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I diritti degli autori. Profili storici e risvolti filosofico-giuridici.

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza – Corso di laurea magistrale Tesi di laurea

I diritti degli autori

Profili storici e risvolti filosofico–giuridici

Candidato Relatore

Aurora Arapi Ilario Belloni

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Introduzione   1  

Preludio  etimologico   8  

I.  Una  storia  di  circolazione  delle  idee   14  

1.  Prime  Considerazioni   14  

1.  1  Le  vie  della  Scrittura   18  

1.  1.  2  Il  suo  procedere  dall’oralità  (ancora  sulla  scrittura)   23   1.  1.  3  (continuando)  Il  viaggio  della  scrittura  prima  del  libro  a  stampa   25   2.  La  Rivoluzione  di  Johannes  Gutenberg:  la  Stampa  –  Haec  sancta  ars   28   3.  L’antesignano  del  diritto  di  autore:  il  privilegio   33   Interludio,  La  legislazione  veneziana  sulla  stampa   41  

II.  All’origine  dell’editoria  moderna:  l’emersione  del  Copyright   48  

1.  Una  Premessa   48  

1.  2  Verso  l’emersione  del  Copyright  in  Inghilterra   59  

1.  2.  1  Royal  and  Parliamentary  Privilege   61  

1.  2.  2  Il  monopolio  della  compagnia  degli    Stationers’   64   2.  Preparativi  per  The  Statute  of  Anne:  from  censorship  to  copyright   69  

3.  In  the  Battle  of  Booksellers:  the  authors  and  the  copy-­‐right   84   Riflessioni  sulle  idee  delle  vicende  conducenti  a  “Copyright  builds  up”.   101  

II.  II  All’origine  dell’editoria  moderna:  l’emersione  del  Droit  d’auteur   111   1.  I  privilegi  riconosciuti  grâce  aux  bon  plaisir  du  roi   111  

2.  La  guerre  des  priviléges   122  

2.  1  E  i  Philosophes:  il  lungo  dibattito  per  il  riconoscimento  della  proprietà  dei  

pensieri   139  

3.  Al  di  là  del  vecchio  regime:  la  strana  proprietà  letteraria   164  

II.  III  Armonizzazione  dell’editoria  moderna:  La  convenzione  per  la  protezione  

internazionale  dell’arte  e  delle  lettere   179  

III.  Fondamenti  dei  diritti  degli  autori  ed  osservazioni  autoriali   189  

1.  Che  cosa  è  un  autore?   189  

2.  Teorie  per  la  costruzione  e  il  riconoscimento  dei  diritti  degli  autori.   208   3.  Il  tempo  della  rivoluzionaria  tempesta  dell’Inter-­‐Connessione   218  

Ringraziamento  in  versi   225  

Bibliografia   226  

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Introduzione

«Capitano a volte incontri a noi assolutamente estranei, per i quali proviamo interesse fin dal principio, all’improvviso, in maniera inaspettata, prima che una sola parola sia pronunciata e reperita»1. Così

è stato quando decisi di aiutare un caro amico nella stesura della sua di introduzione ad una tesi tutt’altro che giuridica. Scorrevo velocemente le pagine di un libro scritto a quattro mani da giornalisti italiani, ma non potei più farlo con l’usuale andamento dopo che l’occhio aveva captato il nome di uno scrittore il cui romanzo avevo avuto la fortuna di leggere tempo prima: si trattava di Boris Pasternak e del rapporto che lo legava a Giangiacomo Feltrinelli per la pubblicazione in anteprima mondiale di Doktor Živago. Lungi da me riportare il caso per ricostruire l’alone di mistero in cui è avvolto, esso mi colpì profondamente perché si legava perfettamente alla biografia di un autore – sempre russo, sempre presente nella memoria – che viveva in un rapporto editoriale ambivalente, come si percepisce dalle pagine de

Il Giocatore.

La curiosità mi assalì e il desiderio di sapere qualche cosa sul diritto d’autore mi portò a cercare informazioni dapprima sui succitati casi, nel vasto mondo della Rete, per giungere poi a vagliare la complessa normativa, nazionale e sovranazionale, elaborata per la materia. Gli interrogativi però non si sopivano, tutt’altro. Più leggevo articoli, leggi, trattati e direttive e più personalmente mi accorgevo di dover andare oltre il dettato giuridico per sprofondare in un piano primo di sotto al quale avrei gradito trovare un “ascensore” che mi avrebbe riportato, appunto, a capire il significato intrinseco delle norme. Voler trovare la radice primordiale della tutela degli autori (in Italia?) mi indusse a leggere materiali di studiosi che unanimemente                                                                                                                

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affermavano quanto recente essa storiograficamente fosse rispetto a quelle di altre realtà giuridiche: la prima legge che si ricorda a tale proposito rimane il British Act emanato dalla Regina Anna nel 1709, seguito, quasi un secolo dopo, dagli avvenimenti rivoluzionari francesi che avrebbero dato vita al “contrapposto” modello continentale. Entrambe le realtà, però, avevano avuto un percorso, un substrato comune su cui avevano eretto le loro risposte legislative, vale a dire l’istituto del Privilegio.

Tuttavia, se da un versante venire a conoscenza di questo percorso mi esaltava, dall’altro le domande si moltiplicavano (l’autore non esisteva prima?) e mi impedivano di procedere verso una ricostruzione storica dell’oggetto delle mie considerazioni. Dovevo necessariamente fare dei passi ancor più indietro per scoprire perché un diritto d’autore non fosse emerso prima del Settecento, perché il privilegio, adottato per regolare i prodotti dei torchi tipografici non lo tutelasse e, soprattutto, perché la figura autoriale era percepita in un certo modo nell’antichità. Avevo preso a fluttuare così tra i libri, tra i loro contenuti e a scovare tra le loro note per cercare di trovare quel che poteva essere la chiave, a mio modesto giudizio, che avrebbe potuto aprirmi le porte della comprensione. La individuai nella spinta fisiologica che porta l’uomo ad essere un animale tecnologico, una creatura che inventa ciò che gli è utile, ma che non riesce a trovare in natura – come la scrittura, la stampa e (ora) la rete – strumenti che sono in grado di offrire, ciascuno secondo le proprie caratteristiche, mezzi innovativi per fissare idee e ricordi, andando in tal modo a placare il timore di perdere le tracce passate e quelle da venire. Iniziai finalmente a scrivere!

Ho deciso di partire dalla scrittura, dedicandovi la Prima Parte, per capire come è considerata dai sapienti; come e in quale misura essa ha alimentato la circolazione dei pensieri (e la comunicazione tra individui) che avranno, agganciandosi alla perenne esigenza di sempre

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ulteriori invenzioni, bisogno di rendersi più liberi, e come essa sia stata il veicolo primario per la conservazione della più fuggevole ed eterea delle manifestazioni dell’animo umano: la poesia nelle sue svariate declinazioni. Accantonate le critiche avanzate inizialmente nei suoi riguardi, incarnate nell’insegnamento di Socrate, la scrittura sprigiona tutto un potenziale che è colto in primo luogo dai poteri politici per soddisfare le esigenze pubblico-amministrative, per poi esser altresì apprezzata tra le fila degli uomini di fede. Questi ultimi ne faranno lo strumento ideale per la divulgazione dei principi religiosi: con grande pazienza e con un rigore, la cui adesione ad una perizia scritturale raggiungerà le forme dell’ arte, permetteranno alle opere dell’antichità di conservarsi nel tempo nonostante le difficoltà date da una limitata capacità di ricezione e dalla scarsità delle copie a disposizione. Gradualmente i luoghi dove la pratica amanuense veniva normalmente espletata verranno affiancati dalle botteghe laiche che, una volta aperte le Università, diverranno sempre più affollate permettendo così alla cultura di viaggiare velocemente tra gli spazi pubblici e gli scolari, di entrare in maniera più capillare nel privato e negli scambi epistolari e così portare il manufatto ad essere richiesto in modo più incalzante da un pubblico alfabetizzato sempre più numeroso. C’è bisogno dunque di una nuova tecnologia, di un qualcosa che riesca a far fronte a questi nuovi bisogni di conoscenza e il parto sarà realizzato da Johannes Gutenberg che metterà alla luce i suoi caratteri mobili metallici, destinati a cambiare il mondo per renderlo moderno.

Inevitabile quanto fondamentale il desiderio di sottolineare come la stampa, questa nuova invenzione, con il suo celere perfezionamento meccanico e stilistico, abbia rappresentato un momento cruciale per l’intera umanità giacché, riuscendo a solcare in tempi ancora più brevi i mari, mostra ai poteri politici e ai popoli interi quanto il pensiero potrà essere sempre più facilmente riproducibile,

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conoscibile ed accessibile. Portando alla luce non solo il ricco bagaglio valoriale antico, questa santa arte darà modo di scoprire pure quello del presente, con i suoi pensatori e le sue creazioni, con il proliferare di tipografie e stamperie, e con la nascita di nuove forme di lavoro che saranno istituzionalizzate nelle vesti dell’autore originale e geniale e del suo mediatore con il pubblico, ovvero l’editore.

La strada non è scevra di pericoli, di ostacoli costruiti per ingabbiare i prodotti dei suoi lucidi e veloci torchi, e non a caso la seconda parte è tutta incentrata sul difficile rapporto privilegio-censura e libertà di stampa, cioè di espressione, come diritto naturale ed inviolabile. Dal primo versante si vedranno gli Stati assolutistici ossessionati dal controllo dei contenuti dei libri, per cui intuiranno quanto efficace sia allearsi con gli avidi librai, che liquidano i manoscritti in una unica soluzione, allo scopo di produrre e mantenere il consenso. Vien naturale conferire agli stampatori, a maggior ragione se riuniti in associazioni professionali vicino alle Capitali con tendenze di aumento del profitto e di conseguenza di esclusione di quegli operatori esercitanti nelle province, esclusivi privilegi con durata definita nella carta, ma non nella pratica. Dall’altro, la cultura, veicolata tramite questo canale che penetra laddove non ci sarebbe mai immaginato prima, non sopporterà più di essere imbavagliata da un sovrano arbitrario che la incatena tra le mani del solito editore londinese o parigino e chiederà, presentandosi come una compagine intellettuale ben definita e accomunata dai medesimi ideali di fondo, di circolare libera. E questo è un diritto che essa vanta legittimamente e non una graziosa concessione che il potere politico, chiunque ne sia portavoce, fa per salvaguardare l’animo fragile del lettore consigliando forzatamente ciò che può e deve leggere.

E mentre l’author/auteur dovrà ancora aspettare per vedersi riconoscere legislativamente la sua posizione all’interno della fiorente industria editoriale, motivo per cui è sempre ai margini delle pagine di

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questa dissertazione, i filosofi giuristi sono imprescindibilmente coinvolti in questi cambiamenti epocali che investono l’assetto economico ed istituzionale e sociale dei paesi di appartenenza. È necessario come urgente riflettere acutamente su ciò che può e non può fare lo Stato, sulla natura della società e le sue prerogative, sul legame che intercorre tra queste due entità e specularmente tra i consociati; e spiccano allora, tra i tanti emeriti contributi, i Two

Treatises di John Locke, dei quali il secondo è particolarmente

interessante perché espone in modo chiaro e semplice il paradigma proprietario. Il pensatore parte, per sviluppare la sua teoria, dal riconoscimento, in tempi remoti, di una uguaglianza naturale fra gli uomini che potevano usufruire dei beni terreni donati da Dio. E’ Dio infatti il creatore e gli esseri umani sono sue creature, per cui devono seguir una serie di vitali prescrizioni, tra le quali emerge il divieto di nuocere al prossimo, affinché possano realmente perseguire la felicità, cioè vivere pacificamente nelle reciproche relazioni fondate sul

consenso. Egli ha quindi invitato gli uomini a godere dei frutti del suo

dono più grande, la terra, con il fine di lavorarla per goderne i frutti perché altrimenti «l’abbondanza naturale non esisterebbe più se non come possibilità» e l’umanità sarebbe definitivamente allontanata dalla meta prima ed ultima: la preservazione. Capire razionalmente questo significa per l’individuo esser portato a riconoscere il potenziale produttivo del lavoro e decidere perciò di essere laborioso, distinguendosi da capricciosi, litigiosi e rissosi, per possedere infine parte del mondo e trarne la massina utilità per l’esistenza. Difatti così facendo, la creatura umana annette qualcosa di sua proprietà, su cui nessun altro avrà diritto e che nessuno potrà toglierli senza recargli ingiustizia. Se il fondamento di una iniziale eguaglianza tra gli uomini è quindi la volontà divina, la conseguente frammentazione patrimoniale dei terreni, e quindi della proprietà esclusiva e privata, si fonda sull’attività trasformatrice propria del lavoro che, a sua volta,

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perciò, può essere considerato una capacità elargita da un comando anch’esso divino.

La concezione filosofica lockiana del lavoro-proprietà sarà adattata, coi dovuti sforzi operati dagli interessati, alla questione

letterario-artistica perché sempre frutto delle fatiche corporali e fisiche

dell’artista esternate grazie alla sua mente ingegnosa e creativa, e perciò da tutelare indiscriminatamente in perpetuo come una

house/maison. Ma questa trasposizione, che in fondo mal si coniuga con

lo spirito generale degli scritti del filosofo inglese che vertono su una economia libera e concorrenziale affatto compatibile ai monopoli, in particolare con quello librario, nelle mani di pochi editori, sarà fortemente condannata da tutti quei pensatori e commercianti sdegnati da questo tentativo di voler attribuire per sempre l’atipica proprietà letteraria alle poche officine tipografiche della Capitale. Accogliere questa istanza significa escludere l’individuo, quindi il pubblico e la sua opinione, dalla disponibilità diffusa e simultanea della conoscenza che la Stampa ha permesso di ottenere. Perciò è sì giusto remunerare gli autori per la loro vena creativa, perché maitre de son auvrage, e permettere loro di raggiungere effettivamente una indipendenza monetaria in modo tale da sganciarli dalla sage prévoyance del principe-mecenate, ma il legislatore deve elaborare pur sempre una tutela limitata nel tempo affinché la cultura sia disponibile e possa fluire nella società.

L’invenzione e l’arte assumono in epoca moderna, in quella individualista che ha detto addio alla struttura cetuale e fortemente gerarchizzata, un valore sociale, assolutamente meritevole di protezione, che viene riconosciuto in tutta l’Europa, com’anche nel resto del mondo, alla fine dell’Ottocento, con la Convenzione di Berna che ospita al suo interno un dialogo delicato tra la visione inglese di copyright e quella francese di droit d’auteur, tra l’inclinazione

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spiccatamente patrimoniale e quella personale, presa in prestito in modo compiuto dalla filosofia kantiana e fichtiana.

Una volta ricostruiti gli eventi storico-politici che partono dalla scrittura e conducono per mano alla rivoluzionaria tecnologia gutemberghiana, non senza aver aperto le giuste ed ampie parentesi relative ai dettati economici che li tengono assieme in un unico filo

rosso, mi sono cimentata nella stesura dell’ultima parte di questo lavoro

per cercare di capire quale, o quali, possa essere la risposta al quesito post-strutturalista foucaultiano Che cosa è un autore? Nel cimentarmi a fare questo ho rifatto, di nuovo, un percorso a ritroso che mette a stretto contatto le riflessioni precedentemente sviluppate, accennando in partenza alla questione omerica, con figure autoriali collettive indistinguibili, dalle quali ci si stacca proprio quando la stampa ha esponenzialmente modificato l’iter di comunicabilità di conoscenza rendendola sempre più libera dai limiti e dalle insormontabili barriere economiche. Un viaggio veloce che risultava però instabile e fuori controllo e che quindi necessitava di essere sottoposta ad una ordinatio

ad unum che veniva operata con il riconoscimento legale (per fini

penali, come si potrà leggere nelle successive pagine) del nome dell’autore che entrerà così nelle biblioteche con il placet dell’autorità o sarà costretto ad entrarci dopo, se ha la fortuna di esser stampato sottobanco, clandestinamente. La stampa è quindi con i suoi tempi, un elemento determinante per la professionalizzazione dell’autore nella componente oggettuale e concettuale della proprietà, la più sacra, la più legittima, marchio, cioè, di una soggettività unica che garantisce reddito ed immortalità. Ma anche questo traguardo porterà con sé un coacervo di concetti ancora indefiniti che si innesteranno tra le pieghe dell’individualismo per rimettere in discussione la figura autoriale e la necessità di rivisitarlo ulteriormente, alla luce di un’altra rivoluzione tecnologica della comunicazione del sapere, quale è stata quella dell’avvento di Internet.

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Preludio etimologico

La nostra epoca sarà ricordata come la società delle tecnologie, della capillare diffusione di internet, dei social networks, della comunicazione ininterrotta: aldilà delle colonne di Ercole, dei confini e delle censure. Negli ultimi decenni partecipiamo e guardiamo a questa pervasiva rivoluzione di informatizzazione e percepiamo che si tratta di un cambiamento che ci tocca da più fronti, non solo da quello economico e sociale, ma pure dal versante della conoscenza e della capacità di memorizzazione, le quali sono amplificate grazie all’impiego di vari dispositivi.

Si assiste ad una fugace volta-pagina che ci allontana dalla società dell’industrializzazione per avviarci a quella dell’informatizzazione dove la produttività anziché dipendere dall’impiego dell’energia nei processi produttivi è agganciata direttamente alle tecnologie di generazione di informazioni e di conoscenza2. E ne consegue che queste tangono, estendendo, le libertà

di espressione del corpo sociale (inteso come somma dei singoli) talché risulta fondamentale riuscire a coniugarle con la tutela di altre realtà, di altri diritti – che pur da esse partono e in esse dovrebbero trovar radice di difesa – vale a dire il Diritto d’Autore.

Prima di inquadrare l’istituto in una definizione contenuta nel diritto positivo degli ordinamenti “occidentali”, cerchiamo di capire il significato che queste due parole, parti del nostro lessico quotidiano, singolarmente hanno, andando a ricostruire le loro radici senza pretesa alcuna di esaudire il compito in questo breve percorso etimologico e filologico, per poter in seguito concentrarci sul percorso che esso ha affrontato per arrivare ad essere ciò che è, a partire dagli eventi che ne hanno permesso la nascita per giungere a quelli che ne hanno                                                                                                                

2 Manuel Castells, La nascita della società in rete, Università Bocconi Editore, Milano,

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permesso la crescita e la maturità, nel diciottesimo e diciannovesimo secolo.

∗∗∗

Il diritto era sovente identificato con Jus, discendente dal latino arcaico Ious con cui i romani usavano designare, in principio, Giove. Questa derivazione, secondo Giovan Battista Vico3, è da collegare al

fatto che, come Giove permea di sé tutte le cose e le indirizza in modo da raggiungere il proprio fine, così il diritto governa la società civile e le permette di raggiungere i propri scopi. Utilizzando questa etimologia, cui fondamento è l’opera “Etimologicon linguae latinae” dell’erudito Giovanni Gerardo Voos, il nostro giurista, ed ancor prima filosofo, convalida la sua teoria secondo la quale il diritto è il tentativo costante degli uomini di adeguarsi alla volontà di Dio e alle supreme leggi della Provvidenza che governa la storia umana. E nonostante il dubbio fondamento scientifico da attribuire all’etimologia vichiana, rifiutata dagli studiosi moderni, la filologia contemporanea comunque riconosce come geniale la sua profonda intuizione sull’origine religiosa del diritto4, quindi il legame che le norme regolanti la società umana

intrinsecamente hanno con la suprema legge divina. Continuando a corroborare questa visione vichiana attorno all’origine di questa parola, definita con pathos da Celso come l’Ars boni et aequi, possiamo riportare anche il giureconsulto Scipione Gentili5, che nella sua analisi

                                                                                                               

3 Giovan Battista Vico, Principi di Scienza Nuova: d’intorno alla comune natura delle

nazioni, G. Silvestri, Milano, 1816.

4 Questa opinione è stata comprovata, con buoni argomenti, da Riccardo Orestano in

Dal Ius al Fas. Rapporto tra diritto divino e umano in Roma: dall’età primitiva all’età classica, Giuffré Editore, 1940, ove considera poco probabile la distinzione, a Roma,

tra norme di origine divina (che vanno sotto il nome di Fas) e le altre di origine umana (sotto Jus), sostenendo che la contrapposizione ci fu tra ius divinum e ius humanum in relazione all’oggetto; quanto all’origine essa non è antica, ma datata nell’ultimo secolo della Repubblica, difatti apparsa per la prima volta in Cicerone.

5 Scipione Gentili, Originum ad Pandectas liber singularis, in Opera Omnia, ed.

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a proposito, ritiene che la radice sia antica e risalga a Jò, significante manifestazione di dolore, o meglio, disegnante un’esclamazione di grido che i primi uomini vaganti sulla terra, senza leggi e costumi morali, alzavano al cielo quando venivano umiliati ed offesi dai più forti6.

Sicuramente le ricerche che i succitati studiosi hanno svolto non poggiano su basi rigorosamente scientifiche quanto su idee sostenute dalla coscienza che li induce ad attribuire al diritto un ruolo apicale, un contenuto valoriale supremo all’interno di una societas, ma ciononostante le loro tesi sono state avallate dagli studiosi contemporanei. Le ricerche storico-filologiche hanno accertato, infatti, la comunanza di origine delle lingue indo-europee7 ed è stato

affermato che Ius proviene dalla radice vedica Yos (indicante salute) che non è passata nel sanscrito classico in questa forma sibbene nell’espressione “cam ca yos ca”, utilizzata per invocare la celeste benedizione. Ritorniamo ancora una volta a Vico!

Seppur il Diritto abbia una vita longeva, il che rende senz’altro più complicato una ricostruzione storiografica ed etimologica inconfutabile, noi lo possiamo pensare comunemente come quel complesso di leggi che detta regole giuste e valide per una data comunità affinché i suoi consociati possano vivere pacificamente e non essere sempre timorosi di una condizione esistenziale precaria.

L’altra locuzione di cui necessitiamo è autore. Essa affonda le sue radici sul termine latino auctor (auctoris) – tema di auctus – ovvero sul participio di augeo8, verbo questo che etimologicamente sottende

significati come produrre, accrescere, rafforzare (etc). L’auctor, nella                                                                                                                

6 Enrico Gustapane, Etimologia secondo Vico, Mediateca, Progetto Emeroteca

Digitale Salentina.

7 Theodor Mommsen, Storia di Roma antica, Ed Aequa, Roma, 1938, p. 24 (tradotto e

curato da Antonio Garibaldo Quattrini).

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tradizione latina, è quindi quel soggetto che possiede capacità di iniziativa, che riesce a promuovere bene un atto, che garantisce e rafforza l’insufficiente volontà o personalità di un altro (pensiamo al

pater e al tutor), che sta all’origine di una notizia, di un’opinione degna

di fede come il filosofo, il poeta. Trattiamo, dunque, di un vocabolo che porta come bagaglio significati svariati, variopinti, cui colori vengono avvertiti nel medioevo ancora in modo nitido; permane infatti la connessione tra auctor ed augeo e si trasferiscono sul piano dell’ortografia sfumature semantiche alternate tra auctor, autor (author),

actor 9 , di cui il secondo andrà però ad indicare sempre più

frequentemente l’autenticus, vale a dire l’inventor artium: il soggetto delle operazioni artistiche.

∗∗∗

Riprendendo questi lemmi per leggerli congiuntamente ricaviamo una espressione familiare, ovvero Diritto d’Autore che sta ad indicare intuitivamente il legame esistente tra un’opera di ingegno e il diritto del suo creatore su di essa: il romanzo di quello scrittore, la musica di tale compositore, il dipinto di quell’artista e ciò è così indipendentemente dagli esemplari dell’opera e da chi li possiede materialmente. E alla legittima domanda di cosa significhi questa ultima asserzione, si introduce la cruciale distinzione tra il corpus

mysticum (bene immateriale) e quello mechanicum, referente ai modelli

che concretizzano fisicamente l’opera, per aggiungere che la proprietà del primo spetta all’autore, del secondo a colui che ha acquistato l’oggetto.

Il Diritto d’Autore è, perciò, quell’istituto giuridico che tutela i risultati dell’attività intellettuale, creativa ed innovativa, col riconoscimento di una serie di diritti, morali e patrimoniali, all’autore dell’opera al momento di perfezionamento di questa ultima perché                                                                                                                

9 Uguccione da Pisa, Derivationes, ed. E. Cecchini [et al.], 2 vol., Firenze, 2004

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particolare espressione del lavoro intellettuale10. Molto semplicemente,

questo florilegio di prerogative sorge con la creazione dell’opera senza necessità di altri atti o formalità, quali possono esser la pubblicazione dell’opera, il deposito o la registrazione. La legge sul diritto di autore, difatti, all’art. 10611 dispone che una simile omissione non pregiudica

l’acquisizione del suddetto titolo, sicché spetterà a chi contesta tale qualità provare che essa non è stata creata da chi denominato come autore. La materia non si esaurisce però nel territorio nazionale, anzi è potenzialmente espandibile, data la sua natura, verso “orizzonti infiniti” e a comprova si può volgere lo sguardo verso il sistema delle fonti che non è articolato solo su norme statali, ma aperto agli interventi internazionali che cercano di armonizzarla allo scopo di favorire la creazione di un mercato comune e globale. Per riuscire in questo intento si deve favorire difatti anche la circolazione dei beni, qualsiasi sia la loro natura, mediante la stipula di Trattati, di cui la Convenzione di Berna I12 costituisce sicuramente il testo di riferimento

per l’oggetto di questa analisi.

                                                                                                               

10 Mi limito semplicemente a citare l’articolo 2576 del nostro codice civile.

11 L. 22 Aprile 1941, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo

esercizio.

Art. 106

L'omissione del deposito non pregiudica l'acquisto e l'esercizio del diritto di autore sulle opere protette a termini delle disposizioni del Titolo I di questa legge e delle disposizioni delle convenzioni internazionali, salva, per le opere straniere, l'applicazione dell'art. 188 di questa legge.

Il ministro per i beni e le attività culturali può far procedere al sequestro di un esemplare o di una copia dell'opera di cui fu omesso il deposito, nelle forme stabilite dal regolamento.

12 La Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie ed artistiche,

adottata nella città che ne porta il nome nel 1886, è stato il primo accordo che stabilisce il riconoscimento reciproco del diritto di autore tra le nazioni aderenti. Il testo è stato ineluttabilmente riveduto a Berlino nel 1908, ancora a Berna nel 1914, a Roma nel 1928, a Bruxelles nel 1948, a Stoccolma nel 1967, per esser di nuovo aggiornato a Parigi nel 1971. [http://www.interlex.it/testi/convberna.htm]

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Trattare dei diritti degli autori nel migliore dei modi possibili, oggi, alla luce della rivoluzionaria tecnologia dell’interconnessione, vuol dire avere occhi vigili e capaci di osservare una molteplicità di aspetti, con i relativi problemi, da prospettive differenti perché in questo modo si può tentare di elaborare risposte adeguate alle istanze che la società avanza naturalmente: da un lato, garantire l’accessibilità alla cultura a tutti e, dall’altro, ripartire dai concetti fondamentali come appunto Autore e il suo diritto di “proprietà” per tutelare l’arte e l’innovazione. Infine, è interessante pure interrogarci quanto l’individualismo giuridico, impiegato, come vedremo nelle pagine successive, per impiantare i fondamenti legali e normativi del diritto d’autore, sia da rivedere o da ridimensionare alla luce delle critiche post-strutturaliste che, qui in sintesi, vertono su una radicale

dissociazione tra il soggetto e la sua opera/creazione. E’ ovviamente una

strada delicata quanto difficile, ma qui si prova a percorrerla in chiave storico-filosofico affinché si possa risalire all’origine dei fenomeni che hanno portato a costruire la nozione di proprietà intellettuale, ad addentrare la filosofia moderna del soggetto che ha concettualizzato lo status di autore, che ha presentato la sua opera come merce negli scambi perlopiù economici ed ha postulato un legame inscindibile tra il “libro” e la persona che lo ha prodotto.

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Una storia di circolazione delle idee Parte Prima

1. Prime Considerazioni

«Per rendere il sapere duraturo occorre trovare un modo per scrivere

nell'anima» Platone, Fedro

In questo primo capitolo tenteremo di tratteggiare un processo complesso, quale quello di comunicazione e di conoscenza, che ha inizio con la tradizione orale e che approda, non senza difficoltà, a quella scritta, rappresentante una vera rivoluzione, una specie di big

bang su cui si costruisce lentamente e inesorabilmente il nostro modo

di pensare e quella che chiamiamo la nostra cultura occidentale, una di quelle che prefigge esplicitamente avere come obiettivo quello di salvare e memorizzare la sophia affinché possa cercare e riuscire ad ottenere un parziale recupero del passato senza il quale non è possibile altrimenti avere una identità, una autorità.

Nella cultura orale, basata sull’ascolto, perciò sul suono, la conoscenza e la sua trasmissibilità dipendono strettamente dal ricordo che le persone hanno di un certo episodio, di una certa poesia proferita da un tale, di un principio scoperto da un altro, perciò essa si acquisisce in comune e non in forma individuale e questo meccanismo perdurerà anche quando la scrittura alfabetica busserà alle porte e comincerà ad entrare nella vita pubblica, rendendosi principalmente utile alle istituzioni statali grazie al suo potenziale di registrare esattamente il discorso di un individuo. Questa funzione è senz’altro basilare per una efficiente organizzazione di comunità fatta di diritti e

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doveri, di tutele e punizioni, di ordine pubblico, non a caso abbiamo voluto porre in risalto quando, come e in che modo la capacità scritturale si insedia in occidente.

La matrice orale rimarrà anche quando si avvertirà il bisogno di fissare in forma scritta ciò che prima era tramandato e reso dall’instancabile lavoro di aedi e rapsodi, ne deriva che le opere difficilmente potranno vantare un owner, anzi, saranno considerate di nessuno13 perché quandanche avranno un autore le opere non sono

scevre di interventi modificatori per cui il loro contenuto non è fisso, rigido, sibbene aperto. Aperto perché intervengono particolari, spunti e novità che gli interpreti inseriscono giacché non si limitano alla mera memorizzazione e riproposizione di materiali preesistenti, ma diventano, come diremmo oggi, co-autori del testo di riferimento, dei

performers che combinano un atto creativo con un atto di trasmissione,

a dirla con le parole di Ong14.

Particolare attenzione verrà prestato al fatto che, nonostante l’impianto di radici di una cultura scrittoria, l’impronta orale non può che non permanere sullo sfondo sociale dal momento che la trascrizione e la copia manuale impediscono una riproduzione veloce e massiccia e sono in particolare indirizzate solo a poche categorie di individui, alternativamente ai funzionari pubblici o ai rappresentati clericali che utilizzano la tecnologia scritturale per produrre, preservare e coltivare “verità” da trasmettere al corpo sociale. Da questo punto di vista, quindi, essa ha l’anonimità dell’atto pubblico e non ha bisogno di un autore o di una aurea creativa, tutt’altro, deve presentarsi come garante di una oggettività immune da ogni ambiguità                                                                                                                

13 Doug Brent, Oral Knowledge, Typographic Knowledge, Electronic Knowledge:

Speculations on the History of Ownership, consultabile all’indirizzo web

www.ucalgary.ca/ejournal/archive/rachel/v1n3/article.html

14 W. J. Ong, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, ed. Il Mulino, 1986, pp. 20

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soggettiva, avendo come punto di riferimento la precisione e la neutralità notarile.

L’antico mondo Greco e Romano ruota tutto attorno ad una cultura e conseguentemente ad una formazione oratoria perché, come detto sopra, l’operazione scritturale rimane limitata a pochi, e lo sarà per tutto il Medioevo, sino all’avvento della stampa, perciò la figura autoriale non ha assolutamente i contorni e i bordi definiti ai quali noi siamo abituati, anzi. In questa dimensione non si sente minimamente il bisogno di tutelare gli autori15 e tanto meno di elaborare norme atte

ad impedire la copia giacché le tecnologie del tempo implicano pubblicazione di numero esiguo e i creatori possono sempre condurre una vita agiata grazie ai compensi dei committenti o semplicemente perché si dedicano all’arte senza pretese di lucro16.

Il poeta, l’autore, l’artista, è ancora colui che rivela ciò che le Muse bisbigliano e che rielabora la conoscenza ricevuta dalla tradizione per poter far continuare a “cantare” gesta di eroi e divinità. Il suo degno ed essenziale compito rimane fare da tramite tra il mondo dell’olimpo e quello sensibile – terreno che abbisogna di toccare necessariamente la sfera dell’inarrivabile per trovar il proprio baricentro.

In un siffatto quadro non si pensava fosse necessario preoccuparsi del controllo e della regolamentazione, mediante strumenti giuridici, delle creazioni dell’uomo per poterlo “compensare                                                                                                                

15 Nella cultura greco-latina non si prospettava il problema della tutela economica,

tuttavia c’era cortezza relativamente alla tutela della paternità dell’opera. In alcuni classici si individuano episodi di “plagio” [Celebre è il caso del distico composto da Virgilio per onorare Cesare Augusto e del quale Bacillo si era arrogato la paternità] che, scoperti, portavano all’allontanamento del colpevole, nonché il diritto di non pubblicare l’opera e quello di inedito, tutelato attraverso l’actio iniuriarum aestimatoria. Una volta avvenuta la pubblicazione, i diritti attenevano alla cosa materiale: il supporto.

16 D. Bonamore, Il plagio del titolo delle "opere dell'ingegno" nella dogmatica del

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della fatica intellettuale”, e questo atteggiamento riflette perfettamente la ricerca filosofica del tempo, piegata sempre sulla indagine e contemplazione dell’universo, del cosmo, ove si inseriva l’uomo – (e il suo ruolo) che altro non era che prodotto del primo.

L’invenzione gutemberghiana della stampa a caratteri mobili segna quindi una ulteriore e fondamentale tappa nel processo comunicativo e conoscitivo delle idee da indurre ad interrogativi che prima non potevano esser posti: chi è l’autore di libri che circolano a velocità formidabile? Come deve esser “ripagato” del suo sforzo creativo? Perché e per quanto deve esser tutelato giuridicamente?

Queste domande non avranno risposte immediate, anzi, la strada che si dovrà percorrere è tortuosa, pieni di ostacoli e confusionaria: inizialmente sarà tutta scalata per tutelare coloro che impiantano centri tipografici nelle neo nazioni europee attraverso un istituto speciale, chiamato privilegio, dopodiché esso si legherà alla censura per poter garantire l’ordine pubblico, per consolidare la presa di potere assoluto del monarca sulle altre forme istituzionali, ed infine avremo la contrazione del succitato strumento in capo a pochi eletti, fidati servitori della Corona, per cui l’autore sarà un fantasma, di cui si saprà il nome e al quale si verserà una somma irrisoria e forfetaria, ma pur sempre un fantasma. Certo è però che questa riproducibilità meccanica delle opere cambia fortemente quello precedente – la scrittura del manoscritto – ma al contempo lo rafforza, lo perfeziona e gli permette di avere una vita propria e più lunga – nel libro stampato.

Il ruolo della stampa, dei libri (e dei loro autori, volutamente messi tra prarentesi) è stato fuori dubbio cruciale e rivoluzionario per l’epoca, come è stato approfondito dalla studiosa Elizabeth Eisenstein, motivo per cui abbiamo deciso di dare il giusto spazio in questo capitolo sì da capirne precisamente la portata e poter altresì raccogliere i suoi effetti su quello che diverrà, stante i giochi di potere ed economici, la figura dell’autore, genio ed originale che non sarà più

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relegato in spazi angusti ma entrerà a pieno titolo nella vita pubblica. Sono così spalancate le porte all’età moderna.

1. 1 Le vie della Scrittura

«La Scrittura è ciò che lega lo scrittore alla sua società». Roland Barthes – Il grado zero della scrittura17.

Una delle conquiste più importanti dell’umanità è senza dubbio la Scrittura18, la nascita della quale avviene dopo un processo

complesso di “gestazione” in diverse parti del mondo19 e cui crescita è

durata migliaia di anni, arricchendosi progressivamente di conquiste. Essa può essere definita come «sistema organizzato di simboli figurati o astratti o ridotti a segni convenzionali», riportando Leroi-Gourhan in

Le Geste et la Parole20, atto a fissare, comunicare, nonché conservare per

poter infine trasmettere nel tempo, in forme stabili, i procedimenti mentali e le espressioni linguistiche; seppur essa si manifesti visivamente in modo differente nelle civiltà mondiali, è possibile rintracciare, dall’inizio, lo stesso fine e scopo: utilizzarla nel campo amministrativo e solo in un secondo momento dedicarla a fini religiosi e letterari. Dobbiamo alle poleis ellenistiche, infatti, il merito della progressiva estensione di documenti scritti pubblici (nonché per la                                                                                                                

17 Roland Barthes, Il grado zero della scrittura, Ed. Einaudi, Torino, 1982.

18 F.M Bertolo, P. Cherubini, G. Inglese, L. Miglio, Breve Storia della scrittura e del

libro, ed. Carocci, 2004. Le più antiche testimonianze scritte risalgono al terzo

millennio a. C e provengono dalla Mesopotamia, dall’Egitto e dalla Cina –con le dovute peculiarità– tuttavia l’origine della tradizione occidentale, composta da ventiquattro lettere, è da ricercare nell’alfabeto latino adottato nel Lazio già a partire dal settimo secolo a. C con modello fondante ultimo l’alfabeto greco.

19 Fra gli studiosi c’è tuttavia un diffuso accordo nel considerare i sumeri e gli egizi i

primi popoli capaci di scrivere e questo avvenne a partire da circa il 3500-3300 a.C e, nonostante non si sappia con sicurezza quale popolo l’abbia inventata per primo, pare che il secondo abbia subito influenze sumere e non viceversa.

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formalizzazione di transazioni private e, in maniera sempre più diffusa, per fini epistolari), fenomeno, questo, che conduce alla fondazione di grandi biblioteche21, le quali acquisivano libri di epoca precedente e,

spesso, li trascrivevano.

I primi anni dell’Impero si erigono su queste fondamenta e sono pronti ad essere ricordati come l’epoca di più alta diffusione dell’alfabetismo nella civiltà greca e romana, grazie anche alla complessità e pervasività della organizzazione politico-amministrativa, che raggiunge un livello molto elevato. Tra il primo e terzo secolo d. C la societas, infatti, è divenuta quella del dialogo, delle relazioni interpersonali, delle comunicazioni tra individui (riguardanti anche le disposizioni delle autorità pubbliche), in brevis: quella bisognosa di cultura scritta che si risolve in una presenza fitta di produzioni epigrafiche che si vanno ad aggiungere a quella di libri, documenti ufficiali, libelli, “volantini in versi”. Le tecniche di scrittura utilizzate prevedono in ogni caso materiali e procedure diverse che tendono a influenzare le modalità, gli stili e le stesse capacità comunicative: scalpello su lastre, pennello, stilo su tavolette cerate, inchiostro su legno, papiro, pergamena. In altre parole possiamo parlare di una tecnologia scritturale, dando alla locuzione una valenza semantica più legata al significato originale dei due termini e non solo quella derivante dalla considerazione del confronto-scontro tra culture fondate su tecniche diverse di comunicazione e di trasmissione della memoria: quella orale e quella scritta22.

                                                                                                               

21 La biblioteca di Alessandria di Egitto è la più nota ed importante del mondo antico

anche se su di essa le informazioni pervenute dalle fonti antiche sono meno ampie, tuttavia Strabone e la celebre “Lettera di Aristea a Filocrate” attribuiscono a Tolomeo 1 Soter il merito di averla fondata, nonostante sarà Tolomeo 2 Filadelfo ad incrementarne le raccolte.

22 La scrittura circola attraverso vari canali: la si impara grazie a maestri privati con

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Sorgono qui spontanee domande connesse al creatore delle opere artistiche e al suo ruolo all’interno di queste società, alla tutela che esse gli devono riserbare e ciò non ci deve sorprendere se pensiamo che la Grecia classica e la Roma antica ci hanno lasciato un patrimonio, un inestimabile patrimonio fatto Arte che si è dispiegato in infiniti contenuti di cui noi ci siamo e possiamo ancora arricchirci giacché la storia delle nostre società occidentali sulle sue basi è stata eretta e sulle medesime ha trovato (e perché no, può ancora trovare) risposte ad alcuni interrogativi che ci siamo posti. Certamente si deve metter in conto, ogni volta che andiamo a rispolverare il passato23 ed i

suoi pensatori, che le epoche mutano e consequenzialmente anche le strutture sociali, motivo per cui non possiamo rintracciare nelle realtà greche e latine una tutela giuridica delle opere di genio perché le concepivano in modo differente rispetto a noi.

L’uomo che dava vita ad una creazione artistica era da elogiare solo ed esclusivamente perché attraverso questa attività era riuscito a trovare e rappresentare il bello e l’idea grazie ad una inspirazione, profetica, derivante dagli Dei o le Muse. In secondo luogo, manca una figura di intermediazione, che emergerà molto più avanti, quale l’editore che potesse mettere in comunicazione l’autore e il pubblico, e l’assenza è da giustificare ricordando come il primo viva di gloria ed onorificenze tributatogli non dalla civitas, ma da quei pochi ricchi individui, tra cui i Patroni, che commissionavano l’attività. Ciò sicuramente non impediva che emergessero domande sulle caratteristiche e i confini della proprietà di un’opera, come Seneca ricorda «Per una stessa cosa ci sono due padroni. Come? Perché uno                                                                                                                                                                                                                                                                                                       obbligatoria, al di fuori di qualche embrionale ed isolata struttura dedita all’insegnamento elementare.

23 Perché la Storia, come scriverà Kant nel 1784, non è florilegio di eventi che si

creano da sé, ma la consapevolezza che, noi tutti assieme, ne abbiamo, e il pubblico colto ha il compito di conservarlo e tramandarlo, attraverso il presente, per l’avvenire.

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ha la proprietà di quella cosa, l'altro l'uso. Diciamo "i libri di Cicerone"; quegli stessi libri il libraio Doro li definisce suoi ed è vera sia l'una che l'altra affermazione: il primo se li attribuisce come autore, il secondo come compratore; e ben a ragione si dice che sono di tutti e due, perché effettivamente sono di tutti e due, ma in diverso modo […]»24, ma questo non troverà soluzione in quella societas perché essa

considerava il libro come opus esclusivamente mechanicum25. Non la

cercheranno nemmeno perché, come appunta Maria Chiara Pievatolo curando i “Sette scritti politici liberi”26, la loro scrittura era libera e

irrefrenabile, i testi passavano per le mani di tutti e, per tal motivo, erano una sorta di samizdat che impediva allo stato, o ad un’autorità, di prevenirne la diffusione su motivi che saranno successivamente qualificati come sovversivi o eretici o amorali.

L’avvento della tecnologia chirografica, che porta ancora appresso il retaggio della cultura orale, da una parte agisce nella differenziazione degli interpreti riconoscendo la paternità delle opere, ma dall’altra non è ancora pronta a fornire una tutela patrimoniale ai suoi autori giacché la diffusione degli scritti rimane ancorato ad un sistema “clientelare”, nonostante l’ampliarsi del pubblico dei letterati.

La tarda antichità segna invece una progressiva contrazione dell’alfabetismo e, ancor prima, riserva la scrittura solo a determinate categorie sociali – a quelle con compiti giudiziari ed amministrativi nonché alle gerarchie ecclesiastiche – che la utilizzano in modo funzionale all’esercizio del potere autoritario. Vediamo, dunque, come la Bibbia e le Leges diventano i due pilastri della società tardo-antica e l’insegnamento viene impartito solo all’interno, rispettivamente, delle                                                                                                                

24 Lucius Annaeus Seneca, I benefici, VII, 6, testo latino, introduzione, versione e note

di Salvatore Guglielmino, Bologna: Zanichelli, 1983, p. 433.

25 Per un’approfondita analisi, vedi Nicola Stolfi, La Proprietà Intellettuale, vol 1, II ed,

Unione Tipografico-editrice Torinese, 1915, pp. 1-13.

26 Immanuel Kant, Sette scritti Politici Liberi, a cura di Maria Chiara Pievatolo, Firenze

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cerchie monastiche e burocratiche, sicché gli autori guadagnano una remunerazione forfetaria soprattutto per gli adattamenti di episodi del Vecchio o Nuovo Testamento.

Bisognerà aspettare il Basso Medioevo affinché riaffiori la figura dell’individuo che scrive per propria volontà ed utilità (il laico27), che

non è più da ascrivere a quello che riceve tale insegnamento per fine religioso, per obbligo penitenziale, per costrizione giuridica, per pratica professionale. Cominciano ad affiorare figure come mercanti, banchieri, proprietari, maestri e, soprattutto, scolari. Di pari passo con la rinascita economica, politica e culturale duecentesca, la scrittura monumentale ri-prende la sua vitale funzione di strumento di

comunicazione, occupa ancora spazi di esposizione pubblica, esibisce i

suoi contenuti ad una massa in grado di leggere e scrivere, forgia la figura dello scriba “a prezzo”28 in grado di soddisfare i lettori

universitari, entra nel privato, nelle ricordanze di famiglia e negli appunti personali – diffusione confortata dalla carta, materia molto meno costosa della pergamena.

Il tortuoso cammino della scrittura/lettura ha modo di estendersi in un modo impensabile grazie alla riproduzione meccanica della stampa29 di Johannes Gutenberg: la brama di conoscenza non

                                                                                                               

27 Tutto il periodo antecedente l’Alto Medioevo è stato caratterizzato da un

insegnamento effettuato in cerchie burocratiche e professionali –natarii, tabelliones- o delle istituzione religiose (in particolare) e per poter superare questa restrizione bisogna attendere ancora: il secolo settimo, il quale porta con sé l’equivalenza tra

clericus e litteratus (limitato alla capacità di leggere-scrivere) e tra laicus e illetteratus

(chi manca di tal capacità). Sicuramente, nella tripartizione della societas medievale,

oratores, bellatores, laboratores, sono i primi a detenere, sino al secolo decimo, gli

strumenti della cultura scritta; tuttavia in certe aree, nel nostro paese in particolare, la situazione è già tratteggiata in modo più sfumato perché i professionisti hanno il medesimo livello di preparazione.

28 Si diffondono le categorie dei copisti, fiorenti nelle città universitarie, che

costituiscono corporazioni dotate di statuti e privilegi.

29 La stampa a caratteri mobili, facilitando l’accesso al libro ed altri prodotti, conduce

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rimarrà a lungo confinata nelle aule delle chiese o in ambienti politici, ma si dispiegherà grazie al libro (stampato) tra i ceti medi e popolari, destabilizzando il sistema esistente.

1. 1. 2 Il suo procedere dall’oralità (ancora sulla scrittura)

L’uomo è stato definito “animale sociale” dal filosofo greco Aristotele nella sua Politica (siamo nel quarto secolo a.C.) poiché tende ad aggregarsi, a con-vivere e comunicare con altri individui costituendo e mostrando l’innato istinto primario: la socialità – da altri definita anche simpatia verso altri animali della stessa specie. Lasciando da parte le correnti antropologiche che vorrebbero veder questa propensione solo in ottica puramente egoistica, sottolineando come le persone siano spinte ad unirsi tra loro con l’intento esclusivo di perseguire i propri interessi, sentimento sintetizzabile con l’adagio latino “do ut des”, constatiamo che l’uomo ha comunque scelto la società come base della vita giacché solo in questa può esplicare la propria personalità e far sentire la propria voce – che non ritorna indietro come l’eco vagante, ma incontra quella dei simili. Il suo strumento di interazione primario è dunque l’oralità fondamentale del linguaggio, è il suono emesso e veicolato e riconosciuto dall’esterno, dagli altri, come familiare.

La comunicazione è stata per millenni possibile grazie al verbo,

originariamente era solo questo che permetteva la conoscenza e la

diffusione di essa all’interno delle comunità e, nonostante per noi sia inconcepibile riuscire a comprendere una parola senza la possibilità di scriverla, bisogna partire da una considerazione fondamentale: il suono30 . Il suono è l’unico modo immediato che permette la

                                                                                                                                                                                                                                                                                                      comincia ad esser sentito come essenziale in società dominata dalla parola: scritta-stampata.

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penetrazione tra chi trasmette il messaggio e chi lo riceve. Esso permea, occupa e possiede fisiologicamente la mente dell’ascoltatore che si sente tutt’uno con il parlante; l’udito, infatti, non isola gli elementi colti per poi separarli, ma li unifica e li armonizza in vista di una facile memorizzazione giacché il sistema orale per poter vivere a lungo abbisogna della memoria degli ascoltatori. Ne segue che i cambiamenti in tali società orali, necessariamente tradizionaliste e conservatrici per sopravvivenza, sono difficilmente accettabili e possiamo così spiegare, in parte, la critica alla scrittura ne Il Fedro di Platone ove Socrate afferma che essa non ha, in sé, funzione conoscitiva perché si limita ad aiutare chi già sa a ricordare. Il filosofo, infatti, con profonda coerenza, non si è ad essa affidato per lasciarci i suoi insegnamenti, contrariamente a Platone che decide di trasmettere in tal modo i suoi dialoghi.

La preferenza del maestro per il discorso orale è giustificata dalla possibilità che l’ascoltatore ha di domandare e di penetrare nell’istante stesso dell’emissione della parola qualora riscontri difficoltà di comprensione o abbia meramente l’esigenza di un confronto. Il suo allievo, consapevole dell’importanza della rivoluzione della scrittura e ciò che ne deriva (la prevalenza della vista sull’udito) invece, contrappone un altro tipo di discorso “quello scritto con la scienza nell’anima di chi impara, capace di difendere sé stesso, e che sa a chi parlare e di fronte a chi tacere”31. Riflessione questa alla quale

giunge sicuramente in seguito ad un travagliato “viaggio dicotomico” nelle considerazioni sul linguaggio scritto (in particolare quando usato dai “poeti”): lo condanna nella Repubblica perché corrompe la verità e lo rivaluta nel Timeo utilizzandolo come strumento dei suoi dialoghi socratici.

                                                                                                               

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In un’era di ulteriore passaggio come la nostra, quello dalla scrittura al digitale, in cui l’immagine prevale in modo sempre più evidente sulla parola, è necessario riprendere la definizione socratica «l’uomo è un animale sociale» per aggiungere che esso non è solo questo, ma a monte un animale tecnologico che inventa per natura cose che in essa non si trovano (armeria, vestiario, cibo), a partire dal linguaggio.

Il linguaggio, prima orale e poi scritto 32 , scalfito e

successivamente stampato, è secondo l’interpretazione del sociologo canadese Marshall McLuhan la prima forma di tecnologia atta a mettere gli esseri umani in comunicazione tra loro sì da comprendersi e viversi per poter condividere e infine ricordare – non importa se oralmente, con libro o immagine memorizzata nel personal computer (che tra le tante sembrava non esserci mai stata).

1. 1. 3 (continuando) Il viaggio della scrittura prima del libro a stampa

Prima di affrontar il tema del diritto d’autore e, ancor prima, quello che è stato il sistema dei Privilegi che ha retto e regolato l’istituto giuridico, è essenziale concentrar l’attenzione sul meccanismo di circolazione del “verbum” precedente all’introduzione dei caratteri mobili per capacitarci come essi abbiano rappresentato un potente mezzo di divulgazione delle idee e conoscenze – senza pretendere di porli in rapporto causale con la nascita dei nuovi orizzonti culturali che

                                                                                                               

32 Jacques Derrida ha definito la priorità dell’oralità sulla scrittura logocentrismo

sostenendo che questi ha caratterizzato la cultura occidentale dagli albori sino a Heidegger. La ragione sta nel percepire la parola parlata come un qualcosa di presente e di immediatamente evidente, contrariamente alla scrittura e all’assenza totale del soggetto che l’ha prodotta –il testo gode di vita propria e diviene illimitato nella leggibilità.

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si amplieranno a velocità vertiginosa – e abbiano modificato per sempre le modalità di lettura, scrittura ed apprendimento33.

I testi, prima dell’invenzione della stampa, definita “dono di Dio” da Lutero34, e della carta la quale era entrata in uso a partire dal

tredicesimo secolo, erano variamenti scritti e incisi su materiali eterogenei: tavolette di argilla, legno cerato, lamine di piombo, strisce di cuoio o pelle.

Il liber, parte interna della corteccia degli alberi, par excellence nell’antichità classica fu quindi il rotolo di papiro usato dapprima dagli egizi per poi esser importato in Grecia e in ultima istanza a Roma. Il

volumen 35 si scriveva in colonne parallele e veniva svolto

orizzontalmente affinché fosse letto; oltre a questo non bisogna dimenticare la pergamena 36 che portò progressivamente alla

sostituzione del primo verso il secondo secolo d.C. per poi lasciar spazio, durante il Medioevo, alla carta – materiale meno costoso e producibile in grande quantità. Si comincia a riunire le pagine in fascicoli, cuciti nel mezzo.

Durante il primo Medioevo perciò la produzione dei libri manoscritti era concentrata nei cosiddetti “Scriptoria”, complessi all’interno dei monasteri comunicanti con la biblioteca ove avveniva la copiatura da parte degli amanuensi con dedizione e precisione tale da                                                                                                                

33 Walter J. Ong, La presenza della parola, Il Mulino, Bologna, 1970.

Il mondo di una cultura prettamente orale, come può esser considerata per certi aspetti pure quella scritturale prima dell’avvento della stampa, è dinamico ed imprevedibile fondato esclusivamente sull’evento più che sull’oggetto. La cultura aurale impiega tutte le sue energie sul suono, elemento fondamentale per l’acquisizione, l’immagazzinamento e il recupero della conoscenza. Queste investono gli sforzi sul mantenimento della tradizione esistente e perciò sulla parola che, come dice Omero, hanno le “ali” e devono resistere al tempo e allo spazio, perciò devono esser forti per non esser perdute.

34 Elizabeth Eisenstein, La Rivoluzione inavvertita: la stampa come fattore di

mutamento, (trad. di Davide Panzieri), Il Mulino, Bologna, 1985.

35 Volumen, da volvere che in latino significa appunto srotolare. 36 Veniva ricavata da pelli ovine e bovine conciate.

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renderla un’attività particolarmente lenta ma, al contempo, di vitale importanza: è grazie a questi ambienti che si preserva la cultura greca e latina e ha modo di circolare per arrivare sino a noi.

Non possiamo, tuttavia, immaginare di parlare di copyright o di diritto d’autore sul testo, quanto di diritto legato a the manuscript as a

physical object made of ink and parchment perché, come avverte Mark

Rose, «True copyright is concerned with rights in texts as distinct from rights

in material objects, and its historical emergence is realted to printing technology» .37

La scrittura, approssimativamente, apparteneva dunque alle abbazie dei Benedettini38 sino al tredicesimo secolo – tempo di

fioritura delle botteghe laiche che riuscirono a far forte concorrenza da molti fronti: per il tipo di letteratura proposta, non più di sola preghiera; per la lingua utilizzata, non più in latino ma in volgare; per la tecnica più rapida di copiatura.

Questi nuovi “laboratori di scrittura”, di diffusione del sapere, conobbero molta fortuna con la diffusione dell’alfabetismo e la nascita consequenziale delle università: ben presto il libro fu richiesto in modo impellente da un pubblico sempre più numeroso e bisognava partorire “una nuova tecnologia” capace di farvi fronte e ciò avvenne con i carattere mobili di Johannes Gutenberg che stravolsero i meccanismi di potere politico e di prestigio sociale che caratterizzavano la società aristocratica del 1400.

                                                                                                               

37 Prosegue M. Rose in Authors and Owners: the invention of copyright, The Stanford

Law Library, M.C Sloss Collection, 1994, pp. 27 e ss.

38 Henri-Jean Martin, Storia e potere della scrittura, (trad. it di Maria Garin), Ed.

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2. La Rivoluzione di Johannes Gutenberg: la Stampa – Haec sancta ars

«La stampa ha dato la garanzia che la scoperta del Rinascimento sarebbe durata a lungo, e che ciò che sarebbe stato scritto sarebbe stato accessibile a tutti, e che l’occultamento di conoscenza e idee del Medioevo non si sarebbe mai più ripetuto».

John Dalberg-Acton39.

L’affiorare della stampa rappresenta per noi – per il fine del nostro studio di ricostruzione storica dell’evento che indurrà i poteri costituiti ad occuparsi del mercato dei libri e dei librai e, in ultima battuta, degli autori – il momento cruciale in cui drammaticamente si palesa il rapporto autore-opera come elemento oramai connotante dell’oggetto “libraio” e questo è possibile proprio col passaggio dalla scrittura manuale a quello a stampa.

Questa tecnologia solca i mari delle conquiste dei nuovi mondi e non è la dimensione di ripetibilità a stampa a darle una caratteristica

moderna, perché è già a priori moderna nelle intenzioni. Con essa a

cambiare è la stessa relazione che si instaurerà tra l’opera, che nasce già in forma adeguata alla sua riproducibilità, e colui che la mette in essere. Nascono nuovi lavori, con tale invenzione e il proliferare di tipografie e stamperie, e, con il susseguirsi di nuove modernità, nel tempo verrà rivoluzionata non solo il ruolo ma anche la forma istituzionale del lavoro di autore. E’ curioso riportare come i cinesi in Oriente40 avevano iniziato a stampare prima di tutti gli altri popoli, ma

                                                                                                               

39 Sir John Dalberg-Acton è stato uno storico e politico inglese di origini

italo-tedesche. Nasce a Napoli nel 1834 ed ebbe un ruolo molto importante nel dibattito ottocentesco sul rapporto tra chiesa cattolica e liberalismo.

40 In Cina viene inventata la stampa con blocchi di legno su carta per impressione:

l’inchiostro si deposita sul foglio per mezzo di matrici di legno sulle quali sono presenti testi e illustrazioni. Si ritiene che l’invenzione risalga all’epoca della Dinastia

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