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Il sociale di Armando

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Academic year: 2021

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Censimento

Nisciuno po' trasire dint'o core mio. Aggio chiuso canciello e catenaccio. Nun po' trasì nemmeno Dio e tutti i Santi. Se Dio e il paradiso esistono, se ne parla da quell'altra parta. Dio non ha mai fatto niente per la povera gente e nemmeno p'e ccriature. Qui non si capisce mai se sono tempi di pace o di guerra. Io voglio bene, ma loro non lo sanno, solo la signora Immacolata e suo marito don Giuseppe 'o Masterascio. Vuje forse non ci credite, ma tutt'e dduje, vivono dint'a 'na grotta di vico Sottomonte.

Io vedo loro, ma loro non vedono a mme.

La mattina ambresso si scetano, si fanno la zuppa di latte e si rivestono.

Donna Immacolata prepara 'a sarzulella pe' mangiare all'una e don Giuseppe se mette a faticà. Intanto, zoccole, suricille e scarrafune si annasconneno dinto le tane e le saittelle.

Io songo Ze Pochiello, e tengo dieci anni, ma quelli del comune hanno spaso la voce che è come se ne tenessi sei anni; ma tutti quelli del vicolo, gruosse e piccirille, da quando succedette 'o fatto d'o palazzo, me chiammano 'o Jatto servatico.

E nun saccio nè leggere e nè scrivere.

Quelli del comune non si fanno mai vedere, soltanto quando dicono loro. Sono tutti una maniata di zoccole e scurnacchiate ca pensano solo a rubbà e a

sistemare le loro famiglie.

Forse la scuola mi sarebbe piaciuta, ma ci sono andato soltanto il primo giorno. Nuje stevemo di casa in un basso con il mezzanino, dentro il palazzo d'o Furno d'o ppane, a nummero 23. Nel basso di fronte e al nostro ci stava quello delle bambole. La mattina appena si svegliavano erano tutti mascule cu 'a barba e a sera e a notte addivintavanmo tutte femmene. Tenevano anche delle bambole in mezzo a letto. Era tutto nu mistero, na cosa curiosa, però quanno le bambole parlavano ridevano tutti quelli del palazzo.

Quando era 'na bella jurnata nel cortile era accussì bello, ca me sentevo 'e svenì p'a cuntentezza, jevemo a ffà 'o viento 'e terra.

Quando mia sorella Tellina d'o mar mi accompagnò a scuola io, sputavo e bestemmiavo Dio, la Madonna e tutti i santi e piangevo come un bambino di tre anni. Se ci penso me metto scuorno. Verso le dieci ci diedero la cotognata e il panino. io mi mangiai tutto. Quando suonò la campanella dissero che potevamo tornare a casa.

Quando tornai a casa il palazo a nummero 23 stava tutto scamazzato a terra e c'erano rovine e pietre e polvere da tutte le parti. da quel momento

addivintaje 'o Jatto servatico e a scola non ci andai mai più. a scrivere

(2)

Filomena la figlia del fruttivendolo a nummero 70 o Reginella ''a 'nnamuratella mia del banco a fianco 'e chillu tiempo.

Nun aggio mai chiagnuto annanzo 'a gente. sultanto 'a notte m'abbraccio e me vaso 'e llacreme.

(3)

Solo una canzone il dettaglio in una lingua che non conosco

(Procul Harum A Whiter Shade Of Pale - 1967)

Sai, mi emoziono come un pesce di cannuccia, addirittura fino alle lacrime.

Adesso le nascondo a mia figlia che entra per andare nel profilo di facebook,

e ascoltandola mi sanguina di nuovo il cuore, senza sapere dire il perché.

Erano le urla del '67, la semina del '68, ma io più che figlio dei signori dei piani alti vedo il vicolo crollare a poco alla volta

e gente che non ha una casa e niente da mangiare. riascolto, distrattamente, quella canzone, di cui

non so nemmeno il significato né una certa intonazione quando l'organo imprime il fiato

sulle labbra del tempo,

in me, si agita ancora il lustrascarpe,

nel bolgia della distruzione di corpi e sentimenti, tu, città di Bologna o i viali di Torino,

conosciuta sulle labbra di una tua figlia. Mi chiamo Giovanna, dicesti.

le stelle cadevano, l'Etna si contorceva, piangevi il tuo amore, ma io non seppi far altro che baciarti con gli occhi chiusi, mentre uno dei ragazzi disse il titolo di quella canzone. Ancora oggi non so dire perchè le lacrime

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