studenti; chi insegna si deve occupare anche di misurare e di verificare come il suo comportamento durante la lezione può essere vantaggioso in termini di apprendimento prima e di acquisizione poi.

Dunque in questo contributo non presenteremo alcuna proposta didattica immediata ma cercheremo di riflettere su come alcuni dispositivi universali, ovvero sempre presenti nell’attività di insegnamento, possono rivelarsi decisivi nella nostra attività quotidiana. Questi dispositivi sono una maggiore considerazione dell’aspetto percettivo dell’apprendimento, l’uso della voce e la pazienza intesa, qui, come il rispetto da parte di chi insegna dei tempi di maturazione linguistica e il conseguente adattamento della progressione dei sillabi ai ritmi naturali di apprendimento degli studenti.

Grammatica e percezione

Chi insegna l’italiano come lingua non materna eredita spesso dal suo passato scolastico e universitario una lunga serie di preconcetti e idee su cos’è una lingua, su come questa debba essere insegnata e studiata e su cos’è la grammatica1 (cfr. Chiapedi e Della Putta in stampa per un

dibat-tito su questi punti). Gli insegnanti ritengono spesso che il linguaggio sia un fatto intellettuale, stilistico ed estetico legato alla “buona norma” a cui devono essere dedicati, da parte degli studenti, grandi applicazioni, sforzi e ore di studio per poter imparare a parlare “bene”. Da qui una conce-zione dei discenti come entità “pensanti e studianti” più che come entità “esperenti e coscienti”. Una visione di questo tipo esclude quasi completamente dalla pratica didattica alcuni aspetti fon-damentali dell’essere umano che entrano massicciamente in gioco nel processo di apprendimento linguistico. L’aspetto psicologico, molto dibattuto nella letteratura glottodidattica italiana anche più recente, è di certo fondamentale ma non può bastare. La realtà cognitiva dei nostri studenti è un aspetto di cui gli insegnanti devono occuparsi. Con “realtà cognitiva”, qui, mi riferisco alle rappresentazioni e ai processi mentali e sensoriali che permettono agli esseri umani di percepire

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ed elaborare l’informazione resa disponibile dall’ambiente esterno, secondo un assunto classico delle scienze cognitive (Job 1998:13). La relazione naturale fra l’italiano lingua non materna che insegniamo e l’apprendimento dei nostri studenti passa per una serie di processi e micro attività inconsce che vengono costantemente messi in atto da chi sta imparando.

Una visione classica e ingenua dell’apprendimento linguistico presuppone che la grammatica, ad esempio, sia costituita da una serie discreta di elementi da presentare secondo un gradiente di difficoltà e che le incertezze mostrate dagli studenti nell’usarla dipendono dal fatto che la “regola” non è stata “capita”; in questo modo riportiamo l’insegnamento e l’apprendimento linguistico a un processo fondamentalmente intellettuale e cosciente. Questa visione è solo in minima parte applicabile allo studio delle lingue straniere: i processi cognitivi vengono prima della grammatica (o, meglio, di questa idea di grammatica) ed è necessario tenerli in considerazione nelle nostre attività didattiche (Bosi e Manzoni 2011; Rastelli 2009).

La percezione dei suoni è uno di questi processi. I primi passi verso la comprensione e l’ap-prendimento di una lingua straniera, siano i primi passi di un analfabeta o quelli di un ingegnere, sono piccoli movimenti percettivi; lentamente gli apprendenti acquisiscono l’abilità di segmentare i suoni, riconoscerli nella catena fonica, discriminarne l’appartenenza a diverse parole e notarne la variazione, entrando così in “risonanza” (attuning) con la nuova lingua che stanno imparan-do (Rastelli 2011). I fenomeni linguistici, qualunque essi siano, devono essere in primo luogo percepiti e notati, ovvero portati all’attenzione selettiva, per poi venire eventualmente analizzati, memorizzati e imparati (parliamo, qui, del costrutto del Noticing; cfr. Schmidt, 1990 per appro-fondimenti). Molti elementi linguistici, sia perché poco salienti dal punto di vista comunicativo, sia perché di difficile percezione, rischiano di rimanere opachi all’orecchio dei nostri studenti e, conseguentemente, di difficile apprendimento e acquisizione.

Veniamo all’italiano: una grossa fetta della sua grammatica è data dalla variazione delle vocali poste a fine parola, vocali spesso atone perché non accentate. La variazione di genere e numero, ad esempio, si basa sulla variazione vocalica. Questa variazione pervade costantemente la morfo-logia italiana, sia nel sintagma nominale sia in quello verbale (nei tempi composti costruiti con l’ausiliare essere, ad esempio).

La coniugazione dei verbi è anch’essa una variazione della vocale (tendenzialmente atona) posta a fine parola.

Siamo sicuri che i nostri studenti siano in grado di percepire correttamente questa variazione e, conseguentemente, notarla, riprodurla e acquisirla? Molte lingue straniere (basti pensare all’inglese, ad esempio) mostrano un sistema vocalico decisamente diverso da quello italiano.

Inoltre, alcune recenti riflessioni fatte sulla didattica dell’italiano ai sinofoni mettono al centro delle tante difficoltà esperite dagli studenti cinesi proprio fatti percettivi: le enormi differenze fonetiche (in particolare prosodiche) fra italiano e cinese fanno sì che l’acquisizione del lessico e di molti aspetti grammaticali (come la morfologia) sia decisamente rallentata proprio perché i sinofoni, prima di “rendersi conto” che la morfosintassi italiana è “difficile” o “estremamente diversa”, non riescono a mettersi in risonanza con essa non avendo sviluppato abbastanza bene la

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loro capacità percettiva della catena fonica dell’italiano (Costamagna 2011; De Meo e Pettorino 2011; Rastelli 2011).

La linguistica acquisizionale ci dice che questo processo di attuning fa parte del processing, ov-vero di quella capacità cognitiva «che permette agli apprendenti di sviluppare aspettative e routine di

ascolto, di fonazione e di lettura sempre più sintonizzate rispetto alle caratteristiche della L2» (Nuzzo

e Rastelli 2011:73). Lo sviluppo grammaticale è legato (si discute ancora in quale misura) allo sviluppo del processing, a quella capacità di mettersi in relazione correttamente con i suoni e con quegli aspetti che potremmo considerare superficiali e fenomenici della lingua target. Come render conto di tutto questo nella nostra pratica didattica?

Vedremo come un attento uso della voce dell’insegnante può essere una prima risposta a questa domanda.

La voce

La lezione di Saussure è quanto mai importante per i nostri scopi: il segno linguistico unisce un concetto e un’immagine acustica. Quest’ultima non è cosa puramente fisica, ossia il semplice suono, ma è la sua “impronta psichica”, ovvero la rappresentazione che ce ne fornisce la testimo-nianza dei nostri sensi (Saussure 1967). Le rappresentazioni mentali dei suoni dell’italiano dei no-stri studenti sono “filtrate” dal sistema fonetico della L1. La capacità percettiva degli apprendenti è dunque ridotta perché le «tracce percettive consolidate dall’ascolto della propria lingua materna» (Costamagna 2008:83) ne condizionano altamente lo sviluppo e l’efficacia.

Per favorire una migliore percezione dei suoni, per promuovere il processo di attuning con l’italiano e, di conseguenza, per aiutare anche l’acquisizione di alcuni tratti della grammatica, possiamo servirci della voce, ovvero di quello strumento trasversale, “ultimo” e comune a tutte le scelte glottodidattiche fatte a priori.

Nell’interazione orale studenti – insegnante, trasversalmente a tutte le tecniche scelte e anche a quei momenti non programmati dello stare in classe (come i saluti e le comunicazioni incidentali durante la lezione), possiamo usare tecniche di innalzamento percettivo (auditory enhancement) per favorire il noticing, sottolineando con il tono della nostra voce, eventualmente ripetendoli, gli elementi scarsamente percepibili e notabili, oppure scandendo e pronunciando con un innalza-mento di volume le parti della catena fonica che vogliamo vengano notate.

Certo non potremo farlo a caso, ovvero utilizzare queste tecniche vocali senza una pianifica-zione: un punto chiave della questione noticing e della sua attuazione in classe è che questi ac-corgimenti vocali devono essere messi in atto in modo coerente con le caratteristiche della lingua che si sta insegnando, accertandosi che la tecnica di innalzamento percettivo venga effettivamente notata dai discenti.

Ne consegue che non sarà effettivamente utile applicare le tecniche di noticing vocale su tutti gli elementi linguistici, ma che dovremo scegliere solo alcuni tratti linguistici, probabilmente massimo due alla volta (cfr. Rastelli 2009 cap. 4), su cui soffermarci.

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Possiamo quindi mettere in atto una vera e propria pianificazione di ciò che vogliamo sia no-tato in una lezione di lingua e attuare, con massima coscienza e controllo, il nostro innalzamento percettivo trasversalmente a qualunque attività o esercizio pianificati per la nostra lezione.

Un secondo momento focale in cui possiamo favorire l’innalzamento percettivo con la nostra voce è la correzione, uno dei tratti che maggiormente caratterizza l’attività didattica e che presenta un altissimo grado di variabilità.

L’insegnante, trasversalmente a tutte le attività strutturate proposte e alle interazioni incidentali che avvengono durante una lezione, può scegliere di correggere le produzioni degli studenti in modi molto diversi: può attuare delle correzioni esplicite, può correggere in modo implicito, può decidere di non farlo del tutto e così via.

Due tecniche correttive classiche sono la riformulazione (recast) e il sollecito (prompt), entram-be classificate come implicite perché non contemplano una spiegazione metalinguistica dell’errore. Per mantenere costante il flusso comunicativo all’interno di una lezione e per evitare la frustra-zione degli studenti, le correzioni implicite sono considerate migliori di quelle esplicite.

Il prompt consiste nella segnalazione di un errore dello studente a cui viene chiesto di rifor-mulare correttamente il suo enunciato:

S: Stefano, cosa mangia tu?

I: Come? Puoi ripetere bene? Stefano cosa...?

Questa è una tecnica correttiva che, per quanto implicita, risulta più invasiva ed è utile appli-carla a livelli di competenza più avanzati, ovvero quando siamo sicuri di aver dato agli studenti i mezzi adeguati per potersi autocorreggere, evitando di porre drasticamente il discente davanti a una sua mancanza.

Il recast, invece, prevede che l’insegnante ripeta quanto detto dallo studente riformulando correttamente il suo enunciato:

S: Ieri ho mangiata la pizza.

I: Ah, ok, ieri hai mangiato la pizza! Era buona?...

Il recast permette di mantenere costante il focus comunicativo e l’interazione con lo studente, fornisce allo stesso tempo una prova positiva (è meglio dire così) e negativa (così no) e può essere applicato selettivamente solo su alcune forme linguistiche, quelle su cui ci vogliamo focalizzare in quella determinata lezione (Rastelli 2009:57-58).

Ma come applicare il recast? Spesso non basta far notare l’errore, dobbiamo anche essere sicuri che, nella catena fonica del nostro intervento correttivo, gli studenti percepiscano adeguatamente ciò che stiamo correggendo: un intervento di recast che non viene notato è sostanzialmente inutile dal momento che l’attenzione selettiva dello studente potrebbe non soffermarsi sull’elemento che vogliamo rettificare.

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Appare quindi fondamentale applicare questa tecnica ponendo un aspetto enfatico sul tratto che vogliamo correggere usando tecniche vocali quali l’innalzamento del volume, la variazione del ritmo o modifiche della prosodia (auditory recast):

S: Ieri ho mangiata la pizza.

I: Ah, ok, ieri hai mangiatO la pizza! Era buona?...

Pianificare e attuare con la propria voce strategie di innalzamento percettivo mirate a eviden-ziare alcuni elementi della catena fonica prodotta dall’insegnante e a correggere sistematicamente alcune devianze nella produzione dello studente può rivelarsi una scelta vincente per aiutare l’ap-prendimento dell’italiano come lingua non materna. Questi accorgimenti interazionali andrebbero accostati ad altre scelte, questa volta a livello di programmazione (dette esterne, per tornare alla definizione di Ellis citata nell’introduzione); una di queste è la scelta di strutturare un sillabo a spirale che contempli un costante ritorno, durante il corso, ai fenomeni morfosintattici, fonetici o pragmatici presentati nelle lezioni.

La pazienza

La relazione fra linguistica acquisizionale e glottodidattica è molto discussa ed è impossibile riassumere qui questo dibattito (ma cfr. Grassi, Bozzone Costa e Ghezzi 2008 per recenti opinioni a riguardo).

Uno dei meriti più chiari che gli studi acquisizionali hanno è, a mio parere, averci detto che ci sono dei limiti naturali nell’apprendimento, limiti temporali, di progressione, limiti che riguar-dano le strutture morfosintattiche, limiti che servono a spiegare bene cosa possono e non possono fare i nostri studenti anche se in contesti guidati2. L’aspetto cognitivo si accosta, così, a quello

più prettamente psicologico e pedagogico, portando nuova luce su alcuni aspetti del processo di acquisizione delle lingue straniere e, di conseguenza, sulle pratiche didattiche.

Sappiamo davvero aspettare i nostri studenti? Sappiamo rispettare i loro ritmi? Alcune recenti ricerche, fatte soprattutto su studenti sinofoni in Italia partecipanti al progetto Marco Polo hanno sottolineato chiaramente come l’obiettivo di portare questi studenti a un livello di competenza B1 in circa cinque mesi di lezione, per quanto intensivi, sia assolutamente impraticabile. I sino-foni non possono, in quel periodo di tempo, essere in grado di processare un sillabo così esteso e pretenzioso (Rastelli 2010, 2011). Non vi è una relazione diretta fra la quantità di ore di studio, l’organizzazione del sillabo, l’impegno degli studenti e la loro progressione linguistica.

La presentazione atomizzata della grammatica, il “Monday morning's menu” citato da Long (2007:159) è probabilmente più un percorso a ostacoli che una pista da cui, prima o poi, decollare verso l’italiano. L’importanza del “ritorno” alle cose viste prima sembra essere una necessità assoluta più che un opzione: il sillabo a spirale appare essere essenziale perché l’acquisizione linguistica è un processo che non va di pari passo con l’apprendimento e con il lavoro di classe ma ha bisogno di molto tempo, di fissazione di routine linguistiche e di ripresa e riutilizzo costante e ripetuto delle strutture morfosintattiche.

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Un aspetto decisamente ostico per tutti gli apprendenti di italiano L2/LS è, ad esempio, il sistema dell’articolo.

Opaco percettivamente, portatore di tre categorie (genere, numero e definitezza) e ben poco saliente a livello comunicativo, l’articolo italiano è decisamente difficile da imparare e acquisire.

Su come insegnare l’articolo sono state recentemente fatte alcune sperimentazioni e riflessio-ni. Questi studi ci dicono chiaramente che è poco importante e non molto efficace presentare l’articolo italiano con tutte le sue irregolarità i primi giorni di lezione per poi “dimenticarselo” perché “già fatto”; sembra molto più sensato far lavorare costantemente, poco alla volta, e non necessariamente in modo esplicito i nostri studenti su questo fenomeno, ritornandovi di volta in volta in vari modi, che possono essere anche solo “passivi”, facendone notare la presenza nell’in-put costantemente, allenando gli studenti a vedere, a notare e a percepire fonicamente gli articoli invece di analizzarne subito, e in una volta sola, tutte le regolarità e le irregolarità (Rastelli 2009: 73; Della Putta e Visigalli 2010).

Allo stesso modo sarà decisamente inutile anche solo sperare che dopo un corso di pochi mesi i nostri studenti possano padroneggiare senza errori e incertezze la morfologia verbale a cui, sicuramente, avremo dedicato molte ore del nostro programma di lezione.

Il processo di automatizzazione della complessa morfologia del verbo italiano richiede molto più di pochi mesi; c’è bisogno di un costante esercizio fatto non solo sulla “regola” grammaticale ma anche sui suoni che veicolano questa regola, di un ampia esposizione alla lingua e di tante attività interattive, in classe e non, che permettano agli studenti di esercitarsi, coscientemente (con degli esercizi) e non (in interazioni incidentali), su questo fondamentale aspetto della nostra lingua.

La nostra pazienza, in questo caso, appare essere un segno di coscienza e di disposizione didattica fondamentale e la dovremo manifestare non solo, banalmente, in quella meravigliosa “accoglienza” che diamo agli errori dei nostri studenti ma anche, e soprattutto, nel momento in cui pensiamo alle nostre lezioni, impegnandoci a strutturare sillabi che facciano propria la consapevolezza che il ritorno, più che la progressione atomizzata, facilita e aiuta il percorso verso l’italiano dei discenti.

Conclusioni

Sono voluto partire da una provocazione: la glottodidattica italiana si è occupata eccessiva-mente della prospettiva esterna dell’insegnamento linguistico.

Vorrei provare a riportare un po’ di equilibrio: Pugliese (2009) parla della classe come ambiente dove l’apprendimento linguistico accade, dove è possibile condurre sperimentazioni e mettere alla prova tecniche e strategie. È, questa, una riflessione importante: la glottodidattica è cosa, nella sua essenza, della classe.

Il nostro comportamento durante una lezione, dunque nel “qui e ora” del nostro lavoro, è determinante in questo senso: come parliamo? Quanto risalto diamo, soprattutto nelle prime fasi,

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all’input? Come correggiamo gli errori? Perché? Come facciamo in modo che le costanti lingui-stiche (banalmente, ad esempio, le quattro vocali della variazione di numero e genere) vengano meglio percepite dagli studenti? Come facilitiamo l’ascolto e la percezione dei suoni?

E poi, sappiamo coniugare la prospettiva esterna del sillabo, ovvero quello che pensiamo di dover insegnare, con il sillabo interno degli studenti, ovvero con quei limiti naturali e difficilmente sormontabili dei discenti?

Il dibattito è aperto: la glottodidattica dell’italiano L2/LS deve riportare al centro della sua discussione anche il comportamento dell’insegnante: l’insegnante entra essenzialmente in classe e, credo, lo fa prima, e non in termini cronologici, di preparare la lezione.

Può un insegnante di lingua straniera essere disattento nei confronti della sua comunicazione linguistica, di cosa mette in risalto con la sua voce, ad esempio? Può sottovalutare l’importanza del suo comportamento linguistico verso gli studenti?

E, infine, possiamo trascurare il fatto che l’acquisizione linguistica è un processo essenzialmente naturale, che “capita” sotto certe condizioni e che noi possiamo aiutare questo processo solo se ne conosciamo alcune caratteristiche? Sembra molto utile ripensare ai sillabi, riportandoli a una dimensione più compatibile con le reali possibilità dei discenti; e a questo devono pensare anche coloro che producono e vendono materiali didattici, materiali su cui in larga parte spesso si basano le nostre lezioni. Abbiamo parlato dell’importanza del “ritorno”, nel sillabo: c’è bisogno di riflettere su questo aspetto proponendo materiali più cognitivamente compatibili con la realtà dei nostri studenti e che non si limitino (come di fatto spesso è) a presentare e a esercitare la grammatica in unità spezzate, raramente messe in relazione fra loro, esposte in modo atomistico.

L’azione dell’insegnamento linguistico dovrebbe essere considerata fenomeno studiabile ed esperibile proprio quanto lo sono state, sino ad ora, le coordinate metodologiche, la coerenza interna esercizi – metodi, le nuove glottotecnologie e così via.

Agire glottodidatticamente, credo, significa stare in una classe e non, semplicemente, in classe, essere pronti a quella magnifica “generosità semiotica”, a quell’«essere consapevoli di sé come

inter-locutori» (Pugliese 2009:21), come agenti sociali nella nostra realtà che è e deve essere,

principal-mente, la classe.

Sarebbe auspicabile, a mio parere, ritornare a riflettere anche su quello che si fa sul nostro luogo di lavoro, a guardarci non solo mentre prepariamo le lezioni ma anche e soprattutto quando mettiamo in atto il processo di insegnamento linguistico, quando, insieme agli studenti, agiamo.

(13)

Voce, percezione e pazienza: alcune riflessioni sull’insegnamento dell’italiano lingua non materna 17

NOTE

1 Usiamo, in questo articolo, la parola “grammatica” in senso ingenuo, ovvero per riferirci all’insieme di regole che sottostanno

al funzionamento di una lingua. Trascuriamo qualunque approfondimento teorico su cos’è la grammatica perché questa accezione ingenua è la più negoziata fra studenti e insegnanti.

2 A riguardo sono interessanti le questioni sollevate da Pienemann con la sua “Processability theory”, cfr. Pienemann 2007.

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