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Tripanosomiasi americana a trasmissione trasfusionale: valutazione dei test diagnostici per lo screening dei donatori di sangue.

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Academic year: 2021

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(1)

Scuola di Medicina

SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE

IN PATOLOGIA CLINICA E BIOCHIMICA CLINICA

ANNO ACCADEMICO 2016/2017

“Tripanosomiasi americana a trasmissione trasfusionale:

valutazione dei test diagnostici per lo screening dei donatori di

sangue”

RELATORI

Prof. Fabrizio Bruschi

Dr.ssa Valentina Mangano

CANDIDATO

Dr. Luca Giordani

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INDICE

1 INTRODUZIONE

1.1 Generalità sulla malattia di Chagas…...…..…..…..…..….…..…..…………....4

1.2 Epidemiologia…...…...…...…...…...…...…..……….4

1.3 Epidemiologia nei paesi non endemici…...…...……...…...………8

1.4 Trasmissione…...…...…...…...……...…...…..…………10

1.5 Controllo e prevenzione...…...…...…...……...…...……..12

1.6 Caratteristiche cliniche e storia naturale della malattia....…...……..13

1.7 Diagnosi…...…...…...…...…....…...…….17

1.7.1 Indagini di laboratorio...…...…...………17

1.7.1.1 Fase acuta...…...…..…...…...……….17

1.7.1.1.1 Metodi parassitologici diretti…...…...…..…...….17

1.7.1.1.2 Metodi parassitologici indiretti...…...…...….18

1.7.1.1.3 Metodi molecolari.…...…...…...…...…..…..19

1.7.1.2 Fase cronica...…...…...…...…...….…....…..22

1.7.1.2.1 Metodi sierologici indiretti...…...…...…...……23

1.7.2 Diagnosi clinica...…...…...…...…...……26

1.8 Terapia....…...…...…...…...…...………….27

1.9 Malattia di Chagas a trasmissione trasfusionale (TT-CD).…...…...…28

(3)

1.9.1.1 Aree endemiche…...…...…...…...…...………….28

1.9.1.2 Aree non endemiche...…...…...…...…...…....….……..29

1.9.2 Epidemiologia della TT-CD..…...…...…...…...…...…...…31

1.9.3 Screening dei donatori a rischio per malattia di Chagas: test sierologici utilizzati nella pratica della medicina trasfusionale...…...…...………33

1.9.4 Strategie alternative all’esclusione/screening dei donatori per la sicurezza trasfusionale....…...…...…...…..……...36

2 OBIETTIVI DELLA TESI…...…...…...………..38

3 MATERIALI E METODI……...…...…....…...39

3.1 Campioni dei candidati donatori di sangue…...…...……..39

3.2 Campioni di controllo...…...…...….…40

3.3 Caratteristiche e procedure dei test utilizzati…...………..40

3.4 Analisi dei dati...…...…...…...……….46

4 RISULTATI...…...…...……...….46

4.1 Risultati derivati dallo screening dei donatori a rischio dei vari Centri Trasfusionali…...…...…...…...…...…..46

4.2 Confronto tra le metodiche utilizzate..…...…...…...….50

5 DISCUSSIONE...…..…...…...…...……….52

5.1 Risultati derivati dallo screening dei donatori a rischio dei vari Centri Trasfusionali…...…...…...….…...……..52

5.2 Confronto tra le metodiche utilizzate....…...…...…...…...54

6 CONCLUSIONI...…...…...…...…….……55

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1 INTRODUZIONE

1.1 Generalità sulla malattia di Chagas

La malattia di Chagas (Chagas disease: CD), nota anche come tripanosomiasi americana, è un'infezione potenzialmente letale causata dal protozoo emoflagellato Trypanosoma cruzi. Il suo ciclo vettoriale e l'espressione clinica nell'uomo furono descritti completamente nel 1909 da un medico brasiliano, Carlos Ribeiro Justiniano Chagas, che identificò il parassita come causa di una malattia febbrile acuta che affliggeva i lavoratori delle ferrovie brasiliane. La malattia di Chagas si manifesta principalmente nelle aree endemiche di 21 paesi dell'America Latina (Argentina, Belize, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Ecuador, El Salvador, Guyana francese, Guatemala, Guyana, Honduras, Messico, Nicaragua, Panama, Paraguay, Perù, Suriname, Venezuela e Uruguay), dove viene per lo più trasmesso da insetti vettori, cimici appartenenti al genere

Triatoma (T. infestans, T. dimidiata, T. brasiliensis), Rhodnius (R. prolixus) e Panstrongylus (P. megistus). Negli ultimi decenni, l'aumento della mobilità della

popolazione dall'America Latina verso l'Europa ha determinato l'emergere di malattie tropicali, come la malattia di Chagas, al di fuori dei loro paesi endemici.

1.2 Epidemiologia

Un elevato numero di mammiferi selvatici e alcuni mammiferi domestici possono essere infettati da T. cruzi. La via naturale di trasmissione all’uomo (e anche la più frequente) è costituita dalla contaminazione con feci di triatomine contenenti tripomastigoti metaciclici. I parassiti penetrano facilmente le mucose di occhi, naso o bocca oppure attraverso la soluzione di continuo della cute causata dal morso della cimice che si nutre del sangue della vittima. Si riconoscono due cicli naturali di trasmissione: quello domestico (prevalentemente rurale, il più importante per l’uomo), e quello selvatico. Nel ciclo domestico i serbatoi possono essere cani, gatti, cavie, roditori, oppure l’uomo stesso nella fase acuta di malattia. Solo una specie di cimice, Triatoma infestans, è necessariamente associata ad ambienti domestici costituiti in genere da case rurali (costruite con fango) e

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baraccopoli periferiche. Questa specie rappresenta il vettore più importante in tutta l’area di distribuzione della malattia di Chagas. Nel ciclo selvatico fungono da serbatoi specie animali che popolano la foresta tropicale, la boscaglia e la prateria appartenenti ad un ampio insieme di mammiferi (opossum, armadillo, varie specie di roditori, pipistrelli, carnivori e scimmie). Il ciclo selvatico di T.

cruzi è sostenuto da numerosissime specie di triatomine che vivono in stretta

associazione con questi animali. Il passaggio dal ciclo selvaggio a quello domestico può avvenire tramite l’uomo che può contrarre l’infezione con un ceppo selvatico di T. cruzi, tramite cimici infette che possono occasionalmente penetrare nelle case. Sono poche tuttavia le specie che possono adattarsi ugualmente ad habitat selvatici e domestici. [1] La distribuzione di T. cruzi negli ospiti naturali si estende da 40° di latitudine nord a 40° di latitudine sud delle Americhe al di sotto dei 1500 metri di altitudine. La distribuzione della malattia umana è più limitata: dal Texas e California a nord fino alla provincia di Chubut nella Patagonia argentina a sud. [1]

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Esistono differenze marcate nella prevalenza della malattia tra i paesi endemici. Ad esempio, si stima che il 18-20% della popolazione boliviana sia infetta (circa 1.200.000 persone), mentre in Brasile la malattia colpisce l'1,3% della popolazione (3-5 milioni di persone). Negli ultimi 20 anni molti fattori hanno contribuito a un drastico cambiamento del profilo epidemiologico della malattia: l'attuazione di diverse politiche sanitarie per il suo controllo in America Latina, il forte aumento dei viaggi e delle migrazioni internazionali, l'urbanizzazione, la migrazione interna ai paesi endemici e recentemente verso paesi non endemici. Come risultato dei programmi di controllo della malattia di Chagas promossi dai National Health Systems nei paesi dell'America Latina e dall'Organizzazione Sanitaria Panamericana (PAHO) negli ultimi 20 anni, il peso della malattia è progressivamente diminuito. Nuovi casi di malattia si sono ridotti da 700.000/anno nel 1990 a 41.200/anno nel 2006, e la mortalità da 50.000 morti all'anno agli attuali 12.500.[2]

Secondo alcune stime, il numero di persone infettate da T. cruzi in tutto il mondo è stato ridotto del 50% o più negli ultimi 25 anni, da un picco di 15-30 milioni nel 1990 a un totale attuale di 8 milioni. [3] Al di fuori delle aree endemiche, casi di malattia di Chagas sono stati rilevati in modo crescente negli Stati Uniti dove sono stati registrati alcuni casi autoctoni e sono stimati da 300.000 a 1 milione di casi, mentre in Canada i casi sono meno di 100.000. L'Europa è fortemente coinvolta: la maggior parte dei casi sono registrati in Spagna e in Italia, seguiti da Regno Unito, Portogallo, Svizzera, Francia e Svezia.

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Distribution of Chagas disease cases (WHO 2010)

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1.3 Epidemiologia della malattia di Chagas nei paesi non endemici

L’epidemiologia della malattia di Chagas nei paesi non endemici è cambiata a partire dagli anni ‘90 in relazione all’incremento massivo (15 milioni di persone) dei flussi migratori dal Sud America. Secondo le Nazioni Unite, i primi 10 paesi di destinazione per i migranti dell'America Latina sono: Stati Uniti, Spagna, Italia, Canada, Giappone, Portogallo, Francia, Regno Unito, Cina e Australia. In Europa vi sono oltre tre milioni di migranti provenienti da aree in cui il Chagas è endemico, principalmente in nove paesi (Spagna, Italia, Portogallo, Svezia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Svizzera e Regno Unito).[4]

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Le attuali stime di prevalenza della CD nei paesi non endemici sono in gran parte estrapolazioni dei tassi di prevalenza nazionali nei paesi di origine moltiplicate per la proporzione di immigrati provenienti da quel paese.[5] Questi dati non tengono però conto di due aspetti importanti, l’area di origine all’interno del proprio paese e le condizioni in cui le persone hanno vissuto. Di fatto i migranti provengono solitamente da zone rurali e hanno uno status socioeconomico inferiore rispetto alla popolazione generale, evidenze che rendono la prevalenza della malattia più elevata rispetto a quella globale registrata nel loro paese di origine. I tassi nazionali di prevalenza di infezione nei paesi endemici variano da meno dell’ 1% a circa il 25% in paesi come la Bolivia dove l'endemia è alta. Sulla base dei tassi di infezione nazionali dei diversi paesi di origine è stato stimato che vi siano tra 68000 e 120000 casi di malattia in Europa (42000 residenti in Spagna), con una prevalenza della malattia di Chagas cronica tra gli immigrati latinoamericani in Europa del 4,2% (0%-15,9%). Sulla base degli studi di sieroprevalenza condotti sui migranti in Europa, quelli della Bolivia hanno mostrato la prevalenza più alta (18,1%), seguiti da El Salvador (5,6%), Paraguay (5,5%), Nicaragua (4,6%), Honduras (3,7%) e Argentina (2,2%). La prevalenza tra i migranti provenienti da altri paesi endemici è inferiore all’1%. [6] La prevalenza generale in Europa è stata stimata in 35 casi ogni 100.000 abitanti, anche se varia notevolmente all’interno del continente, con una sostanziale assenza della malattia nei paesi dell'Est fino a 307 casi/100.000 abitanti in Spagna, 28 casi/100.000 abitanti in Italia, 25 in Svezia e Portogallo e 22 in Svizzera e nei Paesi Bassi.[7]

La maggior parte degli individui infetti sono migranti che hanno acquisito l' infezione nel loro paese di origine e si presentano nella fase indeterminata cronica quando arrivano nei loro paesi di accoglienza. Tuttavia meno del 10% di questi casi sono stati diagnosticati al momento.[8]

Nel 2011, Basile et al. [4] e il gruppo di lavoro sulla malattia di Chagas hanno elencato complessivamente 4.290 casi documentati di CD in Europa. La prevalenza più alta registrata era in Spagna con 3.821 casi, seguiti da Svizzera, Italia, e Francia con oltre 100 casi.

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Uno studio epidemiologico [9] condotto in Spagna, che ha utilizzato cartelle di dimissione ospedaliera, ha mostrato un aumento di tredici volte dei ricoveri con diagnosi di CD, tra i periodi 1997-2004 e 2005-2011. Da questa indagine è emerso che i pazienti con CD sono principalmente femmine (74%), con un'età media di 35 anni, mentre la fascia di età più rappresentata (69,8%) è quella dei 16-45 anni. Lo stesso studio ha mostrato che il 23% dei ricoveri è stato caratterizzato da complicazioni d'organo, con il cuore che rappresentava quello più frequentemente colpito (82%).

Nel 2011 è stato pubblicato da Angheben et al. [10] il primo studio epidemiologico italiano sulla prevalenza della malattia di Chagas in Italia. Le stime, aggiornate al 1° gennaio 2008, parlavano di un numero di migranti provenienti da paesi endemici presenti sul territorio nazionale compreso tra

417,493 e 438,656. Sulla base di questi dati, attraverso i tassi di sieroprevalenza per infezione da T. cruzi registrati nei paesi di origine e forniti dalla PAHO, è stato stimato un numero compreso tra 5,902 e 6,572 di migranti infetti da T. cruzi presenti sul suolo italiano. I paesi più rappresentati erano Brasile, Ecuador e Perù.

1.4 Trasmissione

Le cimici vettrici della parassitosi vivono in genere nelle crepe dei muri, dei soffitti o dei pavimenti di case costruite al di sotto di standard qualitativi nelle zone rurali o suburbane. Abitualmente si nascondono durante il giorno e diventano attive durante la notte per cibarsi del sangue degli animali o delle persone. Di solito mordono una zona esposta della pelle e defecano vicino al morso. I parassiti, presenti nelle deiezioni delle cimici, penetrano all’interno dell’organismo quando la persona inavvertitamente, con il grattamento indotto dal morso, trasporta le feci dell'insetto nella ferita provocata dalla cimice, oppure su una mucosa vicina come quella della bocca o la congiuntiva degli occhi. T. cruzi può anche essere trasmesso con frequenza decrescente attraverso:

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• passaggio transplacentare da una madre infetta al suo neonato durante la gravidanza o il parto;

• trasfusioni di emocomponenti;

• alimenti contaminati da feci di triatomine infette;

• trapianto di organi/cellule/tessuti;

• incidenti di laboratorio.[11]

La trasmissione di T. cruzi in paesi in cui il vettore non esiste (paesi non endemici) avviene principalmente attraverso la trasmissione congenita e le trasfusioni di sangue e di emoderivati. [12] Sono in aumento anche nelle aree non-endemiche i casi di infezione per via orale.

da Lancet 2010; 375:1388-402

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1.5 Controllo e prevenzione

Il grande serbatoio di parassiti di T. cruzi negli animali selvatici delle Americhe significa che il parassita non può essere eradicato. Quindi gli obiettivi di controllo sono l'eliminazione della trasmissione e l'accesso precoce all'assistenza sanitaria per la popolazione infetta e malata.

A seconda della zona geografica, l'OMS raccomanda i seguenti approcci alla prevenzione e al controllo:

- irrorazione di case e aree circostanti con insetticidi

- miglioramenti nella costruzione delle abitazioni e nella pulizia delle stesse per prevenire l'infestazione di vettori

- misure preventive personali come le zanzariere

- buone pratiche igieniche nella preparazione, trasporto, stoccaggio e consumo di cibo

- screening dei donatori di sangue

- test di donatori e riceventi di organi, tessuti o cellule

- screening di neonati e altri bambini di madri infette per fornire diagnosi precoce e trattamento

Dagli anni '90 ci sono stati importanti successi nel controllo dei parassiti e dei vettori in America Latina, grazie alle iniziative della Pan American Health Organization (PAHO). Queste iniziative di organismi sovranazionali hanno portato a sostanziali riduzioni nella trasmissione da parte dei vettori domestici. Inoltre, il rischio di trasmissione per trasfusioni di sangue è stato estremamente ridotto attraverso lo screening universale in tutte le banche del sangue dei paesi dell'America Latina e della maggior parte dei paesi europei e del Pacifico occidentale.

Per raggiungere l'obiettivo finale dell'eliminazione della trasmissione della malattia di Chagas e fornire assistenza sanitaria a pazienti infetti/malati, sia in

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paesi endemici che non endemici, l'OMS mira ad aumentare la cooperazione a livello globale e a rafforzare le capacità regionali e nazionali, concentrandosi su:

- rafforzamento della sorveglianza epidemiologica mondiale e dei sistemi di informazione

- prevenire la trasmissione attraverso trasfusioni di sangue e trapianti di organi in paesi endemici e non endemici

- promuovere l'identificazione dei test diagnostici più adeguati per aumentare lo screening e la diagnosi delle infezioni

- espandere la prevenzione primaria della trasmissione congenita e della gestione dei casi di infezioni congenite e non congenite

- promuovere il consenso su un'adeguata gestione dei casi. (www.who.int/fact-sheets/detail/chagas-disease)

1.6 Caratteristiche cliniche e storia naturale della malattia

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Fase acuta

La malattia ha un periodo di incubazione che varia da 7 a 15 giorni nel caso della trasmissione vettoriale e da 30 a 40 giorni nel caso della trasmissione trasfusionale. La fase iniziale acuta dura circa due mesi. Durante questa fase, un elevato numero di parassiti circola nel sangue. La maggior parte dei pazienti è asintomatica o presenta sintomi lievi (95%). Quando (raramente) la malattia è clinicamente evidente, il sintomo principale è la febbre moderata, che può essere accompagnata da cefalea, pallore, mialgia, dispnea, edema generalizzato o localizzato (arti inferiori o viso), dolore addominale, tosse, epatomegalia, rash, splenomegalia, diarrea, linfoadenopatie multiple, miocardite e più raramente meningoencefalite o neuropatia. Nella trasmissione tramite vettore, a seconda del sito di inoculo, il primo segno (patognomonico) può essere una lesione cutanea (chagoma) o un edema orbitale violaceo unilaterale (segno di Romaña) con linfoadenopatie locali che persistono per diverse settimane. La malattia acuta ha una morbilità maggiore nei bambini sotto i 5 anni, negli anziani, nei pazienti immunocompromessi. In questi ultimi la forma cronica della malattia può evolvere in una fase acuta con particolari caratteristiche. Per esempio, nei pazienti con sindrome da immunodeficienza acquisita la meningoencefalite è la manifestazione più frequente con elevata mortalità (non inferiore al 70%).[1]

Fase indeterminata

Dopo la fase acuta l'infezione progredisce solitamente in una fase latente, chiamata "fase indeterminata cronica". Questa fase è caratterizzata dall'assenza di sintomi e lesioni apparenti d'organo, parassitemia bassa e intermittente e sierologia positiva. Può durare per tutta la vita (in circa il 70-80% dei pazienti) o progredire verso la malattia clinicamente evidente dopo decenni.[1]

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da Lancet 2010; 375:1388-402

Fase cronica

Approssimativamente dal 20% al 30% dei pazienti progredirà verso una malattia clinicamente evidente. Fino al 30% dei pazienti soffre di disturbi cardiaci, come anomalie della conduzione, aritmie, cardiomiopatia, insufficienza cardiaca e tromboembolia secondaria. Fino al 15% dei malati ha un coinvolgimento dell'esofago (megaesofago), il 15-20% del colon (megacolon) e meno del 5% soffre di manifestazioni neurologiche (la malattia di Chagas è anche un fattore di rischio indipendente per l'ictus). Sono anche possibili forme miste. Di conseguenza, l'infezione può portare a morte improvvisa, insufficienza cardiaca, acalasia, complicanze intestinali e disabilità neurologica.[1]

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da Lancet 2010; 375:1388-402

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1.7 Diagnosi

La diagnosi di malattia di Chagas si basa su diversi approcci, a seconda della fase dell'infezione e si avvale sia di indagini di laboratorio sia di indagini cliniche e strumentali.

1.7.1 Indagini di laboratorio 1.7.1.1 Fase acuta

Durante la fase acuta dell'infezione da T. cruzi la parassitemia è spesso abbastanza alta da consentire la diagnosi diretta attraverso l'esame microscopico per dimostrare la presenza del parassita nel sangue. In questa fase la diagnosi viene effettuata utilizzando metodi parassitologici diretti o indiretti e grazie anche a metodiche molecolari.

1.7.1.1.1 Metodi parassitologici diretti:

Esame di campioni freschi (Sensibilità <30%): una goccia di sangue dal paziente viene osservata attraverso un microscopio ottico alla ricerca di trypomastigoti mobili. Può essere eseguito in laboratori con risorse minime.[13]

Striscio sottile (Sensibilità <30%): una goccia di sangue dal paziente viene fissata, colorata con Giemsa o altre colorazioni (Romanowsky, Wright) e osservata al microscopio ottico alla ricerca di tripomastigoti. Permette di identificare la morfologia di T. cruzi.[13]

Goccia spessa (Sensibilità 45-50%): una goccia di sangue del paziente viene posta su un vetrino portaoggetti, viene colorata con Giemsa ed osservata al microscopio ottico in cerca di trypomastigoti. Metodo di scelta da utilizzare nelle aree in cui è presente anche la malaria.[13]

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Metodo di Strout (Sensibilità: ~ 95%): si preleva un campione di sangue (5ml) in una provetta senza anticoagulante, si attende la retrazione del coagulo e si aspira il siero. Questo viene centrifugato una prima volta per scartare i globuli rossi non adesi al coagulo, poi una seconda per scartare il sovranatante e concentrare gli elementi parassitari eventualmente presenti. Alcune gocce del siero rimanente vengono poste su un vetrino portaoggetti e osservate al microscopio ottico alla ricerca di trypomastigoti vitali.[13]

Micro hematocrit tubes (MHT) (test del microematocrito) (Sensibilità: 80-90%): un campione di sangue del paziente raccolto in microprovette eparinate viene centrifugato per far sedimentare la frazione eritrocitaria. I parassiti, se presenti, si troveranno nella frazione intermedia tra buffy coat e plasma. Questa verrà osservata al microscopio ottico alla ricerca di trypomastigoti. Può essere eseguito in laboratori con risorse minime ed è particolarmente utile per la diagnosi precoce della malattia di Chagas congenita.[13]

Quality Buffy Coat (QBC®)(Sensibilità: 60-90%): il metodo si basa sul principio della stratificazione a gradiente di densità delle cellule ematiche in capillari da ematocrito dopo centrifugazione, e sulla caratteristica di tutti i microrganismi non normalmente presenti nel sangue di concentrarsi nel buffy coat. L’eventuale presenza dei microrganismi è osservabile grazie al colorante arancio di acridina contenuto nel capillare che li evidenzia in modo caratteristico ed inequivocabile durante l'osservazione del capillare al microscopio a fluorescenza. Presenta una maggiore sensibilità rispetto alla diagnosi diretta tradizionale.

1.7.1.1.2 Metodi parassitologici indiretti:

Xenodiagnosi (XD) (Sensibilità: 95-100%): si basa sull'alimentare triatomine non infette col sangue di un paziente probabilmente infetto da T. cruzi ed esaminare le loro deiezioni al microscopio ottico alla ricerca di epimastigoti e/o tripomastigoti vitali. L’emolinfa e le ghiandole salivari delle triatomine utilizzate devono sempre

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essere rivisti per rilevare l’eventuale presenza di Trypanosoma rangeli, che è morfologicamente simile a T. cruzi ed è spesso causa di risultati falsamente positivi. I principali vantaggi della xenodiagnosi convenzionale, così come l’emocoltura, sono la loro potenzialità di confermare la presenza di T. cruzi vitali e di isolare il parassita. Questa informazione è particolarmente importante per valutare l'efficacia della terapia medica nei casi trattati di malattia di Chagas e per stabilire se l'infezione è guarita o meno.[13] Numerosi studi portano evidenze di come la sensibilità di questo metodo venga considerevolmente aumentata se usata in abbinamento a metodiche molecolari; in particolare in uno studio [14] è stato dimostrato che l’utilizzo della PCR effettuata di seguito alla xenodiagnosi (XD-PCR) aumenta la sensibilità e riduce le tempistiche di diagnosi rispetto alla metodica convenzionale che utilizza la microscopia (XD-M). Si rende dunque utile anche nei casi di diagnosi di malattia cronica.

Emocoltura (Sensibilità: 90-97%): un campione di sangue viene seminato su terreno di coltura di Tobie e si osserva settimanalmente attraverso un microscopio a campo invertito, fino a che il parassita, se presente, viene isolato. Una volta isolato, viene coltivato in terreni liquidi come il Liver Infusion Tryptose (LIT) o il brodo cuore-cervello (BHI). La tecnica è usata per aumentare la concentrazione di

T. cruzi al fine di ottenere antigeni o acidi nucleici che possono essere utilizzati

per la diagnosi sierologica e molecolare, rispettivamente. È particolarmente utile per la diagnosi precoce della trasmissione congenita.[13]

1.7.1.1.3 Metodi molecolari

Polymerase chain reaction (PCR): a partire dagli anni '90, la PCR è stata proposta come metodica molecolare di scelta per il rilevamento dell'infezione da

T. cruzi e il monitoraggio della chemioterapia tripanocida. Nei vari studi intrapresi

le metodiche PCR hanno però rivelato livelli altamente discordanti in termini di sensibilità e specificità, a causa di un numero elevato di variabili tecniche: il volume del campione raccolto, le condizioni di conservazione del campione, i

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metodi utilizzati per isolare il DNA, le sequenze parassitarie e i primer selezionati, i reagenti utilizzati. Inoltre sono stati utilizzati da diversi laboratori bersagli molecolari provenienti da ceppi appartenenti a sei diverse Discrete Typing Units (DTUs) di T. cruzi [15] che presentano sequenze genomiche diverse. Questa estrema variabilità tra i protocolli utilizzati dai vari gruppi di ricerca ha reso il confronto dei risultati ottenuti non attendibile.[16]

Per identificare le metodiche PCR più efficaci, il programma speciale per la ricerca e la formazione nelle malattie tropicali (Special Programme for Research and Training in Tropical Diseases: TDR-WHO) ha sostenuto uno studio comparativo internazionale sulla PCR [17] per il rilevamento di T. cruzi in campioni di sangue periferico. Questo progetto ha messo a confronto 48 procedure PCR contro un pannello in cieco contenente DNA di diversi ceppi di parassiti, campioni di sangue sieronegativi e sangue periferico ottenuto da pazienti sieropositivi. Dopo la valutazione della sensibilità e della specificità, sono stati selezionati i quattro metodi migliori per la standardizzazione e la ripetibilità intra-laboratorio; questi erano tutti basati su sequenze di DNA satellitare (SatDNA) o kinetoplastid DNA (kDNA) altamente ripetitive. Successivamente è stata sviluppata la metodica Real Time PCR che fornisce la possibilità di quantificare la concentrazione parassitaria (qPCR). In seguito alla sua standardizzazione e convalida analitica, sono state utilizzate principalmente le procedure PCR Sybr Green Real Time PCR o duplex TaqMan qPCR dirette al DNA satellitare nucleare (SatDNA) o al DNA cinetoplasto (kDNA), in particolare per il monitoraggio della terapia. La performance delle metodiche è stata studiata anche in relazione ai diversi ceppi genomici di T.cruzi (DTUs) al fine di selezionare il metodo più idoneo da utilizzare nelle regioni geografiche dove è anche diffuso Trypanosoma

rangeli. Questa specie parassitaria mostra infatti sequenze genomiche in comune

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Loop mediated isothermal Amplification (LAMP):

la LAMP è una tecnica di amplificazione di acidi nucleici effettuata a temperatura costante (in isotermia). Diversamente dalla PCR, in cui la reazione viene condotta con una serie di fasi o cicli di temperatura alternata, l'amplificazione isotermica non richiede l’utilizzo di un termociclatore ed è dunque eseguibile in spazi di dimensioni limitate. In questa tecnica, la sequenza target viene amplificata ad una temperatura costante di 60-65 °C utilizzando due o tre set di primer e una DNA polimerasi del Bacillus stearothermophilus (Bst) con alta attività di spostamento dell'elica oltre ad un'attività di replicazione. Il rilevamento del prodotto di amplificazione può essere determinato mediante fotometria per la torbidità causata da una quantità crescente di precipitato di magnesio pirofosfato in soluzione, sottoprodotto dell'amplificazione. Ciò consente una facile visualizzazione anche ad occhio nudo, soprattutto per volumi di reazione più ampi. La reazione può essere seguita in tempo reale misurando la torbidità.[18] I primi studi sull’utilizzo della LAMP nel campo della diagnosi di infezione da T.cruzi risalgono al 2007. [19] Nel 2017 è stata dimostrata la sua efficacia nel porre diagnosi di CD congenita.[20]

In un altro studio del 2017 [21] è stata dimostrata l’elevata concordanza in termini di sensibilità con i risultati forniti dalla qPCR per la diagnosi di infezione da T.

cruzi nei pazienti con malattia acuta, congenita e riattivata in pazienti

immunocompromessi. La LAMP ha mostrato invece una sensibilità inferiore nei casi di malattia di Chagas cronica.

Le tecniche PCR e LAMP sono state recentemente standardizzate e validate e rappresentano allo stato attuale sistemi diagnostici di laboratorio con elevata sensibilità e specificità in grado di migliorare la diagnosi di CD, soprattutto nei seguenti contesti: diagnosi precoce di infezioni congenite, di infezioni a trasmissione trasfusionale, orale, nel monitoraggio della riattivazione in pazienti immunocompromessi e nel follow-up della risposta al trattamento.[22][23]

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1.7.1.2 Fase cronica

Durante la fase cronica della malattia di Chagas, i parassiti si trovano sequestrati all’interno dei tessuti quindi la parassitemia è solitamente non rilevabile e incostante. Metodi parassitologici diretti o molecolari non sono dunque utili nella diagnosi di routine per la scarsa sensibilità, mentre la sierologia è considerata l'opzione migliore.[24]

La diagnosi indiretta di tripanosomiasi americana si pone evidenziando nel siero in esame la presenza di immunoglobuline G (IgG) anti-T. cruzi specifiche rilevabili dalla 4° settimana dall’esposizione.

Rassi et al. 2012

Non essendo disponibile un test standard di riferimento, l’OMS raccomanda che la diagnosi di malattia cronica si basi sulla presenza di IgG contro diversi antigeni di T. cruzi utilizzando almeno due test sierologici diversi, con antigeni differenti. [25]

I test più utilizzati sono l’ELISA, l’immunofluorescenza indiretta (IIFA) e l’emoagglutinazione indiretta (IHA). [26] In caso di risultati discordanti, l'OMS propone di ripetere la sierologia in un nuovo campione e, se i risultati rimangono inconcludenti, dovrebbe essere eseguito un terzo test di conferma. In queste circo-stanze si rendono utili tecniche come il western blot o immuno blot (IB)

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special-mente se utilizzate in paesi dove Leishmania spp. sono endemiche e la probabilità di cross-reattività è alta. [27]

Gomes et al. 2009

Le raccomandazioni dell’OMS [25] suggeriscono che un singolo test ELISA è suf-ficiente per lo screening di infezione, e una conferma sierologica si rende necessa-ria solo in caso di risultato positivo. Test diagnostici rapidi (RDTs) come l’immu-nocromatografia (ICT) con antigeni ricombinanti [28] sono una buona opzione al-ternativa da utilizzare ad esempio presso i PoC (Point of Care) per i pazienti che abitano in zone endemiche isolate, con difficoltoso accesso alle strutture sanitarie principali o ogni qualvolta si renda necessario effettuare un test di massa.

1.7.1.2.1 Metodi sierologici indiretti

Enzyme-linked immunosorbent assay (ELISA): il siero o plasma in esame vie-ne introdotto in un micropozzetto di una micropiastra le cui pareti sono state ad-sorbite con antigeni di T. cruzi (da lisato dei parassiti o ricombinanti). Se

(24)

l’anti-corpo è presente nel campione si formeranno dei complessi antigene-antil’anti-corpo sulle pareti del pozzetto. Dopo un lavaggio, si aggiunge nel pozzetto una soluzio-ne contesoluzio-nente anticorpi monoclonali murini, specifici per Ig umasoluzio-ne, coniugati con un enzima (perossidasi di rafano, per es.). Durante l’ incubazione gli Ab monoclo-nali coniugati si legheranno agli eventuali complessi Ag-Ab sulle pareti del poz-zetto. Dopo un ulteriore lavaggio si aggiunge un substrato specifico dell’enzima (H2O2) ed un cromogeno e se il siero contiene anticorpi anti-T. cruzi si verifica

una reazione colorimetrica la cui intensità può essere misurata attraverso uno spet-trofotometro (assorbanza). L’intensità del colore è direttamente proporzionale alla quantità di anticorpi presenti nel siero.

Immunofluorescenza indiretta (IIFA): un campione di siero del paziente viene posizionato in uno dei micropozzetti presenti su un particolare vetrino portaoggetti le cui pareti sono rivestite di antigeni corpuscolati di T. cruzi (epimastigoti). Se il siero contiene anticorpi anti-T. cruzi si formano immunocomplessi Ag-Ab. Questi ultimi vengono rilevati aggiungendo un secondo anticorpo marcato con isotiocianato di fluoresceina, la cui attività può essere osservata attraverso un microscopio a fluorescenza. Può verificarsi una cross-reattività con Leishmania spp o Trypanosoma rangeli (falsa positività).[13]

Emoagglutinazione indiretta (IHA): eritrociti di montone sensibilizzati con antigeni di T. cruzi interagiscono con anticorpi anti-T. cruzi eventualmente presenti nel siero in esame. Ciò causa una reazione di emoagglutinazione che può essere osservata ad occhio nudo. I test di IHA sono raramente utilizzati nei paesi endemici a causa della loro bassa specificità e sensibilità.[25]

Immunoblot (IB): antigeni di T. cruzi, dopo la separazione mediante elettroforesi su gel di poliacrilamide, in presenza di sodio dodici-solfato, che permette la separazione delle proteine sulla base del peso molecolare, vengono trasferiti, mediante blotting, sulla superficie della membrana di nitrocellulosa, che viene poi ritagliata in strisce. Ciascun campione di siero da analizzare viene incubato

(25)

separatamente con una striscia. Gli anticorpi anti-Trypanosoma, se presenti nel campione, si legano in modo selettivo agli antigeni di T. cruzi. Successivamente, dopo opportuni lavaggi, si aggiungono anticorpi anti-IgG umane coniugate con fosfatasi alcalina. Segue incubazione per la facilitare il legame dell’eventuale immunocomplesso con l’anticorpo secondario. Quindi, dopo ulteriori lavaggi, si aggiunge il substrato (4-cloro-1-naftolo, per es.). Gli anticorpi coniugati agli immunocomplessi eventualmente formati reagiscono con il substrato sviluppando colore. Gli antigeni riconosciuti dagli anticorpi anti-Trypanosoma di classe IgG presenti nel campione vengono quindi colorati in blu.

Immunocromatografia (ICT): Il test ICT è un test rapido di screening a tecnica immunocromatografica per il rilevamento di anticorpi anti-Trypanosoma cruzi. Può essere utilizzato con siero o sangue intero. Il metodo impiega un antigene ricombinante composto da un totale di 9 diversi epitopi.

Un campione di siero viene deposto sulla zona assorbente presente ad una estremità della striscia test di nitrocellulosa. Se il siero contiene anticorpi anti-T.

cruzi questi si legheranno ad una proteina coniugata all’oro colloidale presente

nella zona assorbente. Questo complesso inizia a scorrere lateralmente, per capillarità, attraverso la membrana di nitrocellulosa legandosi all’antigene di T.

cruzi immobilizzato nella fase solida nella zona di test producendo una banda

colorata. In assenza di anticorpi anti-T. cruzi non si formerà una banda colorata nella zona di reazione. Il liquido continua a migrare lungo la membrana e produrrà un’altra banda colorata nella zona di controllo a dimostrazione che i reagenti funzionano correttamente.

(26)

Chemiluminescent immunoassay (ChLIA): microsfere rivestite con antigeni ricombinanti di T. cruzi (FP3, FP6, FP10 e TcF) sono incubate con il campione (plasma, siero) nel pozzetto di incubazione. Durante l'incubazione, anticorpi

anti-T. cruzi, eventualmente presenti nel campione, si legano agli antigeni. Terminata

l’incubazione, la miscela di reazione viene trasferita sulla matrice di fibra di vetro del vassoio di reazione. Una miscela con anticorpi murini anti-Ig umane coniugate con CPSP-acridinio viene aggiunta alle microparticelle sulla matrice. Segue una seconda fase di incubazione affinché si formi un legame con gli anticorpi verso T.

cruzi eventualmente presenti. Il segnale chemiluminescente è generato dalla

reazione tra il coniugato e una soluzione alcalina di perossido di idrogeno che viene aggiunta. Dalla reazione si sviluppano fotoni che vengono misurati da un sistema ottico. La quantità di luce emessa è proporzionale alla quantità di anticorpi anti-T. cruzi presenti nel campione.

Radioimmunoprecipitationassay (RIPA): microsfere sensibilizzate con antigeni di superficie di T. cruzi radiomarcati con I125 precipitano in seguito al legame con

anticorpi anti-T. cruzi eventualmente presenti nel siero campione. Vengono successivamente separati elettroforeticamente in bande di cui si misura la radioattività. Questo metodo, grazie ai suoi elevati livelli di sensibilità e specificità, è stato usato in diversi studi effettuati negli Stati Uniti come test di conferma per la dimostrazione di anticorpi anti-T. cruzi nel siero dei donatori. Sfortunatamente la metodica risulta difficilmente applicabile nella routine dei centri trasfusionali per lo screening dei donatori a rischio a causa dell’elevato costo dei reagenti, dell’utilizzo di Iodio radioattivo I125 e delle lunghe tempistiche

di realizzazione. [29]

1.7.2 Diagnosi clinica

Il paziente che arriverà all’attenzione del medico con sintomi e anamnesi sospetti per infezione cronica da T. cruzi dovrà in primis essere sottoposto ad esami laboratoristici e in caso di positività ad una serie di accertamenti strumentali utili per la stadiazione della malattia.

(27)

Nel sospetto di cardiopatia di Chagas sarà utile far eseguire al paziente: radiografie del torace (cardiomegalia con o senza versamento), elettrocardiogramma (aritmie e blocchi), ecocardiogramma (microaneurismi, fibrosi, diminuzione della contrattilità e frazione di eiezione anormale), risonanza magnetica (RM) (anomalie strutturali) e scintigrafia.[30][31]

Per diagnosticare la malattia esofagea di Chagas saranno utili radiografie del torace e dell'addome, la manometria esofagea e la panendoscopia. Per diagnosticare l’interessamento del colon saranno utili colonscopia e radiografia con clistere di bario.[30][31]

Per diagnosticare la meningoencefalite di Chagas in pazienti affetti da AIDS, vengono usualmente richieste: una TC del cranio (singole o multiple aree ipodense con edema perilesionale ed un effetto massa con spostamento della linea mediana), biopsia cerebrale (diffusa encefalite multifocale, necroemorragica con angite obliterante e amastigoti in cellule gliali, macrofagi e cellule endoteliali) e puntura lombare.[32]

1.8 Terapia

La terapia dalla tripanosomiasi americana si avvale dell’uso di due farmaci, il benznidazolo e il nifurtimox. Sono composti molto attivi nei confronti delle forme ematiche del parassita, ma anche molto tossici. Oltre il 60% dei pazienti soffrono di effetti collaterali (anoressia, nausea, vomito, polineurite periferica e più raramente soppressione midollare). Più del 15% dei pazienti non è in grado di terminare il ciclo terapeutico. I soggetti giovani tollerano meglio dosi elevate del farmaco; con un trattamento precoce delle forme acute infantili o delle infezioni congenite si ottiene infatti circa il 70% di guarigioni. Il successo terapeutico nelle forme croniche è invece purtroppo molto basso, circa il 30%. Terapie mediche di supporto sono necessarie per la gestione delle cardiopatie croniche secondarie all’infezione. In alcuni casi si rende necessario il trapianto cardiaco, mentre per le forme intestinali bisogna talvolta ricorrere a ricostruzioni chirurgiche.[1]

(28)

1.9 Malattia di Chagas trasmessa tramite trasfusioni (TT-CD)

1.9.1 Evidenze di trasmissibilità e strategie di controllo delle donazioni

Le caratteristiche naturali della malattia e del parassita determinano l’elevato rischio di trasmissibilità dell’infezione attraverso trasfusioni di emocomponenti:

- la storia naturale della malattia con una fase acuta spesso aspecifica e una fase “indeterminata” asintomatica determina la potenziale presenza di un elevato numero di persone infette (e di potenziali donatori) spesso inconsapevoli del loro status di portatore;

- una parassitemia di basso livello può essere rilevata diversi anni dopo l'infezione fino al 50% delle persone infette;

- il parassita è in grado di sopravvivere alle condizioni di conservazione della componenti ematiche labili (4°C-22°C) e resiste anche al congelamento e allo scongelamento.[33]

Quindi sangue intero (WB), globuli rossi concentrati (RBCs), granulociti (WBCs), plasma fresco congelato (PL) e piastrine (PLTs) sono tutti in grado di trasmettere la malattia, ma non gli emoderivati plasmatici.[33]

Le strategie di controllo delle donazioni, attuate dai sistemi sanitari nazionali secondo le raccomandazioni OMS, sono diverse tra paesi endemici e non-endemici. [22]

1.9.1.1 Aree endemiche

Nelle aree endemiche, la selezione dei donatori non è fattibile data l’elevata diffusione dell’infezione; un test sierologico viene quindi effettuato su tutte le donazioni di sangue.[34] Se l’esito del test è positivo il donatore viene escluso definitivamente dalle donazioni. La prevenzione della trasmissione di malattia tramite trasfusioni si avvale anche del trattamento del sangue con agenti tripanocidi.[22]

(29)

Nei paesi endemici in seguito a programmi adottati negli anni ’90 volti a ridurre la trasmissione vettoriale di T. cruzi, la trasfusione di sangue è diventata la principale causa di infezione in molte aree. Lo screening obbligatorio degli emoderivati è iniziato in molti paesi dell'America Latina nel 1988, e nel 2005 la copertura di screening al 100% era stata raggiunta in 12 di questi paesi, con altri due paesi che raggiungevano il 99% di copertura. In Brasile, la percentuale di donatori di sangue che hanno la malattia di Chagas è diminuita di dieci volte nei venticinque anni successivi al 1980, dal 4% allo 0,4%. Questi sforzi hanno portato alla prevenzione di milioni di nuove infezioni. [3]

1.9.1.2 Aree non endemiche

Nei paesi non endemici il numero di donatori a rischio di infezione da T.cruzi è inferiore. La protezione delle donazioni di sangue nei centri trasfusionali si basa, in primo luogo, sulla compilazione di un questionario generale. All’interno di questo vengono poste agli aspiranti donatori domande specifiche per valutare il rischio di esposizione all’infezione da T. cruzi:

- Loro, la loro madre o la loro nonna materna sono nati nei paesi del Sud America o dell'America Centrale (incluso il Messico meridionale)?

- Hanno subito una trasfusione di sangue o un trapianto di organo in questi paesi? - Hanno vissuto e/o lavorato in comunità rurali in questi paesi per un periodo continuativo di almeno 28 giorni?

Una volta identificato il soggetto a rischio esistono due diversi tipi di approccio:

[35]

- esclusione definitiva dei donatori che riconoscono di aver avuto la malattia o che sono a rischio di essere portatori.

- selezione tramite screening del donatore/donazione: vengono accettate donazioni da individui a rischio, a condizione che si ottenga un risultato negativo in un test anticorpale validato.

(30)

In Europa la seconda opzione si sta progressivamente estendendo nei paesi dove è presente un numero consistente di migranti provenienti dai paesi endemici; il Regno Unito è stato il primo ad introdurre nel 1998 lo screening sistematico delle donazioni di sangue a rischio per malattia di Chagas tramite l’utilizzo di un questionario e di un test sierologico per la ricerca di IgG anti T. cruzi. Spagna e Francia hanno seguito l’esempio rispettivamente nel 2005 e nel 2009. La Svizzera ha cambiato le sue direttive a riguardo nel gennaio del 2013.[2] Il Belgio nell’autunno del 2013.[36]

L’ Italia ha aggiornato la legge che regola la qualità, la sicurezza delle donazioni di sangue, dei tessuti e delle cellule nelle banche del sangue, con il decreto del Ministero della Salute del 2 novembre 2015 (I.219, D.M. 02/11/2015). La legge, all’interno dei criteri di esclusione temporanea del donatore per le malattie infettive, si esprime in questo modo circa la malattia di Chagas:

“I soggetti nati (o con madre nata) in Paesi dove la malattia è endemica, o che sono stati trasfusi in tali Paesi, o che hanno viaggiato in aree a rischio (rurali) e soggiornato in condizioni ambientali favorenti l’infezione (camping, trekking) possono essere ammessi alla donazione solo in presenza di un test per anticorpi anti-Tripanosoma cruzi negativo.”

Antecedentemente questa data, nei centri trasfusionali italiani, il comportamento da tenere nei confronti dei donatori a rischio di infezione per T. cruzi faceva riferimento alle direttive della Commissione europea 2004/33/CE e 2006/17/CE approvate dall'UE. In queste direttive, che allo stato attuale vengono ancora applicate in molti paesi europei, si parla di infezione nota da T. cruzi come criterio di esclusione per la donazione di sangue, ma non viene specificato quali misure devono essere prese per quei donatori che si sono potenzialmente esposti all'infezione da T. cruzi e che non hanno ancora effettuato un test anticorpale.[2] Nella pratica quotidiana tale incertezza delle raccomandazioni si traduce in una esclusione dalle donazioni dei donatori potenzialmente esposti all’infezione senza che essi vengano sottoposti ad un test anticorpale, atteggiamento che si traduce ovviamente in una perdita consistente di potenziali donatori.

(31)

In Svezia al momento non è stato adottato uno screening sistematico dei donatori a rischio per T. cruzi, ma tutti gli individui che hanno vissuto più di cinque anni nei paesi endemici della malattia di Chagas (indipendentemente dal fatto che vi siano nati o meno) sono sistematicamente esclusi dalla donazione.[37]

In due studi [38] è stato dimostrato che lo screening selettivo per T. cruzi è una strategia conveniente da un punto di vista di spesa sanitaria ed ha una efficacia quasi pari allo screening assoluto di tutti i donatori ma ad un costo minore.[39] Questo risultato è in accordo con una linea guida redatta nel 2015 dal European Directorate for the Quality of Medicines & HealthCare (EDQM) del Council of Europe dal titolo "Guide to preparation Use and Quality Assurance of Blood Components” (18°ed.) che raccomanda specificamente l'esecuzione di un test validato per l'infezione da T. cruzi in donatori nati o trasfusi in aree in cui la malattia è endemica.[2]

Nonostante le evidenze a favore di uno screening sistematico dei donatori a rischio in termini di sicurezza, di spesa ed anche di guadagno (non perdita) di donatori di sangue, ad oggi, dentro i confini del continente europeo, non è presente una omogeneità di comportamento nei confronti della prevenzione della TT-CD.

1.9.2 Epidemiologia della TT-CD

Il primo caso di malattia di Chagas trasmessa tramite trasfusioni è stato riconosciuto nel 1952.[40] Successivamente sono stati documentati altri casi di TT-CD e si stima che negli ultimi decenni si siano verificati tra i 300 e gli 800 casi in tutto il mondo.[41]

Una recente revisione sistematica descrive 20 casi di TT-CD riportati in Nord America e Spagna tra il 1987 e il 2011 tutti correlati a concentrati piastrinici (PLT) raccolti tramite aferesi o derivati da sangue intero, alcuni dei quali erano addirittura leucodepleti e irradiati.[42] In un recente studio è stato dimostrato che la concentrazione di T. cruzi nei concentrati piastrinici è cinque volte più alta rispetto al sangue periferico intero e anche dopo la leucodeplezione (procedura che riduce la concentrazione dei parassiti), un numero non trascurabile di parassiti

(32)

vitali persiste in questo emocomponente.[43] Questo risultato è stato attribuito alle dimensioni e al peso specifico di T. cruzi, che è molto simile a quella delle piastrine e dei leucociti. Pertanto, durante la lavorazione del sangue intero per ottenere i componenti del sangue, T. cruzi si concentra nella frazione piastrinica e leucocitaria (buffy coat), piuttosto che nella frazione di plasma. La maggior concentrazione parassitaria riscontrata nei componenti piastrinici, rispetto al plasma e al sangue intero periferico raccolto da donatori di sangue infetti, spiegherebbe quindi il rischio più elevato di trasmissione della CD associata alle trasfusioni di piastrine.[44]

Lo stesso gruppo di ricercatori, in un altro studio, utilizzando la metodica qPCR, ha dimostrato che le emazie concentrate (RBCs) risultano essere il secondo emocomponente con la concentrazione più alta di parassiti tra i prodotti del sangue ma, in questo caso, la leucodeplezione mediante filtrazione elimina virtualmente il rischio di infezione da T. cruzi. Vi è dunque un notevole rischio di TT-CD associata a RBCs non sottoposte a leucodeplezione. Questo potrebbe forse spiegare un caso riconosciuto di TT-CD avvenuto in Belgio, in cui un donatore infetto ha trasmesso l'infezione ad un bambino di 7 anni mediante trasfusione di RBCs, sfortunatamente pochi mesi prima che fosse introdotto il protocollo di screening sistematico dei donatori a rischio (autunno 2013).[36]

In questo case report, tuttavia, non si menziona se le RBCs fossero state sottoposte a leucodeplezione prima della trasfusione.

La probabilità di trasmettere l’infezione da T. cruzi tramite trasfusioni dipende comunque da diversi fattori oltre al tipo di emocomponente trasfuso: la quantità di sangue trasfuso, la capacità infettiva del parassita presente in ciascun componente del sangue, la presenza di parassitemia al momento della donazione, la forma parassitaria presente nella donazione, lo stato immunitario del ricevente e l’efficacia del test di screening.[2] E’ stato stimato che l’infezione venga trasmessa in media al 20% (range 0-40%) dei riceventi una trasfusione di sangue contenente il parassita. [41]

In recenti studi, condotti in diversi paesi europei, sono stati calcolati i tassi di sieroprevalenza di infezione da T. cruzi nei donatori di sangue. I valori ottenuti si

(33)

sono mostrati piuttosto eterogenei variando dallo 0,62%-1,91% in Spagna, 0,31% in Francia, 0,04%-0,08% in Svizzera, 0-3,9% in Italia, 0,007% nel Regno Unito e 0% nei Paesi Bassi.[45]

1.9.3 Screening dei donatori a rischio per infezione da Tripanosoma cruzi: test di laboratorio utilizzati nella pratica della medicina trasfusionale.

Il donatore a rischio di infezione da T.cruzi è verosimilmente un soggetto nella fase indeterminata cronica di malattia, asintomatico e ignaro di essere portatore di infezione. In questa fase di malattia la concentrazione del parassita nel sangue è solitamente bassa e intermittente, quindi i metodi diagnostici parassitologici diretti (QBC®, metodo di Strout, MHC) perdono di sensibilità. Le tecniche molecolari come PCR e LAMP non hanno ancora dimostrato una sufficiente sensibilità per essere considerati un metodo di screening per la selezione di donatori a rischio. Le metodiche più sensibili per la diagnosi di malattia di Chagas in fase cronica sono quelle sierologiche, basate sulla rilevazione di specifici anticorpi IgG anti-T.

cruzi.

Per certificare l'idoneità alla trasfusione di un'unità di sangue l’OMS ritiene suffi-ciente l’esecuzione di un singolo test sierologico.[25]

In svariati studi [46][47] sono stati messi a confronto la sensibilità e la specificità di vari saggi sierologici che utilizzano procedure e antigeni differenti. La sensibilità del test ELISA si è dimostrata superiore rispetto a quella di altri test e si è concluso che questa tecnica sarebbe la più appropriata per lo screening di infezione da T. cruzi. [48]

Esistono in commercio numerosi kit ELISA per la diagnosi di infezione da T.

cruzi che utilizzano sia antigeni nativi (test convenzionali), ottenuti da un lisato

del parassita, sia antigeni ricombinanti (test non-convenzionali).

Il principale vantaggio dei test ELISA basati su antigeni ricombinanti è che minimizzano i problemi di specificità: in zone endemiche, sieri di individui positivi ad altre infezioni co-endemiche come la leishmaniosi o afflitti da alcune malattie autoimmuni possono avere reazioni crociate con preparati di antigeni nativi di T. cruzi portando a risultati falsamente positivi. D’altro canto i test

(34)

ELISA che impiegano antigeni naturali da lisato parassitario presentano una sensibilità migliore rispetto ai test basati su antigeni ricombinanti. [49]

I Centri Trasfusionali devono dare la precedenza alla sensibilità dei test al fine di ridurre al minimo il rischio di raccogliere e trasfondere emocomponenti infetti da

T. cruzi.[50]

Dunque un test ELISA convenzionale, basato su antigeni da lisato, sembra la scelta migliore come test di screening dei donatori a rischio.

Anche Angheben, nella sua review del 2015 [2] conclude che “il test ELISA rimane lo strumento ideale per lo screening, in particolare nei centri trasfusionali.” Gli altri test sierologici, valutati per lo screening dei donatori a rischio, hanno mostrato rispetto ai test ELISA performance diagnostiche inferiori e problemi gestionali; i test di emoagglutinazione indiretta (IHA) sono raramente utilizzati a causa della loro bassa specificità e sensibilità [2], ed è stato concluso che “la maggior parte dei test disponibili in commercio non deve essere utilizzata per lo screening dei donatori di sangue”. [25]

Il test di immunofluorescenza IFA è una tecnica dipendente dall'operatore, con difficoltà nell'interpretazione, ed è quindi utilizzato solo in centri con molta esperienza. [2]

I test immunocromatografici (ICT) sono test diagnostici rapidi (RDT) hanno dalla loro parte una più facile e rapida esecuzione, possono essere utilizzati in qualunque parte del mondo, in strutture sanitarie con pochissime risorse (Point of Care: PoC), ma in alcuni studi hanno mostrato avere una sensibilità inferiore rispetto ai test ELISA. [48]

Anche i ricercatori dell’Ospedale Negrar in due recenti studi [51][52], di cui uno da poco sottomesso, hanno analizzato le prestazioni dei test rapidi concludendo che, a causa della loro bassa sensibilità (82,8%, 89,7%), non possono essere raccomandati come test di screening, in modo particolare in contesti non-endemici, a basso rischio di infezione.

In caso di positività al test di screening, in accordo con le raccomandazioni dell’OMS, la sieropositività del campione deve essere confermata con un secondo test sierologico che utilizzi una metodica e un antigene diverso dal primo. In caso

(35)

di risultato discordante tra il primo e il secondo test, l’OMS raccomanda di eseguire un terzo test o test di conferma. Alcuni saggi sierologici si sono rivelati particolarmente affidabili per poter rivestire il ruolo di test di conferma.

Il RIPA (radioimmunoprecipitation assay) è stato impiegato in svariati studi [29] negli Stati Uniti come test di conferma su sieri di donatori di sangue. Ha mostrato eccellenti prestazioni in termini di sensibilità e specificità (100%) ma, a causa della laboriosità della metodica e del costo dei reagenti, rimane una metodica confinata ai centri di ricerca e ai centri di riferimento per malattie parassitarie degli Stati Uniti.

Il TESA-blot è un test immuno blot che utilizza l’antigene escretorio-secretorio di

T. cruzi. Umezawa et al. Nel 1996 [53] hanno dimostrato che il TESA-blot ha una

sensibilità del 100% e mostra anche una ottima specificità non manifestando cross-reattività nei casi di leishmaniosi. La metodica al momento è disponibile in commercio soltanto in America Latina a causa della mancanza del marchio CE necessario per l’utilizzo in Europa in laboratori diagnostici.[2]

La migliore opzione disponibile in commercio (l’unico al momento) come test di conferma in Europa e utilizzabile nella pratica della medicina trasfusionale è il Western Blot (WB) LDBIO che utilizza 5 differenti antigeni di T. cruzi.

In conclusione Angheben, in linea con le raccomandazioni dell’OMS, suggerisce la tipologia dei test sierologici da utilizzare per lo screening e la diagnosi di infezione da T. cruzi presso i vari centri sanitari:

- gli ospedali di riferimento, che possiedono un centro trasfusionale e centri di chirurgia dei trapianti, dovrebbero utilizzare un test ELISA ad elevata sensibilità come test di screening.

- i centri di riferimento per malattie parassitarie dovrebbero utilizzare, per porre diagnosi di CD, due test ELISA in parallelo (possibilmente convenzionale e non) e, come test di conferma, uno a scelta tra WB, TESA-blot, IFA.

(36)

1.9.4 Strategie alternative all’esclusione/screening dei donatori per la sicurezza trasfusionale

Negli ultimi decenni sono state studiate e applicate diverse strategie di riduzione degli agenti patogeni (Pathogen Reduction: PR) allo scopo di ridurre il rischio di trasmissione trasfusionale di infezioni. La maggior parte dei metodi di PR disponibili si basa sulla rottura fisico-chimica degli elementi strutturali dei patogeni (virus, batteri, parassiti) o sulla modificazione fotochimica degli acidi nucleici per prevenirne la replicazione.[54] I primi metodi di PR messi a punto basati sull’utilizzo di agenti solventi, blu di metilene, agenti alchilanti, hanno variamente mostrato effetti negativi come eventi avversi acuti post-trasfusione, scarsa efficacia, tossicità.

Più recentemente è stato brevettato un sistema che utilizza riboflavina (vitamina B2) in associazione ai raggi UV per indurre danni negli agenti infettivi contenenti acidi nucleici (Mirasol® Pathogen Reduction Technology). L'esposizione ai raggi

UV attiva irreversibilmente la riboflavina che, se associata agli acidi nucleici (DNA e RNA) ne causa un'alterazione chimica dei gruppi funzionali rendendo in tal modo i patogeni incapaci di replicarsi. La sicurezza e l’efficacia di questo sistema per il trattamento del plasma e dei concentrati piastrinici è stata dimostrata ampiamente e a tale scopo viene al momento utilizzato di routine in 50 centri di raccolta sangue nel mondo. Successivamente sono stati impiegate risorse volte ad estendere l’utilizzo della metodica al sangue intero e a tutti i gli emocomponenti. A tal fine sono stati condotti studi preclinici su modelli animali sia in vivo che in

vitro per valutare l’efficacia del sistema nel ridurre la concentrazione dei patogeni,

del numero dei globuli bianchi trasfusi, per valutare gli effetti del trattamento sulla qualità degli emocomponenti, la tossicità della riboflavina e dei suoi fotoprodotti. In particolare, il sistema Mirasol® ha mostrato avere una capacità di ridurre la

concentrazione di T. cruzi presente nei campioni di sangue intero di un valore uguale o superiore a 3.5 logaritmi.[54] Ha inoltre mostrato avere la stessa efficacia dell’irradiazione  utilizzata allo scopo di inattivare i leucociti residui contenuti nelle sacche di emocomponenti da trasfondere per prevenire la

(37)

sangue intero trattato col metodo Mirasol® hanno soddisfatto gli standard

qualitativi. Infine hanno avuto esito positivo le verifiche sulla tossicità cellulare e sistemica, sulla neoantigenicità e la emocompatibilità.

E’ stato recentemente dimostrato, attraverso una sperimentazione clinica in un paese ad endemia malarica (Ghana), che la tecnologia Mirasol® basata su

riboflavina e luce UV riduce il rischio di malaria trasmessa tramite trasfusioni di sangue intero.[55]

Il sistema Mirasol® ha ricevuto da poco il marchio CE che autorizza il suo utilizzo

per le trasfusioni di sangue intero, un significativo passo avanti nel garantire sicurezza delle scorte di sangue nelle situazioni in cui la trasfusione di sangue intero è la norma (principalmente a causa delle scarse risorse disponibili), come nei paesi dell'Africa sub-sahariana e negli scenari di guerra.[56]

Idealmente, tutte le componenti ematiche labili dovrebbero essere trattate con PR per garantire trasfusioni sicure. In questa ottica sono in corso studi per migliorare e standardizzare le procedure di derivazione di emocomponenti da unità di sangue intero trattate col sistema Mirasol®.

(38)

2 OBIETTIVI DELLA TESI

Gli obiettivi specifici di questo lavoro sono stati:

1. raccogliere ed elaborare i dati emersi dallo screening dei candidati donatori di sangue afferenti ai Centri Trasfusionali della Regione Toscana Nord Ovest risultati a rischio per infezione da T. cruzi;

2. confrontare i dati epidemiologici ottenuti (percentuale dei donatori a rischio sul totale dei donatori, sieroprevalenza nei donatori a rischio, stima di CD cronica), con quelli nazionali ed europei pubblicati in letteratura;

3. saggiare i sieri dei candidati donatori risultati positivi allo screening e un numero prestabilito di sieri di pazienti affetti da Chagas in fase cronica con diversi metodi sierologici, al fine di individuare le metodiche più idonee per lo screening dei donatori a rischio da un lato e per il percorso diagnostico per CD cronica dall'altro. Per realizzare questo obiettivo ci si è avvalsi della collaborazione con il Laboratorio del Centro delle Malattie Tropicali dell’Ospedale "Sacro Cuore Don Calabria" di Negrar, provincia di Verona (CMT di Negrar);

4. proporre un nuovo iter per lo screening dei donatori di sangue e per la diagnosi di malattia di Chagas in fase cronica.

(39)

3 MATERIALI E METODI

3.1 Campioni dei candidati donatori di sangue

Nel periodo dal 15/02/2016 al 31/10/2018, 1918 candidati donatori di sangue provenienti dai Centri Trasfusionali (CT) dell'Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana (AOUP) e della Azienda Usl Toscana Nord Ovest delle province di Pisa, Lucca, Livorno e Massa Carrara sono stati ritenuti a rischio di infezione da T.

cruzi, dopo aver compilato, in sede di donazione, un questionario specifico. Per

essere considerati a rischio di infezione da T. cruzi i candidati donatori hanno risposto in maniera pertinente ad almeno una delle seguenti domande contenute nel questionario, come stabilito dal Decreto del Ministero Della Salute del 02/11/2015:

- E’ nato, ha vissuto, vive o ha viaggiato all’estero? Se sì, in quale/i paese/i? - I suoi genitori sono nati in paesi dall’America centrale, dell’America del sud o in Messico?

Ciascun donatore ritenuto a rischio di infezione da T. cruzi è stato sottoposto a prelievo venoso al fine di ottenere un campione di sangue in provette da siero con gel separatore o con granuli attivanti la coagulazione. La frazione sierosa è stata ottenuta tramite separazione per centrifugazione.

I campioni di siero raccolti sono stati saggiati con la metodica sierologica ICT, utilizzato presso l’azienda AOUP come test di screening.

Sui campioni risultati positivi allo screening è stata approfondita l’indagine diagnostica: in ottemperanza alle raccomandazione dell’OMS sulla diagnosi di CD cronica, i sieri sono stati saggiati con un secondo test, il ChLIA. In caso di risultato discordante dal primo test, i campioni sono stati saggiati con un terzo test, l’IB, utilizzato come test di conferma. I sieri risultati positivi allo screening sono stati saggiati anche con due differenti test ELISA a fini di ricerca.

Di seguito, viene riportata la tabella nella quale sono rappresentati il numero di candidati donatori a rischio per centro trasfusionale:

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Tabella 1 Donatori a rischio sottoposti a screening divisi per anno e per CT Provincia di

appartenenza del CT 2016 2017 2018 Totale

Livorno 148 78 47 273 Lucca 148 126 60 334 Massa-Carrara 167 201 160 528 Pisa 70 29 96 195 Viareggio 463 66 59 588 Totale 996 500 422 1918

Nota: periodo fino al 31/10/2018

3.2 Campioni di controllo

Al fine di valutare e confrontare le sensibilità e specificità delle 5 metodiche sierologiche utilizzate nello studio, sono stati saggiati 10 campioni di controllo a contenuto noto (9 positivi, 1 negativo) con ciascuna metodica.

I sieri controllo sono stati prelevati, dopo che avevano sottoscritto un modulo di consenso, da 10 persone originarie della Bolivia. I campioni di siero sono stati etichettati con codici non abbinabili alle generalità della persona, in modo da garantirne la privacy. La positività di 9 campioni è stata definita dall’aver ottenuto un risultato positivo in due differenti test ELISA per la ricerca di anticorpi anti-T.

cruzi. Il campione negativo è stato definito tale dopo essere risultato negativo in

entrambi i test ELISA effettuati.

I campioni di controllo sono stati forniti dal Centro delle Malattie Tropicali dell’Ospedale "Sacro Cuore Don Calabria" di Negrar, provincia di Verona (CMT di Negrar).

3.3 Caratteristiche e procedure dei test utilizzati ICT: Chagas Quick Test, Cypress Diagnostics, Belgium.

Il test ICT è un test rapido di screening a tecnica immunocromatografica per il rilevamento di anticorpi anti-T. cruzi. Può essere utilizzato con siero o sangue intero. Il metodo impiega un antigene ricombinante composto da un totale di 9 diversi epitopi.

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Una piccola aliquota di siero (10µl) viene deposta sulla zona assorbente presente ad una estremità della striscia test di nitrocellulosa, seguita da 4 gocce di soluzione buffer. Se il campione contiene anticorpi anti-T. cruzi questi si legheranno al sito di legame di una proteina coniugata all’oro colloidale presente nella zona assorbente. Questo complesso inizia a scorrere lateralmente attraverso la membrana di nitrocellulosa legandosi all’antigene di T. cruzi immobilizzato nella fase solida nella zona di test producendo una banda rossa. In assenza di anticorpi anti-T. cruzi non si formerà una banda colorata nella zona di reazione. Il liquido continua a migrare lungo la membrana e produrrà una banda rossa nella zona di controllo a dimostrazione che i reagenti funzionano correttamente.

Il test impiega circa 30 minuti per fornire il risultato. Il campione è considerato positivo se oltre alla banda di controllo è presente una banda colorata nella zona test della striscia. In presenza della sola banda di controllo il test viene considerato negativo. Se nessuna banda è visualizzabile, il test non è valido quindi va ripetuto. Il test ICT è stato utilizzato come test per lo screening dei campioni di siero dei candidati donatori di sangue considerati a rischio di infezione da T. cruzi. E’ stato eseguito presso il Laboratorio di Parassitologia della Sezione Dipartimentale di Microbiologia Universitaria dell'Azienda Ospedaliero Pisana, ed. 200B Ospedale di Cisanello, Pisa.

ChLIA: Architect System Chagas, Abbott, Germany.

Il test, automatizzato, impiega 4 antigeni ricombinanti di T. cruzi: FP3, FP6, FP10 e TcF.

Microparticelle rivestite con gli antigeni ricombinanti vengono incubate con 100µl di siero ed il liquido diluente nel pozzetto di incubazione. Durante l'incubazione, anticorpi anti-T. cruzi eventualmente presenti nel campione si legano agli antigeni presenti sulle microparticelle. Segue una fase di lavaggio per allontanare gli eventuali anticorpi non legati. Successivamente viene aggiunta una miscela con anticorpi murini anti-Ig umane coniugate con CPSP-acridinio. Segue una seconda fase di incubazione affinché si formi un legame con gli anticorpi

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