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M.Frank, Scienza e Tecnica alla corte Sabauda nel tardo Rinascimento

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Academic year: 2021

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M.Frank, Scienza e Tecnica alla corte Sabauda nel tardo Rinascimento, Fondazione Filippo Burzio, Torino 2015

Nel corso degli anni, la storia rinascimentale dello stato sabaudo è stata oggetto di approfonditi studi, ma in generale la dimensione scientifica, pur rilevante, è rimasta sullo sfondo, finendo per restituire un’immagine distorta o quanto meno lacunosa della corte ducale.

Solo in tempi recenti, i contributi di Sergio Mamino, Clara Silvia Roero, Michela Cecchini e Roberta Tucci, per citarne alcuni, hanno cominciato a documentare questi aspetti e a inserire numerosi tasselli mancanti nel quadro della ricostruzione storica. Le ricerche pubblicate in questo volume prendono le mosse da questi studi e con l’aiuto di una significativa documentazione inedita – trascritta in un’appendice finale – indagano alcuni temi ancora non completamente esplorati, tra cui la rilevanza e le caratteristiche dell’ambiente scientifico torinese prima dell’arrivo di un matematico di prima grandezza come Giovan Battista Benedetti e le influenze esercitate dalla corte ducale sui temi della sua produzione scientifica. Frank, inoltre, alza lo sguardo anche oltre i confini dello stato sabaudo e aggiunge importanti elementi per ricostruire le relazioni scientifiche e politiche con il Ducato di Urbino, l’esempio più tipico di corte a forte inclinazione scientifico-tecnologica e, in definitiva, per aprire nuove prospettive di ricerca sulla storia della scienza rinascimentale in Italia.

Il punto di partenza obbligato delle ricerche di Frank è la ricostruzione dello stato sabaudo dopo la pace di Cateau-Cambrésis del 1559. Emanuele Filiberto, dopo aver riottenuto il governo del suo Ducato, si adoperò innanzi tutto per promuoverne lo sviluppo economico e la riorganizzazione dell’esercito. L’indispensabile opera di fortificazione del territorio a cui dovette porre mano, si scontrò tuttavia con una drammatica carenza di ingegneri e architetti in grado di progettare le opere necessarie e di manodopera qualificata in grado di realizzarle.

Il Duca si trovò così nella necessità di reperire immediatamente questi profili professionali fuori dai confini dello stato, ma al contempo dispose la riapertura dell’Università – chiusa durante l’occupazione francese – per provvedere alla formazione dei giovani. I progetti di Emanuele Filiberto, che fu un autentico cultore delle discipline scientifiche, erano tuttavia assai più ambiziosi e non miravano solo a soddisfare le esigenze più pragmatiche, ma aspiravano a fare della corte sabauda un centro culturale, e scientifico in particolare, di primaria importanza. Ecco dunque che nei primi anni Sessanta del Cinquecento giunsero da Urbino gli architetti Francesco e Orazio

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Paciotti e il loro fratello matematico Felice, mentre dalla Toscana e da Venezia arrivarono rispettivamente i matematici Francesco Ottonaio ed Ettore Ausonio.

I documenti inediti pubblicati e commentati da Frank dischiudono uno scenario sensibilmente diverso da quello tradizionalmente descritto, secondo cui l’arrivo di Benedetti segnò una svolta radicale nella pratica scientifica della corte ducale. Frank mostra invece come l’ambiente scientifico fosse già ben strutturato fin dal suo costituirsi e largamente influenzato dalla presenza dei matematici e dalla loro interazione con architetti e ingegneri. Anche se non esistevano ruoli rigidamente predeterminati, emerge comunque una netta distribuzione dei compiti tra i matematici di corte, che si impegnavano in attività di insegnamento, di costruzione di strumenti scientifici, di redazione di trattati nonché di traduzione e di ricerca di manoscritti pregiati.

E così, mentre la figura di Ottonaio, che si dedicava alle lezioni universitarie e alla formazione del principe, era stata già abbastanza delineata dagli studi precedenti di Tucci, vengono ora alla luce le figure meno note di Ettore Ausonio e di Felice Paciotti. Scopriamo così che, su istanza del Duca, il filosofo e matematico Ausonio si dedicò non solo a un’intensa attività di trattatista, ma anche alla costruzione di numerosi strumenti matematici destinati al Teatro universale di tutte le scienze, la preziosa collezione che affiancava la ricca biblioteca ducale, rinata a nuovo splendore grazie anche all’opera di Felice Paciotti. Alcuni documenti inediti testimoniano infatti come il matematico urbinate si sia dedicato alla traduzione di testi greci sull’arte militare e sulle macchine belliche e abbia sfruttato la propria rete di conoscenze – tra cui spiccano le figure di Annibal Caro e di Federico Commandino – per procurare manoscritti e ampliare la biblioteca ducale.

E’ dunque in questo ambiente, assai più dinamico e articolato di quanto si supponesse, che Giovan Battista Benedetti fece la sua comparsa. Poiché i rapporti tra la corte ed Ausonio si erano progressivamente deteriorati per poi interrompersi fin dal 1564, il Duca contattò Benedetti per affidargli, con ben altro successo, gli incarichi lasciati vacanti da Ausonio. Gli studi di Frank si concentrano su un aspetto originale e assai interessante della figura scientifica di Benedetti, e si aggiungono ai fondamentali contributi di Clara Silvia Roero, Enrico Giusti e di Carlo Maccagni, a cui il volume è dedicato. L’aspetto sul quale l’autore focalizza la sua attenzione è l’influenza che le attività commissionate dal Duca e gli scambi con il suo entourage scientifico potevano aver esercitato sui temi di ricerca studiati e pubblicati nel periodo torinese.

Questa chiave di lettura ha consentito di collocare le opere ‘torinesi’, edite ed inedite, in una nuova e convincente prospettiva. Il De gnomonum umbrarumque solarium usu liber del 1574 fu il frutto delle lezioni di gnomonica impartite al Duca e dell’attività di costruzione di orologi solari, così

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come la Descrittione, uso et ragioni del trigolonometro venne redatta per spiegare, nella cornice teorica della geometria euclidea, il funzionamento di un nuovo strumento destinato alle misurazioni in architettura. Ancora più emblematico il caso della seconda parte del ben noto Diversarum speculationum liber (1585). Vi troviamo testi in larga parte legati alle richieste del Duca, che spaziavano dalla costruzione di strumenti, come un’innovativa lampada a olio o un’armilla, a questioni teoriche come la formulazione di un’ipotesi di riforma del calendario; ancora più rilevante è tuttavia la pubblicazione della corrispondenza relativa ad argomenti di fisica o di matematica, intrattenuta spesso con esponenti della corte ducale, che fornisce elementi essenziali per ricostruire le linee del dibattito scientifico nell’ambiente torinese.

Un altro strumento che può essere molto utile per questa ricostruzione è l’inedito elenco dei libri personali posseduti dal bibliotecario e matematico ducale Bartolomeo Cristini, arrivato alla corte nel 1569, un paio di anni dopo Benedetti. I sessantuno titoli dell’elenco documentano certamente gli interessi personali di Cristini, ma costituiscono un’ulteriore conferma di come la corte sabauda nutrisse un forte interesse prima di tutto per astronomia, astrologia e gnomonica, ma anche per geometria e meccanica. L’indagine di Frank va tuttavia ben oltre i titoli dei libri, e si spinge fino all’analisi delle postille inserite ai margini, delle quali vengono tra l’altro pubblicate molte suggestive immagini fotografiche. Uno degli aspetti interessanti è che tali postille non sono attribuibili al solo Cristini, ma anche ad altre mani cinquecentesche, segno questo che la biblioteca personale era messa a disposizione di altri studiosi, tra i quali con ogni probabilità lo stesso Benedetti. I commenti, di natura esplicativa o anche critica, documentano lo studio approfondito, tra le altre opere, delle Prutenicae tabulae di Reinhold, delle Luminarum atque planetarum motuum tabulae di Bianchini, delle Theoricae novae planetarum di Peurbach e della Prospettiva di Euclide di Danti. Le critiche più impietose sono tuttavia riservate alle teorie meccaniche espresse da Niccolò Tartaglia: gli esemplari della Nova scientia, dei Quesiti et inventioni diverse e dei Ragionamenti sopra la travagliata inventione sono costellati di commenti che molto spesso sarebbe più appropriato definire polemici piuttosto che critici.

Siamo di fronte quindi a un ambiente scientifico molto vivace, che trovava nuovi stimoli di ricerca nell’interazione con l’ambiente tecnico degli architetti e degli ingegneri, sottoposto d’altra parte a continue sfide, dalla progettazione di opere difensive efficaci o di opere architettoniche sofisticate atte a esaltare il potere principesco, alla soluzione di problemi idraulici legati alla bonifica dei territori. La documentazione proposta da Frank mostra dunque uno scambio costante e fecondo tra i tecnici, che ponevano problemi concreti di natura fisico-matematica, e i matematici di corte, i quali cercavano di dare risposte altrettanto concrete e di sviluppare teorie coerenti in cui collocarle.

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Un modello, questo, che richiama alla mente il ben più noto ambiente scientifico-culturale del Ducato di Urbino, fucina di architetti e ingegneri che prestarono servizio in vari stati italiani, come appunto i fratelli Paciotti e Girolamo Arduini che lavorarono a lungo nello stato sabaudo. Le ricerche di Frank mettono tuttavia in luce un aspetto interessante e di dimensioni ancora tutte da valutare: il sapere tecnico scientifico non si trasferì a senso unico dal Ducato di Urbino allo Stato sabaudo, poiché diversi documenti prodotti in questo volume mostrano come le esperienze accumulate nei progetti piemontesi di edilizia militare e civile siano poi state utilizzate per progetti analoghi o trasmesse ad altri colleghi. La circolazione di queste esperienze, almeno in ambito italiano, e la loro influenza sulle teorie formulate in quel periodo sono temi che meriterebbero ulteriori indagini.

L’ambiente culturale urbinate era animato da scienziati umanisti del calibro di Federico Commandino e dei suoi allievi Guidobaldo dal Monte, Bernardino Baldi e Muzio Oddi. Proprio la figura di Guidobaldo è stata spesso accostata a quella di Benedetti, per mettere a confronto il presunto eccessivo ossequio verso gli Antichi dell’urbinate con l’indipendenza di pensiero del veneziano. Al di là delle divergenze, assai ridimensionate da precedenti studi di Frank sulla meccanica di Guidobaldo, sono i parallelismi che vengono esaltati da questa analisi: la vita scientifica di entrambi fu profondamente influenzata dalle esigenze della corte, che spaziavano dalla costruzione e sovrintendenza di strumenti scientifici e di opere architettoniche alla formulazione di proposte per la riforma del calendario, dalla redazione di trattati scientifici alla revisione o traduzione di altri testi. Queste analogie sollevano nuove e stimolanti questioni sulla reale influenza delle corti principesche nello sviluppo della scienza e della cultura rinascimentali.

Le accurate ricerche di Frank, oltre a portare alla luce nuove informazioni sulla storia scientifica del Ducato di Savoia, hanno dunque il merito di aprire nuove prospettive di ricerca che varcano ampiamente i confini di questo stato e suggeriscono di approfondire il rapporto tra committenza e produzione tecnico-scientifica in età rinascimentale. Una produzione che peraltro non può limitarsi ai soli testi, a stampa o manoscritti, ma deve necessariamente comprendere anche gli artefatti nella loro accezione più ampia, ovvero strumenti scientifici e opere architettoniche e ingegneristiche.

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