...1
1.RIASSUNTO ANALITICO ...2
1.1 INTRODUZIONE... 2
1.2 SCOPO DELLA TESI... 4
1.3 MATERIALI E METODI... 4
1.4 RISULTATI... 6
1.5 DISCUSSIONE... 7
1.6 CONCLUSIONI... 8
2.INTRODUZIONE ...9
2.1 CANCRO DEL COLON – RETTO : EPIDEMIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO... 9
2.2 LA SEQUENZA ADENOMA – CARCINOMA... 18
2.3 LO SCREENING... 20
2.4 I TOMOGRAFI COMPUTERIZZATI DI ULTIMA GENERAZIONE... 29
2.5 GRANDEZZE DOSIMETRICHE ... 32
2.6 RIFERIMENTI NORMATIVI SULLA DOSE IN RADIOLOGIA... 37
2.7 OTTIMIZZAZIONE DELLA DOSE IN TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA... 41
2.8 PARAMETRI TECNICI E DOSE ASSORBITA IN COLONSCOPIA VIRTUALE... 57
3. SCOPO DELLA TESI ...69
4. MATERIALI E METODI ...70 4.1 IL NOSTRO STUDIO... 70 4.2 RISULTATI... 85 5. DISCUSSIONE ...88 6. CONCLUSIONI ...95 7. BIBLIOGRAFIA ...97
1.Riassunto analitico
1.1 Introduzione
Il cancro del colon-retto è la terza neoplasia per incidenza e mortalità nel mondo e la seconda causa di morte oncologica nei paesi industrializzati. Il precursore della neoplasia è il polipo adenomatoso, che può essere individuato precocemente dalle tecniche di screening interrompendo così la sequenza adenoma-carcinoma.
La colonscopia virtuale (o Computer tomography colonography, CTC) è stata recentemente inserita dall’American Cancer Society tra le metodiche di screening per il carcinoma colorettale, ampliando così le proposte offerte alla popolazione in tale ambito.
In un contesto di prevenzione è particolarmente cruciale mantenere la dose assorbita dal paziente ai livelli più bassi possibili.
Peraltro l’ottimizzazione della dose è un principio guida della moderna radiologia, e in particolare della tomografia computerizzata, dal momento che negli ultimi anni si è registrato in tutto il mondo un sensibile aumento della dose collettiva, in gran parte dovuto proprio all’aumento del numero di esami TC eseguiti.
La dose assorbita è il rapporto tra l’energia ceduta dE dalla radiazione in un volumetto di massa dm e dm (D=dE/dm) e fornisce un mezzo per stimare il potenziale per effetti biologici, la sua unità di misura è il Gray (Gy) , oppure il Sievert (Sv) . Altre due grandezze dosimetriche, peculiari della TC, sono il CTDI (computed tomography dose index) e il Prodotto Dose Lunghezza (DLP).
I parametri di scansione principali che incidono sulla dose di radiazioni in TC sono corrente e voltaggio del tubo, modalità e lunghezza della scansione, collimazione del fascio radiante, velocità di rotazione del gantry e di spostamento del lettino porta paziente.
La modulazione automatica della corrente del tubo è una recente strategia per ottimizzare la dose al paziente che prevede di adattare la corrente del tubo radiogeno in base alle caratteristiche fisiche del soggetto e, nello stesso individuo, a seconda del distretto anatomico in studio.
In colonscopia virtuale l’alto contrasto di densità naturalmente presente in un colon disteso all’interfaccia tra mucosa e aria permette un agevole impiego di protocolli a bassa dose, dal momento che anche una ridotta qualità d’immagine non compromette l’individuazione di eventuali lesioni parietali.
1.2 Scopo della tesi
Scopo della tesi è stato quello di valutare la dose assorbita dai pazienti che si sottopongono all'esame di colonscopia virtuale per screening.e confrontarla con la dose media assorbita in corso di un esame di clisma a doppio contrasto.
1.3 Materiali e metodi
Sono stati arruolati per lo studio 20 pazienti, di età media 55 anni, ugualmente distribuiti tra i due sessi. Per la preparazione intestinale i pazienti hanno assunto, nei tre giorni precedenti l'esame, PEG (Polietilenglicole, Macrogol 3350) a bassa concentrazione, e seguito una dieta priva di scorie. Per la marcatura dei fluidi, ai pazienti è stato somministrato, tre ore prima dell’esame, un mezzo di contrasto orale iodato ionico (Gastrografin).
Nel tentativo di minimizzare la peristalsi intestinale e lo spasmo colico è stato somministrato, in assenza di controindicazioni, un agente spasmolitico endovena appena prima dell’esame TC. Il colon veniva poi
insufflato con CO2 tramite un apposito dispositivo elettronico. Si
ottenevano quindi due acquisizioni delle immagini, prima con paziente in decubito supino, poi in decubito prono.
L'acquisizione è stata condotta con TC a 64 strati (LightSpeed VCT ; GE Healthcarte Technologies, Milwuakee, Wis).
Per la corrente del tubo sono stati utilizzati un protocollo a bassa dose con corrente fissa di 50 mA, oppure mediante un sistema di Automated Current Selection un protocollo che prevede la variazione della corrente tra 20 e 80 mA; solo in due casi sono stati utilizzati 80 mA a causa delle caratteristiche fisiche del paziente.
Tutte le immagini sono state trasferite alle workstation di refertazione che permettevano la visualizzazione 2D e 3D delle acquisizioni supina e prona, e l’esame è stato interpretato da un radiologo.
Dati e immagini degli esami selezionati sono stati esaminati da esperti di Fisica Sanitaria e Dosimetria Clinica che hanno determinato i parametri di lavoro adottati e poi utilizzato i dati di dosimetria su fantoccio in plastica per stimare la dose al paziente. Per stimare la dose effettiva ne sono stati calcolati i valori moltiplicando il DLP per l’appropriato coefficiente normalizzato delle linee-guida europee per la TC.
Per quanto riguarda il clisma doppio contrasto sono stati calcolati i valori medi di dose assorbita e la distribuzione di dose in un fantoccio di acqua equivalente a partire dai dati di lavoro in radiografia ed in radioscopia che caratterizzano un esame standard.
1.4 Risultati
Per la colonscopia virtuale si è ottenuto un CTDIw medio di 3,5 Gy mGy,
che è in correlazione lineare col valore di corrente impiegato, mentre il valore medio di dose assorbita è risultato 2,5 mSv. Per la stima di dose efficace per il clisma doppio contrasto si è ottenuto un valore di 4,12 mSv. La colonscopia virtuale a bassa dose comporta una significativa riduzione della dose al paziente, pari al 64%.
L’andamento temporale dei dati di dose media assorbita in corso di colonscopia virtuale (riferiti alla Radiologia Diagnostica e Interventistica dell'Università di Pisa) mostrano come siano stati perseguiti i principi di ottimizzazione e riduzione della dose. Si passa infatti, da valori medi di 8,1 mSv nel 2005, a valori medi di 3,3 mSv nel 2007, fino ai 2,5 mSv attuali con un valore medio riportato in ambito internazionale per i protocolli di screening in colonscopia virtuale pari a 5,7 mSv.
1.5 Discussione
Il valore di 2,5 mSv comporterebbe, facendo riferimento al rischio stimato dall’International Commission on radiological Protection, un
rischio dello 0,006% di sviluppare un cancro mortale in seguito all’esposizione a radiazioni all’età di 50 anni, e tale rischio diminuirebbe ulteriormente all’aumentare dell’età del paziente.
Anche il confronto con la dose media assorbita in corso di clisma doppio contrasto è particolarmente significativo. La colonscopia virtuale ha una maggior accuratezza diagnostica rispetto al clisma a DC nel riscontro di polipi e masse coliche, e inoltre fornisce informazioni sul comparto extracolico. La metodica peraltro è meglio tollerata rispetto al clisma.
1.6 Conclusioni
La limitazione della dose in colonscopia virtuale è un obiettivo oggi perseguito per mezzo di protocolli a bassa dose che comportano valori di dose assorbita dal paziente a rischio di eventi stocastici al limite del trascurabile. Gli innumerevoli vantaggi della colonscopia virtuale e i bassi valori di dose assorbita supportano l'uso di questa metodica nello screening del carcinoma del colon-retto.
Non è peraltro da escludere che ulteriori innovazioni e sperimentazioni abbattano ulteriormente la dose assorbita in corso di CTC
2.Introduzione
2.1 Cancro del colon – retto :
epidemiologia e fattori di rischio
Il carcinoma colorettale è la terza neoplasia per incidenza e mortalità nel mondo [1].
È più frequente nei paesi industrializzati, nei quali rappresenta la seconda causa di morte per tumore ed è una neoplasia di grande rilevanza sociosanitaria [2] [1].
Nel 2007 negli Stati Uniti si sono registrati 153.760 nuovi casi e 52.180 decessi dovuti a cancro colorettale [3], mentre le stime per il 2008 dell’American Cancer Society sono di circa 149.000 nuovi casi e 50.000 decessi.
Nell’Unione Europea si stima che vengano diagnosticati ogni anno circa 220.000 nuovi casi[4].
In Italia, nel quinquennio1998 – 2002 il tumore del colon retto è risultata la quarta neoplasia più frequente tra gli uomini ( 11,3 % del totale dei tumori) e la terza più frequente tra le donne (11,5 % del totale). Fra le cause di morte per tumore quello del colon retto risulta secondo, in ordine
di frequenza, sia fra gli uomini (10,4 % di tutti i decessi oncologici) che fra le donne (12,4 %). Nelle aree controllate dai registri tumori sono stati diagnosticati in media ogni anno 88,8 casi di tumore del colon-retto ogni 100.000 uomini e 70,3 casi ogni 100.000 donne.
Le stime per l’Italia indicano un totale di 20.457 nuovi casi diagnosticati fra i maschi ogni anno e 17.276 fra le femmine, mentre per quanto riguarda la mortalità nel 2002 si sono verificati 10.536 decessi per tumore del colon-retto fra i maschi e 9.529 fra le femmine. Nel nostro paese esiste una certa variabilità geografica nell’incidenza del tumore del colon-retto con tassi più bassi nell’Italia meridionale ed insulare [5].
In Italia si osserva un incremento dell’incidenza del tumore del colon-retto ma una riduzione della mortalità; questo grazie ai programmi di screening che permettono di riconoscere la patologia in fase precoce e alla crescente efficacia delle terapie mediche.[5].
La probabilità di sviluppare questa neoplasia aumenta dalla seconda alla nona decade di vita, è rara prima dei 40 anni, e la maggior parte dei casi sono diagnosticati dopo i 50 anni.
L’incidenza è leggermente superiore nel sesso maschile rispetto a quello femminile, specialmente per le forme a localizzazione rettale [6].
Figura 1: tassi standardizzati d’incidenza (x100.000) del CCR nei maschi in
Figura 2: tassi standardizzati d’incidenza (x100.000 ) del CCR nelle femmine in
Italia.
Nei paesi meno sviluppati i tumori del colon-retto hanno un’incidenza più bassa ma in costante aumento [1].
Nonostante l’eziologia del cancro del colon-retto sia tuttora sconosciuta, oggi grazie a studi epidemiologici, sono stati evidenziati fattori di rischio ambientali e genetici che predispongono all’insorgenza di questa neoplasia [3].
Tra i fattori ambientali risulta predisponente la dieta di tipo occidentale, caratterizzata da un’alimentazione povera di fibre e ricca di grassi.
La mortalità per carcinoma colon rettale è direttamente correlata al consumo pro capite di calorie, proteine della carne, grassi della dieta e ipercolesterolemia. Nelle popolazioni africane, dove si ha un elevato consumo di frutta e verdura, l’incidenza di questa neoplasia risulta molto più bassa. Si è inoltre osservato come le popolazione immigrate in paesi industrializzati tendono ad assumere gli stessi tassi di incidenza propri del paese ospitante, rafforzando così l’ipotesi che le differenze geografiche d’incidenza siano dovute non tanto a differenze genetiche quanto al tipo di dieta.
Per quanto concerne i fattori ereditari si è evidenziato come fino al 25 % dei pazienti con cancro del colon-retto presentano familiarità per tale neoplasia.
Una quota di questi pazienti è colpita da sindromi ereditarie ben caratterizzate geneticamente che si dividono in poliposiche e non poliposiche.
Poliposi familiare adenomatosa ( FAP ) : detta anche Poliposi familiare del colon, è una condizione rara, trasmessa con meccanismo autosomico dominante, caratterizzata dall’insorgenza di centinaia o migliaia di polipi adenomatosi nel grosso intestino. È associata ad una delezione nel braccio lungo del cromosoma 5 che contiene anche il gene oncosoppressore APC
(adenomatous polyposis coli ). Lo sviluppo del carcinoma avviene in pressoché tutti i pazienti prima dei 40 anni.
Oltre alla forma classica, in cui i pazienti sviluppano tipicamente dai 500 ai 2500 adenomi del colon, esiste una FAP attenuata, in cui i pazienti tendono ad avere un minor numero di polipi ( in media 30 ) situati prevalentemente nel colon prossimale.
I pazienti con Sindrome di Gardner presentano, oltre ad una poliposi intestinale identica alla FAP classica, numerosi osteomi, cisti epidermiche e fibromatosi, carcinomi tiroidei e duodenali.
La Sindrome di Turcot è una rara sindrome caratterizzata dall’associazione di poliposi adenomatosa del colon e tumori del sistema nervoso centrale (medulloblastomi,glioblastomi) [3] [7].
Cancro ereditario del colon non polipoide ( HNPCC ): Anche conosciuto col nome di Sindrome di Lynch è una sindrome ereditaria anch’essa trasmessa con meccanismo autosomico dominate. È associata a mutazioni nella linea germinale di numerosi geni, prevalentemente MSH2, MLH1, PMS, PMS2, che causano instabilità dei microsatelliti e compromissione del mismatch repair, che dà luogo a errori nella replicazione del DNA, instabilità del DNA, e conseguentemente crescita anomala cellulare e sviluppo di neoplasie.
Nelle pazienti è forte l’associazione con carcinomi dell’endometrio e dell’ovaio [8].
Per quanto riguarda il carcinoma del colon, nei pazienti con HNPCC si presenta ad un’età media inferiore ai 50 anni, 10-15 anni prima rispetto all’età media di sviluppo nella popolazione generale, inoltre è frequentemente a localizzazione cecale o del colon ascendente [3] [7].
-Malattie infiammatorie croniche intestinali ( MICI ) : il Carcinoma del colon-retto ha una più alta incidenza nei soggetti che soffrono di MICI, in particolare tra quelli che soffrono di Colite Ucerosa, nei quali il rischio assoluto aumenta dello 0,5 – 1 % all’anno dopo 10 anni di malattia, con cancro che si sviluppa nell’ 8 – 30 % dei pazienti dopo 25 anni.
Nei pazienti che presentano morbo di Crohn il rischio è estremamente più basso [3].
-
Altre condizioni a rischio
:Batteriemia da Streptococcus Bovis: per ragioni sconosciute gli individui che sviluppano endocardite o setticemia ad opera di questo batterio fecale hanno una più alta incidenza di carcinoma colorettale [3].
Fumo di Tabacco: il fumo di sigaretta si associa allo sviluppo di adenomi colorettali, in particolare dopo 35 anni di esposizione [3].
Abuso alcolico: in parte potrebbe essere spiegato dal fatto che i forti bevitori avrebbero una bassa concentrazione di acido folico [9].
Bisogna precisare che nonostante i numerosi fattori di rischio che predispongono l’insorgenza del cancro del colon-retto, la maggior parte dei soggetti (circa il 75%) che sviluppano questa neoplasia non presentano fattori di rischio specifici[10].
Distingueremo così nella popolazione soggetti con rischio medio (età superiore a 50 anni, nessun fattore di rischio personale e assenza di storia familiare ), e soggetti con rischio aumentato od alto (storia personale di CCR o di polipi adenomatosi, storia personale di malattie infiammatorie croniche intestinali, anamnesi familiare positiva per tale neoplasia o polipi , sindromi ereditarie).
2.2 La sequenza adenoma –
carcinoma
L’insorgenza dei carcinomi colorettali è causata da una ben definita concatenazione di alterazioni genetiche, il cui corrispettivo anatomo-patologico è la sequenza adenoma-carcinoma, che è il razionale alla base dell’impiego delle metodiche di screening, ed è documentata da molteplici osservazioni [7]:
-Popolazioni con un’alta prevalenza di adenomi hanno un’alta prevalenza di carcinomi colorettali e viceversa.
-La distribuzione topografica degli adenomi colorettali ricalca all’incirca quella dei carcinomi.
-Il picco di incidenza dei polipi adenomatosi precede di alcuni anni quello del CCR.
-Quando si identifica un carcinoma invasivo in uno stadio precoce, è spesso presente tessuto adenomatoso circostante.
-Il rischio di carcinoma è direttamente proporzionale al numero di adenomi presenti e la sostanziale certezza di sviluppare un carcinoma dei pazienti con poliposi familiare altro non è che l’applicazione di questa regola in casi estremi.
-I programmi di follow-up per l’identificazione di adenomi, con escissione delle lesioni sospette, riducono l’incidenza del CCR.
In particolare i polipi più a rischio di cancerizzazione sono quelli che presentano istotipo villoso, di grandi dimensioni (>2 cm), e morfologicamente di aspetto sessile.
Il tempo di progressione da polipo adenomatoso a carcinoma è stimato in circa10 anni.
Oltre il 90 % dei CCR origina dal precursore polipo adenomatoso [11], mentre una piccola quota di CCR origina senza evidenza di precursore
adenomatoso, suggerendo che alcune lesioni possano andare incontro a trasformazione maligna senza attraversare una fase polipoide.
Dal punto di vista molecolare la cancerogenesi è caratterizzata dall’accumularsi di una serie di mutazioni successive in oncogeni e geni oncosoppressori che scatenano la sequenza adenoma-carcinoma a livello della mucosa colica. I geni più spesso coinvolti e più studiati sono APC, K-RAS, p53, SMAD2 e SMAD4, inoltre è stata identificata un’altra via di progressione caratterizzata da lesioni genetiche nei geni che riparano gli errori di allineamento (mismatch) del DNA , via che sarebbe implicata nel 10-15% dei carcinomi sporadici e nella HNPCC [7].
2.3 Lo Screening
La conoscenza degli eventi biologici sottesi allo sviluppo del CCR e il loro lento estrinsecarsi nel tempo rendono questo tumore ideale per l’attuazione di programmi di prevenzione secondaria.
Inoltre il CCR è una patologia frequente, ad elevata mortalità, per la quale,come già ricordato, sono individuabili condizioni a rischio e per la quale il trattamento delle forme precoci è più efficace di quelle avanzate. Per essere efficace,infatti, lo screening deve essere attuabile su un’ampia popolazione, sensibile e specifico, accettabile dal paziente; è fondamentale inoltre che per la diagnosi che ne deriva sia disponibile una
terapia efficace, infine deve essere conveniente in termini di costo-beneficio.
Possiamo dividere le metodiche ad oggi disponibili per la prevenzione secondaria del CCR , in base a quanto indicato dalle linee guida dell’American Cancer Society, in:
1) Test che individuano polipi e carcinomi:
-
Rettosigmoidoscopia flessibile (ogni 5 anni)-
Colonscopia (ogni 10 anni)-
Colonscopia virtuale (ogni 5 anni)-
Clisma opaco a doppio contrasto (ogni 5 anni)2) Test che possono diagnosticare carcinomi
-
Test del sangue occulto fecale (ogni anno)-
Test immunochimici fecali (ogni anno)-
Test del DNA nelle feci (intervallo incerto)È necessario specificare che i soggetti a rischio aumentato-alto devono sottoporsi a screening con maggiore frequenza in base al personale livello di rischio.
La colonscopia virtuale è stata recentemente inserita dall’American Cancer Society tra i test di screening routinari per il CCR, e ha compiuto il passaggio da tecnica sperimentale a tecnica universalmente riconosciuta come valida e accurata, seppur ancora poco diffusa.
In Italia i test di screening per il CCR più diffusi sono la rettosogmoidoscopia, la colonscopia tradizionale e il test del sangue occulto fecale.
Da quando, negli anni 90 il test della ricerca del sangue occulto fecale è stato introdotto nei protocolli di screening si è dimostrata una riduzione della mortalità per CCR , tuttavia i limiti pricipali sono rappresentati da un ampio numero di falsi positivi e da una scarsa sensibilità nell’identificazione dei polipi (10 % circa ), dal momento che il sanguinamento in questi ultimi è raro, mentre la sensibilità è elevata per l’identificazione di masse neoplastiche coliche ( diametro > 3 cm ) [12]. Emerge quindi la necessità di spostare il punto di osservazione più a monte lungo la sequenza adenoma-carcinoma, necessità soddisfatta dalla colonscopia (virtuale o tradizionale) e dalla rettosigmoidoscopia.
Il razionale della rettosigmoidoscopia, o colonscopia sinistra nei casi in cui si esplori anche il colon discendente, è dato dalla valutazione della percentuale di insorgenza del CCR nei diversi segmenti colici, dal momento che il CCR insorge a livello del retto-sigma nel 55 % dei casi, nel colon discendente nel 6%, nel trasverso nell’11%, e nel ceco- colon ascendente nel 22 % dei casi [7]. I limiti di questa tecnica sono
rappresentati dalla mancata esplorazione di tutto il colon, potendo così sfuggire all’indagine una parte considerevole di adenomi e carcinomi, inoltre si sta verificando, negli ultimi anni, un aumento delle forme a carico del colon prossimale, specialmente nei pazienti più anziani. Qualora venga riscontrata una massa, un’adenoma ad alto rischio, oppure un numero di polipi > 3 o un polipo ad istologia villosa con diametro > 1 cm la rettosigmoidoscopia deve essere seguita da una colonscopia totale [13].
La Colonscopia tradizionale rappresenta oggi la metodica d’elezione nello screening del CCR poiché consente l’identificazione della lesione con elevata sensibilità (intorno al 90-100% anche per polipi di piccole dimensioni) e con elevata specificità (scarso numero di falsi positivi). Inoltre, così come la rettosigmoidoscopia, questa tecnica non si limita alla diagnosi ma ha anche un potenziale terapeutico poiché può essere effettuata una polipectomia con ansa diatermica o pinza bioptica a caldo (hot biopsy) bonificando la lesione precancerosa, e permettendo l’esame bioptico. A sfavore di questa tecnica sono l’intolleranza del paziente, spesso per motivi anatomici che causano dolore alla progressione dello strumento endoscopico ( brevità dei mesi colici, presenza di un colon particolarmente convoluto) oppure per condizioni di steno-occlusione del lume a carattere neoplastico, infiammatorio o post-chirurgico, la necessità di una preparazione intestinale catartica, i costi elevati e l’invasività.
Inoltre la metodica non è completamente priva del rischio di complicanze gravi (perforazione, emorragia) [14].
Il clisma a doppio contrasto è spesso utilizzato nei casi in cui l’esame endoscopico tradizionale non consenta la completa visualizzazione del colon, specialmente per quanto riguarda il colon prossimale, ma esso presenta un’accuratezza diagnostica inferiore rispetto alla colonscopia tradizionale [12].
La colonscopia virtuale è una metodica che attraverso l’elaborazione dei dati forniti da una indagine con TC spirale da parte di un software dedicato consente di navigare virtualmente all’interno del colon del paziente. Tuttavia l’affidabilità della simulazione endoscopica dipende da una costante correlazione con le immagini originali di acquisizione in 2 dimensioni, ed il colon può essere valutato con svariate prospettive tridimensionali addizionali, come la dissezione virtuale, o la visualizzazione cubica. La simulazione endoscopica è quindi parte integrante di una metodica complessa che si avvale di molteplici elaborazioni da parte del software per la quale forse sarebbe più appropriato oggi parlare di studio TC-dedicato del colon o colongrafia TC (traduzione dall’inglese “Computer tomography colonography”o CTC ) [12] [15] [16].
La procedura prevede, previa un’accurata preparazione e distensione tramite anidride carbonica del colon, l’esecuzione di scansioni TC a livello addominale e successiva elaborazione computerizzata in 3D. Nella revisione sistematica e metanalisi pubblicata da Halligan e collaboratori nel 2005 sono stati inclusi 24 studi per un totale di 4.181 partecipanti, la sensibilità media della colonscopia virtuale per polipi di grandi dimensioni ( 1 cm o più ) è risultata del 93%, e la specificità media dell’ 86%. Per polipi grandi e medi (più grandi di 5 mm ) la sensibilità media è risultata dell’ 86% e la specificità media dell’ 86% . Per i polipi di tutte le dimensioni la sensibilità era compresa in un range del 45-97% e la specificità era tra il 26 e il 97%.
Per il carcinoma la sensibilità è stata stimata al 96% [17].
Un’altra importate metanalisi è stata quella pubblicata da Mulhall e collaboratori nel 2005 i cui risultati sono sostanzialmente sovrapponibili a quelli appena citati [18].
Ne risulta che, per la comunità scientifica internazionale, la colonscopia virtuale è una metodica particolarmente sensibile e specifica per la rilevazione dei polipi superiori a 5 mm ed è altamente sensibile nella rilevazione dei carcinomi. Inoltre è una tecnica specifica anche per polipi di piccole dimensioni, e questo la promuove per un impiego di screening [19] [20].
Recentemente le regioni Piemonte e Veneto hanno varato programmi di screening per il CCR che impiegano la colonscopia virtuale.
Figura 3: ricostruzione 3D del colon col software CADCOLON; IM3D, Torino,
Figura 4: polipo peduncolato a livello del colon ascendente visualizzato in una
immagine 2D ottenuta mediante colonscopia virtuale
Figura 5: ricostruzione 3D del polipo di figura 4 effettuata col software
Figura 6: visualizzazione endoscopica di una massa del sigma ottenuta col
software XELIS-COLON; INFINITT, Seoul ,Korea
Figura 7: visualizzazione cubica della massa di figura 6 ottenuta col software
2.4 I tomografi computerizzati di
ultima generazione
La tomografia computerizzata, indicata con l’acronimo TC o CT è una metodica di radiodiagnostica che presenta un’elevata risoluzione spaziale. È detta tomografia in quanto l’immagine è analitica e riproduce uno strato corporeo, per lo più (ma non obbligatoriamente) trasversale rispetto all’asse corporeo principale e computerizzata perché per la sua produzione è necessario l’intervento del computer che guida tutto il complesso procedimento di acquisizione e ricostruzione dell’immagine. L’ideazione e la realizzazione del primo dispositivo per TC è avvenuta a Londra negli anni 70 presso i Laboratori Centrali di Ricerca della Emi Limited ad opera dell’ingegnere inglese Godfrey N.Hounsfield e del fisico sudafricano Allen M. Cormack.
L’immagine tomografia computerizzata è un’immagine digitale costruita misurando l’attenuazione di un fascio di raggi X che attraversano lo strato corporeo in studio lungo una serie di traiettorie definite e determinando l’energia assorbita nei singoli voxels (porzioni elementari del volume corporeo campionato predefiniti dall’operatore) dello strato corporeo.
Dal punto di vista operativo, si determina il coefficiente lineare di attenuazione µ di ogni singolo voxel relativo all’acqua; la grandezza che ne risulta è espressa in Unità Hounsfield (UH).
Le immagini primitive ottenute possono essere assoggettate a determinazioni di calcolo ed elaborazioni a partire dalle matrici di dati che le rappresentano, ottenendosi così immagini “secondarie”. Particolare rilevanza assumono le immagini secondarie tridimensionali, alle quali la possibilità di acquisire le immagini mediante scansione a spirale, in sequenza rapida a strato sottile e in singola apnea conferisce elevata qualità.
É questo appunto il caso delle immagini tridimensionali della colonscopia virtuale.
Il tomografo computerizzato è un’apparecchiatura molto sofisticata le cui componenti fondamentali sono il tavolo porta-paziente, il gantry (contenente il tubo radiogeno, il collimatore del fascio, i rivelatori e il generatore), l’elettronica di acquisizione dei dati, il computer, la consolle di commando, la stampante e l’unità a disco ottico per l’archiviazione permanente delle immagini.
Le conquiste tecnologiche che hanno comportato la riduzione delle dimensioni del rivelatore e l’impiego di tubi radiogeni più performanti hanno permesso di creare tomografi spirali dotati di multiple semicorone di rivelatori allo stato solido ad elevata efficienza che possono acquisire in pochi secondi i dati relativi ad estesi volumi [21].
Allo stato attuale gli scanner TC più moderni presentano 40 o 64 strati di detettori e consentono di raggiungere una vera e proprio isotropia del voxel acquisito (cioè il voxel ha le stesse dimensioni nei tre piani spaziali), con la possibilità di utilizzare tutti i piani dello spazio per ricostruzioni 3D estremamente affidabili. Si è inoltre registrato un nettissimo miglioramento della risoluzione temporale che ha notevolmente diminuito gli artefatti da movimento e ha ridotto i tempi di acquisizione.
Tuttavia, a fronte di questi vantaggi, coesiste un incremento della dose radiante se l’esame viene eseguito con protocolli standard. Infatti con le TC a 64 strati, pur diminuendo il fenomeno dell’overbeaming (radiazione addizionale dovuta all’effetto penombra), aumenta il fenomeno dell’overscan (incremento di dose dovuto al fatto che in TC multistrato il volume irradiato è maggiore del volume ricostruito in quanto rotazioni pre-scan e post-scan sono necessarie per poter ricostruire i due bordi del volume selezionato) [22]. Per ovviare alla problematica della dose sono stati proposti i protocolli a bassa dose.
Nel nostro studio è stata impiegata una TC multistrato a 64 strati ( LightSpeed VCT; GE Medical System, Milwaukee, Wis ).
2.5 Grandezze dosimetriche
La dosimetria (scienza di misura della dose di energia rilasciata dalla radiazione nella materia) si è sviluppata parallelamente all’incremento dell’uso di radiazioni in molti settori scientifici, industriali e sanitari. La radioprotezione è una scienza multidisciplinare il cui scopo è quello di garantire la protezione dalle radiazioni ionizzanti entro i livelli stabiliti dalla legge. Uno degli obiettivi principali è quello della limitazione delle dosi, che può essere esplicato solo attraverso una corretta dosimetria delle radiazioni [23].
I raggi X interagiscono con i tessuti umani deponendo energia, questa interazione è il primo passo di una serie di eventi che può condurre ad un effetto biologico. Per descrivere quantitativamente i fenomeni fisici legati all’interazione radiazione-materia sono state introdotte varie grandezze fisiche, dette appunto grandezze dosimetriche.
La più antica grandezza dosimetria è l’esposizione, X, che descrive la capacità della radiazione elettro-magnetica di ionizzare l’aria. La sua definizione è X= dQ/dm, dove dQ è la somma delle cariche ionizzanti (di un segno) prodotte in aria secca a pressione e e temperatura standard dagli elettroni secondari messi in moto nella massa dm, fino all’esaurimento totale della loro energia cinetica iniziale. La sua unità di misura nel S.I. è il C/Kg [24] .
un volumetto di massa dm, e dm: [25] [26] D= dE/dm
Essa fornisce un mezzo per stimare il potenziale per effetti biologici e la sua unità di misura è il Gray (Gy) che equivale alla deposizione di energia di 1 Joule per 1 Kg di massa [27].
Dal momento che a parità di dose assorbita l’effetto biologico indotto può essere diverso a seconda del tipo di radiazione utilizzata ( in ragione delle diverse modalità di distribuzione a livello microscopico delle ionizzazioni prodotte), nei casi nei quali intervengano radiazioni ionizzanti di diversa natura è opportuno definire la dose assorbita in termini di “dose equivalente di una radiazione di riferimento” (la cui efficacia biologica relativa, EBR, è quindi equiparata ad 1). L’unità di misura della dose
equivalente è il Sievert (Sv): 1 Sv equivale all’assorbimento di 1 Gy
della radiazione di riferimento (nella pratica i raggi gamma emessi dal
60Co). La dose equivalente (o dose biologica) è quindi il prodotto dose
assorbita (espressa in Gy) x EBR.
Alcune unità di misura ormai diventate obsolete sono tuttora saltuariamente usate in dosimetria: il rad per la dose assorbita ( 100 rad= 1 Gy) e il rem per la dose equivalente ( 100 rem = 1 Sv).
Il Kerma (kinetic energy released in matter) , è il rapporto tra dEtr e
dm, dove dEtr è la somma delle energie cinetiche iniziali di tutte le
materia, perciò: KERMA= dEtr/dm
L’Unità di misura è il J(Kg (Gy) [27].
L’ESAK (Entrance Surface Air Kerma) , anche noto come free-in-air-kerma , è il Kerma misurato in aria libera in corrispondenza della superficie di ingresso del fascio nel paziente/fantoccio. L'unità di misura è il Gy [28].
La dose superficiale in entrata (entrance surface dose o entrance skin
dose, ESD) è la dose assorbita in aria , incluso il contributo della
retrodiffusione , misurata in un punto sulla superficie di entrata in un oggetto specificato , per esempio il seno di una paziente o un fantoccio standard [27]. L’ESD è una misura della dose di radiazione assorbita dalla pelle dove il fascio di raggi X entra nel paziente, e può essere ottenuta con un dosimetro termoluminescente o con una camera a ionizzazione , la sua unità di misura è il Gy [26].
Per la tomografia computerizzata le grandezze utilizzate sono l’indice di
dose (CTDI:computed tomography dose index) ed il Prodotto Dose Lunghezza (DLP) [29].
Il CTDI è una grandezza dosimetrica fondamentale introdotta già nel 1984 , la cui definizione ha subito qualche modifica nel corso degli anni in modo da tener conto dell’operatività della sua misura. Nella TC il fascio di radiazione è in genere molto stretto (da 1 a 40 mm) e l’irradiazione viene ripetuta in posizioni differenti. Si utilizza così una
camera a ionizzazione cilindrica in cui la ionizzazione viene integrata su tutto il volume sensibile (100 mm). L’esposizione irradia in modo disuniforme la camera la cui lettura fornisce l’integrale del profilo di dose lungo l’asse z (asse di rotazione). Dividendo tale integrale per lo spessore dello strato scelto, o per lo spessore di collimazione nei sistemi multistrato, si ottiene il valore di dose assorbita nel punto per esposizione a strati contigui, cioè il valore che si avvicina di più alla situazione reale del paziente . La definizione è la seguente: z2 CTDI= (nT)-1 ∫ z1D (z) dz mGy dove:
z1 e z2 rappresentano i limiti di integrazione lungo l’asse z, D(z) indica profilo di dose (in aria) lungo una singola scansione assiale in funzione della posizione z, n indica il numero di strati acquisiti simultaneamente (n=1 per tomografi a singolo strato, n=4 per un tomografo a 4 strati, etc.) e infine T è lo spessore nominale dello strato o l’ampiezza del gruppo di rivelatori nel caso di TC multistrato (per esempio 5 mm per una acquisizione 4 x 5 mm).
Il valore del CTDI può facilmente essere determinato usando una camera a ionizzazione cilindrica a matita avente una lunghezza pari a 10 cm. In
tal caso i limiti di integrazione z1 e z2 sono uguali a ± 5 cm coprendo una lunghezza totale di 10 cm e abitualmente viene scritto come CTDI100 dove il pedice indica l’estensione su cui è stata effettuata l’integrazione. Quando il CTDI viene misurato in un fantoccio omogeneo in materiale plastico, che dispone di cinque alloggiamenti per la camera di rilevazione, rispettivamente nel centro e in quattro posizioni periferiche, si può valutare una grandezza derivata, il CTDI pesato, ovvero:
CTDIw= 1/3 CTDI100,centro + 2/3 CTDI100,periferia
Il valore di CTDI100,periferia è la media delle 4 misure alla periferia del
fantoccio.
Inoltre poichè nei modermi apparecchi TC la scansione avviene in modo spirale, viene definito il valore di CTDIvol come CTDIw corretto per il
pitch:
CTDIvol =CTDIw/pitch (modalità spirale)
Il valore dosimetrico che invece caratterizza una sequenza di acquisizione e quindi , una indagine diagnostica eseguita con la TC, è il DLP (Dose Lenght Product), espresso in mGy x cm e si ottiene moltiplicando il CTDIw per la lunghezza della scansione.
Per scansioni spirali: DLP = CTDIvol x lunghezza scansione
= CTDIw x lunghezza scansione /pitch [29]
2.6 Riferimenti normativi sulla dose
in radiologia
La normativa di riferimento in campo di protezione sanitaria delle persone contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti connesse ad esposizioni mediche ( in ambito diagnostico o terapeutico) è il Decreto Legislativo numero 187 del 26 maggio 2000 che attua la direttiva 97/43/EURATOM.
Il decreto si ispira a 3 principi etici generali, cioè i principi di
giustificazione, di ottimizzazione e di limitazione.
Il principio di giustificazione (art.3) dichiara che sono vietate le esposizioni radiologiche non giustificate. Le esposizioni mediche devono mostrare di essere sufficientemente efficaci mediante la valutazione dei potenziali vantaggi diagnostici o terapeutici complessivi da esse prodotti, inclusi i benefici diretti per la salute della persona e della collettività rispetto al danno alla persona che l’esposizione potrebbe causare, tenendo
conto dell’efficacia , dei vantaggi e dei rischi di tecniche alternative disponibili che si propongono lo stesso obiettivo ma che non comportano un’esposizione, oppure un’esposizione minore.
Secondo il principio di ottimizzazione (art.4) tutte le dosi dovute ad esposizioni mediche per scopi radiologici (escluse le procedure radioterapiche) devono essere mantenute al livello più basso ragionevolmente ottenibile e compatibile con il raggiungimento dell’informazione diagnostica richiesta, tenendo conto di fattori economici e sociali ( principio as low as reasonably attainable detto
ALARA ). In pratica il principio di ottimizzazione riguarda la scelta delle
attrezzature diagnostiche e dei presidi radioprotezionistici , la produzione di un’informazione diagnostica appropriata o del risultato terapeutico ottenibile, la delega degli aspetti pratici nonchè i programmi per la garanzia di qualità, incluso il controllo della qualità, l’esame e la valutazione delle dosi o delle attività somministrate al paziente.
Il principio di limitazione (art.4) , stabilisce, ai fini dell’ottimizzazione dell’esecuzione degli esami di radiodiagnostica , i livelli diagnostici di riferimento (DLR), secondo le linee-guida dell’Allegato II del D.Lgs. 26/5/2008 n.187 (vedi tabella a pag. seguente).
LDR in Radiodiagnostica
Tomografia computerizzata
ESAMI:
CTDI
w(mGy)
DLP (mGy cm)
Testa
60
1050
Torace
30
650
Addome
35
800
Pelvi
35
600
Tabella 1
I livelli diagnostici di riferimento sono livelli di dose nelle pratiche radiodiagnostiche mediche per alcuni esami specifici e per alcune tipologie di impianto radiologico.
Tali livelli non dovrebbero essere superati per procedure standard, in condizioni di applicazioni corrette e normali riguardo all’intervento diagnostico e tecnico. I LDR vanno intesi come strumento di lavoro per ottimizzare le prestazioni ; sono grandezze misurabili e tipiche di ogni procedura diagnostica.
Il Responsabile dell’impianto radiologico deve promuovere la verifica dei livelli diagnostici nelle varie procedure utilizzate per le quali sono definiti i LDR, a tale scopo il radiologo deve avvalersi di uno specialista in Fisica Medica. Qualora i valori di tali verifiche superino i LDR indicati il responsabile dell’impianto radiologico deve promuovere le necessarie
azioni correttive . L’Esercente è tenuto a provvedere alle azioni correttive che non possono essere verificare dal responsabile stesso.
Per quanto concerne la valutazione delle dosi alla popolazione, le indagini radiologiche vengono registrate singolarmente , anche in forma sintetica, anche su supporto informatico. Successivamente le regioni valutano le esposizioni a scopo medico, tenendo conto sia dei dati complessivi dell’attività sanitaria regionale, sia predisponendo indagini campionarie [23].
2.7 Ottimizzazione della dose in
tomografia computerizzata
I dati collettivi più recenti dimostrano un aumento generalizzato degli esami TC eseguiti in tutto il mondo che si manifesta nell’aumento del contributo alla dose collettiva per applicazioni mediche: dal 1990 al 1999 il contributo di dose collettiva dovuta alla TC è passato dal 20% al 40% [29].
Oggi in Inghilterra si stima che la TC contribuisca alla dose collettiva per esami medici per il 47%, mentre il numero di esami TC è solo il 9% di
tutti gli esami radiologici [30]; in Germania si osserva un dato simile :38% della dose efficace contro 4% del numero di esami[31] [32] .
Ricerche eseguite negli Stati Uniti rivelano che il numero annuale di esami TC eseguiti è incrementato di almeno 10 volte in meno di 2 decadi; da 3,6 milioni nel 1980 a 33 milioni nel 1998 [33].
Questi dati enfatizzano il bisogno di approntare strategie per ottimizzare e, se possible, ridurre la dose di radiazioni dovuta ad esami TC, in modo da mantenere il rapporto rischio-beneficio tra la notevolissima portata diagnostica di questa tecnica di imaging ed il rischio dovuto sostanzialmente ad effetti stocastici, che possono esitare in neoplasie ed effetti genetici nella prole del soggetto irradiato.
Tuttavia bisogna tenere in considerazione che il rumore dell’immagine, importante fattore determinante la qualità delle immagini TC, è inversamente correlato all’energia del fascio di raggi X.
In ambito di imaging, il termine “rumore” indica un fattore degradante l’immmagine digitale che la rende meno definita; le componenti principali del rumore sono quello quantistico e quello elettronico. Il rumore quantistico è determinato dal fatto che i fotoni X prodotti dal tubo radiogeno sono distribuiti casualmente nello spazio e nel tempo in quanto la loro emanazione da parte della fonte non è ha un pattern prevedibile. Questo significa che qualsiasi fluttuazione nell’immagine finale dovuta alla generazione casuale dei fotoni X non può essere corretta. Il rumore quantistico potrebbe appunto essere ridotto incrementando il numero di
fotoni X utilizzati per acquisire l’immagine; tuttavia così facendo aumenteremmo la dose al paziente, e questa strategia non inciderebbe, peraltro, sulle altre fonti di rumore che comincerebbero a dominare. Per quanto riguarda il rumore elettronico tutte le componenti elettroniche producono rumore. Nei detettori a pannello piatto sono principalmente le componenti di lettura e amplificazione del segnale che contribuiscono al rumore dell’immagine.
Parametro fondamentale per quantificare la leggibilità di un’immagine è il rapporto segnale-rumore (signal to noise ratio) in quanto non è il valore assoluto del rumore o del segnale (caratteristica di interesse che si vuole indagare ) ,quanto il rapporto tra essi che rende conto della qualità dell’immagine [34].
La riduzione della dose di radiazioni quindi non deve compromettere il risultato diagnostico di un esame clinicamente rilevante; nella maggior parte delle circostanze le strategie devono essere dirette verso l’ottimizzazione della dose di radiazioni piuttosto che verso la riduzione in sè, così che la qualità dell’immagine mantenga un elevato standard diagnostico.
La sfida per le industrie è di migliorare l’efficienza dei sistemi TC in ambito di dose e di fornire caratteristiche che permettano ai professionisti di ridurre ulteriormente la dose al paziente pur raggiungendo la confidenza diagnostica richiesta.
I parametri di scansione che incidono sulla dose di radiazioni in TC sono geometria dello scanner, corrente e voltaggio del tubo radiogeno, modalità e lunghezza dello scanning, collimazione del fascio, velocità del tavolo e pitch, tempo di rotazione del gantry e l’eventuale schermatura di organi bersaglio [33].
In particolare la riduzione della corrente del tubo radiogeno è il modo più pratico per ridurre la dose al paziente; la correlazione tra corrente e dose è sostanzialmente lineare e una riduzione del 50% della corrente riduce la dose per metà. Numerosi autori hanno rilevato che è possibile ridurre la corrente senza compromettere in misura rilevante la qualità dell’immagine. Tuttavia ogni diminuzione di corrente dovrebbe essere considerata prudentemente in quanto determina un aumento del rumore
dell’immagine; questo è particolarmente vero nello studio dell’addome, dove le aree a basso contrasto sono severamente interessate da un incremento del rumore [35].
Il potenziale del tubo radiogeno (voltaggio di picco) determina l’energia del fascio incidente di raggi X e le sue variazioni influenzano marcatamente la dose assorbita in TC, l’effetto del voltaggio sulla qualità dell’immagine è particolarmente complesso, in quanto influenza sia il rumore dell’immagine sia il contrasto dei tessuti, comunque conseguenza fondamentale di una diminuzione del voltaggio del tubo radiogeno è un notevole aumento del rumore dell’immagine. La variazione di dose è approsimativamente proporzionale al quadrato della variazione del voltaggio del tubo, mentre il rumore è influenzato dai cambiamenti di voltaggio in modo inversamente proporzionale [33].
La TC addominale viene oggi spesso eseguita in modo ottimale ad un voltaggio di 120 kV rispetto ai 140 kV impiegati fino a pochi anni fa, e questo determina una riduzione della dose del 20 – 40 %. C’è bisogno di ulteriori ricerche in merito all’impiego dei bassi voltaggi per il risparmio della dose, a causa della complessa relazione tra contrasto dei tessuti, rumore dell’immagine e dose assorbita che dipendono dalla taglia del paziente, tuttavia alcuni autori hanno riportato promettenti risultati nell’impiego di questa strategia [36].
In TC spirale si definisce pitch il rapporto tra avanzamento del tavolo moltiplicato per il tempo di rotazione del gantry e collimazione del fascio:
Pitch= table feed x gantry rotation time Beam collimation
Un incremento del pitch diminuisce la durata dell’esposizione alle radiazioni a cui è soggetta la parte anatomica in esame.
Nelle TC spirali collimazione del fascio, velocità del tavolo e pitch sono parametri correlati che influenzano la qualità dello studio di imaging. Una maggiore velocità di avanzamento del tavolo con una data collimazione del fascio determina un maggiore pitch, cui consegue una ridotta dose di radiazioni grazie ad un tempo di esposizione più corto. Al contrario una collimazione sottile ed una diminuità velocità del tavolo determinano un tempo di esposizione più lungo che è associato ad una maggiore dose di radiazioni.
Per una data collimazione del fascio, un incremento nella velocità del tavolo aumenta il pitch e riduce la dose di radiazioni di un fattore 1/pitch [37].
Nonostante l’impiego di un pitch maggiore sia più efficiente dal punto di vista della dose, esso tende anche a causare artefatti elicoidali e diminuzione della risoluzione spaziale.
Quindi le variazioni del pitch possono avere effetti diversi sulla qualità dell’immagine in situazioni diverse.
In colonscopia virtuale la qualità dell’immagine e gli artefatti di ricostruzione sono meno influenzati dal pitch che dalla collimazione del fascio, così che un pitch maggiore con una collimazione sottile del fascio può essere una strategia efficiente per ridurre la dose [38].
Nella TC multidetettore, a causa del fenomeno dell’ “overbeaming”, una certa quota del fascio di raggi X incide al di là dei margini delle file dei detettori; una collimazione più spessa diminuisce questo fenomeno e quindi è più dose-efficiente [32].
D’altro canto una collimazione sottile, pur incrementando il fenomeno dell’overbeaming permette la ricostruzione di sezioni più sottili.
Perciò la collimazione del fascio e il pitch vanno attentamente selezionati in base alla specifica esigenza clinica.
Per quanto riguarda il tempo di rotazione del gantry, questo ha subito negli ultimi anni una ingente diminuzione grazie alle recenti innovazioni tecnologiche.Al diminuire del tempo di rotazione del gantry diminuisce l’esposizione alle radiazioni, e quindi per mantenere una costante qualità di immagine potrebbe essere richiesto un aumento della corrente del tubo [37].
Per quanto concerne la protezione dalla radiazione diffusa di organi radiosensibili come le mammelle, il cristallino, e le gonadi (questione particolarmente rilevante nei bambini e nei giovani adulti) questi possono essere schermati grazie a a protezioni in piombo, che mostrano buoni risultati nel ridurre la dose alla mammella e alla tiroide nella TC del
cranio [39].
Altra strategia per ridurre la dose al paziente è quella di modulare i parametri TC, specialmente la corrente, in base al peso ed ai diametri trasversi del paziente.
In TC addominale è stato descritto, già nel 2001, da Donnely e colleghi ,sia in pazienti pediatrici che adulti, che il peso del paziente può essere usato per selezionare una corrente ridotta, riducendo sostanzialmente l’esposizione; nonostante le immagini ottenute con la dose standard fossero meno rumorose e visivamente più gradevoli, la qualità dell’immagine ottenuta con una corrente del tubo radiogeno ridotta del 50% era comunque accettabile[40]. Ne consegue che pazienti leggeri dovrebbero essere valutati con una ridotta dose di radiazioni modificando la corrente in base al loro peso.
Tuttavia la selezione dei parametri TC in base al peso del paziente può portare a grandi differenze nella qualità d’immagine , per esempio, in due pazienti dello stesso peso ma di differente altezza, poichè l’attenuazione del fascio di raggi X incidente dipende dalle dimensioni della parte del corpo in esame. Per ottimizzare l’esposizione i parametri TC possono quindi essere selezionati più correttamente in base alle dimensioni trasverse della sezione anatomica in esame, ottenendo così riduzioni di dose fino al 45% nei pazienti magri.
dell’esecuzione dell’esame con un calibro od un metro, oppure misurate dal tecnico direttamente sulla consolle TC usando punti di riferimento fissi sull’immagine scout.
Un’altra grandezza che si può impiegare per modulare i parametri TC è il BMI (Body mass index), che è il pricipale indicatore diagnostico del sovrappeso e dell’obesità.
Recentemente è stata sviluppata un’ ampia serie di progressi tecnologici che mirano a diminuire la dose di radiazioni in TC, la maggioranza di queste innovazioni perseguono l’ottimizzazione della dose migliorando l’efficienza dell’acquisizione e la qualità dell’immagine e includono un più efficiente utilizzo del fascio di raggi X, l’uso di filtri migliori, nuovi algoritmi di postprocessing dell’immagine e la modulazione automatica della corrente del tubo.
Per quanto riguarda l’utilizzo del fascio di raggi X il puntamento pre-paziente, o il controllo del movimento della macchia focale del tubo e della collimazione del fascio, aumentano l’efficienza della scansione e quindi riducono l’esposizione. Con queste tecniche infatti l’overbeaming è ridotto grazie al controllo della posizione del fascio ogni pochi millisecondi e alla sua continua stabilizzazione verso i detettori; questa precisa stabilizzazione del fascio sui detettori fa sì che la dose assorbita con le TC multistrato che utilizzano questo procedimento sia inferiore
rispetto a quelle senza puntamento della macchia focale [33].
I filtri diminuiscono quella componente debole dei raggi X che costituisce radiazione assorbita che non raggiunge mai il detettore, negli ultimi anni sono stati approntati filtri di alluminio con conformazioni particolari che hanno determinato una riduzione della dose e anche una diminuzione del rumore dell’immagine quando impiegati in TC a dose molto bassa.
Per la TC a bassa dose sono stati studiati dei filtri digitali che riducono il rumore (noise reduction filters) impiegati in ambito di postprocessing. Questi filtri riducono il rumore dell’immagine senza intaccare la definizione delle strutture anatomiche , da alcuni studi risulta che possano ridurre la dose di circa il 50% rispetto ai livelli standard, tuttavia possono rendere meno evidenti alcune piccole lesioni; seppure molto promettenti è necessario un ulteriore miglioramento della tecnica [41].
La modulazione automatica della corrente del tubo è una strategia per ottimizzare la dose al paziente il cui razionale è la consapevolezza che la dose richiesta per mantenere la stessa qualità di immagine varia nei diversi pazienti a seconda delle loro caratteristiche fisiche, e nello stesso paziente a seconda del distretto anatomico in studio.
Nel 1994 la GE Medical System rese disponibile il primo sistema commerciale di modulazione della corrente con il quale la dose poteva essere ridotta fino al 20 %.
Ulteriori prodotti in ambito di modulazione automatica della corrente sono stati lanciati nel corso del 2001, quando , in parte per la
preoccupazione dell’opinione pubblica riguardo alla dose assorbita, la riduzione della dose è diventato per le aziende sia un obiettivo da perseguire investendo le proprie risorse sia uno strumento di marketing[42].
La modulazione della corrente e l’adattamento della corrente in base alla taglia del paziente sono due meccanismi ai quali ci si riferisce congiuntamente col termine “Automatic Exposure Control”[42].
Variazioni estremamente ampie nell’assorbimento di radiazioni da parte del paziente si verificano con le variazioni nell’angolo di proiezione e nelle diverse regioni anatomiche; poichè la proiezione col maggior rumore è quella che fondamentalmente determina il rumore nell’immagine finale, è possible ridurre la dose (cioè i raggi X) per le altre proiezioni senza aumentare il rumore dell’immagine finale.
La modulazione angolare della corrente del tubo (angular tube current modulation) implica variazioni della corrente del tubo atte a equiparare il flusso dei fotoni al detettore mentre il tubo radiogeno ruota attorno al paziente; l’operatore sceglie l’iniziale valore per il prodotto corrente del tubo-tempo (in mAs) e la corrente del tubo viene modulata a partire da tale valore nell’ambito di una stessa rotazione del gantry.
La modulazione longitudinale della corrente del tubo (longitudinal tube current modulation) avviene lungo l’asse z (asse lungo del paziente) e implica variazioni della dose di radiazioni tra regioni anatomiche (ad es. tra spalle, addome e pelvi) per mezzo del variare della corrente lungo
l’asse z del paziente. A differenza della modulazione angolare della corrente, lo scopo della modulazione longitudinale è quello di produrre livelli di rumore relativamente uniformi attraverso le varie regioni anatomiche. Così l’operatore deve impostare il livello desiderato di qualità dell’immagine per avviare l’algoritmo usando uno dei seguenti metodi, specifici da azienda ad azienda:
-The Reference noise index (GE Healthcare Technologies, Waukesha, Wis)
-Reference image acquisition (Philips Medical Systems, Best, The Netherlands)
-Reference tube current-time product value (Siemens Medical Solutions,Forchheim, Germany)
-Reference standard deviation or image quality level (Toshiba Medical Systems, Tokyo, Japan)
Al di là dei diversi nomi commerciali queste metodiche controllano tutte il prodotto corrente-tempo in modo da fornire il livello di qualità di immagine desiderato col variare dell’attenuazione tra le diverse regioni anatomiche [42].
E’ possibile anche una combinazione simultanea di modulazione di corrente angolare e longitudinale , che implica la variazione di corrente sia durante la rotazione del gantry sia lungo l’asse z del paziente, l’operatore indica anche in questo caso il livello desiderato di qualità
dell’immagine per mezzo di uno dei metodi precedentemente descritti. Questo è l’approccio più completo alla riduzione della dose in TC poichè la dose di raggi X è corretta in base all’attenuazione specifica del paziente in tutti i tre piani.
Quindi con l’Automatic Exposure Control (ACE) il professionista determina i requistiti di qualità dell’immagine ed il sistema TC determina il giusto prodotto corrente-tempo. In pratica per il sistema è relativamente semplice raggiungere i requisiti richiesti , una volta che questi sono stati definiti. Tuttavia può essere abbastanza difficile raggiungere un consenso sulle esigenze di qualità di immagine per i diversi tipi di esami TC e nelle differenti fasce di età dei pazienti.
L’operatore deve ricordare che la massima qualità d’immagine non è necessaria per tutti i quesiti diagnostici ma, piuttosto, che può essere necessaria una scelta tra basso rumore e bassa dose, a seconda delle necessità diagnostiche.
Distinguiamo così due processi: quello della modulazione della corrente del tubo radiogeno per raggiungere un definita qualità d’immagine e quello della scelta di un desiderato livello di qualità da parte dell’operatore; ed è appunto ad entrambi che ci si riferisce col termine di Automatic Exposure Control.
riferito alla deviazione standard di numeri TC all’interno di una regione di interesse in un fantoccio d’acqua di una misura specifica. Viene usata una tabella per mappare i valori di attenuazione tipici del paziente misurati sull’immagine “scout” e riferirli a valori di corrente per ogni rotazione del gantry in base ad un algoritmo di proprietà riservata. L’algoritmo è progettato per mantenere lo stesso livello di rumore mentre i valori di attenuazione cambiano da una rotazione all’altra. Possono esserer richiesti differenti valori di noise index a seconda della taglia del paziente [42].
La qualità di immagine è una misura non specifica e soggettiva della leggibilità dell’immagine che deve essere valutata da un osservatore esperto. Le misurazioni oggettive come il rumore dell’immagine o il contrast/noise ratio possono essere ottenute in maniera relativamente semplice, ma non catturano completamente tutte le caratteristiche rilevanti che concorrono a ottenere una corretta diagnosi. Quindi la definizione di una ottimale qualità d’immagine può essere un compito complesso, poichè sono coinvolte sia misure oggettive sia le percezioni dell’osservatore. Un approccio semplificato per raggiungere un’ottimale qualità d’immagine è richiedere un livello specifico di rumore per ogni specifico quesito diagnostico.
Bisogna comunque considerare che non è tecnicamente fattibile mantenere un rumore di immagine costante nei pazienti di tutte le taglie e
tipologie fisiche, anche se questo sarebbe clinicamente desiderabile, poichè i sistemi TC non possono ottenere valori di prodotto corrente-tempo estremamente bassi o alti. L’ampia gamma di valori di prodotto corrente-tempo richiesta per mantenere un costante rumore d’immagine col variare della taglia dei soggetti è una conseguenza della natura esponenziale dell’assorbimento dei raggi X.
Peraltro l’esclusione di tali valori, sia troppo bassi che troppo elevati, è un atteggiamento ritenuto più appropriato anche dal punto di vista della dose al paziente e della qualità di immagine, in quanto una riduzione più marcata della dose non è praticabile nei pazienti pediatrici, così come un più ingente aumento di dose non è necessario nei pazienti obesi[42]. In riferimento al noise index della GE Healthcare è stato osservato da Kalra e colleghi che gli operatori richiedevano un più basso valore del noise index (quindi meno rumore d’immagine) per pazienti più piccoli e accettavano un noise index maggiore (maggior rumore d’immagine) in pazienti più grandi [43].
Quindi si può affermare che un costante livello di rumore per pazienti di tutte le taglie non è ideale; per esempio nelle immagini di pazienti pediatrici si preferisce meno rumore perchè i bambini non hanno i pannicolo adiposi tipici dell’adulto che aumentano il contrasto e agevolano la differenziazione tra i diversi tessuti, inoltre perchè i dettagli di interesse sono più piccoli nei bambini e perchè nell’imaging pediatrico è richiesto un alto livello di confidenza diagnostica [42].
In definitiva il sistema dell’ Automatic Exposure Control può portare a una significativa riduzione di dose con un minimo intervento dell’operatore.
Negli ultimi anni si sono quindi verificati molti progressi tecnologici che hanno reso la TC una metodica molto affidabile e versatile, rimpiazzando altre tecniche radiologiche, si è determinato così un notevole aumento del numero degli esami TC eseguiti in tutto il mondo e di conseguenza un sostanziale incremento nella dose alla popolazione.
I dati provenienti da studi internazionali sulla dose somministrata durante gli esami TC indicano che le aziende stanno focalizzando i loro sforzi per ottenere una elevata qualità di immagine con una dose di radiazioni inferiore rispetto a quella richiesta con le apparecchiature di vecchia generazione, ciò si unisce ad una crescente cosapevolezza che la qualità delle immagini TC non deve eccedere i livelli richiesti per una sicura diagnosi al fine di non comportare una dose al paziente maggiore del necessario.
Le ricerche effettuate nei centri radiologici di diverse nazioni indicano che le dosi riportate per gli esami TC sono sempre più basse dei livelli diagnostici di riferimento, indicando quindi, da un lato, la consapevolezza e lo sforzo degli operatori nel mantenere bassa la dose e ,dall’altro, il bisogno di rivedere e aggiornare le linee guida Europee (European DLRs) che sono state elaborate prima dell’introduzione e dell’impiego clinico
dei moderni scanner TC [44].
2.8 Parametri tecnici e dose assorbita
in colonscopia virtuale
Gli esami TC a scopo di screening , nei quali il rapporto rischio-beneficio è critico per la giustificazione dell’esame, devono essere eseguiti alla più bassa dose di radiazioni possibile; questo è appunto il caso della colonscopia virtuale o CTC, poichè , come già ricordato, negli ultimi anni si è assistito ad una evoluzione del ruolo di questa tecnica, che non è più solamente un esame radiologico effettuato in caso di colonscopia tradizionale incompleta o in previsione di un intervento chirurgico, ma è una tecnica che sta dimostrando le sue potenzialità ed efficacia nel campo dello screening del carcinoma del colon-retto.
L’alto contrasto di densità naturalmente presente in un colon disteso all’interfaccia tra mucosa e aria permette una riduzione marcata dell’esposizione poichè anche una ridotta qualità d’immagine non compromette l’individuazione dei polipi. Uno svantaggio è che può essere compromessa la diagnosi di lesioni e reperti extracolici, la cui individuazione non è peraltro scopo primario della colonscopia virtuale.
Nel 2002 le colonscopie virtuali venivano eseguite con dosi di radiazioni decisamente superiori a quelle di oggi; il valore medio di dose assorbita, calcolata da protocolli riportati in letteratura ed updates, era intorno a 7,8 e 8,8 mSv (calcolati su un fantoccio ermafrodito), rispettivamente, e i valori di corrente del tubo radiogeno con cui si lavorava erano mediamente superiori a quelli odierni [45]. Già allora Van Gelder e colleghi simularono, a partire da esami effettuati in pazienti ad elevato rischio per CCR eseguiti con 100 mAs, esami a 50 e 30 mAs grazie ad un aumento controllato di rumore sulle immagini primariamente ottenute, e rilevarono che pur diminuendo la qualità d’immagine, l’individuazione dei polipi non era compromessa, specialmente per quelli di maggiori dimensione (superiori o uguali a 10 mm ) [45]. Inoltre si riteneva dubbio il beneficio derivato dall’individuazione di lesioni polipoidi inferiori ai 5 mm in un programma di screening, poichè è riconosciuto che i piccoli polipi raramente contengono tessuto maligno ( ad oggi infatti un cutoff di 6 mm per la segnalazione della lesione è consigliato dall’ESGAR; European Society of Gastrointestinal and abdominal Radiology ).
Poichè , in un individuo di 50 anni, il rischio di sviluppare un cancro come conseguenza dell’esposizione a radiazioni ionizzanti è stimato essere, dall’ International Commision on Radiological Protection, intorno al 2,5% per Sievert , e tale valore si riduce della meta all’età di 70 anni, si può stimare il rischio di indurre un cancro a causa di una colonscopia virtuale con una dose effettiva di 8,8 mSv approssimativamente allo
0,02% all’età di 50 anni, e un rischio inferiore nel soggetto più anziano [45]. Lo scopo di utilizzare protocolli che implichino una dose al paziente più bassa è appunto quello di diminuire tale rischio.
Macari e colleghi, sempre nel 2002, riportano nella loro esperienza valori di dose assorbita, calcolata grazie ad un software commerciale, di 5,0 mSv negli uomini e 7,8 mSv nelle donne, e indicano alcuni vantaggi ottenuti eseguendo la CTC con la TC multistrato: miglior distensione colica e minori artefatti respiratori dovuti ad una più veloce acquisizione dei dati [46].
Nel 2003 Wessling e colleghi cercano di ottimizzare il protocollo CTC con la TC multistrato studiando un fantoccio antropomorfo che all’interno reca un cilindro che simula il colon alla cui superficie sono adesi polipi di diversi dimensioni. Le loro conclusioni sono che una collimazione sottile del detettore (1 mm) abbinata ad una sezione sottile di acquisizione (1,25 mm) è un prerequisito per la colonscopia virtuale a bassa dose, e permette di identificare anche piccole lesioni [47]. Oggi la collimazione sottile in colonscopia virtuale è particolarmente importante se il colon non ha ricevuto la preparazione catartica, perchè in questo modo le feci inomogeneamente marcate dal fecal tagging possono essere più facilmente differenziate dai polipi.
Iannacone, Laghi e colleghi lavorando con una TC a 4 strati e con protocolli a dose ultrabassa (fino a 10mAs) riportano nel 2003 valori di dose assorbita dal paziente molto promettenti, con valori calcolati di 1,8
mSv negli uomini e 2,4 mSv nelle donne, utilizzando una collimazione del fascio di 2,5 mm e uno spessore di sezione di 3,0 mm ; i pazienti arruolati in questo studio di screening ricevevano la preparazione catartica e si conferma che con questo protocollo sono difficili da individuare lesioni di diametro fino a 5 mm [48].
In uno studio sperimentale del 2003 Taylor, Halligan e colleghi studiarono il colon di ragazzo di 16 anni con poliposi adenomatosa familiare che era andato incontro a colectomia subtotale con ileo-rettoanastomosi. Il colon conteneva 117 polipi di varie dimensioni (da 1 a 15 mm di diametro); era stato isufflato con aria, piazzato in un contenitore di plastica contenente una soluzione con valori di attenuazione media simili a quelli dell’addome e sistemato in modo da mimare i rapporti reciproci e la disposizione spaziale dei diversi segmenti colici in vivo. Conclusero che alti valori di corrente del tubo radiogeno miglioravano l’identificazione dei polipi solo quando questi avevano diametro inferiore a 5 mm e che una collimazione del fascio di 1,25 mm combinata con una corrente del tubo di 50 mA poteva essere una soluzione ideale per identificare i polipi di dimensioni medio-grandi e limitare la dose di radiazioni al paziente, in particolare il valore di collimazione del fascio era quello che sembrava correlare più marcatamente con la performance diagnostica, che risultava più deludente nel colon trasverso [49].