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Ruolo dell' ecografia nella valutazione del margine di escissione nel planning chirurgico del mastocitoma cutaneo del cane

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria

RUOLO DELL'ECOGRAFIA NELLA VALUTAZIONE DEL

MARGINE DI ESCISSIONE NEL PLANNING CHIRURGICO

DEL MASTOCITOMA CUTANEO DEL CANE

Candidato: Relatore:

Edoardo Vernasca Prof. Iacopo Vannozzi

Correlatore:

Dott. Tommaso Mannucci

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INDICE

RIASSUNTO/ABSTRACT

Pag. 1

INTRODUZIONE

Pag. 2

CAPITOLO 1

Cenni sui mastociti e sul mastocitoma Pag. 3

1.1 Biologia dei mastociti del cane Pag. 4 1.1.1 Caratteristiche morfologiche e funzionali Pag. 4

1.1.2 Differenziazione Pag. 5

1.1.3 Attivazione Pag. 6

1.2 Mastocitoma canino Pag. 9

1.2.1 Incidenza e segnalamento Pag. 9

1.2.2 Eziologia Pag. 9

1.2.3 Segni clinici Pag. 10

1.2.4 Diagnosi Pag. 13

1.2.5 Stadiazione Pag. 17

1.2.6 Trattamento Pag. 18

1.2.7 Fattori prognostici Pag. 21

CAPITOLO 2

Tecniche ecografiche Pag. 25

2.1 Ecografia Pag. 26

2.1.1 Principi degli ultrasuoni Pag. 26 2.1.2 Interazione degli ultrasuoni con la materia Pag. 27 2.1.3 Principi di funzionamento di un ecografo Pag. 28

2.1.4 Artefatti Pag. 31

2.2 Ecografia Doppler Pag. 33

2.2.1 Effetto Doppler Pag. 33

2.2.2 Tecniche Doppler Pag. 35

(3)

CAPITOLO 3

L’ecografia nella stadiazione del mastocitoma Pag. 38

CAPITOLO 4

Parte sperimentale Pag. 42

4.1 Scopo del lavoro Pag. 43

4.2 Materiali e metodi Pag. 43

4.3 Risultati Pag. 50

4.4 Discussioni Pag. 60

4.5 Conclusioni Pag. 62

BIBLIOGRAFIA

Pag. 64

(4)

1

RIASSUNTO

Parole chiave: cane, mastocitoma cutaneo, ecografia, chirurgia

Questo studio si pone l’ obbiettivo di valutare l’estensione e le caratteristiche del mastocitoma cutaneo canino tramite tecniche ecografiche, in modo da fornire un elemento adiuvante nella pianificazione della chirurgia. Sono stati esaminati 11 pazienti, ciascuno con un mastocitoma cutaneo. L’ecografia è stata impiegata per determinare le dimensioni e visualizzare le caratteristiche interne del tumore, inclusa la vascolarizzazione. Nonostante il campione utilizzato non fosse significativo, 2 mastocitomi si sono rivelati di dimensioni maggiori rispetto a quelle rilevate all’esame fisico. Questo riscontro ha permesso quindi di adeguare i margini di escissione. L’ecografia si è inoltre dimostrata utile nel determinare la vera profondità della neoplasia. L’ecografia è uno strumento utile a fornire maggiori informazioni per il planning chirurgico, come la determinazione dei margini. Ulteriori ricerche sono necessarie per determinare se differenze nelle caratteristiche ecografiche possono differire tra mastocitomi di grado diverso.

ABSTRACT

Key words: canine, cutaneous mast cell tumor, ultrasound, surgery

This study aims to evaluate the extent and characteristics of canine cutaneous mast cell tumor with ultrasound techniques, in order to provide an adjuvant element in the surgical planning. 11 patients with a cutaneous mast cell tumor were examined. Ultrasound was used to determine the size and analyze the internal characteristics of the tumor, including vascularity. Although the sample used was not significant, 2 mast cell tumors proved larger than those detected on physical examination. This finding therefore allowed to adjust the margins of excision. Ultrasound has also proved useful in assessing the true depth of the tumor. Ultrasound is a useful tool to provide more information for surgical planning, such as the determination of margins. Further research is needed to determine if differences in ultrasound characteristics may differ between mast cell tumors of different grade.

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2

INTRODUZIONE

Il mastocitoma è una proliferazione neoplastica di mastociti. Viene classificato all’interno dei tumori a cellule rotonde, insieme all’istiocitoma, al plasmocitoma, al linfosarcoma e al tumore venereo trasmissibile; questi sono infatti caratterizzati da cellule ad alto grado di esfoliazione, con morfologia tonda od ovale, facilmente identificabili attraverso l’esame citologico. In particolare, il mastocitoma cutaneo origina dai mastociti presenti nel derma e nel sottocute, rappresentando la neoplasia cutanea più comune nel cane e la seconda nel gatto; è necessario comunque sottolineare che, nonostante questa patologia interessi entrambe le specie, sono presenti differenze nel tipo istologico, nel comportamento biologico, nella terapia e nella prognosi.1,2

In assenza di metastasi agli organi addominali, la chirurgia rappresenta l’opzione di prima scelta per un mastocitoma cutaneo localizzato in una regione in cui è possibile un’ampia escissione. È riportato che un margine laterale di 2 cm ed un piano fasciale di profondità siano adeguati per eseguire una completa escissione di un mastocitoma di grado I e II, secondo lo schema di classificazione di Patnaik.18,19 Nello studio eseguito da Fulcher et al. del 2006

sono state tuttavia segnalate due neoplasie caratterizzate ai margini da foci di mastociti, successivamente trattate con una chirurgia aggiuntiva.19

Nella stadiazione dei tumori del cane, le neoplasie superficiali generalmente non vengono valutate con tecniche di diagnostica per immagini, sebbene possano essere facilmente esaminate tramite l’ecografia. Da queste considerazioni, e sulla base dello studio condotto da Hahn et al. del 199017, è

stata valutata l’estensione del limite ecografico del mastocitoma cutaneo rispetto a quello visibile. In aggiunta a questo parametro sono state indagate anche le caratteristiche ecografiche riportate da Loh et al. nel 200938 e Nyman

et al. del 200639.

Questo studio ha quindi lo scopo di fornire, attraverso tecniche ecografiche, elementi adiuvanti nella pianificazione della chirurgia del mastocitoma cutaneo.

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3

CAPITOLO 1

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4

1.1 Biologia dei mastociti del cane

1.1.1 Caratteristiche morfologiche e funzionali

I mastociti sono cellule mobili, voluminose (fino a 30 µm di diametro), di forma ovoidale, con un nucleo rotondo e non segmentato, spesso nascosto da numerose granulazioni citoplasmatiche; questi granuli, sono delimitati da una membrana ed hanno una struttura a strati concentrici o avvolti a spirale (figura 1.1); sono inoltre caratterizzati da metacromasia, assumendo quindi un color rosso-porpora nel caso vengano usati coloranti blu basici della serie delle tiazine, come la tionina, il blu di toluidina e l’azzurro II (figura 1.2).2-3

I mastociti hanno un ruolo fondamentale nelle reazioni di ipersensibilità, in particolare quella di tipo I. È stato inoltre riconosciuto un loro coinvolgimento nella difesa contro i parassiti e nello sviluppo di risposte infiammatorie acute e croniche, stimolando la migrazione e l’adesione dei leucociti; promuovono inoltre l’angiogenesi, la deposizione di fibrina, la proliferazione dei fibroblasti e la fibrosi.4

A B

Figura 1.1 Micrografia elettronica. A, Immagine di un mastocita non attivato.

B, Immagine a forte ingrandimento dei granuli citoplasmatici con struttura a strati concentrici (0) o a strati avvolti a spirale (1,2). Da “Citologia ed istologia”, 1992

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5 Figura 1.2 Immagine al microscopio ottico di un mastocita in cui è possibile

osservare i granuli citoplasmatici colorati metacromaticamente. Da “Atlante degli strisci ematici del cane e del gatto”, 2015

1.1.2 Differenziazione

I mastociti del cane derivano dai precursori ematopoietici del midollo osseo, conosciuti come canine bone marrow-derived mast cells (cBMMCs). Questi vengono rilasciati in circolo precocemente, in una forma agranulare, per poi distribuirsi e differenziarsi prevalentemente nei tessuti che per primi entrano in contatto con gli antigeni, come la cute, l’apparato respiratorio e gastrointestinale. La differenziazione dei mastociti necessita di un fattore di crescita cellulare chiamato stem cell factor (SCF), una glicoproteina prodotta da cellule stromali del midollo osseo, fibroblasti e cellule endoteliali; può essere inoltre favorita dalla presenza di alcune citochine, come l’IL-4 e IL-10.1,4,5

La natura e la composizione delle granulazioni citoplasmatiche è influenzata dal microambiente del tessuto in cui i mastociti maturano: ad esempio i granuli dei mastociti nella mucosa del tratto gastrointestinale contengono principalmente condroitin solfato, chimasi e ridotte quantità di istamina; i granuli dei mastociti della cute, invece, sono caratterizzati da eparina, sia chimasi che triptasi ed elevate quantità di istamina.1,5

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6

1.1.3 Attivazione

L’attivazione del mastocita può essere indotta da stimoli diversi (Figura 1.3); quella mediata dalle immunoglobuline di classe E (IgE) rappresenta il meccanismo più studiato e meglio compreso (Figura 1.4).

Figura 1.3 Stimoli immunologici e non immunologici capaci di indurre

l’attivazione mastocitaria. Modificato da “Enciclopedia medica

italiana”, 1998

Con la prima esposizione all’antigene viene stimolata una risposta di tipo Th-2 e quindi vengono prodotte le IgE specifiche da parte delle plasmacellule; esse si fissano alla membrana dei mastociti, dal momento che queste cellule posseggono recettori specifici ad alta densità per questa categoria di immunoglobuline. Una successiva esposizione allo stesso antigene causa l’attivazione dei mastociti con tre tipi di risposte biologiche.

1) Degranulazione

Alla base del processo di degranulazione si trova l’apertura dei canali del calcio posti nella membrana del mastocita e il conseguente flusso di ioni calcio all’interno della cellula. Questi ioni, regolando l’assetto del citoscheletro e l’attività di alcuni enzimi, determinano lo spostamento e la fusione dei granuli citoplasmatici con la membrana cellulare e, in definitiva, il rilascio per esocitosi del loro contenuto.

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Esistono almeno due ordini di fattori biochimici granulo-derivati: quelli che vanno incontro ad un rilascio rapido e quelli a rilascio più lento. I primi, che esplicano la loro azione immediatamente dopo il loro rilascio nell’ambiente extracellulare ma vengono inattivati rapidamente, comprendono l’istamina, il fattore attivante le piastrine (PAF), i fattori chemiotattici dell’anafilassi per i leucociti eosinofili e leucociti neutrofili (ECF-A e ACF-N), la bradichinina e, in alcuni animali escluso l’uomo, la serotonina. Essi sono responsabili di tutti i fenomeni dell’ipersensibilità immediata. L’istamina ha un’azione vasodilatatrice a livello capillare e aumenta la permeabilità a livello vasale; causa inoltre edema del tessuto circostante, favorisce la diapedesi delle cellule bianche del sangue e determina la contrazione delle cellule muscolari lisce della parete delle vie aeree più piccole.

I fattori a rilascio lento sono invece rappresentati dall’eparina, da alcuni enzimi proteolitici, come chimasi e triptasi, e dai fattori infiammatori dell’anafilassi (IF-A). Questi sono responsabili delle reazioni infiammatorie ritardate. L’eparina è un mucopolisaccaride acido solforato ad elevato potere anticoagulante; alla sua presenza si deve la colorazione metacromatica dei granuli. Gli enzimi proteolitici attivano invece le metalloproteasi di matrice che, agendo sulle proteine di matrice del tessuto, ne causano la distruzione. 2) Sintesi e secrezione dei mediatori lipidici

L’aumento del calcio citoplasmatico e la fosforilazione catalizzata dalla protein chinasi attivata da mitogeno (MAP) attivano la fosfolipasi A2, la quale causa l’idrolisi dei fosfolipidi di membrana del mastocita e la produzione di acido arachidonico; quest’ultimo viene convertito in prostaglandine e tromboxani dalle ciclossigenasi, in leucotrieni invece dalle lipossigenasi. Proprio i leucotrieni sono in gran parte responsabili di alcune manifestazioni tipiche dei fenomeni allergici ed anafilattici, quali il broncospasmo, l’edema delle mucose e l’ipersecrezione di muco.

3) Sintesi e secrezione di citochine

La sintesi e la secrezione di citochine mediate dalle IgE sono determinate dall’attivazione della protein chinasi, la quale induce alcuni fattori di

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trascrizione come NFAT (Nuclear Factor of Activated T-cells). Questi stimolano la trascrizione di IL-4, IL-5, IL-6, IL-13 e TNF.

La reattività dei mastociti è anche controllata dai recettori delle catecolamine presenti sulla superficie cellulare (adrenocettori α e β), i quali hanno effetti opposti. Sostanze che stimolano i recettori α o che bloccano i recettori β causano un abbassamento della concentrazione di cAMP; questo, in associazione con l’aumento di cGMP dovuto all’attivazione colinergica, determina l’attivazione del mastocita. Al contrario, i mastociti vengono inibiti da sostanze che stimolano i recettori β o bloccano i recettori α, determinando un aumento della concentrazione di cAMP.3,4

Figura 1.4 Schema semplificato dei meccanismi di attivazione mastocitaria

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1.2 Mastocitoma canino

1.2.1 Incidenza e segnalamento

Il mastocitoma rappresenta dal 16% al 21% di tutte le neoplasie cutanee del cane. Colpisce prevalentemente soggetti anziani, con un’età media di 8-9 anni, anche se sono stati riscontrati in pazienti più giovani; non è stata dimostrata invece alcuna predilezione di sesso.

Diverse razze sono considerate a maggiore rischio di sviluppo di mastocitoma: le più predisposte sono quelle derivate dal bulldog (Boxer, Boston terrier, Carlino, Bulldog francese ed inglese), Labrador e Golden Retriever, Cocker Spaniel, Schnauzer, Staffordshire Terrier, Beagle, Rhodesian Ridgeback, Weimaraner e Shar-Pei. 1,6

1.2.2 Eziologia

L’eziologia dei mastocitomi è per la maggior parte sconosciuta. Storicamente sono stati associati ad un processo infiammatorio cronico o all’applicazione di sostanze irritanti la cute. Alcuni studi hanno escluso un possibile ruolo svolto da un agente cancerogeno topico, mentre altri non hanno trovato prove a supporto di un’eziologia virale.

Il fatto che l’incidenza dei mastocitomi aumenti in certe razze suggerisce la possibilità che ci possano essere delle alterazioni genetiche, le quali però non sono ancora completamente comprese.1

Ad esempio, nei Boxer con mastocitomi è stata osservata una maggiore espressione di alcuni siti cromosomici fragili (cromosomi 3,4 e 15), che nella specie umana sembrano predisporre geneticamente allo sviluppo di certi tumori; questo dato è stato però messo in discussione dalla differenza di età presente tra il gruppo di controllo, costituito da soggetti giovani, e i Boxer col mastocitoma, più anziani e quindi con una maggiore frequenza di siti cromosomici fragili.1,7

È stata individuata un’alterazione dell’oncosoppressore p53; pur non essendo presente costantemente potrebbe influire sullo sviluppo del mastocitoma.8,9 La

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ciclina-10

dipendente che intervengono nella regolazione del ciclo cellulare, è stata riscontrata in molti mastocitomi canini: in particolare l’assenza dell’espressione della p27 tende a verificarsi precocemente, mentre l’aumento dell’espressione della p21 può essere associata con una progressione della neoplasia.10

L’alterazione molecolare meglio descritta riguarda il KIT, un recettore tirosin chinasico che interviene nella trasduzione del segnale cellulare nel mastocita canino, ma anche in altri tipi di cellule, tra cui le staminali emopoietiche e i melanociti. L’attivazione del KIT avviene in seguito al legame con lo SCF; questo induce la dimerizzazione del KIT, la seguente fosforilazione e la generazione di un segnale intracellulare che stimola la proliferazione, la differenziazione e la maturazione dei normali mastociti. La presenza dello SCF è fondamentale poiché un’inibizione del KIT causerebbe apoptosi delle cBMMCs e quindi una mancata differenziazione dei mastociti maturi. In un’ottica più ampia, un deficit del KIT porterebbe ad un’interruzione delle funzioni dipendenti da esso, come l’eritropoiesi, la pigmentazione cutanea, la fertilità e la motilità intestinale.1-11

Un’aberrante localizzazione citoplasmatica del KIT nei mastocitomi può essere associata ad un’alterazione della regolazione delle sue funzioni. È stato osservato infine che un significativo numero di mastocitomi canini presenta una mutazione nel gene c-kit (25-30% dei mastocitomi di grado intermedio ed elevato) che comporta un’attivazione del KIT indipendente dallo SCF e una mancata regolazione della trasduzione del segnale cellulare.1

1.2.3 Segni clinici

Nel cane i mastocitomi si presentano generalmente nella forma cutanea, localizzandosi quindi nel derma o nel sottocute, con l’aspetto di noduli singoli, sebbene nel 11-14% dei casi siano state riportate lesioni multiple; circa il 50% dei mastocitomi cutanei sono individuati sul tronco e nella regione perineale, il 40% sugli arti e il restante 10% sulla testa e sul collo.1

Sono inoltre riportate, anche se rare, delle forme extracutanee: quella muco-cutanea, ad esempio a livello della congiuntiva e della cavità orale (Figura 1.5),

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11

e quella viscerale, conosciuta anche come mastocitosi disseminata o sistemica, che può coinvolgere i linfonodi addominali, fegato, milza, tratto gastrointestinale, pleura e peritoneo; in quest’ultimo caso la sintomatologia prevede vomito, diarrea e melena.1,6

Figura 1.5 Forme muco-cutanee di mastocitoma canino. Da “Veterinaria” n.1,

2016

Il mastocitoma cutaneo si può presentare con quadri clinici diversi, tanto da essere scambiato in alcuni casi con una lesione non neoplastica. Mastocitomi ben differenziati sono lesioni solitarie, piccole, alopeciche ma non ulcerate, a lenta crescita e che possono essere presenti da diversi mesi (Figura 1.6A). Le forme non differenziate sono invece lesioni a rapida crescita, ulcerate, pruriginose, che tendono a raggiungere dimensioni maggiori; il tessuto circostante può essere infiammato ed edematoso, con possibile presenza di piccoli noduli satelliti (Figura 1.6B); alla palpazione è inoltre possibile individuare linfadenopatia ed organomegalia addominale. I mastocitomi con un grado di differenziazione intermedio si presentano con caratteristiche comprese tra questi due estremi; quelli sottocutanei possono essere clinicamente confusi con dei lipomi per la loro consistenza morbida alla palpazione (Figura 1.6C).

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12 Figura 1.6 A, Mastocitoma ben differenziato. B, Mastocitoma scarsamente

differenziato. C, Mastocitoma sottocutaneo. Da Blackwood et al., 2012

I cani affetti da mastocitoma possono inoltre presentare i segni clinici caratteristici della malattia paraneoplastica, conosciuti come segni di Darier, i quali sono causati dalla degranulazione dei mastociti, spontanea o in seguito a manipolazione o lambimento. La liberazione dell’istamina, dell’eparina e delle altre amine vasoattive causa infatti edema, eritema, tumefazione e possibili ulcerazioni a livello del tessuto circostante la lesione (Figura 1.7).1,5,6 Sono

riportati inoltre alterazioni locali della coagulazione, per azione dell’eparina, e ritardo nella guarigione delle ferite, sia per il rilascio di enzimi proteolitici da parte dei mastociti, sia per il legame dell’istamina coi recettori H1 che inibisce

la conversione dei fibroblasti in miofibroblasti.12

I segni sistemici più comuni sono invece a livello gastrointestinale, con il reperimento di ulcere nel 35-83% dei cani con mastocitoma sottoposti a necroscopia: l’istamina liberata dai granuli del mastocitoma stimola infatti i recettori H2 delle cellule della parete gastrica con successiva secrezione di

acido cloridrico ed iperacidità; l’istamina inoltre incrementa la motilità gastrica e la permeabilità dei capillari, favorendo una trombosi intravascolare e l’ulcerazione della mucosa. I segni clinici secondari alle ulcere comprendono vomito, emorragie gastrointestinali, anoressia e dolore addominale.

(16)

13

Raramente, un massiccio rilascio di istamina da cellule neoplastiche può portare ad una reazione anafilattica con episodi di collasso. Se invece la degranulazione avviene in sede perioperatoria, si possono verificare episodi ipotensivi durante l’intervento.1,5,6

Figura 1.7 Malattia paraneoplastica causata dalla degranulazione dei

mastociti. Da Blackwood et al., 2012

1.2.4 Diagnosi

L’esame istologico è considerato il metodo gold standard per la diagnosi di mastocitoma. Esso identifica questa neoplasia attraverso diversi sistemi di classificazione: storicamente il più impiegato era quello proposto da Patnaik; negli ultimi anni è stata però introdotta la classificazione di Kiupel;1 entrambi

i sistemi verranno approfonditi successivamente.

È necessario comunque sottolineare come il 92-96% dei mastocitomi sia identificato tramite l’esame citologico eseguito su campioni ottenuti tramite ago aspirazione della lesione; questa rappresenta infatti una tecnica più semplice e rapida.1,5,6 In genere i campioni citologici sono a elevata cellularità,

con frequente contaminazione di sangue periferico. Oltre alle caratteristiche distintive dei tumori a cellule rotonde, le cellule di mastocitoma presentano, con colorazioni blu basiche come quella di Romanowsky, caratteristici granuli

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color porpora, da piccoli a grossolani. Nella maggior parte dei casi essi permettono una diagnosi definitiva; è stato però riportato che spesso la colorazione Diff-Quick, la più utilizzata nella pratica, non riesce a colorarli, rendendo difficile la differenziazione dei mastocitomi dagli altri tumori a cellule rotonde (Figura 1.8). In realtà, se si esamina il campione con attenzione, nonostante la colorazione sia molto meno intensa, nelle cellule neoplastiche possono comunque essere riconoscibili i granuli color porpora.13

A B

Figura 1.8 Due diversi vetrini dello stesso mastocitoma sono stati colorati con

Diff-Quick (A) e Wright-Giemsa (B). A, I granuli non si sono colorati bene e se ne possono identificare pochi (frecce). B, Le cellule sono marcatamente granulate. Da “Citologia ed ematologia

del cane e del gatto”, 2009

Nei mastociti marcatamente granulati i nuclei sono spesso indistinguibili oppure, data l’elevata affinità dei granuli citoplasmatici per alcune delle colorazioni della citologia, appaiono pallidi o addirittura completamente non colorati, cosa che conferisce alla cellula l’aspetto di un negativo fotografico (Figura 1.9). Se un mastocitoma è andato incontro a degranulazione durante o prima dell’aspirazione, una percentuale delle cellule potrebbe presentare una quantità di granuli relativamente scarsa. In genere, però, nella maggior parte delle cellule saranno comunque visibili alcuni granuli e alcune di esse rimarranno marcatamente granulate. Inoltre, sullo sfondo del vetrino può essere presente un alto numero di granuli liberi. Gli aspirati di mastocitomi

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degranulati possono presentare cellularità inferiore per via del risultante edema tissutale.13

Figura 1.9 Immagine di un mastocitoma. L’alta affinità dei granuli

citoplasmatici per la colorazione, rende i nuclei pallidi (frecce) e la cellula assume l’aspetto di un negativo fotografico. Da “Citologia ed ematologia del cane e del gatto”, 2009

Sullo sfondo possono essere presenti degli eosinofili, i quali però non sono predittivi del comportamento biologico. Occasionalmente, un aspirato di mastocitoma può presentare un numero predominante di eosinofili, con pochi mastociti. In questi casi, differenziare un mastocitoma da una risposta da ipersensibilità può risultare difficile.

In aggiunta ai mastociti tumorali e ai possibili eosinofili, molte preparazioni citologiche da mastocitomi cutanei mostrano anche un numero significativo di fibroblasti iperplastici. Rilievi istologici comuni sono la collagenolisi e la fibroplasia reattiva. I fibroblasti sono cellule mononucleate non granulate, grosse, da grossolanamente fusiformi a poligonali con grosso nucleo ovale centrale, disegno cromatinico uniforme, possibili nucleoli ben evidenti e una quantità da moderata ad abbondante di granuli citoplasmatici intensamente colorati di blu. Queste cellule sono spesso raccolte in densi raggruppamenti e possono essere erroneamente considerate una componente della popolazione mastocitaria neoplastica o un potenziale processo neoplastico secondario.. Se viene aspirata un’area di fibroplasia contenente molti fibroblasti iperplastici e

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16

pochi mastociti ben differenziati, è facile incorrere, erroneamente, anche in una diagnosi di tumore mesenchimale primario con infiltrazione mastocitaria. Raccogliere campioni da zone diverse della massa primaria aiuta a minimizzare questo rischio.13

Sebbene il grading del mastocitoma canino si basi sulla valutazione istologica, per la quale la stima del grado di invasione tissutale diventa criterio determinante, è possibile stabilire il grado di differenziazione delle cellule anche citologicamente. Inizialmente è stata valutata l’applicabilità sull’ago aspirato del sistema di classificazione di Kiupel, basato sul numero di mitosi, cellule multinucleate, nuclei di forma alterata e sulla presenza di cariomegalia; la correlazione riportata con il grading istologico è alta, con un’accuratezza del 94%.14

I criteri adottati dal sistema di classificazione di Kiupel sono stati recentemente impiegati per lo sviluppo di un nuovo schema di classificazione citologica. In particolare sono classificati di grado elevato i mastocitomi che presentano scarse granulazioni citoplasmatiche o che sono caratterizzati da due dei seguenti riscontri: figure mitotiche, cellule binucleate o multinucleate, pleomorfismo nucleare o un’anisocariosi maggiore del 50% (Figura 1.10).15

Figura 1.10 Aspirato di un mastocitoma scarsamente differenziato. Le cellule

contengono un basso numero di granuli citoplasmatici e mostrano marcata atipia, comprese significative variazioni nelle dimensioni cellulari, nucleari e nel rapporto nucleo/citoplasma. Da “Citologia ed ematologia del cane e del gatto”, 2009

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1.2.5 Stadiazione

Una volta eseguita la diagnosi, è necessario effettuare un’appropriata stadiazione per valutare l’estensione della malattia; oltre a possibili noduli cutanei satelliti, il mastocitoma può metastatizzare ai linfonodi drenanti, al fegato, alla milza e al midollo osseo.6

Una stadiazione completa dovrebbe comprendere un database minimo, con CBC (Complete Blood Count) e profilo biochimico, ago aspirato dei linfonodi drenanti ed un’ecografia addominale.1

È stato documentato che un basso numero di mastociti morfologicamente normali possano essere individuati nei linfonodi di soggetti sani; il loro numero può inoltre aumentare in caso di infezioni o ulcerazioni che sono talvolta osservate in pazienti affetti da mastocitoma. Questi fattori possono comportare quindi difficoltà nella valutazione citologica dei linfonodi; come regola generale, un mastocita solitario e sporadico non è indicativo di metastasi, al contrario invece dei cluster o degli aggregati. L’elevato numero dei mastociti, la presenza di anomalie morfologiche e l’alterazione dell’architettura del linfonodo all’istologia sono altri elementi suggestivi di malattia metastatica. Nel caso di un linfonodo citologicamente sospetto è necessaria una rimozione chirurgica con successivo esame istologico di conferma.1

L’ecografia addominale è un importante test diagnostico per la valutazione di cani con un mastocitoma potenzialmente aggressivo.6 Nel caso in cui milza e

fegato non abbiano anomalie ecografiche, è possibile eseguirne una valutazione citologica tramite ago aspirato, procedura consigliata soprattutto nel caso di mastocitomi con fattori prognostici negativi.16 Oltre alla palpazione digitale,

per la valutazione preoperatoria dell’estensione dei margini della neoplasia, può essere impiegata l’ecografia o la tomografia assiale computerizzata.17

In passato, un altro test impiegato per verificare una possibile malattia sistemica era l’esame dello striscio del buffy coat; dato che la mastocitosi periferica è segnalata anche in cani con malattie infiammatorie acute, traumi, neoplasie diverse dal mastocitoma e anemia rigenerativa, questa procedura non viene più eseguita.

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18

Infine, a differenza di altre neoplasie, la radiografia al torace non viene impiegata nella stadiazione del mastocitoma poiché le metastasi polmonari sono estremamente rare1.

1.2.6 Trattamento

Tra le diverse opzioni terapeutiche nel trattamento del mastocitoma, la scelta viene effettuata in base alla stadiazione clinica della malattia e alla presenza/assenza di fattori prognostici negativi.

Nei mastocitomi cutanei, se localizzati in un’area che può essere sottoposta ad un’ampia escissione e in assenza di metastasi, la chirurgia è il trattamento di prima scelta.1,6 Lo scopo è la resezione completa del tumore; dopo l’escissione,

ai fini della prognosi e per valutare l’impiego di trattamenti aggiuntivi, è necessario un esame istopatologico per valutare il grado istologico e l’assenza di cellule neoplastiche a livello dei margini.

I mastocitomi si diffondo oltre i margini visibili del tumore;18 storicamente era

raccomandato un margine laterale di 3 cm di tessuto sano attorno al tumore e un piano fasciale di profondità. Negli ultimi anni però è stato documentato che, in mastocitomi classificati di grado I e II secondo lo schema di valutazione di Patnaik, è sufficiente un margine laterale di 2 cm e un piano fasciale di profondità.18,19 In uno studio retrospettivo ancora più recente è stato riportato

che un margine laterale di almeno 1 cm e un margine profondo di almeno 4 mm sono sufficienti ad evitare una recidiva di mastocitomi di grado I e II, di dimensioni comprese tra i 2 e i 31 mm.20

Nel caso in cui la chirurgia escissionale non abbia avuto successo e i margini istologici siano incompleti, è possibile eseguire un secondo intervento con margini più ampi, oppure impiegare terapie adiuvanti.

Se la neoplasia è localizzata in un’area in cui è difficile ottenere margini chirurgici adeguati è possibile eseguire una biopsia per determinare il grado istologico, prima di impostare la terapia definitiva.

In caso di un mastocitoma di grado basso o intermedio, all’estremità distale di un arto e senza possibilità di una completa escissione, possono essere intraprese diverse procedure. La più aggressiva è sicuramente l’amputazione,

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la quale garantisce ampi margini a scapito però di un esito meno funzionale; per questo motivo generalmente vengono preferiti altri approcci. La seconda opzione consiste nella sola radioterapia, con controlli negativi nel 50% dei casi ad un anno di distanza da trattamenti con dosi tra 40 e 50 Gy.1 Questa viene

generalmente evitata come monoterapia nel caso di neoplasie voluminose, per un eventuale rischio di degranulazione dei mastociti indotta dalle radiazioni, con i relativi effetti sistemici; tumori più grandi hanno inoltre maggiore probabilità di contenere cloni di cellule tumorali ed aree di tessuto radio-resistenti, a causa di fattori micro ambientali come l’ipossia, rendendoli quindi più difficili da irradiare.6 La terza opzione impiega la chirurgia, per ridurre la

malattia allo stadio clinico 0, e poi la radioterapia; questa tecnica si è rivelata efficace nei tumori di grado basso o intermedio, con l’85-95% di controlli negativi a due anni di distanza. Quando il mastocitoma viene considerato ad elevato rischio di metastasi è possibile eseguire, in aggiunta, l’irradiazione dei linfonodi regionali risultati citologicamente negativi. In caso non sia possibile eseguire la radioterapia, un’ulteriore opzione è rappresentata dalla combinazione di chirurgia e chemioterapia.1

La chemioterapia può essere impiegata per prevenire la malattia metastatica o, se già esistente, per ritardarne la progressione. Il prednisolone è uno dei farmaci più impiegati: può inibire infatti la proliferazione dei mastociti, indurre in vitro l’apoptosi delle cellule tumorali, ridurre l’edema e l’infiammazione circostanti il tumore; se somministrato da solo, però risulta scarsamente efficace, rendendo necessaria l’associazione con altri farmaci. Esistono diversi protocolli chemioterapici, ma quello di prima linea è considerato il trattamento con prednisolone e vinblastina; quello secondario prevede l’impiego della lomustina, anche se in alcune terapie viene alternata con la vinblastina. Un altro protocollo che può essere impiegato è l’associazione tra prednisolone e clorambucile, mentre è in fase di studio la combinazione tra ciclofosfamide, vinblastina e prednisolone.

La scelta del farmaco da impiegare dovrebbe essere presa in considerazione della sua tosscità potenziale. La vinblastina è un forte irritante perivascolare, pertanto deve essere somministrata per via endovenosa; oltre ad una possibile

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tossicità a livello del tratto gastro-intestinale è un potenziale mielosoppressore, quindi, prima di intraprendere il trattamento, è necessario valutare il quadro ematologico del paziente. La lomustina invece è un potente mielosoppressore che causa un ritardo nel recupero maggiore rispetto agli altri farmaci; è anche epatotossica, quindi è necessario valutare eventuali citopenie e danni epatici.6

In aggiunta è possibile eseguire una terapia ausiliaria contro i possibili effetti dei mediatori rilasciati dai mastociti. Contro gli effetti dell’istamina possono essere somministrati dei bloccanti per i recettori H1, come la clorfenamina, e

H2, ad esempio la ranitidina; l’impiego dell’omeprazolo, un inibitore della

pompa protonica, può avere invece una maggiore efficacia nel caso di mastocitomi voluminosi.1

Recentemente sono stati introdotti gli inibitori tirosin-chinasici, una nuova classe di farmaci la cui via di somministrazione è quella orale. L’attività dei recettori chinasici si esplica che bloccano l’attività dei recettori tirosin-chinasici attraverso un’inibizione competitiva del legame con l’ATP. I principi attivi appartenenti a questa classe autorizzati per l’uso in medicina veterinaria sono il toceranib e il masitinib; alcuni studi hanno inoltre riportato l’efficacia dell’imatinib, una molecola destinata per ora al solo uso umano. L’efficacia del toceranib è stata dimostrata in mastocitomi ricorrenti di grado II o III con o senza metastasi linfonodale; gli effetti collaterali riportati comprendono leucopenia, dolore addominale e una possibile sintomatologia gastro-intestinale come vomito, melena, diarrea, inappetenza e perdita di peso. Il masitinib è stato studiato su mastocitomi di grado II o III, ricorrenti o non asportabili, senza metastasi linfonodali o viscerali; tra gli effetti collaterali più importanti è stato riscontrato mielosoppressione, nefropatia proteino-disperdente con successivo edema, possibile aumento di urea e creatinina e sintomatologia gastro-intestinale.

È stato infine preso in considerazione l’impiego degli inibitori tirosin-chinasici in associazione con la chemioterapia o la radioterapia, anche se ne deve ancora essere verificata la sicurezza e l’efficacia.1,6

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Indipendentemente dalla terapia scelta, per i mastocitomi di grado basso o intermedio, è consigliabile eseguire un follow-up per valutare eventuali recidive o metastasi, che comprenda un completo esame fisico e dei linfonodi regionali, dei citologici di qualunque nuova massa cutanea o dei linfonodi aumentati di volume; per i mastocitomi con fattori prognostici negativi dovrebbe essere inclusa un ecografia addominale, al fine di avere un quadro clinico più completo e approfondito.1

1.2.7 Fattori prognostici

I fattori con valore predittivo sul comportamento biologico del mastocitoma e sull’esito clinico nei cani affetti da questa neoplasia sono diversi.

 Razza

Generalmente i mastocitomi nelle razze derivate dal bulldog, anche se più frequenti, hanno un grado basso o intermedio, e quindi sono associati ad una prognosi più favorevole. In particolare nel Carlino è stata riportata la possibilità di sviluppo di mastocitomi multipli con comportamento benigno. Al contrario, nei cani di razza Shar-Pei, in particolare nei soggetti giovani, i mastocitomi tendono ad essere biologicamente più aggressivi.1,6

 Localizzazione

I mastocitomi a livello inguinale/prepuziale, sub ungueale e a livello mucocutaneo, come cavità orale e perineo, sono associati storicamente ad un comportamento più aggressivo; quelli che originano dai visceri addominali o dal midollo osseo sono solitamente associati ad una prognosi infausta; i mastocitomi localizzati nel sottocute hanno invece una prognosi favorevole, con un tempo di sopravvivenza elevato e un ridotto tasso di recidive e metastasi.1

 Aspetto del mastocitoma

Le caratteristiche del mastocitoma legate ad una prognosi peggiore sono la rapidità nell’insorgenza e nella crescita, la presenza di ulcere locali, eritema o prurito e la comparsa di segni sistemici o di recidive. È stato inoltre riportato che una maggiore densità microvascolare è associata ad un grado istologico più elevato e ad una maggiore invasività.

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Invece, una terapia aggressiva ma appropriata, eseguita al momento della prima presentazione piuttosto che alla comparsa di una recidiva, può migliorare la prognosi a lungo termine.1

 Stadiazione clinica

La World Health Organization ha redatto un sistema di stadiazione clinica che suddivide il mastocitoma in 5 stadi.

0 Un tumore non asportato completamente dal derma, identificato istologicamente, senza coinvolgimento linfonodale

a Senza segni sistemici b Con segni sistemici

I Un tumore confinato al derma, senza coinvolgimento linfonodale a Senza segni sistemici

b Con segni sistemici

II Un tumore confinato al derma, con coinvolgimento del linfonodo regionale

a Senza segni sistemici b Con segni sistemici

III Tumori cutanei multipli o tumore voluminoso infiltrante con o senza coinvolgimento del linfonodo

a Senza segni sistemici b Con segni sistemici

IV Qualunque tumore con metastasi a distanza, incluso il coinvolgimento del sangue e del midollo osseo

Gli stadi 0 e I hanno una prognosi migliore rispetto a quelli più alti. Tuttavia sono dibattuti gli effetti dei mastocitomi multipli sulla prognosi, dal momento che non è ancora chiaro se rappresentano un’atipica forma di metastasi o tumori indipendenti.1,27

 Istopatologia

Il grado istologico è considerato il fattore prognostico più importante ed affidabile. Sebbene siano riportati diversi sistemi di classificazione istologica basati sul grado di differenziazione, quello di Patnaik è quello più impiegato. Esso divide i mastocitomi in tre gradi.1

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- Grado I: caratterizzato da mastociti ben differenziati riuniti in piccoli gruppi separati da fibre di collagene maturo del derma: le cellule sono tonde, monomorfe, con ampio citoplasma e molte hanno granuli citoplasmatici di medie dimensioni e ben demarcati; i nuclei sono tondi e la cromatina condensata, con assenza di figure mitotiche; sono rilevati inoltre minime zone di edema e necrosi.

- Grado II: viene osservata una cellularità da media ad elevata; le cellule neoplastiche infiltrano lo strato inferiore del derma o il tessuto sottocutaneo, fino anche al muscolo scheletrico; esse sono moderatamente pleomorfe e riunite in gruppi con un sottile stroma fibrovascolare; i granuli citoplasmatici non sono sempre distinguibili, possono essere di dimensioni aumentate e ipercromatici; i nuclei sono tondi, la cromatina dispersa e sono riportate fino a due figure mitotiche per campo ad alto ingrandimento; sono evidenziate inoltre sporadiche cellule binucleate, mentre l’edema e la necrosi sono presenti in aree diffuse.

- Grado III: è presente un elevato grado di cellularità e pleomorfismo, con il tessuto neoplastico che sostituisce quello sottocutaneo; le cellule neoplastiche sono divise da uno spesso stroma fibrovascolare e presentano un citoplasma indistinto con granulazioni che possono essere fini o assenti; sono comuni le cellule binucleate e le figure mitotiche variano da 3 a 6 per campo ad alto ingrandimento; si osservano infine ampie aree di edema, emorragia e necrosi.21

L’applicazione uniforme della schema di Patnaik ha permesso di ridurre significativamente il disaccordo dei patologi veterinari sulla classificazione dei mastocitomi; non è riuscito tuttavia ad eliminarlo, a causa di alcuni parametri considerati soggettivi, come l’invasività, la cellularità e la morfologia cellulare.14,22 Recentemente è stata dunque introdotta la

classificazione di Kiupel, la quale divide i mastocitomi in alto e basso grado. In particolare i primi vengono considerati tali se presentano in dieci campi microscopici ad alto ingrandimento uno o più dei seguenti criteri: almeno sette figure mitotiche, almeno tre cellule multinucleate e almeno tre nuclei di forma alterata; un altro criterio considerato valido è la cariomegalia, la quale

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deve coinvolgere almeno il 10% delle cellule neoplastiche in almeno due campi microscopici. Eliminando l’ambiguità del grado intermedio, questo sistema alternativo si è dimostrato più efficace nell’individuare forme aggressive di mastocitoma.23

Indipendentemente dalla classificazione impiegata, è importante sottolineare come l’esame istologico non possa essere usato come solo fattore prognostico, ma debba essere associato agli altri indicatori.24

 Marker di proliferazione

I markers di proliferazione cellulare studiati per stabilire prognosi e risposta alla terapia sono la proteina Ki67, le AgNORs (argyrophilic nucleolar organizer regions), il PCNA (proliferating cell nuclear antigen) e l’indice mitotico. Tra questi, solo la proteina Ki67 e l’indice mitotico sono in grado di differenziare i tumori con prognosi peggiore indipendentemente dal grado istologico, al contrario invece delle AgNORs, le quali devono essere considerate insieme all’istologia; il PCNA rappresenta invece il marker meno affidabile. I primi tre markers sono evidenziabili tramite colorazioni immunoistochimiche, mentre per l’indice mitotico è sufficiente una colorazione ematossilina-eosina.6,2

 Mutazione del gene c-kit

Un elevato tasso di mutazione del gene c-kit nel mastocitoma canino, di causa ancora sconosciuta, è legato ad un maggiore rischio di recidiva, metastasi e prognosi peggiore.1,26

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CAPITOLO 2

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2.1 Ecografia

L’ecografia, termine che deriva dal greco echo (suono o tono) e graphein (scrivere), è una tecnica di diagnostica per immagini che impiega onde acustiche a elevata frequenza definite come ultrasuoni, con lo scopo di ottenere informazioni diagnostiche, morfologiche e funzionali sulle strutture corporee incontrate. Tale metodica viene considerata come esame di base o di filtro rispetto a procedure più complesse come TAC o risonanza magnetica; essa infatti è innocua, non invasiva, di costo contenuto e può essere eseguita facilmente; presenta inoltre un’elevata sensibilità e capacità di definizione nei confronti dei tessuti molli. L’ecografia non è tuttavia una tecnica esente da limiti: non può essere impiegata infatti per lo studio di ossa o dei polmoni, è operatore-dipendente e manca di risoluzione spaziale.

2.1.1Principi degli ultrasuoni

I suoni, o onde acustiche, sono onde oscillatorie meccaniche e, come tali, richiedono un mezzo di propagazione, sia esso solido, liquido o gassoso; essi infatti progrediscono solo tramite la compressione e la rarefazione ciclica della materia incontrata; la loro azione può essere descritta su un piano cartesiano, come una linea sinusoidale i cui i picchi positivi coincidono con la massima compressione e quelli negativi con la massima rarefazione. Gli ultrasuoni sono onde acustiche con frequenza superiore a 20000 Hz e quindi oltre la soglia di udibilità dell’orecchio umano; in particolare quelli impiegati a scopo diagnostico hanno una frequenza compresa tra i 2 e 10 MHz. Le onde oscillatorie sono caratterizzate da cinque grandezze.31

 La lunghezza d’onda è definita dalla distanza in metri percorsa da un’onda in un ciclo; in altre parole è la distanza tra due picchi di compressione o di rarefazione.

 La frequenza corrisponde al numero di oscillazioni compiute nell’unità di tempo ed è espressa in cicli per secondo o Hertz; è inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda e quindi alla capacità di penetrazione. Una frequenza elevata garantisce tuttavia una risoluzione migliore.

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 La velocità di propagazione è il prodotto tra la lunghezza d’onda e la frequenza e rappresenta la distanza percorsa dall’onda nell’unità di tempo (m/s).

 L’ampiezza è la massima variazione in altezza di un’oscillazione periodica. Essa misura il grado di compressione e rarefazione che subisce un tessuto al passaggio dell’ultrasuono, quindi un’ampiezza superiore determinerà una maggiore interazione con i tessuti attraversati: se l’ampiezza del fascio ultrasonoro è troppo alto, l’immagine avrà scarso contrasto e troppi echi; un’ampiezza troppo bassa invece comporterà scarsa penetrazione dei tessuti e risoluzione spaziale.

 Il periodo è il tempo che intercorre tra due fonti d’onda nello stesso punto.31

La propagazione degli ultrasuoni nei tessuti è influenzata dall’impedenza acustica; essa è definita come la resistenza intrinseca della materia a essere attraversata dagli ultrasuoni, ed è il prodotto tra la velocità di propagazione e la densità del mezzo incontrato; i punti di passaggio tra tessuti con impedenza acustica diversa sono chiamati interfacce.

Tutti i tessuti biologici sono caratterizzati da un’impedenza acustica leggermente diversa, ed è questo il principio su cui si basa l’ecografia. L’aria e l’osso sono gli unici due mezzi con valori notevolmente diversi rispetto agli altri: l’impedenza acustica dell’aria la rende facilmente attraversabile, ma gli artefatti che provoca non la rendono studiabile; l’osso invece è caratterizzato da un’impedenza acustica così elevata che il fascio ultrasonoro, una volta arrivato alla corticale, non riesce a procedere oltre; ciò permette di studiare la corticale ma non il resto del tessuto.31

2.1.2 Interazione degli ultrasuoni con la materia

Gli ultrasuoni interagiscono con la materia con diverse modalità.  Riflessione

Ogni volta che un fascio ultrasonoro incontra un’interfaccia viene in parte riflesso, secondo un angolo uguale a quello di incidenza, e in parte si propaga nei tessuti sottostanti. La percentuale degli ultrasuoni che viene riflessa è proporzionale alla differenza di impedenza acustica dei due tessuti.

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Tenendo presente che il trasduttore è anche strumento di ricezione dell’eco, più un fascio è perpendicolare all’interfaccia, tanto più è riflesso verso il trasduttore, il quale può raccogliere maggiori informazioni e fornire dunque un’immagine di qualità migliore.

 Rifrazione

Quando un fascio di ultrasuoni incontra un’interfaccia tra due tessuti con diversa velocità di propagazione, la parte che è trasmessa viene deviata rispetto alla direzione originale. Siccome la velocità di propagazione nei tessuti dell’organismo varia di poco, la rifrazione è un fenomeno generalmente poco importante ma, in condizioni particolari, può dare origine a degli artefatti.

 Diffusione

La diffusione avviene quando le interfacce sono inferiori alla lunghezza d’onda degli ultrasuoni; ognuna di queste interfacce si comporta come se fosse una nuova sorgente di ultrasuoni e contribuisce ad allargare la divergenza del fascio ultrasonoro, coinvolgendo superfici riflettenti che non siano perpendicolari alla direzione del fascio. Queste eco diffuse possono raggiungere il trasduttore e generare interferenza.

 Assorbimento

Quando il fascio ultrasonoro penetra in un tessuto perde energia, in forma di calore, secondo un coefficiente dia attenuazione che aumenta linearmente con la frequenza.

 Diffrazione

Il fascio di ultrasuoni che passa tangenzialmente a due mezzi con impedenza acustica diversa viene deviato dalla traiettoria originale verso il mezzo con impedenza acustica minore.32

2.1.3 Principi di funzionamento di un ecografo

Un ecografo essenzialmente è costituito da due componenti.  Sonda ecografica

La sonda ecografica è lo strumento deputato all’emissione e alla ricezione di fasci pulsati di ultrasuoni. Il suo funzionamento si basa sul principio fisico della trasduzione, per cui inizialmente gli impulsi elettrici vengono convertiti

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in meccanici e, una volta che ritornano alla sonda, vengono ritrasformati. In particolare la sonda emette ultrasuoni l’1% del tempo, mentre li riceve il 99%. La parte della sonda che entra in contatto con il paziente è costituita da una barra contente i cristalli piezoelettrici. Essi sono costituiti da molecole che formano un dipolo e, se posti in un campo elettrico, si dispongono in modo da orientarsi perpendicolarmente al campo stesso, per poi ritornare in posizione una volta cessata la tensione. Questo movimento repentino produce vibrazione e quindi gli ultrasuoni; una volta che gli echi riflessi ritornano alla sonda, le onde meccaniche vengono trasdotte in segnali elettrici vengono inviate al software del computer.

Le sonde sono differenziabili per la frequenza e la superficie di appoggio. - Le sonde lineari utilizzano più cristalli (64-200) posti linearmente ed

attivati a gruppi di 16-32; producono un’immagine di scansione rettangolare e hanno quindi il vantaggio di permettere la visualizzazione di ampie superfici, anche nelle zone vicine al punto di scansione; richiedono però un'ampia superficie di contatto con la cute rendendone difficile l'uso in pazienti di piccole dimensioni, anche se oggi in commercio vi sono delle sonde lineari di piccole dimensioni. Le sonde lineari richiedono una grande finestra acustica, ma forniscono immagini con una migliore risoluzione assiale e laterale, oltre ad avere un artefatto da campo superficiale moto ridotto.

- Nelle sonde settoriali i cristalli piezoelettrici sono disposti in modo da formare una superficie quadrata o rettangolare con una ridotta superficie di contatto; producono un’immagine di configurazione geometrica triangolare, per cui avrà dimensioni ridotte nell’area di contatto cute-sonda e una zona esplorabile più ampia in profondità. Al contrario delle sonde lineari richiedono una ridotta finestra acustica, ma hanno una scarsa risoluzione spaziale e laterale.

- Le sonde convex sono caratterizzate da cristalli piezoelettrici disposti in semicerchio; sono costituite come quelle lineari, ma forniscono un’immagine settoriale. Queste sono le sonde più versatili e forniscono un buon compromesso risoluzione/penetrazione; permettono infatti una maggiore

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larghezza del campo visivo in superficie rispetto alle settoriali e, grazie alla presenza di fuochi multipli, l’immagine viene focalizzata sia in superficie che in profondità.31

 Software

Il software del computer ha il compito di ricevere gli impulsi elettrici derivati dagli echi di ritorno rielaborati dalla sonda e di convertirli in immagini. Questo processo viene eseguito sulla base di cinque postulati.

1 La sonda emette un unico fascio di ultrasuoni

2 Gli ultrasuoni viaggiano sempre con una traiettoria rettilinea

3 Gli echi di ritorno originano da strutture poste sull’asse longitudinale del fascio ultrasonoro

4 La velocità degli ultrasuoni è costante (1540 m/s), quindi quelli ricevuti dal trasduttore tardivamente sono quelli riflessi da strutture più profonde 5 L’intensità dell’ultrasuono di ritorno è direttamente proporzionale alle

caratteristiche del tessuto riflettente

I primi tre definiscono la posizione degli echi sull’asse delle X, mentre il quarto sull’asse delle Y; il quinto infine definisce l’ecogenicità dell’ultrasuono riflesso.

Esistono essenzialmente tre modalità di elaborazione e rappresentazione dell’immagine ecografica.

- Nella A-mode (Amplitude mode), ormai impiegata solo in oftalmologia, gli echi sono riprodotti come dei picchi su una linea luminosa orizzontale detta Base; l’altezza dei picchi è proporzionale all’intensità delle onde riflesse. - La TM-mode (Time Motion mode), applicata in cardiologia, è una A-mode

arricchita del dato dinamico; ogni eco è rappresentato da un punto luminoso che ne determina la posizione e i punti si spostano orizzontalmente in relazione ai movimenti delle strutture; la luminosità del punto è proporzionale all’intensità dell’eco.

- La B-mode (Brightness mode) è la modalità più utilizzata e mostra un’immagine bidimensionale in cui ogni eco è rappresentato da un punto luminoso la cui tonalità di grigio è proporzionale all’intensità dell’eco.

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Se l’immagine viene aggiornata continuamente nel tempo si ottiene una rappresentazione B-mode real time, ovvero una successione di immagini fisse che si susseguono sullo schermo. La velocità con cui viene aggiornata l’immagine è definita dal frame-rate e tanto questo è alto, tanto il movimento della struttura sullo schermo è vicino alla realtà. Elevati frame rate sono necessari per studiare strutture che si muovono velocemente come il cuore, mentre se si valutano organi più “statici” come il fegato, si possono impiegare frame rate più bassi.31

2.1.4 Artefatti

Le immagini delle strutture e degli organi indagati equivalgono alla rappresentazione grafica delle interazioni tra ultrasuoni e tessuti organici, pertanto sono virtuali. In alcuni casi queste interazioni producono degli artefatti, ovvero aspetti dell’immagine ecografica che non corrispondono alla realtà anatomica della struttura esaminata, ma che sono causati dai limiti dell’ecografo o da interazioni particolari tra leggi della fisica acustica e tecnologia impiegata per sfruttarle nella diagnostica. Generalmente essi sono conseguenza delle caratteristiche strutturali dei tessuti esaminati e il loro riconoscimento consente una più corretta interpretazione dell’immagine.33

 Rinforzo acustico posteriore

Quando il fascio di ultrasuoni attraversa una struttura contenente del liquido, i tessuti posti distalmente a essa sono in parte mascherati da un eco di intensità superiore a quella proveniente da tessuti alla stessa profondità. I liquidi infatti sono caratterizzati da una ridotta impedenza acustica; la porzione del fascio che li attraversa quindi viene attenuata in minor misura rispetto a quella che non li ha intercettati; i tessuti posti distalmente alla raccolta vengono di conseguenza raggiunti da un fascio di energia superiore ed appaiono più ecogeni.

Questo artefatto è molto utile in fase diagnostica per differenziare strutture a contenuto liquido da quelle solide.

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 Ombra acustica posteriore o cono d’ombra

Se un fascio di ultrasuoni incontra un’interfaccia tra due strutture con elevata differenza di impedenza acustica, distalmente a essa viene visualizzata un’area completamente anecogena, la quale ha la stessa lunghezza dell’interfaccia ed è definita come cono d’ombra o ombra acustica posteriore. Questo artefatto si verifica generalmente quando il fascio di ultrasuoni incontra gas, strutture mineralizzate o di altra natura, come ad esempio un corpo estraneo intestinale.

 Ombra acustica laterale

Questo artefatto si verifica ai margini di strutture con impedenza acustica notevolmente diversa rispetto a quella dei tessuti circostanti. Quando il fascio di ultrasuoni attraversa tali strutture, la porzione che le incontra tangenzialmente, a causa della diffrazione, vengono deviate dal proprio percorso, in particolare assumono una direzione convergente o divergente. Distalmente al punto di origine di questa diffrazione non ci sono più ultrasuoni diretti linearmente verso gli strati più profondi; non viene prodotto quindi un eco riflesso e si genera un cono d’ombra che, a differenza del precedente, non sarà caratterizzato da un’interfaccia prossimale iperecogena.  Riverbero

Il riverbero è uno scambio ripetuto di riflessioni fra il trasduttore e un’interfaccia posta ad una profondità non superiore alla metà di quella di tutta la scansione; essa deve essere di spessore limitato, con una differenza di impedenza acustica elevata, ma non totalmente riflettente.

Gli echi in parte vengono riflessi dall’interfaccia prossimale e in parte proseguono fino all’interfaccia distale, la quale produce a sua volta echi di ritorno. Questi intercettano l’interfaccia prossimale; una porzione la sorpassa arrivando al trasduttore e un’altra viene nuovamente riflessa verso l’interfaccia distale; questo rimbalzo prosegue fino a quando non si esaurisce l’energia del fascio.

Ogni volta che l’eco rimbalza tra le due interfacce si produce un ritardo del suo ritorno verso la sonda, il quale è interpretato come un segnale proveniente da una profondità maggiore; questo si traduce in una serie di

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linee che si estendono in profondità, parallele ed equidistanti tra loro, con un’ecogenicità decrescente per la progressiva attenuazione del fascio.

Questo artefatto si verifica in diverse situazioni. Nel caso di bolla gassosa di piccole dimensioni, ridotte strutture mineralizzate o metalliche, per la tipica immagine che produce, il riverbero è definito come ring-down artifact o comet-tail.

 Effetto specchio

Questo artefatto si verifica nel caso un’interfaccia altamente riflettente, posta distalmente nel campo di scansione, non incontri il fascio ultrasonoro in modo perpendicolare. Si verificano infatti una serie di riflessioni multiple del fascio tra l’interfaccia e la struttura in esame posta a ridosso di essa. Questo comporta un ritardo nel ritorno degli ultrasuoni alla sonda; il software interpreta gli echi riflessi più volte come provenienti da strutture più profonde e quindi riproduce un’ ulteriore immagine oltre all’interfaccia, con caratteristiche speculari alla struttura reale.

 Artefatto del lobo laterale

Il trasduttore, oltre quello principale, emette altri fasci ultrasonori, denominati lobi secondari o laterali. Essi si propagano in direzioni diverse e, se intercettano interfacce altamente riflettenti, producono un eco che, una volta al trasduttore, si sovrappone all’immagine generata dal fascio principale, portando a una minore risoluzione.

 Artefatto dello spessore del fascio

Questo artefatto produce effetti significativi se viene esplorata una raccolta liquida. Se le porzioni più marginali dello spessore del fascio ultrasonoro vengono indirizzate all’esterno della struttura in esame, producono degli echi che vengono rappresentati all’interno della cavità, dando l’impressione della presenza di un sedimento ecogeno nel lume, definito come pseudosedimento.32

2.2 Ecografia Doppler

2.2.1 Effetto Doppler

Gli ultrasuoni riflessi da un oggetto statico hanno un’energia inferiore rispetto a quelli inviati, ma mantengono la stessa lunghezza d’onda e frequenza. Al

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contrario, quelli riflessi da un oggetto in movimento sono caratterizzati dal “Doppler shift”, una variazione di frequenza dovuta all’effetto Doppler. In particolare, se un ricevitore si avvicina ad una fonte sonora, gli echi riflessi hanno una maggiore frequenza; se invece si allontana, la frequenza sarà inferiore.

fd = V x 2(f0) x cosα

C fd = doppler shift

V = velocità del ricevente o del flusso sanguigno

f0 = frequenza trasmessa dell’ultrasuono emesso dalla sonda

cosα = angolo di incidenza tra fascio e ricevente C = velocità del suono nei tessuti

Tenendo presente che la velocità di propagazione dell’ultrasuono nei tessuti è mediamente 1540 m/s, le variabili da cui dipende il doppler shift sono V, f0 e

cosα. È necessario sottolineare l’importanza dell’angolo α. La stima della velocità del flusso ematico, infatti, è tanto più attendibile quanto migliore è l’allineamento tra vaso e fascio incidente, visto che il coseno di un angolo di 0° equivale a 1. Se invece il fascio è perpendicolare al vaso, la velocità del flusso ematico stimata non attendibile, dal momento che il coseno di 90° è 0; non si hanno sostanzialmente moti di avvicinamento o di allontanamento rispetto alla sorgente di emissione.

Il doppler shift è nell’ordine dei chilohertz, quindi udibile dall’orecchio umano, ed è trasformato in suono. È possibile inoltre visualizzare il doppler shift con pixel colorati sovrapposti all’immagine: color doppler e power doppler sono visualizzati in questo modo.

In medicina, il principale riflettore utilizzato per l’analisi doppler è costituito dalla massa dei globuli rossi in movimento all’interno del sistema vascolare. Se il sangue è diretto verso la sonda, la frequenza degli ultrasuoni riflessi è maggiore di quella degli ultrasuoni trasmessi dalla sonda; se invece il flusso ematico si allontana dalla sonda, la frequenza degli echi di ritorno è inferiore a quella delle onde inviate.31

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2.2.2 Tecniche doppler  Color doppler

Questa tecnica produce una mappa di colore correlata al doppler shift, sovrapposta ad un’immagine bidimensionale. Identifica la presenza e la direzione di un flusso sanguigno all’interno di un’area selezionata ed è in grado di fornire generiche informazioni che non sono numericamente quantificabili, ma solo soggettivamente valutabili. Per convenzione gli echi riflessi da un flusso sanguigno in avvicinamento alla sonda sono rappresentati da pixel color rosso. Gli echi riflessi da un flusso sanguigno in allontanamento rispetto alla sonda sono rappresentati come pixel color blu. Una scala cromatica posta sullo schermo a lato dell’immagine ecografica indica le velocità associabili ad ogni tonalità di colore.

Nel Color doppler un grosso limite è dato dal rumore di fondo determinato dal movimento delle strutture comprese nell’area indagata; questo è accentuato in medicina veterinaria dove spesso la collaborazione del paziente è limitata.  Power doppler

Mentre il Color doppler utilizza solo le informazioni derivanti dalla velocità media dei globuli rossi, senza però indicare quanti di questi siano dotati di tale velocità, il Power doppler mostra sullo schermo la quantità di globuli rossi in movimento nell’area di scansione, senza però segnalarne la velocità. La rappresentazione è solitamente monocromatica, e fa coincidere il colore più chiaro con la maggiore quantità e viceversa.

 Doppler continuo

È un sistema che continuamente emette e riceve i ultrasuoni; per ottenere questo risultato il trasduttore funziona contemporaneamente per metà in emissione e metà in ricezione. L’impulso è inviato continuamente, permettendo di misurare velocità di flusso molto elevate, come nei vasi arteriosi in prossimità del cuore. Considerando il suo funzionamento, il limite di questa tecnica risiede nell’incapacità di identificare la velocità o la direzione di uno specifico vaso all’interno del piano di scansione; tutti i flussi presenti su un prescelto piano di scansione concorrono infatti alla formazione

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del segnale doppler, il quale è costituito da una media della velocità e della direzione dei flussi.

 Doppler pulsato

In questo sistema lo stesso trasduttore viene utilizzato alternativamente in emissione e ricezione. Al contrario del precedente, il Doppler pulsato è in grado di fornire informazioni sulla velocità e direzione di un flusso localizzato in un punto specifico pre-selezionato. Può però misurare solo flussi di bassa portata, per cui non è adatto alla cardiologia.31

2.2.3 Artefatti delle tecniche doppler  Blooming

Questo artefatto è caratterizzato da pixel cromatici che sembrano estendersi oltre i limiti del vaso e può essere eliminato. Esso è dovuto al rinforzo della parete profonda e può essere eliminato regolando la potenza di trasmissione o il rumore colore.

 Aliasing

Il Doppler pulsato e il Color Doppler si possono misurare velocità di flusso ridotte per evitare il fenomeno dell’aliasing. Questo si verifica quando la frequenza campionata è più alta della metà della frequenza di emissione degli impulsi; per tal motivo l'immagine viene rappresentata come diretta in senso inverso rispetto alla direzione reale. Per esempio il flusso sanguigno verrà codificato con un colore contrario alla direzione del flusso rispetto alla sonda.  Artefatto a specchio

L’artefatto a specchio si genera quando un vaso è situato a ridosso di un’interfaccia altamente riflettente, venendo rappresentato con un’immagine speculare posteriormente all’interfaccia stessa. Esso si basa sul medesimo principio descritto per la B-mode.

 Rumore casuale

Se il guadagno viene del Color Doppler viene regolato a livelli troppo elevati, le variazioni random di misurazione dell’intensità degli echi possono causare un riempimento artefattuale di strutture prive di segnale. Questo si

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manifesta più spesso in strutture ipoecogene, ma anche ogni volta che avviene un movimento reciproco sonda tessuto.

 Twinkle artifact

Questo artefatto si osserva posteriormente ad interfacce di ridotte dimensioni fortemente riflettenti. Si manifesta con un mosaico fluttuante di colori simile ad uno scintillio ed asscociato ad un segnale spettrale caratteristico con un aspetto di rumore di fondo. Il twinkle artifact è dunque utile nella diagnosi di litiasi e calcificazioni in genere.

 Edge artifact

Questo artefatto si manifesta comunemente a livello di superfici fortemente riflettenti con un segnale colore a mosaico lungo la rima della struttura.  Artefatto da incidenza multi angolare del fascio ultrasonoro

Se il fascio ultrasonoro incontra il vaso con diverse angolazioni porterà a variazioni di frequenze notevoli; in particolare, nei punti dove l’angolo è 90° il coseno è 0 per cui non verrà registrato nessun segnale.31

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CAPITOLO 3

L’ecografia nella stadiazione del

mastocitoma

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