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Uso di caffeina e Disturbi della Condotta Alimentare rispetto a controlli e pazienti psichiatrici

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Direttore Prof. Mario Petrini

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica Direttore Prof. Riccardo Zucchi

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

Direttore Prof. Giulio Guido

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN PSICOLOGIA

CLINICA E DELLA SALUTE

“Uso di caffeina e Disturbi della Condotta Alimentare

rispetto a controlli e pazienti psichiatrici”

Relatore

Dr. Antonio Ciapparelli

Candidata

Alessandra Nutini

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“Il caffè forte mi rianima, mi provoca come un bruciore, un rodimento singolare, un dolore non privo di piacere. Amo allora soffrire piuttosto che non soffrire.” Napoleone Bonaparte

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INDICE

RIASSUNTO... 4

1. INTRODUZIONE... 5

1.1 Il consumo di caffeina... 5

1.2 Origini e sviluppi del caffè... 7

1.3 Coltivazione e diffusione del caffè... 9

1.4 La caffeina... 11

1.5 Effetti benefici e nocivi della caffeina... 13

1.6 Rapporto tra caffeina e disturbi psichiatrici... 16

1.7 Inquadramento diagnostico dell'uso di caffeina... 19

1.8 Abuso di caffeina nei disturbi della condotta alimentare (DCA)... 23

1.8.1 Anoressia Nervosa (AN)... 23

1.8.2 Bulimia Nervosa (BN)... 26

1.8.3 Binge Eating Disorder (BED)... 28

1.8.4 Ricerche su disturbi alimentari e abuso di caffeina... 29

2. LA RICERCA... 33 2.1 Obiettivi... 33 2.2 Metodi e strumenti... 33 2.2.1 Partecipanti... 33 2.2.2 Strumenti... 34 2.2.3 Analisi statistiche... 37 2.3 Risultati... 37 2.4 Discussione... 42

2.5 Conclusioni, limiti e prospettive future... 45

TABELLE... 48

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RIASSUNTO

Bere caffè è oggi una consuetudine, un modo di socializzare o anche solo di concedersi un momento di relax gustandoselo per poi riprendere la giornata con più energia.

Ma la caffeina è una sostanza psicostimolante, la quale andrebbe assunta con moderazione. Essa è una delle sostanze psicoattive più consumate nel mondo sotto varie forme (caffè, tè, bevande a base di cola, cioccolato, farmaci da banco, analgesici, stimolanti, prodotti dietetici, ecc.). Non è mai stata considerata una sostanza d’abuso fino agli anni 70, oggi invece viene riportato nel DSM-V il “Disturbo da uso di caffeina”.

Il presente lavoro documenta la progettazione e lo svolgimento di uno studio volto allo scopo di indagare l'uso che persone con Disturbo della Condotta Alimentare (DCA) fanno della caffeina rispetto a soggetti di controllo ed altri pazienti psichiatrici con altri tipi di disturbi mentali.

Nella prima parte del lavoro è esposta una revisione della letteratura, mentre nella seconda parte è descritto lo studio. Sono stati reclutati 428 soggetti, di cui: 82 pazienti con Disturbo della Condotta Alimentare, 211 pazienti della Clinica psichiatrica con varie patologie psichiatriche esclusi Disturbi della Condotta Alimentare e 135 controlli, con un range di età compreso tra 18 e 79 anni. Ai soggetti sono stati somministrati test per la valutazione dell'uso e l'abuso di caffeina (Uso, intossicazione, astinenza da caffeina), test per la diagnosi (SCID I), la scheda per la raccolta dei dati anagrafici, indice di gravità della malattia, giudizio clinico, gravità auto-percepita.

Da un'analisi dei risultati è emersa una differenza nell'uso di caffeina nei pazienti con Disturbo della Condotta Alimentare rispetto agli altri pazienti e ai controlli, i primi ne fanno un uso maggiore. Inoltre è emersa anche una maggiore suscettibilità agli effetti della sostanza nei DCA. Non sono invece state riscontrate differenze significative nell'uso di caffeina tra i sottogruppi dei DCA (AN-R, AN-BP, BN-BP, BN-NP, BED).

Si rendono comunque necessarie ulteriori e più approfondite indagini future, con la prospettiva di ridurre i limiti.

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1. INTRODUZIONE

1.1 Il consumo di caffeina

La caffeina è la sostanza psicoattiva più comunemente usata al mondo (Rucci et al., 2011). Sebbene il moderato consumo di questa sostanza sia generalmente sicuro, molti studi clinici hanno mostrato che l'uso protratto possa generare dipendenza con conseguente incapacità di ridurne il consumo nonostante la consapevolezza dei problemi di salute provocati da essa stessa.

L'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e i principali manuali diagnostici usati da psichiatri (DSM) riconoscono la dipendenza da caffeina come un vero e proprio disturbo clinico.

L’assunzione giornaliera media pro-capite della popolazione mondiale è approssimativamente di 70 mg/die (Barone & Roberts, 1996). I consumi mondiali pro-capite sono stazionari: tra i 4,40 e 4,50 kg. annui, Esistono però notevoli differenze a seconda dell'area geografica: 4,20 kg negli USA, 5,20 kg nell'area UE. All'interno di questa si oscilla dai 7,60 kg per la Germania ai 2,37 kg del Portogallo. Sempre in Europa si registrano 11,4 kg annui in Finlandia, che risulta il paese di maggiore consumo pro-capite. L'Italia si posiziona al quinto posto fra i Paesi che sono maggiori importatori e il decimo posto in Europa per consumi pro-capite. Il relativamente basso consumo pro-capite in Italia ha diverse spiegazioni: il caffè è infatti legato quasi esclusivamente al risveglio e al dopo pasto, mentre in altri paesi è piuttosto una consuetudine, un'abitudine di consumo che si estende a tutta la giornata e spesso è la bevanda che accompagna i pasti (OIFB: Osservatorio Internazionale Food-Beverage-Equipment). L'Italia è particolare, è il Paese dell'espresso: complessivamente il 41% della popolazione italiana adulta consuma l'espresso al bar almeno una volta alla settimana. La frequenza di consumo al bar è più alta per gli uomini tra i 35-45 anni e di classe socio-professionale elevata. Nella fascia di età fra i 45 e i 54 anni abbiamo la percentuale più alta dei consumatori di caffè: oltre l'80% (OIFB: Osservatorio Internazionale Food-Beverage-Equipment).

Negli Stati Uniti più dell’85% delle persone fa uso quotidiano di caffeina con una media pro capite di 200 mg/die e il 30% oltre 500mg/die (Gilbert, 1984; Schreiber et al., 1988). In Irlanda e nel Regno Unito la fonte principale di caffeina sembra essere il tè, che rappresenta rispettivamente il 59% dell'assunzione totale di caffeina nel primo Paese e il

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57% nel secondo.

Ci sono grosse differenze tra i Paesi per quanto riguarda il contributo delle diverse fonti alimentari al totale della caffeina assunta dagli adolescenti. Il cioccolato è risultato essere la fonte numero uno in sei sondaggi, il caffè in quattro sondaggi, le bevande a base di cola in tre, e il tè in due. Nella maggior parte dei Paesi il cioccolato (che comprende anche le bevande a base di cacao) è stata la fonte principale di caffeina per i bambini dai 3 ai 10 anni, seguito da tè e bevande alla cola (EFSA: Autorità europea per la sicurezza alimentare).

L’entità del consumo di caffeina nell’infanzia è alta, con 1,5mg/Kg/die nei bambini tra 1 e 5 anni contro i 2,6mg/Kg/die delle persone oltre 18 anni (Bernstein et al., 1994; Williams & Wilkins, 1981).

Al giorno d'oggi è presente un elevato consumo degli Energy Drink: secondo le indagini di auto-rapporto, le bevande energetiche vengono consumate dal 30% al 50% degli adolescenti e dei giovani adulti. Esse contengono quantità elevate e non regolamentate di caffeina. Queste bevande sono state riportate in associazione con gravi effetti negativi, in particolare nei bambini, negli adolescenti e nei giovani adulti con crisi epilettiche, diabete, anomalie cardiache, disturbi dell'umore, disturbi comportamentali (Seifert et al., 2011). Da porre particolare attenzione anche a bevande gassate e the freddi, ormai principali fonti di caffeina per i bambini, insieme alla cioccolata. Considerando l'impatto prodotto dalla caffeina nei più giovani, il Consiglio Europeo di Informazione sull'Alimentazione (EUFIC) precisa: "In genere, i bambini hanno la stessa capacità di elaborare la caffeina degli adulti. Alcuni studi hanno rivelato che cibi e bevande contenenti caffeina, assunti in quantità moderate, non producono alcun effetto rilevante sull'iperattività o sul livello di attenzione dei bambini. Ciò nonostante, nei bambini sensibili, dosi massicce di caffeina possono causare effetti temporanei come eccitazione, irritabilità o ansia" (Proponnet, 1997).

Se l'EUFIC non fissa un limite specifico per i bambini, è comunque indispensabile tenere conto del loro peso, in genere scarso, ovviamente. Se si considera la dose massima giornaliera ritenuta innocua nell'adulto (300 mg), la quantità di caffeina da non superare nel caso di un bambino di 20 chili (peso medio intorno ai 7 anni) è di 100 mg.

Oltre alle abitudini derivanti dalla cultura, un motivo delle differenze nei livelli di consumo è la concentrazione variabile di caffeina che si riscontra in alcuni prodotti alimentari. Le concentrazioni nelle bevande a base di caffè dipendono dal processo produttivo, dalla varietà di chicchi di caffè usati e dalle modalità di preparazione (esempio caffè americano,

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espresso o moka napoletana). Anche i livelli nelle bevande a base di cacao variano, a seconda della quantità e del tipo di cacao usato dalle varie marche (EFSA: Autorità europea per la sicurezza alimentare).

Alimento o bevanda contenente caffeina

Quantità media di caffeina per porzione

Concentrazione media di caffeina (mg/l)

Bevanda energetica Da 70 a 100 mg per lattina da

250 ml 280-400

Bevanda gassata con caffeina Da 7 a 42 mg per lattina da 330

ml 30-130

Tè freddo Da 40 a 70 mg per litro 40-70

Caffè espresso 75 mg per tazza da 28 ml 01/02/00 Caffè istantaneo Da 50 a 70 mg per tazza da

150 ml 330-470

Tè Da 30 a 50 mg per tazza da

230 ml 130-200

Latte al cioccolato 8 mg per tazza da 230 ml 35 Tavoletta di cioccolato Da 4 a 20 mg per un quarto di

tavoletta Da 16 a 80 mg per 100 g

Tabella. Contenuto di caffeina in bevande e alimenti

1.2 Origini e sviluppi del caffè

La pianta del caffè è una pianta tropicale appartenente alla famiglia delle Rubiacee caratterizzata da fiori bianchi e drupe scarlatte, contenenti ciascuna due chicchi verdognoli. Essa cresce nella fascia geografica compresa tra il 25° Nord ed il 30° Sud (Cooil, 1955). Le origini del caffè sono remote infatti gli archeologi hanno trovato degli scritti risalenti al 900 D.C, nei quali erano riportate descrizioni sull'uso del caffè come medicina (Hattox, 2014).

Esistono svariate leggende riguardo il caffè: una di esse narra che la terza volta in cui l'Arcangelo Gabriele scese sulla terra (le prime due furono per informare Elisabetta e la Madonna dell'arrivo di un bebè) fu per versare un caffè. Maometto, durante la preghiera, non riusciva a tenere gli occhi aperti e l'Arcangelo, secondo la leggenda, gli venne in soccorso con un “cafesino”. Dopo averne bevuti pochi sorsi il profeta si sentì talmente in forza da "disarcionare quaranta uomini e rendere felici quaranta donne" (Morganelli, 2006).

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Un'altra leggenda narra la storia di un pastore etiope di nome Kaldi, il quale notò che delle capre che avevano appena brucato delle bacche rossastre da una pianta erano diventate irrequiete e molto attive. Incuriosito, decise di riferire l'accaduto ad un monaco. Il monaco dopo aver bollito le bacche, ne ricavò una bevanda amara ma ricca di forza tanto da fugare sonno e stanchezza utile per vegliare nelle lunghe notti di preghiera. La prima piantagione di caffè sorse nello Yemen, dall'Etiopia l'uso del caffè si diffuse, poi, nelle zone limitrofe e successivamente in Arabia e in Egitto dove il caffè divenne ben presto una vera e propria bevanda d'abitudine (Morganelli, 2006).

In Europa il caffè divenne popolare solo a partire dal 17° secolo, precisamente nel 1617, anno in cui il caffè comparve per la prima volta in questo continente grazie ai commercianti veneziani i quali seguivano le rotte marine che univano l'Oriente con Venezia e Napoli. Prospero Alpini, un botanico medico del console di Venezia in Egitto, riconobbe a questa bevanda un ruolo importante in campo medico e ciò giustificava il suo prezzo molto elevato.

A cavallo tra il 1500 e il 1600 la diffusione del caffè determinò delle problematiche di carattere religioso, poiché esso veniva considerato dai sacerdoti la “bevanda del diavolo” a causa dei suoi effetti energetici ed eccitanti. Papa Clemente VIII fu il primo a pronunciarsi su caffè e tabacco, una pianta (quest'ultima) proveniente dal Nuovo Mondo. Egli stabilì la pena della scomunica per chi fumava all'interno dei luoghi sacri tuttavia, pur con le pressioni dei suoi consiglieri, che volevano che dichiarasse il caffè una bevanda del diavolo, egli non condannò il consumo di caffè. Data la popolarità tra i musulmani del Medio Oriente di questa bevanda, egli decise di provare il caffè di persona rimanendone colpito positivamente e dichiarò: "Questa bevanda del diavolo è così buona... che dovremmo cercare di ingannare il maligno e battezzare il caffè". A tal proposito, decise dunque di battezzare il caffè come “bevanda cristiana” (Ukers, 1935).

In Italia il caffè divenne quindi un qualcosa di prezioso da offrire in determinate circostanze o come dono d'amore e di amicizia.

In Europa i primi locali atti al consumo di caffè nacquero a Marsiglia (1654), Parigi (1660), Londra (1662), Francoforte (1689), come luogo di ritrovo e centro di socializzazione.

Il primo caffè di Parigi si chiamava Procope, situato davanti alla Comedie Francaise e ben presto diventò luogo di fama internazionale, attirando persone da tutto il mondo (Haine, 1998).

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costumi europei da parte dei colonizzatori (Daviron & Ponte, 2005). Nel 1715, a Londra, erano già presenti più di 2000 “Case del caffè”.

L'arrivo e l'espansione del caffè attirò l'interesse di diversi artisti di rilievo dell'epoca, per esempio nel 1732 J. S. Bach scrisse la famosa "Cantata del Caffè", ispirata alle proteste popolari per gli alti prezzi e le restrizioni.

Per quanto riguarda l'Italia, intorno al 1640, a Venezia e Livorno comparvero le prime “Botteghe del Caffè”.

Alla fine del XVIII secolo i caffè erano ormai divenuti il nuovo centro della vita sociale, luoghi di ritrovo e discussione, di cultura e di gioco, di affari e di intrattenimento e il termine caffè diventò sinonimo di cultura.

Nei primi anni del XX secolo con l'incremento dell'uso di caffè come bevanda quotidiana, i caffè furono sostituiti da una moltitudine di locali chiamati “Bar”.

1.3 Coltivazione e diffusione del caffè

La pianta del caffè è un albero sempreverde appartenente alla famiglia delle Rubiacee. Può raggiungere i 12 metri in altezza ma viene mantenuta più bassa (circa 3 metri) per facilitare la raccolta delle drupe. Le bacche di caffè vanno opportunamente trattate prima dell'utilizzo. L'operazione più importante è la torrefazione, cioè la tostatura dei chicchi di caffé, che verranno poi macinati. Delle 80 varietà di caffè, due tipi sono rinomati in tutto il mondo e rappresentano il 99% della produzione mondiale (Silvarolla, Mazzafera & Fazuoli, 2004):

– Coffea arabica. Ha origine nel territorio montuoso dell’Etiopia e fu coltivata per la prima volta nell’odierno Yemen. Si tratta della qualità più pregiata di caffè e rappresenta il 70-75% della produzione mondiale. L’Arabica cresce rigogliosa nelle zone tropicali tra gli 800 e i 2.200 metri. Questa varietà è più delicata rispetto alla varietà Robusta, necessita di regolare innaffiatura, mentre non sopporta lunghi periodi di siccità, piogge continue, temperature basse e vento forte. Ama l’ombra degli altri alberi e una temperatura di 20°C. Questa pianta prospera in America Centrale e in Sudamerica, ma anche nelle coste orientali dell’Africa.

– Coffea robusta. La Coffea canephora, meglio conosciuta con il nome di Robusta, fu scoperta appena nel XVIII secolo in Congo e deve il nome alla particolare resistenza alle malattie e ai parassiti. Questa varietà si caratterizza per l’adattabilità,

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la velocità di crescita e l’elevata tolleranza agli sbalzi di temperatura, qualità decisamente più spiccate rispetto all’Arabica. La Robusta copre il 30% della produzione mondiale. Essa si distingue per il sapore aspro e amaro e si coltiva in zone pianeggianti fino a un’altitudine di 800 metri nell’Africa Occidentale e nelle zone tropicali dell‘Asia.

Oggi sono circa 25 milioni i coltivatori per i quali il caffè costituisce l'unica fonte di reddito e sono disseminati tra America Centrale e Meridionale, Africa, Asia e Oceania. Sebbene la pianta del caffè sia originaria della parte nord-occidentale dell'Asia (lo Yemen in particolare) l'America è stata negli ultimi 100 anni (ed è ancora oggi) la principale area di produzione anche se la sua quota è diminuita a causa della crescita della produzione in Africa e soprattutto in Asia (Hattox, 2014).

Nell'ultimo decennio il continente asiatico ha assunto una posizione di rilievo nel mercato internazionale del caffè e l'aumento della produzione in questo continente, in particolare nelle zone del Vietnam e dell'Indonesia, ha influito negativamente sulla quota di produzione africana la quale ha subito una riduzione. Tale riduzione è stata causata anche dalla liberalizzazione del processo di produzione attribuibile allo smantellamento dei controlli statali sulla commercializzazione del caffè (Daviron & Ponte, 2005).

Il caffè è una delle merci più scambiate insieme al petrolio e all'acciaio.

Secondo le statistiche dell'International Coffee Organization, i maggiori produttori mondiali di caffè sono, in ordine di importanza, il Brasile (che produce quasi un terzo del caffè nel mondo), il Vietnam, la Colombia e l'Indonesia. Seguono, con ordine variabile secondo le annate, Messico, Guatemala, Honduras, Perù, Etiopia, India (Nishida, 2001). Il mercato del caffè è in mano a poche multinazionali (Osorio, 2002), una ventina di società tra cui le più importanti sono: Neumann Kaffee (Germania), Volcafè (Svizzera), Cargill (Stati Uniti), Esteve (Brasile/Svizzera), Aron ( Stati Uniti), ED&F Man (Regno Unito), Dreyfus (Francia), Mitsuibishi (Giappone). Solamente una di queste 20 aziende che controllano il mercato appartiene a uno stato che è anche grande produttore.

Questo sistema non avvantaggia di certo i produttori che lanciano prezzi all'origine molto bassi, che non consentono agli stati produttori di arricchirsi come potrebbero se avessero maggior potere contrattuale. Questo vale soprattutto per quei paesi africani (come Uganda, Ruanda ed Etiopia) che sopravvivono grazie al caffè, che rappresenta la prima fonte di reddito. Questi paesi sono molto esposti al rischio di speculazioni e subiscono molto le

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fluttuazioni del mercato (Kolk, 2005).

Agli inizi degli anni '90, il valore globale del caffè era di circa 30 miliardi di dollari, di cui 12 andavano ai paesi d'origine; nel 2001 era arrivato a 65 miliardi, di cui solo 5,5 miliardi rimanevano ai paesi produttori (Mussatto et. al., 2011).

Alcune grosse aziende come Sara Lee/De e Nestlé possiedono società d'importazione proprie che controllano tutta la filiera del caffè, dal raccolto al consumatore.

1.4 La caffeina

La caffeina (1,3,7-trimetilxantina) è un alcaloide naturale presente nelle piante di caffè, cacao, tè, cola, guaranà, mate e nelle bevande da esse ottenute (Rucci et al., 2011). Viene a volte citata con i suoi sinonimi guaranina, teina e mateina, chimicamente identificabili nella stessa molecola.

La parola caffè derivea dal termine turco “Kahve” che a sua volta discende da “Qahwa”, vocabolo appartenente alla lingua araba che significa vino o bevanda eccitante. La caffeina è infatti la sostanza psicostimolante (di gran lunga) più utilizzata e diffusa nel mondo, essa è legale in tutti i paesi, a differenza di altre sostanze psicoattive, accettata e tollerata pressoché da tutte le principali religioni (Rusconi et al., 2014).

La caffeina è rapidamente e quasi completamente assorbita a livello dello stomaco e dell'intestino tenue e distribuita a tutti i tessuti, compreso il cervello (Hattox, 2014). L'assorbimento della caffeina avviene quindi rapidamente a livello intestinale e raggiunge il picco ematico dopo circa un'ora dalla assunzione. A livello epatico la caffeina viene metabolizzata in paraxantina (84%), teobromina (12%) e teofillina (4%) le quali conservano in parte le sue attività biologiche. Essendo liposolubile penetra facilmente attraverso la barriera ematoencefalica, viene assorbita a livello del SNC attraverso due meccanismi, la diffusione passiva ed il trasporto attivo saturabile (Fredholm, 1985).

La caffeina ha un'emivita variabile tra 3 e 6 ore e la risposta dell'organismo a tale sostanza è soggetta a variazioni individuali, sulla base di diversi fattori quali l'età, il peso corporeo, lo stato di gravidanza e la funzionalità epatica; essa è eliminata con le urine, nelle quali è possibile rintracciarla in forma invariata in quantità che oscillano tra il 3 e il 10% della dose ingerita (Daly & Fredholm, 1998).

L'azione della caffeina si ripercuote sia a livello centrale che periferico.

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fosfodiesterasi incrementando la concentrazione di tale ione all'interno della cellula, rendendo così i suoi recettori Ryanodina dipendenti maggiormente sensibili a livelli più bassi di calcio. Il verificarsi di questi eventi induce rilascio di calcio anche in condizioni di riposo (Rosseau et al., 1988). Questa sostanza è anche un inibitore competitivo delle fosfodiesterasi producendo l'incremento dei livelli intracellulari di cAMP e la conseguente attivazione di proteine Kinasi A (Butcher & Sutherland, 1962).

Questi a livello periferico sono però effetti scarsamente evidenziabili anche con assunzioni elevate di caffeina.

A livello del sistema nervoso centrale invece, la caffeina ha una potente azione: induce vasocostrizione con conseguente diminuzione del flusso sanguigno cerebrale. Al contempo, aumenta il consumo di glucosio in alcune aree di ipoperfusione, quali le cellule monoaminergiche della sostanza nigra, dell'area ventrale tegmentale, del rafe dorsale e mediale e del locus coeruleus (Carrillo & Benitez, 2000; George, 2000).

Oltre a ciò, la caffeina è in grado di antagonizzare gli effetti comportamentali delle benzodiazepine, benché l'affinità per il recettore risulti piuttosto bassa.

Sempre a livello del SNC, la caffeina mostra importanti effetti sul recettore dell'adenosina: riduce l'attività elettrica spontanea dei neuroni e induce la comparsa di sonno ad onde lente se iniettata in sede intraventricolare (Nehlig, 1999).

Nell'uomo aumentati livelli indotti di adenosina provocano sonnolenza e letargia e i derivati adenosinici provocano una riduzione dose-correlata dell'attività motoria. L'antagonista selettivo A2A, in diverse ricerche, ha mostrato effetti simil-antidepressivi attribuibili ad un'attività dopaminergica a livello della corteccia frontale. A supporto di queste evidenze la somministrazione di Aloperidolo sembra abolire gli effetti simil-antidepressivi, scatenati dall'antagonista selettivo, mentre non sembra aver effetto sull'aumento dell'attività motoria, legato all'attività dopaminergica nello striato ventrale. La caffeina (antagonista non selettivo A1-A2A), a dosi stimolanti ha mostrato effetti positivi sull'attività motoria ma non un chiaro effetto simil-antidepressivo (El Yacoubi et al., 2003). Oltre al suo ruolo di antagonista non selettivo dei recettori A1 e A2A, la caffeina è al contempo un antagonista non selettivo dei recettori A2B e A3 dell'Adenosina (Varani et al., 2005) e agonista dei recettori D2 con attività differenziata nello striato (effetto eccitatorio) e nel talamo (effetto inibitorio) (Kaasinen et al., 2004).

L'assunzione ripetuta e intermittente di caffeina mima gli effetti stimolanti sull'attività motoria mediati dagli agonisti dopaminergici, attraverso una sensibilizzazione dei recettori D1 (Cauli et al., 2005).

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La stimolazione dei recettori A2A dell'adenosina modula la trasmissione dopaminergica (Cauli & Morelli, 2005). Il recettore D2 della dopamina e il recettore A2A dell'adenosina sono altamente coespressi a livello dello striato e sembrano agire attraverso un antagonismo funzionale; il sottotipo recettoriale A2A dell'adenosina è stato coinvolto in diverse patologie neurologiche e psichiatriche quali Malattia di Parkinson, Schizofrenia e Psicosi.

L'attivazione dei recettori A1 dell'Adenosina inibisce in modo potente il rilascio di glutammato potendo provocare un blocco sinaptico completo (Dunwiddie & Masino, 2001).

Inoltre, il trattamento cronico con caffeina o teofillina determina una down-regolation dei recettori metabotropici tipo 1 del Glutammato (León et al., 2005).

1.5 Effetti benefici ed effetti nocivi della caffeina

Studi osservazionali sul consumo autoctono di bevande e alimenti contenenti caffeina sottolineano come essi hanno effetti sulla salute di chi ne fa uso. Tali studi non permettono però di identificare la caffeina come unico agente causale ed escludere quindi il confondimento residuo (Nawrot et al., 2003). A tal proposito, non sono state riscontrate prove sufficienti per promuovere o scoraggiare il consumo di caffè e/o di tè. La caffeina ha effetti multipli sui sistemi neuropsichiatrici, cardiovascolari, endocrini e gastrointestinali. Gli effetti del consumo di caffeina sulla salute possono dipendere da diversi fattori: genetici, età, sesso, farmaci ed esposizioni ambientali (Amendola, Gabrieli & Lieberman, 1998).

Alcune ricerche hanno posto l'attenzione sui possibili benefici del caffè, per esempio, il consumo moderato di caffè può essere associato ad un ridotto rischio di insorgenza di alcune malattie, quali Malattia di Parkinson, malattia coronarica (Hu et al., 2007).

Degli studi prospettici effettuati nei Paesi Bassi, Stati Uniti, Finlandia e Svezia hanno evidenziato che il consumo di caffè sembra essere associato a riduzioni significative dose-dipendente del rischio di sviluppare diabete di tipo 2. Tuttavia i meccanismi alla base di questo processo risultano poco chiari (Van Dam & Hu, 2005).

Oltre a ciò, studi epidemiologici suggeriscono che il consumo di caffè sia associato ad una riduzione del rischio di lesioni epatiche, cirrosi e carcinoma epatocellulare e persino alcuni tipi di cancro (Coughlin, 2006). Anche in questo caso i meccanismi che sottostanno a

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questi dati non risultano chiari.

La maggior parte degli studi non hanno evidenziato il caffè o il consumo di caffeina inversamente associato con densità minerale ossea nelle donne con adeguati livelli di calcio. Tuttavia in tre studi prospettici di coorte sono state riscontrate associazioni positive tra il consumo di caffeina e il rischio di frattura all'anca. Questi studi evidenziano che limitare il consumo di caffè a 3 tazze/die (300 mg/die di caffeina) può aiutare a prevenire le fratture osteoporotiche negli adulti, soprattutto nella fascia di età anziana (Kiel et al., 1990 ; Cummings et al., 1995).

Da una revisione della letteratura il caffè risulta una bevanda ricca di antiossidanti, contenente centinaia di molecole biologicamente attive tra cui composti fenolici (acidi clorogenici, acido caffeico, ferulico e para-cumarico) e melanoidine (Delgado-Andrade, Rufián-Henares & Morales, 2005).

La caffeina, inoltre, sembra migliorare le prestazioni fisiche e mentali, infatti è ricca di metilxantine, che agiscono stimolando il sistema nervoso centrale, soprattutto andando a migliorare l’attenzione e lo stato di allerta. Oltre a ciò, la caffeina sembra in grado di stimolare e migliorare l’utilizzazione dell’energia per il lavoro fisico a partire dai substrati lipidici, quindi pare possa contribuire al mantenimento del peso corporeo e all'utilizzazione al meglio delle fonti energetiche dell’organismo (Brezová, Šlebodová & Staško, 2009). La caffeina sembra influenzare la cognizione e l'umore, sia in maniera acuta che cronica (Fredholm et al., 1999). Tuttavia, a seconda della popolazione studiata e della quantità di caffeina consumata i dati relativi agli effetti risultano contrastanti. Nei soggetti a riposo, la caffeina a dosi basse e moderate, circa 30-300 mg, migliora la vigilanza e il tempo di reazione (Lieberman et al., 1987; Smith, Sutherland & Christopher, 2005). Negli individui con deprivazione da sonno, sembra che gli effetti positivi della caffeina influenzino un'ampia varietà di funzioni, tra cui l'apprendimento e il processo decisionale e le attività quotidiane e lavorative come guidare l'automobile e gli aeromobili (Lieberman et al., 2002).

Gli individui che sono abituali consumatori di caffè e tè hanno risultati migliori a test di prestazioni cognitive, come il tempo di reazione e il ragionamento visuospaziale (Jarvis, 1993).

Oltre a ciò il consumo della caffeina porta ad una maggiore vigilanza, energia mentale e capacità di concentrazione, in particolar modo quando i soggetti sono affaticati o lavorano di notte (Smith, 2002; Lorist, Snel & Kok, 1994). Questa è probabilmente la ragione fondamentale per cui tante persone consumano regolarmente la caffeina. Essa infatti mitiga

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gli effetti negativi della privazione del sonno su un'ampia varietà di funzioni cognitive (Smith, Sutherland & Christopher, 2005).

Una revisione sistematica di 13 studi randomizzati di persone con disturbo di jet lag o shift work ha evidenziato che l'uso di caffeina determina un significativo miglioramento nella formazione del concetto, nel ragionamento, nella memoria, nell'orientamento, nell'attenzione e nella percezione. Tali effetti positivi non sono stati invece riscontrati in coloro che erano stati sottoposti a trattamento con placebo (Ker et al., 2010). La caffeina presenta ulteriori benefici rispetto al placebo anche nel prevenire gli errori. Consumatori di caffeina, inoltre, riportano performance migliori rispetto a coloro che sono stati sottoposti ad altri interventi attivi come l'uso di modafinil.

La caffeina ha proprietà farmacologiche significative che possono alleviare sintomi di cefalea. La caffeina è da tempo utilizzata per le sue proprietà analgesiche nel trattamento della cefalea ed è spesso usata da sola o in combinazione con altri farmaci. A tal proposito, studi randomizzati hanno riscontrato che i farmaci combinati che includono la caffeina (aspirina, acetaminofene e caffeina) sono più efficaci per le tensioni e le emicranie rispetto a quella di parcetamolo o di ibuprofene a bassa dose (Goldstein et al., 2006; Diener, Gold, & Hagen, 2014).

Lo studio della relazione tra caffeina e cefalea non porta in realtà a risultati univoci. Ulteriori ricerche rivelano che il consumo abituale della caffeina sembra essere associato all'insorgenza di emicrania cronica e cefalea di rimbalzo analgesico. In uno studio caso-controllo, i consumatori quotidiani di caffeina presentavano una maggiore probabilità di insorgenza di emicrania cronica e mal di testa di rimbalzo analgesico rispetto a coloro che non consumavano regolarmente la caffeina (Bigal et al., 2002).

A conferma di quanto emerso da quest'ultimo studio, nel DSM-V la cefalea risulta essere il sintomo più comune dell'astinenza da caffeina.

Tra gli effetti nocivi a breve termine dell'uso di caffeina su adulti e bambini possono verificarsi disturbi del sistema nervoso centrale come disturbi del sonno, ansia e variazioni del comportamento. A lungo termine il consumo eccessivo di caffeina è stato associato a problemi cardiovascolari e, in donne in gravidanza, a un ridotto sviluppo del feto (EFSA: Autorità europea per la sicurezza alimentare).

Da non dimenticare che esiste una dose letale di caffeina: essa risulta pari a 10 g ed è in grado di scatenare convulsioni, emesi, aritmie cardiache, insufficienza respiratoria (Maremmani, Canoniero & Pacini, 2001).

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Le ricerche sugli effetti fisiologici e comportamentali della caffeina devono tener conto di diversi aspetti, principalmente la dose consumata dal soggetto. Gli studi epidemiologici, inoltre, devono essere interpretati con una certa cautela, poiché diverse variabili possono incidere sui risultati ottenuti: gli individui sani, ad esempio, hanno maggiori probabilità di consumare caffeina rispetto alle persone malate. Per giunta, l'uso della caffeina appare fortemente correlato con l'uso del tabacco (Oliveto, A. H., Hughes, et al. 1991).

1.6 Rapporto tra caffeina e disturbi psichiatrici

Sebbene l'assunzione di caffeina sia associata ad una vasta gamma di sintomi psichiatrici e disturbi, non vi è alcuna prova di causalità fra i due. L'assunzione acuta della caffeina è associata ad ansia, nervosismo, insonnia, irritabilità e persino attacchi di panico in soggetti sani (Charney et al., 1988). I pazienti con disturbi d'ansia preesistenti possono essere più suscettibili agli effetti ansiogeni della caffeina (Bruce et al., 1992).

In uno studio statunitense di oltre 3600 gemelli adulti, l'assunzione di caffeina è stata associata ad una maggiore prevalenza di Disturbi d'Ansia Generalizzata, Depressione, Disturbo di Panico, comportamenti antisociali e abuso di sostanze, in particolare per coloro che hanno un consumo di caffeina consistente (> 5 tazze di caffè al giorno) (Kendler, Myers & Gardner, 2006).

Contrastanti invece ulteriori studi, i quali hanno tenuto di conto di fattori genetici e fattori ambientali: dimostrano che l'associazione tra disturbi psichiatrici e caffeina non risulta sempre significativa. Uno studio prospettico di coorte di > 50.000 donne sane ha rilevato che l'aumento del consumo di caffè è stato associato ad un minore rischio di Depressione in modo dose-dipendente (RR 0.80, 95% CI 0.68-0.95, ≥4 rispetto Con ≤ 1 tazza / giorno) (Lucas et al., 2011).

Tuttavia la maggior parte degli studi sembrano riferire l'esistenza di un'associazione tra disturbi psichiatrici e caffeina. Indagini statistiche su scala nazionale relative agli anni compresi tra il 1993 e il 1998, hanno mostrato un aumento di quasi 5 volte del numero di casi di terapia associata con farmaci psicotropi e stimolanti (caffeina) in individui di età inferiore a 18 aa (Bhatara et al., 2004).

I pazienti con Schizofrenia mostrano una maggiore tendenza all’uso di caffeina. Alte dosi di caffeina peggiorano i sintomi positivi, mentre interferiscono debolmente sui sintomi negativi. Ciò potrebbe essere in relazione con l’effetto antagonizzante nei riguardi

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dell’adenosina, neuromodulatore che influenza il rilascio di dopamina (Williams & Gandhi, 2008).

Dosi di caffeina pari o superiori a 500 mg possono scatenare attacchi di panico (Rowlands, 1987).

Nel Disturbo d’Ansia Generalizzato sembra sia presente ipersensibilità agli effetti della caffeina con sintomatologia sovrapponibile a quella di pazienti con Disturbo di Panico (Bruce et al., 1992).

Pazienti con sintomi depressivi fanno uso della caffeina probabilmente nel tentativo di migliorare l’umore e le prestazioni (Broderick & Benjamín, 2004).

Sono stati condotti diversi studi su campioni di pazienti con disturbi psichiatrici.

Uno fra questi prevede un campione di 58 pazienti donne con disturbi alimentari (Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa e Bing Eating Disorder) (Burgalassi et al., 2009). Il 16% di questi pazienti ha soddisfatto i criteri del DSM-IV per la dipendenza da caffeina. La percentuale di partecipanti che hanno soddisfatto i criteri DSM-V per il disturbo d'uso di caffeina non è stato determinato dai dati riportati.

Un'ulteriore ricerca comprende 369 pazienti psichiatrici ambulatoriali diagnosticati con vari disturbi mentali, tra cui disturbi dell'umore, Disturbi d'Ansia, disturbi dello spettro della schizofrenia e disturbi alimentari (DCA) (Ciapparelli et al., 2010). I pazienti che presentavano almeno tre dei sette criteri diagnostici di dipendenza da caffeina del DSM-IV venivano considerati dipendenti dalla caffeina. Tra i pazienti in questo studio, il 17% è stato diagnosticato come dipendente dalla caffeina, significativamente più del 6% dei soggetti di controllo. Anche in questo caso, dai dati forniti non è stata determinata la percentuale di pazienti che hanno soddisfatto i criteri DSM-V per il disturbo dell'uso di caffeina.

Un altro studio prevede un campione di 167 soggetti, fra cui: studenti di liceo, studenti universitari, pazienti affetti da dolore e pazienti sotto trattamento con droga con una recente storia di disturbo d'uso di caffeina (nei 7 giorni precedenti) e altri pazienti che presentano uso lecito o illecito di stupefacenti (precedenti 12 mesi) (Striley, Griffiths & Cottler, 2011). Sebbene il 35% del campione abbia soddisfatto i criteri DSM-IV per la dipendenza da caffeina soddisfacendo tre o più dei sette criteri, solo il 20% dei partecipanti ha soddisfatto i tre criteri diagnostici primari necessari per una diagnosi DSM-V di disturbo d'uso della caffeina.

E' stata condotta una ricerca intervistando 94 soggetti che richiedevano il trattamento per la dipendenza da caffeina poiché essi si identificavano fisicamente o psicologicamente

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dipendenti dalla caffeina o avevano tentato di smettere l'uso di droga (Juliano et al., 2012). Tenuto conto di questi criteri di inclusione, non sorprende che il 93% di questo campione abbia soddisfatto i criteri DSM-IV per la dipendenza della sostanza applicata alla caffeina e il 79% ha soddisfatto i criteri DSM-V per il disturbo di uso della caffeina.

In aggiunta a ciò è stato presentato uno studio simile al precedente, il quale comprendeva 27 soggetti che si identificavano fisicamente o psicologicamente dipendenti dalla caffeina. Come si può prevedere, la maggioranza di questi partecipanti (59%, n = 16) ha soddisfatto almeno tre dei seguenti quattro criteri: il desiderio di ridurne l'assunzione, l'utilizzo nonostante i danni provocati dalla caffeina stessa, la tolleranza e il ritiro. Poiché solo tre di questi quattro criteri sono ora i principali criteri diagnostici DSM-V per il disturbo dell'uso di caffeina (desiderio di ridurne l'uso, utilizzo nonostante danni provocati dalla sostanza stessa e il ritiro), è probabile che meno del 59% di questo campione abbia rispettato tutti e tre criteri e avrebbe ricevuto una diagnosi di disturbo di uso della caffeina. In particolare, una percentuale relativamente elevata del campione presenta tolleranza, la quale non è uno dei tre criteri primari per il disturbo dell'uso di caffeina (Strain et al., 1994).

Un ulteriore studio riguarda la dipendenza da caffeina in un campione di 36 consumatori giornalieri di caffeina tra i 13 ei 17 anni che hanno rispettato due o più dei quattro criteri diagnostici DSM-IV per la dipendenza da caffeina (cioè gli stessi quattro criteri del precedente studio: desiderio di ridurne l'uso, utilizzo nonostante i danni provocati dalla caffeina stessa, la tolleranza e il ritiro) (Bernstein et al., 2002). E' stato evidenziato che il 22% del campione ha rispettato almeno tre di questi criteri. Pertanto, meno del 22% avrebbe probabilmente rispettato tutti e tre i criteri primari per la diagnosi DSM-V di disturbo d'uso della caffeina.

Una ricerca ha incluso solo gli studenti universitari che hanno soddisfatto il DSM-IV per la dipendenza da caffeina (cioè il 100% di questi partecipanti è stato diagnosticato con dipendenza dalla caffeina) (Jones & Lejuez, 2005). Tenuto conto di questi criteri di inclusione, non sorprende che lo studio ha mostrato elevati tassi di approvazione di ciascun criterio diagnostico relativo ai tassi di approvazione osservati nella popolazione generale. Dai dati riportati non è stata possibile una stima della prevalenza dei criteri secondo il DSM-V del disturbo d'uso della caffeina.

Un campione di un altro studio comprende invece 44 donne incinte che fanno uso di caffeina, le quali sono in cerca di assistenza prenatale da una pratica ostretrica privata in una comunità sub-urbana (Svikis et al., 2005). Il 50% di queste donne ha soddisfatto almeno tre dei sette criteri del DSM-IV per una diagnosi di dipendenza da caffeina. Questa

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prevalenza relativamente alta della dipendenza da caffeina è probabilmente liftime, piuttosto che dovuta alla valutazione dei criteri diagnostici negli anni passati.

In tutti questi studi elencati, la prevalenza del disturbo di dipendenza da caffeina e dei tassi di approvazione di ciascun criterio diagnostico risultano più elevati tra i partecipanti a queste ricerche rispetto alla popolazione generale (Ciapparelli et al., 1998).

1.7 Inquadramento diagnostico dell'uso di caffeina

L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha sviluppato la classificazione statistica internazionale delle malattie e problemi relativi alla salute (decima revisione; ICD-10), il più recente sistema diagnostico medico internazionale.

L'ICD-10 riconosce la diagnosi della sindrome della dipendenza dalla caffeina (World Health Organization, 1992). Questo disturbo è definito come un cluster di fenomeni comportamentali, cognitivi e fisiologici che si sviluppano dopo l'uso ripetuto di sostanze contenenti caffeina e che includono tipicamente un forte desiderio di assumere la sostanza, difficoltà di controllo sull'uso di essa, persistente uso nonostante le conseguenze dannose, una maggiore priorità data all'uso della sostanza rispetto ad altre attività e obblighi, aumentata tolleranza e talvolta uno stato di astinenza fisica.

L'Associazione Americana Psichiatrica ha recentemente pubblicato il DSM-V, l'ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali.

Ma già nel DSM-IV erano riconosciute ben 4 diagnosi caffeina-correlate (Hughes et al., 1998):

1. Intossicazione da caffeina

2. Disturbo d'ansia indotto da caffeina 3. Disturbo del sonno indotto da caffeina

4. Disturbo indotto da caffeina non altrimenti specificato

Affinchè si possa parlare di intossicazione da caffeina è necessaria una dose superiore 250 mg e 5 o più sintomi fra: irrequietezza, nervosismo, eccitamento, insonnia, disturbi gastrointestinali, tachicardia o aritmia cardiaca, vampate al volto, poliuria, contratture muscolari, flusso incoerente del pensiero e dell'eloquio, periodo di insensibilità alla fatica, agitazione psicomotoria.

Il secondo punto, il disturbo d'ansia indotto da caffeina, invece, è caratterizzato da ansia rilevante, attacchi di panico, ossessioni, compulsioni.

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La terza diagnosi, il disturbo del sonno, può assumere diverse caratteristiche: possiamo avere insonnia, ossia, prolungata latenza del sonno, diminuzione del sonno ad onde lente, aumento numero e durata dei risvegli, effetto dose dipendente; oppure ipersonnia o sonnolenza diurna. Entrambi questi ultimi da correlarsi ad aspetti di tipo astinenziale. Per quanto riguarda il disturbo indotto da caffeina non altrimenti specificato, si riferisce a quadri di tipo astinenziale, quindi può insorgere dopo una sospensione improvvisa di uso prolungato di caffeina seguito a breve distanza da cefalea o/e marcata stanchezza o sonnolenza o/e marcata ansia o depressione o/e nausea o vomito.

Il DSM-IV dice anche che sintomi da astinenza di caffeina si possono avere nei soggetti che ne fanno un uso pesante (500 mg/die) ma possono presentarsi anche a dosi di 100 mg/die

La nomenclatura dei criteri diagnostici dei disturbi legati alla sostanza e alla dipendenza differiscono da questa edizione del manuale e dall'ultima edizione (DSM-V). In particolare, i disturbi dell'abuso di sostanze e della dipendenza di sostanze riscontrati nel DSM-IV sono stati combinati e sono ora chiamati come disturbo d'uso di sostanze nel DSM-V (Edition & American Psychiatric Association. 1994). Sebbene né il DSM-IV né il DSM-V riconoscano ufficialmente questi disturbi applicati alla caffeina, il DSM-V riconosce il Disturbo d'uso della caffeina come condizione per ulteriori studi. I cirteri per il Disturbo d'uso della caffeina sono simili, ma non identici, a quelli per la sindrome della dipendenza dalla caffeina nell'ICD-10. Essi si sovrappongono notevolmente anche ai criteri DSM-IV per l'abuso di sostanze e la dipendenza da sostanze.

Lo schema diagnostico del DSM-V per il disturbo d'uso di sostanze comprende 11 criteri. L'approvazione di due di questi criteri soddisfa il requisito diagnostico. Tuttavia, per assicurare l'individuazione solo di casi con sufficiente importanza clinica per garantire l'etichettatura di un disturbo mentale, lo schema diagnostico DSM-V per lo studio del disturbo d'uso della caffeina comprende meno criteri diagnostici (cioè nove criteri). Inoltre, una diagnosi di disturbo d'uso della caffeina richiede che siano soddisfatti tutti e tre i più significativi indicatori di disturbo o di disfunzione associati alla dipendenza dalla caffeina: (1) desiderio persistente di caffeina o sforzi persistenti per ridurne o controllarne l'uso; (2) uso della caffeina nonostante la conoscenza di un problema fisico o psicologico persistente o ricorrente che sia probabilmente causato o esacerbato dalla caffeina; (3) sintomi caratteristici di astinenza da caffeina o uso della caffeina per alleviare o evitare i sintomi di ritiro.

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valutati altri sei criteri.

DSM-V: Diagnosi per Disturbo da Uso di Caffeina.

Un comportamento problematico dell'utilizzo della caffeina che conduce a compromissione o disturbo clinicamente significativo, come dimostrato almeno dai primi tre dei seguenti criteri che si verificano entro un periodo di dodici mesi:

1. Un desiderio persistente di caffeina o fallimenti nel ridurne l'uso

2. Continuo consumo di caffeina nonostante la conoscenza di un problema fisico o psicologico persistente o ricorrente probabilmente causato o esacerbato da essa 3. Astinenza manifestata da uno dei seguenti:

a. sintomi caratteristici di astinenza da caffeina

b. la caffeina (o sostanze strettamente correlate) viene assunta per alleviare o evitare i sintomi da astinenza.

4. La caffeina viene assunta in quantità più grandi o per un periodo più lungo di quanto è previsto

5. Uso ricorrente di caffeina con conseguente mancanza di rispetto per importanti obblighi di ruolo sul posto di lavoro, o a casa, o a scuola (ad esempio ripetuti ritardi o assenze dal lavoro o da scuola relative all'uso o all'astinenza da caffeina) 6. L'uso della caffeina persiste nonostante i problemi sociali o interpersonali

persistenti o ricorrenti causati o esacerbati dagli effetti della caffeina stessa (ad esempio discussioni con il coniuge sulle conseguenze dell'uso, problemi medici, costi)

7. Tolleranza, come definito da uno dei seguenti:

a. una necessità di aumentare notevolmente la quantità di caffeina per ottenere l'effetto desiderato

b. marcata diminuzione dell'effetto con l'uso della stessa quantità di caffeina

8. Gran parte del tempo è speso in attività necessarie per ottenere caffeina, fare uso di caffeina o recuperare dai suoi effetti

9. Craving, o forte desiderio o impulso a fare uso di caffeina

Istruzioni per specificare la gravità del disturbo da uso di caffeina:

I disturbi d'uso della sostanza si verificano in una vasta gamma di gravità, da lieve a grave, con severità basata sul numero di criteri di sintomi approvati. Come stima generale della gravità:

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• moderata, se presenti quattro o cinque sintomi • grave, se presenti sei o più sintomi.

Somiglianze e differenze tra la diagnosi per il DSM-V di uso della caffeina e le diagnosi per il DSM-IV per l'abuso di sostanze e la dipendenza da sostanze:

I criteri diagnostici proposti dal DSM-V per il disturbo da uso di caffeina si sovrappongono notevolmente ai criteri diagnostici DSM-IV per la dipendenza da sostanze e l'abuso di sostanze. In particolare, i criteri diagnostici DSM-IV per la dipendenza da sostanze comprendono sei dei criteri di cui sopra (cioè i criteri 1, 2, 3, 4, 7 e 8) insieme ad un settimo criterio non incluso nello schema di diagnosi dell'uso di disturbi della caffeina ("Le attività sociali, professionali o ricreative importanti vengono abbandonate o ridotte a causa dell'uso della sostanza"). I criteri diagnostici del DSM-IV per l'abuso di sostanze comprendono due dei criteri di cui sopra (i criteri 5 e 6) insieme a due altri criteri non inclusi nello schema di diagnostica dell'uso di caffeina (ad esempio, "uso ricorrente delle sostanze nelle situazioni fisicamente pericolose" e "problemi ricorrenti legati alla sostanza"). Un criterio diagnostico di disturbo di uso della caffeina (criterio 9) non è elencato negli schemi diagnostici DSM-IV per la dipendenza da sostanze o l'abuso di sostanze.

I sintomi d'astinenza da caffeina possono essere i seguenti: • cefalea generalizzata pulsante (weekend)

• sonnolenza

• diminuzione delle capacità di concentrazione • stanchezza

• irritabilità

• sensazioni di caldo e freddo • ansia • depressione • nervosismo • tremore • costipazione • craving

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Compaiono in genere 12-24 ore dall'ultima ingestione di caffè e durano circa 2-4 giorni. Possono essere presenti anche dopo 10 giorni dalla sospensione.

Lievi sintomi da astinenza si possono avere anche per la sospensione di 1 o 2 caffè/die In letteratura troviamo anche altri sintomi di intossicazione da caffeina:

aumento della diuresi, fascicolazioni muscolari, aumento dei sintomi d'ansia, comparsa di sintomi psicotici, depressione agitata, mania, delirium.

Si può evincere che l'uso cronico di caffeina è associato a fenomeni di abitudine, tolleranza e astinenza (Griffiths & Mumford, 1995).

Attualmente si ritiene che l'uso cronico si associ a tolleranza e astinenza (Maremmani et al., 1999).

1.8 Abuso di caffeina nei disturbi della condotta alimentare (DCA)

I Disturbi della Condotta Alimentare (DCA) sono caratterizzati da un persistente disturbo del mangiare che compromette la salute e/o il funzionamento psicosociale (American Psychiatric Association, 2013). Secondo il DSM-V essi includono: Anoressia Nervosa, disturbo dell'assunzione di cibo evitante/restrittivo, Binge Eating Disorder, Bulimia Nervosa, Pica e Disturbo di Ruminazione.

1.8.1 Anoressia nervosa (AN)

Epidemiologia. Negli adulti la prevalenza stimata di Anoressia Nervosa nella popolazione degli Stati Uniti è dello 0,6% (Hudson et al., 2007). Uno studio sui gemelli finlandesi ha trovato una prevalenza lifetime superiore del 2,2% (Keski-Rahkonen et al., 2007). Queste stime probabilmente sono basse per la tendenza che alcune persone affette da tale disturbo hanno nel nascondere la loro malattia (Hoek & Van Hoeken, 2003). Inoltre, le diagnosi sono state basate su criteri DSM-IV, che sono più restrittivi dei criteri DSM-V (Brown, Holland & Keel, 2014). Nello studio finlandese, le diagnosi basate su criteri simili a DSM-V hanno mostrato una prevalenza di vita di 4,2% (Keski-Rahkonen et al., 2007).

L'Anoressia Nervosa è più comune nelle donne che negli uomini. In un sondaggio nazionale rappresentativo, la prevalenza lifetime stimata è stata tre volte maggiore nelle femmine rispetto ai maschi (0,9 contro 0,3%) (Hudson et al., 2007). Nelle impostazioni cliniche, il rapporto tra femmine e maschi varia da 10: 1 a 20: 1 (Micali et al., 2014).

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anni (Hudson et al., 2007).

Per quanto riguarda gli adolescenti, un sondaggio nazionale rappresentativo (dai 13 ai 18 anni) negli Stati Uniti ha rilevato che la prevalenza lifetime dell'Anoressia Nervosa è dello 0,3%. La prevalenza per le femmine e per i maschi è la medesima (0,3%) (Swanson et al., 2011).

Diagnosi. Secondo il DSM-V, la diagnosi di anoressia nervosa richiede una delle seguenti caratteristiche (tabella 3):

• Limitazione dell'assunzione di energia che porta ad un basso peso corporeo, data l'età del paziente, il sesso, la traiettoria dello sviluppo e la salute fisica

• Intensa paura di aumentare il peso o di diventare grasso, o un comportamento persistente che impedisce il guadagno di peso, nonostante sia sottopeso

• Percezione distorta del peso corporeo e della forma, eccessiva influenza del peso e della forma sull'autostima o negazione della gravità medica del proprio peso corporeo

L'amenorrea si verifica comunemente nell'anoressia nervosa ed è stato un criterio diagnostico nel IV-TR (American Psychiatric Association. 2013). Tuttavia, il DSM-V ha eliminato l'amenorrea come criterio perché i pazienti che hanno ciclo mestruale ma che soddisfano altri criteri per l'Anoressia Nervosa hanno risultati simili a pazienti che non hanno ciclo mestruale (Attia et al., 2013).

DSM-V: Diagnosi per Anoressia Nervosa.

A. Restrizione dell'assunzione di energia rispetto ai requisiti, portando ad un peso corporeo

significatamente basso nel contesto dell'età, del sesso, della traiettoria dello sviluppo e della salute fisica. Peso significativamente basso è definito come un peso inferiore a quello minimo o, per bambini e adolescenti, inferiore a quello minimo previsto.

B. Intensa paura di ottenere peso o di diventare grasso o comportamento persistente che

interferisce con un aumento di peso, anche se con un peso significativamente più basso.

C. Disturbo nel modo in cui si verifica il peso corporeo o la forma, l'influenza eccessiva

del peso corporeo o della forma sull'autostima o la persistente mancanza di riconoscimento della gravità dell'attuale peso corporeo basso.

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Specificare se:

Tipo restrittivo (AN-R). Durante gli ultimi tre mesi l'individuo non si è impegnato in

episodi ricorrenti di comportamento binge eating o purging (vomito auto-indotto o l'abuso di lassativi, diuretici o clisteri). Questo sottotipo descrive le presentazioni in cui la perdita di peso è compiuta principalmente attraverso la dieta, il digiuno e/o l'esercizio eccessivo.

Binge eating/purging type (AN-BP). Negli ultimi tre mesi, l'individuo si è impegnato in

episodi ricorrenti di comportamento binge eating o purging (vomito auto-indotto o l'abuso di lassativi, diuretici o clisteri).

Specificare se:

In remissione parziale. Dopo che i criteri per l'Anoressia Nervosa sono stati

precedentemente soddisfatti, il criterio A (peso corporeo basso) non è stato rispettato per un periodo prolungato, ma sia il criterio B (intensa paura di ottenere peso o di diventare grasso o comportamento che interferisce con l'aumento di peso) che il criterio C (Disturbi nella percezione del peso e della forma) sono stati rispettati.

In remissione totale. Dopo che i criteri per l'Anoressia Nervosa sono stati

precedentemente soddisfatti, nessuno dei criteri è stato rispettato per un lungo periodo di tempo.

Specificare la gravità attuale:

Il livello minimo di gravità si basa, per gli adulti, sull'attuale BMI (vedi sotto) o, per i bambini e gli adolescenti, sul BMI percentile*. Le gamme di seguito riportate sono state ricavate dalle categorie dell'Organizzazione Mondiale della Sanità per la magrezza negli adulti; per i bambini e gli adolescenti dovrebbero essere utilizzati i percentili BMI corrispondenti. Il livello di gravità può essere aumentato per riflettere i sintomi clinici, il grado di disabilità e la necessità di una supervisione

Lieve: BMI ≥ 17 kg/m2¶

Moderata: BMI 16 – 16.99 kg/m2 Grave: BMI 15 – 15.99 kg/m2 Estrema: BMI < 15 kg/m2

DSM-V: Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, quinta edizione; BMI: indice di massa corporea.

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¶ Gravità lieve definita come BMI da 17 a 18,4 kg / m2; BMI ≥18,5 kg / m2 e <25 kg / m2 è un peso sano.

1.8.2. Bulimia Nervosa (BN)

Epidemiologia. Negli adulti i risultati raccolti da indagini nazionali rappresentative in 14 paesi (Europa, America Latina, Nuova Zelanda e Stati Uniti) stimano che la prevalenza lifetime della Bulimia Nervosa è dell'1,0% e la prevalenza di 12 mesi è dello 0,4% (Kessler et al., 2013). Quasi identiche figure sono visibili nella popolazione generale degli Stati Uniti. Come per l'Anoressia Nervosa, queste stime sono basse per la tendenza di alcuni individui a nascondere la loro malattia e le diagnosi sono basate su criteri più restrittivi rispetto ai criteri DSM-V (Hoek & Van Hoeken, 2003).

La Bulimia Nervosa è più comune nelle donne rispetto agli uomini (Kessler et al., 2013). Un sondaggio nazionale rappresentativo negli Stati Uniti ha stimato che la prevalenza lifetime è tre volte maggiore nelle femmine rispetto ai maschi (1,5 contro 0,5 %) (Hudson et al., 2007).In clinica, il rapporto tra femmine e maschi diagnosticati per la prima volta con questo disturbo è ancora alto (13 a 1) (Micali et al., 2013). L'età mediana dell'insorgenza della bulimia nervosa è di 18 anni.

Nelle indagini provenienti da 14 paesi che hanno individuato persone con Bulimia Nervosa negli ultimi 12 mesi, il danno del funzionamento sociale (lieve, moderato o grave) è stato riportato per il 55%, di cui grave nel 22%.

Le analisi di diverse coorti di nascita (età) suggeriscono che il rischio di Bulimia Nervosa è aumentato nel tempo (Kessler et al., 2013).

Per quanto riguarda l'epidemiologia della Bulimia Nervosa negli adolescenti, un sondaggio nazionale rappresentativo (dai 13 ai 18 anni) negli Stati Uniti ha rilevato che la prevalenza lifetime della Bulimia Nervosa è dello 0,9%; La prevalenza risulta maggiore nelle femmine rispetto ai maschi (1,3 contro 0,5 %) (Swanson et al., 2011).

Diagnosi. I criteri del DSM-V per la Bulimia Nervosa includono episodi ricorrenti sia di binge eating sia di comportamenti compensatori inappropriati per prevenire l'aumento di peso, che si verificano in media almeno una volta alla settimana per tre mesi.

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DSM-V: diagnosi per Bulimia Nervosa

A. Episodi ricorrenti di binge eating. Un episodio di binge eating è caratterizzato da

entrambi i seguenti punti:

1) Mangiare, in un discreto periodo di tempo (ad esempio, entro un periodo di due ore), una quantità di cibo che è sicuramente più grande di quella che molte persone mangerebbero durante un periodo simile e in circostanze simili.

2) Un senso di mancanza di controllo sul mangiare durante l'episoio (ad esempio, sensazione che non si può smettere di mangiare o controllare ciò che si mangia o quanto)

B. Comportamenti compensatori inappropriati ricorrenti per prevenire un aumento di peso,

come il vomito auto-indotto, abuso di lassativi, diuretici o altri farmaci (BN-BP), digiuno o esercizio fisico eccessivo (BN-NP).

C. Il binge eating e i comportamenti compensatori inappropriati si verificano, in media,

almeno una volta alla settimana per tre mesi.

D. L'autostima è eccessivamente influenzata dalla forma e dal peso del corpo E. Il disturbo non si verifica esclusivamente durante episodi di Anoressia Nervosa.

Specificare se:

In remissione parziale. Dopo che i criteri per la Bulimia Nervosa sono stati

precedentemente soddisfatti, alcuni, ma non tutti, sono stati soddisfatti per un lungo periodo di tempo.

In remissione totale. Dopo che i criteri per la Bulimia Nervosa sono stati precedentemente

soddisfatti, nessuno dei criteri è stato rispettato per un lungo periodo di tempo.

Specificare la gravità attuale:

Il livello minimo di gravità è basato sulla frequenza dei comportamenti compensatori inappropriati (vedi sotto). Il livello di gravità può essere aumentato per riflettere altri sintomi e il grado di disabilità funzionale.

Lieve: in media da 1 a 3 episodi di comportamenti compensatori inappropriati a settimana. Moderata: una media di 4-7 episodi di comportamenti compensatori inappropriati a

settimana.

Grave: una media di 14 o più episodi di comportamenti compensatori inappropriati a

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Estrema: una media di 14 o più episodi di comportamenti compensatori inappropriati a

settimana.

1.8.3. Binge Eating Disorder (BED)

Epidemiologia. Negli adulti risultati raccolti da indagini nazionali rappresentative in 14 paesi (Europa, America Latina, Nuova Zelanda e Stati Uniti) stimano che la prevalenza lifetime del Binge Eating Disorder è dell' 1,9% e la prevalenza di 12 mesi è dello 0,8% (Kessler et al., 2013).Nell'indagine degli Stati Uniti, i tassi di prevalenza lifetime e quelli di 12 mesi sono 2,6 e 1,2%. La prevalenza media del Binge Eating Disorder in campioni clinici (programmi di controllo del peso) è del 30% (Edition & American Psychiatric Association, 1994).

Il Binge Eating Disorder è più comune nelle donne rispetto agli uomini. In un sondaggio nazionale rappresentativo negli Stati Uniti, la prevalenza lifetime nelle femmine e nei maschi è di 3,5 contro 2,0% (Hudson et al., 2007). Tuttavia, i tassi di prevalenza non erano

associati alla razza, allo stato civile o allo status di occupazione. L'età mediana di insorgenza è di circa 23 anni.

Rispetto agli individui normali, gli individui con Binge Eating Disorder sono a maggior rischio di sviluppare problemi di natura medica, inclusi dolori cronici, diabete mellito e ipertensione. Inoltre, hanno un indice di massa corporea superiore e presentano maggiore probabilità di essere obesi (Kessler et al., 2013).

Negli indagini provenienti da 14 paesi che hanno individuato persone con Binge Eating Disorder durante i 12 mesi scorsi, il danno del funzionamento sociale (lieve, moderato o grave) è stato riportato per il 47%, grave per il 13%. Negli Stati Uniti, nel 63% è stato riscontrato un danno psicosociale, di cui gravi per il 19%.

L'epidemiologia nella popolazione degli adolesenti è stata studiata attraverso uno studio nazionale rappresentativo (di età compresa tra i 13 e i 18 anni) negli Stati Uniti. Questa ricerca ha rilevato che la prevalenza lifetime del Binge Eating Disorder è dell'1,6%; la prevalenza era maggiore nelle femmine rispetto ai maschi (2,3 contro 0,8 %) (Swanson et al., 2011).

Diagnosi. La diagnosi del DSM-V del Binge Eating Disorder richiede una delle seguenti (American Psychiatric Association. 2013):

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• Episodi di binge eating, definiti come consumare una quantità di cibo in un discreto periodo di tempo (ad esempio, due ore), che è sicuramente più grande di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso tempo in circostanze simili. Durante gli episodi, i pazienti sentono di non avere il controllo sul mangiare (ad esempio, i pazienti ritengono di non poter smettere di mangiare o di controllare quello che mangiano o la quantità).

• Gli episodi di consumo binge sono contrassegnati da almeno tre dei seguenti: - Mangiare più rapidamente del normale

- Mangiare fino a quando non si ha una spiacevole sensazione di pienezza - Mangiare grandi quantità di cibo quando non si è fisicamente affamati - Mangiare da solo a causa dell'imbarazzo per la quantità di cibo consumato - Sentirsi disgustato da sé, depresso o colpevole dopo l'eccesso di cibo

• Gli episodi si verificano, in media, almeno una volta alla settimana per tre mesi. • Nessun uso regolare di comportamenti compensatori inappropriati (es. spurgo,

digiuno o esercizio fisico eccessivo) come si vede nella bulimia nervosa.

• La binge eating non si verifica solo durante il corso di bulimia nervosa o anoressia nervosa.

• L'attuale livello di gravità si basa sul numero di episodi di binge eating a settimana: - Lieve: da 1 a 3

- Moderato: da 4 a 7 - Grave: da 8 a 13 - Estrema: 14 o più

1.8.4 Ricerche su disturbi alimentari e abuso di caffeina

Molti pazienti con Disturbo della Condotta Alimentare (DCA) ricorrono a varie sostanze per ridurre il proprio peso e per rispondere in modo inadeguato allo stimolo della fame, tra cui anche la caffeina. Questa sostanza viene usata molto frequentemente ed in modo elevato sia dalle anoressiche (Sours, 1983) che dalle bulimiche (Fahy, 1991), essa infatti ha effetti che potrebbero sembrare vantaggiosi a queste pazienti, come la riduzione del senso di fame, l'aumento del metabolismo basale e della produzione di lavoro muscolare nelle attività prolungate, il ritardo della percezione della fatica (Hardman & Limbird, 1996), l'aumento della vigilanza e della diuresi. L'uso della caffeina potrebbe quindi essere dovuto all'esigenza di ingannare la fame e di trovare energia “non calorica”, oppure potrebbe

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anche rientrare nell'ambito di un abuso più generale.

Un esempio, il caso del paziente anoressico di 16 anni: ogni giorno consumava 24 lattine di bavande dietetiche contenenti caffeina (Shaul, Farrell & Maloney, 1984). Chi soffre di Anoressia Nervosa è altamente suscettibile al caffeinismo, a sindromi gastrointestinali, cardiovascolari, muscolari, metaboliche e neuropsichiatriche.

Un'ulteriore studio confronta il consumo di caffeina nelle donne con disturbi alimentari e donne senza disturbi alimentari: l'assunzione di caffeina in tre gruppi diagnostici (10 maschi con Anoressia, 27 maschi con Bulimia Nervosa e 42 femmine con Binge Eating Disorder) è stata confrontata con l'assunzione di caffeina in tre gruppi comparativi (n = 659 ciascuno). Dai risultati è emerso che l'assunzione di caffeina aumenta notevolmente tra i 9 e i 19 anni in tutti i gruppi, questa tendenza non è stata modificata dallo stato diagnostico (Striegel Moore et al., 2006)‐ . Per l'Anoressia Nervosa, rispetto al gruppo di soggetti sani, l'assunzione di caffeina attraverso cola è aumentata in modo significativo e il consumo degli alimenti contenenti cioccolato è diminuito notevolmente nel tempo. Quindi da questo studio pare che il consumo di caffeina in ragazze con disturbi alimentari differisce da ragazze senza disturbi alimentari solo per Anoressia Nervosa, ma non per Bulimia Nervosa o BED.

Al contrario, un'ulteriore ricerca mostra il caso di tre giovani pazienti bulimiche, le quali abusavano di grandi quantità di caffeina nel tentativo di controllare il loro peso (Fahy & Treasure, 1991). Esse la usavano per i suoi effetti di soppressione dell'appetito, effetti diuretici e stimolanti. Fra queste ragazze, due hanno subito sintomi fisici di intossicazione da caffeina e la terza è risultata avere un livello sierico di caffeina che era all'interno del range tossico. Interessante da sottolineare: gli autori di questo studio suggeriscono che una valutazione dettagliata del livello di assunzione di caffeina dovrebbe essere parte della valutazione psichiatrica standard.

Un'altra ricerca, già citata nei paragrafi precedenti, ha lo scopo di indagare l'uso di caffeina in diversi tipi di pazienti con disturbi alimentari utilizzando un approccio categorico che si rifà al DSM-IV (Burgalassi et al., 2009). Lo studio comprende: 58 pazienti femmine (15 con Anoressia Nervosa tipo restrittivo (AN-R) e tipo binge-eating/Purging (AN-BP); 26 con Bulimia Nervosa Purging type/Non Purging type (BN-BP e BN-NP); 17 con BED) e 15 controlli non clinici. Ad entrambi i gruppi, pazienti e soggetti sani, veniva somministrato il test Eating Disorder Inventory-2 (EDI-2), la Clinical Global Impression (CGI) e il Caffeine Use Test, un'intervista sviluppata appositamente per indagare l'assunzione di caffeina. Dai risultati della ricerca è emerso che l'uso della caffeina corrente

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e l'uso lifetime, misurato come mg/die, sono molto simili tra soggetti sani e soggetti con disturbo dell'alimentazione. I pazienti affetti da Bulimia Nervosa hanno mostrato un aumento significativo dell'uso lifetime della caffeina (817,4 ± 528,9 vs 325,0 ± 294,6 mg/die, F=3,246, p<0,05). L'abuso di caffeina è stato significativamente più rappresentativo nei pazienti rispetto ai controlli (p <0.01), ma simile tra i diversi gruppi di pazienti. Per quanto riguarda le diagnosi secondo DSM-IV-TR, nessuna differenza significativa è stata trovata tra i diversi gruppi, sia per dipendenza, intossicazione o ritiro. La maggior parte dei pazienti e dei controlli hanno riportato il piacere come motivazione principale per l'uso della caffeina, seguito da una maggiore vigilanza e attenzione e soppressione dell'appetito nei pazienti AN e BN. Da notare che uno spostamento nella diagnosi nel corso del disturbo dell'alimentazione dal tipo No-Purging al tipo Purging è stato associato ad un aumento dell'uso di caffeina corrente, dell'uso lifetime e dell'uso massimo lifetime (F=1.667, p<0.05), ad eccezione dei pazienti BED. La gravità del disturbo dell'alimentazione misurata come punteggio CGI o comorbidità non ha influenzato l'assunzione di caffeina nei pazienti, ma nel sottogruppo purging l'uso corrente di caffeina è aumentato in presenza di un Disturbo d'Ansia (p <0,05) e diminuito in presenza di un disturbo dell'umore (p <0.01). Quindi questo studio sembra affermare che una percentuale elevata di pazienti con disturbo dell'alimentazione in genere usa la caffeina con una assunzione media simile a quella della popolazione generale, ma con una sorta di atteggiamento binge.

Anche un altro studio mostra il consumo più elevato di caffeina nei pazienti con Bulimia Nervosa rispetto a pazienti con Anoressia Nervosa (Krahn, 1991): i dati riportano che il 18,7% dei pazienti con BN consuma una quantità elevata di caffeina, contro il 7,1% dei soggetti con AN; il 18,2% dei pazienti con Anoressia Nervosa con abbuffatte/condotte di eliminazione (AN-BP) e il 9.1% dei pazienti con disturbi dell'alimentazione non altrimenti specificati.

A conferma, un'ulteriore ricerca sottolinea che l'abuso di caffeina è maggiore nei soggetti con Bulimia Nervosa (42,9%) rispetto a soggetti con Anoressia Nervosa (33,8%) (Haug, Heinberg & Guarda, 2001). Sostiene anche che la prevalenza di uso di caffeina nei pazienti con disturbo dell'alimentazione è dell'85% e la prevalenza dell'abuso è del 37% e che l'assunzione della sostanza è nell'Anoressia Nervosa pari all'85,9% e nella Bulimia Nervosa pari all'82,9%. L'uso e l'abuso della sostanza tendono ad essere più alti nei purgers (AN-BP e BN-BP), rispetto ai restricters (AN-R).

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elevato sia in soggetti con sintomi restrittivi (AN-R), che in soggetti con sintomi binging e/o purging (BN, AN-BP) (Stock et al., 2002). In questo studio, paragonando tra loro i due gruppi, risulta che il 35% dei purgers consuma più di 5 bevande contenenti caffeina al giorno, contro il 12% circa dei restricters.

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