KARIN CAVADINI
MASTER OF ARTS IN INSEGNAMENTO SECONDARIO I IN
EDUCAZIONE VISIVA/EDUCAZIONE ALLE ARTI PLASTICHE
ANNO ACCADEMICO 2017/2018
IL PLURILINGUISMO, UNA RISORSA PER UNA
DIDATTICA INNOVATIVA
(E INTERDISCIPLINARE)
DELL’EDUCAZIONE ALLE ARTI PLASTICHE
RELATORI
WOLFGANG SAHLFELD
CRISTIANA CANONICA MANZ
pazienza, l’appoggio e l’entusiasmo condiviso in questo lavoro.
Ringrazio i miei genitori che mi hanno appoggiata sempre in questi anni di formazione e mi hanno sempre aiutata a realizzare i miei sogni.
Ringrazio tutti coloro i quali mi hanno supportata e sopportata durante questi due anni, in particolare Raffaele, Loana, Giada e Martina S.
Infine ringrazio Andrea, senza il quale questo lavoro di diploma non sarebbe mai esistito.
“È una follia odiare tutte le rose perché una spina ti ha punto, abbandonare tutti i sogni perché uno di loro non si è realizzato, rinunciare a tutti i tentativi perché uno è fallito. È una follia condannare tutte le amicizie perché una ti ha tradito, non credere in nessun amore solo perché uno di loro è stato infedele, buttate via tutte le possibilità di essere felici solo perché qualcosa non è andato per il verso giusto. Ci sarà sempre un’altra opportunità, un’altra amicizia, un altro amore, una nuova forza. Per ogni fine c’è un nuovo inizio.”
dal libro “Il piccolo principe” di Antoine-Marie-Roger de Saint-Exupéry
Karin Cavadini
Masterof artsin insegnaMento secondario i in educazione VisiVa/educazionealle artiplastiche
Il plurilinguismo, una risorsa per una didattica innovativa
(e interdisciplinare) dell’educazione alle Arti plastiche
Relatori: Wolfgang Sahlfeld, Cristiana Canonica Manz
Questo lavoro di ricerca si sviluppa attraverso un percorso interdisciplinare tra l’Educazione alle Arti plastiche e le lingue straniere, indagando su come l’insegnamento disciplinare in una lingua straniera renda più sfidante e motivante la comprensione del compito e della situazione problema assegnati.
L’obiettivo di questo scritto è quello di sperimentare diversi tipi di situazione problema nel corso delle ore di Educazione alle Arti plastiche per vedere se il coinvolgimento di una lingua straniera (in questo caso il tedesco) permetta all’allievo entrare maggiormente nel compito richiesto e lo ponga in una condizione simile a quella in cui potrebbe ritrovarsi in futuro, a livello professionale o accademi-co-universitario, se dovesse spostarsi all’interno della Svizzera o all’estero.
Ho svolto una ricerca-azione all’interno della classe scelta come docente-ricercatrice e ho potuto no-tare dinamiche diverse e a tratti contrastanti. Gli allievi hanno fatto due esperienze differenti, hanno redatto un loro diario di bordo e compilato dei questionari iniziali e finali rispetto alle loro abitudini sociolinguistiche e alle loro riflessioni.
In conclusione si è notato come gli allievi abbiano reagito in modo molto discorde tra loro alle at-tività proposte, alternando il totale rifiuto, al piacere per l’apprendimento e per la nuova esperienza proposta. Molto ha giocato anche la componente delle credenze attorno ad una materia, che ha fatto ergere barrire invisibili. Infine si è notato come gli allievi si trovino molto in difficoltà di fronte a
nuove modalità didattiche, presentando poca flessibilità. Questo dimostra la necessità di un lavoro
1. INTRODUZIONE E MOTIVAZIONI PERSONALI ...1
2. QUADRO TEORICO DI RIFERIMENTO ...3
2.1 linguestraniereelingueseconde: glossario ...3
2.2 iMMigrazioneedeMigrazione: larealtà sVizzeraeticinese ...4
2.3 ilbilinguisMoeilplurilinguisMo ... 11
2.4 ilplurilinguisMoascuola: applicazioniusualienon ...17
2.5 linguestranierenella scuolaMedia, interdisciplinaritàeriferiMentoepisteMologico dell’educazionealle artiplastiche ...23
3. QUADRO METODOLOGICO ...28
3.1 lapreMessa: laricerca-azione ...28
3.2 lefasi ...29
3.2.1 DomanDeDiricercaeipotesi ...29
3.2.2 sceltaDellaclasseDiriferimento ...31
3.2.3 preparazioneDell’attivitàeraccoltaDatiiniziale ...33
3.2.4 lasituazioneproblema: losvolgimentoDell’attività 1 – lampaDa ...35
3.2.5 lasituazioneD’integrazione: losvolgimentoDell’attività 2 - contenitore ...37
3.2.6 raccoltaDatifinale ...40
4. GLI STRUMENTI DI RACCOLTA DEI DATI DELLA RICERCA ...41
4.1 Questionariinizialiefinali ...41
4.2 l’attiVitàdiricerca: l’interVentoel’osserVazione ...41
5. I DATI DELLA RICERCA: ANALISI DEI RISULTATI ...42
5.1 interpretazioneQuantitatiVadeirisultati ...42
5.1.1 Disciplina teDesco ...42
5.1.2 Disciplina eDucazionealle artiplastiche ...43
5.1.3 Questionariiniziali ...44
5.2 interpretazioneQualitatiVadeirisultati ...46
5.1.1 Questionarifinali ...46
5.1.2 analisiDelpercorsosvolto ...50
6. CONCLUSIONI ...54
7. BIBLIOGRAFIA ...57
7.1 referenzeiMMagini ...58
1. Introduzione e motivazioni personali
Quello dell’identità europea è un problema antico. Ma il dialogo tra letterature, filosofie, opere musicali e teatrali esiste da tempo. E su di esso si fonda una comunità che resiste alla più grande barriera: quella linguistica.
Umberto Eco
La Svizzera è un paese linguisticamente molto ricco e vario. Si suddivide in tre grandi regioni lingui-stiche e culturali: la Svizzera francese, tedesca e italiana, a cui si aggiunge il Canton Grigioni in cui si parla il Romancio (lingua nazionale dal 1938). “Alla diversità linguistica si aggiunge quella religiosa con i cantoni protestanti e i cantoni cattolici. Gli svizzeri quindi non formano una nazione nel senso di una comune appartenenza etnica, linguistica e religiosa. Il forte senso di appartenenza al Paese si fonda sul percorso storico comune, sulla condivisione dei miti nazionali e dei fondamenti istituzionali (federalismo, democrazia diretta, neutralità), sulla geografia (Alpi) e in parte sull’orgoglio di rappre-sentare un caso particolare in Europa.” 1
Sono nata e cresciuta in Canton Ticino, una zona italofona della Svizzera, ed ho imparato fin dalle scuole elementari le altre lingue nazionali. Prima il francese, alle elementari, poi abbandonato alla fine delle scuole medie, poi il tedesco, studiato alle medie ed in seguito al liceo. Alle lingue nazionali si sono aggiunti l’inglese, iniziato durante gli anni di scuola media e che ho poi scelto di continuare durante il liceo linguistico a cui ho aggiunto, proprio in quegli anni, lo spagnolo.
A fine liceo avevo acquisito una buona base linguistica. Terminati gli studi liceali è stato quasi obbli-gatorio proseguire il percorso scolastico con un’università. Io mi sono fermata in Ticino per diverse ragioni, ma molti miei compagni si sono dovuti spostare nel resto della Svizzera.
Il Ticino non ha una vasta offerta universitaria. Propone alcuni rami d’insegnamento, tra cui Architet-tura, Economia, Musica e Teatro, Lavori sociali, Tecnologia, Marketing e Management, Informatica, ecc. Tuttavia gran parte delle migliori università e moltissimi altri rami d’insegnamento sono acces-sibili solo spostandosi oltre Gottardo.
Recentemente, vista l’attuale crisi economica e la saturazione del mercato del lavoro in Ticino, mi sono trovata di fronte alla possibilità di dover cercare lavoro in altre zone linguistiche della
derazione. Possibilità che si è concretizzata per il mio compagno, che lavora attualmente a Zurigo da circa un anno.
Da qui è nata la riflessione su quanto sia difficile cambiare regione linguistica, sia a livello burocra-tico, sia a livello culturale e linguistico. Nonostante gli studi di lingua, se non usata correntemente questa cade velocemente nel dimenticatoio. Senza considerare poi i vari dialetti, soprattutto lo Schwi- zerdütsch, che differiscono anche molto dalle lingue ufficiali vigenti. Inoltre diverse professioni ri-chiedono un uso più o meno massivo di lingue straniere per chi decide di spostarsi.
Queste differenze linguistiche possono portare all’insuccesso scolastico, che ho visto più volte nei compagni che si sono spostati per l’università, dovendo ripetere più volte anni di scuola a causa della lingua. Mentre si può anche riscontrare difficoltà nella ricerca di un lavoro, soprattutto se richiede una particolare abilità nel parlato, come nel caso dell’insegnamento, ad esempio.
Proprio per questo motivo mi sono chiesta se fosse possibile usare il plurilinguismo come una risor-sa didattica e se insegnare in un’altra lingua permettesse da un lato all’allievo di consolidare le sue conoscenze linguistiche, dall’altro se fosse un modo per entrare maggiormente nei compiti proposti. L’ipotesi è quella di andare oltre all’insegnamento in una lingua straniera, sfruttando una lingua poco conosciuta dagli allievi e capire se questa può diventare un mezzo per affrontare in modo diverso le attività proposte in una materia come l’Educazione alle Arti plastiche ad esempio, permettendo agli allievi di raggiungere la consapevolezza dell’importanza della lingua, mettendoli davvero nella situazione di dover parlare e capire, applicando realmente quanto imparato e, d’altro canto, usare le difficoltà che riscontrano nel comprendere il compito per sviscerarlo, analizzarlo e fare propria una situazione che altrimenti potrebbe essere una delle tante proposte in un giorno di scuola qualsiasi. Questo tipo di approccio potrebbe portare dei benefici non solo a quegli allievi che decideranno di trasferirsi, per una ragione o per l’altra, in futuro, altresì permetterà agli allievi di comprendere l’im-portanza di ciò che imparano a scuola e di poterlo vedere applicato, proprio come se facessero un viaggio all’estero e dovessero improvvisamente comunicare.
Inoltre potranno apprezzare maggiormente le differenze linguistiche e culturali, sia del loro paese che degli altri, valorizzando in questo contesto anche i compagni stranieri (gli allievi possono capire cosa vuol dire trovarsi a dover fare scuola in una lingua che non è la loro madrelingua).
2. Quadro teorico di riferimento
I confini della mia lingua sono i confini del mio universo. Ludwig Wittgenstein
2.1 Lingue straniere e lingue seconde: glossario
Prima di iniziare ad analizzare la bibliografia esistente su questi temi si rivela doveroso apporre l’accento sulla differenza di due termini che si troveranno spesso all’interno di questo scritto. In particolare faccio riferimento alla differenza tra lingue straniere e lingue seconde. Nel contesto re-gionale della scuola dell’obbligo ticinese si fa solitamente riferimento alle lingue seconde come alle lingue diverse dall’italiano che vengono apprese in contesto scolastico. Tuttavia questo riferimento non corrisponde alla definizione di lingua seconda. La lingua seconda per definizione è:
“una lingua non materna appresa laddove tale lingua è effettivamente parlata come lingua nativa, ossia è la lingua non materna appresa in contesto naturale. Per definire questa lingua si usa anche l’acronimo L2 preceduto dalla lingua che si vuole indicare come appresa secondo questa moda-lità (esempio: italiano L2).” (Losco, 2011, p. 18)
Un esempio concreto potrebbe essere il seguente: un bambino siriano che viene in Ticino con la fami-glia e apprende l’italiano. Per lui questa sarà una lingua seconda, mentre l’arabo è la sua madrelingua. Come definire quindi le lingue apprese in contesto scolastico che non sono la lingua ufficiale? Queste sono lingue straniere. Il bambino siriano di prima, che impara tedesco, francese e inglese alla scuola media, apprende delle lingue straniere. Per definizione una lingua straniera è:
“una lingua non materna appresa a scuola. La distinzione tra L2 e lingua straniera si riferisce quindi sostanzialmente al fatto che la lingua seconda non è appresa solo a scuola, ma utilizzata nel contesto in cui si vive.” (ibidem)
Per chiarezza di comprensione quindi si parlerà sempre di lingue straniere riferendosi alle lingue, che non sono l’italiano, apprese nella scuola ticinese. Risulta piuttosto lampante da questa definizione come anche il rapporto empatico con le due tipologie linguistiche sia diverso.
Una lingua seconda deve essere in qualche modo appresa perché è quella del nuovo territorio su cui mi insedio, mi serve per comunicare e per vivere. Una lingua straniera è qualcosa di lontano, di altro, che non mi è indispensabile e che non va a complemento della mia prima lingua. Già facendo questa semplice analisi si può vedere come in realtà francese e tedesco sono viste dagli allievi proprio come lingue straniere, a loro lontane e spesso non necessarie. Tuttavia sono lingue nazionali elvetiche insie-me all’italiano e potrebbero diventare davvero loro lingue seconde, per volere o per necessità.
2.2 Immigrazione ed emigrazione: la realtà Svizzera e ticinese
Come si evince dalle statistiche riportate nelle Figure 1 e 2 (pag. seguente) la Svizzera è caratteriz-zata da una forte componente migratoria. Si può notare come ben 1/3 della popolazione totale elve-tica, nel 2016, fosse composta da stranieri e come il saldo migratorio positivo fosse rappresentato proprio da essi. Impossibile non tenere conto di questi dati quando si pensa alla realtà linguistica del paese. Come dimostra la Figura 3 (pag. seguente), infatti, gli stranieri presenti sul territorio sono rappresentativi di diversi paesi. La grande maggioranza arriva dal resto d’Europa, mentre una fetta crescente arriva dai paesi dell’Africa (a causa dei conflitti attuali) o da altre zone del mondo.
Figura 1
Figura 2
Gli stranieri arrivati in svizzera, ovvero con un passato migratorio, parlano quasi sempre una lingua nazionale ed un’altra lingua (probabilmente la lingua madre o l’inglese), dichiarandosi quindi plu-rilingue (Figura 4, pag. seguente). Una gran parte dei cittadini che non hanno, invece, un passato migratorio dichiara di essere monolingue. Questo è piuttosto preoccupante perché vuol dire che una buona percentuale dei cittadini Svizzeri indigeni è tagliato fuori da una grossa serie di interrelazioni e scambi, non solo con persone straniere, ma anche con il resto dei suoi connazionali.
In Svizzera emigrazione ed immigrazione, coi problemi linguistici specifici di questa realtà, sono all’ordine del giorno e lo sono da molto tempo poiché da sempre ci troviamo in uno Stato che per sua peculiarità li crea a chi vi si sposta al proprio interno. Annualmente ci sono grosse masse di studenti che si spostano per motivi di studio universitario (Figura 5, pag. seguente) e devono confrontarsi con una realtà linguistica, ed in alcuni casi culturale, molto diversa dalla propria, seppur restando nel pro-prio paese. Questo si scontra con una statistica che riporta che gran parte degli svizzeri si dichiarano monolingue. Siamo quindi davvero consapevoli di ciò che avviene nel nostro paese? Oppure solo le città ed i poli urbani legati a questi movimenti si sono adattati ad accogliere persone di diversa prove-nienza linguistica? Probabilmente la situazione sul territorio elvetico è piuttosto eterogenea con zone più abituate a realtà linguistiche differenziate che si alternano a zone più chiuse e legate alla propria tradizione, con pochi scambi di persone e relativamente autonome.
Questo può dipendere anche dalla conformazione geografica della nazione, che alterna zone urbane ad altre rurali ed alpine, che beneficiano quindi di meno scambi con persone di altre nazionalità o provenienza linguistica.
Figura 4
Analizzando la Figura 6 (pag. seguente) si può infatti notare come ci siano dei cantoni con una po-polazione residente permanente più ricca di stranieri ed altri con una prevalenza di Svizzeri. Canton Uri, Obvaldo e Nidvaldo, nonché Appenzello interno spiccano per la bassa percentuale di stranieri, e questo dato potrebbe essere legato alla scarsa attrattività economica di queste regioni e alla localizza-zione geografica isolata e montuosa.
Basilea, Ginevra, Vaud risaltano per essere i Cantoni che ospitano la percentuale più alta di stranieri, per i motivi già citati. Il Ticino si trova poco dietro al Canon Vaud ed accoglie una massa numerosa di stranieri. Questo è un dato da tenere in considerazione, soprattutto riflettendo sulla scarsa disponi-bilità di università e sul basso potere economico (se paragonato ad altri cantoni). Ci si chiede quindi cosa spinga tante persone a trasferirvisi.
Nella Figura 7 (pag. seguente) si può notare come dal 1970 al 2015 vi sia stato un aumento della po-polazione totale considerevole, di oltre 2’000’000 di unità. Si può leggere inoltre, della popolazione totale, qual è la percentuale parlante le diverse lingue nazionali (e non). La percentuale dei cittadini tedescofoni è rimasta pressoché invariata. È invece diminuita la percentuale delle persone parlanti l’italiano, a favore dei francofoni. Con la possibilità di poter introdurre più di una lingua principale si nota quante persone dichiarano di parlare altre lingue (21,5%), percentuale simile al francese. Questo evidenzia la grande fetta di popolazione straniera che in altri tipi di statistiche (o in vecchie statistiche) non viene presa minimamente in considerazione e fa capire quanto grande sia il tema del plurilinguismo in Svizzera.
Una situazione analoga si evince dalle Figure 8 e 9 (pag. seguente), che dimostrano come, se sul luo-go di lavoro si tenda a parlare in prevalenza le lingue nazionali, a casa la situazione sia ben diversa e la realtà sia molto più sfaccettata di quanto potrebbe sembrare ad un’analisi superficiale.
Figura 6
Figura 7
Figura 10
Infine, nella Figura 10 è interessante notare, anche a livello religioso, quali sono stati i cambiamenti negli ultimi 45 anni. Si nota come, se nel 1970 si poteva dire che le due religioni maggioritarie fossero quella cattolica e quella evangelica, ad oggi vi sia invece un frastagliamento notevole. La religione cattolica rimane quella prevalente. L’evangelico-protestante ha perso notevole egemonia a discapito di una fetta sempre più crescente di persone senza confessione. Sono decisamente aumentate anche le altre confessioni, tra cui quelle islamiche. Ancora una volta si possono leggere diverse informazioni da un grafico come questo. Al di là dei cambiamenti religiosi e di chi si dichiara senza confessione, si nota anche come la crescente comunità islamica sia segno di una presenza sul territorio di una po-polazione sempre più crescente di stranieri che vanno anche a influenzare massicciamente il territorio Svizzero per le loro abitudini e credenze culturali.
In uno scenario come quello fin qui presentato risulta impossibile non porsi il problema della lingua e del plurilinguismo sempre crescente e che ci tocca tutti, direttamente o indirettamente.
2.3 Il bilinguismo e il plurilinguismo
Anche in questo caso per capire meglio di cosa si sta parlando si propone una definizione tratta da Allemann-Ghionda (1997) per capire quali siano le differenze tra plurilinguismo e multilinguismo:
“Con plurilinguismo si intende la compresenza sia di linguaggi di tipo diverso (verbale, gestuale, visivo, multimediale…), sia di lingue diverse (italiano, rumeno, inglese…), sia di varietà lingui- stiche che esistono all’interno di una stessa lingua (diverse aree geografiche, diversi gruppi socia-li, diversi contesti comunicativi). Il plurilinguismo “pare una condizione permanente della specie umana, e, quindi, di ogni società umana” (De Mauro, 1977). Nello specifico, facendo riferimento al solo contesto linguistico, si intende per plurilinguismo l’uso di più lingue da parte di uno stesso individuo. Per i linguisti si tratta di una condizione normale di qualunque persona, tuttavia per le persone che conoscono solo la propria lingua madre si può parlare di monolinguismo.
Con l’espressione multilinguismo si intende la coesistenza di più lingue in seno ad un gruppo sociale. L’espressione è utilizzata soprattutto nei documenti dell’UE per indicare la coesistenza in Europa di lingue diverse e, quindi, la valorizzazione dell’unità nella differenza.”
Losco (2011, p. 75) si concentra invece sulla definizione di bilinguismo:
“In generale, per bilinguismo si intende la compresenza di due lingue, individuale se il punto di riferimento è dato dal singolo parlante, sociale se il punto di riferimento è dato dalla lingua della comunità. In particolare, il bilinguismo è la capacità di usare due codici linguistici in forma distinta, sia come codici verbali, orali e scritti, sia come cifra di culture diverse. Esistono però diversi livelli di bilinguismo. Per il bilinguismo individuale si va da una soglia minima per cui si dichiara bilingue chiunque abbia delle competenze di contatto in più di una lingua a quella per cui si giudica bilingue solo chi parla perfettamente due lingue.”
Il plurilinguismo ha assunto una posizione molto importante anche a livello europeo, come si è visto nella citazione sopra descritta. Ha infatti acquisito un ruolo istituzionale e sociale importante. Losco (2011, pp. 50-51) approfondisce ulteriormente questa tematica:
“Il discorso sulla dimensione locale e quella globale s’intreccia poi con il tema del bilingui-smo o del plurilingui“Il discorso sulla dimensione locale e quella globale s’intreccia poi con il tema del bilingui-smo come fatti non solo individuali ma anche sociali.
Ci sono due tipi di multilinguismo sociale; quello per cui nell’ambito di una comunità unica la maggioranza è bilingue o plurilingue e quello in cui convivono comunità diverse, con lingue e culture diverse, e con diversi rapporti di forza ed in cui le esigenze di interazione e comuni-cazione spingono verso l’omogeneizzazione linguistica a favore delle lingue dominanti. (…) La competenza plurilingue è la base per la partecipazione dei cittadini alla vita sociale e po-litica delle comunità a cui appartengono. Come in una serie di cerchi concentrici, facciamo parte di più livelli di comunità, ed il plurilinguismo consente la partecipazione ai processi democratici non solo nel proprio paese, ma anche a quelli che possiamo realizzare assieme ad altri europei appartenenti ad altre aree linguistiche (Beacco e Byram, 2003), ivi compresi tutti coloro che sono in mobilità (ovvero immigranti).
Il plurilinguismo sostiene l’esercizio della cittadinanza attiva, facilita una maggiore compren-sione dei repertori plurilingui degli altri cittadini ed il rispetto dei loro diritti (linguistici e non), e costituisce un elemento chiave nella promozione della “cultura positiva dell’antirazzi-smo” e dell’educazione alla pace (Starkey, 2002).
La consapevolezza ed accettazione della nostra identità plurilingue è di supporto al decen-tramento del nostro punto di vista del mondo e favorisce la consapevolezza, accettazione e costruzione delle nostre identità multiple, ibride, complesse e costantemente in fieri. (…) La politica linguistica dell’UE promuove il plurilinguismo e mira ad una situazione in cui ogni cittadino dell’UE sia in grado di parlare almeno due lingue straniere (auspicando che una sia l’inglese) oltre alla propria lingua madre, se possibile fin dalla prima tenera età.”
Si vede qui la direzione in cui l’UE sta spingendo in questi ultimi anni. Il plurilinguismo ha assunto un ruolo chiave in una società in profondo mutamento come quella attuale.
Da un lato c’è la crisi economica che spinge le persone a spostarsi nello spazio per trovare occupa-zione. Spesso c’è la necessità di uscire dalla propria area linguistica, dovendosi confrontare con una cultura nuova e diversa.
D’altro canto siamo quotidianamente confrontati con le problematiche date dalle immigrazioni di massa che stanno avvenendo a causa delle guerre in atto. Non solo chi giunge da noi è in qualche modo obbligato ad apprendere una nuova lingua, ma anche molte figure professionali che si interfac-ciano con queste persone sviluppano la necessità di poter comunicare nella loro lingua, si pensi solo alla nostra categoria degli insegnanti. Per essere cittadini attivi gli immigrati devono potersi integrare, e la questione linguistica è preponderante.
I bambini provenienti dalle famiglie straniere (ma anche quelli provenienti dalle famiglie svizzere che hanno intrapreso una migrazione interna in un’altra zona linguistica) si trovano spesso confrontati con una situazione di plurilinguismo e all’apprendimento di una lingua seconda.
Molti genitori, in situazione di bilinguismo, non riescono a mantenere viva nel bambino la lingua famigliare perché hanno paura di confondere i bambini e di ostacolare il loro apprendimento della nuova lingua. Così facendo lasciano morire la lingua madre e fanno perdere una parte di storia ai pro-pri figli. I bambini, infatti, non sono assolutamente penalizzati dalle situazioni di plurilinguismo, ma hanno bisogno di un lasso di tempo maggiore per far funzionare entrambe le lingue. Fino ai 7-8 anni i bambini impareranno la L2 con gli stessi processi mentali assegnati alla L1. Passato questo lasso di tempo, invece, la L2 verrà utilizzata ed appresa in modo diverso ed il cervello dovrà sempre fare uno sforzo maggiore nell’elaborazione dell’informazione. (Losco, 2011)
“Il bilinguismo è soprattutto un’opportunità e una ricchezza perché la padronanza di due lin-gue amplia le frontiere delle possibilità e il mondo si allarga di conse“Il bilinguismo è soprattutto un’opportunità e una ricchezza perché la padronanza di due lin-guenza, dal momento che, come scrive Rudolf Steiner “ogni lingua dice il mondo a modo suo”.
In base all’età in cui avvengono l’acquisizione e le modalità di contatto tra le due lingue, pos-siamo distinguere diversi profili di bilingui nella migrazione.
Il bilinguismo precoce e simultaneo (0-3 anni): chi impara a parlare contemporaneamente le due lingue, e riguarda soprattutto i piccoli che vengono inseriti al nido. In questo caso può esserci uno sbilanciamento verso uno o l’altro idioma.
Il bilinguismo precoce e consecutivo o aggiuntivo (3-6 anni): Quando il bambino è già parlan-te la lingua maparlan-terna. In questo periodo il bambino è sensibile ai giudizi sulla lingua maparlan-terna. Il bilinguismo consecutivo e tardivo (dopo i 6 anni): L’apprendimento della seconda lingua in età scolare implica un veloce cammino per poter comunicare in fretta e per fare in modo che il nuovo codice diventi anche lingua scritta e di scolarità, veicolo di tutti gli apprendimenti disciplinari.” (Losco, 2011, p. 22)
Il medico e antropologo Paul Broca dimostra coi suoi studi come il cervello venga impiegato nell’uso del linguaggio.
In particolare egli ha notato come la lingua madre (L1) tende ad avere una rappresentazione corticale più centrale nell’emisfero cerebrale dominante sinistro, mentre le altre lingue (L2, L3, …) hanno una rappresentazione corticale più estesa rispetto alla prima lingua.
Se la lingua viene appresa in modo precoce e contemporaneamente ad altre lingue, è l’emisfero si-nistro a farsene carico. Mentre, con l’apprendimento tardivo, viene usato anche l’emisfero destro, richiedendo quindi più lavoro e risultando sempre diverso dalla lingua madre appresa in tenera età. Un apprendimento precoce quindi è migliore proprio perché il cervello risponde in modo diverso agli stimoli e immagazzinerà quanto appreso differentemente, rendendolo più veloce all’uso.
Non è vero, quindi, che un bambino se cresce bilingue farà confusione, piuttosto cambierà la sequen-za con cui impara, cosa che forse può richiedere più tempo rispetto all’apprendimento per un bambino monolingue, ma giungerà all’acquisizione della L1 esattamente come il compagno, con l’aggiunta della L2. (Losco, 2011)
L’importante studioso canadese Jim Cummins si è occupato a lungo di insegnamento lingue seconde. Egli ha identificato e diviso tra le abilità comunicative interpersonali di base (BICS, Basic Interper-sonal Communication Skills; abilità comunicative interperEgli ha identificato e diviso tra le abilità comunicative interpersonali di base (BICS, Basic Interper-sonali di base; si usa per salutare,
inte-“cognitivo-accademica”(CALP, Cognitive Academic Language Proficency; padronanza linguistica cognitivo-accademica; si usa per riassumere, comprendere e produrre testi argomentativi, individuare ed ordinare sequenze di fatti).
Per interagire nella vita quotidiana si privilegiano le prime e sono poco esigenti dal punto di vista cognitivo e sono legate principalmente al contesto. (Losco, 2011, p. 98)
Figura 11
Nella Figura 11 viene mostrata l’immagine di un iceberg. Proprio con questa metafora vengono rap-presentate BICS e CALP.
BICS è rappresentato dalla punta dell’iceberg, in quanto è solo una piccola parte della competenza linguistica. Essa è molto legata all’ambiente e ad un contesto specifico. Si attiva nell’ambito del quo-tidiano e risponde alle necessità più semplici, come conversare con gli amici o avere interazioni in-formali. Si adatta molto bene ad una conversazione faccia a faccia, con una bassa pressione percepita su se stessi, e basata sulla costruzione di frasi semplici.
CALP, invece, rappresenta tutta la parte nascosta dell’iceberg, ben più grande della sua punta. È le-gato all’ambito accademico in senso lato ed è necessario e specifico proprio del contesto classe. Si attiva nella lettura, nell’espressione formale, in contesti più astratti e con contenuti meno famigliari.
Come già detto la scuola ha un ruolo importante e deve valorizzare il patrimonio linguistico degli allievi, aiutandoli a preservare la loro lingua madre anche al di fuori del contesto d’utilizzo, promuo-vendo cosi anche le diversità etniche.
Vi sono diversi progetti già attivi nel contesto scolastico ticinese che mirano a promuovere il pluri-linguismo.
“Le lingue rivestono un ruolo fondamentale all’interno del curricolo della scuola dell’obbligo in quanto sono essenziali sia per l’apprendimento a scuola sia per la vita nella società multi- culturale odierna. Attraverso l’insegnamento del francese, del tedesco e dell’inglese e una sen-sibilizzazione alla diversità linguistica e culturale, la scuola offre spunti importanti di crescita personale e contribuisce allo sviluppo di competenze di tipo plurilingue.
Nell’ultimo decennio l’insegnamento delle lingue seconde ha visto dei profondi cambiamenti a livello nazionale e internazionale: l’insegnamento si basa sul Quadro europeo di riferimento per l’insegnamento delle lingue (QCER), incentrato sulle competenze comunicative, e ten-denzialmente vengono insegnate più lingue ad allievi sempre più giovani. Questo pone la didattica delle lingue di fronte a nuovi problemi: come sviluppare in modo adeguato tutte le competenze comunicative? Come mettere a frutto quello che nell’apprendimento di una lin- gua seconda è valido per tutte le lingue? Vi sono delle conoscenze su come funziona una lin-gua, delle strategie di studio, delle tecniche di transfert a livello lessicale che possono essere insegnate in modo esplicito, permettendo in questo modo di costruire le proprie competenze “plurilingui” a partire dalla prima lingua seconda.
Essere confrontati con altre lingue e culture stimola la curiosità, permette di prendere le di-stanze da stereotipi e di aprirsi agli altri.
La conoscenza di codici sociali e del patrimonio culturale altrui facilità l’interazione. Le espe-rienze vissute in quest’ambito contribuiscono a sentirsi parte di una società multiculturale e plurilingue e a sostenerne i valori.” (ScuolaLab - Plurilinguismo)
Questa è la descrizione che si può trovare sul sito di ScuolaLab promosso dal DECS sotto la voce Plu-rilinguismo. La scuola, quindi, si rivela essere un luogo privilegiato per la coltivazione e la valorizza-zione della diversità linguistica. Di seguito si vedrà come, nel contesto scolastico, venga promosso o
incentivato proprio il plurilinguismo.
2.4 Il plurilinguismo a scuola: applicazioni usuali e non
Come accennato, nel contesto scolastico Svizzero, ma non solo, sono attivi diversi progetti di appli-cazione del plurilinguismo o inerenti ad esso.
Primariamente possiamo parlare di insegnamento di una qualsiasi materia curricolare (come storia o geografia) attraverso una veicolazione in lingua straniera. In questo caso si sta utilizzando il CLIL. Questo termine è stato definito per la prima volta nel 1994 da David Marsh e Anne Maljers. Secondo definizione del MIUR - Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca: “Il termine CLIL è l’acronimo di Content and Language Integrated Learning. Si tratta di una metodologia che prevede l’insegnamento di contenuti in lingua straniera. Ciò favorisce sia l’acquisizione di contenuti disciplinari sia l’apprendimento della lingua straniera. (...) Il CLIL è una metodologia di insegnamento che si è sviluppata in diversi Paesi europei a partire dalla metà degli anni 1990, quando in Italia, grazie allo sviluppo di progetti europei, organizzati da varie istituzioni e Università, alcune scuole hanno attivato sperimentazioni di insegnamenti di contenuti disciplinari in lingua straniera. Il nostro è il primo paese dell’Unione Europea a introdurre il CLIL in modo ordinamentale nella scuola secondaria di secondo grado.” (MIUR - CLIL)
Per il Ministero il docente ideale che insegna attraverso il CLIL è un docente abilitato nella sua ma-teria che ha seguito un corso specifico inerente al CLIL e che ha, inoltre, una conoscenza linguistica pari al livello C1 del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue (QCER) in una lingua straniera.
Esso possiede, su suolo Italiano, anche uno statuto a livello legislativo e giuridico:
“La Legge 53 del 2003 ha riorganizzato la scuola secondaria di secondo grado e i Regolamenti attuativi del 2010 hanno introdotto l’insegnamento di una disciplina non linguistica (DNL) in una lingua straniera nell’ultimo anno dei Licei e degli Istituti Tecnici e di due discipline non
linguistiche in lingua straniera nei Licei Linguistici a partire dal terzo e quarto anno.
La Legge 107 del 2015, all’articolo 7, definisce come obiettivi formativi prioritari “la va-lorizzazione e il potenziamento delle competenze linguistiche, con particolare riferimento all’italiano nonché alla lingua inglese e ad altre lingue dell’Unione europea, anche mediante l’utilizzo della metodologia Content language integrated learning”.” (MIUR - CLIL)
Il CLIL si sta diffondendo, non a caso, in tutta Europa e questo lo si può evincere dalla Raccoman-dazione della Commissione Europea Rethinking Education del 2012. La competenza linguistica è definita una “dimensione chiave per la modernizzazione dei sistemi di istruzione europei” e la me-todologia CLIL è rappresentata come ideale strumento per l’ottimizzazione dei curricula scolastici.” (The British Institute of Rome- Metodologia CLIL)
Oltre che di CLIL è possibile parlare di un altro tipo di possibile approccio a livello scolastico. Nello specifico si tratta della glottodidattica ludica. Che cos’è la glottodidattica ludica?
La glottodidattica ludica potrebbe essere definita come un metodo di realizzazione dei principi fonda-ti gli approcci umanisLa glottodidattica ludica potrebbe essere definita come un metodo di realizzazione dei principi fonda-tici affetLa glottodidattica ludica potrebbe essere definita come un metodo di realizzazione dei principi fonda-tivi, comunicaLa glottodidattica ludica potrebbe essere definita come un metodo di realizzazione dei principi fonda-tivi e del costrutLa glottodidattica ludica potrebbe essere definita come un metodo di realizzazione dei principi fonda-tivismo socio-culturale.
“Potremmo sintetizzare tali principi in:
• attenzione ai bisogni comunicativi dello studente (con particolare riguardo alle componenti psico-affettive e motivazionali che influenzano il processo di apprendimento);
• importanza della lingua come strumento di espressione del sé e d’interazione sociale (con particolare attenzione agli aspetti socio-culturali, interculturali, para- ed extra-linguistici); • concezione dell’apprendimento come processo costruttivo in cui il discente deve essere at-tivamente impegnato nella costruzione della sua conoscenza. Tale costruzione avviene per connessione tra ciò che è ha appreso con le sue conoscenze precedenti;
• consapevolezza e valorizzazione delle differenze tra gli studenti derivanti dalla loro storia personale, dal loro ambiente sociale, dai loro interessi specifici, dai loro obiettivi esistenziali e scolastici, dai loro stili cognitivi e d’apprendimento;
trasmettitore di contenuti.” (Caon, Rutka, 2012, p. 9)
Questa metodologia assegna al gioco un grande valore strategico per arrivare a raggiungere sia obiet-tivi di tipo linguistico (come per esempio sviluppare le abilità comunicative) sia di tipo formaobiet-tivi (come per esempio lo sviluppo cognitivo e culturale). Il gioco si colloca all’interno di un preciso percorso didattico e, oltre ad avere precisi obiettivi linguistici e formativi, ha anche una sua precisa funzione (ad esempio promuovere la riflessione linguistica o eseguire una valutazione delle compe-tenze). (Dalosio, 2006) La glottodidattica ludica potrebbe rivelarsi particolarmente adatta, nei suoi principi, ad un’applicazio-ne al progetto da me ipotizzato. Si ritiene che il gioco possa costituire una modalità privilegiata dell’apprendimento e scoperta del mondo da parte dei bambini. Il gioco, infatti, può assumere un valore, ovvero essere utile all’appren- dimento, anche una volta superata l’età infantile, a patto che venga adattata alle peculiarità dell’ap-prendente. (Losco, 2011)
La metodologia ludica può essere utilizzata, appunto anche con adolescenti ed adulti. Come sostiene Vygotskij: “domandiamoci che cos’è il gioco, se una caratteristica temporanea dell’infanzia o un aspetto che contrassegna tutta l’esistenza umana, pur con differenza a seconda delle diverse età.” Chiaramente durante l’infanzia il bambino è più propenso al gioco in modo spontaneo, in cui vi trova piacere e libertà. (Dalosio, 2006)
Giovanni Freddi fu uno dei padri della glottodidattica ludica ed iniziò a studiarla già a partire dagli anni ’80. Secondo lui la Metodologia Ludica deve basarsi sui seguenti principi:
1) “Sensorialità: lo studente deve poter attivare tutti i canali sensoriali per creare rappre-sentazioni mentali e neurologiche stabili. Le parole ad esempio di possono imparare meglio se associate ad immagini, odori, sapori, ed esperienze sensoriali.
2) Motricità: la lingua è un mezzo di comunicazione pragmatico e funzionale; attraverso
la lingua possiamo dare ordini, far fare un’azione e associare la lingua ai più svariati tipi di movimento; perciò l’insegnamento ludico della materia deve riservare uno spa-zio rilevante alla dimensione motoria.
che lo studente ha a disposizione; il compito dell’insegnante consiste nel favorire lo sviluppo armonico e l’integrazione della lingua nell’insieme dei linguaggi a disposi-zione dello studente.
4)
Relazione interpersonale: deve favorire le relazioni tra gli studenti e con l’insegnan-te, per sviluppare nell’allievo anche competenze sociali; la lingua infatti nasce come strumento di comunicazione interpersonale, all’interno di contesti sociali precisi, e dunque la dimensione socio-relazionale non può essere ignorata.
5) Pragmaticità: con i bambini in particolare, è fondamentale che la lingua sia presentata come strumento concreto ed utile per “fare delle cose”; il bambino percepisce così che la lingua può essergli utile per raggiungere i suoi scopi e soddisfare i suoi bisogni (pragmatici, affettivi, relazionali, comunicativi). Anche gli studenti adulti, con le do-vute differenze, possono apprezzare che l’insegnante sottolinei gli aspetti pragmatici della lingua e che mi metta in luce l’utilità per soddisfare i loro bisogni (professionali affettivi, culturali, …).
6) Emozione: la lingua si può imparare meglio se è associata ad emozioni positive (senso
di appartenenza ad un gruppo, voglia di mettersi in gioco, senso di sfida e competizio-ne); il gioco glottodidattico può far nascere emozioni molto forti, perché coinvolge lo studente in attività stimolanti e sfidanti; ma il senso di sfida può essere stimolante per un allievo frustrante per un altro; sarà compito dell’insegnante fare in modo che si crei sempre un equilibrio tra competizione e cooperazione, in modo da non generare emozioni negative ( stress, frustrazione, ansia, paura di perdere la faccia, senso di in-capacità).
7) Autenticità: nel gioco si crea una situazione autentica a livello psicologico, per cui
diventa assolutamente normale che due arabofoni parlino tra di loro in italiano o che un bambino si rivolga in italiano ad un pupazzo.” (Dalosio, 2006)
L’insegnante gioca un ruolo fondamentale in questa metodologia, che può essere efficace solo se egli da spazio alla dimensione operativa, spingendo l’allievo a “fare” usando la lingua (per esempio costruire e inventare un gioco, una canzone, ecc.), facendo diventare la lingua uno strumento per
l’apprendimento. Inoltre deve sfruttare la memoria implicita, facendo si che la lingua sia veicolo di una crescita complessiva del bambino. (Dalosio, 2006)
“L’insegnante deve creare una situazione di apprendimento stimolante e significativa per il bam-bino stimolando la sua motivazione intrinseca, proponendo attività che portino alla crescita del bambino, garantendo la partecipazione di tutti, accrescendo le capacità relazionali e sociali stimo-lando la naturale propensione dei bambini a sfidare se stessi e gli altri.” (Dalosio, 2006)
La Metodologia Ludica può rivelarsi come uno strumento importante nell’insegnamento delle lingue agli adolescenti poiché può stimolare la motivazione basata sul piacere ad apprendere e, allo stesso tempo, può accorciare la distanza nel rapporto tra insegnante e studente.
L’insegnante, da parte sua, dovrebbe cercare di proporre attività ludiche stimolanti e che rispondano ai bisogni degli studenti, basandole su situazioni di problem-solving (che gli adolescenti amano ri-solvere, scomponendo e ricomponendo gli elementi di problematicità); dovrebbe proporre situazioni sfidanti e coinvolgenti, che però permettano di trovare il giusto equilibrio tra competizione e coopera-zione, cercando di evitare possibili situazioni di ansia e di disagio. Infine bisogna proporre momenti di riflessione, sia sulla lingua, sia sulle modalità di apprendimento che l’insegnante ha proposto. (Dalosio, 2006)
“L’insegnante che propone la Glottodidattica Ludica ad adolescenti deve essere cosciente che questa metodologia può portare a risultati di apprendimento molto alti, ma al tempo stesso richiede al docente lo sforzo di far scoprire agli studenti l’importanza della cooperazione e dell’aiuto reciproco e di far capire loro che anche attraverso l’esperienza ludica è possibi-le raggiungere obiettivi glottodidattici ed educativi, in maniera diversa, rilassata, piacevodell’aiuto reciproco e di far capire loro che anche attraverso l’esperienza ludica è possibi-le (Caon, Rutka, 2004).” (Dalosio, 2006)
Figura 12
La figura 12 qui riportata rappresenta il quadro di Pieter Brueghel “Il Vecchio” intitolato Gioco di bambini (1560). Quest’immagine racchiude ed esemplifica quanto visto. I bambini, all’interno della dimensione ludica, sono fortemente e differentemente stimolati, e saranno quindi portati più facil-mente all’acquisizione di competenze.
Esistono anche esperienze didattiche applicate e concrete. Un esempio su suolo Svizzero che si sta fortemente espandendo e consolidando è quello proposto dal progetto Alpconnectar. Si può dire che questo progetto prenda origine da quelli che sono dei “semplici” scambi linguistici (in cui un allievo di un’altra regione linguistica passa presso l’allievo ticinese un certo lasso di tempo come ospite e viene inserito nella scuola del compagno, per poi ricambiare l’ospitalità a sua volta), trasponendolo ad un livello superiore e molto più complesso.
“AlpConnectar è un progetto di sperimentazione che sfrutta le tecnologie digitali e internet per creare progetti di scambio linguistico tra classi di scuola elementare nelle diverse regioni linguistiche della Svizzera.
Francese; nei Grigioni, dell’italiano; nel Vallese, del tedesco) lavorando con una didattica a progetto.
Quali sono i vantaggi di uno scambio linguistico AlpConnectar?
1) Lo scambio linguistico dura tutto l’anno scolastico, e non si limita a pochi giorni di incon-tro fisico, che sono comunque inseribili nella programmazione
2) Grazie alla multimedialità e alla videoconferenza, lo scambio linguistico si basa anche sulla comunicazione orale, e non unicamente sullo scritto.
3) Il sistema è altamente flessibile, e in grado di adattarsi a diverse esigenze e ritmi di lavoro. 4)
L’uso delle tecnologie in classe offre occasioni di educazione e di sviluppo delle compe-tenze digitali degli allievi.” (AlpConnectar)
Questo progetto, inizialmente pensato ed attuato nelle scuole elementari, viene attualmente praticato anche all’interno della scuola media con buoni risultati. L’idea, infatti, può essere applicata all’in-terno di qualsiasi grado scolastico e qualsiasi scuola che dispone dei mezzi tecnologici necessari ed è interessata ad un potenziamento dell’insegnamento nella lingua straniera. I risultati molto positivi fanno pensare che questa sperimentazione si espanderà ulteriormente nel corso dei prossimi anni. Il progetto si propone di trasformare quello che è l’apprendimento delle lingue straniere nelle scuole medie, in situazioni il più possibile vicine alla realtà, ponendo gli allievi in un contesto operativo che trasforma lo statuto stesso della lingua, che passa dall’essere lingua straniera all’essere vista ed utiliz-zata come una lingua seconda, immergendo gli allievi in un “bagno linguistico” completo.
2.5 Lingue straniere nella Scuola media, interdisciplinarità e riferimento epistemologico dell’E-ducazione alle Arti plastiche
Nel contesto della scuola media ticinese le lingue occupano un ruolo piuttosto rilevante. All’interno della griglia oraria composta da un totale settimanale di 33 ore lezione si trovano, nei diversi anni, dalle 4 alle 6 ore di italiano, dalle 3 alle 4 ore di francese, da 2 a 3 ore di tedesco (a partire dalla se-conda media), 3 ore di inglese (dalla terza media), dalle 2 alle 4 ore di Latino (Opzionale, a partire alla terza media). (Piano di formazione, 2004)
Un cambiamento importante è stato introdotto grazie alla Riforma 3 che ha apportato i seguenti cam-biamenti: l’insegnamento dell’inglese è diventato obbligatorio nel secondo biennio e il francese è diventato opzionale; infine l’italiano è stato potenziato.
Il francese viene visto come una lingua che permette un continuum dalla terza elementare fino alla fine della seconda media ed è stato elaborato un programma comune per garantire la maggiore conti-nuità didattica possibile tra i due ordini scolastici.
Le lingue seconde vengono affrontate in un’ottica di plurilinguismo dal Piano di formazione, poiché i principi che regolano l’insegnamento delle varie lingue sono uguali per tutte.
Negli ultimi decenni l’insegnamento delle lingue seconde ha visto un profondo mutamento in quanto, ad oggi, si vogliono dare in primo luogo gli strumenti linguistici necessari all’allievo per permettergli di interagire in contesti e situazioni diverse. Queste conoscenze e strategie sono le stesse per ogni lingua seconda. Il progetto cantonale “Plurilinguismo” si propone di elaborare e sviluppare strumenti e scenari che aiutano l’allievo a sfruttare le sinergie tra le varie lingue. Il Piano di formazione propone inoltre l’adozione di strumenti come il Portfolio europeo delle lingue, uno strumento di lavoro volto a rendere l’allievo cosciente di quanto ha imparato – a scuola, ma anche al di fuori della scuola – e ad aiutarlo a pianificare il suo apprendimento in un’ottica di “life-long learning”. Si consiglia anche di integrare nell’insegnamento delle lingue la pedagogia degli scambi che favorisce un insegnamento volto a valorizzare il contatto diretto con ragazzi che vivono in un contesto linguistico e culturale diverso. Con l’avvento del nuovo Piano di studio della scuola dell’obbligo (2015) si pone ancora maggiormente l’accento su due aspetti importanti: la continuità dell’insegnamento delle lingue sui tre cicli scolastici e l’importanza del plurilinguismo nel contesto nazionale. Vengono riaffermati i con-cetti già esplicitati con la Riforma 3 delle lingue e si ribadisce come l’apprendimento di altre lingue aiuti a comprendere la ricchezza della propria lingua e, allo stesso tempo, di entrare in contatto con altre culture linguistiche. Questo porta certamente ad una maggiore apertura e propensione verso le altre culture e si rivela, proprio secondo il Piano di studio, un “punto di forza per la riuscita professio-nale”. (SIM, Sezione dell’Insegnamento Medio)
Vi sono punti di contatto tra tutte le lingue presenti nella griglia oraria scolastica. Le competenze che derivano dal loro insegnamento sono simili, soprattutto per la capacità di comunicare.
Attraverso l’insegnamento del francese, del tedesco e dell’inglese ed una sensibilizzazione alla di-versità linguistica e culturale, la scuola offre spunti importanti di crescita personale e contribuisce allo sviluppo di competenze di tipo plurilingue. Nella Svizzera, nazione con un’identità storicamente plurilingue e pluriculturale, il Canton Ticino, portavoce dell’italianità, riconosce il valore delle altre lingue nazionali, e dell’inglese in quanto lingua di comunicazione trasversale. Per queste ragioni lo studio di più lingue fa da sempre parte del patrimonio linguistico-culturale del Canton Ticino. (Re-pubblica e Cantone Ticino, 2015)
Si nota come questi valori siano in linea con quelli visti precedentemente a livello Europeo ed inter- nazionale, e riprendano le direttive dell’Unione Europea in merito alla valorizzazione del plurilingui-smo.
All’interno del progetto della “Scuola che verrà” vi sono sostanziali novità che toccano l’ambito delle lingue come la possibilità della modalità didattica offerta dal “laboratorio”. Tuttavia i laboratori sono pensati solo per alcune materie (italiano, francese, inglese, storia e civica, geografia, matematica e scienze naturali).
Risulta nuovamente difficile e laborioso poter collaborare con docenti che non fanno parte di queste materie, dove discipline come Educazione Visiva o come Educazione alle Arti plastiche potrebbero dare grandi contributi di interdisciplinarità e mettere in campo progetti diversi come quello proposto nel corrente lavoro di diploma. Sembra quindi, nonostante le buone intenzioni, un’occasione mancata di collaborazione a tutto campo delle diverse discipline ed un’esclusione di alcune di esse da un mo-mento di condivisione e di collaborazione che sono alcuni degli elementi alla base del progetto della “Scuola che verrà”.
Per quanto riguarda lo statuto dell’Educazione alle Arti plastiche esso ha subito profondi mutamenti nel corso degli anni ed è passata dall’essere una materia piuttosto settoriale ad avere uno statuto più ampio.
Partendo da tempi più antichi, questa disciplina prende avvio già a metà dal 1800. Nello specifico venivano svolti i suddetti “Lavori femminili” che prevedevano delle ore di lezione esclusivamente per le ragazze, con nozioni di cucito e rammendo.
aggiunte delle sezioni più specifiche ai “Lavori manuali”, legate alla lavorazione di alcuni materiali come pietra, legno e metalli, destinate ai ragazzi, mentre per le ragazze rimane pressoché invariata la lavorazione dei tessuti ed il cucito.
Nel 1976 si arriva ad una prima macro-divisione in “Tecnica dell’abbigliamento” ed “Educazione tec-nica”, ed “Educazione manuale e tecnica” in cui avveniva una separazione di genere. Essa rimarrà in auge fino agli anni ‘90, periodo in cui prese avvio una riforma della materia che vuole ricucire questa grande frammentazione ed unifica la materia sotto il termine “Mixité”. Tuttavia, a livello formale, nel Piano di formazione del 2004 si parla ancora delle singole materie e bisognerà aspettare l’avvento del Piano di studio per la formalizzazione del termine Educazione alle Arti plastiche (prima e seconda media) che si divide poi con le opzioni di quarta media (ODAS - Tecniche di progettazione e costru-zione; Opzione di orientamento - Attività artigianali e tecniche).
Quello che è rimasto sicuramente vigente, come orientamento didattico, sono i tre campi operativi del modellaggio, della composizione e della costruzione. Mentre questioni più settoriali e tecniche vengono affrontate nell’ambito delle opzioni di quarta media.
Inoltre nel nuovo Piano di studio della scuola dell’obbligo ticinese si citano le indicazioni metodolo-giche e didattiche dell’Educazione alle Arti plastiche, in particolare la disciplina viene così descritta:
“La conoscenza delle caratteristiche e dell’utilizzo dei materiali è fondamentale per permet-tere agli allievi di costruire concretamente degli oggetti di studio che sono veicoli di cultura e di apprendimento, applicando le tre fasi essenziali dell’ideazione, della progettazione e della realizzazione. Momenti di ricerca di idee, di informazioni, di osservazione, di schizzi si alternano a momenti di lavoro concreto sulla base di una sequenza progettata ma adattabile a seconda delle esigenze. (…) Un’attività pratica intesa quindi come campo di esercitazioni per la comprensione di problemi semplici o complessi e le loro relazioni con l’uomo, la co- munità e l’ambiente, che richiedono creatività, ingegnosità e abilità manuali per essere risol-ti.” (Repubblica e Cantone Ticino, 2015, pag. 240)
Appare quindi piuttosto evidente come la materia sia aperta, soprattutto a livello di tematizzazione da parte del docente e che ben si presta all’interdisciplinarità e a vari legami sia con i contesti della Formazione Generale. Sembra quindi una disciplina che tende la mano alle altre e vive anche della messa in situazione con riferimenti alla vita reale e pratica, nonché facendo collegamenti alle altre
3. Quadro metodologico
Nella ricerca e con la ricerca, il lavoro dell’insegnante smette di essere mestiere e diventa professione.
Jean Piaget
3.1 La premessa: la ricerca-azione
In primo luogo si rivela necessario spendere qualche parola rispetto al tipo di ricerca eseguito. Si tratta di una ricerca-azione, ovvero di un tipo di ricerca di tipo qualitativo che viene spesso usata in ambito educativo, poiché il ricercatore fa parte del sistema osservato e lo influenza attivamente.
“Una definizione articolata di R-A è quella di Piccardo & Benozzo (2010) che definisce la R-A come: a) un modo di intervenire all’interno del contesto organizzativo, con un intervento trasformativo e di costruzione di conoscenza; b) un modo ciclico e ricorsivo di conoscere nella relazione e attraverso la relazione; c) una filosofia, un modo di essere e di vivere; d) una metodologia di ricerca soprattutto, ma non esclusivamente, qualitativa.
Nella sua forma classica la R-A cerca di rispondere ad alcune esigenze lasciate insoddisfatte dal metodo sperimentale: l’applicazione a contesti sociali complessi in cui è difficile isolare e tenere sotto controllo le variabili più importanti, e l’integrazione tra ricerca e pratica.” (Mo-retti, 2016) La ricerca-azione qui proposta segue delle fasi ben specifiche. Inizialmente è stata definita la situa-zione problematica o il possibile elemento di difficoltà, nel mio caso legato all’integrazione di una lingua straniera all’interno della didattica dell’Educazione alle Arti plastiche, con i relativi possibili risvolti positivi per la disciplina.
In seguito è stato formato il gruppo di lavoro, composto da me come docente di materia e dagli allievi della seconda media scelta per l’attività.
Poi è stata svolta una ricerca in letteratura ed è stata presa in analisi tutta la bibliografia inerente al tema trattato per indagare se, e come, il problema fosse già stato preso in esame.
Successivamente verranno individuate le possibili azioni didattiche da mettere in atto per verificare o confutare le ipotesi precedentemente stilate, legate a due attività didattiche specifiche e saranno definite le modalità di rilevazione delle informazioni.
Infine avverrà l’attività didattica vera e propria, con delle rilevazioni iniziali e finali, e si trarranno, quindi, le dovute conclusioni.
La ricerca-azione mi vede, in qualità di ricercatrice, e soprattutto di docente, coinvolta profonda-mente nel processo della ricerca stessa e questo mi permette di sfruttare questo momento di ricerca come risorsa per apprendere in prima persona da questa esperienza inusuale. Questo mi permette di auto-formarmi, grazie al lavoro di analisi e riflessione che scaturisce da questa opportunità e di appro-fondire un ambito didattico e professionale che solitamente è più legato ai docenti di lingue, e che vie-ne spostato ad un altro livello grazie all’integrazione con una materia del tutto diversa e ad una messa in campo attiva. Si va, quindi, oltre all’interdisciplinarità, aprendo le porte a diversi tipi d’intervento e di approccio, indagati in modo piuttosto innovativo per il contesto della Scuola media ticinese. 3.2 Le fasi
3.2.1 Domande di ricerca e ipotesi
Le possibili domande di ricerca, visto quanto sopra, sono al momento le seguenti: ▪ ▪ In che modo la Scuola media ticinese tiene conto della realtà linguistica del paese? Come si potrebbero preparare gli allievi agli scambi nazionali (per motivi di studio ad esempio)? ▪ ▪ In che modo l’insegnamento della disciplina dell’Educazione alle Arti plastiche in una lingua straniera rende più motivante e sfidante la comprensione del compito e della situazione pro-blema? ▪ ▪ Gli allievi che saranno esposti a questo tipo d’apprendimento saranno favoriti negli scambi all’interno del contesto scolastico e professionale? (non verificabile) Appare evidente che quest’ultima ipotesi non possa essere verificabile attraverso questo lavoro di ricerca, per la durata, la complessità e l’estensione che richiederebbe sul territorio locale. Si può però
dire con buona sicurezza che l’abitudine ad un uso attivo della lingua potrebbe sicuramente facilitare gli scambi tra regioni linguistiche diverse e soprattutto favorirne l’utilizzo in contesti scolastici e la-vorativi di grado superiore.
L’attuale Scuola media ticinese tiene parzialmente conto della realtà linguistica del paese. Se impa-riamo in modo cattedratico e nozionistico delle lingue queste tenderanno a cadere velocemente nel dimenticatoio. Un approccio di questo tipo sarebbe sicuramente congeniale a consolidare le nozioni linguistiche e a creare dei collegamenti interdisciplinari molto interessanti. La “Scuola che verrà”, con i suoi laboratori ed atelier, già guarda in questa direzione. Se il progetto andrà in porto questo tipo di attività potrebbero sicuramente risultare interessanti. Inoltre, vista la griglia oraria prevista dalla nuova “Scuola che verrà”, si potrebbe ipotizzare di creare delle attività di questo tipo potrebbe fare in modo di portare l’Educazione alle Arti plastiche all’interno della griglia oraria delle lingue seconde, conferendole maggior importanza.
Ipotizzo, inoltre, che molto probabilmente se gli allievi imparassero le altre materie curricolari inse-rendo delle situazioni in lingua straniera, questa sarebbe applicata realmente e sarebbe, in una situa-zione problema congeniata ad hoc, un escamotage per poter approfondire ulteriormente il compito richiesto.
Attraverso questo Lavoro di diploma potrò sperimentare e capire se sia un percorso realmente at-tuabile, che mole di lavoro richiede preparare una o più attività seguendo questa metodologia, e se veramente possa essere un valore aggiunto all’insegnamento tradizionale, sia per la lingua straniera usata, ma soprattutto, per l’Educazione alle Arti plastiche.
Come già detto dovrò rispettare delle tempistiche piuttosto serrate, per il legame di questo lavoro di ricerca con il termine della mia formazione preso il DFA. Non so con precisione dove potrò arrivare con questa indagine e fino a che punto potrò sperimentare in classe. Sarò anche legata alle classi che mi sono state assegnate quest’anno dalla sede in cui lavoro e limitata, quindi, ad un numero piuttosto esiguo di studenti.
Nonostante ciò questa esperienza diventerà sicuramente parte del mio bagaglio delle competenze e sarò una delle poche docenti, esclusi quelli di lingue, ad avere delle conoscenze operative sul
pluri-linguismo come risorsa attiva da usare in contesto scolastico.
Nell’applicazione concreta ed attiva della mia ricerca ipotizzo di portare in classe due attività che propongono il plurilinguismo come risorsa per una didattica innovativa dell’Educazione alle Arti pla-stiche. Immagino che gli allievi potrebbero trovarsi spaesati da questo tipo di approccio, soprattutto inizialmente. Anche io potrei avere delle difficoltà a gestire coerentemente l’attività su tutto l’arco della sua durata. Inoltre da parte degli allievi potrebbe esserci interesse ed entusiasmo oppure chiusu-ra e rifiuto. Starà a me, in qualità di docente, stimolare ed invogliare i ragazzi a partecipare e trovare il giusto modo per coinvolgerli in quello che per tutti noi sarà un esperimento didattico del tutto nuovo.
3.2.2 Scelta della classe di riferimento
La classe scelta per questo lavoro è una seconda media composta da 11 allievi (metà classe).
Ho dovuto rivedere la scelta in base alle classi che mi sono state assegnate dalla Sede in cui ho avuto la fortuna di poter lavorare con un incarico limitato all’inizio dell’anno scolastico in corso.
A seconda dell’idea iniziale sarebbe forse stato ottimale lavorare con una classe di quarta opzionale. Da un lato per la maturità maggiore degli allievi e dall’altro perché, volendo fare un’attività in tede-sco, avrebbero avuto alle spalle già due anni d’insegnamento della lingua. La terza era stata esclusa perché non seguono il corso di Educazione alle Arti plastiche e proporre l’attività in classe di Edu-cazione Visiva, con la classe a elementi interi (20-22 allievi in media) sarebbe risultato pressoché impossibile da gestire da sola e poco confacente con gli obiettivi del lavoro qui proposto.
Ho quindi adattato gli obiettivi e le aspettative sul lavoro basandomi sulla seconda, che avrebbe ini-ziato tedesco proprio quest’anno. Sicuramente il lavoro ha sfruttato maggiormente la non conoscenza approfondita della lingua da parte degli allievi (ma anche da parte mia).
Molti momenti hanno visto gli allievi impegnati ad usare componenti logiche e cognitive, piuttosto che vere e proprie conoscenze linguistiche. Piano piano ci siamo spostati nell’approfondimento ed in un uso più consapevole della lingua.
La classe scelta è composta, come detto, da 11 allievi. Di questi 6 sono ragazze e 5 sono ragazzi. I dati in mio possesso ad inizio anno erano quelli riportati nella Tabella 1 di seguito.
Tabella 1 – Composizione della classe
N.ro Genere (M/F) Religione Nazionalità Tedesco
1 F Non segue Svizzera Sì 2 M Cattolica Italia Sì 3 M Cattolica Svizzera Sì 4 F Non segue Svizzera Sì 5 M Cattolica Svizzera Sì 6 F Cattolica Svizzera Sì 7 F Cattolica Italia Sì 8 F Cattolica Italia Sì 9 M Cattolica Germania Sì 10 F Non segue Svizzera Esonero 11 M Cattolica Svizzera Sì
Ero quindi a conoscenza di alcune situazioni particolari. Ad esempio l’allieva 10 che era esonerata dal tedesco, e quindi avrebbe potuto avere alcune difficoltà ad affrontare questo tipo di attività. Tuttavia la sua inesperienza avrebbe potuto essere anche una risorsa per i compagni, non essendo influenzata dalla questione linguistica, avrebbe potuto avere la capacità di cogliere alcuni aspetti che ai compagni potevano sfuggire.
Inoltre sapevo che l’allievo 9 proveniva dalla Germania e forse parlava correntemente tedesco a casa. Tuttavia non potevo esserne certa prima di aver sottoposto alcune domande ai ragazzi. Prima di ini-ziare l’attività mi sono anche informata sul rendimento dei singoli allievi nella materia dalla docente responsabile.
A fine ottobre/inizio novembre i risultati degli allievi erano quelli che si vedono riportati nella Tabella 2 sottostante.
Tabella 2 – Valutazioni allievi a Tedesco periodo fine ottobre/inizio novembre
N.ro Rendimento complessivo 1 Buono 2 Discreto 3 Discreto 4 Buono 5 Discreto 6 Buono 7 Molto buono 8 Buono 9 Molto buono 10 -11 Buono
3.2.3 Preparazione dell’attività e raccolta dati iniziale
L’attività si dividerà in due parti distinte che seguiranno ognuna un itinerario didattico specifico. Le due attività verranno precedute da alcuni momenti preparatori.
Prima di iniziare il percorso la docente consegnerà un piccolo libretto con copertina formato A5 orizzontale che fungerà da “Diario di bordo” per gli allievi durante tutto il corso delle attività legate al plurilinguismo. Questo diario avrà delle pagine bianche al suo interno su cui gli allievi potranno ritagliare ed incollare i fogli preparati dalla docente. Inoltre sulle pagine libere gli allievi potranno apporre schizzi ed appunti inerenti l’attività che stanno svolgendo (Allegato 1 – Diario di bordo). Avverrà una raccolta iniziale dei dati attraverso un questionario sociolinguistico preparato ad hoc per la classe (Allegato 2 – Questionario sociolinguistico). Gli allievi si esprimeranno circa la loro prove-nienza, le loro abitudini linguistiche, le loro credenze, le loro aspettative, ecc.
La docente verificherà inoltre il livello di tedesco degli allievi a pochi mesi dall’inizio del corso, con-frontandosi con le colleghe ed assistendo ad alcune lezioni.
Prima di iniziare le attività saranno preparati dei cartelloni con gli allievi con dei termini di uso co-mune inerenti la materia delle Arti plastiche. Nello specifico gli allievi saranno divisi a coppie ed ogni coppia ricercherà sul vocabolario o sul pc le parole ed i verbi che ritiene essere fondamentali per la materia. Nel dettaglio, ad ogni coppia viene assegnato un materiale particolare (carta, argilla, tessuto, legno) e gli allievi devono pensare a quali strumenti hanno utilizzato per lavorare quello spe-cifico materiale o potrebbero servire e quali verbi vi sono associati (Figura 13, esempi di cartelloni, vedi anche Allegato 10 - Esempi di cartelloni degli allievi). Con questi cartelloni si potranno aiutare sia nella risoluzione della situazione problema, sia nel porre domande alla docente durante la fase di lavoro vera e propria.
Questi poster saranno anche fotocopiati e consegnati in forma ridotta (formato A4) agli allievi per permettere loro di averne anche una propria copia a disposizione.