a cura di Giuliano Pinna Marco Grandi
LE SINDROMI CARDIORENALI CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA SINDROME CARDIORENALE DI TIPO II
Giorgio Vescovo
Giorgio Vescovo md phd fesc
Medicina Interna Ospedale S. Antonio Padova giorgio.vescovo@aulss6.veneto.it
Definizione
La sindrome cardiorenale è definita come un complesso disordine fisiopatologico che coinvolge cuore e reni, in cui la disfunzione acuta o cronica di uno dei due organi induce una disfunzione rispettivamente acuta o cronica nell’altro. Sebbene il concetto di sindrome cardiorenale si ritrovi per la prima volta in letteratura nel 1951, anno in cui Ledoux per primo descrisse l’induzione di danno renale ad opera della patologia cardiaca, fu solo una cinquantina di anni dopo che la sindrome ottenne il suo pieno riconoscimento ed una definizione universale; nel 2008 infatti, durante la conferenza di consenso promossa dall’ADQI (Acute Dialysis Quality Initiative) e tenutasi a Venezia, si procedette ad una caratterizzazione per ciò che riguarda definizione, classificazione, epidemiologia, criteri diagnostici, strategie di prevenzione e gestione/terapia della sindrome cardiorenale (1).
Il presupposto fondamentale, che rappresenta poi anche la giustificazione del riconoscimento di questa nuova entità, è l’esistenza di una interazione bidirezionale tra i due organi protagonisti della sindrome, cuore e rene. Il crosstalk cardiorenale, che fisiologicamente agisce allo scopo di consentire una fine regolazione e il conseguente mantenimento dell’omeostasi emodinamica e perfusoria, si presenta come un’arma a doppio taglio in condizioni patologiche:
l’azione sinergica dei mediatori coinvolti nell’interazione promuove, a partire dalla disfunzione di uno dei due organi, l’alterazione funzionale e/o strutturale dell’altro.
La coesistenza di patologia cardiaca e renale ha implicazioni molto importanti sia dal punto di vista prognostico, la morbilità e la mortalità aumentano nei soggetti affetti dalla sindrome cardiorenale, sia dal punto di vista terapeutico, con un aumento della complessità e dei costi delle cure (2).
Classificazione
Nel 2008, Ronco e colleghi hanno proposto una classificazione a tutt’oggi valida della sindrome cardiorenale, che si presenta così suddivisa in cinque sottotipi.
La suddivisione si basa sull’arco temporale in cui si svolge il processo patologico, acuzie o cronicità, e sull’organo che ne risulta primariamente colpito, cuore o rene. La tabella sottostante (Tabella 1) permette la visualizzazione di tale classificazione (3).
Tabella 1. Classificazione della sindrome cardiorenale. CRS= sindrome cardiorenale. Tabella modificata da (1)
Tipo Denominazione Descrizione
CRS tipo I Cardiorenale acuta Peggioramento acuto della funzionalità cardiaca che conduce ad insufficienza renale acuta
CRS tipo II Cardiorenale cronica Anormalità croniche della funzionalità cardiaca che causano insufficienza renale cronica progressiva e permanente
CRS tipo III Nefrocardiaca acuta Insufficienza renale acuta che porta a disfunzione cardiaca acuta
CRS tipo IV Nefrocardiaca cronica Insufficienza renale cronica che causa diminuzione della funzionalità cardiaca, ipertrofia cardiaca e/o aumentato rischio di eventi avversi cardiovascolari CRS tipo V Cardiorenale
secondaria
Patologia sistemica che causa contemporanea disfunzione cardiaca e renale
In particolare, la sindrome cardiorenale di tipo I si instaura nel momento in cui si ha un peggioramento acuto della funzionalità cardiaca, come nel caso di scompenso cardiaco acuto (AHF) o di sindrome coronarica acuta (ACS), la quale porta all’instaurarsi di un deterioramento acuto della funzionalità renale (Tabella 1, Figura 1).
La sindrome cardiorenale di tipo II si instaura, invece, in presenza di patologie che interessano il cuore in maniera cronica, quale sono lo scompenso cardiaco cronico (CHF), le patologie cardiache congenite, la fibrillazione atriale, la pericardite costrittiva, la cardiopatia ischemica cronica (Tabella 1. e Figura 1).
si ripercuote sul cuore determinandone una sua alterazione in acuto, come nel caso di scompenso cardiaco acuto (AHF), infarto miocardico (IMA) ed aritmie. Sotto la categoria di patologia renale acuta primaria sono ascrivibili tutte le principali cause di insufficienza renale acuta: da mezzo di contrasto (CI-‐AKI), farmaco indotte, dopo chirurgia maggiore non cardiaca, dopo chirurgia cardiaca maggiore, da glomerulonefriti post-‐infettive, rabdomiolisi e qualsiasi altra eziologia in grado di causare danno renale (Tabella 1, Figura 1).
La sindrome cardiorenale di tipo IV descrive la comparsa di disfunzione cardiaca
cronica (rimodellamento cardiaco, disfunzione diastolica ventricolare sinistra, ipertrofia ventricolare sinistra) o di un incremento del rischio di eventi avversi cardiovascolari (infarto miocardico, scompenso cardiaco, ictus) nel contesto di un paziente affetto da insufficienza renale cronica.
La sindrome cardiorenale di tipo V (non inclusa in Figura 1) si caratterizza per la presenza di una patologia sistemica, sia essa acuta o cronica, che determina simultaneamente una disfunzione sia a livello cardiaco che a livello renale. Il prototipo di questa sindrome si identifica nella sepsi (4).
Figura 1. Interrelazione fra rene e cuore nella classificazione delle sindromi cardiorenali. Figura modificata da (5).
La diagnosi di sindrome cardiorenale si basa sia su indagini di laboratorio sia su tecniche, come quelle ultrasonografiche, di diagnostica per immagini. Oltre ai consueti dosaggi dei parametri di funzionalità cardiaca e renale, diversi nuovi biomarcatori sono stati testati al fine di valutare il grado di funzionalità cardiaca e renale. L’utilizzo delle metodiche ecografiche ed ecocardiografie consente l’integrazione delle informazioni ottenute laboratoristicamente e offre una panoramica dello stato non solo funzionale, ma anche anatomico dei due organi coinvolti nella sindrome cardiorenale (5).
Nuovi biomarcatori di sindrome cardiorenale BNP e NT-‐proBNP
Il BNP è un peptide, sintetizzato e rilasciato dai cardiomiociti ventricolari, con funzione di diuresi e natriuresi pressoria. La sua produzione risponde allo stimolo di un eccessivo stiramento delle pareti cardiache, perciò la fase più prona al suo rilascio coincide sicuramente con la fase di massima distensione del tessuto miocardico, la telediastole. Dopo la sua emissione nel torrente circolatorio, il peptide natriuretico, legandosi ai suoi recettori naturali (NPR-‐A, NPR-‐C), genera la formazione di cGMP, il quale è in grado di dar vita agli effetti biologici di BNP. La fosfodiesterasi, in particolare la PDE5, termina poi il segnale grazie alla degradazione del GMP ciclico (5-‐6).
La misurazione del peptide natriuretico di tipo B nel sangue interessa entrambe le sue forme, il BNP, molecola biologicamente attiva, e l’NT-‐proBNP, precursore inattivo. BNP e NT-‐proBNP esercitano un ruolo diagnostico nel paziente con scompenso cardiaco acuto (ADHF) e prognostico nel paziente con scompenso cardiaco cronico, essendo predittori indipendenti della comparsa di eventi cardiovascolari e di mortalità nei pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico.
Nei pazienti con insufficienza renale, si è costatato un livello significativamente più elevato di peptide natriuretico di tipo B in confronto ai soggetti di pari età e genere (5).
Lo scompenso cardiaco cronico porta a cambiamenti dell’assetto fisiologico di questo peptide, a dispetto delle elevate concentrazioni che si osservano e che vengono ritenute peculiari di questa condizione patologica. Si rilevano, infatti, una diminuita presenza della forma attiva di BNP ed un’aumentata resistenza alla sua azione. Ecco, quindi, che si spiega il mis-‐match fra attività ormonale e livelli plasmatici, sulla base della singola considerazione che la misurazione laboratoristica del peptide spesso si basa su valori totali, impedendo il differenziamento tra la forma attiva e quella inattiva (5).
Focalizzando ora l’attenzione sul rene, è necessario ricordare come i livelli di BNP e NT-‐proBNP non solo siano elevati nei pazienti con insufficienza renale, pur questi essendo privi di scompenso, ma anche come esista un’associazione tra la concentrazione dell’ormone e la progressione della disfunzione renale verso l’end stage renal kidney disease (ESRD). Il principale meccanismo attribuito alla fluttuazione in positivo di questi valori è la diminuita clearance, nonostante si pensi partecipino anche diversi altri fattori minoritari (es. stress meccanico a seguito di ipertensione, ipertrofia ventricolare, ischemia subclinica, rimodellamento e fibrosi cardiaca) (5).
NGAL
La lipocalina associata alla gelatinasi dei neutrofili (NGAL) è una proteina di 25 k-‐Da, inizialmente identificata nei granuli dei neutrofili, coerentemente ad uno dei suoi ruoli che risulta essere quello di fattore antibatterico. È, inoltre, espressa a bassi livelli in vari altri tessuti tra cui reni, polmoni, stomaco e colon.
La presenza di NGAL, in quanto marcatore, viene misurata nel siero e nelle urine, dove normalmente la sua concentrazione risulta essere minore di 20 ng/ml. A livello renale, NGAL è filtrata liberamente dal glomerulo ed è quasi completamente riassorbita a livello del tubulo prossimale, salvo condizioni
patologiche che vadano a compromettere la funzione tubulare. In risposta al danno renale, la lipocalina2 viene trascritta causando un aumento dei suoi livelli urinari e sierici.
Spesso le concentrazioni urinarie e sieriche di NGAL differiscono e a tal ragione si è ipotizzato, secondo il modello Schmidtt-‐Ott, che l’NGAL urinario rifletta primariamente la produzione intrarenale da parte dell’ansa ascendente spessa di Henle e dai dotti collettori, mentre che l’NGAL sierico rifletta una sintesi di tipo extrarenale assieme ad una minima quota sintetizzata a livello renale.
NGAL è considerato uno dei marcatori più precoci di danno ischemico e nefrotossico in modelli animali ed è rilevabile nel sangue e nelle urine degli uomini subito dopo l’instaurarsi di insufficienza renale acuta. Una singola misurazione di NGAL è in grado di differenziare i soggetti affetti da insufficienza renale acuta con una sensibilità del 90% e una specificità del 99%, potendo quindi essere utilizzato come un marcatore precoce di danno renale in corso di scompenso cardiaco acuto. (5-‐12)
Cistatina C
La cistatina è un inibitore della cisteina proteasi, viene sintetizzata e rilasciata nel sangue a un ritmo costante da tutte le cellule nucleate. Giunta nel rene, viene liberamente filtrata dal glomerulo e successivamente riassorbita completamente a livello del tubulo prossimale. Non vi è attività di secrezione tubulare.
I suoi valori non sono influenzati da parametri quali età, genere, etnia e massa muscolare. Queste considerazioni rendono chiara la sua utilità come indicatore della funzionalità glomerulare nell’insufficienza renale, tanto che la cistatina plasmatica sembra essere un marcatore più sensibile di alterata GFR rispetto alla creatinina. Dal confronto tra i valori di cistatina e creatinina, infatti, è emerso come la tradizionale stima della GFR provocava una sottostima dei casi di disfunzione renale in corso di scompenso cardiaco quando paragonata alla stima della velocità di filtrazione glomerulare su base cistatinica.
In corso di insufficienza renale, l’escrezione urinaria di cistatina è in grado di predire la necessita di terapia renale sostitutiva prima della creatinina.
I valori di Cistatina C nel siero sono stati recentemente paragonati con i valori di NGAL, in casi di danno renale acuto conseguente ad intervento chirurgico cardiaco. Entrambi i biomarkers sono in grado di predire un danno renale acuto nelle dodici ore, ma NGAL sembra attualmente esprimere una predittività
migliore di danni precoci. (5,12-‐14)
KIM-‐1
KIM-‐1 (kidney injury molecule-‐1) è una glicoproteina di membrana di tipo I, la cui espressione risulta assente nel rene in condizioni fisiologiche. In seguito a danno tubulare, questa glicoproteina viene espressa sulla superficie delle cellule epiteliali prossimali rigeneranti e facilita la fagocitosi delle cellule apoptotiche tubulari vicine. Il rilascio, conseguente a clivaggio, del suo ectodominio, ne consente il dosaggio nelle urine e l’utilizzo come marcatore.
Nei pazienti con scompenso cardiaco, KIM-‐1 è stato dimostrato possedere livelli significativamente più alti rispetto ai controlli e correlare con la severità clinica, espressa secondo la NYHA, e con i valori di peptide natriuretico atriale. Inoltre, l’andamento urinario di questa proteina viene influenzato dalla terapia diuretica al pari di NAG, differendo da quest’ultima solo per il maggior grado e rapidità delle fluttuazioni. È interessante notare come, al fluttuare dei valori di KIM, la creatinina sierica rimanga pressoché invariata. Nessuna correlazione è stata, invece, riscontrata con la eGFR, l’escrezione urinaria di albumina o altri marker di danno tubulare: nonostante si ritrovino elevati livelli di KIM-‐1 nei pazienti affetti da insufficienza renale cronica, non è quindi garantita la sua presenza nei soggetti
affetti da scompenso cardiaco e con un dosaggio elevato di questo marcatore.
Inoltre, KIM-‐1 sembra rappresentare un biomarker addizionale molto interessante nel caso di insufficienza renale acuta, soprattutto nella sua forma ischemica o nefrotossica. In corso di insufficienza renale acuta, l’associazione di KIM-‐1 come marcatore aggiunge specificità all’alta sensibilità dimostrata da NGAL. (5,12,15-‐18)
NAG
La N-‐acetil-‐b-‐glucosaminidasi (NAG) è un enzima lisosomiale dell’orletto a spazzola delle cellule epiteliali del tubulo prossimale. Normalmente non rilevabile nelle urine.
NAG è una proteina particolarmente grande (> 130 kDa) e perciò non filtrata dalla membrana glomerulare. L’innalzamento del suo valore segnala la presenza di danno renale, con la particolarità di riflettere l’entità del danno tubulare.
Elevati livelli di N-‐acetil-‐glucosaminidasi si riscontrano non solo in caso di insufficienza renale acuta e cronica, ma anche in corso di diabete, ipertensione essenziale e scompenso cardiaco cronico.
Ritroviamo elevati livelli di NAG urinario sia nei pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico che nei pazienti affetti da insufficienza renale cronica.
L’incremento di NAG, sebbene risulti più elevato nei pazienti che presentano concomitante scompenso cardiaco cronico ed insufficienza renale cronica, è possibile anche nei soggetti affetti da scompenso e con assenza di alterazioni renali. Nei pazienti con scompenso cardiaco, l’enzima correla con la severità clinica dello scompenso, con i livelli di BNP e NT-‐proBNP e con la risposta ai diuretici. (5,12,15-‐19)
Interleuchina 18 (IL-‐18)
L’interleuchina 18 (IL-‐18) è una citochina pro-‐infiammatoria che si riscontra nelle urine di pazienti con danno acuto ischemico dei tubuli renali prossimali.
La determinazione dei livelli di IL-‐18 ha una sensibilità ed una specificità, che nei casi di danno renale acuto ischemico è maggiore del 90%. È stato dimostrato che i livelli di IL-‐18 si innalzano 48 ore prima dei livelli di creatinina sierica.
IL-‐18 ed NGAL sono, fra l’altro, due marcatori che sono stati studiati come marcatori “tandem” nella prevenzione del rigetto di trapianto renale. (5,20-‐23).
Sindrome cardiorenale di tipo II (CRSII)
La SCR di tipo 2 si caratterizza per la presenza di disfunzione cardiaca cronica che, con tempistica inter-‐individuale assolutamente variabile, conducono ad un deficit della funzione renale.
Dati presenti in letteratura da un lato evidenziano come l’interessamento cardiaco e quello renale spesso coesistano, dall’altro, attraverso elementi provenienti da studi di coorte, ci dicono come una delle due patologie chiaramente preceda l’altra (24-‐25). Risulta davvero complicato stabilire con precisione quale delle due patologie sia quella primitiva; un grado variabile di malattia renale cronica è stato documentato in una percentuale variabile dal 45 al 63% dei pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico, (24-‐25-‐26) ma non è facile classificare questa tipologia di pazienti che spesso partono da una condizione clinica assimilabile alla SCR di tipo 1 ovvero possono confondersi con coloro i quali presentano una SCR di tipo 4 (di tipo cronico, nefrocardiaca) (4).
Fisiopatologia
La fisiopatologia della sindrome cardiorenale di tipo due riconosce come principali elementi determinanti i fattori emodinamici (ipoperfusione renale, congestione venosa), l’attivazione neuro-‐
ormonale (sistema nervoso simpatico, sistema renina-‐angiotensina-‐aldosterone), l’infiammazione e lo stress ossidativo.
Indipendentemente dagli elementi causali appena elencati, episodi multipli di scompenso acuto cardiaco o renale contribuiscono al progressivo avanzare del danno d’organo.
Nel caso in cui lo scompenso cardiaco si caratterizzi per una ridotta frazione di eiezione, l’ipoperfusione sistemica che ne consegue e che interessa perciò anche l’organo emuntore, sarà di stimolo per l’attivazione del sistema nervoso simpatico e del sistema renina-‐angiotensina-‐ aldosterone. Similmente i meccanismi neurormonali si ritroveranno in azione anche in corso di uno scompenso che determini congestione e ipertensione venosa, riflettendosi così anche a livello renale (19). In particolare, in questo secondo caso, lo stimolo all’attivazione neuro-‐ormonale si presenterà sotto forma di due stimoli principali e, di fatto, collegati fra loro: la riduzione del gradiente pressorio arterovenoso renale e l’aumento della pressione interstiziale. La riduzione del gradiente pressorio arterovenoso renale porta a diminuzione del flusso sanguigno renale e del gradiente transglomerulare, instaurando una condizione di ischemia locale. L’aumento della pressione interstiziale si verifica poiché l’incremento della pressione a livello renale determina un effetto congestizio del parenchima, renale stesso, caratterizzato da una capsula inestensibile. Ne deriva, al raggiungimento della massima espansione capsulare, un incremento della pressione renale interstiziale con ripercussioni sia sul letto capillare che sulla porzione tubulare in un contesto di ischemia locale già istauratasi. La compressione tubulare, a sua volta, causa un incremento della pressione intraluminale, che porta ad un nuovo aggravio del gradiente transglomerulare e della filtrazione glomerulare. La riduzione del flusso renale, del gradiente transglomerulare e della filtrazione glomerulare risultano essere
stimoli sufficienti per la messa in moto di meccanismi di compenso (27).
A seguito dell’attivazione del sistema renina-‐angiotensina-‐aldosterone, la formazione di grandi quantità di angiotensina II promuove un aumento della sua attività mediata principalmente dal recettore AT1R. Ne conseguono aumento della resistenza vascolare sistemica dovuto al suo effetto vasocostrittore sulle arterie, aumento del tono venoso con congestione ed una potente stimolazione del centro della sete. Inoltre, a livello renale l’azione vasocostrittiva si verifica soprattutto a livello dell’arteriola efferente con aumento della frazione di filtrazione che, se da un lato consente di sopperire alla diminuzione di flusso sanguigno mantenendo una velocità di filtrazione glomerulare costante, dall’altro causa un incremento della pressione oncotica dei capillari peritubulari favorendo e intensificando il processo di riassorbimento di sodio ed acqua dal lume tubulare ai capillari peritubulari.
Lo stress ossidativo si è visto essere un ulteriore elemento di deterioramento della funzionalità renale: la NADPH ossidasi viene attivata a livello renale dall’incremento locale di angiotensina II con produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) che andranno a produrre danno podocitario e albuminuria.
Più a valle, l’aldosterone, rilasciato dalle surrenali ad opera dell’angiotensina II, contribuisce al sovraccarico di volume agendo in maniera specifica sul tubulo distale dove stimola il riassorbimento di sodio. Inoltre, l’aldosterone viene ritenuto responsabile anche della fibrosi renale e del progressivo deterioramento della funzione renale che questa comporta. L’aumento renale di quest’ormone induce sia stress ossidativo che, per mezzo della via di signaling della galectina-‐3, una proteina che upregola la citochina TGF-‐β con successivo aumento della produzione di fibronectina ed esito finale in glomerulosclerosi e fibrosi renale.
Infine, ben riconosciuto è lo stato infiammatorio che caratterizza lo stato e la severità dello scompenso cardiaco come testimoniato dal riscontro di elevati livelli plasmatici di TNF-‐α, recettore
solubile di TNF-‐α ed una serie di interleuchine quali IL-‐1β, IL-‐18, IL-‐6. La genesi del processo flogistico è multifattoriale con partecipazione sia dei cardiomiociti che della congestizione quando presente. I miociti sono in grado di secernere citochine quando sottoposti a stress da eccessivo stiramento meccanico o sotto danno ischemico. La congestione, invece, è in grado di indurre infiammazione sia in maniera diretta, stimolando la sintesi e il rilascio periferico di citochine, che mediante il riassorbimento intestinale di endotossina che ha così modo di raggiungere il circolo (15). A livello renale, l’infiammazione promuove l’attivazione endoteliale che esita in un processo di degradazione del glicocalice. L’alterazione della barriera glomerulare che ne deriva permette il passaggio di albumina nello spazio subendoteliale, dove reagisce con i tipi cellulari ivi presenti. Podociti, epitelio parietale e cellule tubulari in seguito all’incontro e all’uptake di albumina andranno incontro all’attivazione di vie di signaling che porteranno alla produzione citochinica e/o all’apoptosi. In particolare, le cellule parietali attivate produrrano TGF-‐β e saranno coinvolte nel processo di fibrosi tubulointerstiziale (1-‐28).
Diagnosi
La definizione di sindrome cardiorenale di tipo II prende in considerazione, come disordine primario, la presenza di ‘disfunzione cardiaca cronica e, come elemento secondario, la presenza di ‘insufficienza renale cronica’.
La diagnosi di tale condizione, ad esclusione del disordine renale definito sulla base di criteri fissi ( KDIGO 2012), dovrà perciò, di volta in volta, prevedere una caratterizzazione che si associ al differente scenario cardiaco che il paziente potrà presentare. Le principali alterazioni patologiche iscritte sotto la dicitura di ‘disfunzione cardiaca cronica’ sono lo scompenso cardiaco cronico, le cardiopatie congenite, la fibrillazione atriale, la pericardite costrittiva e la cardiopatia ischemica cronica (4).
Prendendo in esame la condizione più frequente fra quelle elencate, ovvero lo scompenso cardiaco cronico stabile, la diagnosi di sindrome cardiorenale di tipo II viene effettuata nel momento in cui vengano rispettati entrambi i seguenti criteri:
-‐ La coesistenza, nello stesso paziente, di scompenso cardiaco cronico e insufficienza renale cronica -‐ La presenza di una relazione causale tra lo scompenso cardiaco cronico e l’insorgenza ‘de novo’ o la progressione di insufficienza renale cronica
Il secondo criterio, a sua volta, necessita di un’associazione temporale, per cui la presenza di scompenso cardiaco, documentata o presunta, precede temporalmente l’alterazione a livello renale, e di un’associazione fisiopatologica, per cui il grado di disfunzione renale appare coerente con la severità del disordine cardiaco (Figura 2) (15-‐29).
Figura 2. Diagnosi sindrome cardiorenale di tipo II. HFrEF= heart failure
with reduced ejection fraction. HFrmEF= heart failure with mid-‐range ejection fraction. HFpEF= heart failure with preserved ejection fraction. LVEF= left ventricular ejection fraction. BNP= B-‐type natriuretic peptide. GFR= glomerular filtration rate. CKD insufficienza renale cronica. Modificata da (15).
Tradizionalmente, la valutazione della disfunzione renale nei pazienti con scompenso cardiaco è sempre stata affidata a marcatori dal ruolo ben consolidato, rappresentati da creatinina sierica (e conseguente stima della velocità di filtrazione glomerulare) e dalla concentrazione urinaria di albumina. In questi pazienti, la diminuzione della velocità di filtrazione glomerulare e/o l’aumento dell’albuminuria rappresentano fattori prognostici indipendenti. Entrambi risultano associati ad un aumentato rischio di ospedalizzazione e di mortalità, sia generale che per cause cardiovascolari. Sebbene in corso di insufficienza renale velocità di filtrazione glomerulare e albuminuria abbiano dimostrato potenzialità prognostica per quanto riguarda gli out-‐comes renali nel lungo termine, ciò non risulta essere altrettanto valido per coloro i quali si presentino affetti da scompenso cardiaco.
Nuovi biomarcatori
A partire da tale mancanza, è stata quindi promossa la ricerca di nuovi marcatori nel contesto della patologia cardiaca cronica. Lo studio di cistatina C, NGAL, KIM-‐1 e NAG (30-‐31-‐32) ha dimostrato un aumento moderato dei loro livelli in corso di scompenso cardiaco, indipendentemente dalla funzionalità renale. Si è inoltre evidenziato un loro ruolo come indicatori prognostici di outcomes cardiovascolari, mentre non è stata valutato il loro ruolo come predittori di outcomes renali.
I livelli plasmatici di cistatina C, considerati un marcatore di alterata velocità di filtrazione glomerulare più sensibile della creatinina, si sono rivelati essere predittori indipendenti di ospedalizzazione per scompenso cardiaco, trapianto cardiaco e morte. La cistatina inoltre correla con i livelli di NT-‐proBNP e con il grado di disfunzione diastolica. Studi riguardanti i livelli di cistatina C sono, al momento, mancanti. (15,31,32).
Studi su tessuto animale ed umano hanno dimostrato che NGAL è altamente espresso in corso di scompenso cardiaco, miocarditi e a livello delle placche aterosclerotiche. I livelli sierici e urinari di NGAL correlano con la frazione di filtrazione glomerulare per quanto riguarda gli indici di funzionalità renale e con i marcatori clinici e biochimici di severità dello scompenso cardiaco. I livelli di NGAL sistemico sono correlati con un aumentato tasso di ospedalizzazione per scompenso cardiaco e di aumento della mortalità (33).
I livelli urinari di KIM-‐1 si presentano elevati in pazienti affetti da scompenso cardiaco sintomatico. I livelli di KIM-‐1 e NAG correlano con la severità dell’interessamento cardiaco e sono predittori di ospedalizzazione per scompenso cardiaco e di mortalità (34). Un’analisi multivariata, GISSI-‐HF trial, ha dimostrato che fra i pazienti con scompenso che andavano incontro a ospedalizzazione per scompenso cardiaco o morte l’associazione più stretta è stata vista con NAG urinario (15).
Diagnostica per immagini
L’utilizzo della strumentazione ecografica in corso di sindrome cardiorenale di tipo II permette l’indagine e il riscontro dei classici reperti di nefropatia cronica:
riduzione dello spessore corticale, riduzione del rapporto corticale-‐midollare ed incremento dell’ecogenicità del parenchima (35).
La valutazione ecocardiografica consente di apprezzare diversi parametri: la diminuzione della frazione di eiezione, quando presente, l’aumento di dimensionale delle camere atriali, in corso di sovraccarico di volume, la possibile dilatazione delle sezioni cardiache di destra accompagnata dalla riduzione di compliance dello stesso ventricolo. Frequente è, inoltre, il riscontro di versamento pericardico e di patologia valvolare, soprattutto di natura calcifica e spesso associata ad iperparatiroidismo (35).
Epidemiologia
La sindrome cardiorenale di tipo II è una patologia estremamente comune nella popolazione, frequentemente infatti problemi cardiaci cronici e insufficienza renale cronica coesistono.
Sono stati effettuati diversi studi a carattere epidemiologico al fine di comprendere l’eterogeneità di patologie che si riscontra sotto l’espressione di “disfunzioni croniche cardiache”. Tuttavia, un problema è sempre rimasto costante ovvero la difficoltà, che si riscontra soprattutto con gli studi di tipo retrospettivo, di inquadrare l’organo primariamente affetto da patologia (inserendo quindi il paziente nel contesto cardiorenale oppure nefrocardiaco).
Pertanto, spesso, si è concessa la licenza di classificare il paziente come appartenente al “tipo II/IV”. L’insufficienza renale cronica è stata dimostrata essere presente nel 45-‐63% dei soggetti affetti da CHF. I dati ottenuti rispecchiano i valori di due studi differenti, il primo effettuato valutando i pazienti ammessi al ricovero per scompenso cardiaco acuto (ADHERE study) ed il secondo esaminando pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico in regime di controllo ambulatoriale (DIG trial).
Nello studio ADHERE, la malattia renale cronica era presente nel 63% dei pazienti (di cui 43% con disfunzione moderata, 31% con disfunzione severa, 7% con GFR<15 ml/min/m2) e il suo grado correlava progressivamente con il peggiorare dell’outcome clinico (misurato come amissione per ictus, ventilazione meccanica, durata del ricovero e mortalità intraospedaliera); il DIG trial presentava invece una percentuale di soggetti affetti inferiore e attestantesi attorno al 45% ed un aumentato rischio di ospedalizzazione e mortalità degli stessi.
Sempre in quest’ultimo studio, è stato inoltre individuato un gradiente dose-‐risposta fra il valore della GFR e l’aumento del rischio di ospedalizzazione e morte.
I difetti cardiaci congeniti costituiscono un’altra parte, sebbene di minor importanza in termini di prevalenza, della SCR tipo II. I soggetti con congenital heart disease che giunti all’età adulta sviluppano disfunzione renale (detta, nello specifico, “nefropatia cianotica”) sono più del 50%, ma solo il 9% di essi esibisce una GFR < 60 ml/min/1,73m2 e rientra pertanto nei criteri KDOQI per CKD. Quest’ultimo gruppo è caratterizzato da una mortalità tre volte superiore rispetto a coloro la cui GFR si trova nel range normale. I difetti cardiaci congeniti più frequentemente implicati nella nefropatia cianotica sono quelli complessi, con particolare rilevanza del difetto di Eisenmerger, il quale mostra i più bassi valori di GFR e la più altra prevalenza di CKD moderata-‐severa (18%) (4).
Studi clinici
Uno studio autoptico, condotto su otto pazienti in cui scompenso cardiaco ed insufficienza renale cronica coesistevano, ha rilevato la presenza all’istologia di fibrosi interstiziale, cellule CD68 positive e di marcatori di stress ossidativo (Rac1, nitrosilazione delle proteine). In alcuni reperti, i capillari peritubulari erano dilatati, coerentemente all’ipotesi patogenetica congestizia.
Ulteriori indagini hanno mostrato come l’aumento della pressione venosa centrale o della pressione atriale destra si associ con l’alterazione della funzionalità renale e correli indipendentemente con la mortalità generale. L’associazione con l’ipoperfusione rende questa relazione più pronunciata.
I trial clinici riguardo la sindrome cardiorenale di tipo II risultano piuttosto insufficienti, dal momento che la maggior parte degli studi effettuati in pazienti con scompenso cardiaco cronico presentavano come caratteristico criterio di esclusione l’alterata funzionalità renale. Le categorie di farmaci saggiate includono bloccanti del sistema renina-‐angiotesina-‐aldosterone, antagonisti dell’aldosterone, b-‐ bloccanti ed antinfiammatori. Ace-‐inibitori, ARBs, b-‐bloccanti e antiinfiammatori non hanno mostrato beneficio nei pazienti affetti da sindrome cardiorenale di tipo II. Gli antagonisti del recettore dell’aldosterone, invece, hanno portato ad un significativo aumento in termini di ospedalizzazione e sopravvivenza. L’osservazione che questi farmaci siano in grado di ridurre i marcatori della sintesi del
collagene suggerisce che abbiano un effetto antifibrotico. Infine, la risincronizzazione cardiaca e i dispositivi di assistenza ventricolare sinistra si sono dimostrati efficaci nel migliorare l’ipoperfusione in corso di scompenso cardiaco (15).
Modelli animali
Tabella 2 Modelli animali per lo studio della sindrome cardiorenale di tipo
secondo. RAAS= sistema renina-‐angiotensina-‐aldosterone. SNS= sistema nervoso simpatico. RVHF= right ventricular heart failure. IPT= ipertensione. ACE-‐I= ace
inibitore. PMN= polimorfonucleati. Modificata da (15).
La tabella 2 illustra i più importanti modelli animali studiati al fine di ricostruire la fisiopatologia della sindrome cardiorenale di tipo II (15).
Uno dei modelli sperimentali più interessanti è stato pubblicato nel 2015 dal nostro gruppo ed è rappresentato da una condizione di scompenso cardiaco cronico che giunge a condizionare la normale funzionalità renale. La monocrotalina causa lo sviluppo di ipertensione polmonare nel ratto, presupposto fondamentale per l’insorgenza di scompenso ventricolare destro. L’osservazione dei segni di congestione (versamento pleurico, pericardico, peritoneale), la stima degli indici di ipertrofia e di dilatazione del ventricolo destro e la misurazione dei livelli plasmatici di BNP hanno permesso di confermare la diagnosi di scompenso cardiaco destro.
Gli autori dimostrano come tre settimane più tardi, la creatinina e l’NGAL sierico manifestino valori compatibili con la diagnosi di insufficienza renale cronica, permettendo di inquadrare la totalità del quadro patologico come sindrome cardiorenale di tipo II. Al fine di escludere ogni possibile fattore confondente che potesse rappresentare causa alternativa di danno renale, in particolare la tossicità dovuta a monocrotalina, nei ratti con indici di ipertrofia e di dilatazione non alterati, si è appurata l’assenza danno renale.
Attraverso la valutazione istopatologica dei tessuti, nei ratti trattati con monocrotalina, si è evidenziato un aumento marcato di apoptosi sia a livello renale che a livello cardiaco. Una prima interpretazione ci ha portato a considerare la presenza di morte cellulare programmata come unico risultato dello stato infiammatorio precedentemente rilevato e confermato dal profilo fitochimico stabilendo così un rapporto causale fra infiammazione ed apoptosi. Tuttavia il riscontro nel rene, coerentemente con il rialzo di NGAL tissutale e plasmatico, di un danno preferenzialmente tubulare e di un’assenza di infiltrato infiammatorio e fibrosi tissutale, hanno fatto supporre l’esistenza di un meccanismo patogenetico alternativo: verosimile appare essere il ruolo dell’ipertensione venosa renale nel causare danno tubulare e conseguente rilascio di NGAL. La chiave interpretativa finale del fenomeno sembra stare nell’integrazione delle due ipotesi precedentemente formulate, dove la congestione diventa elemento causante apoptosi tramite il suo effetto ipertensivo e tramite il rilascio di citochine indotto da attivazione endoteliale.
NGAL, come dimostrato dai risultati ottenuti, avvalora la sua posizione come marcatore precoce di danno renale, manifestandosi in anticipo sulla comparsa della creatinina nel torrente circolatorio. Accanto al ruolo come marcatore, si ritrova anche implicato come protagonista nella perpetuazione del danno. Infatti, il rilascio dai tubuli della proteina stessa, le consente di complessarsi con il suo recettore specifico, MMP9, una metalloproteinasi presente a livello cardiaco e renale. Il legame tra NGAL e MMP9 protegge quest’ultima dalla degradazione e concede l’intensificarsi della sua azione, che consiste in un aumento della degradazione del collagene che agisce negativamente sul rimodellamento cardiaco (Figura 3).
Riassumendo, l’ipertensione renale provocata dallo scompenso ventricolare destro dà luogo a danno tubulare con consequenziale rilascio del marcatore NGAL.
NGAL tramite la formazione del complesso MMP9 regola negativamente il rimodellamento cardiaco (Figura 3) (36).
Figura 3. Ruolo della congestione nella patogenesi della sindrome cardiorenale di tipo II. Figura modificata da (36)
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