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Trattamenti ricostruttivi nei tumori del cuoio capelluto : metodiche a confronto

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Academic year: 2021

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SCUOLA DI MEDICINA

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale - Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica - Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in

Medicina e Chirurgia

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN MEDICINA E

CHIRURGIA

“Trattamenti ricostruttivi nei tumori del cuoio

capelluto: metodiche a confronto”

RELATORE

Chiar.mo Dott. Fulvio Lorenzetti

CANDIDATO

Alessandro Bicchi

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Ringrazio il Dottor Lorenzetti per la disponibiltà ed il sostegno e tutto il reparto di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva dell’Ospedale Santa Chiara di Pisa.

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SOMMARIO

Nell’introduzione di questo lavoro di tesi abbiamo parlato di come la ricostruzione dello scalpo e del cuoio capelluto in seguito a perdita di sostanza rimanga una sfida per i chirurghi plastici e sia un settore in continua evoluzione.

Nonostante siano state descritte numerose tecniche chirurgiche e algoritmi decisionali, la ricostruzione ideale si basa su un’attenta valutazione di ogni singolo caso clinico e si prefigge di raggiungere i migliori risultati in termini di funzionalità ed estetica danneggiando il meno possibile il sito donatore.

Nella prima parte si analizzano i tumori dello scalpo fornendo una visione generale della letteratura attuale, mostrando così un quadro complessivo sulle conoscenze a nostra disposizione sull’argomento.

È stata descritta l’anatomia dello scalpo considerando le sue componenti a partire dalle ossa fino agli strati che compongono l’intero spessore del cuoio capelluto e si sono analizzati i tumori principali che colpiscono questa regione: il Carcinoma Spinocellulare, il Carcinoma Basocellulare e il Melanoma specificando, per ognuno di essi, i principali fattori di rischio, le varianti istologiche e le migliori opzioni terapeutiche.

In ultimo sono state descritte le opzioni chirurgiche che è possibile adottare per una ricostruzione dello scalpo a seguito di una perdita di sostanza analizzando e dividendo per classificazione le procedure di innesto e lembo.

Ci siamo soffermati sul cambiamento che acquisisce un tessuto trasposto a lembo (procedura che garantisce il miglior risultato estetico), diventando più omogeneo e simile alla regione che va a ricoprire e abbiamo spiegato i meccanismi fisiopatologici alla base di questo fenomeno.

Nella seconda sezione di questa tesi ci si prefigge un razionale, si definiscono materiali e metodi dello studio e, infine, si ottengono dei risultati che portano ad

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Gennaio 2011 al Dicembre 2017) di esperienza nella ricostruzione delle perdite di sostanza del cuoio capelluto a seguito di exeresi tumorale mediante le varie tecniche chirurgiche a disposizione. Si vuole inoltre considerare la Chirurgia Plastica come parte integrante del trattamento globale dei tumori dimostrando che, tramite gli interventi di exeresi totale della neoplasia e ricostruzione con la tecnica più adeguata al singolo caso, la recidiva tumorale si abbassa ed è in accordo con i dati della letteratura.

Per quanto riguarda l’utilizzo di materiali e metodi, lo studio si propone di analizzare retrospettivamente 90 pazienti che, tra Gennaio 2011 e Dicembre 2017, sono stati sottoposti a ricostruzione dello scalpo. Sono stati inclusi solo pazienti con diagnosi di Carcinoma Spinocellulare, Basocellulare e Melanoma e ne sono stati valutati i seguenti parametri: età, sesso, tipo di tumore, localizzazione e dimensione della lesione, stato generale del paziente (comorbidità come fumo, diabete, ipertensione arteriosa, scompenso cardiaco), tecnica di ricostruzione impiegata, tempo operatorio e eventuale recidiva tumorale.

Abbiamo potuto osservare che, tra i 90 pazienti, 74 erano maschi con un rapporto M:F di 4:1, l’età media era 72.3 ± 4.2 anni, il Carcinoma basocellulare il tumore più rappresentato coinvolgendo il 46,7% dei pazienti, seguito dal Carcinoma Spinocellulare con il 36,6% e dal Melanoma con il 16,7%. L’ innesto è stato realizzato in 43 pazienti, il lembo locale in 38 ed il lembo libero nei restanti 9. I tempi operatori medi variano dai 38 minuti dell’innesto, all’ ora e 33 minuti per il lembo locale arrivando alle 4 ore e 06 minuti per il lembo a distanza.

I pazienti sono stati dunque divisi in tre coorti che rappresentassero gli individui sottoposti alle diverse tipologie di intervento. Grazie all’analisi statistica abbiamo verificato come le tre coorti di pazienti non differissero in maniera statisticamente significativa riguardo a età media, comorbidità e sesso.

Anche le complicanze, sia intraoperatorie che precoci, sono state sovrapponibili per ciascuna tecnica. Nessun paziente, infatti, è andato incontro a complicanze

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intraoperatorie mentre 4 casi di innesto (il 9,3% dei 43 innesti), 3 casi di lembo locale (il 7,8% dei lembi locali) e 1 caso di lembo a distanza (l’11% dei lembi a distanza) sono andati incontro a necrosi parziale, tutti prontamente trattati con debridement e reinnesto. È importante sottolineare come non si siano verificate complicanze come ematomi, infezioni e trombosi (queste soprattutto nei lembi liberi).

Le recidive tumorali osservate sono state tre nel gruppo ricostruito tramite innesto, tre nel gruppo in cui si è utilizzato un lembo locale e una tra i pazienti sottoposti a lembo libero. Non sembrerebbe esservi una differenza statisticamente significativa fra i tre gruppi di pazienti in termini di recidiva tumorale con una p di 0,9 calcolata con il test del Chi-quadro; inoltre, il tasso percentuale di recidiva tumorale medio, è conforme ai dati riportati in letteratura a riguardo.

Il risultato dimostra che la Chirurgia Plastica Ricostruttiva è parte integrante del trattamento oncologico di queste neoplasie.

Possiamo affermare che la tipologia di intervento viene decisa soprattutto in base a parametri locali come l’estensione della lesione o il coinvolgimento del pericranio o il risultato estetico che si vuole e si può ottenere: in secondo luogo si valutano i parametri di salute generali tenendo presente che, ciascun tipo di intervento, ha come fine ultimo la radicalità dell’escissione e i risultati a tal proposito sono equivalenti.

Date queste considerazioni, è evidente quanto sia centrale il ruolo della prevenzione per realizzare interventi più semplici, meno invasivi e di pari efficacia e quanto sia essenziale lo scambio di informazioni e di tecniche procedurali tra Chirurghi Plastici Ricostruttivi, Oncologi, Dermatologi e Medici di Medicina Generale che spesso per primi hanno il sospetto clinico di diagnosi. Infine è essenziale valutare i risultati che si ottengono e verificare continuamente la validità delle tecniche usate.

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INDICE

PARTE PRIMA 10

I. INTRODUZIONE 10

II. ANATOMIA DELLO SCALPO 12

2.1 RICHIAMI ANATOMICI OSTEO-MUSCOLARI 12

2.1.1 Scheletro del neurocranio 13

2.1.2 I muscoli 18

2.2 RICHIAMI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA DELLA CUTE 20

2.2.1 La circolazione ematica 23 2.2.2 La circolazione linfatica 24 2.2.3 L’innervazione cutanea 24

2.3 GLI STRATI DELLO SCALPO 25

2.3.1 Vascolarizzazione e Linfatici 28

2.3.2 Innervazione 31

III. TUMORI CUTANEI 32

3.1 IL CARCINOMA BASOCELLULARE 32

3.1.1 Fattori di rischio 32 3.1.2 Anatomia patologica 35 3.1.3 Fattori prognostici 37 3.1.4 Algoritmo di terapia per carcinoma basocellulare 37

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3.2.1 Dati epidemiologici 40 3.2.2 Genetica 40 3.2.3 Eziopatologia 41 3.2.4 Fattori di rischio 41 3.2.5 Diagnosi 42 3.2.6 Fattori prognostici 43 3.2.7 Grading patologico del melanoma 46 3.2.8 Trattamento della malattia iniziale 46

3.3 IL CARCINOMA SPINOCELLULARE 48

3.3.1 Epidemiologia 48

3.3.2 Fattori di rischio 49

3.3.3 Eziopatogenesi 50

3.3.4 Presentazione clinica e Diagnosi 51 3.3.5 Varianti patologiche del cSCC 51

3.3.6 Trattamento 52

IV. PRINCIPI DI CHIRURGIA RICOSTRUTTIVA 54

4.1 GLI INNESTI 54

4.2 I LEMBI 58

4.2.1 I lembi in chirurgia plastica 59 4.2.2 Classificazione dei lembi 61 4.2.3 Vascolarizzazione 62 4.2.4 Sede di origine 72

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4.2.5 Forma 73

4.2.6 Movimento 73

4.2.7 Peduncolo 74

4.2.8 Tessuto 75

4.3 Il PRINCIPIO DEGLI ANGIOSOMI 76

4.4 LA SCALA RICOSTRUTTIVA 84

V. CHIRURGIA RICOSTRUTTIVA DELLO SCALPO 86

5.1 CONSIDERAZIONI PREOPERATORIE 86

5.2 OPZIONI CHIRURGICHE 87

5.2.1 Innesto cutaneo 87 5.2.2 Lembi di cuoio capelluto 87 5.2.3 Lembi a distanza 91

5.3 CONSIDERAZIONI POST OPERATORIE 94

PARTE SECONDA 96

VI. RAZIONALE E OBIETTIVI DELLO STUDIO 96

VII. MATERIALI E METODI 97

7. 1 MATERIALI 97

7.1.1 Disegno della popolazione 97 7.1.2 Descrizione della popolazione 99

7.2 METODI 103

7.3 ANALISI STATISTICA 106

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IX. DISCUSSIONE 109

X. ICONOGRAFIA DEI CASI CLINICI 113

XI. CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE 121

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PARTE PRIMA

I. INTRODUZIONE

La ricostruzione dello scalpo e del cuoio capelluto in seguito a perdita di sostanza rimane una sfida per i chirurghi plastici ed è un settore in continua evoluzione. È necessario considerare le caratteristiche anatomiche peculiari di tale regione come l’inelasticità, l’aderenza alla galea aponeurotica sottostante, la convessità e la presenza di capelli.

Nonostante siano state descritte numerose tecniche chirurgiche e algoritmi decisionali, la ricostruzione ideale si basa su un’attenta valutazione di ogni singolo caso clinico e si prefigge di raggiungere i migliori risultati in termini di funzionalità ed estetica danneggiando il meno possibile il sito donatore.

La Chirurgia Ricostruttiva, intesa come miglior opzione terapeutica in seguito a perdite di sostanza dovute ad exeresi tumorale, garantisce una significativa riduzione della mortalità e morbilità nei pazienti affetti da tali patologie.

La Chirurgia Plastica Ricostruttiva dello scalpo come dell’intero segmento cefalico si trova spesso ad affrontare lesioni di taglia e dimensione variabile e, di conseguenza, diverse tecniche con vari gradi di difficoltà possono essere applicate per riparare un dato difetto.

Gli innesti e i lembi locali di cuoio capelluto riparano efficientemente i difetti minori o che non comprendono l’esposizione delle strutture vitali, mentre le perdite di sostanza estese e che coinvolgono strutture come muscoli, ossa, dura madre o vasi sanguigni richiedono tecniche più complesse come lembi a distanza- peduncolati o liberi.

Lo sviluppo delle tecniche microchirurgiche ha senza dubbio contribuito a rendere la Chirurgia Plastica Ricostruttiva elemento centrale nel trattamento dei tumori cutanei in questa sede, rendendo possibile un’exeresi tumorale completa e la conseguente ricostruzione anche per le perdite di sostanza più estese.

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In questo studio abbiamo valutato l’impatto dei vari tipi di intervento chirurgico sulla recidiva tumorale in 90 pazienti sottoposti a ricostruzione del cuoio capelluto in seguito ad asportazione tumorale.

Prima di illustrare i metodi e i materiali dello studio ci soffermeremo sui presupposti anatomici e patologici essenziali per capire le tecniche chirurgiche. In seguito, dopo aver illustrato alcuni principi anatomofunzionali della chirurgia degli innesti e dei lembi, verrà fornita una panoramica sulle strategie ricostruttive dello scalpo, descrivendo i lembi più frequentemente utilizzati in questa sede. Alla fine verranno analizzati i risultati ottenuti in termini di recidiva tumorale sul totale dei pazienti e nelle singole popolazioni sottoposte a ciascun tipo di intervento per verificare che ogni tecnica, se eseguita opportunamente, abbia risultati equiparabili in termini di radicalità.

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II. ANATOMIA DELLO SCALPO

La presenza di capelli fa dello scalpo un’entità anatomica che si estende fino al contorno della convessità cranica, delimitata in avanti dalla fronte, lateralmente dai padiglioni auricolari e dietro dalla linea di interzione dei capelli sulla nuca. La sua superficie è stimata intorno ai 600/700 cm2 e la sua forma è simile a quella di

un parallelepipedo con apice sferico in quanto ricalca quella del cranio sottostante.

2.1 RICHIAMI ANATOMICI OSTEO-MUSCOLARI

Il cranio è l'insieme delle ossa che formano la testa dello scheletro umano ed è composto da due regioni: il neurocranio e lo splancnocranio . 1 2

Figura n. 1: Sezione sagittale del cranio-Prometheus, Atlante di Anatomia Umana, Utet 2006

Nel neurocranio vi sono otto ossa che vanno a comporre sia la volta cranica, in cui risiedono l'encefalo e alcuni organi di senso, che la base del cranio, il quale svolge una funzione di supporto per la suddetta volta cranica. Tra le ossa del neurocranio alcune sono pari ed altre impari.

Lo splancnocranio è costituito da quattordici ossa che vanno a formare la faccia, le cavità nasali, le cavità orbitarie ed infine, la bocca. Nello splancnocranio ci sono gli elementi ossei pari e impari.

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Il compito delle ossa del cranio è quello di preservare sia le varie strutture encefaliche (cervello, diencefalo, cervelletto e tronco encefalico) che gli organi di senso compresi nella volta cranica.

Il neurocranio e lo splancnocranio comprendono in tutto ventidue ossa (è necessario tenere presente che la suddetta somma considera le ossa pari come due ossa distinte anche se, in alcuni testi di anatomia, le ossa pari valgono come un osso soltanto, il che riduce di molto il numero totale degli elementi ossei).

2.1.1 Scheletro del neurocranio

Le otto ossa che compongono il neurocranio sono: l'osso frontale, le due ossa temporali, le due ossa parietali, l'osso sfenoide, l'osso etmoide e l'osso occipitale. Quelle che costituiscono la regione dello scalpo sono quelle del neurocranio, in particolare l’osso frontale, il parietale, il temporale, l’occipitale e lo sfenoide.

Osso Frontale

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L’osso frontale è l'osso impari della fronte; appartenente alla categoria delle ossa piatte, ha una forma che ricorda quella di una ciotola. Si colloca al di sopra delle ossa nasali e mascellari, anteriormente alle due ossa parietali.

Nell'osso frontale si individuano tre porzioni: la porzione squamosa, quella orbitale e quella nasale. La porzione squamosa è quella con la superficie maggiore delle tre e corrisponde all'area che, comunemente, viene chiamata fronte. La porzione orbitale è un'area orizzontale che contribuisce alla formazione delle cavità orbitarie (la sede degli occhi) e di quelle nasali. La porzione nasale è la più piccola delle tre regioni e si articola con l'osso nasale e il processo frontale della mascella.


L'osso frontale si articola con le ossa parietali tramite la sutura coronale, con la piccola e la grande ala dello sfenoide, l'osso lacrimale e con la lamina papiracea dell'etmoide, al confine con la sua faccia infraorbitale; con il processo frontale dell'osso mascellare e con le ossa nasali immediatamente sotto la glabella e con il processo frontale dell'osso zigomatico.

Osso Parietale

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L’osso parietale è l'osso pari che costituisce la regione latero-superiore del neurocranio. Confinante anteriormente con l’osso frontale (bordo frontale), inferiormente con parte dell'osso sfenoide e l'osso temporale (bordo squamoso), posteriormente con l’osso occipitale (bordo occipitale) e superiormente con l'altro osso parietale (bordo sagittale), appartiene alla categoria delle ossa piatte ed ha la forma di un quadrilatero avente la superficie interna concava ed esterna convessa. Sul lato esterno, presenta il cosiddetto foro parietale attraverso cui passano nervi e vasi sanguigni.

Sul lato interno ha sede il solco entro cui prende posto l'arteria meningea media.

Osso Temporale

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Figura n. 4: Osso Temporale- Anatomia del Gray. Anatomia del Gray. Le basi anatomiche per la pratica

clinica. Elsevier 2009

L’osso temporale è un osso pari e piatto; costituisce la regione latero-inferiore del neurocranio; è adiacente all'osso occipitale posteriormente, all'osso parietale superiormente e a quello sfenoide,anteriormente.

Gli anatomisti vi individuano cinque porzioni: la porzione squamosa (parte squamosa), quella mastoidea, quella petrosa (o parte petrosa), quella timpanica e quella stiloidea.

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Internamente presenta e preserva sia gli organi dell'udito (i tre ossicini: martello, incudine e staffa) che uno dei due lobi temporali del cervello propriamente detto. Nella parte inferiore vi è una concavità chiamata “fossa glenoidea” la quale ospita il condilo della mandibola (o condilo mandibolare) e, assieme a questo elemento, forma l’articolazione temporomandibolare, unico elemento del cranio ad essere dotato di un’elevata mobilità.

L'osso temporale costituisce, inoltre, un punto di transito sia per alcuni nervi cranici che per alcuni importanti vasi sanguigni arteriosi e venosi dell'encefalo.

Osso Occipitale

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Figura n. 5: Osso Occipitale- Anatomia del Gray. Anatomia del Gray. Le basi anatomiche per la pratica clinica. Elsevier 2009

L’osso occipitale, appartenente alla categoria delle ossa impari e piatte, presenta una forma similare a quella di un piattino ed ha sede nella parte postero-inferiore del neurocranio. Nella parte superiore confina con le ossa parietali, in quella altero-anteriore con le ossa temporali e in quella anteriore con l’osso sfenoide. L’osso occipitale si articola con l’atlante, la prima vertebra della colonna vertebrale e mette in comunicazione la cavità cranica con il canale vertebrale

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attraverso un foramen magnum, apertura chiamata “foro occipitale”. L’osso occipitale si articola tramite suture con tre ossa del cranio, e tramite condiloartrosi con le masse apofisarie dell'atlante.

• Anteriormente congiunge la sua parte di clivo con quella dell'osso sfenoide tramite una sinostosi. Più lateralmente si articola con l'osso temporale formando il margine petromastoideo: la parte petrosa di tale margine contribuisce alla formazione del foro giugulare (o foro lacero posteriore)

• Posteriormente l'occipitale si unisce ai due parietali tramite la sutura lambdoidea, trovando apice nel lambda.

Osso Sfenoide

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Figura n..6: Osso Sfenoide- Anatomia del Gray. Anatomia del Gray. Le basi anatomiche per la pratica clinica. Elsevier 2009

L'osso sfenoide è un osso del neurocranio, impari e mediano; si trova in mezzo al cranio (se questo viene osservato frontalmente), di fronte all'osso temporale e alla parte basilare dell'osso occipitale; la sua forma ricorda una farfalla poiché presenta un corpo centrale e due regioni laterali molto simili a delle ali.

Questo osso partecipa alla formazione delle cavità orbitarie e delle cavità nasali e possiede una depressione chiamata “sella turcica” (morfologicamente è, infatti, simile ad una sella) avente la funzione di ospitare e proteggere l'ipofisi.


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L'osso sfenoide si articola con numerose ossa del cranio (frontale, parietale, occipitale, etmoide, temporale, zigomatico, mascellare, palatino e vomere) e delinea un importante punto d'unione tra gli elementi ossei del neurocranio e gli elementi ossei dello splancnocranio.

2.1.2 I muscoli

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Figura n. 7: Muscoli di volto e scalpo- Anatomia del Gray. Anatomia del Gray. Le basi anatomiche per la pratica clinica. Elsevier 2009

La Regione Epicranica ospita un solo muscolo mimico chiamato epicranico e che può essere diviso in tre regioni:

• La regione anteriore, chiamata anche “Regione Frontale dell’Epicranico", accoglie la parte anteriore dell'Epicranico.

• Questo muscolo si estende dalla parte intermedia dell’ epicranio in avanti per arrivare ad inserirsi in profondità nella cute in corrispondenza della glabella sul sopracciglio e sulla parte superiore del dorso del naso, dove i suoi fasci prendono il nome di muscolo procero il quale, contraendosi, porta avanti il cuoio capelluto e corruga la fronte.

• La regione intermedia è formata da una lamina fibrosa chiamata aponeurosi

epicranica o Galea Capitis. Quest’ultima è una lamina quadrilatera che

garantisce anteriormente l’unione della parte frontale dell’epicranico, lateralmente si unisce ai muscoli auricolari superiori e, posteriormente si

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continua con la parte posteriore dell'epicranico. La faccia superiore è collegata alla cute attraverso dei fasci fibrosi che attraversano lo strato sottocutaneo e la sua faccia inferiore è separata dal periosteo del cranio (pericranio) dallo strato sottocutaneo.

• La Regione Posteriore, denominata parte occipitale dell'epicranico, (si unisce anteriormente all’aponeurosi epicranica e si estende inferiormente e medianamente andandosi ad inserire lateralmente sulla linea nucale superiore e, in parte, sul processo mastoideo dell’osso temporale). Generalmente si dà come punto d'inserzione d'origine l'osso occipitale e, come inserzione terminale, la galea aponeurosa (o aponevrotica). In termini semplici il muscolo mimico "epicranico" viene suddiviso in epicranico occipitale (porzione posteriore del cranio) ed epicranico frontale (porzione anteriore del neurocranio, porzione supero-anteriore dello splenocranio).

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2.2 RICHIAMI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA DELLA CUTE

L’apparato tegumentario è formato dalla cute e dal connettivo sottocutaneo. La cute, con i relativi annessi (unghie, peli, capelli, ghiandole sudoripare e sebacee), ricopre tutta la superficie esterna del corpo ed è in continuità con le mucose delle vie respiratorie, digerente e urogenitale in corrispondenza dei relativi orifizi. È presente anche sulle pareti del meato uditivo esterno e sulla superficie laterale del timpano, in contiguità con la congiuntiva delle palpebre e con la mucosa dei condotti lacrimali. La sua estensione è, in media, di 13.000-20.000 centimetri quadrati nell’adulto e di 2.500 centimetri quadrati nel neonato.

Il connettivo sottocutaneo è interposto tra la cute e la fascia comune del corpo. La cute rappresenta l’organo principale di protezione del corpo e alcune delle sue funzioni quali la termoregolazione, l’attività secretiva, escretiva e l’attività di assorbimento sono fondamentali per l’omeostasi interna.

La funzione sensoriale del tatto, consentita dalla presenza delle numerosissime terminazioni nervose, conferisce al tegumento un ruolo determinante nella vita di relazione e assieme alle altre forme di sensibilità partecipa alle reazioni di difesa e di protezione.

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Il manto cutaneo è costituito dall’epidermide e dal derma: il primo è uno strato superficiale mentre il secondo è profondo e sono separati dalla lamina basale. L’epidermide, derivante dall’ectoderma e con uno spessore medio di 0,2 mm, fa parte degli epiteli pavimentosi composti e comprende cinque strati cellulari:

• Lo strato germinativo o basale, costituito da molti strati di cellule cilindriche (chiamate cheratinociti ed uniche in grado di riprodursi), giace sulla lamina basale e presenta un'intensa attività rigenerativa. Le cellule di nuova generazione impiegano sulle precedenti una spinta verso la superficie e nel progressivo procedere verso l’esterno sono soggette a trasformazioni: perdendo il nucleo, si arricchiscono di cheratina (processo di cheratinizzazione) e,

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gradualmente, contribuiscono a formare lo strato corneo che dona alla cute la sua funzione protettiva. Le cellule epiteliali, alla fine della loro metamorfosi, si sfaldano e cadono per desquamazione. Il ciclo ha una durata compresa tra le due e le quattro settimane. Tra le cellule germinali vi sono i melanociti responsabili della produzione di melanina, il pigmento in grado di conferire il colore scuro alla pelle che viene esposta alla luce solare ed avente il compito di proteggerla dagli effetti nocivi delle radiazioni ultraviolette.

• Lo strato spinoso o malpighiano prende il nome dalle caratteristiche delle proprie cellule che presentano delle spine e sono di aspetto poliedrico nucleate con citoplasma ben rappresentato.

• Lo strato granuloso è caratterizzato dalla presenza di granuli di citoplasma delle cellule che lo compongono (in questo strato le cellule esauriscono il loro ciclo vitale).

• Lo strato lucido, così chiamato per la presenza di un composto traslucido (eleidina) dal quale si forma la cheratina, si trova solo nella pelle del palmo della mano e della pianta del piede.

• Lo strato corneo è costituito da cellule morte trasformate in accumuli di una proteina idrorepellente chiamata cheratina. Queste formazioni si sfaldano continuamente (desquamazione).

Nell’epidermide si trovano le terminazioni nervose della sensibilità tattile e dolorifica.

Il derma è costituito da una robusta lamina di tessuto connettivo denso e vascolarizzato avente uno spessore medio di 1 mm che varia da 0,3mm nelle palpebre a 2,5 mm nella nuca e nella pianta dei piedi. Possiede una superficie irregolare a causa della presenza delle papille dermiche e, all’interno, si divide in due porzioni:

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• Lo strato papillare, più superficiale, chiamato in questo modo per la presenza di papille che si ingranano nell’epidermide, ospita i vasi capillari che vanno a formare le anse.

• Lo strato reticolare, più profondo e con struttura più compatta, ha la funzione di impalcatura.

Il derma è costituito da tre componenti:

• La componente fibrosa, formata da fibre di collagene resistenti alla trazione e da fibre elastiche (elastina) che danno alla pelle un costante stato di tensione. • La componente cellulare, costituita da fibroblasti, mastociti (sintetizzanti, istamina, eparina e acido ialuronico) e cellule ematiche immunitarie.

• La sostanza fondamentale, un composto colloidale che riempie gli spazi tra le cellule e le fibre, è costituita da mucopolisaccaridi fra cui l’acido ialuronico, deputato alla regolazione dell’idratazione.

L’impalcatura è costituita dallo strato reticolare il quale è formato da fasci fibrosi maggiori, paralleli alla superficie e attraversati in senso obliquo da moltissimi fasci minori e perpendicolari, questi ultimi provenienti da retinacoli del connettivo sottocutaneo. Tutti i fasci fibrosi sono prevalentemente costituiti da fibre collagene e, in maniera minore, da fibre elastiche in quantità variabile a seconda delle diverse zone del corpo e destinate a modificarsi con l’età. Le papille dermiche si impegnano nella sovrastante epidermide: la parte più periferica è costituita da una fitta rete di connettivo fibroso e la parte centrale presenta una rete fibrosa molto più lassa che accoglie i vasi, i corpuscoli e le terminazioni nervose della sensibilità tattile e dolorifica, raggiungendo l’epidermide. Sotto al derma si trova l'ipoderma o connettivo sottocutaneo che, composto da tessuto adiposo, riveste il corpo e può essere più o meno sviluppato a seconda del soggetto. Il tessuto adiposo è una riserva di materiali nutritivi e, impedendo la dispersione del calore dal corpo assume la funzione di isolante.

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Nella pelle si trovano gli annessi cutanei: unghie, peli, ghiandole sudoripare e ghiandole sebacee. Le ghiandole sudoripare producono il sudore, liquido formato dal 90% di acqua, da cloruro di sodio e tracce di urea. Queste ghiandole aiutano i reni nella funzione depuratrice (emuntorio renale) e svolgono un’importante funzione termoregolatrice poiché capaci di regolare la distribuzione del calore nel corpo favorendo, con l'evaporazione del sudore, la dispersione di calore. Le ghiandole sebacee producono il sebo, sostanza grassa che mantiene morbida la superficie cutanea isolandola termicamente. I peli sono formati da cheratina e prendono origine dal derma, dove traggono il loro nutrimento; i capelli, invece, sono peli alquanto differenziati che proteggono il capo dalle escursioni termiche.

2.2.1 La circolazione ematica

Nel derma sono presenti due grandi plessi vascolari costituiti da arteriole e venule che decorrono parallele alla superficie cutanea e che si localizzano al limite tra il derma papillare e reticolare (plesso superficiale), e tra derma reticolare e sottocutaneo (plesso profondo). Il plesso superficiale si continua con quello periannessiale. Vasi sanguigni comunicanti orientati perpendicolarmente alla superficie connettono il plesso superficiale a quello profondo.

Il sangue giunge alla cute tramite tronchi arteriosi decorrenti già a livello del piano fasciale, comune a cute e muscolo. Dal plesso fasciale salgono poi verso il derma, strato in cui le arteriole si suddividono in rami che decorrono parallelamente alla superficie cutanea anastomizzandosi per formare il plesso profondo. Da questo plesso si diramano ulteriormente andando sia ad irrorare la porzione profonda dei follicoli piliferi ed i glomeruli sudoripari sia fornendo arteriole ascendenti che in prossimità del derma sub-papillare si ramificano orizzontalmente a formare il plesso superficiale.

L’epidermide non essendo dotata di propri vasi, è invece nutrita per osmosi o trasudazione degli elementi nutritivi dal tessuto vicino. Tale plesso irrora sia le

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porzioni superiori degli annessi cutanei sia le papille dermiche tramite le anse capillari.

Analogamente a quanto avviene per la circolazione arteriosa, anche il sistema venosa consta di due plessi discendenti sub-papillari che si continuano in venule di calibro crescente che raggiungono infine i piani fasciali.

2.2.2 La circolazione linfatica

La circolazione linfatica è costituita da vasi linfatici contenenti valvole che drenano la linfa verso i collettori dello strato reticolare del derma e da qui alle vene provenienti dalla cute. Il decorso è parallelo a quello della circolazione sanguigna.

2.2.3 L’innervazione cutanea

Attraverso la cute è possibile, in ogni momento, ricevere una miriade di informazioni sensoriali che, raccolte da migliaia di recettori disseminati per tutta la sua estensione, vengono trasmesse attraverso una fitta rete nervosa fino alla corteccia.

Gli stimoli tattili e dolorifici sono raccolti a livello dell’epidermide dalle terminazioni libere e dai dischi tattili di Merkel. Gli stimoli termici sono raccolti da recettori localizzati nel derma: sono i corpuscoli di Ruffini e i bulbi di Krause. In questo strato sono presenti anche i corpuscoli di Meissner che interessno il tatto. Gli stimoli pressori vanno infine ad agire su altri recettori, i corpuscoli di Golgi- Mazzoni e i Corpuscoli di Pacini che hanno sede nell’ipoderma.

(25)

2.3 GLI STRATI DELLO SCALPO

Gli strati che compongono lo scalpo sono frequentemente descritti dall’acronimo 3

che ne facilita la memorizzazione “SCALP”. Questo sta per Skin (cute), subCoutaneous tissue (tessuto sottocutaneo), galea Aponeurotica, tessuto connettivo Lasso e Pericranio.

Lo scalpo contiene il più spesso tegumento del corpo, che varia da 3 a 8 mm di profondità . 4 5

I vasi sanguigni, il sistema linfatico e i nervi corrono superficialmente alla galea aponeurotica nel tessuto sottocutaneo. Questa è una considerazione importante quando si pianificano i lembi locali, dal momento che sollevare un lembo superficiale alla galea può danneggiare la vascolarità del lembo.

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Figura n. 8: strati dello scalpo: dissezione cadaverica che mostra (a cute e sottocute; (b) fascia temporoparietale con arteria temporale superficiale;(c) strato superficiale della fascia temporale profonda; (d)strato profondo della fascia parietale profonda con cuscinetto di grasso temporale profondo; e (e)muscolo temporale. Da Scalp reconstruction ,Raj Dedhia and Quang Luu..

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Figura n. 9 :Strati dello scalpo e della regione TemporoParietale. SMAS indica il sistemamuscolare aponeurotico superficiale; STA, la arteria temporale superficiale. Scalp Reconstruction An Algorithmic Approach and Systematic Review Shaun C. Desai, MD; Jordan P. Sand, MD; Jeffrey D. Sharon, MD; Gregory Branham, MD; Brian Nussenbaum, MD

La galea aponeurotica fornisce forza al tegumento sovrastante e si fonde con le altre diverse strutture dello scalpo.

La galea si continua anteriormente con la fascia del muscolo temporale, posteriormente con la fascia del muscolo occipitale, e lateralmente con la fascia temporoparietale. Dal vertice del capo andando caudalmente, la galea è massimamente rappresentata e la pelle è spessa e inelastica. Mentre dove i bordi della galea si fondono nella fascia temporoparietale e nella fascia della muscolatura dello scalpo, la cute ha migliore mobilità e può essere maneggiata con più facilità.

E’ anche importante notare che la galea si fonde anche con il pericranio sulla linea temporale nella regione frontale laterale . 6

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Questo è un punto chiave per la ricostruzione perché molti lembi locali cercano di mobilizzare lo scalpo da quelle regioni e ciò può richiedere di tagliare gli attacchi legamentosi nella localizzazione del sito donatore . 7

Al di sotto della galea c’è un tessuto connettivo lasso responsabile della mobilità della cute dello scalpo sovrastante. Questo strato è conosciuto come fascia sottogaleale, fascia innominata, o fascia sottoaponeurotica . I lembi dello scalpo 8 9

sono spesso sollevati nel contesto di questo strato perché è facile da sezionare e le strutture neurovascolari critiche rimangono così superficiali ed illese.

Il periostio del cranio è strettamente aderente al cranio ed è lo strato più profondo dei tessuti molli dello scalpo. Questo strato è di solito mantenuto intatto durante la ricostruzione dello scalpo e può servire come superficie vascolarizzata per gli innesti. Non infrequentemente, comunque, il difetto dello scalpo può includere l’assenza del pericranio. Il pericranio è molto importante per mantenere l’apporto di sangue alle ossa del cranio sottostanti.

L’anatomia della regione temporale è più complessa del resto dello scalpo e merita maggiore attenzione. Sopra la linea temporale o l’inserzione superiore del muscolo temporale, gli strati dello scalpo sono come descritti fin qui. Subito al di sotto dell’inserzione del muscolo temporale, la cute, il grasso sottocutaneo e la galea rimangono gli stessi. Però procedendo inferiormente la galea si trasforma nella fascia temporoparietale. Questa fascia è attaccata ai tessuti sottocutanei e si continua con la fascia del muscolo frontale anteriormente ed il sistema aponeurotico superficiale inferiormente. Questo strato fornisce la motilità delle aree libere dello scalpo.

La branca temporale del nervo facciale e l’arteria temporale superficiale sono collocate all’interno della fascia temporoparietale . 10

Al di sotto della fascia temporoparietale c’è del tessuto connettivo lasso che la separa dalla fascia temporale del muscolo temporale. Questa fascia temporale si divide in uno strato superficiale e uno profondo attorno al cuscinetto superficiale di grasso temporale, qualche centimetro al di sopra dell’arcata zigomatica.

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Sebbene originati come strati distinti, lo strato superficiale della fascia temporale profonda, la fascia temporoparietale ed il periostio si fondono a formare un singolo denso ed immobile strato a livello dell’arcata zigomatica. È a questo livello che la branca frontale del nervo facciale è più vulnerabile, mentre decorre sopra al terzo medio dell’arcata zigomatica per innervare i muscoli frontale e corrugatore dalla loro superficie interna.

La sezione di quest’area, come quando si eleva un lembo dello scalpo emicoronale o bicoronale, è di solito eseguita nel piano profondo dello strato superficiale della fascia temporale profonda, così da prevenire danni al nervo facciale . 11

2.3.1 Vascolarizzazione e Linfatici

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Figura n. 10: apporto ematico allo scalpo-Prometheus, Atlante di Anatomia Umana, Utet 2006

Lo scalpo è altamente vascolarizzato e la vascolarizzazione deriva da arterie cutanee che nascono da quattro sistemi separati, da entrambe le arterie carotidi esterne ed interne . Questi vasi decorrono nel sottocute superficialmente alla 12

(29)

Nel derma sono presenti due grandi plessi vascolari costituiti da arteriole e venule che decorrono parallele alla superficie cutanea e che si localizzano al limite tra il derma papillare e reticolare (plesso superficiale), e tra derma reticolare e sottocutaneo (plesso profondo). Il plesso superficiale si continua con quello periannessiale. Vasi sanguigni comunicanti orientati perpendicolarmente alla superficie connettono il plesso superficiale a quello profondo.

Il sangue giunge alla cute tramite tronchi arteriosi decorrenti già a livello del piano fasciale, comune a cute e muscolo. Dal plesso fasciale salgono poi verso il derma, strato in cui le arteriole si suddividono in rami che decorrono parallelamente alla superficie cutanea anastomizzandosi per formare il plesso profondo. Da questo plesso si diramano ulteriormente andando sia ad irrorare la porzione profonda dei follicoli piliferi ed i glomeruli sudoripari sia fornendo arteriole ascendenti che in prossimità del derma sub-papillare si ramificano orizzontalmente a formare il plesso superficiale.

L’epidermide non essendo dotata di propri vasi, è invece nutrita per osmosi o trasudazione degli elementi nutritivi dal tessuto vicino. Tale plesso irrora sia le porzioni superiori degli annessi cutanei sia le papille dermiche tramite le anse capillari.

Analogamente a quanto avviene per la circolazione arteriosa, anche il sistema venosa consta di due plessi discendenti sub-papillari che si continuano in venule di calibro crescente che raggiungono infine i piani fasciali.

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Figura n. 11: Anastomosi e piano di passaggio dei vasi: 1 cute, 2 ipoderma, 3fascia superficiale, 4 galea, 5 spazio di Meckel, 6 pericranio, 7 diploe della volta cranica, 8 vasi portati dalla galea, 9 anastomosi, 10 plesso sottodermico- Chirugia delle perdite di sostanza del cuoio capelluto, P. Lafaurie.

(30)

Anteriormente lo scalpo è vascolarizzato dall’arteria sopraorbitaria e sopratrocleare che originano dall’arteria oftalmica del sistema della carotide interna.

Lo scalpo laterale o temporoparietale è più grande ed è alimentato dall’arteria temporale superficiale, ramo terminale dell’arteria carotide esterna.

Una volta che quest’arteria raggiunge l’elice superiore dell’orecchio si divide in una branca anteriore-frontale e una posteriore-parietale. L’apporto vascolare alla regione posteriore dello scalpo varia in base alla linea nucale. Superiormente l’apporto è fornito dalle arterie occipitali, inferiormente da rami muscolocutanei perforanti che passano attraverso il trapezio ed il muscolo splenio del capo . 13

L’area posterolaterale relativamente piccola è vascolarizzata dall’arteria auricolare posteriore, ramo della carotide esterna.

Le vene del cuoio capelluto sono liberamente anastomose tra loro e sono collegate alle vene diploiche delle ossa del cranio e dei seni durali intracranici attraverso varie vene emissari. Le vene emissarie sono senza valvole. Le vene del cuoio capelluto, che sono le seguenti, accompagnano le arterie e hanno nomi simili:

• Vasi sopratrocleari e sopraorbitali: poste nella regione anteriore del cuoio capelluto; queste due vene si uniscono per formare la vena angolare alla regione angolare mediale dell'occhio e continuano ulteriormente nella vena facciale.

• Vena temporale superficiale: discende di fronte alla guancia ed entra nella ghiandola parotidea; si unisce alla vena mascellare per formare la vena retromandibolare, la cui divisione anteriore si unisce alla vena facciale per formare la vena comune del viso, che poi scende nella vena giugulare interna. • Vena auricolare posteriore: unisce la divisione posteriore della vena retromandibolare per formare la vena giugulare esterna.

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•Vena occipitale: termina nel plesso venoso suboccipitale, che si trova sotto il pavimento della parte superiore del triangolo posteriore.

Il drenaggio linfatico dello scalpo è anch’esso localizzato nello strato sottocutaneo e tipicamente ricalca il drenaggio venoso. Comunque le neoplasie cutanee maligne dello scalpo possono avere pattern di diffusione molto variabili, come mostrato dagli studi di linfoscintigrafia per la biopsia del linfonodo sentinella in seguito a melanoma. Questi studi dimostrano come il drenaggio linfatico può essere trovato nei linfonodi parotidei, retroauricolari, suboccipitali, posteriori cervicali . 14 15

2.3.2 Innervazione

L’innervazione dello scalpo è fornita dal nervo trigeminale, dai nervi spinali cervicali, e dai rami dal plesso cervicale. Il nervo sopraorbitale e sovratrocleare innervano la cute di fronte, la regione anteriore del cuoio capelluto e lo scalpo frontoparietale.

Il nervo zigomaticotemporale fornisce sensibilità alle regioni laterali della fronte, Il nervo auricolotemporale alla maggior parte delle regioni laterali dello scalpo. Posteriormente la sensibilità e fornita dal nervo grande e piccolo occipitale. Questi nervi sono formati dai rami dorsali dei nervi spinali cervicali e dal plesso cervicale.

Il nervo grande occipitale tipicamente emerge dal muscolo semispinale circa 3 cm al di sotto la protuberanza occipitale e 1.5 cm lateralmente alla linea mediana . 16

(32)

III. TUMORI CUTANEI

3.1 IL CARCINOMA BASOCELLULARE

Il carcinoma basocellulare è un tumore della pelle a malignità prevalentemente 17

locale e raramente metastatizzante (0.05-0.1% dei casi); colpisce prevalentemente persone di età superiore ai quaranta anni in regioni del corpo cronicamente esposte al sole e, in particolare, sul volto. Il carcinoma basocellulare rappresenta il 15% di tutte le neoplasie ed è un grande problema di salute pubblica in quanto neoplasia maligna con incidenza maggiore: in Italia l’incidenza è di circa 100 casi ogni 100.000 abitanti. La terapia elettiva del carcinoma basocellulare è quella dell’escissione chirurgica radicale ma in casi selezionati, ad esempio forme recidivate o inoperabili, può essere indicata la radioterapia. Nei casi di carcinoma basocellulare in stadio localmente avanzato per i quali non si ritiene appropriato procedere con un intervento chirurgico o radioterapia, e nelle forme metastatiche, è disponibile il vismodegib, una terapia medica sistemica a bersaglio molecolare.

3.1.1 Fattori di rischio

Il principale fattore di rischio del carcinoma basocellulare è la radiazione solare e, in particolare, i raggi ultravioletti (UV).

Numerosi studi epidemiologici hanno rivelato che l’incidenza del carcinoma basocellulare è nettamente inferiore in popolazioni di pelle scura o che ricevono una bassa esposizione ai raggi UV. Un recente studio australiano, l’analisi comparata dell’incidenza di carcinomi cutanei tra Australia e regioni a bassa esposizione UV come la Scandinavia, evidenziava che la percentuale di casi di

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epitelioma attribuibili alla radiazione UV fosse pressoché del 100% mentre, per quanto riguarda il melanoma, tale percentuale fosse inferiore (63%) . 18

Tale neoplasia è più frequente in persone con cute a fenotipo chiaro, fototipi bassi, esposte cronicamente alle radiazioni UV. In molti soggetti, per motivi lavorativi, l’esposizione ai raggi UV può essere intensa e continuativa; in questi casi si parla di patologia occupazionale.

La correlazione tra carcinoma basocellulare e UV è confermata dalla prevalente localizzazione in sedi corporee cronicamente esposte al sole -come la regione testa-collo- e dall’aumento di incidenza della neoplasia con l’età. I dati epidemiologici evidenziano come la dose di UV ricevuta in età infantile e giovanile rappresenti un importante fattore di rischio per il successivo sviluppo di carcinoma basocellulare . È comunque necessario considerare che, nonostante la 19

maggior parte dei basaliomi abbia lesioni molecolari sicuramente riferibili a UV, questo non è vero in tutti i casi in cui possiamo invece sospettare mutazioni da altra causa . Oltre alla radiazione UV, una ristretta percentuale di carcinomi 20

basocellulari può essere imputabile ad altri agenti causali come l’immunosoppressione e, in minor misura, l’esposizione a radiazioni ionizzanti o arsenico.

Il ruolo decisivo svolto dai raggi UV nell’evoluzione della patologia rende importante lo sviluppo di strategie di prevenzione e di adeguata fotoprotezione e fotoesposizione.

Numerosi studi epidemiologi caso-controllo o di coorte hanno analizzato gli effetti derivati dall’impiego di creme di protezione solare sullo sviluppo di neoplasie cutanee, con risultati tuttavia discordanti.

Nella review di Burnett et al del 2011 l’analisi dei dati della letteratura evidenziava che l’impiego di creme con protezione solare riducesse l’incidenza del carcinoma spinocellulare, non determina una significativa riduzione dei valori

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di vitamina D e non comporta conseguenze sfavorevoli per la salute dell’individuo . L’impiego regolare e corretto delle creme di protezione solare si è 21

anche dimostrato efficace nel ridurre l’incidenza delle cheratosi attiniche, noto marker di danno cronico foto-indotto . 22

Uno studio australiano ha calcolato la frazione di carcinomi cutanei che potrebbe 23

essere prevenuta tramite una regolare applicazione di creme di protezione solare, ottenendo valori pari al 14% per il melanoma e 9,3% per il carcinoma spinocellulare, senza riportare tuttavia dati riguardo al carcinoma basocellulare. Lo studio Nambour, è l’unico studio randomizzato che si è proposto di valutare l’impatto delle creme di protezione solare sul rischio di sviluppare carcinomi cutanei sia basocellulare sia spinocellulare. Lo studio si è svolto assegnando 1383 persone a quattro gruppi aventi diverse indicazioni: applicazioni quotidiane di crema con protezione solare fattore 15 più supplementazione con betacarotene; crema di protezione più placebo in compresse; solo betacarotene o solo placebo. L’end-point era costituito dall’incidenza di carcinomi dopo 4,5 anni di follow-up. I risultati non riscontravano alcuna differenza né nell’incidenza né nel numero di carcinomi basocellulari nei vari gruppi, documentando solo una significativa riduzione del numero di carcinomi spinocellulari nel gruppo di pazienti che applicavano la crema di protezione solare . Secondo una analisi ad un follow-up 24

maggiore , emergeva un trend verso un aumento del tempo tra lo sviluppo del 25

primo carcinoma basocellulare ed il successivo, nel gruppo trattato con creme di protezione. A conferma del ruolo degli UV nella tumorigenesi del carcinoma basocellulare, è stato dimostrato che l’uso frequente dei lettini solari moltiplica quattro volte il rischio di basaliomi ed è il principale responsabile dei basaliomi in soggetti di età inferiore ai 40 anni . 26

Le difficoltà nel condurre tali studi e ottenere risultati adeguati sono dovute a vari fattori tra cui il tempo necessario per valutare in maniera adeguata la possibilità di insorgenza di tali neoplasie, la presenza di potenziali fattori di confondimento, le difficoltà nel misurare l’intensità della radiazione solare e nel definire l’impiego delle creme di protezione solare.

(35)

3.1.2 Anatomia patologica

Il carcinoma basocellulare (CB) può presentare aspetti istopatologici molto diversi che identificano differenti varianti definite anche in base alla crescita, all’architettura e al tipo di differenziazione. La variante nodulare o nodulo-cistica, quella superficiale, la variante adenoide, morfeiforme, infiltrativa, cheratosica e pigmentata sono le più comuni. Wade et al. descrissero 26 varianti (sottotipi) di 27

tale tumore.

Non è infrequente osservare combinazioni di queste varianti commiste o associate presenti nel 40% dei basaliomi.

Il tipo di crescita e l’architettura sono di particolare importanza nel definire il rischio di invasione locale con conseguente possibile recidiva identificando due gruppi di CB a bassa e ad alta malignità (Tab 1).

(36)

Varianti a bassa malignità (a crescita indolente)

• Il CB nodulo-cistico è la variante più comune (60-80% dei casi) costituita da lobuli di cellule basaloidi con disposizione a palizzata ai margini, spesso associato stroma fibromixoide, aree cistiche con o senza mucina, aree adenoidi/pseudoghiandolari o neuroidi. La superficie cutanea può essere ulcerata e le mitosi sono variabili, possono essere presenti numerosi melanociti (differenziazione divergente) e pigmento melanico nello stroma. • Il CB superficiale è caratterizzato da lobuli che si estendono superficialmente dallo strato basale dell’epidermide nel derma superficiale con uno spessore inferiore a 1 mm. Lo stroma presenta fibrosi, neovascolarizzazione e infiltrati linfoidi con aspetti lichenoidi; l’ulcerazione è infrequente.

• Il CB fibroepiteliale (fibroepitelioma di Pinkus) si caratterizza per una rete irregolare di cordoni di cellule basaloidi che si estendono dall’epidermide e circondano aree di stroma fibrovascolare creando un aspetto fenestrato.

• Il CB cheratosico (pilare) con cisti cornee, aggregati di cellule para- cheratosiche con citoplasmi eosinofili e talora differenziazione follicolare. • Il CB adenoide con crescita reticolata e simil-ghiandolare con spazi che possono contenere materiale amorfo, granulare, simil-colloide o fibro- mixoide.

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Varianti ad alta malignità (a crescita aggressiva):

• Il CB infiltrativo è caratterizzato da una proliferazione irregolare scarsamente delimitata e da contorni sfrangiati, si estende ampiamente al derma reticolare e al sottocute associata a stroma fibroso; l’invasione perineurale è spesso presente.

• Il CB morfeiforme (sclerosante) presenta cordoni di cellule basaloidi di uno o due strati associati ad una componente stromale prevalente. Spesso è presente invasione perineurale.

• Il CB micronodulare presenta caratteri morfologici simili al CB nodulare ma i focolai neoplastici che infiltrano il derma reticolare e il sottocute, sono molto più piccoli (< 0,15 mm di diametro o con nidi con meno di 25 cellule).Lo stroma è mixoide o fibroso. Può essere presente invasione perineurale.

• Il CB basosquamoso (metatipico) è caratterizzato da una componente squamocellulare maligna associata. E’associato ad un rischio più elevato di invasione perineurale, vascolare e anche di metastasi.

3.1.3 Fattori prognostici

• Infiltrazione in profondità (derma reticolare e sottocute) • CB di dimensioni superiori a 10 cm di diametro (CB giganti) • Recidive multiple

• Invasione perineurale e vascolare

• Margini di resezione < a 1 mm dal limite più vicino del tumore • Bassa espressione di bcl-2

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L’asportazione chirurgica è il primo trattamento da considerare per tutti i casi di carcinoma basocellulare, tuttavia, in base alla presenza di specifici fattori, si possono individuare gruppi prognostici in cui possono essere considerate opzioni di terapia differenti.

In particolare i fattori prognostici sono costituiti da:

•Dimensione del tumore (maggiori dimensioni implicano un maggior rischio di recidiva)

•Sede del tumore (le zone ad alto rischio includono il naso e le aree peri- orifiziali del viso, le zone a rischio intermedio sono costituite dalla fronte, guance, mento, cuoio capelluto e collo, le zone a basso rischio gli arti e il tronco)

• Definizione dei margini (lesioni con margini scarsamente differenziabili clinicamente sono a maggior rischio)

• Tipo istologico (forme aggressive includono la varietà morfeiforme, quella infiltrante e le forme metatipiche) o aspetti istologici aggressivi (invasione perineurale)

• Recidiva dopo precedenti trattamenti

• Immunosoppressione: ruolo prognostico non completamente definito.

• In base alla distribuzione di tali fattori prognostici, ogni lesione può essere classificata come a maggiore o minore rischio.

Nelle forme a basso rischio, se la presentazione clinica è a tipo BCC superficiale, oltre all’asportazione chirurgica, potranno essere considerate opzioni di terapia topica non invasiva come imiquimod o la PDT. Qualora invece la presentazione clinica è di tipo nodulare, devono essere considerati l’asportazione chirurgica o, eventualmente, il curettage. Per le forme a rischio intermedio o alto, l’opzione di scelta è sempre chirurgica eventualmente con tecnica di Mohs. Per le forme recidivanti analogamente l’opzione resta quella chirurgica. Vi sono altri fattori da tenere in considerazione nel processo decisionale per il trattamento del carcinoma

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basocellulare: l’età, le comorbidità ed il numero delle lesioni presenti. In pazienti con lesioni multiple (anche nell’ambito quindi della sindrome di Gorlin-Goltz), si potrà procedere a asportazione chirurgica della o delle lesioni a maggior rischio, trattando invece quelle a basso rischio almeno in prima linea in maniera più conservativa per evitare sequele chirurgiche più severe in presenza di asportazioni multiple.


(40)

3.2 IL MELANOMA 3.2.1 Dati epidemiologici

Pressoché l’85% dei melanomi cutanei insorti annualmente interessa le 28

popolazioni di Nord-America, Europa e Oceania . L’incidenza è superiore nella 29

razza caucasica. È uno dei tumori che può insorgere anche in giovane età, infatti in Italia è, per quanto riguarda la popolazione maschile, il secondo tumore più frequente sotto ai 50 anni, mentre il terzo nella popolazione femminile .In Italia le diagnosi sono state 13.800 nel 2016 (con una leggera prevalenza maschile). L’ incidenza sembra avere un trend in aumento di circa il 3% per anno sia nei maschi sia nelle donne. Si nota una evidente variabilità geografica nell’incidenza del melanoma cutaneo nel nostro Paese con un trend decrescente Nord-Sud: nel Sud Italia vi sono tassi di incidenza fino a due volte più bassi.

Ad ogni modo questi dati debbono essere considerati come sottostimati per il grande numero di melanomi superficiali di piccole dimensioni o in situ asportati senza essere analizzati o registrati. La tendenza globale, è che anche a fronte di un aumento marcato dell’incidenza la mortalità è rimasta uguale. Nel 2013 in Italia vi sono stati 1948 decessi per melanoma cutaeno, circa l’1% di tutti i decessi per neoplasia in entrambi i sessi . 30

3.2.2 Genetica

Circa il 10% dei pazienti con melanoma ha per lo meno un familiare di primo grado affetto da tale patologia; tra questi il 20% presenta la mutazione di CDKN2A, codificante per p16 e p14, proteine coinvolte nel controllo del ciclo cellulare. Un minor numero di pazienti presenta invece la mutazione di CDK4, che modifica il sito d’azione della proteina p16, con conseguente deregolazione del ciclo cellulare . In totale, circa il 2% dei melanomi sono attribuiti ad un 31

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3.2.3 Eziopatologia


Assieme ai fattori genetici altro fattore causale determinante il melanoma è l’esposizione al sole. L’esposizione intermittente e prolungata è implicata più dell’età nello sviluppo del melanoma, nonostante questo tipo di esposizione in età infantile correla con un rischio maggiore rispetto all’età più avanzata . 32 33 34

3.2.4 Fattori di rischio 


I fattori di rischio principali per lo sviluppo del melanoma sono rappresentati da: numero di nevi (sia comuni che atipici), familiarità per melanoma e/o carcinomi e lesioni precancerose, le caratteristiche fenotipiche e la modalità di esposizione alle radiazioni ultraviolette (vedi Tabella 2). 35 36 37 38

(42)

!

3.2.5 Diagnosi

L’esame clinico associato alla dermoscopia è maggiormente sensibile e specifico della sola valutazione ad occhio nudo. Le lesioni cutanee valutate come sospette debbono essere sempre poi esaminate con un’adeguata illuminazione e con l’utilizzo del dermoscopio; si sottolinea comunque l’importanza dell’associazione con l’esame clinico ed anamnestico onde evitare un falso negativo . Diversi 39

elementi ispettivi debbono essere presi in considerazione per ritenere una lesione degna di escissione. Questi elementi si ricordano facilmente tramite l’acronimo ABCDE (vedi Tabella 3,) . La diagnosi clinica di melanoma non è semplice ed 40 41

è inoltre dipendente dall’esperienza del clinico, con una sensibilità che oscilla tra il 50 e l’85% . 42

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Tabella 3, Il sistema ABCDE.

Altro elemento clinico adoperato per la diagnosi di melanoma è il segno del “brutto anatroccolo”. Il principio è che in un individuo i nevi hanno di solito le stesse caratteristiche. Il “brutto anatroccolo” quindi si discosta dagli altri nevi ed in tale nevo è più alta la probabilità che sia un melanoma . 43 44

Per quanto riguarda però l’identificazione del melanoma nodulare (istotipo con rapida crescita e prognosi severa) vi sono altri parametri da valutare che sono: insorgenza recente, crescita rapida, consistenza dura e sopraelevazione . 45

Secondo i lavori di Sober et al, di Houghton et al e di Balch et al 46 47 48, i pazienti

che presentano lesione cutanea sospetta debbono essere mandati da un chirurgo/ dermatologo che completi un’escissione che dovrà essere possibilmente completa e avente margini di tessuto sano di almeno 1,5 mm. Il materiale così prelevato deve essere inviato in anatomia patologica dove ne verrà confermata la diagnosi, determinata la stadiazione e valutati i parametri prognostici.

3.2.6 Fattori prognostici

Sottotipi istologici

I melanomi vengono classificati sulla base di parametri clinici ed isto-patologici. Per la classificazione istologica del melanoma si fa riferimento alla classificazione WHO 2006 e comprende i quattro tipi principali di melanoma: melanoma a diffusione superficiale, lentigo maligna, melanoma nodulare ed il melanoma acrale lentigginoso. Oltre a queste esistono altre varianti istopatologiche più rare tra le quali si ricordano il melanoma nevoide, il melanoma desmoplastico ed il melanoma spitzoide:

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•Melanoma a diffusione superficiale : Si tratta del tipo più comune, formato di solito da una lesione pigmentata, con margini irregolari e colorito variabile. • Melanoma nodulare: si tratta del secondo tipo più frequente ed è di solito costituito da una lesione pigmentata elevata e a crescita rapida (nell’arco di settimane addirittura) con eventuali ulcerazione e sanguinamento.

• Lentigo maligna melanoma: E’ una lesione pigmentata con margini irregolari e piana, di solito insorge nelle aree fotoesposte di volto e collo. L’accrescimento è lento, con una fase iniziale di melanoma in situ molto protratta nel tempo prima di progredire a melanoma invasivo.

• Melanoma acrale-lentigginoso: Lesione pigmentata abbastanza rara che insorge a livello del palmo di mani o pianta dei piedi o ancora nel letto ungueale. • Melanoma desmoplastico • Melanoma nevoide •Melanoma spitzoide Fattori di crescita

La prognosi del melanoma dipende molto da quella che è la sua fase di 49 50

crescita (verticale o radiale). Durante la fase radiale il tumore si accresce infatti orizzontalmente senza approfondarsi oltre il derma papillare, non si ha la formazione di un vero e proprio nodulo tumorale. In quella verticale invece il tumore diventa capace di metastatizzazione.

Spessore di Breslow

La correlazione tra spessore di Breslow e la prognosi della malattia è stata ampiamente riconosciuta . Difatti questo è ritenuto il fattore prognostico di 51 52

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misurando la profondità della lesione dallo strato granuloso oppure se ci si trova in presenza di ulcerazione, dal fondo di quest’ultima.

Livello di Clark

Questo parametro, di grande rilevanza in passato, è stato quasi totalmente sostituito dallo spessore di Breslow ma costituisce ancora un importante indice di prognosi per i melanomi aventi spessore di Breslow <1 mm , nonostante esso 53 54

sia escluso dal sistema di stadiazione AJCC.

Ulcerazione

La presenza di ulcerazione è stata identificata come variabile prognostica di sicuro impatto e tende a predire una maggiore probabilità di metastatizzazione a livello viscerale e osseo . Recentemente, è stato suggerito che anche l’estensione della 55

stessa ulcerazione (misurata sia per diametro che come volume in percentuale rispetto a quello della lesione) possa aggiungere informazioni di rilevanza prognostica rispetto alla sola presenza dell’ulcerazione . 56

Linfociti infiltranti il tumore (TILs)

La documentazione della presenza di linfociti infiltranti il tumore (TILs) è correlata con prognosi senz’altro favorevole nonostante in qualche studio con 57

analisi multivariata non sia risultata una marcata differenza in termini di 58

prognosi. Secondo gli ultimi studi comunque è assodata la correlazione tra TILs, sopravvivenza sentinella. 59 60 61

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Regressione

E’ un parametro molto dibattuto . Nonostante infatti si sia dimostrata 62

l’associazione tra regressione e prognosi negativa in analisi multivariata, questo non ha trovato conferme in altri studi . Si pensa inoltre che aree estese di 63

regressione possano essere causa di un undergrading della lesione primitiva. Ad oggi non vi sono ancora opinioni definitive a riguardo per l’assenza di studi standardizzati esaustivi. Nel referto istopatologico comunque dovrebbe essere riportata la positività per la regressione e una sua stima quantitativa68.

3.2.7 Grading patologico del melanoma

I melanomi in situ per definizione sono considerati come Stadio 0 mentre i restanti, che costituiscono casi di melanoma invasivo, vengono suddivisi in 5 gruppi diversi:

• Stadio IA (“a rischio lieve”), minore di 0.8 mm di spessore con assenza di ulcerazione;

• Stadio IB-II (“a rischio medio alto”), minore di 0,8 mm di spessore ma che presenta fenomeni di ulcerazione; oppure almeno 1,0 mm senza altre caratteristiche;

• Stadio III, con positività al linfonodo sentinella; •Stadio IV, con metastasi distanti.

3.2.8 Trattamento della malattia iniziale


Chirurgia del melanoma primitivo

Ciascun melanoma deve essere prelevato tramite escissione, la cui ampiezza viene determinata dallo spessore della lesione primitiva69.

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Margini di allargamento consigliati:

• Melanoma in situ: 5 mm

• Melanoma avente spessore fino a 2 mm: 1 cm

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3.3 IL CARCINOMA SPINOCELLULARE

Il carcinoma spinocellulare cutaneo(cSCC) è un tumore cutaneo frequente 64

caratterizzato dalla proliferazione maligna dei cheratinociti dell’epidermide o delle sue appendici. Di solito deriva da lesioni precursore come la cheratosi attinica e la malattia di Bowen, ma può anche crescere de novo o anche sulla pelle irradiata con o senza la manifestazione della dermatite cronica radioindotta, o ancora sulla pelle infiammata cronicamente come nelle ferite croniche o nelle malattie infiammatorie croniche della pelle. Quando si considerano solo le forme invasive questo è il secondo più comune cancro cutaneo non melanoma e comprende il 20% di tutte le forme maligne cutanee . 65

L’incidenza del carcinoma spinocellulare sembra essere aumentata negli ultimi 30 anni dal 50 al 200% . L’impatto della malattia sulla salute pubblica è ampiamente 66

sottostimato.In contrasto col basalioma che raramente metastatizza, il cSCC può metastatizzare inizialmente ai linfonodi regionali e poi a siti distanti. Sebbene la percentuale di metastasi sia stata stimata dal 2 al 5%, questa stima è stata basata su valutazioni di gruppi parziali, quindi dovrebbe essere considerata con cauzione. A dispetto del suo basso potenziale metastatico a distanza, la presenza di queste è associata ad una prognosi infausta e una sopravvivenza media di meno di due anni. Quindi è cruciale preservare le alte possibilità di cura del cSCC tramite una valutazione attenta e un management precoce di tutti i casi.

3.3.1 Epidemiologia

L’incidenza esatta del cSCC non è nota, e le statistiche spesso associano la forma cutanea con quella mucosale. In Australia, dove è stato registrata la più alta incidenza di tumori cutanei non melanoma, il tasso di incidenza del cSCC è stato stimato nel 2002 essere 387 casi per 100’000 persone . 67

Negli Stati Uniti d’America, stime basate sulla popolazione nazionale riportano che 2.2 milioni di persone sono state trattate di tumori cutanei non melanomi nel 2006, delle quali approssimativamente 600’000 casi erano cSCC. Uno studio

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recente americano ha stimato che 3900-9000 pazienti sono morti di cSCC nel 2012 . 68

Una review sistematica di 19 studi che esaminano l’incidenza del cSCC nella popolazione bianca europea ha mostrato una marcata variazione geografica con i tassi di incidenza più alti nel Galles del Sud, UK (32 su 100'000 persone all’anno) e Svizzera (29 su 100'000 all’anno) e il più basso in Croazia (9 su 100’000). Queste differenze suggeriscono che la completezza della raccolta dei casi può incidere di più sulla variabilità dell’incidenza piuttosto che i diversi fototipi . 69

3.3.2 Fattori di rischio

I fattori di rischio principali per il cSCC includono l’esposizione al sole, età avanzata e pelle sensibile alle radiazioni UV.

La cronica e cumulativa esposizione a radiazioni UV è il più forte fattore di rischio ambientale per lo sviluppo del cSCC , fatto che spiega come l’incidenza 70

del cSCC aumenti drammaticamente con l’età. Nel 90% dei casi il tumore si sviluppa nelle aree cronicamente esposte alle UVR, come testa, collo, dorso delle mani. Il cSCC è più frequente nei pazienti che lavorano all’aria aperta . Inoltre le 71

fonti artificiali di UVR come la PUVA terapia e dispositivi di abbronzatura artificiale, sono stati implicati nella patogenesi del cSCC . Altri fattori ambientali 72

comprendono i raggi X e gli idrocarburi policiclici, per lo più nel contesto dell’esposizione occupazionale . 
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Più raramente processi infiammatori cronici di durata molto lunga, come ferite croniche, vecchie ustioni, ulcere o epidermiolisi bollosa possono contribuire allo sviluppo di cSCC.I fattori genetici sono cruciali per favorire il ruolo dei fattori ambientali. Il fototipo I e II aumenta la sensibilità ai UVR e sono così associati a una più alta incidenza di cSCC . Come atteso fattori di rischio genetici che 75

sottendono il complesso della pelle chiara, come le varianti del gene MC1R sono associate con alta incidenza. In modo simile l’albinismo oculocutaneo, che comprende uno spettro di disordini nella produzione di melanina, e lo xeroderma

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