• Non ci sono risultati.

Le sinistre regioni della miseria: uno studio sui bassifondi

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Le sinistre regioni della miseria: uno studio sui bassifondi"

Copied!
107
0
0

Testo completo

(1)
(2)

2

Indice

Capitolo 1: I misteri di Parigi ... 4

Introduzione ... 4

I luoghi ... 7

I personaggi ... 9

Fisionomia e psicologia criminale ... 20

Argot ... 21

Il primo romanzo sociale ... 23

Tra elogi e critiche ... 26

Bassofondo come spazio dialettico ... 29

Capitolo 2: I miserabili ...31

Genesi dell’opera ... 31

Il romanzo di una città ... 32

Il romanzo dei bassifondi ... 34

I personaggi ... 37

I luoghi della miseria ... 48

La lingua della miseria ... 51

I Miserabili e I Misteri di Parigi ... 53

Romanzo popolare ... 54

Romanzo sociale ... 57

Basso, sinonimo di salvezza: ambiguità dei bassifondi. ... 61

Capitolo 3: Le avventure di Oliver Twist ...64

Trama ... 64

La Londra di Dickens ... 65

La Londra di Oliver Twist... 66

I personaggi ... 71

Romanzo socialmente impegnato ... 77

Basso non è più sinonimo di salvezza ... 80

Capitolo 4: L’Assommoir ...82

Genesi del romanzo ... 82

Un romanzo di periferia: i bassifondi di Parigi nel secondo impero ... 85

Alcolismo... 90

(3)

3

(4)

4

Le sinistre regioni della miseria: lo studio sui bassifondi

Capitolo 1: I misteri di Parigi

Introduzione

I misteri di Parigi di Eugène Sue è il primo grande romanzo che pone al centro del quadro i bassifondi e i protagonisti che li abitano, Parigi e le sue miserie. Il romanzo, che ebbe uno straordinario successo, fu pubblicato a puntate, dal 19 giugno del 1842 al 15 ottobre del 1843, sul celebre Journal des Débats. Il capolavoro di Sue è ambientato negli squallidi bassifondi della capitale francese, nel ventre della Cité, dove vivono in condizioni di estrema indigenza migliaia di individui, nella maggior parte dei casi condannati al vizio e alla delinquenza sin dalla primissima infanzia. La complessa vicenda ruota intorno al personaggio di Rodolphe, principe di Gerolstein, un immaginario principato della Germania e alla missione, o meglio, espiazione che lui si impone: ricompensare gli onesti e i virtuosi e punire i malvagi, per espiare le colpe della sua vita passata; lo scopo di Rodolphe è quello di convertire il male in bene: “da molto tempo avevo l’intenzione di esplorare un po’ queste classi di miserabili… quasi sicuro che c’era ancora qualche anima da togliere al vecchio Satana che mi diverto spesso ad avversare.”1 Come sottolinea Eco “il fine del

suo randagio vagabondare è la punizione dei cattivi e la ricompensa dei buoni”.2 Rodolphe è l’eroe

salvatore del romanzo, è colui che converte i malvagi, e non a caso il manoscritto dei Misteri di Parigi aveva come sottotitolo Le convertisseur, il convertitore.

Prima di analizzare l’ambientazione e i personaggi di questo straordinario racconto, è interessante vedere come nasca in Sue l’idea del romanzo, le motivazioni che lo spingono a scrivere un libro quasi totalmente incentrato sui reietti della società. Nel 1841, un anno prima della pubblicazione del romanzo, Sue ha assistito alla rappresentazione del dramma Les deux serrures di Felix Pyat3, un’opera teatrale che si svolge in una sordida mansarda e che ha al centro le deplorevoli

condizioni del proletariato. Alla fine della messa in scena Sue discute con l’autore e, pur esaltando l’opera da un punto di vista drammatico, lo scrittore dei Misteri non crede che il popolo sia come Pyat lo ha rappresentato; la sera seguente Pyat, per dimostrare la veridicità delle sue parole, invita Sue a cenare nell’umile mansarda dell’onesto operaio Fugères, situata in Rue Basse-du-Rempart. Nei Sovenirs littéraires Pyat ci racconta dell’arrivo di Sue davanti all’abitazione dell’operaio, un

1 E. Sue: I misteri di Parigi, Bur, Milano, 2007, p.106, cito dalla traduzione italiana di Marcello Militello.

2 U. Eco, Rhétorique et idéologie dans «Les Mystères de Paris» d’Eugène Sue, «Revue Internationale des Sciences

Sociales», 4, 1967, p.598.

(5)

5 arrivo in pompa magna che contrasta fortemente con l’ambiente circostante; Sue, vestito da dandy, si trova faccia a faccia con un uomo estremamente povero che indossa vestiti logori:

«[..] Eugène Sue était descendu de son coupé, avec toutes les élegancés dont il était encore l’arbitre, ganté, verni, lustré, un parfait dandy, quoiqu’un peu gras déjà, par son âge, et surtout par sa vie assise de romancier-feuilletton. Il se trouva en face d’une blouse aux manches retroussées sur deux bras nus et deux mains salies, ou plȗtot, noircies par la poudre des métaux.»4

Sue, che non era mai venuto a diretto contatto con determinate realtà, rimane profondamente colpito dall’assoluta miseria che lo circonda e prende coscienza di una realtà altra. L’autore decide così di voler raccontare le inique condizioni sociali delle persone che vivono ai margini della società, lui stesso comincia a percorrere le orride viuzze della Cité dove ambienterà gran parte del romanzo; come Rodolphe, il protagonista dell’opera, anche Sue si veste da operaio, scende tra il popolo, visita i tapis franc, le bettole frequentate dai malfattori, visita prigioni, mansarde, manicomi, stringe amicizia con delinquenti e prostitute.5

É l’interesse per il diverso, per un mondo che cresce ai confini della società ad attrarre Sue; a tale proposito sono significativi alcuni passi delle prime due pagine del romanzo dove l’autore parla della trama e di questi nuovi barbari:

«Il lettore capisce da questo inizio che dovrà assistere a scene sinistre; se vorrà, potrà penetrare in regioni orribili, sconosciute; individui repellenti, spaventosi, pulluleranno in queste immonde cloache come i rettili negli stagni. […] Abbiamo temuto per i coloni e per gli abitanti delle città al pensiero che così vicino a loro vivessero e s’aggirassero queste tribù barbare tanto lontano dalla civiltà per via delle loro abitudini sanguinarie. Noi cercheremo di far passare davanti agli occhi del lettore alcuni episodi della vita di altri barbari, lontani dalla civiltà come lo sono i popoli selvaggi descrittici così bene da Cooper. I barbari che intendiamo sono proprio in mezzo a noi; possiamo trovarci gomito a gomito con loro, avventurandoci nei covi in cui vivono, in cui si raccolgono per concertare il delitto, la rapina. […] Questi uomini hanno costumi propri, donne proprie, una lingua propria, una lingua misteriosa, piena di immagini funeste, di metafore gocciolanti sangue. Come i selvaggi, infine, questa gente suole chiamarsi con soprannomi mutuati dalla propria energia, dalla propria crudeltà, da certe doti o da certe deformità fisiche. […] Nello scrivere questi passi che non sono lontani dall’impressionare anche noi, non abbiamo non potuto non sentire una stretta al cuore… […]. Il lettore, prevenuto dell’escursione che gli proponiamo di intraprendere fra gli indigeni della razza infernale che gremisce le prigioni, la colonia penale, e il cui sangue tinge di rosso i patiboli…il lettore acconsentirà forse a seguirci. Senza dubbio questa investigazione sarà per lui una novità; affrettiamoci dapprima ad avvertirlo che, se in un primo tempo i suoi piedi poggeranno sull’ultimo gradino della scala sociale, a mano a mano che il racconto procederà l’atmosfera si purificherà sempre di più.»6

Nel brano citato è facile osservare la connotazione della popolazione dei bassifondi come dei “selvaggi”, “barbari”, “indigeni”: l’autore non si limita a rappresentarli come una nazione straniera limitrofa, con usi e costumi comunque comparabili a quelli del pubblico colto, ma insiste sulla loro radicale alterità, sollecita la curiosità del lettore invitandolo a seguirlo nella scoperta di una stirpe

4 N. Atkinson: Eugène Sue et le roman-feuilletton, Thèse pour le Doctorat d’Université presentée a la Faculté des

Lettres de Paris, 1929, p.96.

5 Q. Marini: I «misteri» d’Italia, Ets, Pisa, 1993, p.183. 6 E. Sue: op. cit., pp.33-34.

(6)

6 rimasta a uno stadio anteriore di civiltà e di sviluppo. In un certo senso Sue dà vita a una forma particolare di esotismo in cui il diverso è vicino e non c’è bisogno di viaggiare verso territori lontani. Gli abitatori delle zone degradate di Parigi infatti possono essere interpretati come un esempio significativo della categoria del selvaggio interno, del barbaro per ‘classe’. VERIFICARE BRUGNOLO; si tratta di una razza primitiva completamente avulsa dal consorzio civile.

Chi sono questi rappresentanti di un’umanità altra, questi “barbari”, “individui repellenti” che popolano le “cloache immonde” e che si riuniscono nei “covi”? Partiamo dall’analisi dei luoghi; come ho già detto il romanzo è ambientato nei bassifondi di Parigi, una Parigi sicuramente molto diversa da quella che conosciamo oggi, precedente alla radicale trasformazione che operò il barone Haussman tra il 1852 e il 1870; le strade non sono lastricate ma sono ricoperte da un sottile strato di fango; ad esempio gli Champs Elysées si presentano come una lunga distesa di erba, sotto la quale sono stati scavati diversi sotterranei che ospitano le bettole dove si riuniscono i criminali e le prostitute7; i lampioni a gas illuminano soltanto le strade principali, mentre i quartieri più pericolosi

si trovano nell’oscurità totale. Inoltre tra il 1831 e il 1836 si era verificata una forte immigrazione, dovuta alle difficili condizioni di vita della campagna e alla forte attrazione esercitata dalla grande città; colui che arriva a Parigi ha sentito solo parlare della ricchezza e del lusso che si possono trovare in questa città, tuttavia una volta arrivato nella Ville Lumière si rende conto che la realtà è un’altra, che la ricchezza non esiste ma esiste soprattutto la miseria, la povertà; Parigi sembra una piovra, una città tentacolare che con i suoi tentacoli cerca di afferrare gli abitanti e di divorarli consumandone le forze. Parigi sta diventando una città industriale e il divario tra ricchi e poveri è destinato a crescere sempre più; come ha messo in evidenza Buret, tutte le famiglie indigenti, abitano in un’unica stanza, solitamente una soffitta, piccola, buia, dove spesso al posto del letto si trova solo del pagliericcio8 (lo vedremo più avanti analizzando l’abitazione dei Morel).

I protagonisti della storia si muovono nelle laide viuzze della Cité, un quartiere infetto, coperto di melma e di letame, rifugio dei malfattori più temibili, che si addentrano in queste vie oscure dove si trovano soltanto osterie, miserabili botteghe e abitazioni in preda allo sfacelo; in questo quartiere, dove si concentra la malavita, come dice il carcerato Pique- Vinaigre “dal mattino a sera, e soprattutto dalla sera al mattino, quel che si poteva udire era il solito ritornello: Attenti! Aiuto! All’assassino”9. Parigi è una cloaca infernale nelle cui strade insalubri si muovono ombre, dove il

tasso di mortalità ha toccato apici vertiginosi aggirandosi intorno al 50 %. I quartieri in cui la mortalità è più alta sono anche quelli in cui più alta è la criminalità, e in cui la prostituzione ha per

7 N. Atkinson: op. cit. p. 146.

8 E. Buret: De la misère des classes laborieuses en Angleterre et en France, Paris, Paulin, 1840, pp. 319- 320. 9 E. Sue: op. cit., p. 912.

(7)

7 letto le fogne. La Parigi di Sue presenta una struttura labirintica, è avvolta in un atmosfera lugubre e tenebrosa, è dominata dalla “mitologia degradante dello sporco e dell’umido”10. Sue apre il

romanzo proprio con la descrizione del luogo principale dove è ambientata la storia e ne mette in evidenza tutta la desolazione e la miseria:

«Il 13 dicembre 1838, in una serata piovosa e fredda, un uomo di statura atletica, con addosso un logoro camiciotto, attraversò il pont-au-Change e s’addentrò nella Cité, labirinto di vie oscure, strette, tortuose che va dal palazzo di Giustizia fino a Notre-Dame. Il quartiere del palazzo di Giustizia, assai circoscritto, alquanto sorvegliato, serve nondimeno da asilo e da luogo d’appuntamento per i malfattori di Parigi. Non è strano, o meglio fatale, che un’irresistibile attrazione faccia sempre gravitare questi criminali attorno al temibile tribunale che li condanna alla prigione, ai lavori forzati, al patibolo ? Quella notte, dunque, il vento s’infilava con violenza nelle orrende viuzze del lugubre quartiere; la luce pallida, vacillante, dei lampioni investiti dalla tramontana si rifletteva sul rigagnolo di acqua nerastra che scorreva in mezzo ai selciati fangosi. Le case color fango avevano rade finestre con gli infissi tarlati e quasi senza vetri. Androni neri, infetti, conducevano a scale ancora più nere, più infette, e così perpendicolari che chi avesse voluto salirvi avrebbe dovuto aiutarsi con una corda fissata con ganci di ferro ai muri alti e umidi.»11

Ciò che salta subito agli occhi è l’insolito e inaspettato contrasto che consiste nel fatto che la sede della giustizia si trovi proprio a ridosso della malavita; in realtà questo accostamento non deve stupire, perché, come ha sottolineato Marini, il contrasto è alla base della poetica dei Misteri di Parigi, Sue crede fortemente nella “puissance des contrastes”12: da un lato abbiamo i poveri

terribilmente poveri, dall’altro i ricchi grandiosamente ricchi; i malvagi immensamente malvagi e i buoni esageratamente buoni.13 Anche l’immagine della stessa Parigi è piuttosto contrastante: la

povertà vive accanto al lusso più sfrenato, la luce dei boulevards con il buio dei vicoli rischiarati soltanto dalla luce della luna, la pulizia con il fango, le squallide soffitte dei poveri con gli sfarzosi palazzi degli aristocratici, la virtù con il vizio e la corruzione; Parigi è insieme “fiabesca e demoniaca”14, pericolosa e affascinante, è una città che presenta un doppio volto, uno idealizzato e

irreale, quello in cui vive l’aristocrazia, dietro al quale si nasconde quello vero, il mondo nero dei miserabili.

I luoghi

Una delle costanti spaziali del romanzo ambientato nei bassifondi è l’osteria, la bettola in cui si riunisce questo scarto di umanità, dove si incontrano i peggiori delinquenti dei Misteri; la ritroveremo in tutti i testi di questa analisi (I miserabili, Le avventure di Oliver Twist, L’Assommoir, Il ventre di Napoli e Milano sconosciuta). I primi sei capitoli vedono come protagonista l’osteria del

10 M. Romano: Mitologia romatica e letteratura popolare, Struttura e sociologia del romanzo d’appendice, Longo

Editore, Ravenna, 1977, p. 57.

11 E. Sue: op. cit., p.35. 12 E. Sue: op. cit., p.34. 13 Q. Marini: op. cit., p.184. 14 M. Romano: op. cit., p. 52.

(8)

8 Lapin Blanc, una sordida bettola che l’autore, nel primo capitolo intitolato “La bettola”, descrive in questi termini:

«Un tapis-franc, nel gergo dei ladri e degli assassini, è un’osteria o una bettola della peggior specie. Un pregiudicato che, in quella ignobile lingua, si chiama orco, o una donna, anch’essa pregiudicata, che si chiama orchessa, gestiscono queste taverne, frequentate dalla feccia della popolazione parigina: vi si trovano ex forzati, truffatori, ladri, assassini. Quando viene commesso un delitto, la polizia getta la sua rete dentro questa melma; quasi sempre vi prende i colpevoli.[…] E’ una sala ampia e bassa, dal soffitto affumicato percorso da travi nere, rischiarata dalla luce rossastra di una lampada difettosa. Sui muri, ridipinti a calce, sono stati incisi qua e là disegno osceni o sentenze in gergo. Il suolo battuto, impregnato di salnitro, è ricoperto di fango; una bracciata di paglia è disposta, come un tappeto, ai piedi del banco dell’ostessa[…].»15

Il Lapin Blanc, all’interno del quale troviamo sin da subito il principe Rodolphe travestito da operaio, è gestito da una donna di quarant’anni, comare Ponisse; si tratta di un’ostessa raccapricciante, è grande, robusta, con la barba, ha uno scialle di pelo di coniglio e un volto abbronzato a causa dell’eccessivo uso di liquori forti. Questo luogo è frequentato dagli individui della peggiore specie che vi si riuniscono per organizzare furti, omicidi e rapimenti.

Fatto piuttosto curioso, l’osteria del Lapin Blanc è esistita veramente, fu creata sotto la Restaurazione da Paul Niquet, e occupava in rue aux Fèves una vecchia casa che aveva visto, così si dice, il battesimo di Carlo IX. Questa taverna ha visto passare due rivoluzioni, quella del 1830 e quella del 1832, senza mai cessare la propria attività; per arrivare alla porta d’entrata, occorre attraversare uno stretto corridoio nero, umido e fangoso. Dopo la pubblicazione dei Misteri di Parigi il Lapin Blanc ha conosciuto una fama senza precedenti, ad esempio, i suoi muri sono stati tappezzati di immagini e di caricature popolari rappresentanti le scene che Sue vi aveva ambientato; ogni giorno l’osteria è visitata da centinaia di turisti che vi si recano quasi in pellegrinaggio, con il libro sottobraccio, quasi volessero respirare l’atmosfera della storia, come se volessero incontrare i personaggi che avevano passato così tanto tempo all’interno di questo luogo: Fleur- de-Marie, lo Chourineur, il Maître d’école, la Chouette. Il Lapin Blanc è stato espropriato nel 1860 e fu demolito nel 1866 o 186716; la scomparsa di questo tapis-franc ha afflitto molti poeti dell’epoca che hanno

voluto ricordarla e celebrarla in alcune canzoni; ne riporto una che si intitola “La Cabaret du Lapin Blanc”di Philibert Laberthe:

Entre deux bras de la Seine, Il est une vieille maison Que le jour éclaire avec peine; On pourrait s’y croire en prison.

15 E. Sue: op. cit., p.33. 16 N. Atkinson: op. cit., p.62.

(9)

9 Ce cabaret si populaire,

Chanté par un fameux roman, Porte cette enseigne vulgaire: Le Lapin blanc, le Lapin blanc, etc.17

Le Lapin Blanc non è l’unica bettola del romanzo, poco più avanti ne troviamo un’altra: Le Coeur Saignant; in questo caso si tratta di un tapis-franc sotterraneo situato sotto gli Champs Elysées, è un luogo tetro, umido, sporco e malsano, le cui cantine quando piove molto possono essere inondate dalle acque della Senna, ed è proprio utilizzando una piena della Senna che il Maître d’école tenterà di sbarazzarsi di Rodolphe facendolo annegare nelle cantine dell’osteria; ecco come si presenta agli occhi del lettore il Coeur Saignant:

«[…] Rodolphe era arrivato, senza tuttavia averla vista, a una di quelle taverne sotterranee che anni addietro si potevano trovare qua e là lungo gli Champs Elysées. Una scala scavata nella terra umida e grassa portava giù in una specie di larga fossa; contro uno dei lati, che scendevano a picco, s’appoggiava una catapecchia bassa, lurida, screpolata; il tetto, coperto di tegole fitte di muschio, era leggermente al di sopra del livello della strada.[…] Un andito strettissimo attraversava la fossa per tutta la sua lunghezza e conduceva dalla scala alla porta della casa; lo spazio restante spariva sotto un graticolato che copriva due file di rozzi tavoli con le gambe piantate nel suolo. Il vento faceva orribilmente stridere sui cardini una vecchia targa di bandone; sotto la ruggine che la ricopriva si poteva ancora distinguere un cuore rosso trafitto da una freccia. L’insegna oscillava in cima a un palo, piantato all’entrata dell’antro, vero covo umano.»18

Come si può vedere, è un luogo estremamente sporco, in preda all’abbandono, un luogo caratterizzato da un’atmosfera degradante; inoltre, per posizione sotterranea sembra quasi una discesa ipogea che sottolinea il fatto che si sta parlando di una società sotterranea, che cresce e si sviluppa ai margini della società.

Dunque, possiamo concludere dicendo che le osterie sono un luogo estremamente caratterizzante e funzionale al romanzo ambientato nei bassifondi, sono il ricettacolo della malavita, della degradazione e dello squallore; la bettola è il cuore sotterraneo e pulsante dei bassifondi, la chiave d’accesso privilegiata per esplorarli e conoscerli.

I personaggi

Nei Misteri di Parigi il lettore viene a contatto con i tantissimi personaggi che si muovono sullo sfondo di una Parigi criminale; sostanzialmente tutti rientrano in uno schema determinato che prevede la costante opposizione tra bene e male. Come ha notato Marini, in questo romanzo, è

17 N. Atkinson: op. cit., p.199. 18E. Sue: op. cit., p.122.

(10)

10 necessario distinguere tra una povertà delinquenziale (irredimibile o redenta19) e una povertà

virtuosa che è sinonimo di onestà; partiamo con l’analisi di alcuni dei personaggi che appartengono a quest’ultima categoria.

Uno dei primissimi tipi che incontriamo è la prostituta del bassofondo, Fleur- de- Marie, una ragazza di 16 anni che, abbandonata dai genitori quando era una bambina, si è trovata costretta ad esercitare questa degradante professione; in realtà la sua presenza nei bassifondi è profondamente contraddittoria in quanto questa prostituta non ha niente in comune con la depravazione dell’ambiente che la circonda; questo aspetto di contraddittorietà è messo in evidenza anche da Marx nella Sacra famiglia:

«Noi troviamo Marie in mezzo a delinquenti, come ragazza di piacere e come serva dell’ostessa della taverna dei delinquenti. All’interno di questa degradazione essa conserva una nobiltà d’animo umana, che si impongono al suo ambiente, la innalzano a fiore poetico della cerchia dei delinquenti, e le procurano il nome di Fleur de Marie.»20

La ragazza è emblema di un candore e di una purezza che riescono a rimanere intatti anche in mezzo a tanta abiezione: “Fleur-de-Marie è l’eroina femminile del romanzo ed è il simbolo della purezza e dell’innocenza, macchiate, ma non distrutte, dalla corruzione di Parigi”21. Fleur-de-Marie

è un angelo precipitato nel fango di Parigi, soffre il freddo, la fame, non ha una dimora fissa, ma nonostante tutte queste disgrazie riesce a mantenere una propria dignità; ecco come ce la presenta Sue:

«Per una strana anomalia, i lineamenti della Goualeuse offrono un esempio di quei tipi angelici e candidi che conservano la loro idealità anche in mezzo alla depravazione, come se la creatura fosse incapace di cancellare con i suoi peccati l’alta impronta che Dio ha stampato sul volto di qualche essere privilegiato.[…] Una fronte purissima, bianchissima sovrastava un volto d’un ovale perfetto. Una frangia di ciglia, così lunghe da arricciarsi un poco, velava per metà due grandi occhi azzurri. La peluria della prima giovinezza vellutava due gote tonde e vermiglie. […] Dalle tempie morbide come il raso scendevano due trecce d’un magnifico biondo cinerino. […] Al collo, che era d’una bellezza e di una bianchezza folgoranti, portava un giro di coralli.[…] La sua voce soave, vibrante, melodiosa, aveva un’attrattiva così irresistibile sull’orda di scellerati e di donne perdute in mezzo ai quali viveva la ragazza che questi la supplicavano spesso di cantare, la ascoltavano rapiti, e avevano finito col soprannominarla la cantante»22

La descrizione mette in evidenza i capelli biondi e gli occhi azzurri di Fleur-de-Marie che sono simbolo di trasparenza e di purezza, il bianco rimanda all’innocenza della fanciulla; si tratta di una bellezza angelica, in totale contrasto con i quartieri che frequenta. L’immagine della ragazza ricorda il ritratto-tipo della tradizione petrarchesca, attribuito in questo caso a un ‘angelo del fango’. Il

19 Q. Marini: op. cit., p.192.

20 K. Marx e F. Engels: La sacra famiglia, Rinascita, Roma, 1954, p. 8. 21 M. Romano: op. cit., p.51.

(11)

11 binomio oppositivo tra purezza e corruzione è rappresentato dal nome Fleur-de-Marie che in argot, il gergo della malavita, significa la Vergine: “La chiamavano anche Fleur-de-Marie, parole che in gergo significano la Vergine”23.

Nel creare questo personaggio Sue si richiama al classico archetipo della vierge souillée, della vergine macchiata, la fanciulla violata nel corpo ma immacolata nello spirito; Sue aveva alle spalle una grande tradizione di scrittori che avevano fatto della vergine perseguitata la protagonista dei loro romanzi come ad esempio Clarissa di Richardson, la Manon Lescaut di Prévost, esempio di purezza nella prostituzione. Alla fine del romanzo Sue sfrutta un altro archetipo di rovesciamento: Fleur-de-Marie, che si è rivelata essere la figlia naturale di Rodolphe, tornerà a vivere in Germania ricoprendo il ruolo che le spetta per diritto, quello di principessa; tuttavia si sente schiacciata dal peso delle colpe che ha commesso, si sente sporca, non riesce a superare il suo passato, le immagini della vita che ha condotto le tornano costantemente davanti agli occhi (“i terribili ricordi della Cité”24), sebbene adesso sia circondata da tutto l’amore possibile; questo senso di colpa, questa

vergogna la condurranno alla morte, una morte che avverrà nel giorno stesso in cui avrebbe dovuto prendere i voti e farsi suora per espiare il suo passato, in un trionfo di luoghi comuni del racconto d’appendice25. Il romanzo si conclude con l’immagine di un Rodolphe stroncato dal dolore che

assiste al funerale della giovane figlia.

Un altro personaggio che si muove tra i bassifondi, ma che appartiene alla categoria dei redenti è lo Chourineur, soprannome che si richiama al suo mestiere di macellaio e che in argot significa accoltellatore, squartatore; è un uomo primitivo e violento, di grande statura e di costituzione atletica, ha i capelli biondi e dagli abiti che indossa emerge tutta la sua miseria, come Fleur-de-Marie, conosce una vita di assoluta povertà, non conosce i genitori e la strada è la sua casa:

«[…] Ricordo di non aver mai dormito in ciò che si dice un letto. Le pietre del Louvre, le fornaci di gesso di Clichy e le cave di Montrouge, ecco gli alberghi della mia gioventù. […] Vedo come attraverso una nebbia i vagabondaggi della mia infanzia assieme a un vecchio straccivendolo che mi caricava di botte. […] I miei genitori? Stanno allo stesso numero di quelli della Goualeuse… il mio luogo di nascita? Il primo angolo d’una via qualsiasi, il marciapiede sinistro o il marciapiede destro a seconda che si discenda o si risalga il corso del rigagnolo.»26

In realtà mentre racconta la propria tragica storia dalle parole traspare il suo buon carattere, dice di non aver mai rubato e di essere perseguitato dai fantasmi del sergente e dei soldati che, durante

23 E. Sue: op. cit., p.41. 24 E. Sue: op. cit., p.1133. 25 Cfr. Eco, op. cit., p. 33. 26 E. Sue: op. cit., p.59.

(12)

12 un momento di furia sanguinaria, aveva colpito a morte. Lo Chorineur dimostra che la redenzione dal male è possibile se c’è nell’animo un fondo di bontà:

«Ma se colui che resta onesto in mezzo alla gente onesta da cui è stimato merita interessamento e appoggio, interessamento e appoggio merita anche colui che, sebbene lontano dalla gente onesta, riesce a mantenersi tale in mezzo agli scellerati più abominevoli della terra.»27

Rodolphe vede in lui una persona rispettabile che sa provare pentimento per i delitti che ha commesso e basterà una semplice frase del principe (“hai un cuore e un onore”28) a cambiare

radicalmente la sua vita: metterà la sua straordinaria forza al servizio del giustiziere, aiutandolo a contrastare il male; lo Chourineur diventa il cane fedele di Ropolphe, lo segue e lo appoggia in tutto, arrivando ad annullare la propria personalità, senza di lui non è più nulla; questo criminale redento, confessa a Rodolphe di sentire per lui lo stesso attaccamento che un bulldog sente per il suo padrone e, come sottolinea Marx nella Sacra famiglia, “ lo scannatore di un tempo è trasformato in un cane. La sua autonomia, la sua individualità, spariranno completamente”29. Per il

suo padrone lo Chourineur è pronto a sacrificare la sua vita, come possiamo vedere nel capitolo intitolato “La mano di Dio”, dove lo Chourineur muore pronunciando una frase significativa: “ho ucciso con una coltellata e muoio con una coltellata”30 come se la sua morte fosse una sorta di

contrappasso, è ucciso dalla colpa che ha commesso.

Attraverso questo personaggio Sue affronta uno dei tanti problemi sociali che vengono toccati nel romanzo, ossia, l’emarginazione messa in atto dalla società nei confronti di tutti gli ex-forzati, un isolamento che li spinge nuovamente verso il crimine: lo Chourineur, dopo l’uscita di prigione, abbandonato dalla società e esasperato dalla miseria e dalla fame, è costretto a causa del disgusto che suscita nelle persone oneste, a frequentare i luoghi dei malfattori, è la società quindi che crea i criminali. Lo Chourineur è una delle tante vittime della società, è un uomo nuovo ma è comunque uno scarto della società, un pentito che non riesce più a reinserirsi nel mondo, il criminale resta segnato a vita dalle macchie del sangue che ha versato o dal furto che ha compiuto, per lui non ci potrà mai essere alcuna riabilitazione.

L’esempio per eccellenza di questa povertà virtuosa è senza ombra di dubbio Jérome Morel che è il protagonista di uno dei capitoli più patetici e strappalacrime dell’intero romanzo, ambientato in una lurida mansarda situata in rue du Temple. In questo capitolo, che si intitola “La miseria”, Sue con estrema crudezza mette in evidenza la spaventosa miseria dell’abitazione e della famiglia che ci

27 E. Sue: op. cit., p.156. 28 E. Sue: op. cit., p.157.

29 K. Marx e F. Engels: op. cit., p. 4. 30 E. Sue: op. cit., p. 1089.

(13)

13 vive; il lettore entra nella soffitta dei Morel spiando nella fessura di una parete alla penombra di una fredda notte invernale. Ecco la descrizione di questo tugurio abominevole e del suo abitante, il cui abbruttimento lo avvicina a una condizione quasi animalesca:

«Su una piccola tavola quadrata, c’è una candela la cui luce, gialla e anemica, riesce a trafiggere si e no la fitta oscurità della soffitta; bugigattolo piccolo e basso, costituito da due terzi da un tetto che s’incontra col pavimento formando uno strettissimo angolo acuto. Il soffitto, quindi, non è altro che il disotto verdastro delle tegole. I tramezzi intonacati di gesso annerito dal tempo e pieni di crepe sono fatti di assi tarlate.[…] Sul pavimento, di colore indefinibile, lurido e scivoloso, ci sono, sparsi fili di paglia fradicia, stracci sudici e certi grandi ossi che i poveri acquistano dai più infimi rivenditori di carne guasta. […] L’uomo ci vive dentro come una bestia nella tana. La candela disegna una zona di luce fioca che digrada giù giù fino a perdersi nell’ombra in cui è immersa quella topaia. […] Seduto su uno sgabello, sfinito dalla stanchezza, dal freddo e dal sonno, il lapidario ha reclinato sul banco la testa stordita.[…] Il lapidario possiede solo uno striminzito materasso e un pezzo di coperta. […] Aveva quarant’anni, un viso schietto, intelligente e dolce, ma avvizzito e scavato dalla miseria; una barba grigia di parecchie settimane gli copriva la parte inferiore del volto butterato, mentre la fronte, già intaccata dalla calvizie, era percorsa da rughe precoci e gli occhi erano gonfi e rossi per il lavoro notturno.»31

Morel esercita il mestiere di lapidario, di intagliatore di pietre preziose: ciò è piuttosto beffardo, in quanto, questo mestiere cozza profondamente con la topaia in cui vive; Sue fa convivere tanta ricchezza in mezzo a tanta miseria (si ricordi la “puissance des contrastes”). L’accostamento tra la miseria e il valore delle pietre preziose che Morel deve intagliare, sottolineano l’integrità, l’onestà di questo artigiano: una sola di queste pietre basterebbe a strappare dai continui stenti l’intera famiglia, tuttavia Morel non ne ruberà mai nemmeno una. Quest’uomo, come ha sottolineato Marini, è l’eroe della fede e della sopportazione32; il suo unico scopo è quello di essere un

lavoratore onesto, lavora quindici ore al giorno, il lavoro ha fatto di lui una specie di automa che lavora meccanicamente senza mai girare la testa.

Morel non è l’unico abitante di questa angusta soffitta, attorno a lui, avvolti da luridi stracci, vivono cinque bambini, di cui il più piccolo ha quattro anni e il più grande dodici, la moglie e la vecchia madre della moglie che è malata di mente. Nonostante sia notte fonda, nessuno di loro dorme perché il freddo, la fame e la malattia fanno tenere gli occhi aperti; i bambini hanno come letto un unico pagliericcio umido sul quale tremano, le due femmine sono molto ammalate, hanno facce pallide e anemiche, la bambina più piccola, Adéle, è minata dalla tisi e morirà nell’arco di poche ore. La moglie, Madeleine, è una donna di trentasei anni, ha gli occhi scavati e esangui, un viso segnato dalla tristezza e dall’avvilimento, è stremata da una febbre che la sta progressivamente divorando. A concludere questo penoso spettacolo c’è la suocera di Morel, una donna di ottantasei anni, che sta tremando sotto una coperta di lana troppo corta per coprirla interamente e dalla quale emergono le sue gambe scarne. Nell’arco di poco tempo in questa mansarda succede di tutto, la

31 E. Sue: op. cit., p.369. 32 Q. Marini: op. cit., p.195.

(14)

14 piccola Adéle muore e la figlia maggiore di Morel, Louise viene arrestata con l’accusa d’infanticidio; lo spirito, già provato di Morel, riceve il colpo di grazia , quest’ultimo diventa pazzo e viene portato in manicomio. Alla fine del romanzo, ritroviamo Morel nel manicomio di Bicêtre, e, grazie alle cure dei medici, ma soprattutto alla vista di Louise, finalmente scarcerata, ritroverà il senno e potrà tornare a casa; solo che questa volta ad aspettarlo non ci sarà la topaia di rue du Temple, ma un’abitazione dignitosa che Rodolphe, incarnazione della provvidenza, ha donato alla sventurata famiglia.

Passiamo ora ad analizzare i personaggi spietati e criminali, vera anima del romanzo dei bassifondi. Senza dubbio uno dei più pericolosi personaggi di questa categoria è il Maître d’école, un assassino evaso dalla galera che si è deturpato il volto con il vetriolo per rendersi irriconoscibile agli occhi della polizia; il Maître deve il suo soprannome alla propria capacità e abilità di saper utilizzare un linguaggio elevato e ricercato; quest’uomo, che ha cercato di affogare Rodolphe, che ha rubato in casa del principe e che ha ferito il suo fedele servitore Murph, coinvolge sempre nei suoi crimini la Chouette, insieme formano una terribile coppia capace di tutto. L’entrata in scena della coppia è anticipata da un “fremito di terrore”33 che percorre gli ospiti del Lapin Blanc:

«[…] Non si poteva immaginare cosa più terrificante del volto di questo brigante. La faccia era solcata in tutte le direzioni da cicatrici livide e profonde; le labbra, tumefatte dall’azione corrosiva del vetriolo; le cartilagini, del naso tagliate; le narici, sostituite da due buchi informi. Gli occhi grigi, chiarissimi, microscopici, tondi tondi, sprizzavano ferocia; la fronte, schiacciata come quella di una tigre, era quasi nascosta con un berretto di pelle con pelo lungo e rossiccio… si sarebbe pensato alla criniera d’un mostro. […] Dobbiamo rinunciare a dipingere l’espressione di ferocia che scoppiava su questa maschera spaventosa, in quegli occhi inquieti, mobili, ardenti come quelli di una fiera.»34

Il Maître d’école è la prima vittima di Rodolphe che, nel capitolo intitolato “La punizione”, lo interroga, lo processa, lo giudica e infine lo punisce per tutti i misfatti che ha compiuto; la punizione destinata a questo criminale è l’accecamento, effettuato da David, il medico personale del principe. La malvagità del Maître è stata annientata, adesso non è in grado di nuocere ad alcuno, è costretto all’inattività, ora sa che cosa significa avere paura, la sua punizione è pari ai suoi delitti, anche qui abbiamo una sorta di contrappasso: “hai usato la tua forza per uccidere…io paralizzerò la tua forza…i più forti tremavano davanti a te…tu tremerai davanti ai più deboli… hai gettato alcune creature di Dio nella notte eterna…le tenebre dell’eternità cominceranno per te in questa vita.”35

Sue, come già aveva fatto per lo Chourineur, costruisce questo personaggio per dimostrare la propria tesi, ovvero, che la pena di morte è totalmente inutile perché punisce ma non porta a un

33 E. Sue: op. cit., p.63. 34 E. Sue: op. cit., p.66. 35 E. Sue: op. cit., p.146.

(15)

15 sincero pentimento, a una redenzione; il colpevole invece ha bisogno di solitudine e di isolamento, solo così potrà sentire tutto il peso dei crimini commessi e solo così ci potrà essere un pentimento. Sue riflette sul sistema carcerario dell’epoca e sulla pena di morte, che erano alcuni dei grandi temi di discussione di questo periodo. Secondo Sue il carcere non serve a punire ma incoraggia e favorisce il crimine nella misura in cui piccoli delinquenti e grandi criminali sono costantemente a stretto contatto. Tornando alla pena di morte, Sue sostiene che essa sia inefficace, Rodolphe avrebbe benissimo potuto uccidere subito il Maître, ma così facendo avrebbe preso la strada più facile, una strada che esclude qualsiasi ravvedimento da parte del colpevole; ecco le parole con le quali Rodolphe giustifica la scelta dell’accecamento piuttosto che la morte:

«[…] Questa spaventosa punizione non ti toglierà almeno l’orizzonte sconfinato dell’espiazione.. Sarei un criminale pari tuo, se, punendoti, soddisfacessi solo la mia sete di vendetta, per quanto giusta fosse.. Lungi dall’essere sterile come la morte.. la punizione dovrà essere feconda; lungi dal dannarti.. potrà redimerti.. ti privo per sempre della bellezza della natura.. se ti precipito in una notte impenetrabile.. solo.. con il ricordo dei tuoi misfatti.. lo faccio affinché tu non smetta mai di contemplarne l’enormità.. Sì.. isolato per sempre dal mondo esteriore, sarai costretto a guardare in te.. e allora spero che la tua fronte, bollata dall’infamia, arrossirà di vergogna.. che il tuo animo reso insensibile dalla ferocia.. s’intenerirà per pietà.. ogni tua parola è una bestemmia.. ogni tua parola sarà una preghiera.. il tuo cuore è chiuso al pentimento.. un giorno piangerai le tue vittime.»36

Rodolphe, accecando il Maître, fa in modo che nel buio eterno a cui è condannato, sia perseguitato dal senso di colpa e da incubi spaventosi: uno di questi lo coglie durante la notte passata alla fattoria di Bouqueval; nel sogno il Maître vede passare davanti a lui i fantasmi delle persone che ha ucciso avvolti in una lava infuocata e prova inenarrabili tormenti: sente le pupille diventare roventi e fondersi nel magma, il lago di sangue che vede, rappresenta tutto il sangue che ha versato; gli spettri che sfilano davanti a lui sono silenziosi, hanno il compito di far nascere in lui il senso di colpa, ha davanti tutto il male che ha fatto, attraverso questo incubo ha inizio il suo percorso di purificazione. Alla fine del romanzo Sue, per confermare la sua tesi, ci fa vedere il Maître che, creduto pazzo, è stato rinchiuso nel manicomio di Bicêtre, trascorre il suo tempo in isolamento, un isolamento che ha favorito la sua catarsi, è purificato dalla solitudine, i suoi cattivi istinti sono spariti.

Degna compare del Maître è la perfidissima Chouette. Questa donna si muove nella Cité, vive di furti e uccide chiunque le ostacoli la strada; in lei il male risulta incorreggibile, per lei non ci sarà alcuna possibilità di salvezza. All’inizio della storia, Sue aveva parlato di “altri barbari”37, e la

Chouette è il personaggio che li incarna al meglio, in quanto non è soltanto una pericolosa criminale, ma è l’ipostasi del male assoluto, è diabolica e disumana, sembra quasi che in lei ci sia

36 E. Sue: op. cit., p.147. 37 E. Sue: op. cit., p.35.

(16)

16 una sorta di compiacimento nel compiere il male; il suo soprannome rimanda al mondo animale, in quanto Chouette significa civetta, ha l’occhio verde e tondo, il naso adunco e delle labbra sottili, è un essere a metà strada tra il mondo animale e il mondo umano. L’inclinazione alla malvagità della Chouette emerge indirettamente, quando, Fleur-de-Marie, che all’età di quattro anni era stata affidata a questo mostro, racconta tutte le torture (botte, percosse, denti strappati) che era stata costretta a subire:

«[…] La mattina del giorno dopo la guercia mi dava per colazione la stessa razione di botte che mi aveva dato per cena. Siccome avevo fame e le botte mi facevano male, piangevo tutte le lacrime dei miei occhi.»

In questo caso, la Chouette non sarà punita da Rodolphe, ma verrà strangolata dal suo vecchio compagni di crimine, il Maître che, ormai cieco e disperato, è tenuto prigioniero nella cantina del Coeur Saignant; la donna, priva di qualsiasi pietà per la menomazione dell’uomo, scende nei sotterranei per prenderlo in giro, ma, spinta da Tortillard, scivola e finisce nelle grinfie del Maître che, dopo una lotta furibonda, la uccide. Ecco la scena terrificante, che contiene anche la confessione dei rimorsi per la sua vita passata del Maître:

«La Chouette lanciò un urlo così terribile, che Tortillard, spaventato, sobbalzò sul suo scalino e si alzò in piedi. Gli agghiaccianti urli della Chouette parvero portare al parossismo l’accesso di furore del Maître d’école. L’ultimo sprazzo di ragione dello sciagurato di spense in quel grido di terrore, in quel grido d’anima dannata. Da quel momento il Maître d’école non ragionò più; agì ruggendo come una bestia feroce, ubbidendo soltanto all’istinto selvaggio della distruzione per la distruzione. E qualcosa di orribile accadde nelle tenebre della cantina. Si sentì uno strusciar di piedi precipitoso, interrotto a intervalli da un rumore sordo, come quello di una scatola cranica che rimbalzasse sopra un sasso su cui qualcuno tentasse di spezzarla. Dei gemiti convulsi e uno scroscio di riso infernale accompagnavano ogni colpo. Poi si udì un rantolo di agonia… Poi più nulla.»38

Da questa scena emerge la tendenza alla ricerca del sensazionalismo, dell’esagerazione spettacolare, tale da suscitare nel lettore emozioni forti legate anche alla paura; e proprio in questo si può notare il legame con il romanzo nero, un genere narrativo caratterizzato da un’atmosfera di inquietudine e di terrore.

Tortillard è un personaggio minore ma non per questo meno importante, è un ragazzino di dieci anni, zoppicante e deforme, e, in quanto a scelleratezza, è il degno erede del Maître e della Chouette. La caratteristica principale di Tortillard è un sadismo diabolico, è cresciuto in mezzo ai peggiori criminali, primo tra tutti il padre, Bras-Rouge, è scaltro e smaliziato; nonostante sia solo poco più che un bambino, in lui non c’è nulla di buono, è malvagio fino in fondo, ha sete soltanto di odio e di vendetta. Tuttavia nel romanzo c’è una scena in cui Tortillard sembra solo un bambino alla ricerca di affetto e comprensione, è per questo che ama la Chouette come se fosse sua madre, la emula in tutto, soprattutto nel male, è orgoglioso di seguirla e di aiutarla nei suoi delitti. Il perverso

(17)

17 sadismo di questo personaggio emerge nella scena che lo vede protagonista, assieme al Maître già accecato, alla fattoria di Bouqueval; i due personaggi, che fingono di chiedere ospitalità, erano in realtà incaricati del rapimento di Fleur-de-Marie, che si trovava in questa fattoria. Durante la cena, Tortillard, per puro sadismo, riempie di calci il Maître che non osa ribellarsi:

«gli balenò la trista idea di voler costringere il Maître d’école a sopportare le sue cattive maniere senza battere ciglio, cosa che gli avrebbe procurato un piacere sottilissimo. Ripagò così tutte le visibili attenzioni che aveva prodigato al finto padre con altrettanti calci allungati sotto il tavolo e diretti in particolar modo a una vecchia ferita del Maître d’école. Per nascondere il proprio dolore a ogni colpo di Tortillard, il brigante doveva fare appello a un coraggio tanto più stoico, in quanto il nostro piccolo mostro per mettere la propria vittima in una situazione ancora più difficile, sceglieva per i suoi attacchi il momento in cui il Maître d’école o beveva o parlava.»39

Questo piccolo malfattore è il degno erede dei più spietati criminali, non prova emozioni, è destinato solo a uccidere; si diverte quando la Chouette maltratta il Maître che, a causa della sua condizione, è una vittima prigioniera dei suoi aguzzini. Tortillard assiste alla morte della Chouette, è lui stesso che spingendola a tradimento la fa precipitare direttamente nelle mani del Maître; il ragazzino guarda questa scena come se stesse guardando uno spettacolo, per lui la morte diventa uno spettacolo, una messa in scena che suscita divertimento. Tortillard è emblema della criminalità infantile, all’epoca un fenomeno molto diffuso, provocato dall’abbandono precoce di questi bambini, che, spinti dalla fame diventano piccoli furfanti, ladri e poi assassini.

Attraverso questo personaggio, Sue spinge il lettore a riflettere sulla condizione reale in cui si trovano questi enfants trouvés, gettati sulle strade fangose di Parigi, abbandonati a loro stessi; sono i figli del popolo, di tutti e di nessuno, dimenticati dai genitori e dal mondo, sono considerati dei reietti della società e per questo vengono lasciati morire di fame ai bordi delle strade dove vivono una vita di stenti, privati di qualsiasi bene. La loro è una lotta continua per la sopravvivenza: è chiaro, che questi bambini, se vogliono continuare a vivere diventeranno dei criminali e di conseguenza la criminalità infantile diventa una delle più preoccupanti piaghe della Parigi del diciannovesimo secolo: secondo un dato pubblicato dalla Presse del 14 gennaio del 1841, il numero dei bambini abbandonati negli ospizi è di 1289, un numero spaventoso.40 Il problema dei bambini

abbandonati, come vedremo, sarà centrale in Oliver Twist e in altre opere di Dickens, dove troviamo lo stesso scenario della Parigi di Sue, spostato questa volta a Londra.

Sue per mezzo di Tortillard ha dipinto il gamin di Parigi, il cui modello per antonomasia è il piccolo Gavroche di Hugo sul quale avrò modo di ritornare in maniera più approfondita nel prossimo capitolo. La principale caratteristica del gamin è la voglia di libertà, il desiderio di

39 E. Sue: op. cit., p.293. 40 N. Atkinson: op. cit., p.63.

(18)

18 indipendenza, non ha padroni, è completamente libero, è per strada che si forma la sua educazione e impara a conoscere il mondo. In realtà, a ben vedere, Tortillard rappresenta più che altro un rovesciamento di Gavroche, in quanto, è caratterizzato soltanto da aspetti negativi, mentre invece, come vedremo, Gavroche saprà dare prova di grande bontà e umanità, nonostante sia anche lui un figlio della strada.

Non tutti i personaggi malvagi appartengono alla classe sociale dei miserabili, il personaggio più depravato del romanzo appartiene alla borghesia: il notaio Jacques Ferrand; nella costante dialettica di fondo tra bene e male, il notaio incarna l’estremo negativo della perversità e perfidia umana. Mentre i cattivi “poveri” sono parzialmente giustificati dalla povertà, dall’ignoranza e dalla fame, che li spingono a commettere azioni delittuose, i cattivi nobili sono schiavi della loro vanità, il borghese Ferrand è “la quintessenza del malvagio di tutti i tempi e di tutta la letteratura, romanzesca e no”.41 Il notaio conduce la sua esistenza nascondendosi dietro l’apparenza, vive in una palazzina

in sfacelo con i muri pieni di crepe e le persiane e le finestre nere. Questa apparenza è molto vantaggiosa in quanto, il popolo, accostando il dispendioso tenore di vita di alcuni notai alla casa-topaia di Ferrand e al suo disprezzo per l’eleganza, la ricercatezza e il lusso, prova per lui rispetto e timore; il suo aspetto fisico, non curato, trasandato, sporco, rispecchia alla perfezione il luogo squallido in cui vive:

«Nel vestire ostentava una trascuratezza che confinava con la sporcizia, o meglio era sordido per natura; il viso rasato ogni due o tre giorni, il cranio sporco e grinzoso, le unghie appiattite e cerchiate di nero, l’odore di caprone, il vecchio soprabito liso, i capelli unti, le cravatte spiegazzate, le nere calze di lana, le scarpe grosse, tutte cose che venivano considerate dai suoi clienti indizio sicuro di virtù e che conferivano al notaio una cert’aria di distacco dal mondo e un profumo di filosofia pratica da cui si lasciava sedurre.»42

Ferrand possiede i tratti di alcune delle maschere più celebri del teatro francese: è una sorta di fusione tra Arpagone e Tartufo; come Arpagone, è avaro, controlla ossessivamente il suo denaro, lo nasconde nei posti più impensabili, inoltre, è falso e ipocrita più di Tartufo. Sue unisce le caratteristiche negative di questi due personaggi di Molière in Ferrand, un uomo scaltro, audace e diabolico. In questo notaio però c’è un’ancor più straordinaria passione, la lussuria, una lussuria quasi bestiale (“la lussuria della bestia, la lussuria del lupo o della tigre”43), un appetito vergognoso

e ignobile che lo esalta fin quasi alla follia.

Ferrand è il più grande antagonista di Rodolphe, è lui che impedisce ai Morel di uscire dalla condizione di miseria in cui versano, è lui che ha violentato e messo incinta Louise dopo averla narcotizzata, è lui che commissiona ai Martial, terribili predoni d’acqua, il rapimento e l’uccisione

41 Q. Marini: op. cit., p.199. 42 E. Sue: op. cit., p.468. 43 E. Sue: op. cit., p.470.

(19)

19 di Fleur-de-Marie. I lettori stessi chiedono a Sue una vendetta, una punizione provvidenziale per questo mostro, che Rodolphe compie in maniera esemplare, facendo del perfido lussurioso una vittima della stessa ragazza che vuole possedere, il suo piano mira a colpire i bassi appetiti del notaio. Il principe introduce nella casa di Ferrand una bellissima ragazza creola che avrebbe dovuto ricoprire l’incarico di domestica; Cecily, è questo il nome della ragazza, precedentemente istruita da Rodolphe, scatena i sensi del notaio e riesce a sottometterlo al suo volere; Cecily è una femme fatale, una meraviglia esotica, caratterizzata da una sensualità brutale che esaspera Ferrand portandolo alla follia.

Nel capitolo “E non sarai più lussurioso” Sue descrive il drammatico epilogo della storia di questo mostro; il notaio, attraverso un piccolo sportellino costruito nella porta della camera di Cecily, guarda, con il volto livido e stravolto dalla libidine, la ragazza che si spoglia e ostenta il suo corpo, Ferrand, in preda all’esasperazione riesce a sfondare la porta, ma la ragazza fugge calandosi dalla finestra e il notaio, ormai sfinito, si accascia. La morte di quest’uomo avverrà poco dopo sotto gli occhi di Rodolphe, prima di morire però impazzisce, vede l’immagine di Cecily, come un fantasma che continua a torturarlo fino alla fine e nell’ultima fase del suo delirium vede anche i fantasmi delle persone che ha seviziato, Louise e Fleur de Marie:

«Notte fonda!.. Fonda… spettri… scheletri di bronzo arroventato… mi afferrano…le loro dita ardenti… fumano le mie carni… il midollo mi si calcina…. spettro spietato…. no!... no…. Cecily!... il fuoco…. Cecily.»44

Secondo Marini, che si rifà all’interpretazione di Marx, in Ferrand l’autore ha voluto colpire la borghesia del suo tempo, una borghesia arrampicatrice e avida di denaro che, nella Francia di Sue e “dietro i programmi economici capitalistico liberali di Guizot (si ricordi il suo noto slogan “Enrichissez vous!”), aveva spazzato via i sogni egualitari della rivoluzione”.45 Marx ne La sacra

famiglia mette in evidenza come Sue abbia rappresentato tramite Ferrand una borghesia corrotta, malata, legata esclusivamente al denaro; concludo l’analisi dei personaggi riportando la citazione di Marx:

«Notaio e uomo di affari parigino è nel romanzo il più radicale antagonista di Rodolphe, il simbolo dell’avidità di denaro, dell’ipocrisia e della lussuria. Crea la propria ricchezza creando la miseria altrui. È caratteristico del socialismo feudale e paternalistico di Sue aver fatto di un aristocratico il personaggio positivo, e del rappresentante della borghesia e della città il personaggio negativo.»46

44 E. Sue: op. cit., p.991. 45 Q. Marini: op. cit., p.197.

(20)

20

Fisionomia e psicologia criminale

I tipi che Sue ci presenta rispondono alle caratteristiche esteriori del tipo criminale e degenerato come era diffuso all’epoca; Sue li abbozza seguendo i modelli proposti da Gall e Lavater, i due frenologi più celebri dell’epoca.47Sue si richiama alla fisiognomica, una disciplina pseudoscientifica

che mette in evidenza il rapporto tra caratteri fisici e tratti morali e in particolare pretende di dedurre i caratteri psicologici e morali di una persona dal suo aspetto fisico, soprattutto dai lineamenti e dalle espressioni del volto. Il filosofo svizzero Lavater nel 1777 pubblica un testo intitolato Frammenti fisiognomici, all’interno del quale classifica i corpi umani secondo i caratteri somatici; Gall invece sostiene che lo sviluppo delle facoltà intellettuali è proporzionale a quello della fronte e della parte superiore della testa e che il cervello è responsabile di tutte le inclinazioni; questo frenologo è convinto che attraverso la forma della testa e del cranio, si possano scoprire le qualità e il carattere dell’individuo.48 In Sue la descrizione fisica dei personaggi è fondamentale

perché essa ci fa capire immediatamente come è il personaggio, l’aspetto esteriore coincide con quello interiore. I criminali hanno la fronte schiacciata e appiattita, lo sguardo insidioso e crudele, la bocca sottile e la nuca molto spaziosa, inoltre, quasi tutte le figure hanno somiglianze straordinarie con il mondo animale: i lineamenti di uno rimandano alla perfidia della volpe, i tratti di un altro alla rapacità dell’uccello, in un altro ancora rimandano alla ferocia della tigre. La descrizione dell’aspetto dei criminali riveste un ruolo di primaria importanza nel capitolo in cui Sue porta il lettore all’interno della prigione chiamata la fossa dei leoni; l’autore si sofferma sul ritratto dello Squelette, un carcerato accusato di furto e omicidio che nell’ aspetto assomiglia a un serpente; ecco la descrizione:

«Lo Squelette era il capoccia di questo gruppo di detenuti. Sui quarant’anni, piuttosto alto, quest’uomo giustificava il lugubre soprannome per la sua magrezza, impossibile a immaginarsi. Se la fisionomia dei compagni dello Squelette offriva una certa analogia con quella della tigre, dell’avvoltoio o della volpe, la forma della sua fronte, sfuggente all’indietro, e delle sue mascelle ossute, piuttosto piatte e allungate, sostenute da un collo sproporzionatamente lungo, ricordava perfettamente la conformazione della testa del serpente. La totale calvizie accresceva ancor maggiormente quest’odiosa rassomiglianza; sotto la pelle rugosa della fronte, infatti, quasi piatta come quella di un rettile, si potevano distinguere le minime protuberanze e le minime suture del cranio; il viso era imberbe e incartapecorito come una vecchia pergamena incollata direttamente sulle ossa facciali. Gli occhi, piccoli e torbidi, erano così profondamente

47 N. Atkinson: op. cit., p. 183. 48 N. Atkinson: op. cit., p.184.

(21)

21 infossati, l’arcata sopracciliare e gli zigomi così prominenti, che sotto la fronte giallastra, là dove si arrestava la luce, si vedevano due orbite letteralmente invase d’ombra.»49

Sue non si è occupato solo di fisionomia criminale, ma ha studiato anche la psicologia criminale; egli sostiene che i criminali subiscano il fascino di quelli che sono i più celebri tra loro, e che abbiano una grande ammirazione e venerazione per quelli che sono più colpevoli e per quelli che hanno commesso i crimini più atroci, ad esempio, l’influenza che lo Squelette esercita sugli altri detenuti per la sua perversità, lo ha fatto scegliere, dal direttore della prigione, come capo e responsabile del dormitorio.50

Sempre secondo la “puissance des contrastes”51 Sue ci fa vedere come i criminali siano

facilmente impressionati dai racconti onesti e di come, questi uomini depravati, facciano il tifo per il trionfo della virtù; ad esempio, lo Chourineur s’indigna profondamente nel sentire tutte le torture alle quali la Chouette aveva sottoposto Fleur-de-Marie; o ancora, Sue si sofferma sul fatto che quando Pique Vinaigre racconta ai carcerati la storia di Gringalet e Coup-en- Deux osserva che, per uno straordinario contrasto, i detenuti, nonostante la loro depravazione, amino sempre i racconti in cui la vittima, dopo innumerevoli peripezie e sofferenze, finisca per essere vendicata da tutti i soprusi che ha subito. I criminali restano colpiti dai buoni sentimenti; da ciò l’autore conclude che è soltanto la miseria a portare l’uomo verso il crimine. Ancora una volta Sue interrompe il flusso della narrazione e introduce una pausa argomentativa in cui si impegna a dimostrare la sua tesi:

«Questa gente corrotta fino al midollo, questi ladri, assassini, preferiscono le storie in cui siano espressi sentimenti generosi, eroici, in cui la bontà e la debolezza sono vendicate di un’oppressione crudele. Non sono forse l’istinto naturale del bene, unito alla necessità di sottrarsi col pensiero a tutto ciò che ricorda loro l’avvilimento in cui vivono, a determinare in quegli infelici le simpatie e le antipatie intellettuali che abbiamo appena accennato ?.»52

I sentimenti che il racconto di Pique Vinaigre ha suscitato nei detenuti confermano la tesi di Sue: in alcuni criminali c’è ancora del buono, c’è ancora una parte sensibile che è in grado di commuoversi davanti ai patimenti dei più deboli.

Argot

Il popolo dei bassifondi ha una propria lingua: l’argot. L’argot è il linguaggio della malavita, è il linguaggio segreto e convenzionale che usano i criminali; attraverso questo linguaggio l’individuo

49 E. Sue: op.cit., p.886. 50 N. Atkinson: op. cit., p.187. 51 E. Sue: op. cit., p.36. 52 E. Sue: op. cit., p.847.

(22)

22 rivendica la sua appartenenza a un gruppo, di conseguenza, l’argot costituisce “un signum”, un segno di classe e di riconoscimento, le cui parole rimandano a un determinato ambiente.53 Secondo

Guiraud, l’interesse per questa lingua è legato al fatto che nel diciannovesimo secolo nasce il “mito dell’uomo criminale”54, un uomo solo, al di fuori della società, che obbedisce ai propri istinti e alle

proprie regole.

Sue è il primo autore che introduce nei suoi feuilletons l’argot della malavita; nel 1828 erano uscite le Mémoires di Vidocq dove l’argot, questa lingua misteriosa, è spiegato in maniera molto dettagliata. Hugo, come vedremo, conosceva questo libro e se ne è servito ne Le Dernier Jour d’un Condamné, pubblicato nel 1829. Tredici anni più tardi I Misteri di Parigi rendono celebre questo idioma che sarà definitivamente consacrato nel 1862 da I Miserabili di Victor Hugo. Lungo il romanzo troviamo diversi esempi del gergo dei ladri e degli assassini, di questa “ignobile lingua, una lingua misteriosa, piena di immagini funeste, di metafore gocciolanti sangue”55: Fleur-de-Marie

in argot significa la Vierge, Dio è le meg des megs, i preti sono chiamati sangliers, gli occhi sono les mirettes, un avvocato è un rat de prison, il diavolo è le boulanger qui met les âmes au four, al Lapin Blanc Rodolphe, lo Chourineur e Fleur-de-Marie, ordinano un arlequin, parola argot che indica una mistura di pesce, carne e avanzi. Lo scrittore che vuole scandagliare gli abissi della società non può prescindere da questa lingua, una lingua che per certi aspetti seduce grazie alla pittoresca energia dei vocaboli, alla ricchezza delle metafore e che è allo stesso tempo una straordinaria testimonianza della “storia dell’umanità sofferente, viziosa o criminale. È il documento umano per eccellenza”.56

Per conoscere le classi pericolose che pullulano nelle tenebre dei bassifondi è necessario conoscere l’argot perché ne è il riflesso perfetto, tutti i costumi, i vizi e le abitudini di queste persone che vivono ai margini della società vi si trovano a nudo. Come sottolinea La Rue57,

esistono dieci parole per esprimere l’azione del mangiare, venti parole per il bere, venti parole per l’acquavite, quaranta parole designano l’ubriachezza, quindici la morte e l’assassinio, il denaro, scopo di vita di questi criminali è conosciuto attraverso sessanta diverse parole, mentre per designare la prostituta ne esistono addirittura ottanta; accanto a tutto ciò, non esiste una sola parola per indicare la donna onesta, come non esiste una parola per indicare termini quali l’onore e la virtù, valori sconosciuti in questo ambiente; esiste però anche qualche eccezione, assieme alle parole che

53 P. Guiraud: L’argot, presses universaires de france 108, Boulevard Saint-Germain, Paris, 1966, p.98. 54 P. Guiraud: op. cit., p.117.

55 E. Sue: op. cit., p.33.

56 J. La Rue: Dictionnaire d’Argot et des principales locutions populaires précedé d’une histoire de l’argot par

Clément Casciani, Nouvelle Édition, Flammarion, Éditeur, 26, Rue Racine, Paris, 1948, p.47.

(23)

23 indicano appetiti indegni, esistono parole che meravigliano per lo spessore di pensiero: l’assassino chiama la prigione le collège, ovvero il liceo. Avrò modo di riparlare dell’argot in maniera molto più approfondita nel capitolo successivo, quello su I Miserabili, Hugo dedica a questa lingua, definita “idioma abietto che gronda di fango”58, tre capitoli molto densi nei quali traccia una sorta di

storia letteraria dell’argot, dagli inizi fino all’epoca contemporanea.

Il primo romanzo sociale

Con I Misteri di Parigi si verifica un radicale ribaltamento rispetto alla precedente produzione letteraria di Sue: da romanziere aristocratico diventa romanziere popolare, il popolo diventa il vero protagonista della sua opera, si avvicina sempre di più alla classe popolare cercando di dare una soluzione ai principali problemi; il borghese Sue ha trovato un nuovo modo per differenziarsi dai suoi contemporanei, “non vuole più sbigottire Parigi con i suoi abiti e i suoi cavalli, la sbigottirà predicando la Religione del Popolo”.59 Come ha chiarito Massimo Romano60, il romanzo di Sue

non esprime un’ideologia di impronta rivoluzionaria, ma è ispirato a un socialismo di tipo umanitario, che auspicava un miglioramento delle condizioni di vita delle classi subalterne senza necessariamente prospettare uno sconvolgimento delle gerarchie sociali.61 Lo scopo dello scrittore è

quello di rendersi utile a un programma del genere, di essere il portatore della luce nelle tenebre, di svelare, a coloro che non le conoscono o che le ignorano, le inique condizioni sociali degli strati inferiori della società; Sue crede di avere una missione: non solo rivelare la vera condizione del popolo, ma anche cercare di trovare delle soluzioni, ed è per questo che fa una sorta di processo alla società del suo tempo; è la società la vera colpevole di tutti i mali. Sue pensa che il primo passo da fare per migliorare le condizioni dei reietti sia quello di diffondere l’istruzione e combattere l’ignoranza:

«Risanate queste cloache, diffondetevi l’istruzione, l’amore per il lavoro, equi salari, giuste ricompense, e ben presto quei visi spenti, quelle anime intristite rinasceranno al bene, che è la salute, la vita dell’anima.»62

Sue introduce nel romanzo tutte le condizioni sociali; mette in contatto “il ricco con il povero, il padrone con l’operaio, il popolo con la borghesia”63, ma tuttavia, quando fa comparire i nobili, essi

58 V. Hugo: I Miserabili, Bur, Milano, 2016, p. 930.

59U. Eco: introduzione a I misteri di Parigi, Bur, Milano, 2007, p.9.

60 Cfr. M. Romano, op. cit., pp. 65-67.

61 Nel 1850 Sue fu eletto deputato del dipartimento della Senna tra le file dei socialisti. 62 E. Sue: op. cit., p.839.

(24)

24 sono quasi sempre presentati come esseri malvagi, oziosi e in preda al vizio, i ricchi sono duri perché non sanno che cosa significhi la miseria, non l’hanno mai conosciuta, ignorano totalmente le condizioni di vita dei poveri (si ricordi a tal proposito l’esclamazione del povero Morel: “se i ricchi sapessero!”64). Sue decide di diventare l’avvocato delle classi che soffrono, di prendere sempre le

loro difese, il povero, quando è colpevole, lo è sempre di meno rispetto a un ricco che abbia commesso la stessa colpa, poiché il povero è “giustificato” dall’ ambiente malsano in cui è da sempre cresciuto; l’autore ci fa inoltre vedere come il sistema legislativo non sia equo in quanto favorisce il ricco e riserva le più terribili pene al povero.

Lo scopo di Sue non è quello di lamentarsi, ma è quello di cercare delle concrete soluzioni per risolvere parzialmente alcuni problemi sociali, proponendo diverse riforme che hanno anche conosciuto qualche sbocco nella realtà. La prima riforma sociale di cui si parla è quella che deve mirare al reinserimento dell’ex carcerato nella vita lavorativa: Sue propone l’idea di una fattoria modello, la fattoria di Bouqueval, gestita da un padrone che soccorre chi si trova senza lavoro e che premia gli uomini che si dimostrano onesti; questa fattoria mira non solo al miglioramento del bestiame, ma mira soprattutto al miglioramento degli uomini, esortandoli ad essere onesti, attivi e virtuosi :

«Questa casa sarà come la casa del buon Dio, aperta ai buoni, chiusa ai cattivi; gli accattoni infingardi ne saranno scacciati, ma si farà l’elemosina del lavoro a coloro che hanno buona volontà: quest’elemosina non umilia chi l’accetta e da profitto a chi la fa: il ricco che non la fa è un cattivo ricco.»65

La riforma che sta più a cuore a Sue è senza dubbio quella penitenziaria, secondo lo scrittore le prigioni sono delle grandi scuole di perdizione, dove il carcerato si corrompe ulteriormente, inoltre, furti e assassinii molto spesso vengono preparati nelle prigioni; Sue ne conclude che il sistema penitenziario, riunendo assieme malfattori della peggior specie, invece di sanare, porta l’uomo verso un ulteriore grado di depravazione. Sue, come abbiamo già detto, è uno dei più grandi sostenitori dell’abolizione della pena capitale, perché è una punizione sterile; in luogo della pena di morte lo scrittore propone l’isolamento carcerario perpetuo perché mette il condannato nell’impossibilita di nuocere e lo punisce in un modo assai più terribile, lasciandogli tutto il tempo di pentirsi dei suoi crimini; per dimostrare la sua tesi, ecco come fa rispondere lo Squelette ad un suo compagno di carcere che gli dice “ma se gli assassini, invece di condannarli a morte, li condannassero a restare in cella per tutta la vita”:

63 N. Atkinson: op. cit., p.169. 64 E. Sue: op. cit., p.377. 65 E. Sue: op. cit., p.296.

(25)

25 «Non parlarmi di questo.. In cella!.. tutto solo!.. taci, preferirei mi tagliassero le braccia e le gambe… Tutto solo!.. preferirei cento volte rimanere secco che esser cacciato in cella per un solo anno.. non so cosa farei.. mi romperei la testa contro il muro.. Mi lascerei morire di fame piuttosto che restare in cella.. Ma come? Tutto solo… tutta la vita da solo… solo con me stesso? Senza la speranza di scappare? Non è possibilie.”66

Le riflessioni di Sue hanno inciso sulla realtà dei fatti, in quanto, il governo nel 1847 ha preparato un disegno di legge per sopprimere i bagni penali, organizzare i patronati di carità per i liberati e donare cento milioni di franchi per riorganizzare il materiale delle prigioni.67 Sue è

convinto che non sia sufficiente punire i cattivi, perché, per ispirare la virtù, bisognerebbe mettere davanti agli occhi del popolo lo spettacolo di un uomo onesto ricompensato dalla sua buona condotta, è dovere della società ricompensare e incoraggiare il bene; il popolo deve capire che se ci sono punizioni orribili per il male, ci sono anche, o meglio, ci dovrebbero essere, grandi trionfi per il bene, e per questo scopo Sue propone la formazione di una polizia segreta che deve scoprire i poveri più onesti e segnalarli all’autorità per dare loro un premio.

Un’ altra istituzione alla quale l’autore dà molto rilievo è la creazione della banca dei poveri che presta denaro ai lavoratori momentaneamente senza impiego, tale banca dipende dalla beneficienza individuale dei cittadini. Anche quest’idea vede una realizzazione nella realtà contemporanea, in quanto, a Bordeaux e Lione, ci si occupa di realizzare il progetto di una banca di prestito gratuita per le persone disoccupate.68 Una delle ultime istituzioni di cui parla Sue è quella del Monte di Pietà

gratuito per i poveri: coloro che chiedono il prestito sono esentati dai costi e dagli interessi, tuttavia devono provare che esercitano un mestiere onesto e fornire una dichiarazione del loro padrone che ne sia testimonianza.

66 E. Sue: op. cit., p.891. 67 N. Atkinson: op. cit., p.204. 68 N. Atkinson: op. cit., p.206.

Riferimenti

Documenti correlati

Nell’ICF la salute di una persona e gli stati di salute ad essa correlati hanno una serie di codici che comprendono entrambe le parti della classificazione, quindi il numero massimo

4 discute delle forme del lavoro, dell’impresa sociale e della sua crisi, della ricerca di lavori possibili, di esperienze singolari, dei successi e della fatica delle persone

Infatti, alcune informazioni non solo possono amplificare incon- sapevolmente la sintomatologia dei pazienti, ma anche accentuare gli stress somatici, dimostrando il po-

In un mondo che prometteva di finire all’alba del 2012, figure come Nexialist avevano iniziato, da ormai qualche anno e con metodi spesso molto poco ortodossi, a utilizzare la rete

finalmente è arrivata la tanto attesa circolare dell’Agenzia delle entrate sulle novità fiscali: per quanto riguarda la contabilità per cassa appaiono confermate tutte

Si tratta di una stima che media condizioni di alleva- mento molto differenziate (paesi e tecniche di allevamento diverse) e probabilmente non adatta al contesto di

Non ero in isolamento/Ho vissuto con altri per tutta la durata della malattia Mi sono ricongiunto / ricongiunta / ricongiuntə con altri tra la 1ª e la 3ª settimana e queste persone

Nel corso degli ultimi 10-12 anni, diversi gruppi di ricerca hanno studiato come reagisce l'organismo dei fumatori quando questi smettono di fumare?. I risultati emersi sono